ESCLUSIVA
Parla un testimone
dell’Heysel: "In quell’inferno la polizia
poi si accanì contro i
tifosi Juve invece di contenere gli inglesi"
Bianconeri Live (Tribuna.com)
ha intervistato in esclusiva Nicola Luigini, tifoso
Juventino di Modena, che ai tempi della tragedia compiva
26 anni. Di seguito il suo racconto in prima persona
dell’incubo consumatosi in quella notte di follia.
Cosa ti portava
all’Heysel per quella finale di Champions ?
"C’era una Juve forte,
speravamo di vincere la Champions League. Eravamo andati
anche a seguire le semifinali, ci credevamo…".
Che cosa è successo
quel giorno ?
"Già nel pomeriggio del giorno
precedente la finale c’erano stati un po’ di tafferugli,
molte attività erano rimaste chiuse. Il giorno del match
però sembrava tutto tranquillo, i pullman ci portarono
allo stadio, una lunga coda all’ingresso, ma nulla di
che. C’era un settore per i tifosi italiani, uno per gli
inglesi. Poi si diffuse la voce che i posti in cui si
consumò la tragedia non dovevano essere venduti agli
inglesi. La divisoria era una rete da giardino, persino
un bambino avrebbe potuto tirarla giù. Appena entrati
sulle gradinate ci rendemmo conto dello stato di
fatiscenza in cui versava lo stadio, una situazione che
non poteva essere considerata normale nemmeno per gli
standard di quegli anni. Il pomeriggio iniziò con una
partitella fra settori giovanili in vista della grande
finale. Già in quelle ore però si vedevano strani
movimenti sul lato della tifoseria inglese e mancava un
vero e proprio cordone di polizia in quella zona: gli
uomini in divisa che c’erano visibilmente non erano in
numero sufficiente per monitorare la situazione. Quando
accadde l’irreparabile, i tifosi inglesi si riversarono
nella zona in cui sedevano tifosi misti che cercavano di
proteggersi. Si vedevano corpi cadere… Nel frattempo gli
ultras della Juve a loro volta erano riusciti a varcare
le barriere e a riversarsi in campo in cerca di una via
di fuga. Molti di noi andarono dalla polizia che stava a
presidiare il settore Juve per dire di andare a dare
manforte ai colleghi poliziotti che non riuscivano a
presidiare la situazione nel settore inglese. In tutta
risposta la polizia caricò i tifosi della Juve. Vidi
gente uscire in barella e a braccia, ma mai avrei
immaginato che ci fossero stati dei morti. Solo dopo mi
resi conti di quanto fosse grave la situazione".
È stato giusto giocare
ugualmente quella partita ?
"So che molti non saranno
d’accordo con quello che sto per dire, ma io credo di
sì. Le persone all’interno dello stadio non si erano
rese conto della gravità dell’accaduto, e in un certo
senso questo fu un bene. Tenendo conto dell’inefficienza
totale delle misure di sicurezza, se la gente fosse
uscita e avesse scoperto che c’erano stati dei morti,
sarebbe scoppiata una guerriglia e i morti avrebbero
potuto essere molti di più. Le violenze si erano estese
anche lontano dallo stadio: io e i miei amici fummo
aggrediti dai tifosi inglesi al rientro in albergo.
Erano sotto l’effetto di alcol, noi riuscimmo a
difenderci, ma eravamo sopraffatti dalla tristezza.
Festeggiammo la vittoria con poca voglia di farlo, solo
tempo dopo ci rendemmo conto che quel rigore non
esisteva e quella giornata, che doveva essere di festa,
non aveva più alcun valore. Non ci facevano nemmeno più
entrare ai ristoranti perché la gente credeva che la
colpa fosse degli italiani: c’era una confusione
generale".
Come fu il rientro ?
"Ci fermammo un giorno in più
per aspettare i feriti dimessi dagli ospedali, in
quell’occasione sentii racconti orrendi da parte delle
vittime rispetto a quello che avevano subito. Per me
nulla fu più lo stesso: non andai più in trasferta, non
seguii più la squadra allo stesso modo. Avrei molte
altre cose da raccontare, ricordi da condividere che si
confondono nella testa, ma forse può già bastare
questo".
Un grazie di cuore a Nicola Luigini da parte
della redazione per la disponibilità e la gentilezza
dimostrati in occasione dell’intervista.
Fonte:
Tribuna.com
© 31 maggio 2019
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