110 e lode alla
Memoria
L'Heysel,
la Juventus ed il suo nuovo stadio in una eccellente
tesi di laurea in giornalismo di Giacomo Aricò per la
quale intervista Guido Vaciago, Bruno Pizzul, Michele
Uva, Carlo Laudisa, Carlo Nesti, Domenico Laudadio,
Mario Sconcerti, Francesco Caremani, Darwin Pastorin,
Italo Cucci, Emilio Targia, Roberto Perrone, sul tema
della memoria e del lutto legati ai fatti tragici della
strage di Bruxelles del 29 maggio 1985.
Fonte:
Saladellamemoriaheysel.it
© 18 aprile 2011
Fotografie: Giacomo
Aricò ©
Icona: Itcleanpng.com ©
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Juventus, dalla Z
all'Arena la memoria del futuro
di Giacomo Aricò
La
triste vicenda dell’Heysel ha segnato in modo indelebile
gli animi di chi vedeva nel calcio e nello sport un
momento di felicità, di sogno. Di sogno condiviso, con
senso di appartenenza, per dei colori, per una maglia.
Il tifo è una questione di cuore, di passione. Quella
notte, non la prima e non purtroppo l’ultima di giornate
di follia, è stato un violento colpo al cuore... Un
colpo da ko che parte inaspettato, nemmeno sul ring. Le
aspettative tradite, la realtà che sembra un incubo, da
cui però non ci si può svegliare. Forse una botta così
tremenda che non permetteva di rialzarsi subito. Perché
chi è caduto senza più rialzarsi è un insulto all’anima
e alla mente per chi credeva allo spirito sportivo, e
ancor prima alle regole di civiltà. Regole costruite
nella Storia, nei secoli di guerre e battaglie, di
morti. A questi strappi non corrispondono risposte
meccaniche, immediate. Il lutto, il dolore e la
sofferenza vanno rielaborate. Ci sono risposte inconsce,
diversi percorsi di uscita, ognuno segue la sua strada.
La voglia è quella di dimenticare, di bruciare la
fotografia del pensiero brutto. Ma non è quella la
soluzione, non è quella la via d’uscita. Perché prima o
poi, con il tempo necessario a lenire le ferite, occorre
tornarci sopra. Come un risveglio della coscienza,
mettere le cose a posto, fare pace. Non rimuovere ma
elaborare, non voltarsi ma capire, non chiudere gli
occhi ma aprirli. La venticinquesima ricorrenza, un
quarto di secolo dopo, offre la possibilità di fare
qualcosa in più. Più forte perché è stato troppo debole
prima. Ma al di là della forma, della qualità di una
manifestazione di commemorazione, conta la sua oggettiva
esistenza. Basta un segno, una traccia che accenda il
ricordo. Verso la direzione giusta, quella della
lezione. Una lezione da imparare, da insegnare. E allora
poi non occorrerà più ricordare, ma riconoscere. Il
ricordo nasce da uno sforzo, un recupero di elementi,
occorre trovare i singoli pezzetti di un puzzle da
comporre. Comporta un lavoro introspettivo difficile,
mettersi davanti allo specchio e parlare con noi stessi.
Senza nascondere alcun dettaglio per poter vedere la
forma finale. Credo che il disegno sia stato completato
lo scorso 29 maggio 2010. Ora si tratta di riconoscere
che dopo aver fatto il passo indietro adesso bisogna
farne due avanti. Il riconoscimento dell’Heysel, e non
più il ricordo, permette di avere bene in mente quelli
che sono gli obiettivi del calcio del futuro. La curva Z
deve essere un’immagine ben fissa nella testa con la
scritta "mai più". E tutti dobbiamo averla in mente. Da
chi uno stadio lo progetta e lo costruisce, a chi poi ci
entra come spettatore e tifoso. Anche da chi la partita
la organizza e anche da chi la gioca e da chi la
commenta. Tutti. Perché fare un percorso dalla A alla Z
indica completezza, interezza. Andare dalla Z alla A è
il passo successivo, quello dalla fine all’inizio, un
nuovo inizio. Dal punto più basso a quello più alto,
dall’inferno alla speranza. Dalla Z, l’ultima curva,
all’Arena, il luogo in cui si può imparare ogni giorno
come a scuola, in cui osservare le stelle e ricominciare
a sognare. Il luogo in cui tornare a credere e
innamorarsi perdutamente del pallone, dello sport, della
vita.
Fonte:
Tesi
di Laurea in Scienze della Comunicazione di Giacomo
Aricò
© 18 aprile 2011 (NdR:
copyright giacomo.arico01@universitadipavia.it)
Fotografie: Giacomo
Aricò
©
Icona: Itcleanpng.com ©
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Intervista esclusiva
di Giacomo Aricò a Domenico Laudadio
"Juventus: dalla Z alla Arena"
Intervista per la stesura della sua tesi di
laurea all' ideatore e custode del museo virtuale
multimediale dedicato alle 39 vittime dello stadio
Heysel di Bruxelles.
Giacomo Aricò: La memoria è un atto etico, un
legame che ci unisce ai morti. C’è il pericolo di
attribuire troppo valore alla memoria e poco al pensiero
?
Domenico
Laudadio: "La memoria nel nostro paese spesso è come un
involucro di plastica, svuotato della spontaneità e del
sentimento, osservata come un precetto da chi vuole
lavarsi la coscienza di perbenista ipocrita, avulsa
acriticamente dal giudizio impietoso della storia. Come
se davvero la morte cancelli le responsabilità dei
carnefici assieme alla presenza fisica delle loro
vittime. Assistiamo tante volte durante l'anno a
cerimoniali spenti, a fredde recite di parole
disincantate. Mi viene in mente, ad esempio, la giornata
del 25 Aprile che divide gli italiani, anziché riunirli,
nel rispetto delle ragioni storiche, da vincitori e
vinti. Il ricordo serve più ai vivi che ai morti. In
questa visione tutt'altro che passivamente vittimistica
si colloca il mio personale modo di celebrare la
memoria, una palestra per i pensieri coraggiosi, non il
loro annichilimento di fronte al dolore rivisitato con
slogan scimmiottati dai media, privandola della verità
dei fatti. I pensieri sull'Heysel, a circa ventisei anni
dalla tragedia, non leniscono la rabbia verso i
responsabili della strage, non restituiscono i loro cari
ai familiari delle vittime, ma dovrebbero coagularsi in
un sentimento comune, all'interno di un luogo fisico,
una sala della memoria nel nuovo stadio di Torino, come
accade nel mio sito museo virtuale multimediale. In
questo modo la memoria è la madre dei pensieri attivi
che nutriranno la verità nella testimonianza ai
posteri".
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Giacomo Aricò: Sei
d’accordo con quanto afferma Susan Sontang in "Davanti
al dolore degli altri" sul fatto che il problema non è
che ricordiamo grazie alle fotografie ma che ricordiamo
solo quelle ? Il ricordo attraverso la fotografia può
eclissare altre forme di comprensione e di ricordo ?
Domenico Laudadio: "Penso che
siamo dal primo vagito abili fotografi della realtà
circostante. Le fotografie che ci portiamo dentro sono
leve del motore delle emozioni. Ho fatto teatro per
dieci anni. Conosco le potenzialità evocative delle voci
dell'anima... Le fotografie sono attimi di vita
imbalsamati, le muoviamo noi nella immaginazione
esattamente come un attore rigurgita il personaggio
sulla scena, facendo verità nella finzione. In realtà
certe fotografie sono come le icone religiose, possono
dire tutto e il contrario di tutto, è una questione di
fede. La memoria delle cose s'incarna nei lineamenti
delle immagini, vive nello sciame delle nostre passioni
consce ed inconsce, nel turbinio che le ammanta di
simboli".
Giacomo Aricò: Nel libro di Emilio Targia
racconti quella tua esultanza dopo la partita, istintiva
e rabbiosa: "aggiunse vergogna alla vergogna". Eri però
un tifoso. Cosa ne pensi delle esultanze dei giocatori ?
Quanto è credibile spiegare certe esultanze, giocatori e
tifosi, come espressioni di disperazione e rabbia
profonda ?
Domenico Laudadio: "Penso sia
l'unica vera macchia indelebile della storia della
Juventus. Non li condanno per il dopo partita perché
credo abbiano vissuto, in una sorta di trance collettiva
assieme ai loro tifosi, una situazione paradossale nella
quale la vita e la morte si contraddicevano a vicenda,
autogiustificandosi. Trovo molto più vergognoso aver
alzato il trofeo all'aeroporto di Caselle, la mattina
dopo, un pugno al cuore per i familiari delle vittime.
Non credo ci possano essere giustificazioni per questo
da parte della Juventus. La vergogna è un dato,
inconfutabile, la memoria affettiva verso le vittime ed
i loro familiari la sublimi. Io chiedo perdono alle
vittime ed ai loro familiari attraverso il mio sito
soprattutto da juventino".
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Giacomo Aricò: Dopo
anni di silenzi e di commemorazioni molto formali quasi
obbligate esclusivamente dal calendario, la Juventus
costruisce il suo stadio e all’interno dedica un luogo (Blanc
parla di un monumento) alle vittime dell’Heysel. Nemmeno
nel sito ufficiale c’è uno spazio ben visibile (solo una
sottosezione in "Storia" che comunque carica un file
esterno in cui c’è giusto l’elenco dei morti e la frase
"La Juventus e i tifosi non dimenticheranno mai").
Quanto è importante che la Juventus ricordi questo fatto
nella sua nuova "casa", rendendolo parte portante delle
proprie mura accendendo il ricordo ogni giorno (tenendo
conto che sarà uno stadio che "vive" sette giorni su
sette) ?
Domenico Laudadio: "E' un atto
dovuto, colpevolmente tardivo, ma tengo a precisare che
i migliori in campo in tutti questi anni sono stati
soltanto gli Ultras della Juventus e pochissimi altri.
La loro memoria è stata sempre puntuale e sinceramente
affettuosa. La maggior parte di essi rinnegano quel
trofeo e mi sono stati sempre vicini e solidali nella
costruzione del sito, fornendomi reperti,
ringraziandomi, pur non militando in gruppi del loro
tifo organizzato. La Juventus Football Club, invece, mi
ha sempre snobbato, mai mi ha degnato di una lettera di
risposta formale alla mia ripetuta proposta di
intitolare una sala della memoria all'interno della
nuova struttura di Torino. Nessuno dei tre Presidenti
che si sono succeduti dal 2006 ad oggi. Nessuno degli
addetti alla comunicazione. Trovo questo atteggiamento
nei miei confronti una mancanza del proverbiale "stile"
e più concretamente di buona educazione, ma è
praticamente nulla rispetto all'indifferenza verso le
famiglie delle vittime dei decenni trascorsi. Io vorrei
che il monumento ai caduti fosse vivo, non di bronzo. E'
un fatto di cuore, non di materia".
Giacomo Aricò: Il tema
della stella regna nel nuovo impianto: 50
campioni-stelle della Juve e le stelline riservate ai
tifosi. Sembra che la Juventus dopo Calciopoli voglia
ricordare il passato per scrivere il futuro e farlo
insieme ai suoi tifosi, sempre più stakeholder attivi
nella crescita (anche e soprattutto economica) della
società. Fare un passo indietro per farne due avanti. Il
ricordo dell’Heysel, dopo 26 anni, come si può leggere ?
Una sconfitta o una vittoria ? Vale la frase "non è mai
troppo tardi" ? Trovi che sia un tentativo per pulirsi
un po’ la coscienza ?
Domenico Laudadio: "La memoria
non è mai una sconfitta, anche se postuma, ed è la
vittoria di tutti, vincitori e vinti, vittime e
carnefici che possono espiare la colpa solo attraverso
il riconoscimento del proprio misfatto nel ricordo.
Apprezzo molto la volontà della nuova dirigenza ed in
particolare del Dottor Andrea Agnelli di rielaborare
finalmente in un modo visibile il lutto della società
per i caduti. Resta amaro, ad ogni modo, il disappunto
per le omissioni societarie dei decenni precedenti".
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Giacomo Aricò: L’Heysel, su
cui si è scritto e parlato molto, è un simbolo, una
lezione. Qual era e quale può essere ancora oggi la
forma e il modo giusto per ricordarlo e per insegnarlo
alle generazioni future ? Un monumento pubblico ha una
forma e un significato maggiore rispetto alla lapide
nascosta e più intima fatta mettere da Boniperti nel
cortile interno della sede della società ?
Domenico Laudadio: "L'Heysel è
un fatto storico unico nel suo genere. Non il primo caso
in cui si muore di calca in uno stadio. Ma è la prima ed
unica volta in cui si assiste ad una serie di cariche
armate di tipo militare su spettatori avversari inermi,
indisturbate dall'impreparazione non solo tattica, ma
mentale della polizia belga. Un'aggressione omicida dal
sapore etnico e barbarico che non è paragonabile a
nessuno scontro fra ultrà avversari dentro e fuori gli
stadi. Il monumento è un'opera d'arte, l'Heysel ha
bisogno di spazio nel cuore di un giovane che si accosta
allo sport. L'idea di una sala museo nel nuovo stadio
potrebbe didascalicamente fornire un corredo di nozioni
ed emozioni maggiormente consoni alla dignità di questa
dolorosa memoria rispetto ad un pachiderma di pietra o
di ferro. Non è tanto una questione di visibilità, ma di
profondità del messaggio contro la violenza nello sport
di ogni ordine e grado".
Giacomo Aricò: Provando a fantasticare, come la faresti
tu la "Sala della memoria" nel nuovo stadio ? Quale
significato avrebbe, quale valore, quale simbolo
dovrebbe rappresentare ?
Domenico Laudadio: "Immagino
un salone molto ampio, semibuio, in sottofondo l'audio
della diretta del pre-partita di Bruno Pizzul, un enorme
schermo panoramico su cui proiettare le immagini
dell'evento, un corredo multimediale di fotografie ed
articoli di stampa sui muri perimetrali ed una grande
bacheca a forma di numero trentanove con cimeli e
reperti della partita. Un museo della memoria a tutti
gli effetti. Sarebbe fortemente simbolico porre il
monumento commemorativo al centro di questa sala,
circondato in un fossato, ove deporre fiori, dalle foto
dei trentanove "angeli". Riposta in una cassetta di
legno, imballata così come era stata consegnata
furtivamente alla Juventus negli spogliatoi, la Coppa
dei Campioni ai suoi piedi. Si potrebbe rimettere le
cose a posto moralmente. Quella coppa ai piedi di chi è
morto innocentemente senza poterla festeggiare e nel
legno di una cassa come le bare che hanno accolto i loro
corpi violati. Qualcuno vorrebbe restituirla. Questo
sarebbe un modo di ridimensionarla allo stato
dell'acciaio, di ristabilire un po' le cose eticamente.
Nella sala dei trofei della Juventus Football Club
accanto alla meravigliosa Champions League vinta in
Italia allo stadio Olimpico di Roma, sarebbe più giusto
posare una targa dorata con i 39 nomi delle vittime.
Possiamo anche conteggiarla come vinta, ma sappiamo
molto bene che quella Coppa di fronte ai trentanove
tifosi morti non può contare niente".
Fonte:
Tesi
di Laurea in Scienze della Comunicazione di Giacomo
Aricò
2010
© Saladellamemoriaheysel.it
© 18 aprile 2011
(NdR:
copyright giacomo.arico01@universitadipavia.it)
Fotografie:
Mole24.it
© Giacomo Aricò
© GETTY IMAGES
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