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Politico, Giornalista e Scrittore
(Autore del Libro edito
da Einaudi nel 2010)
"Quando cade
l’acrobata, entrano i clown"
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A 25 anni dalla strage
di Bruxelles un libro per ricordare la follia di quella
notte
"Non dimenticate l’Heysel"
di Guido Vaciago
VELTRONI - "Stadi e cultura: quella lezione non
è stata imparata". Da quel momento l’Inghilterra cambiò,
noi no. Le polemiche sulla coppa da restituire sono
sterili e stupide. Il problema è riportare la civiltà
nel calcio, l’Italia è indietro".
TORINO
- Il 29 maggio 1985, Walter Veltroni era davanti alla
televisione, con il cuore da tifoso juventino in
subbuglio: c’era la tensione di una finale che via via
si mischiava con l’angoscia e l’orrore per la strage
sugli spalti, c’erano sentimenti confusi e devastanti
che hanno aperto una ferita profonda. La cicatrice è
ancora lì, simile a quella che da quella folle notte
portano milioni di appassionati di calcio (non
necessariamente juventini). Quella cicatrice sta per
compiere venticinque anni, insieme ad essa restano delle
domande ancora senza risposta e l’urgenza di non
dimenticare, per imparare e non ripetere, sentita
fortemente da chi ha vissuto quei momenti, prima della
finale Juventus - Liverpool, quando morirono 39 persone
nell’assalto dei tifosi inglesi a quelli italiani.
Veltroni ha tradotto questo sentimento in un libro
uscito in questi giorni (Quando cade l’acrobata entrano
i clown, Einaudi, 68 pagine, 9 euro): è un monologo
teatrale, nato da un’idea di Stefano Valenzuolo,
direttore del Ravello festival, quest’anno dedicato
proprio al tema della "follia".
Come rivive nel suo testo la follia del 29
maggio 1985 ?
"La narrazione cresce, partendo da una situazione quasi
sensuale: una stanza d’albergo sul mare, di notte, un
uomo e una donna. L’uomo inizia a parlare, la sua è una
confessione. La confessione di una piccola bugia, detta
tanti anni prima, quando raccontò alla sua compagna che
andava a Londra con degli amici. Invece andò a Bruxelles
per coronare il suo sogno: vedere la finale di Coppa dei
Campioni Juventus - Liverpool. Ma il sogno si trasforma
presto in incubo e lui diventa testimone dell’immane
tragedia. A quel punto cambia il clima emotivo, arriva
l’angoscia, il terrore e l’orrore di vedere una partita
di calcio trasformarsi in guerra, di vedere la morte
accanto. Proprio questo gli impedisce di parlarne, di
tenere il segreto. E’ ispirato alla storia vera di una
donna che non aveva detto alla sua famiglia della sua
trasferta a Bruxelles per la finale e non ebbe mai il
coraggio di parlare di quella folle serata".
A distanza di 25 anni
qual è il messaggio che ci manda ancora la tragedia
dello stadio Heysel ?
"E’ importante ricostruire la memoria, perché quella
notte impartì una lezione dalla quale gli inglesi
impararono e noi italiani no. Loro, gli assassini
dell’Heysel, sono migliorati e hanno riportato la
civiltà nel loro calcio. Noi stiamo progressivamente
allontanando le famiglie dagli stadi che sono stati
trasformati in bunker, abbiamo visto il tifo diventare
professionale e sempre più pericoloso. In Inghilterra,
da una parte hanno tolto le recinzioni dagli stadi,
responsabilizzando i tifosi, dall’altra hanno inasprito
le pene, dando la certezza che se qualcuno compiva atti
violenti in uno stadio se ne stava 3/4 anni in galera.
E’ una strada che noi italiani non siamo riusciti a
intraprendere, divisi fra il lassismo nei confronti
degli ultrà e l’atteggiamento prussiano di chiedere
anche il gruppo sanguigno a chi vuole comprare un
biglietto per la partita".
Nel frattempo,
l’Heysel ha vissuto nella polemica: la Juventus deve/non
deve restituire quella coppa.
"Un modo molto italiano di porre il problema, buttandola
in polemica che, in questo caso è sterile e stupida. Il
problema non è quella coppa, ma il ricordo che bisogna
conservare di quella notte per evitare che si ripeta. In
quella notte il calcio ha vissuto la sua Prima Guerra
mondiale, perché 39 morti in uno stadio sono un’oscena
enormità. Poi una certezza è che la partita si doveva
giocare per una questione di ordine pubblico e un’altra
certezza è che alzare la coppa scendendo dall’aereo il
giorno dopo non fu un gesto di buon gusto. A freddo era
consigliabile un altro profilo, ma questa è un’altra
storia, meno importante di quello che Bruxelles deve
lasciarci".
E proprio qualche mese
fa, Capello ha detto: il calcio italiano è in mano agli
ultrà.
"Una triste verità. Un
tecnico, di cui non farò il nome, mi ha confidato:
"Durante la settimana i tifosi mi vogliono dettare la
formazione. Io faccio di testa mia e la domenica loro mi
contestano a prescindere". E’ un racconto di ordinaria
follia, ma di grande attualità".
C’è una via di uscita ?
"Deve esserci la volontà di
spezzare il legame con il mondo ultrà. E poi devono
cambiare gli stadi: la prima riunione per la
privatizzazione degli stadi la tenni io da Ministro
della cultura e dello sport nel 1996. A mio parere i
nuovi impianti non devono avere la pista d’atletica per
avvicinare il campo alla gente e poi assistere alla
partita deve essere un’esperienza più coinvolgente. La
tv negli ultimi vent’anni non ha fatto che "aggiungere"
nella sua offerta: ha sempre più telecamere, l’alta
definizione, inquadrature spettacolari e un contorno ben
confezionato. La partita dal vivo dovrebbe offrire un
pacchetto analogo: comodità, spettacolo, possibilità di
vivere in modo più forte l’evento. Ora gli stadi
italiani sono elefanti nei centri delle città, grigi e
vecchi, che vivono due ore alla settimana".
Ma la lezione di
Bruxelles e i 25 anni che sono seguiti danno una
speranza ?
"La speranza c’è. Io ci credo, anche se resto
preoccupato. Perché se da una parte spero che ci si
renda conto di quanto sia folle rischiare di morire per
il calcio, come accadde 25 anni fa, dall’altra temo che
nella crisi di valori, a partire dalla legalità, si
faccia strada la disperazione e la violenza. E’ per
questo che dobbiamo conservare la memoria".
Fonte:
Tuttosport
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Walter Veltroni
presenta il suo ultimo libro ispirato alla tragedia di
Heysel
Quell'ultima partita
di Piero Di Domenico
Venticinque anni
dopo la tragedia allo stadio Heysel che costò la vita a
39 tifosi arrivati a Bruxelles per la finale di coppa
Campioni tra Juventus e Liverpool. Lo juventino Walter
Veltroni ha dedicato a quell’evento il suo ultimo libro,
Quando cade l’acrobata, entrano i clown. L’ultima
partita (Einaudi), riprendendo l’espressione con cui
Michel Platini giustificò allora il senso di una partita
giocata egualmente per evitare guai peggiori e
grottescamente festeggiata dai bianconeri vincitori.
Venerdì alle 18 l’ex segretario del Pd presenta il
volume presso la libreria coop Ambasciatori.
Come mai ha deciso di tornare sull’Heysel alla
vigilia dell’anniversario del 29 maggio ?
"In realtà l’idea non è mia.
Alla fine dell’anno scorso Stefano Valanzuolo, direttore
del festival di teatro e musica di Ravello, mi ha
chiesto se mi andava di scrivere un monologo
sull’Heysel".
Ha accettato subito ?
"No, anche perché non avevo
mai scritto prima in forma di monologo. Sono rimasto a
lungo in dubbio, poi ho deciso di provarci e ne è venuto
fuori un testo abbastanza emozionante e commovente, che
rende il senso di follia di quelle giornate. L’ho già
letto ad Arezzo, dove ha sede l’associazione dei
familiari delle vittime".
Dov’era quella sera di 25 anni fa ?
"Ero a casa con amici davanti
alla tv, assistendo al crescere dell’orrore ogni minuto,
misurando l’incongruenza tra ciò che accadeva sul campo,
dove la partita veniva giocata, rispetto a quanto
succedeva sugli spalti".
Come ha pensato di raccontare quella mattanza
causata da un’incredibile serie di leggerezze
organizzative ?
"Sono partito da una stanza
d’albergo, nel 1995, 10 anni dopo. Dopo una notte
d’amore, un uomo decide di raccontare alla moglie che
sta dormendo quello che le ha sempre taciuto, perché
aveva detto che era stato a Londra per un addio al
celibato e invece era andato a Bruxelles. E’ uno spunto
tratto da una storia vera".
A un certo punto il suo protagonista parla del
calcio come passione futile, lieve e ingenua…
Il calcio è il più bel gioco
che ci sia, appassiona miliardi di persone in tutta la
terra. Però è un gioco che sta cambiando carattere, il
clima è ormai insopportabile, ogni partita è una guerra,
con migliaia di agenti coinvolti. E purtroppo stiamo
tornando indietro".
Il libro è anche un richiamo per il presente ?
"Questo Paese sta perdendo la
sua memoria in tutto, quindi sta anche dimenticando
quella giornata. Il pubblico asfissiato e il terrore che
hanno vissuto restano una cosa indescrivibile".
Dai pochi poliziotti
dell’Heysel si è passati alle città militarizzate come
nella recente finale di coppa Italia…
"Il calcio importa violenza da
una società della guerra e dell’odio che si snoda in
tante direzioni. Ma il calcio non si può
deresponsabilizzare mettendosi a giocare con le parole e
con i media".
Eppure l’Inghilterra dall’Heysel ha imparato
qualcosa…
"In Inghilterra Ferguson o Wenger allenano la stessa
squadra da tantissimi anni, lì è tutto molto più
stabile, meno nevrotico, con meno pressione. E’ un
modello diverso, che non riguarda solo gli stadi di
proprietà, come si vuol far credere in Italia".
Cosa l’ha convinta
della frase di Platini che ha scelto come titolo ?
"Racconta il senso di quella
giornata, il contrasto tra l’allegria iniziale e il
momento in cui ci si rende conto che tutto era
anacronistico. Giocare fu giusto per evitare una
carneficina, ma il tutto fu una follia. Quella sera c’è
stata la perdita d’innocenza del gioco del calcio".
Fonte:
Corrieredibologna.corriere.it
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Walter Veltroni oggi
ad Arezzo
di Andrea Niccolini
Questo pomeriggio
alle 18.00 presso il teatro Pietro Aretino, Walter
Veltroni presenta in anteprima il suo ultimo libro
"Quando cade l'acrobata, entrano i clown - Heysel,
l'ultima partita" Einaudi. L'opera andrà in scena il
prossimo 8 luglio al Ravello Festival. Il monologo,
ricorda la tragedia attraverso una storia d'amore. Segue
l'intervista di Andrea Niccolini tratta dal Corriere di
Arezzo.
Gli occhi non volevano credere a quel che vedevano, e
quel che vedevano era niente, dallo schermo della tv, la
sera del 29 maggio 1985, rispetto a quello che realmente
stava accadendo; i corpi delle vittime furono messi al
riparo dalle telecamere, e solo alla fine di quella
maledetta partita di calcio Juve-Liverpool si poté
vedere nitidamente l'inferno. Tra poche settimane
ricorrerà il venticinquennale della strage dell'Heysel,
39 morti travolti da una violenza cieca, tra i quali gli
aretini Giuseppina Conti e Roberto Lorentini, e proprio
in vista di questa ricorrenza domani arriverà ad Arezzo
Walter Veltroni a presentare la sua ultima creatura
letteraria, un monologo teatrale dedicato proprio alla
tragedia del 29 maggio '85. L'appuntamento è per le ore
18 al teatro Pietro Aretino. L'opera, dal titolo "Quando
cade l'acrobata, entrano i clown" (che riprende la frase
pronunciata da Platini per giustificare l'esultanza dopo
il calcio di rigore e il giro di campo) è stata appena
pubblicata da Einaudi e sarà da domani nelle librerie.
Spiega Veltroni in esclusiva al Corriere di
Arezzo...
"Ho pensato che fosse giusto
che la prima lettura del libro fosse fatta nella città
che è stata protagonista della battaglia civile per
vedere riconosciute le ragioni delle vittime
dell'Heysel: la famiglia Lorentini, la famiglia Conti,
l'amministrazione... Mi sembrava giusto fosse Arezzo il
primo luogo. E poi c'è anche un fatto affettivo, le mie
radici sono lì, mi fa sempre piacere tornare".
E' un'opera
particolare, rispetto alle sue precedenti: per
l'argomento ma anche per la forma; anche la
presentazione sarà al di fuori dell'ordinario ?
"Sì, perché non faremo una presentazione canonica:
parlerà il sindaco e poi io leggerò il testo, un
monologo che mi è stato chiesto dal Festival di musica e
teatro di Ravello; mi hanno chiesto alla fine dell'anno
scorso se avevo voglia di scrivere un monologo sulla
tragedia dell'Heysel; ci ho pensato un po' perché non
avevo mai scritto, prima, in quella forma letteraria e
anche questo mi interessava. Ho provato a scriverlo ed è
venuta una cosa che coloro che l'hanno letta e l'Einaudi
che l'ha pubblicata hanno trovato emozionante. C'è
questo rapporto tra il gioco e la tragedia, tra la gioia
e il sangue, che in questa forma, in questa violenza,
raramente si è manifestato nella storia; per cui
l'Heysel in qualche misura è anche una metafora del
tempo storico nel quale viviamo".
Una metafora terribile...
"Terribile, perché c'è il sangue degli esseri umani, e
l'autentica follia di chi è andato allo stadio per
uccidere e non per vedere una partita, di chi ritiene
che la vita umana sia meno importante della conquista di
una sciarpa, di un mondo a testa in giù, diciamo così.
Lì c'erano famiglie, c'erano bambini, non c'erano tifosi
di professione, solo gente comune che aveva comprato
all'ultimo momento i biglietti; il tutto nella totale
inadeguatezza della struttura e delle forze di polizia.
E' un concentrato di tante cose, narrativamente molto
intenso".
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Un concentrato di
elementi che avrebbe dovuto trasformare l'Heysel in un
simbolo, uno spartiacque; invece pare che ben pochi
siano intenzionati a coltivare questa memoria.
"E' stata molto rimossa, e anche per questo ci tenevo a
scrivere questo lavoro. Un po' perché sono convinto che
la memoria sia il nostro serbatoio fondamentale per il
futuro, che solo la memoria ci può mettere al riparo dal
rischio di ripetere tragedie ed errori compiuti, ma la
rimozione è stata molto forte e in diverse direzioni;
certo, quando si dice Heysel per una generazione è una
pagina micidiale, però bisogna che continui ad esserlo,
anche per le generazioni successive; quando si vedono le
asce sequestrate ai tifosi prima dell'ultimo derby
romano, si ha la sensazione che quel monito, che viene
da quei trentanove morti, non possa essere sprecato".
Insomma, in questi venticinque anni non si è
stati capaci di trarre un insegnamento dalla tragedia
dell'Heysel.
"Sì, ma è la naturale conseguenza della perdita di
memoria: quando si rimuove, questo è l'effetto. Per
evitare che ciò accada è necessaria la partecipazione di
coloro che gestiscono il mondo dello sport, ma anche
degli operatori dell'informazione, della scuola... Di
tutti coloro che dovrebbero produrre memoria, come un
dovere istituzionale".
C'è una certa tendenza all'amnesia, in Italia,
soprattutto negli ultimi anni.
"Eh, sì, soffriamo come di un
Alzheimer collettivo. Ma non solo in Italia, è una cosa
forse data anche dalla pluralità dei mezzi di
comunicazione, dalla loro diffusione: c'è come un
accesso alle informazioni al quale corrisponde una sorta
di rimozione della memoria. E invece bisogna tornare lì,
tornare e ritornare, passare e ripassare nei luoghi e
nei momenti più tragici, e questo vale per il 25 aprile,
vale per le foibe, vale per l'Heysel, per il
terrorismo... Se si vuole evitare il ripetersi dei
drammi bisogna portare con sé gli anticorpi che solo la
memoria fornisce".
In altri Paesi d'Europa, in Gran Bretagna in
primis, l'Heysel rappresenta uno spartiacque: lì qualche
insegnamento dalla tragedia lo hanno tratto.
"Sì, anche se devo dire, così come ho scritto anche nel
monologo, pochi anni dopo l'Heysel ci fu Hillsborough,
con 93 morti, una specie di tragica nemesi storica.
Esattamente con la stessa modalità finale dell'Heysel,
cioè tifosi del Liverpool che muoiono non perché c'è
qualcuno che li aggredisce ma perché c'è ressa e
disorganizzazione: muoiono schiacciati come morirono i
trentanove dell'Heysel".
Tuttavia, se si guarda
uno stadio inglese e uno italiano oggi, la differenza
salta all'occhio. Secondo molti, un passo verso
l'evoluzione in questo senso potrebbe realizzarsi con le
società proprietarie degli stadi.
"Su questo sono sempre stato d'accordo: bisogna dare gli
stadi alle società; però non penso sia la soluzione del
problema; alla fine c'è qualcosa che riguarda
complessivamente la società: un clima civile nella
società, il rifiuto della violenza, di ogni forma di
intolleranza. Altrimenti la violenza che sta sottopelle
nella società tende a scaricarsi dentro gli stadi con
forme agghiaccianti".
Fonte:
Corriere di Arezzo
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Heysel, 25 anni dopo
la strage inutile
di Roberto Beccantini
Parla Walter Veltroni, l'ex leader del Pd che ha
scritto un monologo teatrale sulla tragedia di Bruxelles
costata la vita a 39 tifosi juventini.
Il 29 maggio saranno
venticinque anni. I compleanni dell’Heysel hanno bisogno
di cifre tonde, perché il ricordo di trentanove morti
torni vivo. Trentanove morti per una partita di calcio,
la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e
Liverpool. Tranne il rigore che la decise, avvenuto
fuori area, tutto tragicamente vero. Così vero e così
folle. Quella sera, lo juventino Walter Veltroni era a
Roma, da amici. Vide e inorridì, grato a Bruno Pizzul
per l’umanità della telecronaca. Dopodiché, ognuno per
la sua strada, Veltroni in politica e l’Heysel ai
margini della memoria, fino a oggi, fino a "Quando cade
l’acrobata, entrano i clown".
Da "pocologo" a
"tuttologo": come nasce ?
"Prima di tutto, è la frase
che disse Platini per giustificare l’esultanza del
rigore e il giro di campo. Poi è un monologo che ho
scritto su commissione. Perché sì, di solito le idee mi
nascono dentro, che so, l’ispirazione di un romanzo o di
un saggio, questa volta invece mi è arrivata da fuori,
dal direttore del Ravello Festival, Stefano Valanzuolo.
Mi confidò di aver dedicato l’edizione 2010 al tema
della follia, e quale esempio più concreto e appropriato
della mattanza di Bruxelles ?".
La sua reazione ?
"Da essere umano; da essere umano appassionato di sport;
da essere umano appassionato di sport e tifoso della
Juventus. Ne è scaturito il parlato di un’ora, diviso in
blocchi a cinque frasi: sarà rappresentato l’8 luglio, a
Ravello, da Daniele Formica, con musica di Riccardo
Panfili. La Einaudi, alla quale il testo era piaciuto,
ha deciso di farne un libro, in uscita il 27 aprile.
Titolo, appunto, Quando cade l’acrobata, entrano i
clown".
L’aggancio, la trama ?
"Siamo nel 1995: dunque, dieci anni dopo. Siamo in
Sicilia, nella camera di un albergo, con il mare davanti
al balcone e il vento che muove le tende. Una coppia di
notte: lei dorme, lui no. Lui le confessa, per la prima
volta, che il 29 maggio del 1985 non aveva viaggiato per
lavoro, ma era stato all’Heysel. La moglie non lo saprà
mai, perché continua a dormire. Il marito, però, si è
tolto un peso: si vergognava di quella bugia, di quella
impresa bambinesca".
E poi ?
"Il racconto della carneficina, naturalmente. Come
cresce, come esplode. La guerra applicata alla gioia,
perché non penso di essere retorico se dico che la gente
era lì, a Bruxelles, quasi in gita, per trepidare e
godere di uno spettacolo".
Le sue fonti ?
"Ho girato un sacco di siti, ho letto molte carte e
molti libri, come Le verità sull’Heysel di Francesco
Caremani. Ho trovato la storia di una donna che si era
spinta fino al settore Z senza dirlo al marito, un po’
come la mia coppia rovesciata".
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Siamo un Paese che
allena poco la memoria.
"Vero. La nostra è una società bulimica, molto
disturbata, che tende a mettere "pietre sopra" a troppe
cose. L’Heysel ne è l’esempio classico: lo stadio
fatiscente, le famiglie di tifosi italiani con l’abito
buono vicino agli hooligans del Liverpool, colpa di
agenzie senza scrupoli che avevano venduto i biglietti
fregandosene delle mani in cui finivano; l’attesa
febbrile e battuta da un sole cocente; il contrasto con
la partita dei bambini organizzata per distrarre il
pubblico".
Gli hooligans,
d’accordo: ma le raccomando quello che "non" fece la
polizia belga.
"Cinque gendarmi a presidiare la curva maledetta.
Cinque, non uno di più. E, per giunta, con i
walkie-talkie scassati. In pratica, nessuno si oppose al
lancio di oggetti che introdusse le cariche mortali".
E poi la strage.
"Schiacciati contro il muro divisorio. Morti ammazzati
per soffocamento, o perché calpestati da altri
fuggiaschi in cerca di aria, di miracolo. Trentanove
persone. Per una partita di calcio. Ci furono atti di
eroismo grande, eroismo vero, come la morte di Roberto
Lorentini, all’Heysel con il padre Otello. Roberto era
un medico, e mentre stava praticando la respirazione
bocca a bocca a un tifoso atterrato venne a sua volta
travolto dall’onda. I Lorentini sono di Arezzo, e
proprio ad Arezzo sarò con il libro il 29 aprile".
Boniperti non ha mai
rinnegato la coppa dell’Heysel.
"Lo capisco, e capisco la società. Ci tenevano troppo, a
quel trofeo. Ma per me la vera coppa rimane quella vinta
a Roma, ai rigori, contro l’Ajax".
Cosa ha insegnato
l’Heysel ?
"Poco, purtroppo. E comunque, più agli inglesi che a
noi. L’Heysel risale al 1985. Quattro anni dopo, le
nemesi storica avrebbe preso di mira proprio i tifosi
del Liverpool, novantasei dei quali morirono schiacciati
allo stadio di Hillsborough (Sheffield) durante la
semifinale di Coppa d’Inghilterra con il Nottingham
Forest: a partita appena iniziata e a gradinate
strapiene, aprirono di botto i cancelli e si creò un
ingorgo spaventoso, letale".
Da Paparelli a Raciti...
"Oggi gli stadi sono più sorvegliati. La violenza si è
spostata fuori, nelle strade, agli autogrill. Rimane un
quoziente di teppismo che rispecchia l’odio sparato
dalla società".
Domanda fuori tema e
fuori libro: più difficile rifondare il Pd o la Juventus
?
"Servirebbero due imprese... Scherzi a parte: la
Juventus ha perso l’identità. Non sarà facile venirne
fuori. Urge una dose massiccia di competenza. A questo
proposito, mi auguro un impegno più diretto della
famiglia, John Elkann o Andrea Agnelli presidente, con
un vice molto "tecnico". Come ha ribadito il 4-1 del
Fulham, siamo di fronte a un fallimento strutturale.
Ripeto: della struttura, non di un reparto o di un
comparto. Di tutto, di tutti".
Fonte:
Lastampa.it
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