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Padre
di Alberto Guarini
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* Vittima allo Stadio Heysel il
29.05.1985
(Ferito nel Settore Z allo Stadio Heysel il
29.05.1985) |
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Intervista di The Guardian al padre
di Alberto Guarini vittima all'Heysel
L'orrore dell'Heysel impresso nella
mente
di
Ed Vulliamy
2/04/2005. La primavera del 1985 coincise
anche con la stagione più bella della vita di Alberto Guarini. Il
suo 21° compleanno era passato da una settimana, aveva da poco vinto
un torneo locale di tennis doppio insieme a sua sorella Paola ed
era molto innamorato di Stefania, la sua ragazza (iniziavano a pensare
al matrimonio) che lo aveva anche seguito a Bari, all'università.
Lui studia Odontoiatria e ha da poco superato i suoi esami. A coronare
il tutto la sua squadra del cuore, la grande Juventus, che è arrivata
in finale di Coppa dei Campioni dove sfiderà il forte Liverpool,
squadra che Alberto rispetta e ammira. Suo padre Bruno ha promesso
un regalo come ricompensa del superamento degli esami, qualsiasi
regalo, e nei suoi pensieri Alberto non ha dubbi: padre e figlio
in viaggio insieme, dalla piccola città di Mesagne, in Puglia, nel
Sud Italia, alla volta di Bruxelles per vedere la partita. Il fatidico
giorno sarebbe stato l'ultimo della vita di Alberto, e di altri
38 non molto diversi da lui, alcuni giovani, in gran parte adulti.
La terza, letale carica delle bande di sostenitori ubriachi del
Liverpool attraverso le gradinate dell'Heysel Stadium fino ai terrorizzati
e fuggiaschi italiani,
intrappola Alberto e suo padre contro le recinzioni e il muro ai
limiti del loro settore. "Quando i tifosi inglesi si precipitarono
verso di noi, Alberto rimase fermo" ricorda Bruno Guarini. "Lui
gridò: "Non so se andare sopra o sotto". Io gli urlai di andare
sotto. Le sue ultime parole furono: "Papà, mi stanno schiacciando
!" Ricordo ancora tutto, proprio come un film che arriva alle scene
finali, quando la pellicola finisce e non vedi più nulla. Invece
io di notte, a volte, mi sveglio di soprassalto e vedo di nuovo
tutto". Il film si ferma perché Bruno Guarini, seriamente ferito,
perde conoscenza. Quando si risvegliò, ricominciò l'incubo: "La
Croce Rossa era arrivata. Io ero ferito e contuso un po' dappertutto.
Insistevo con loro per cercare Alberto prima di essere portato via,
anche a costo eventualmente di ritrovarlo morto, come effettivamente
accadde. La Croce Rossa cercava di portarmi via ma io non potevo
lasciare quel posto. Semplicemente misi la sua carta d'identità
nella tasca, quindi mi condussero in ospedale. C'eravamo precipitati
insieme a Bruxelles cantando sull'aereo. E al ritorno me ne venivo
con il corpo di mio figlio". E' strano, alla vigilia del prossimo
martedì, giorno di un surreale ed emotivo incontro all' Anfield
Road, camminare per le belle strade barocche del centro storico
di Mesagne insieme a Bruno e ricordare a me stesso che ho visto,
da lontano sebbene non in dettaglio, la morte del suo figlio e di
38 altri nel fatale blocco Z dell'Heysel. Ero vicino alla linea
di centrocampo, al di sopra del macello. Questa era la posizione
per la quale Guarini aveva richiesto (e aveva promesso) i biglietti,
e nella quale il suo figlio avrebbe avuto la vita salva, se solo
i loro posti non fossero stati spostati all'ultimo minuto dall'agenzia
di viaggi che li aveva fatti arrivare in volo da Brindisi. E' strano
ricordare l'incubo di quel giorno e di quella notte: il tappeto
di cocci di bottiglie di birra rotte e lattine nel centro di Bruxelles
e tutt'intorno allo stadio; quelle tre cariche verso il piccolo
gruppo di tifosi italiani, il cui gruppo principale si trovava all'estremità
opposta del terreno (e la terza delle quali attraverso la gradinata
scoperta in mezzo alla folla in fuga), ed il fatale crollo del muro,
corpi rotolanti verso il basso, e i furiosi canti di battaglia che
ci furono dopo tra gli inglesi. Ho incontrato per la prima volta
Bruno Guarini 15 anni fa. In quel periodo, cinque anni dopo l'incidente,
niente era stato spostato dalla stanza di Alberto. Posato a lato
del suo letto un giornale della Juventus; appesi nell'armadio i
suoi abiti e lo zainetto bianconero nel quale si trovava il pranzo
al sacco preparato per quel giorno, e che tornò insieme al suo corpo
a casa. Ora quella parte di casa Guarini è per lo più chiusa, ma
i trofei di Alberto rimangono, allineati in fila, e riconducibili
ai suoi successi nei tornei di calcetto e tennis. I muri della sua
stanza da letto ora sono ricoperti da fotografie, dei suoi sorrisi,
delle sue speranze e della sua bella gioventù. "Tutti dicono che
il tempo sana le ferite" riflette Guarini ora. "Ma il tempo non
ha fatto niente. Tutto quanto rimane davanti ai miei occhi come
se fosse successo ieri. Posso ancora sentire la sua voce. Posso
ancora vedere il suo sguardo. Per tutti quanti voi, anche per i
tifosi, il tempo passa. Ma per un padre che ha perso il suo figlio,
tutto rimane dentro e niente si cancella". I cambiamenti invece
consistono nel matrimonio della sorella di Alberto, Paola, che tra
l'altro vive nella casa accanto, e che ha avuto un figlio, Gabriele,
che ora ha due anni. "E' la mia gioia" dice il nonno. Un piccolo
Alberto ? "Naturalmente !" Per quanto riguarda la partita di martedì,
Guarini ha deciso di vederla. "Lo farò per Alberto. Sarà come averlo
al mio fianco seduto. In fondo è quello che avrebbe voluto lui".
Mesagne è uno
dei tipici paesi che si trovano per l'Italia centrale e meridionale,
dai quali provenivano parecchi di quei tifosi che si trovavano nel
Blocco Z, quelli impossibilitati ad avere un biglietto per il settore
più adatto dello stadio, è un luogo ricco di qualsiasi mezzo, si
trova su una bassa pianura dalla terra profondamente rossa che si
estende all'interno partire dal porto di Brindisi, nel cosiddetto
"tacco" d'Italia. Molti abitanti della zona lavorano nei terreni
circostanti; e poi sono presenti poche industrie di trasformazione
del pomodoro in salsa, nonché confezionamento di olive e carciofi.
Qui Bruno Guarini viveva e diventava un fanatico tifoso della Juventus,
con uno zelo ereditato da suo figlio. Bruno lavorava come informatore
scientifico per una casa farmaceutica, Alberto optava per odontoiatria,
mentre Paola faceva pratica come farmacista. A Paola era stato richiesto
di garantire la registrazione della partita in videocassetta per
quel giorno. Alberto non era mai stato così eccitato; chiamava ripetutamente
da Bari per assicurarsi che il padre avesse scelto dei posti buoni.
"E naturalmente Alberto conosceva il Liverpool" dice Guarini. "Erano
famosi ovviamente, una squadra meravigliosa, e noi presumevamo che
i suoi tifosi fossero come noi, semplicemente persone matte per
il calcio". Alberto conosceva l'Inghilterra, c’era stato ben tre
volte grazie a dei viaggi studio per conoscere la lingua, a Londra,
e si era sempre trovato bene lì. Sua madre Lucia comunque era nervosa
prima della partenza per Bruxelles, "non per via degli hooligans,
solo perché
dovevano andare così lontano". Alberto e Bruno presero l'aereo:
"Era come un festival, bandiere e canti". Paola programmava il videoregistratore
e accendeva la tv. I reportage e servizi riferivano di guai nella
folla; Lucia spense il televisore. "Arrivammo presto allo stadio
e vedemmo gli inglesi ubriachi e già fuori di testa, tutti a torso
nudo nella calura" dice Guarini. "Allora dissi ad Alberto: Spostiamoci
il più lontano possibile da loro, mettiamoci vicino al muro". Fu
la peggiore decisione possibile, da lì non c'erano vie di fuga.
"Sì - dice - "conosco tutte le giustificazioni. Era un pessimo stadio
e ancora non riesco a credere come abbia potuto l' UEFA sceglierlo
come luogo per la finale tra due delle più
forti squadre d'Europa,
ciascuna con migliaia di tifosi al seguito. Così come non riesco
a capacitarmi di come abbiano permesso la vendita di biglietti per
la stessa curva sia agli inglesi che a noi italiani, quando gli
juventini (compresi gli elementi peggiori) si trovavano nella curva
opposta. E la polizia poi: semplicemente inesistente. Non esistevano
protezioni, nessuna linea per separarci Ma la mancanza di provvedimenti
adeguati giustifica quello che è successo ? Può questo giustificare
l'assassino di tante persone ? Hanno chiamato questa una tragedia
come un terremoto o un disastro naturale, ma non è stata una tragedia
come si dice, è stata una carneficina". "Per 50 anni," dice Guarini,
"ho pensato all' Inghilterra come ad un paese civilizzato. Un popolo
civile. Ma quello che mi ha fatto male è che non abbiamo sentito
mai nulla dalla società del Liverpool o dei suoi sostenitori, non
una scusa o un gesto di solidarietà, niente, come se non avessero
fatto niente di sbagliato". Qualunque sentimento ci sia o meno nel
Merseyside ora (la contea in cui si trova Liverpool, N.D.R.) - soprattutto
dopo l'orrore di Hillsborough (un'altra tragedia calcistica avvenuta
nel 1989 con 96 vittime) - il ricordo di Alberto è ancora vivo a
Mesagne. Qui esiste la Fondazione Alberto Guarini, (gestita da Gino
Sconosciuto, un impiegato di banca), che per molti anni ha finanziato
gli studi presso la facoltà di Odontoiatria all'Università di Bari,
a studenti locali altrimenti economicamente non in grado di mantenersi.
Recentemente la Fondazione ha deciso di finanziare un posto all'Università
di Lecce in modo da avere voce in capitolo nelle ricerche e scavi
nel sottosuolo di Mesagne, volti a chiarire la storia della civiltà
pre-romana dei Messapi, una popolazione che abitava la regione a
partire dal 18° secolo a.C. Inoltre, il campo da tennis in cui Alberto
e sua sorella erano soliti giocare è ora chiamato "Campo Alberto
Guarini" e ogni anno a Mesagne la fondazione organizza tornei di
tennis e calcio, con i trofei che portano il nome di Alberto. Il
cimitero di Mesagne si trova adiacente al centro della città. Qui
le tombe di famiglia sono disposte come edifici in miniatura lungo
una rete di piccole strade. Quella della famiglia Guarini è di pietra,
rivestita all'interno di marmo bianco. Il loculo di Alberto è situato
più in basso rispetto a quello dei suoi nonni, entrambi i quali
gli sono sopravvissuti. Su di esso vi è una fotografia, l'ultima
che lo ritrae, insieme alla sua fidanzata Stefania, abbracciati,
che sorridono. Di seguito c’è la lettera greca Alpha accanto alla
sua data di nascita e Omega accanto alla data 29.5.85. "Questa è
la mia seconda casa", spiega Guarini, indicando il posto vuoto al
di sotto di Alberto , "e mi attende". I fiori vengono sostituiti
due volte a settimana. Guarini contempla l’immagine di suo figlio
con gli occhi che si accendono in un barlume di animazione; un lontano,
straziato sguardo. Al di fuori, gocce di pioggia sbattono pesantemente
contro il ferro battuto. Quindici anni fa Guarini aveva avvicinato
il suo indice alle tempie e detto: "Heysel, questo mondo mi farà
impazzire". Ora, qui, egli riflette: "Penso per tutto il tempo se
solo esso mi avesse dato un altro dono. Se solo l'aereo non fosse
decollato a causa di cattive condizioni meteorologiche. Se solo...".
E ripete: "Per un padre avere un figlio e guardarlo morire è il
più grande dolore. Ma per perdere il figlio in questo modo, ucciso
da quella gente, è al di là del dolore. E’ qualcosa che il tempo
non può guarire, nemmeno 20 lunghi anni, e ti lascia la morte nel
cuore".
(Traduzione
di Francesco Arnò)
2 aprile 2005
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