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Giornalista
e
Politico
Autore del
Libro
"Quando
cade l’acrobata, entrano i clown"
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A 25 anni dalla strage di Bruxelles un
libro per ricordare la follia di quella notte
"Non dimenticate l’Heysel"
di Guido Vaciago
VELTRONI "Stadi e cultura: quella
lezione non è stata imparata". Da quel momento
l’Inghilterra cambiò, noi no. Le polemiche sulla
coppa da restituire sono sterili e stupide. Il
problema è riportare la civiltà nel calcio,
l’Italia è indietro".
TORINO - Il 29 maggio 1985, Walter Veltroni era
davanti alla televisione, con il cuore da tifoso
juventino in subbuglio: c’era la tensione di una
finale che via via si mischiava con l’angoscia e
l’orrore per la strage sugli spalti, c’erano
sentimenti confusi e devastanti che hanno aperto
una ferita profonda. La cicatrice è ancora lì,
simile a quella che da quella folle notte
portano milioni di appassionati di calcio (non
necessariamente juventini). Quella cicatrice sta
per compiere venticinque anni, insieme ad essa
restano delle domande ancora senza risposta e
l’urgenza di non dimenticare, per imparare e non
ripetere, sentita fortemente da chi ha vissuto
quei momenti, prima della finale Juventus -
Liverpool, quando morirono 39 persone
nell’assalto dei tifosi inglesi a quelli
italiani. Veltroni ha tradotto questo sentimento
in un libro uscito in questi giorni (Quando cade
l’acrobata entrano i clown, Einaudi, 68 pagine,
9 euro): è un monologo teatrale, nato da un’idea
di Stefano Valenzuolo, direttore del Ravello
festival, quest’anno dedicato proprio al tema
della "follia".
Come rivive nel suo testo la follia del
29 maggio 1985 ?
"La
narrazione cresce, partendo da una situazione
quasi sensuale: una stanza d’albergo sul mare,
di notte, un uomo e una donna. L’uomo inizia a
parlare, la sua è una confessione. La
confessione di una piccola bugia, detta tanti
anni prima, quando raccontò alla sua compagna
che andava a Londra con degli amici. Invece andò
a Bruxelles per coronare il suo sogno: vedere la
finale di Coppa dei Campioni Juventus -
Liverpool. Ma il sogno si trasforma presto in
incubo e lui diventa testimone dell’immane
tragedia. A quel punto cambia il clima emotivo,
arriva l’angoscia, il terrore e l’orrore di
vedere una partita di calcio trasformarsi in
guerra, di vedere la morte accanto. Proprio
questo gli impedisce di parlarne, di tenere il
segreto. E’ ispirato alla storia vera di una
donna che non aveva detto alla sua famiglia
della sua trasferta a Bruxelles per la finale e
non ebbe mai il coraggio di parlare di quella
folle serata".
A distanza di 25 anni qual è il
messaggio che ci manda ancora la tragedia dello
stadio Heysel ?
"E’ importante ricostruire la memoria, perché
quella notte impartì una lezione dalla quale gli
inglesi impararono e noi italiani no. Loro, gli
assassini dell’Heysel, sono migliorati e hanno
riportato la civiltà nel loro calcio. Noi stiamo
progressivamente allontanando le famiglie dagli
stadi che sono stati trasformati in bunker,
abbiamo visto il tifo diventare professionale e
sempre più pericoloso. In Inghilterra, da una
parte hanno tolto le recinzioni dagli stadi,
responsabilizzando i tifosi, dall’altra hanno
inasprito le pene, dando la certezza che se
qualcuno compiva atti violenti in uno stadio se
ne stava 3/4 anni in galera. E’ una strada che
noi italiani non siamo riusciti a intraprendere,
divisi fra il lassismo nei confronti degli ultrà
e l’atteggiamento prussiano di chiedere anche il
gruppo sanguigno a chi vuole comprare un
biglietto per la partita".
Nel frattempo, l’Heysel ha vissuto nella
polemica: la Juventus deve/non deve restituire
quella coppa.
"Un modo molto italiano di porre il problema,
buttandola in polemica che, in questo caso è
sterile e stupida. Il problema non è quella
coppa, ma il ricordo che bisogna conservare di
quella notte per evitare che si ripeta. In
quella notte il calcio ha vissuto la sua Prima
Guerra mondiale, perché 39 morti in uno stadio
sono un’oscena enormità. Poi una certezza è che
la partita si doveva giocare per una questione
di ordine pubblico e un’altra certezza è che
alzare la coppa scendendo dall’aereo il giorno
dopo non fu un gesto di buon gusto. A freddo era
consigliabile un altro profilo, ma questa è
un’altra storia, meno importante di quello che
Bruxelles deve lasciarci".
E
proprio qualche mese fa, Capello ha detto: il
calcio italiano è in mano agli ultrà.
"Una triste verità. Un tecnico, di cui non farò
il nome, mi ha confidato: "Durante la settimana
i tifosi mi vogliono dettare la formazione. Io
faccio di testa mia e la domenica loro mi
contestano a prescindere". E’ un racconto di
ordinaria follia, ma di grande attualità".
C’è una via di uscita ?
"Deve esserci la volontà di spezzare il legame
con il mondo ultrà. E poi devono cambiare gli
stadi: la prima riunione per la privatizzazione
degli stadi la tenni io da Ministro della
cultura e dello sport nel 1996. A mio parere i
nuovi impianti non devono avere la pista
d’atletica per avvicinare il campo alla gente e
poi assistere alla partita deve essere
un’esperienza più coinvolgente. La tv negli
ultimi vent’anni non ha fatto che "aggiungere"
nella sua offerta: ha sempre più telecamere,
l’alta definizione, inquadrature spettacolari e
un contorno ben confezionato. La partita dal
vivo dovrebbe offrire un pacchetto analogo:
comodità, spettacolo, possibilità di vivere in
modo più forte l’evento. Ora gli stadi italiani
sono elefanti nei centri delle città, grigi e
vecchi, che vivono due ore alla settimana".
Ma la lezione di Bruxelles e i 25 anni
che sono seguiti danno una speranza ?
"La speranza c’è. Io ci credo, anche se resto
preoccupato. Perché se da una parte spero che ci
si renda conto di quanto sia folle rischiare di
morire per il calcio, come accadde 25 anni fa,
dall’altra temo che nella crisi di valori, a
partire dalla legalità, si faccia strada la
disperazione e la violenza. E’ per questo che
dobbiamo conservare la memoria".
29 maggio 2010
Fonte: Tuttosport
Walter Veltroni presenta il suo ultimo
libro ispirato alla tragedia di Heysel
Quell'ultima partita
di Piero Di Domenico
Venticinque anni dopo la tragedia allo
stadio Heysel che costò la vita a 39 tifosi
arrivati a Bruxelles per la finale di coppa
Campioni tra Juventus e Liverpool. Lo juventino
Walter Veltroni ha dedicato a quell’evento il
suo ultimo libro, Quando cade l’acrobata,
entrano i clown. L’ultima partita (Einaudi),
riprendendo l’espressione con cui Michel Platini
giustificò allora il senso di una partita
giocata egualmente per evitare guai peggiori e
grottescamente festeggiata dai bianconeri
vincitori. Venerdì alle 18 l’ex segretario del
Pd presenta il volume presso la libreria coop
Ambasciatori.
Come mai ha deciso di tornare
sull’Heysel alla vigilia dell’anniversario del
29 maggio ?
"In realtà l’idea non è mia. Alla fine dell’anno
scorso Stefano Valanzuolo, direttore del
festival di teatro e musica di Ravello, mi ha
chiesto se mi andava di scrivere un monologo
sull’Heysel".
Ha accettato subito ?
"No, anche perché non avevo mai scritto prima in
forma di monologo. Sono rimasto a lungo in
dubbio, poi ho deciso di provarci e ne è venuto
fuori un testo abbastanza emozionante e
commovente, che rende il senso di follia di
quelle giornate. L’ho già letto ad Arezzo, dove
ha sede l’associazione dei familiari delle
vittime".
Dov’era quella sera di 25 anni fa ?
"Ero a casa con amici davanti alla tv,
assistendo al crescere dell’orrore ogni minuto,
misurando l’incongruenza tra ciò che accadeva
sul campo, dove la partita veniva giocata,
rispetto a quanto succedeva sugli spalti".
Come ha pensato di raccontare quella
mattanza causata da un’incredibile serie di
leggerezze organizzative ?
"Sono partito da una stanza d’albergo, nel 1995,
10 anni dopo. Dopo una notte d’amore, un uomo
decide di raccontare alla moglie che sta
dormendo quello che le ha sempre taciuto, perché
aveva detto che era stato a Londra per un addio
al celibato e invece era andato a Bruxelles. E’
uno spunto tratto da una storia vera".
A un certo punto il suo protagonista
parla del calcio come passione futile, lieve e
ingenua…
Il calcio è il più bel gioco che ci sia,
appassiona miliardi di persone in tutta la
terra. Però è un gioco che sta cambiando
carattere, il clima è ormai insopportabile, ogni
partita è una guerra, con migliaia di agenti
coinvolti. E purtroppo stiamo tornando
indietro".
Il libro è anche un richiamo per il
presente ?
"Questo Paese sta perdendo la sua memoria in
tutto, quindi sta anche dimenticando quella
giornata. Il pubblico asfissiato e il terrore
che hanno vissuto restano una cosa
indescrivibile".
Dai pochi poliziotti dell’Heysel si è
passati alle città militarizzate come nella
recente finale di coppa Italia…
"Il calcio importa violenza da una società della
guerra e dell’odio che si snoda in tante
direzioni. Ma il calcio non si può
deresponsabilizzare mettendosi a giocare con le
parole e con i media".
Eppure l’Inghilterra dall’Heysel ha
imparato qualcosa…
"In Inghilterra Ferguson o Wenger allenano la
stessa squadra da tantissimi anni, lì è tutto
molto più stabile, meno nevrotico, con meno
pressione. E’ un modello diverso, che non
riguarda solo gli stadi di proprietà, come si
vuol far credere in Italia".
Cosa l’ha convinta della frase di
Platini che ha scelto come titolo ?
"Racconta il senso di quella giornata, il
contrasto tra l’allegria iniziale e il momento
in cui ci si rende conto che tutto era
anacronistico. Giocare fu giusto per evitare una
carneficina, ma il tutto fu una follia. Quella
sera c’è stata la perdita d’innocenza del gioco
del calcio".
7 maggio 2010
Fonte: Corrieredibologna.corriere.it
© Fotografia: i.huffpost.com
Walter Veltroni oggi ad Arezzo
di Andrea Niccolini
Questo pomeriggio alle 18.00 presso il
teatro Pietro Aretino, Walter Veltroni presenta
in anteprima il suo ultimo libro "Quando cade
l'acrobata, entrano i clown - Heysel, l'ultima
partita" Einaudi. L'opera andrà in scena il
prossimo 8 luglio al Ravello Festival. Il
monologo, ricorda la tragedia attraverso una
storia d'amore. Segue l'intervista di Andrea
Niccolini tratta dal Corriere di Arezzo.
Gli occhi non volevano credere a quel che
vedevano, e quel che vedevano era niente, dallo
schermo della tv, la sera del 29 maggio 1985,
rispetto a quello che realmente stava accadendo;
i corpi delle vittime furono messi al riparo
dalle telecamere, e solo alla fine di quella
maledetta partita di calcio Juve-Liverpool si
poté vedere nitidamente l'inferno. Tra poche
settimane ricorrerà il venticinquennale della
strage dell'Heysel, 39 morti travolti da una
violenza cieca, tra i quali gli aretini
Giuseppina Conti e Roberto Lorentini, e proprio
in vista di questa ricorrenza domani arriverà ad
Arezzo Walter Veltroni a presentare la sua
ultima creatura letteraria, un monologo teatrale
dedicato proprio alla tragedia del 29 maggio
'85. L'appuntamento è per le ore 18 al teatro
Pietro Aretino. L'opera, dal titolo "Quando cade
l'acrobata, entrano i clown" (che riprende la
frase pronunciata da Platini per giustificare
l'esultanza dopo il calcio di rigore e il giro
di campo) è stata appena pubblicata da Einaudi e
sarà da domani nelle librerie.
Spiega Veltroni in esclusiva al Corriere
di Arezzo:
"Ho pensato che fosse giusto che la prima
lettura del libro fosse fatta nella città che è
stata protagonista della battaglia civile per
vedere riconosciute le ragioni delle vittime
dell'Heysel: la famiglia Lorentini, la famiglia
Conti, l'amministrazione... Mi sembrava giusto
fosse Arezzo il primo luogo. E poi c'è anche un
fatto affettivo, le mie radici sono lì, mi fa
sempre piacere tornare".
E' un'opera particolare, rispetto alle
sue precedenti: per l'argomento ma anche per la
forma; anche la presentazione sarà al di fuori
dell'ordinario ?
"Sì, perché non faremo una presentazione
canonica: parlerà il sindaco e poi io leggerò il
testo, un monologo che mi è stato chiesto dal
Festival di musica e teatro di Ravello; mi hanno
chiesto alla fine dell'anno scorso se avevo
voglia di scrivere un monologo sulla tragedia
dell'Heysel; ci ho pensato un po' perché non
avevo mai scritto, prima, in quella forma
letteraria e anche questo mi interessava. Ho
provato a scriverlo ed è venuta una cosa che
coloro che l'hanno letta e l'Einaudi che l'ha
pubblicata hanno trovato emozionante. C'è questo
rapporto tra il gioco e la tragedia, tra la
gioia e il sangue, che in questa forma, in
questa violenza, raramente si è manifestato
nella storia; per cui l'Heysel in qualche misura
è anche una metafora del tempo storico nel quale
viviamo".
Una metafora terribile...
"Terribile, perché c'è il sangue degli esseri
umani, e l'autentica follia di chi è andato allo
stadio per uccidere e non per vedere una
partita, di chi ritiene che la vita umana sia
meno importante della conquista di una sciarpa,
di un mondo a testa in giù, diciamo così. Lì
c'erano famiglie, c'erano bambini, non c'erano
tifosi di professione, solo gente comune che
aveva comprato all'ultimo momento i biglietti;
il tutto nella totale inadeguatezza della
struttura e delle forze di polizia. E' un
concentrato di tante cose, narrativamente molto
intenso".
Un concentrato di elementi che avrebbe
dovuto trasformare l'Heysel in un simbolo, uno
spartiacque; invece pare che ben pochi siano
intenzionati a coltivare questa memoria.
"E' stata molto rimossa, e anche per questo ci
tenevo a scrivere questo lavoro. Un po' perché
sono convinto che la memoria sia il nostro
serbatoio fondamentale per il futuro, che solo
la memoria ci può mettere al riparo dal rischio
di ripetere tragedie ed errori compiuti, ma la
rimozione è stata molto forte e in diverse
direzioni; certo, quando si dice Heysel per una
generazione è una pagina micidiale, però bisogna
che continui ad esserlo, anche per le
generazioni successive; quando si vedono le asce
sequestrate ai tifosi prima dell'ultimo derby
romano, si ha la sensazione che quel monito, che
viene da quei trentanove morti, non possa essere
sprecato".
Insomma, in questi venticinque anni non
si è stati capaci di trarre un insegnamento
dalla tragedia dell'Heysel.
"Sì, ma è la naturale conseguenza della perdita
di memoria: quando si rimuove, questo è
l'effetto. Per evitare che ciò accada è
necessaria la partecipazione di coloro che
gestiscono il mondo dello sport, ma anche degli
operatori dell'informazione, della scuola... Di
tutti coloro che dovrebbero produrre memoria,
come un dovere istituzionale".
C'è una certa tendenza all'amnesia, in
Italia, soprattutto negli ultimi anni.
"Eh, sì, soffriamo come di un Alzheimer
collettivo. Ma non solo in Italia, è una cosa
forse data anche dalla pluralità dei mezzi di
comunicazione, dalla loro diffusione: c'è come
un accesso alle informazioni al quale
corrisponde una sorta di rimozione della
memoria. E invece bisogna tornare lì, tornare e
ritornare, passare e ripassare nei luoghi e nei
momenti più tragici, e questo vale per il 25
aprile, vale per le foibe, vale per l'Heysel,
per il terrorismo... Se si vuole evitare il
ripetersi dei drammi bisogna portare con sé gli
anticorpi che solo la memoria fornisce".
In altri Paesi d'Europa, in Gran
Bretagna in primis, l'Heysel rappresenta uno
spartiacque: lì qualche insegnamento dalla
tragedia lo hanno tratto.
"Sì, anche se devo dire, così come ho scritto
anche nel monologo, pochi anni dopo l'Heysel ci
fu Hillsborough, con 93 morti, una specie di
tragica nemesi storica. Esattamente con la
stessa modalità finale dell'Heysel, cioè tifosi
del Liverpool che muoiono non perché c'è
qualcuno che li aggredisce ma perché c'è ressa e
disorganizzazione: muoiono schiacciati come
morirono i trentanove dell'Heysel".
Tuttavia, se si guarda uno stadio
inglese e uno italiano oggi, la differenza salta
all'occhio. Secondo molti, un passo verso
l'evoluzione in questo senso potrebbe
realizzarsi con le società proprietarie degli
stadi.
"Su questo sono sempre stato d'accordo: bisogna
dare gli stadi alle società; però non penso sia
la soluzione del problema; alla fine c'è
qualcosa che riguarda complessivamente la
società: un clima civile nella società, il
rifiuto della violenza, di ogni forma di
intolleranza. Altrimenti la violenza che sta
sottopelle nella società tende a scaricarsi
dentro gli stadi con forme agghiaccianti".
29 aprile 2010
Fonte: Corriere di Arezzo
Heysel, 25 anni dopo la strage inutile
di Roberto Beccantini
Parla Walter Veltroni, l'ex leader del
Pd che ha scritto un monologo teatrale sulla
tragedia di Bruxelles costata la vita a 39
tifosi juventini.
Il 29 maggio saranno venticinque anni. I
compleanni dell’Heysel hanno bisogno di cifre
tonde, perché il ricordo di trentanove morti
torni vivo. Trentanove morti per una partita di
calcio, la finale di Coppa dei Campioni tra
Juventus e Liverpool. Tranne il rigore che la
decise, avvenuto fuori area, tutto tragicamente
vero. Così vero e così folle. Quella sera, lo
juventino Walter Veltroni era a Roma, da amici.
Vide e inorridì, grato a Bruno Pizzul per
l’umanità della telecronaca. Dopodiché, ognuno
per la sua strada, Veltroni in politica e
l’Heysel ai margini della memoria, fino a oggi,
fino a "Quando cade l’acrobata, entrano i
clown".
Da "pocologo" a "tuttologo": come nasce
?
"Prima di tutto, è la frase che disse Platini
per giustificare l’esultanza del rigore e il
giro di campo. Poi è un monologo che ho scritto
su commissione. Perché sì, di solito le idee mi
nascono dentro, che so, l’ispirazione di un
romanzo o di un saggio, questa volta invece mi è
arrivata da fuori, dal direttore del Ravello
Festival, Stefano Valanzuolo. Mi confidò di aver
dedicato l’edizione 2010 al tema della follia, e
quale esempio più concreto e appropriato della
mattanza di Bruxelles ?".
La sua reazione ?
"Da essere umano; da essere umano appassionato
di sport; da essere umano appassionato di sport
e tifoso della Juventus. Ne è scaturito il
parlato di un’ora, diviso in blocchi a cinque
frasi: sarà rappresentato l’8 luglio, a Ravello,
da Daniele Formica, con musica di Riccardo
Panfili. La Einaudi, alla quale il testo era
piaciuto, ha deciso di farne un libro, in uscita
il 27 aprile. Titolo, appunto, Quando cade
l’acrobata, entrano i clown".
L’aggancio, la trama ?
"Siamo nel 1995: dunque, dieci anni dopo. Siamo
in Sicilia, nella camera di un albergo, con il
mare davanti al balcone e il vento che muove le
tende. Una coppia di notte: lei dorme, lui no.
Lui le confessa, per la prima volta, che il 29
maggio del 1985 non aveva viaggiato per lavoro,
ma era stato all’Heysel. La moglie non lo saprà
mai, perché continua a dormire. Il marito, però,
si è tolto un peso: si vergognava di quella
bugia, di quella impresa bambinesca".
E poi ?
"Il racconto della carneficina, naturalmente.
Come cresce, come esplode. La guerra applicata
alla gioia, perché non penso di essere retorico
se dico che la gente era lì, a Bruxelles, quasi
in gita, per trepidare e godere di uno
spettacolo".
Le sue fonti ?
"Ho girato un sacco di siti, ho letto molte
carte e molti libri, come Le verità sull’Heysel
di Francesco Caremani. Ho trovato la storia di
una donna che si era spinta fino al settore Z
senza dirlo al marito, un po’ come la mia coppia
rovesciata".
Siamo un Paese che allena poco la
memoria.
"Vero. La nostra è una società bulimica, molto
disturbata, che tende a mettere "pietre sopra" a
troppe cose. L’Heysel ne è l’esempio classico:
lo stadio fatiscente, le famiglie di tifosi
italiani con l’abito buono vicino agli hooligans
del Liverpool, colpa di agenzie senza scrupoli
che avevano venduto i biglietti fregandosene
delle mani in cui finivano; l’attesa febbrile e
battuta da un sole cocente; il contrasto con la
partita dei bambini organizzata per distrarre il
pubblico".
Gli hooligans, d’accordo: ma le
raccomando quello che "non" fece la polizia
belga.
"Cinque gendarmi a presidiare la curva
maledetta. Cinque, non uno di più. E, per
giunta, con i walkie-talkie scassati. In
pratica, nessuno si oppose al lancio di oggetti
che introdusse le cariche mortali".
E poi la strage.
"Schiacciati contro il muro divisorio. Morti
ammazzati per soffocamento, o perché calpestati
da altri fuggiaschi in cerca di aria, di
miracolo. Trentanove persone. Per una partita di
calcio. Ci furono atti di eroismo grande,
eroismo vero, come la morte di Roberto
Lorentini, all’Heysel con il padre Otello.
Roberto era un medico, e mentre stava praticando
la respirazione bocca a bocca a un tifoso
atterrato venne a sua volta travolto dall’onda.
I Lorentini sono di Arezzo, e proprio ad Arezzo
sarò con il libro il 29 aprile".
Boniperti non ha mai rinnegato la coppa
dell’Heysel.
"Lo capisco, e capisco la società. Ci tenevano
troppo, a quel trofeo. Ma per me la vera coppa
rimane quella vinta a Roma, ai rigori, contro
l’Ajax".
Cosa ha insegnato l’Heysel ?
"Poco, purtroppo. E comunque, più agli inglesi
che a noi. L’Heysel risale al 1985. Quattro anni
dopo, le nemesi storica avrebbe preso di mira
proprio i tifosi del Liverpool, novantasei dei
quali morirono schiacciati allo stadio di
Hillsborough (Sheffield) durante la semifinale
di Coppa d’Inghilterra con il Nottingham Forest:
a partita appena iniziata e a gradinate
strapiene, aprirono di botto i cancelli e si
creò un ingorgo spaventoso, letale".
Da Paparelli a Raciti...
"Oggi gli stadi sono più sorvegliati. La
violenza si è spostata fuori, nelle strade, agli
autogrill. Rimane un quoziente di teppismo che
rispecchia l’odio sparato dalla società".
Domanda fuori tema e fuori libro: più
difficile rifondare il Pd o la Juventus ?
"Servirebbero due imprese... Scherzi a parte: la
Juventus ha perso l’identità. Non sarà facile
venirne fuori. Urge una dose massiccia di
competenza. A questo proposito, mi auguro un
impegno più diretto della famiglia, John Elkann
o Andrea Agnelli presidente, con un vice molto
"tecnico". Come ha ribadito il 4-1 del Fulham,
siamo di fronte a un fallimento strutturale.
Ripeto: della struttura, non di un reparto o di
un comparto. Di tutto, di tutti".
21 marzo 2010
Fonte: Lastampa.it
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