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Tifoso
F.C. Juventus
(Nella Tribuna 2 allo Stadio Heysel il
29.05.1985) |
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30 anni dopo l’Heysel: il ricordo di chi
c’era
di Mattia Roseo
29 maggio 1985, Belgio, città di
Bruxelles, Stadio Heysel, ore 19:20, mancava
poco all’inizio della finale di Champions League
tra Juventus e Liverpool. L’evento sportivo
finisce qui per lasciar spazio alla tragedia,
quando gli hooligans dei Reds cominciano la
carica verso i sostenitori bianconeri nel
settore adiacente.
Quello che accadde poi lo sappiamo tutti quanti,
indifferentemente dalla fede calcistica, ma c’è
una differenza sostanziale tra il sapere e il
capire. Per capire fino in fondo la profondità
di una tragedia del genere bisogna aver vissuto
quei momenti in prima persona ed è proprio con
una testimonianza inedita che vorremmo far
capire a tutti cosa accadde perché, saperlo lo
sappiamo tutti… A parlare è Marco Santucci, 46
enne di Ardea (Roma), impiegato, personal
trainer e allenatore di pallavolo. Tifoso
juventino da sempre ha trasmesso il suo credo
anche alla sua famiglia: il calcio è uno sport e
una passione, mentre per molti altri è solo
odio, rancore, invidia, rabbia e frustrazione da
sfogare. Lui quel 29 maggio 1985 si trovava allo
Stadio Heysel e qui inizia il nostro viaggio nei
suoi ricordi.
Quanti anni avevi all’epoca dei fatti,
con che spirito sei andato alla partita e con
chi ? Eri già un tifoso assiduo frequentatore di
stadi o alle prime esperienze ?
"Ero alle prime esperienze, forse ero stato solo
un paio di volte allo stadio qui a Roma. Avevo
15 anni e partii col cuore che impazziva dall’
emozione. Fu una sorpresa di mio padre:
probabilmente per omaggiare un referente per la
loro attività lavorativa, una piccola compagnia
aerea di Milano gli offrì la possibilità di
andare a Bruxelles con tanto di biglietto per il
match. Partii dopo avere imbarcato un Club di
Forlì non conoscendo nessuno".
Che sensazioni si respiravano in città ?
C’era già aria di tensione ?
"Non direi, anche se gli inglesi avevano preso
possesso del centro cittadino e della Grand
Place in particolare, come loro uso e costume.
E’ una mentalità anglosassone: la sera c’è la
partita, ma di giorno io faccio il padrone a
casa d’altri. Mi ricordo la Grand Place
completamente ricoperta di casse da birra. Loro
saranno stati tra i quindici e i ventimila,
ognuno di loro si sarà bevuto una cassa, puoi
immaginare lo scenario ! Però non c’erano
avvisaglie di incidenti, anche se giravano voci
di vendette da cercare dopo i pestaggi subiti a
Roma l’anno prima nella finale vinta con la
Roma".
Dove ti trovavi nel momento in cui si
consumava la tragedia e come hai vissuto quei
momenti ? Ti sei accorto subito della gravità
della situazione ?
"Eravamo nella tribuna più lontana, non quella
adiacente al settore Z, in pratica fronte
telecamere. Non ci accorgemmo della gravità".
Come, tra voi tifosi, vi spiegavate
quello che stava succedendo e che voci
circolavano ?
"Più che pensare osservavamo: lo sfondamento
degli inglesi, la reazione della curva juventina
dal lato opposto e la tensione che era salita
alle stelle. Che ci fossero stati guai seri era
chiaro, ma io personalmente non ricordo che ci
fosse una presa di coscienza chiara e
dimensionata di ciò".
Secondo te le colpe sono da attribuirsi
di più alla disorganizzazione delle forze
dell’ordine locali o alla violenza
incontrastabile degli hooligans inglesi ?
"Voglio essere molto franco: la colpa per me fu
al 90% della disorganizzazione. Stadio
decrepito, gestione della vendita dei biglietti
assurda, forze dell’ordine inefficienti,
disorganizzate e in numero esiguo. Eppure le
abitudini degli inglesi erano note da almeno
dieci anni in giro per l’Europa. Però, per
assurdo, se avessero trovato di fronte a loro
degli ultras, non ci sarebbe stato neanche un
morto, perché non ci sarebbe stata una fuga
disordinata di gente "normale" verso quel muro
che poi è ceduto".
Come hai accolto la decisione di giocare
comunque nonostante gli organi competenti
fossero ovviamente al corrente dell’accaduto ?
"Come detto, lì per lì non avevo capito. A
posteriori, col senno di poi, anche del Marco
oggi quarantaseienne, secondo me hanno fatto
bene dal loro punto di vista. Guadagnarono,
infatti, due ore per salvare il salvabile in
termini di organizzazione dell’ordine pubblico.
Moralmente, però, è ovvio che hanno fatto
malissimo, costringendo i giocatori ad una
macabra recita".
Una volta abbandonato lo stadio che
scenario ti sei trovato di fronte ? A quel punto
era impossibile non capire cosa fosse accaduto ?
"Voci più precise furono proprio verso l’uscita
che ci raggiunsero. Lo scenario era irreale: con
tutto ciò che era accaduto, per raggiungere i
pullman che ci avrebbero portati all’ aeroporto,
percorrevamo un tragitto completamente mischiati
ai tifosi inglesi. Dopo un centinaio di metri mi
sentii quasi strozzare alla gola perché qualcuno
da dietro aveva afferrato la mia sciarpa
aggredendomi. Reagii a calci e pugni. Non so
neanche dire quanti potevano essere: dieci,
venti, forse di più. In pochi attimi finii a
terra travolto da una valanga di calci. Durò
pochi secondi, mi coprii bene la testa e me la
cavai con un occhio nero. Mi rialzai da solo e
sentii la voce del mio "accompagnatore" che mi
chiamava da arrampicato sopra un albero. Alla
faccia della promessa fatta a mio padre di
badare a me, mettiamoci pure un pizzico di
macabra ironia in questo triste ricordo…".
Cosa hai fatto quando ti sei reso
totalmente conto della tragedia ? Fai parte di
quelle persone che hanno cercato di mettersi in
contatto telefonicamente con l’Italia tramite
l’aiuto di giornalisti/abitanti della zona ?
"No, forse l’incoscienza di un ragazzo di 15
anni non mi fece subito capire l’importanza di
dare mie notizie a casa al più presto. Telefonai
solo all’arrivo in Italia. Mia madre era
distrutta, aveva passato la notte a cercare mie
notizie tramite amicizie "pesanti" in polizia,
ma nulla da fare. Fui un po’ stronzo, in
effetti…".
Come ha cambiato, se l’ha cambiata,
questa tragedia la tua percezione delle cose ?
Vivi il calcio sempre allo stesso modo o
qualcosa in te è cambiato ?
"Io
credo che solo chi ha perso qualcuno o si è
trovato in quell’inferno di settore può avere
subito un trauma tale da non volere neanche più
sentire parlare di calcio. Negli anni ho sempre
seguito con passione la Juventus, anche da
abbonato a Torino, malgrado io viva a Roma.
Sei-sette partite all’anno le faccio sempre in
giro per l’Italia".
Cosa pensi di quelle tifoserie avverse
che spesso e volentieri ancora oggi inneggiano
all’Heysel per schernire gli juventini ?
"Penso sia meglio che non me ne capiti mai uno
tra le mani. Penso che lo hanno fatto
impunemente per troppi anni e in modo troppo
sfacciato, penso che l’odio verso la Juventus e
i suoi tifosi è inverosimile e che lo fomentano
media indecorosi, che pur di vendere una copia
in più perdono la dignità da più di trent’anni".
Pensi che tragedie del genere possano
capitare ancora o ora gli stadi e la sicurezza
sono migliorati ?
"Credo sia impossibile, almeno a livello di
calcio internazionale e nazionale d’élite. La
violenza in termini di scontri tra tifosi è
un’altra cosa, con mille sfaccettature, e molto
presto porterà a conseguenze davvero gravi, è
solo questione di tempo".
Hai una frase o un pensiero da dedicare
a quel giorno e a quelle 39 vittime ?
"Sì: continuerò sempre a difenderne la memoria
non solo dai miserabili che la insultano, ma
anche dai cialtroni che usano e strumentalizzano
quella strage per gettare fango addosso alla
Juventus e per togliersi la soddisfazione di
dire "quella coppa non vale" ! Capito che
ignobili ?! A milioni di finti moralisti non è
mai interessato nulla di quei morti, anzi, a
loro interessa solo screditare e anche di fronte
ai morti sbavano rabbia e odio calcistico,
usandoli persino".
Nel ringraziare ancora Marco per la sua
disponibilità e collaborazione, speriamo con lui
che il ricordo di questa tragedia nel suo
trentesimo anniversario possa essere utile per
porre fine alla strumentalizzazione ai danni dei
caduti e della società Juventus, che si tratti
di discorsi al bar o negli stadi. Nessun dramma
dovrebbe confondersi con lo sport, dall’Heysel a
Superga, impariamo a goderci il tifo in maniera
sana e lasciamo odio e frustrazione fuori dal
calcio per rispettare almeno la memoria di chi
non c’è più.
28 maggio 2015
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