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Tifoso Juventus Football Club
(Nel Settore Z allo
Stadio Heysel il 29.05.1985)
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"Erano tutti ubriachi"
"Glielo si vedeva sulle facce
stravolte. Hanno cominciato a scagliare razzi contro di
noi, contro la massa di tifosi bianconeri che se ne
stava tranquilla. Siamo arretrati per evitare il peggio,
e allora - ricorda così, 25 anni dopo la tragedia,
Danilo Tassotti, pasticcere bassanese, 66 anni, che ha
vissuto in prima persona il dramma dell’Heysel - quelli
ne hanno approfittato per abbattere a calci e strattoni
la rete divisoria per invadere il nostro settore di
curva, la maledetta Z. La massa di tifosi del Liverpool
è dilagata mentre noi italiani "ripiegavamo" scendendo
verso il campo. Ed è stato in quel momento che si sono
avuti i morti: gente travolta, calpestata, schiacciata".
Lei come si è salvato
?
"Appena dentro lo stadio, alle
19 circa, ho immediatamente intuito il pericolo: la Z
pullulava di un’orda di ubriachi fradici. Così assieme a
Maurizio Chiurato (un suo collega pasticcere di
Marostica, ndr), mentre molti erano intenti a guardare
la partitina dei baby, ci siamo portati nella zona
destra, verso il muro. In quella zona mi sentivo più
sicuro...".
Ed invece ?
"Ad un certo momento ho visto
quelle belve dilaniare la rete, anzi quella retina, che
separa hoolingans e spettatori italiani. Ho visto gente
terrorizzata correre verso quel muro dove ci siamo
pigiati in centinaia come sardine. A squarciagola, con
tutta la voce che avevo dentro, gridavo: aprite il
cancello, aprite il cancello ! Un’invocazione univoca
che però quei quattro poliziotti, quattro di numero, non
ascoltavano. Evidentemente non avevano captato il
pericolo, la strage... Fortunatamente - continua il suo
racconto Danilo Tassotti - quel muro, fatiscente come
tutto lo stadio Heysel, sotto la spinta di tanta gente
terrorizzata, ha ceduto. Per gran parte di noi, ormai
increduli, è stata la salvezza. Purtroppo per altri si è
rivelato una trappola mortale... Ho camminato sopra i
cadaveri - ricorda 25 anni dopo ancora scosso nel
rinvangare quei momenti in cui ha lottato faccia a
faccia con la morte - trasportato da un’onda umana tanto
che ad un certo momento mi sono ritrovato in campo. Come
sia successo non lo so. So solamente che è stato un
miracolo. Sì, mi sento un miracolato, uno che ha visto
in faccia ed ha parlato con la morte. C’era una giovane
donna proprio sotto di me, che chiedeva disperatamente
aiuto. I suoi occhi gridavano, imploravano. È morta con
me vicino che non potevo far nulla; forse la sua fine è
stata la mia salvezza... - sospira Tassotti a distanza
di tanti anni. Quindi riprende - Io non ho mai creduto
ai miracoli. Da quella maledetta sera però mi sono
ricreduto. Se sono ancora qui a raccontare quello che ho
visto e sentito lo devo solo ad un miracolo. Avevo
feriti e cadaveri tutto attorno, pensavo davvero fosse
giunta la mia rora, ero già in ginocchio quando,
questione di un attimo, la pressione si è allentata: un
guizzo, quello della disperazione, e mi sono salvato.
Solo una volta catapultato sull’erba mi sono reso conto
di essere vivo. Tutto attorno a me, invece, c’era
l’inferno: morti, feriti, tantissimi, e caos. I cadaveri
ed i feriti più gravi venivano portati fuori adagiati su
delle transenne, come bestiame".
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In quel momento il
pensiero di Danilo Tassotti, lui arrivato a Bruxelles
nel pomeriggio di quel mercoledì 29 maggio 1985 con un
viaggio aereo partito da Villafranca alle ore 11
organizzato dall’agenzia viaggi "La Scacchiera" di
Marostica, di cui oltre al titolare Vittorio Bezzon, lui
e Chiurato, Bruno Parise, Silvia Marchetti, Laura Pozza,
Giovanni Costacurta, Antonio Lunardon, è immediatamente
corso a quegli amici bassanesi che aveva incontrato
nell’immediata vigilia della partita. Fra di loro
c’erano anche Mario Ronchi ed Amedeo Spolaore, due
bassanesi fra le vittime dell’Heysel.
"Guardando choccato fra tanta
confusione, tra urla di disperazione dei feriti e le
invocazioni dei moltissimi alla ricerca di un amico o di
un proprio caro - puntualizza - il mio sguardo s’imbatte
su Mario Ronchi. L’ho immediatamente riconosciuto dal
maglione a rombi colorati che indossava e che gli
ricopriva il volto. I colori sgargianti di quel maglione
mi erano rimasti impressi sin dalla mattinata quando
avevamo fatto le foto di gruppo in centro a Bruxelles,
ma soprattutto perché entrando in quel maledetto stadio
per la partita era scivolato dalle spalle di Mario
Ronchi finendo per terra; glielo raccolsi io che lo
seguivo. Mi ringraziò con un sorriso, Mario Ronchi.
Immaginarsi - prosegue - quando l’ho visto adagiato su
quella transenna. Mi sono precipitato verso quella
improvvisata portantina per soccorrerlo: respirava
ancora. Ma quando stavo per liberargli la faccia dal
pullover un poliziotto, dopo avermi gridato "via, via",
mi assestò una manganellata nella nuca. Per qualche
momento persi i sensi. Quando mi ripresi la barella di
Mario Ronchi era sparita. Forse poteva essere
salvato...".
Quindi un ricordo
inedito di quella terrificante avventura che Danilo
Tassotti ha sempre tenuto per sé...
"Verso le 16.30 ero davanti
allo stadio. Ho incontrato allora tanti amici di Bassano
arrivati in Belgio con ogni mezzo. Ci siamo stretti in
attesa che aprissero i cancelli per poter entrare. Mario
Ronchi non se la sentiva di assistere alla partita. Ha
tentennato a lungo prima di prendere la porta d’ingresso
varcata solo alle 18.30. Forse presagiva quello che gli
sarebbe successo. Fra l’altro rammento come se fosse
adesso che Mario, entrando all’Heysel, mi fece una
confidenza: entriamo per ultimi così, in caso di
incidenti, riusciamo a raggiungere più in fretta
l’uscita".
Solo tragica fatalità
?
"Non solo. Fuori dello stadio
ma soprattutto durante la vigilia in centro città, dove
gli hooligans ubriachi fradici avevano infranto vetrine
e divelto le serrande di negozi ed esercizi pubblici,
c’erano state delle avvisaglie. Ma chi poteva immaginare
che degli esseri umani perdessero il senno dando vita ad
una carneficina del genere ?".
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Danilo Tassotti quindi
ritorna alla drammaticità di quei momenti che lo hanno
visto suo malgrado involontario protagonista.
"Mentre vagavo per il campo
come un automa - racconta con gli occhi lucidi ed un
groppo alla gola Danilo Tassotti - incrocio Giampietro
Bonamigo, un altro bassanese, che sta setacciando il
campo alla ricerca di suo figlio Mario. Disperato, mi
chiede: "Hai visto Mario ?". "Sì, gli rispondo, una
manciata di minuti fa l’ho intravvisto vivo e sano
dall’altra parte del campo. Sono sicuro che era lui -
insisto mentre Giampietro mi guarda credendo che
mentissi per tranquillizzarlo - aveva un grande cappello
nero. Per il genitore era la prova della verità che si
trattava veramente di Mario. Giampietro mi abbraccia e
scoppia in un pianto liberatorio... A quel punto, sempre
più intontito, mentre gli altoparlanti dell’Heysel
annunciano che la partita si giocherà non appena sarà
sgomberato il terreno di gioco, incurante
dell’avvenimento sportivo, esausto, in preda ad una
crisi di pianto, mi avvio all’esterno dello stadio. Dove
andare ? Cosa fare ? Girovago un po’ di qua, un po’ di
là. Cerco un telefono, lo trovo, ma non riesco a
comunicare a casa, a dire ai miei che ero vivo ma
soprattutto sano. (Sarà Vanni Bonotto l’unico del nostro
gruppo che riuscirà a mettersi in contatto con l’Italia
e dire ai suoi familiari di avvisare le nostre famiglie,
ndr). Quindi prendo una decisione: mi dirigo al pullman
che ci aveva condotto dall’aeroporto allo stadio in
quello stesso tragico pomeriggio. Lì, in preda
all’angoscia, attendo il resto del gruppo che arriva
alla spicciolata mentre rimbalzano cifre catastrofiche
che sanno tanto di tragedia. La strada verso
l’aeroporto, dove arriviamo poco dopo le due di notte,
sembra quella che conduce al cimitero. Sul torpedone
solo qualche bisbiglio ed i singhiozzi rompevano l’aria
funerea di chi sa di avere rischiato la vita per una
partita di calcio. Solo sull’aereo che ci riporta in
Italia ci accorgiamo che ci sono dei posti vuoti: sono
quelli dei morti e dei feriti. Assurdo...".
Un ricordo indelebile.
"Quando si esce dal finimondo
non puoi dimenticare mai e poi mai quello che hai visto.
Impossibile".
Quanto ci ha messo a
ritornare alla normalità ?
"Molti anni. Anche se dopo
aver lasciato, miracolato, quell’inferno mi sono buttato
capofitto nel lavoro nella mia pasticceria a S. Giuseppe
di Cassola. Ma per giorni e giorni restavo in piedi come
un automa a rinvangare quelle immagini".
Ha più messo piede in
uno stadio ?
"Dopo svariati anni ho rotto
il ghiaccio entrando al "Menti" per una partita di serie
C del Vicenza. Remore ? Sì, tante da non essere più
riuscito ad assistere ad una partita di cartello".
Fonte: Il
Gazzettino
© 29 Maggio 2010
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