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Figlio
di Amedeo
Spolaore *
* Vittima allo Stadio Heysel il
29.05.1985
(Ferito nel Settore Z allo Stadio Heysel il
29.05.1985) |
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Intervista a Giuseppe Spolaore
(Tratta dal libro "Ho fatto piangere il
Brasile" di Paolo Rossi)
Giuseppe Spolaore era un ragazzino gracile e
introverso quando visse quel dramma che gli
segnò la vita. Per anni non ne ha mai voluto
parlare, troppo grande la ferita, troppo cruda
quella realtà segnata da un dolore lacerante in
ogni poro della pelle, in ogni angolo del cuore.
Tra il cemento rattoppato della curva Z dello
stadio Heysel perse per sempre il padre Amedeo,
e si salvò per caso dopo aver visto la morte
baciarlo in una stretta avviluppante.
Giuseppe, in quei momenti hai pensato
che per te fosse finita ?
"Dopo l'incredulità e il panico di chi si stava
rendendo conto di ciò che stava per accadere mi
sono sentito travolto da quell'onda umana che mi
ha sbattuto lontano e poi risucchiato. Non ho
più visto mio padre, che era accanto a me. Sono
caduto come tanti, schiacciato da una pressione
cosi potente quanto improvvisa. Avevo diverse
persone sopra di me e neanche un briciolo di
forza per dimenarmi, per difendermi. Ero
terribilmente pigiato sotto la folla. Mi
sembrava che il torace fosse prossimo a
scoppiare. Non riuscivo più a respirare e cosi è
stato per un tempo che ora non riesco a
quantificare, ma mi è sembrato lungo.
Lunghissimo. Parrà strano, ma in quei momenti
ero invaso da una grande calma, probabilmente
stavo per svenire, non lo so, era una sensazione
dolce. Si dolce, sicuramente non sgradevole. E
così, in questo modo, mi piace pensare sia morto
mio padre".
Come sei riuscito a cavartela ?
"Non lo so sinceramente. Per motivi che sfuggono
alla mia comprensione, quando ormai avevo perso
ogni speranza, mi sono trovato sopra ad altri e
libero dalla morsa. Steso e stremato ho inalato
forte tutta l'aria che potevo e ho guardato il
cielo. Quel cielo roseo. Avevo già perso le
scarpe e subito una frattura piuttosto brutta.
Sapete una cosa ? Non sentivo alcun dolore".
E poi qual è stata la tua reazione più
immediata ?
"In
qualche modo sono riuscito a rialzarmi in questo
groviglio umano, e devo dire che, purtroppo, mi
sembra di aver calpestato persone su persone pur
di scappare verso il basso, verso una via di
fuga. Sospetto di aver fatto proprio così, non
ricordo bene. Forse l'ho rimosso, certo non ne
vado fiero, ma nello stato in cui ero è stata
una reazione istintiva. Anche se non credo di
aver recato danni agli altri, ero un adolescente
magro, esile e per di più scalzo. Mezzo
rotolando, mezzo strisciando sono arrivato giù,
in basso, dove c'era una rete metallica di
protezione completamente sfondata. Li ho visto
cose che non scorderò mai: cadaveri gonfi e
sanguinanti come fossero stati infilzati da più
lame. Quando sono riuscito ad arrivare in campo
ho cominciato a fare cose strane: camminavo
intontito come un ubriaco che aveva perso la
strada di casa. Girovagavo attorno pur avendo il
femore fratturato e i legamenti fuori posto, ma
era come mi avessero anestetizzato. Guardavo
tutto d'intorno, e ciò che vedevo era
indefinito, le voci, i suoni, i colori, le
immagini. Sinistre sirene d'ambulanza, ronzii
d'elicotteri, i lamenti, le urla. Poi ricordo di
essermi fermato e seduto sull'erba accanto alla
porta di gioco: osservavo fisso quello strano,
improbabile, tappeto umano che copriva una parte
di stadio. Un patchwork di morte".
Hai più visto tuo padre ?
"Devo ammettere che ho vissuto uno stato di
trance, retrospettivamente se penso a come mi
sono comportato non riesco a trovare un filo
logico. Sicuramente ero poco lucido. Ad essere
razionale avrei dovuto guardare, cercare mio
papà, vedere se gli fosse capitato qualcosa,
soccorrerlo. Ma non ero razionale. Sentivo
d'essere impotente, debole, come in un incubo
quando vorresti scappare e senti le gambe legate
al suolo, pesanti come macigni. Strana
sensazione. Intimamente, però, ero certo che lui
se la fosse cavata come me, anzi meglio di me.
Non ho pensato neppure per un attimo che potesse
essere morto. Invece, se ne era andato portando
con sé un mistero. Avevo un'età che proprio
allora mi avrebbe consentito di cominciare a
conoscerlo. Con lui non ho mai parlato da uomo a
uomo: è questo il mio rammarico più grande. L'ho
perso quando stavo per trovarlo".
Che ti viene spontaneo di dire dopo
tanti anni da quel 29 maggio del 1985 ?
"Devo essere sincero. Ho deciso di parlarne
perché probabilmente è giunto il momento di
rivisitare quei momenti, con il sentimento di
chi, ormai uomo maturo, non sa darsi una ragione
per ciò che è successo. Le hanno date gli altri,
ci sono stati processi e tante interpretazioni,
personalmente ho cercato più di rimuovere che di
analizzare. Anche se la prima sensazione che mi
viene in mente è quella di classificare
l'accaduto in qualcosa di molto simile a una
calamità naturale. Si sono intrecciate e
sovrapposte una serie di concause talmente
consequenziali e perverse nel loro succedersi da
rendere tutto follemente dirompente. Sicuramente
gli hoolingans sono stati il fattore scatenante,
ma anche l'assenza di polizia, la struttura
inadeguata dello stadio, le uscite di sicurezza
mancanti, la tipologia di persone che come noi
si trovavano in quel pezzo di curva,
l'organizzazione carente, hanno fatto il resto.
Personalmente non ho più rivisto immagini
televisive, né mi sono documentato leggendo
giornali: avevo già visto abbastanza. Tutto ciò,
forse per autodifesa, forse per l'esigenza di
cancellare in me una cosa più grande di me".
Quanti anni avevi ?
"Avevo quattordici anni e, fatalità, era la
prima volta che andavo allo stadio. Non ero mai
stato un tifoso di quelli sfegatati, anzi avevo
cominciato da poco a seguire il calcio con una
certa passione. Diciamo dal Mondiale dell'82.
Quella squadra mi aveva dato grandi emozioni:
Pablito-Cabrini-Tardelli-Scirea-Zoff... Quasi di
conseguenza sono diventato juventino. Ricordo
che quando perdemmo la finale di Coppa Campioni
ad Atene con l'Amburgo ci rimasi molto male".
Come avete deciso di andare a Bruxelles
?
"Ci tenevo in modo particolare, finalmente quel
trofeo stregato era a portata di mano, una
rivincita dopo la delusione patita nella finale
precedente. Io, quello smacco di Atene, con quel
gol strano da fuori di Magath, l'avevo vissuto
davanti alla televisione. Stavolta un gruppo di
amici di mio padre aveva comprato un pacchetto
comprensivo del volo speciale da Venezia e del
biglietto d'ingresso alla partita presso
un'agenzia di viaggi, mi sembra di Treviso.
Siamo partiti molto presto la mattina da Bassano
del Grappa. Ricordo che mia madre si affacciò
alla finestra e ci salutò. Sarà l'ultima che
vedrà mio padre. Già, e pensare che all'ultimo
momento lui stava per tirarsi indietro: aveva
paura dell'aereo. Pensa te il destino ! Tra
l'altro, dimenticavo, poco prima di imbarcarci
ci dissero che per problemi, non so di che tipo,
il biglietto non sarebbe stato del settore
"distinti", come previsto, ma di curva. Prendere
o lasciare. Figuriamoci, a quel punto, chi
sarebbe rimasto a casa. Io no di certo, potete
immaginare l'emozione, contavo i minuti, le ore
che mi dividevano dall'evento. Curva o non
curva, bastava esserci. Purtroppo".
Ma quando avete cominciato a temere il
peggio ?
"Tutto iniziò circa un'ora prima dell'incontro
con il lancio di oggetti vari da parte dei
tifosi inglesi dai quali ci divideva solo una
rete sottile e instabile, insomma, praticamente
inutile. Di là teppisti, molti dei quali
ubriachi, abituati allo scontro, agli assalti.
Cantavano a squarciagola la loro triste ballata
You'll never walk alone che risuonava minacciosa
come un tribale messaggio di guerra. Di qua noi,
gente normale, famiglie-bambini-persone di una
certa età, gente inerme, mite. E' stato questo
il guaio. Rispetto a noi erano anche abbastanza
distanti, ma quando hanno cominciato ad
attaccare, a spingersi in avanti, a colpire
all'impazzata con le aste delle bandiere, con
lattine di birra, lamette e quant'altro, la
gente si è spaventata ritraendosi a fisarmonica.
Nessuno li ha affrontati a muso duro. In pochi
minuti, quella curva senza vie d'uscita si è
trasformata in una trappola per topi. Terribile.
Devo dire però che nonostante ciò non sono mai
riuscito a provare vero rancore nei confronti
degli hooligans. Sarebbe stato normale
coltivare, forse per anni, forse naturale
durante, l'odio nei confronti di questa gente.
Non c'entra lo spirito cristiano, anche se io lo
sono, o la cultura del perdono. Probabilmente il
fatto di non aver nessun contatto diretto con
loro, nessun faccia a faccia, il fatto di non
averli mai visti negli occhi ha giocato la sua
parte. Non ho provato odio ma solo pena. Provo
pena per loro".
Cosa pensi del fatto che sia stata
disputata egualmente la partita, e del famoso
giro d'onore dei giocatori al termine con la
coppa ?
"Forse non sono la persona più adatta a
rispondere. Ho saputo, solo qualche giorno dopo
che la Juventus aveva vinto. Io mentre giocavano
mi trovavo all'ospedale di Bruxelles. Poi
tornato in Italia non ho più voluto sapere
nulla, mi sono isolato nel mio letto dove sono
rimasto per circa un mese ingessato. Non conosco
motivazioni, giustificazioni o ipotesi. Come ho
già detto avevo visto fin troppo, perciò non ho
letto giornali, né riguardato immagini
televisive di quella sera. Comunque non mi è
piaciuto il fatto che abbiano giocato se è
questo che volete sapere. Non realizzo, mi
risulta inconcepibile: lì, a pochi metri dal
campo, c'erano cadaveri da spostare. Con quale
spirito si può correre dietro a un pallone come
nulla fosse ? Spero oggi ci sia più sensibilità,
voglio credere che l'Heysel i suoi morti, siano
serviti almeno a quello. Almeno".
29 maggio 2009
Fonte:
Anglotedesco.myblog.it
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