Intervista a
"Impossibile dimenticare l’Heysel"
di Eric Malatesta
29
maggio 1985. Una data funesta per il calcio. Un giorno
in cui questo sport morì per davvero assieme alle sue 39
vittime. Juventus-Liverpool è la finale dell’allora
Coppa dei Campioni che si gioca allo stadio Heysel di
Bruxelles: i bianconeri vogliono portare per la prima
volta nella loro storia quel trofeo a Torino. Tra di
loro c’è anche Massimo Bonini. Il biondo di San Marino è
uno dei tre "stranieri" di una formazione fortissima che
recita: Tacconi, Favero, Cabrini, Bonini, Brio, Scirea,
Briaschi, Tardelli, Rossi, Platini, Boniek. Di fronte i
Reds che schierano gente come Rush, Dalglish e il
portiere para-rigori Grobbelaar, incubo della Roma
appena un anno prima.
Ci sono tutti gli
ingredienti per una partita fantastica. Che però non fu.
Come ricorda lo stesso Bonini, raggiunto in occasione di
una partita di beneficenza svoltasi a Martorano di
Cesena, dove per l’occorrenza è tornato ad indossare la
maglia bianconera del Cesena, lui che in fondo è un
"romagnolo del Titano".
"Quando una persona perde la
vita per una partita di calcio è difficile trovare le
parole - attacca l’ex numero 4 juventino - è stato
qualcosa di terribile che ha sconvolto il mondo del
calcio".
In breve: gli hooligans inglesi, tra cui molti
ubriachi, fanno incursione nel settore Z dello stadio,
caricando la parte più tranquilla del tifo juventino. Ne
scaturisce un fuggi-fuggi generale che porta al crollo
di un muretto di recinzione. Nella ressa, muoiono
soffocati 39 tifosi, di cui 32 italiani.
"Quel giorno - prosegue nel racconto Bonini - poco prima
della partita, eravamo allo stadio Heysel concentrati
sulla gara che poi abbiamo giocato. Io avevo già perso
la finale di Atene contro l’Amburgo, e ci tenevo
tantissimo a vincere quel trofeo. Già quando eravamo
arrivati ci aveva colpito lo stato in cui si trovava lo
stadio. Una struttura fatiscente, che nulla aveva a che
vedere con i criteri per una finale di Coppa dei
Campioni. Poi ci avevano anche detto che durante la
giornata c’erano state delle tensioni tra tifosi nel
centro di Bruxelles, ma nulla immaginavamo di quanto
realmente stesse accadendo. Poi c’è stato il messaggio
all’altoparlante di Scirea e del capitano del Liverpool.
Lì avevamo capito che la situazione era di difficile
gestione a livello di ordine pubblico, ma non sapevamo
di gente che era morta. Nelle vicinanze degli spogliatoi
si susseguivano persone che scendevano a farsi medicare,
dunque sapevamo di feriti, ma mai di tanti morti come
poi fu".
Giocare o non giocare, in tanti si sono
pronunciati sull’argomento. Massimo Bonini la pensa
così...
"Credo che giocare sia stata in ogni caso la scelta più
opportuna. La cosa si sarebbe sicuramente aggravata in
caso contrario. Io, così come i miei compagni, siamo
scesi in campo concentrati per giocare la partita. Non
sapevamo delle proporzioni di quella che sarebbe poi
stata una tragedia. Alla fine abbiamo vinto una coppa
che non sa di nulla per me. E’ stata una vittoria
vanificata da tutto quello che è successo, e io non
posso certo festeggiare una vittoria ottenuta in quel
contesto. Non me la sento".
Per la cronaca la partita viene decisa da un
rigore di Platini per fallo ai danni di Boniek almeno un
metro e mezzo fuori dall’area, mentre l’arbitro svizzero
Daina nega un evidente penalty al Liverpool per
un’entrata di Bonini sull’irlandese Whelan. Il diretto
interessato ammette...
"Il mio fallo da rigore era nettissimo, quello su Boniek
visto dalla mia posizione sembrava altrettanto netto.
C’è stato un lancio lunghissimo di Platini a pescare
Boniek e poi l’ho visto andar giù. Le immagini invece
dicono chiaramente che il fallo era fuori dall’area. Al
di là di questo non penso che l’arbitro abbia voluto di
proposito danneggiare gli inglesi".
Un emozionato Bruno
Pizzul commentò quella gara con tono dimesso e quasi
contro voglia, mentre la tv tedesca si rifiutò
addirittura di trasmetterla. Quella austriaca invece
scelse il silenzio, con le immagini prive di audio che
venivano accompagnate dalla scritta: "quella che state
vedendo non è una partita di calcio". Dopo la tragedia
dell’Heysel, il Liverpool, quasi come per un macabro
gioco del destino, ha subito quella di Sheffield nel
1989, dove in una semifinale di FA Cup contro il
Nottingham Forest, all’Hillsborough morirono schiacciate
contro le recinzioni 96 persone. Di lì in poi però in
Inghilterra si è lavorato duro per risolvere il problema
stadi e hooligans. Niente recinzioni e dure sanzioni per
chi trasgredisce. In Italia siamo ancora lontani. Bonini
la pensa così...
"Da noi mancano gli stadi adeguati, durante Italia 90 si
è persa una grossa occasione per costruire strutture
adeguate e confortevoli. In Inghilterra ci sono
riusciti, mentre in Italia solo la Juve si è attrezzata
in questo senso. Devo dire che anche il Cesena ha fatto
un bel passo togliendo in parte le barriere dal Manuzzi.
E’ già un buon esempio ed è questa la strada da seguire
se vogliamo che la gente e soprattutto le famiglie si
avvicinino al calcio. La cosa più bella per un
calciatore è giocare in questi contesti. Questo sport
non deve più essere territorio di teppisti e violenti.
E’ sulla cultura che bisogna lavorare e questo bisogna
iniziare a farlo nelle scuole e nelle scuole calcio: va
insegnato ad essere migliori non più furbi".
Massimo Bonini ha
vinto quasi tutto: 3 scudetti, una Coppa dei Campioni,
una Coppa delle Coppe, una Coppa Intercontinentale.
Eppure una delle cose che ricorda con più passione è
quello che ha visto con la nazionale sanmarinese.
"Ero in Olanda e lo stadio era pieno di bambini come non
ne avevo mai visti. Sono cose che dovrebbero vedersi
dappertutto. Nel calcio girano troppi interessi e si sta
esagerando, ora dilaga anche il calcio-scommesse".
A proposito di interessi, un ex compagno di
squadra del 53enne sanmarinese, come Michel Platini sta
lottando per il fair-play finanziario. Ai tempi in cui i
due erano in squadra insieme e il francese amava fumare,
Bonini divenne famoso per una nota battuta di "Le Roi":
"L’importante è che non fumi Bonini". L’ex
centrocampista è d’accordo sulla linea tracciata dal
presidente dell’Uefa...
"E’ giusto e Michel fa bene a portare avanti questa
causa. E’ un punto di partenza. Ci sono troppe squadre
che si indebitano per comprarsi giocatori che mai
riuscirebbero ad avere. Si deve ridimensionare un po’
tutto".
Infine un pensiero sul
mestiere di allenatore e il suo ruolo...
"Credo che allenare sia una cosa bellissima e di grande
responsabilità. Il primo compito di un allenatore,
soprattutto a livello di settore giovanile, deve essere
quello di educare. Tutti noi dobbiamo essere di esempio
ai più giovani. Ho fatto 20 anni di giovanili, ora mi
piacerebbe proseguire anche con i grandi".
Fonte:
Eatsport.net
© 29 maggio 2012
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