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BIBLIOGRAFIA
HEYSEL |
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La notte
dell'innocenza
Heysel 1985, memorie
di una tragedia.
29 maggio 1985. Mario è un bambino di otto anni, felice
perché il pomeriggio ha calzato per la prima volta nella
sua vita un paio di scarpe da calcio con i tacchetti di
ferro ed emozionato perché la sera la sua Juventus
contenderà al Liverpool la Coppa dei Campioni nella
finale in programma al vecchio stadio Heysel di
Bruxelles. Le strade si svuotano, tutto il paese si
ferma per assistere alla partita e anche Mario rientra
precipitosamente a casa ancora sporco di terra. Accende
il televisore sulle ultime note della sigla
dell’Eurovisione e non può sapere che all’Heysel si è
appena consumata una delle più gravi tragedie della
storia del calcio. Non è il solo. Quando la diretta
comincia in pochi ne hanno la percezione – a cominciare
dal telecronista Bruno Pizzul –, in pochissimi conoscono
la verità. Il bilancio finale sarà di trentanove morti e
oltre seicento feriti, ma, sia pure in ritardo di un’ora
e mezza e in una cornice spettrale, la partita verrà
giocata ugualmente. Lo spettacolo non si ferma o meglio,
come commentò Michel Platini diversi mesi più tardi,
"quando cade l’acrobata, entrano i clown". La notte
dell’innocenza è una ricostruzione chirurgica della
diretta che incollò al televisore milioni di italiani
sgomenti, impauriti, disgustati; è la rievocazione della
partita vista con gli occhi increduli di un bambino, è
una riflessione sull’eredità dell’Heysel: cosa ci ha
lasciato quella notte di trent’anni fa? Cos’ha lasciato
agli appassionati di calcio, alla nostra cultura
sportiva, al Paese tutto e al suo immaginario? Siamo
cresciuti da allora o siamo rimasti lì, con il
calcestruzzo insanguinato che si sgretola sotto i piedi,
in uno stadio sempre più desolatamente vuoto ?
Fonte: Amazon.it
©
29 maggio 2015
29 maggio 1985. Mario è un bambino di otto anni, felice
perché il pomeriggio ha calzato per la prima volta nella
sua vita un paio di scarpe da calcio con i tacchetti di
ferro ed emozionato perché la sera la sua Juventus
contenderà al Liverpool la Coppa dei Campioni nella
finale in programma al vecchio stadio Heysel di
Bruxelles. Le strade si svuotano, tutto il paese si
ferma per assistere alla partita e anche Mario rientra
precipitosamente a casa ancora sporco di terra. Accende
il televisore sulle ultime note della sigla
dell'Eurovisione e non può sapere che all'Heysel si è
appena consumata una delle più gravi tragedie della
storia del calcio. Non è il solo. Quando la diretta
comincia in pochi ne hanno la percezione - a cominciare
dal telecronista Bruno Pizzul -, in pochissimi conoscono
la verità. Il bilancio finale sarà di trentanove morti e
oltre seicento feriti, ma, sia pure in ritardo di un'ora
e mezza e in una cornice spettrale, la partita verrà
giocata ugualmente. Lo spettacolo non si ferma o meglio,
come commentò Michel Platini diversi mesi più tardi,
"quando cade l'acrobata, entrano i clown". "La notte
dell'innocenza" è una ricostruzione chirurgica della
diretta che incollò al televisore milioni di italiani
sgomenti, impauriti, disgustati; è la rievocazione della
partita vista con gli occhi increduli di un bambino, è
una riflessione sull'eredità dell'Heysel: cosa ci ha
lasciato quella notte di trent'anni fa ?
Fonte:
Ibs.it
©
29 maggio 2015
Mario Desiati (Locorotondo, 13
maggio 1977) è uno scrittore, poeta e giornalista
italiano.
È cresciuto a Martina Franca occupandosi di cronaca
politica e sportiva su giornali locali tra cui "Il
Corriere della Valle d'Itria". In seguito alla laurea in
Giurisprudenza conseguita a Bari nel 2000 ha lavorato in
uno studio legale e pubblicato saggi sulla
responsabilità civile. Nel 2003 si è trasferito a Roma,
dove è stato caporedattore della rivista "Nuovi
Argomenti" ed editor junior della Arnoldo Mondadori
Editore. Dal 2008 a ottobre 2013 si è occupato della
direzione editoriale di Fandango Libri confluita oggi
nel gruppo indipendente Fandango editore. Ha scritto e
pubblicato poesie, antologie, saggi e romanzi. Collabora
con "La Repubblica" e "L'Unità". Da un suo romanzo è
stato tratto il film Il paese delle spose infelici.
Ha pubblicato, tra gli altri libri, Neppure quando è
notte (peQuod, 2003), Le luci gialle della
contraerea (Lietocolle, 2004), Vita privata e
amore eterno (Mondadori, 2006, premio Paolo Volponi
per l'impegno civile), Il paese delle spose infelici (Mondadori,
2008), Foto di classe (Laterza 2009), Candore (Einaudi,
2016). Il suo Ternitti (Mondadori, 2011) è
entrato a far parte della cinquina dello Strega.
Nel 2022 ha vinto il Premio Strega con il romanzo Spatriati (Einaudi
2021).
Fonte: Ibs.it
©
29 maggio 2015
Fotografie:
RCS Libri © Mario Desiati © Ibs.it ©
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Lo scrittore pugliese ci
presenta il suo ultimo libro
Tragedia dell'Heysel, la memoria di
bambino
di Mario Desiati in "La notte
dell'innocenza"
di Costanza Carrieri
A Mola di Bari, nell'ambito
dell'importante rassegna "Del racconto, il film", il bel
romanzo del pugliese Mario Desiati: "La notte
dell'innocenza". Un libro che si legge tutto d'un fiato
in cui viene condivisa la sua memoria di bambino che,
tornato a casa dal campetto di calcio di provincia con
le macchie d’erba e qualche segno sulle gambe, si piazza
davanti alla tv per ammirare per la prima volta i suoi
idoli in tv e si ritrova invece a diventare parte
emotiva di una grande tragedia. Quella che si è
consumata il 29 maggio del 1985 nello stadio Heysel di
Bruxelles. Mario all'epoca aveva otto anni. Prima di
quella partita, che si giocò in diretta tv, gli scontri
contarono trentanove morti e seicento feriti. La finale
di Coppa Campioni tra Liverpool e Juventus, "fu in
effetti una resa dei conti, una vendetta sanguinosa
degli hooligans inglesi contro inermi tifosi italiani
spediti nel settore Z, aggrediti con spranghe, tirapugni
e pezzi di cemento di un rovinoso stadio che viene giù.
Tutto questo davanti a pochi poliziotti che non capirono
il dramma". Per Desiati, quelli restano ancora "morti di
serie C". Morti, che a trent'anni da una immane
tragedia, pesano sulle coscienze di molti. Ma,
soprattutto, di un calcio che ha davvero imparato poco
da quella lezione. Abbiamo incontrato Mario Desiati a
Mola.
Fonte:
Ilikepuglia.it
© 12 luglio 2015
(Testo ©
Video)
Icona: Itcleanpng.com ©
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Mario Desiati torna a
Crispiano per parlare
di Heysel, trent’anni dopo la
tragedia
di Vincenzo Parabita
Lo scrittore martinese presenterà
il suo nuovo libro, "La notte dell’innocenza", una
rievocazione di uno dei momenti più tragici dello sport
mondiale visto con gli occhi di un bambino di otto anni.
Lo scrittore Mario Desiati sarà a
Crispiano venerdì sera, ospite della libreria AmicoLibro,
per presentare il suo nuovo libro, "La notte
dell’innocenza. Heysel 1985, memorie di una tragedia",
edito da Rizzoli. L’appuntamento è alle 19, alla
libreria di via Regina Elena 86. Dialogherà con l’autore
il giornalista Vincenzo Parabita. Per Desiati è un
ritorno a Crispiano; poco più di un anno fa aveva
incontrato i lettori per presentare "Il libro dell’amore
proibito". Il nuovo lavoro di Desiati è una
rievocazione, 30 anni dopo, di uno dei momenti più
tragici dello sport mondiale visto con gli occhi
increduli di un bambino davanti alla tv. È una
riflessione sull’eredità dell’Heysel: cosa ci ha
lasciato quella notte di trent’anni fa ? Cos’ha lasciato
agli appassionati di calcio, alla nostra cultura
sportiva, al Paese tutto e al suo immaginario ? Siamo
cresciuti da allora o siamo rimasti lì, con il
calcestruzzo insanguinato che si sgretola sotto i piedi,
in uno stadio sempre più desolatamente vuoto ?
IL LIBRO
- 29 maggio 1985. Mario è un bambino di otto anni,
felice perché il pomeriggio ha calzato per la prima
volta nella sua vita un paio di scarpe da calcio con i
tacchetti di ferro ed emozionato perché la sera la sua
Juventus contenderà al Liverpool la Coppa dei Campioni
nella finale in programma al vecchio stadio Heysel di
Bruxelles. Le strade si svuotano, tutto il paese si
ferma per assistere alla partita e anche Mario rientra
precipitosamente a casa ancora sporco di terra. Accende
il televisore sulle ultime note della sigla
dell’Eurovisione e non può sapere che all’Heysel si è
appena consumata una delle più gravi tragedie della
storia del calcio. Non è il solo. Quando la diretta
comincia in pochi ne hanno la percezione, a cominciare
dal telecronista Bruno Pizzul, in pochissimi conoscono
la verità. Il bilancio finale sarà di trentanove morti e
oltre seicento feriti, ma, sia pure in ritardo di un’ora
e mezza e in una cornice spettrale, la partita verrà
giocata ugualmente. Lo spettacolo non si ferma o meglio,
come commentò Michel Platini diversi mesi più tardi,
"quando cade l’acrobata, entrano i clown". La notte
dell’innocenza è una ricostruzione chirurgica della
diretta che incollò al televisore milioni di italiani
sgomenti, impauriti, disgustati; è la rievocazione della
partita vista con gli occhi increduli di un bambino, è
una riflessione sull’eredità dell’Heysel: cosa ci ha
lasciato quella notte di trent’anni fa ? Cos’ha lasciato
agli appassionati di calcio, alla nostra cultura
sportiva, al Paese tutto e al suo immaginario ? Siamo
cresciuti da allora o siamo rimasti lì, con il
calcestruzzo insanguinato che si sgretola sotto i piedi,
in uno stadio sempre più desolatamente vuoto ?
L’AUTORE
- Mario Desiati dopo aver vissuto a Martina Franca ed
essersi laureato in Legge si è trasferito a Roma, dove è
stato capo-redattore della rivista Nuovi Argomenti ed
editor junior della Mondadori. Dal 2008 al 2013 è stato
direttore editoriale di Fandango Libri. Ha esordito come
poeta e risulta incluso in varie antologie. In prosa il
suo primo romanzo è "Neppure quando è notte" (peQuod,
2003). Nel 2006 è uscito "Vita precaria e amore eterno"
per la Mondadori, con il quale ha vinto il premio per
l’impegno e la letteratura civile Paolo Volponi. Nel
2006 ha curato l’antologia sul lavoro precario: "I
laboriosi oroscopi" (editcoop). Per l’editore Minimum
Fax nel 2007 ha curato "Voi siete qui", un’antologia coi
migliori esordienti pubblicati nelle riviste letterarie
italiane. Collabora con L’Espresso, Grazia, La
Repubblica e L’Unità. Nel 2008 è uscito il suo terzo
romanzo "Il paese delle spose infelici" (Mondadori) con
il quale ha vinto il premio Mondello e dal quale è stato
tratto il film di Pippo Mezzapesa. Nel 2009 è uscito il
reportage "Foto di classe - U uagnon se n’ascìot"
(Laterza). Con il romanzo "Ternitti" (Mondadori),
invece, è stato finalista al Premio Strega 2011. Nel
2013 è uscito "Il libro dell’amore proibito"
(Mondadori), che presentò in libreria, a Crispiano, a
febbraio dello scorso anno. Nel 2014 ecco il libro per
ragazzi "Mare di zucchero" (Mondadori). Ad aprile di
quest’anno, infine, è la volta de "La notte
dell’innocenza. Heysel 1985, memorie di una tragedia"
(Rizzoli).
Fonte:
Corrierepl.it
© 9 luglio 2015
Fotografia: Associazione Culturale Diotimart di Alessano
©
Icona: Itcleanpng.com ©
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"La notte dell'innocenza:
Heysel 1985, memorie di una tragedia"
di Giovanna Morrone
Mario Desiati, scrittore pugliese
ormai ampiamente affermato, racconta uno dei più
terribili episodi della storia del calcio.
Nel suo ultimo libro Mario Desiati,
scrittore pugliese ormai ampiamente affermato, racconta
uno dei più terribili episodi della storia del calcio.
Allo stadio Heysel di Bruxelles il 29 maggio 1985 la
Juventus e il Liverpool si contesero la Coppa dei
Campioni: la partita si concluse con 39 morti, la
maggior parte italiani. La narrazione oscilla tra
l'emozione di un bambino di otto anni, qual era
all'epoca l'autore, e la raccolta di documenti,
testimonianze, che gli hanno permesso da adulto di
comprendere la realtà di allora e riflettere su di essa.
Il bambino quel giorno ha giocato tutto il pomeriggio
nel campetto vicino casa, a Martina Franca, con le prime
scarpe con i tacchetti, usate, e più piccole di un
numero, che lo hanno fatto sentire grande e importante;
ora attende con ansia la sera: ha avuto il permesso di
stare in piedi fino alle dieci e tifare e soffrire e
gioire con quella Juventus da tempo la sua squadra del
cuore. Spera che la partita si concluda entro il tempo
stabilito dai genitori, sarebbe triste cercare di capire
solo da voci e rumori esterni il risultato finale. Tutto
è pronto, il vecchio enorme televisore acceso per il
collegamento Rai delle 20,10, l'emozione alle stelle, ma
gli incidenti iniziano un'ora prima, con morti e feriti.
Il bambino non sa, non comprende, all'inizio vede solo
gente per terra, alcuni che fuggono, uomini in camice,
soldati a cavallo, ma venti minuti dopo l'inizio del
collegamento sente la voce del cronista Bruno Pizzul,
che parla di incidenti, possibili vittime e poi, a metà
diretta, di 36 morti. Alle 21.42, con un'ora e mezzo di
ritardo inizia la partita ma per il bambino è ora di
andare a letto, lo sguardo dei genitori è severo e
triste, guarda ancora qualche immagine e poi l'emozione
si scioglie in pianto. A letto comincia a capire
qualcosa del vocio, del correre, dell'affannarsi sul
campo, delle immagini che lo hanno ipnotizzato, ma è un
bambino, il sonno lo afferra, capirà, si sforzerà di
capire dopo, il perché di quei 39 morti, a cui da adulto
vuole rendere onore con questo libro. Lo stadio Heysel è
stato costruito nel 1930 e finora nessuna
ristrutturazione, è piuttosto malandato, con i muri
esterni di calcestruzzo, i posti non numerati ed una
capienza inferiore di molto al numero dei biglietti
venduti per questa importante partita. Le autorità
belghe, per separare le tifoserie avversarie, hanno
previsto in mezzo un settore, il settore Z, per tifosi
neutrali, che hanno acquistato il biglietto da agenzie
di viaggio locali; è successo però che molti di quei
biglietti sono giunti nelle mani dei bagarini e finiti
successivamente in quelle di juventini, avvicinando così
pericolosamente le due tifoserie, senza un'adeguata
presenza delle forze dell'ordine. Alcuni tifosi inglesi
la notte precedente hanno assaltato ristoranti italiani,
insomma questi ed altri motivi non fanno presagire
niente di buono. Ad un certo punto la rete che separa il
settore Z da quelli inglesi viene tagliata, gli italiani
vengono aggrediti e cercano di fuggire verso il campo ma
trovano i manganelli dei poliziotti; i muri, vecchi e
friabili, cedono, entrambe le tifoserie si scontrano con
violenza; infine nel settore Z morti e macerie. La
Juventus non vorrebbe giocare, ma i dirigenti delle due
squadre si piegano alle autorità belghe, che pensano
così di placare gli animi, inoltre durante la partita
avranno il tempo di organizzare l'esodo. Si gioca quindi
in un'atmosfera che si può immaginare, vincerà la
Juventus e i giocatori saranno costretti, si dice, a
fare il giro del campo con la Coppa innalzata verso il
cielo. il bambino saprà della vittoria il mattino
successivo, ma i festeggiamenti per strada sono sotto
tono e comunque s'incaricheranno i genitori di fargli
capire l'orrore di quanto accaduto. L'autore vedrà la
partita 30 anni dopo, troverà scritti, testimonianze,
spiegazioni, in cerca di un senso, per sé e per chi ama
il calcio, un calcio che dia gioia, emozione,
appartenenza senza odio. Commovente è l'elenco dei
morti, il più piccolo aveva 10 anni, il più grande 58,
povere vite stroncate dall'incompetenza di chi doveva
mettere in atto la necessaria protezione e soprattutto
dalla furia disumana di chi prende a pretesto il calcio
per sfogare istinti distruttivi e bestiali.
Fonte:
Grottaglieinrete.it © 29 giugno 2015
Fotografia: GETTY IMAGES ©
(Not for commercial use)
Icona: Itcleanpng.com ©
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"L'iniziazione al ciclo della
vita"
di Faithful
Alle 18 in punto del 29 maggio 1985
le porte dello Stadio Heysel di Bruxelles vengono aperte
e in poco tempo 150.000 si riverseranno all'interno. La
richiesta dei biglietti è stata enorme perché quella che
si svolgerà quella sera è una partita della massima
importanza per i tifosi : da una parte gli inglesi REDS
, dall'altra la JUVENTUS. Molti inglesi durante la notte
precedente hanno devastato locali e ristoranti
accanendosi contro quelli italiani. Alcuni non hanno
denaro né biglietto e si fanno vanto di riuscire ad
entrare nello stadio rapinando od eludendo i controlli.
Un'ora prima dell'apertura dei cancelli dello stadio
alcuni " tifosi" inglesi hanno assalito una gioielleria
portandosi via un bottino di 10.000 franchi belgi. La
gendarmeria belga è intervenuta ed ha messo a verbale
soltanto l'aggressione ad una donna e a sua figlia,
titolari di un chiosco di hot dogs: pare che nessuno si
sia reso conto né di quello che è avvenuto al di fuori
né di quello che sta avvenendo all'interno dello stadio.
Il settore Z è per lo più occupato da famiglie con
bambini, da emigrati in Belgio, e da troppe persone che
sono state fatte entrare lì dentro dopo essersi
procurati un biglietto all'ultimo momento. I bagarini
vendevano i biglietti addirittura decuplicando il prezzo
eppure trovavano persone disposte a tutto pur di non
perdere quello spettacolo meraviglioso. L'autore
racconta con grande capacità di introspezione i suoi
sentimenti di quel giorno. Bambino di 8 anni,
appassionatissimo di calcio e della Juve, per la prima
volta aveva indossato vere scarpe da football con i
tacchetti. Felice ma teso, con cento pensieri infantili
che si affacciavano alla sua mente: dalla possibilità di
non riuscire a mantenere l'equilibrio allo spettacolo
che si sarebbe goduto in tv due ore dopo. Sembra un
racconto da poco: sarà invece il passaggio da uno stato
di gioia infantile alla presa di coscienza che anche lo
sport ha le sue tragedie, spesso causate dalla
superficialità e dall'incompetenza. Dice nell'ultima
pagina di copertina: "L'iniziazione al ciclo della
vita". Il modo di raccontare di Mario Desiati è piaciuto
molto anche a me che di calcio so proprio poco e i
successi della Juve lambiscono appena per l'esultanza di
mio figlio, ma leggere di una tragedia annunciata e
quasi prevista, di 39 tifosi morti tra cui un bambino di
11 anni, di uno stadio di calcestruzzo sbriciolato da
una furia inarrestabile non può lasciare indifferenti.
Non solo la notizia venne data in ritardo ma sembrò
quasi che questi fossero morti di seconda categoria: nei
tempi successivi i venti minuti dell'attacco degli
hooligans furono ricostruiti in modo abbastanza preciso:
essi usarono tirapugni e spranghe su gente indifesa ma i
26 processati si difesero dicendo che avevano visto un
bambino inglese aggredito e che erano in preda
all'alcool, in realtà essi erano arrivati a Bruxelles
guidati da un reduce della guerra alle isole Falkland la
cui mente forse era già stata sconvolta dal sangue visto
scorrere in quell' evento. Non aggiungo altro se non di
leggere questo libro: interesserà ai tifosi della
Juventus sicuramente ma anche a chi sa poco di questo
terribile episodio del quale, dopo trent'anni ancora non
si conosce l'esatta verità ma piacerà anche per il modo
di esprimersi di questo autore che ricorda con
precisione i propri sentimenti di bambino di fronte alla
tragedia che ora analizza e commenta con amarezza. Una
partita disputata lo stesso anche se 39 persone erano
già morte e 600 giacevano ferite sugli spalti. The show must go on.
Fonte:
Ciao.it
© 27 giugno 2015
Fotografia: RCS
Libri ©
Icona: Itcleanpng.com ©
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La macabra recita inscenata
all’Heysel
di Giorgio Dell'Arti
Clown. "Quando cade l’acrobata,
entrano i clown" (Michel Platini ricordando i fatti
dell’Heysel)
FINALE
- Mercoledì 29 maggio 1985,
Bruxelles, stadio Heysel, è in programma la finale di
Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool. Prima della
partita le cariche degli hooligans inglesi costano la
vita a 39 persone: 32 italiani, quattro belgi, due
francesi e un irlandese (fatale il crollo di un muro nel
settore Z). Circa 600 i feriti. Le squadre giocarono lo
stesso. Vince la Juventus 1-0 con gol di Platini su
rigore (concesso per un fallo su Boniek commesso
ampiamente fuori area). I bianconeri diventano così la
prima squadra ad aver conquistato tutte e tre le coppe
europee.
PREPARTITA - "19.07, un minuto prima
dell’incidente. Il settore Z contiene 6.000 spettatori.
Il settore X e il settore Y dovrebbero contenerne circa
17.000, ma vi sono almeno 5.000 tifosi inglesi in più
che sono entrati senza biglietto. Il settore Z è
colorato, variegato, ci sono uomini vestiti di
bianconero in modo anche pittoresco, le tute acetate e
cappelli buffi a falde tese, tre tipi vestiti
ironicamente da mafiosi che deridono certi radicati
luoghi comuni sugli italiani. Gli sfottò sono blandi, ma
gli inglesi vicino al settore Z provocano, vorrebbero
uno scontro, sono troppo alterati dall’alcol per capire
che davanti a loro ci sono solo famiglie e sparuti cani
sciolti. La rete leggera cade facilmente, viene
tagliata, scavalcata, non c’è più; un parà reduce della
guerra nelle isole Falkland chiama la carica, la gente
scappa, cerca una via di fuga verso il prato, ma i pochi
poliziotti presenti non capiscono il dramma in corso e
manganellano gli italiani che vogliono fuggire dal
settore e scavalcano la recinzione che lo divide dal
campo".
PRANDELLI -
Il ricordo di Cesare Prandelli, quel
giorno in campo negli ultimi minuti della partita:
"Manca un bel po’ al via. Siamo concentrati. Quella
Coppa è importantissima. È ciò che manca alla Juve. C’è
silenzio. Poi arriva Boniperti. È sconvolto. Urla. Grida
che non si gioca, parla di morti, è fuori di sé. Noi non
capiamo cosa stia accadendo. Boniperti va via chiamato
dai dirigenti Uefa. Arriva il suo autista, uno
piccoletto, ci dice di aver visto dei cadaveri sotto
lenzuoli bianchi davanti allo stadio. C’era confusione.
Panico. Non si capiva bene. Poi arrivò qualcuno a dirci
che dovevamo andare in campo e giocare per motivi di
sicurezza. Era un ordine. Nessuno di noi pensava a
giocare. Mi ricordo un silenzio surreale. Occhi bassi.
Io nel frattempo ero stato incaricato di dire a tutti i
nostri familiari presenti di tornare assolutamente in
albergo".
PIZZUL - Il telecronista italiano è Bruno
Pizzul. "Pizzul era puntuale, professionale, mai
enfatico, rigoroso nel trasmettere le informazioni che
arrivavano confuse ma che lui traduceva con chiarezza e
buon senso. Si percepiva la solitudine del cronista che
filtrava la messe caotica di notizie incontrollabili con
una cautela che lo rendeva ammirevole, come un inviato
di guerra al fronte. Il fatale riscontro arriverà più
tardi a metà diretta, con un sospiro: "La fonte è dell’Uefa: pare ci siano trentasei vittime". Ce ne
saranno trentanove, ma l’Italia apprese in quel momento
la notizia della più grave tragedia".
RECITA - Sull’aereo
del ritorno Scirea, Cabrini, Rossi e Tardelli affidano a
Gianni Mura una sorta di comunicato per spiegare cos’era
davvero successo alla fine della partita: "Ci hanno
consegnato una Coppa e ci hanno detto di mostrarla ai
nostri tifosi. Non ci rimaneva che terminare la nostra
recita. L’abbiamo fatto. Nessuno è venuto a dirci
niente. Ci hanno solo raccomandato di rimanere nella
metà campo dello stadio dove c’erano i tifosi della
Juventus. Non sapevamo assolutamente che fare, se
dirigerci verso il luogo del disastro e magari eccitare
ulteriormente gli animi oppure recitare soltanto fino in
fondo il ruolo che ci avevano chiesto. Lo abbiamo fatto
con la morte nel cuore e speriamo soltanto che nessuno
ci chieda più una cosa simile, mai più".
(NdR:
notizie tratte da "La notte dell’innocenza. Heysel 1985, memorie di una
tragedia" di Mario Desiati, RCS Libri, Milano 2015)
Fonte:
Altrimondi.gazzetta.it
© 3 giugno 2015
Fotografia: GETTY IMAGES ©
(Not for commercial use)
Icona: Itcleanpng.com ©
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Heysel, autopsia e
riconciliazione trent'anni dopo
di Salvatore Lo Iacono
Caro Mario Desiati, trent'anni fa avevamo la stessa
età, siamo due ragazzi del Sud, dunque con la Juve nel
sangue. Così, giusto, per fissare dei paletti. Questo
libro, che può leggersi in una notte o due, questo tuo
ultimo libro, edito da Rizzoli, "La notte
dell'innocenza. Heysel 1985, memoria di una tragedia"
(181 pagine, 16 euro), è un'autopsia di tanti dolori, ed
è una specie di riconciliazione. L'insanguinata Coppa
dei Campioni della Juventus, conquistata nel 1985, l'hai
vissuta in tv e a tanto tempo di distanza l'hai
sviscerata, studiata, hai provato a comprenderla
leggendo una robusta bibliografia. Da allora sembra che
il calcio qualcosa abbia capito (non si giocherebbe più
una partita di calcio in uno stadio fatiscente come
l'Heysel), ma tanti che nel calcio sguazzano - tanti
disadattati, criminali, teste calde prive di materia
grigia, con un sistema talvolta complice - probabilmente
non hanno capito nulla. Di quella maledetta serata
restano trentanove inermi vittime e centinaia di feriti,
a cui nessuno ha mai restituito dignità (ancora oggi
macabramente evocate nelle offese da stadio). Tu regali
loro un piccolo onesto monumento di carta: "Il calcio è
un fenomeno vitale, e chiunque sia morto per questo
merita lo stesso ricordo di chi ha perso la vita in un
attentato terroristico come in guerra, come in un
incidente". Nella rievocazione della tragedia, nella
cronaca dell'agguato degli hooligans del Liverpool al
settore Z dello stadio di Bruxelles (settore che doveva
essere il più tranquillo nelle previsioni degli
organizzatori) c'è, nelle tue pagine, una precisione che
non è mai pedanteria, molto raramente è didascalica, ma
in assoluto e sempre è ricerca chirurgica dei perché.
C'è pure qualche imprecisione (Facchetti libero ? L'Uefa
League ?), ma sono peccati veniali. Nulla in confronto
al grazie che ti devo, alle piccole storie di coraggio
che racconti, alle parole di tua madre nella notte della
finale, al coraggio del medico Roberto Lorentini,
all'elenco dei morti, con nome, cognome, età,
provenienza, come una poesia struggente. Il cuore del
libro sta in una domanda e in qualche altra frase: "Cosa
sognavano gli uomini e le donne che sono morti ? Le loro
famiglie, la loro memoria, non vanno ulteriormente
oltraggiate da sterili dibattiti statistici".
Fonte:
Piolatorre.it
© 2 giugno 2015
Fotografie: Mario
Desiati © RCS Libri ©
Icona: Itcleanpng.com ©
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Mario Desiati: "Ero bambino,
ho raccontato l'Heysel per non dimenticare"
di Elisa Chiari
Scrittore, saggista, Desiati aveva
8 anni la notte della tragedia allo stadio di Bruxelles,
prima della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e
Liverpool, il 29 maggio 1985, dove morirono 39 persone.
Mario Desiati la sera del 29 maggio
1985 aveva 8 anni, aspettava suo padre per la sua prima
grande serata di sport da telespettatore: l’amata
Juventus in finale contro il Liverpool in Coppa dei
campioni. La sua serata è finita presto con una frase di
papà: "Tu alle nove e mezza vai a dormire, tanto non
giocano". Un imperativo protettivo, lo sguardo di un
padre che difende suo figlio da uno spettacolo che non è
bene mostrare a un bambino. Mario bambino scoprirà la
verità in differita, attutita dalle parole della madre,
incontrata per casa alzandosi di notte, mentre cerca
spiegazioni per quello che vede dalla finestra: auto in
strada, un carosello, ma muto. "Mamma abbiamo vinto ?".
"No, stasera non ha vinto nessuno. Sono morte tante
persone". A distanza di trent’anni, l’elaborazione di
quella cupa prima partita è un libro intitolato La notte
dell’innocenza. Heysel 1985, memorie di una tragedia.
Memorie non vissute, Desiati.
Perché ha sentito il bisogno di andarle a cercare per
raccontare ?
"Era la mia prima partita da
spettatore, allora non è che ne dessero tante in Tv, e
non l’ho vista. Ma ho capito che era accaduta una cosa
tanto grave da costringermi a chiedermi come il calcio
avesse potuto continuare come prima il suo gioco.
Cercare è stato un modo di darsi una risposta. L’altra
ragione è l’indignazione che mi assale nel prendere atto
che oggi una tragedia come quella è un’occasione, sugli
spalti del pallone, per insultare la memoria anziché
coltivarla".
Che cosa le ha impedito di
disamorarsi del pallone, dopo un esordio come quello,
ammesso che si possa rispondere a una domanda così ?
"Il calcio è un fenomeno umano, è
un gioco ma ci dice cose profonde di noi. Fa parte della
vita andare avanti anche dopo una tragedia,
sopravviverle. E’ un istinto che abbiamo, trovare una
strada per superarla. Nel calcio, nel rapporto che
abbiamo con lui, ci sono implicazioni che vanno oltre la
partita: implicazioni politiche, sociali che spiegano in
parte il divampare di certa violenza. Direi che ci sono
anche implicazioni psicanalitiche: si pensi a come il
gioco possa avvicinare le generazioni. Un bambino che sa
della sua squadra più di quanto ne sappia il padre preso
da altri interessi, il padre che davanti alla partita si
emoziona come solo i bambini sanno fare".
Resta il fatto che quella tragedia
non ha fatto crescere il nostro calcio in
consapevolezza: si va ancora allo stadio con i coltelli,
l’Heysel come Superga non sono tragedie ma insulti. Gli
inglesi hanno arginato gli hooligans noi e altri
facciamo fatica, possibile ?
"Credo che il calcio rispecchi la
società che c’è fuori, gli inglesi hanno un diverso
relazionarsi con la vita civile rispetto a noi e ad
altri popoli, meno inclini al rispetto delle regole. Il
calcio riflette quello che c’è fuori".
Nel libro la sua partita non vista
e la sua ricostruzione a posteriori, più che dalle
immagini che pure ha visto anni dopo e descrive,
prendono forma soprattutto dai racconti, in particolare
dal racconto letterario che ne ha fatto Ugo Ricciarelli:
le parole evocano meglio delle immagini ?
"In qualche modo sì, le parole dei
grandi scrittori danno spesso una dimensione in più che
le immagini non riescono a evocare: una lettura che va
oltre. Quando Margherite Duras colpita dalla tragedia
intervista Platini e cerca di stanarlo sul senso di aver
giocato una partita a quelle condizioni, capisce che il
calciatore tergiversa, scantona, a quel punto lo
incalza. È lì che Platini trova quella frase: "Quando
muore il trapezista entrano i clown". Marguerite Duras
afferra al volo che non resta altro da dire, che
l’intervista finisce lì, perché quella frase dice tutto
il non detto".
E lei a distanza di questo tempo
che idea si è fatto della polemica: giocare/non giocare,
la coppa alzata eccetera ?
"Mi sembra che sia fare un uso
distorto della memoria, mi sembra assurdo che trent’anni
dopo invece di parlare dei morti e di ricordarli si
parli della Coppa, della partita, fosse anche per
chiedersi se si dovesse giocarla, per ragioni di ordine
pubblico. Dovremmo parlare del coraggio civile di
Roberto Lorentini, un medico che sopravvissuto alla
prima carica degli inglesi si era fermato a soccorrere
un bambino che aveva smesso di respirare. E’ morto così,
colpito dalla seconda carica degli hooligans".
Trent’anni dopo ha l’impressione
che qualcosa il calcio abbia imparato ?
"Sì, forse costretto dagli eventi,
come succede dopo gli incidenti aerei, ha dovuto
ragionare di più meglio di sicurezza: oggi in uno stadio
come quello non si potrebbe giocare una finale di
Champions. Gli stadi sono molto più sicuri di allora. Ci
raccontiamo la poesia di un calcio antico più bello, ma
dimentichiamo che nel 1985 sono state quasi 100 le
persone morte attorno a una partita di calcio in Europa.
In questo senso quei 39 non sono morti invano".
Che suggestioni le evoca sapere che
a una settimana dall’anniversario, trent’anni dopo, la
Juventus giocherà un’altra finale di Champions ?
"Suggestioni romanzesche. E’ la
storia che gioca con la trama di un romanzo circolare:
Michel Platini comunque vada a finire sarà lì a mettere
al collo una medaglia a ragazzi che indossano la sua
maglia di allora, primi o secondi che siano, e sarà un
cerchio che si chiude. Anche se spesso i calciatori non
hanno tutta questa coscienza dell’enorme potenziale
simbolico delle cose che accade loro di vivere".
Fonte:
Famigliacristiana.it
© 28 maggio 2015
Fotografie: Mario Desiati ©
RCS Libri ©
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Trent'anni fa la tragedia
dell'Heysel
di Massimo Grilli
Due libri rivivono e romanzano la
tragedia dei 39 morti, per gli incidenti occorsi prima
della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e
Liverpool allo stadio di Bruxelles.
Trent’anni fa il calcio perdeva
definitivamente la sua innocenza. Heysel, 29 maggio
1985. Finale di Coppa dei Campioni, a Bruxelles,
Juventus contro Liverpool. Le vittime della strage
furono trentanove. Il più giovane, Andrea Casula, era un
bambino di undici anni. Oggi, trent’anni dopo, le
immagini che i giornali d’epoca o il web consegnano alla
nostra memoria somigliano a quelle di una sorta di
olocausto. E mentre scriviamo queste righe, reduci dalla
quotidiana violenza cui assistiamo nei nostri stadi, ci
chiediamo se quell’immane tragedia è servita a qualcosa.
Il dubbio resta. Come restano - loro sì utili - tutte le
testimonianze su quella notte. Perché niente vada
dimenticato, sono usciti in questi giorni due libri che
partono da punti di partenza diversi ma si fermano allo
stesso approdo, lì dove il dolore diventa memoria
condivisa. … Omissis (Vedi Articolo gemello nella pagina
del libro di Anthony Cartwright e Gian Luca Favetto)
L’innocenza è anche il filo rosso che si snoda nel
romanzo di Marco Desiati. Protagonista un altro bambino,
come se non ci fosse altro modo di rivivere la tragedia.
Nella "Notte dell’innocenza" l’autore intreccia la sua
storia privata - di piccolo tifoso juventino cresciuto
in una città di provincia del Sud - con quella - di
morte, di dolore e di ferite ancora aperte - vissuta da
chi c’era, lì, all’Heysel. Adagiandosi ai tempi di una
narrazione che si sviluppa riavvolgendo la diretta
televisiva dell’epoca, Desiati prova a scardinare
meccanismi che per anni - per decenni viene da dire -
sono rimasti incagliati nell’equivoco. La domanda che il
libro pone è semplice ma definitiva: siamo cresciuti da
allora o siamo rimasti lì, con il calcestruzzo
insanguinato che si sgretola sotto i piedi, in uno
stadio sempre più desolatamente vuoto ? Un paio di mesi
fa è rinata - per merito di Andrea Lorentini che
all’Heysel perse suo padre Roberto - l’associazione per
ricordare le vittime di quella notte. Vittime che per
anni sono state dimenticate e ignorate dalle istituzioni
del nostro calcio. Riannodare il filo della Storia,
anche leggendo questo libro, è un buon modo per
ritrovare il senso di una memoria condivisa.
(NdR:
LA NOTTE DELL'INNOCENZA, Heysel
1985, memorie di una tragedia; di Marco Desiati, RCS
Libri
editore, 176 pagine, 16 euro)
Fonte:
Corrieredellosport.it
© 15 maggio 2015
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L’ Heysel di Desiati ci rende
partecipi
(e più consapevoli) del nostro passato
di Andrea Apollonio
Le sequenze della vita si
accavallano, si stratificano, e le prime passioni -
quelle più importanti, perché vissute appieno da un
bambino - sono anche le prime, fatalmente, ad essere
dimenticate. Eppure anch’io, come il protagonista del
libro di Mario Desiati ("La notte dell’innocenza",
Rizzoli 2015), ero un tifoso di provincia, di quelli che
si dividono, per lo più, tra Milan (io) e Juventus
(Mario); anch’io ero uno dei tanti giocatori dei campi
di calcestruzzo, tra palazzoni e carreggiate senza
macchine; anch’io trasformavo le partite di calcio in
diretta in momenti familiari che non dovevano, né
potevano essere disturbati. Al contrario di Mario, però,
io non ho vissuto la tragedia dell’Heysel: sarei nato
due anni dopo. E solo leggendo questo libro, intimo e
speciale come pochi altri, che ci colloca nel salotto di
casa Desiati in posizione defilata, ci adagia sulla
poltrona vicino alla cucina e ci fa assistere a scene
familiari che attingono dialoghi e descrizioni anche dal
nostro passato, riesco a comprendere molte
caratteristiche dello scrittore, e molti aspetti della
persona, legati a doppio filo a quel mondo del calcio
che è, poi, lo specchio delle nostre contraddizioni. Il
libro, semplicemente, non può essere inquadrato: siamo a
metà tra romanzo, invettiva, ricostruzione storica e
testimonianza. Meglio così. Ad una descrizione metodica
dei fatti, cui segue una lettura intensa, palpitante,
assorbente, si affiancano le riflessioni su di una
tragedia immane e sconosciuta, formulate da Mario nel
pieno dell’età dell’innocenza. I suoi continui
riferimenti al contesto salentino d’origine permettono
di estrarre dal particolare paradigmi generali ma pieni
di verità sul calcio, d’allora e di oggi: qual è quello
che ci ricorda, ad esempio, che gli scontri tra tifosi
nascondono risentimenti e frustrazioni individuali, ed
in alcuni casi si trasformano in vere e proprie guerre
di religione: "c’è un filo rosso che unisce guerra,
religione, calcio". Spesso lo dimentichiamo, e ci
troviamo impreparati davanti a quelle violenze che noi
riconduciamo soltanto a follia e ignoranza.
Probabilmente, se avessi avuto la sua età nel 1985, ma
soprattutto se sapessi riuscire, come lui, a dosare con
maestria le qualità - spesso antitetiche - di
giornalista e romanziere, oggi avrei scritto qualcosa di
molto simile. Perché il passato di Mario, caratterizzato
dall’odore forte dell’erba gramigna dei campetti in cui
giocava, è anche il mio passato: che da oggi si
arricchisce di una partita finita in tragedia, mai vista
né immaginata, ma senza la quale non è possibile
comprendere quel calcio degli anni Novanta che si è
impregnato (anche) nella mia età dell’innocenza.
Fonte:
Civesalentini.com
© 13 maggio 2015
Fotografia: Mario Desiati ©
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Il tifo e il sangue: Desiati e
la tragedia dell'Heysel
di Claudia Presicce
Sono passati trent’anni esatti da
quel 29 maggio 1985. Trent’anni dalla strage al vecchio
stadio Heysel di Bruxelles dove si disputò la finale di
Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool. Una carica
degli hooligans verso il settore Z dove si trovavano
alcuni tifosi juventini (quelli organizzati erano
dall’altra parte dello stadio) e il successivo crollo di
un muro, uccisero, calpestate o schiacciate, 39 persone
(33 italiani) (NdR: 32). Oltre seicento furono feriti.
Mancava ancora un’ora alla partita: la diretta Rai si
aprì con un Pizzul sotto tono, la finale venne giocata
ugualmente. Si disse, per permettere alla polizia belga
di riorganizzarsi. "La notte dell’innocenza. Heysel
1985, memorie di una tragedia" (Rizzoli) è l’ultimo
libro di Mario Desiati, che, tra ricordi personali,
narrativa e cronaca, ridà voce a questa storia
dimenticata riportandola nel presente.
Desiati, raccontare l’Heysel: come
è approdato a questo lavoro ?
"È un certo tipo di narrativa che
mi è sempre piaciuto leggere, e che per "Nuovi
Argomenti" ho spesso adottato, quella che racconta delle
storie vere con piglio narrativo. Questo è un evento
storico che mi ha molto colpito e che nello stesso tempo
è emblematico per raccontare la contemporaneità. Intorno
al calcio si muovono altre dinamiche, politiche,
familiari, storiche. Anche se può essere recepito come
superficiale, in realtà il calcio come fenomeno umano
non va sottovalutato. Ho provato a raccontarlo
attraverso uno dei suoi eventi più tragici che coincide
con una delle prime partite che ho seguito nella mia
vita. Ho messo insieme tutto questo per creare un lavoro
sulla storia e sulla contemporaneità".
Una storia di sangue di trentanove
morti, ma la partita si giocò lo stesso. Qual è la sua
lettura dell’evento ?
"La prima lettura è certamente
quella della ferita insanabile, ma poi uno si chiede
subito perché il calcio è andato avanti. Essendo un
fenomeno umano, come gli altri, prosegue. Come racconta
certa letteratura tedesca della ripresa della normalità
dopo i bombardamenti della Seconda guerra mondiale, dopo
un evento tragico la vita va avanti. Fu quasi come un
incidente aereo allora, nel 1985, ma se oggi uno stadio
di una finale di Coppa dei campioni non potrebbe mai
essere così poco sicuro come quello, invece quel tipo di
violenza che si scatena in uno stadio è purtroppo ancora
di grande attualità".
Nel libro riprende il dibattito del
tempo e c’è una frase terribile di Platini: "quando cade
l’acrobata entrano i clown".
"La disse a Marguerite Duras perché
l’Heysel colpì l’immaginario di quel periodo storico di
molti scrittori: lei intervistò Platini. Poi racconto il
dibattito tra Malerba, Calvino e Soldati sulla liceità
di continuare a giocare quella partita, se considerare o
meno quel trofeo. Mi interessava però ricordare la
memoria di queste persone che spesso purtroppo sono
ancora oggetto degli strali negli stadi. L’ultima volta
è stato un anno fa: si inneggiava a "meno trentanove",
ma molti non sanno neanche chi sono. Ho messo l’elenco
dei nomi, ma al di là di questo ho unito il racconto di
una storia di morte attraverso la visione di Ugo
Riccarelli, la più bella su questa storia a mio avviso,
e attraverso le immagini che si sono viste in diretta.
Addirittura in una diretta francese si videro spirare
alcune persone…".
Quando scrive di avere
l’impressione di un mondo che non solidarizza più con le
vittime e non condanna i carnefici sembra sottolineare
una sorta di costume in Italia, o no ?
"Di fronte all’oltraggio di questa
memoria, o di quella di Superga di cui ricorre
l’anniversario in questi giorni, ho l’impressione che
scatti subito la polemica e si tralasci la memoria delle
vittime e che si passi troppo presto alla tabellina
mentale, se togliere quella coppa, e non si parli di
come migliorare le cose. Non si parla di migliorare la
sicurezza negli stadi o di cosa fare per le famiglie
delle vittime per esempio. Le cose sono molto cambiate,
ma non basta".
Per una sorta di traslazione da lei
evocata dal calcio alla società sembra che questo
malcostume alberghi anche in altri ambiti. Mi riferisco
a certe frasi che si leggono sui social network in cui
si inneggia a Hitler, ecc., come se fosse cosa lecita,
normale…
"I social network danno visibilità
a fenomeni sempre esistiti. La bestialità di scritte
violente viene fuori ogni giorno sul web e innesca
polemiche. Recentemente un signore che ha ucciso la
moglie ha scritto "finalmente l’ho fatta fuori" e tanti
hanno messo "mi piace". Questo purtroppo credo sia
sempre esistito, ma non aveva la stessa visibilità,
restava nel bar di quartiere. Invece lo stadio era il
primo social network, lì le cose si amplificavano e
avevano grande risonanza".
Quanto la letteratura può lanciare
messaggi importanti oggi ? E soprattutto arrivano ?
"La narrativa è sempre stata
conseguenza del suo tempo e una certa letteratura
interviene nella realtà e cambia le cose, questo l’ho
sempre creduto. Ma chi scrive un libro non deve mettersi
in testa di cambiare il mondo, altrimenti è un
predicatore non uno scrittore. Deve magari cercare di
raccontare il mondo che vorrebbe trasmettere agli altri.
L’arte quando è vera alla fine lo cambia lo stesso il
mondo".
Fonte:
Quotidianodipuglia.it
© 12 maggio 2015
Fotografie: Quotidiano
di Puglia
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Mario Desiati
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30 anni fa la strage
dell’Heysel
39 morti ricordati dal libro di
Mario Desiati, all’epoca bambino di 8 anni, davanti alla
tv.
In questi giorni di trent’anni fa,
la strage dell’Heysel, lo stadio di Bruxelles. Erano di
fronte Juventus e Liverpool, finale di Coppa Campioni,
il 29 maggio 1985. L’Italia intera, almeno quella
tifosa, aspetta quella sfida. Davanti alla tv c’è anche
un bambino di 8 anni, Mario Desiati, che oggi dedica a
quell’evento tragico un libro di ricordi e riflessioni.
"La notte dell’innocenza - Heysel 1985, la notte della
tragedia": s’intitola il libro (Rizzoli, 186 pag.) di
Desiati, che si apre con i ricordi sportivi di un
bambino che sono anche quelli di una generazione di
tifosi. La cronaca di quella sera scorre fra le memorie
del piccolo Mario e le notizie del telecronista Bruno
Pizzul. Desiati ricorda la confusione, pure i gendarmi a
cavallo piazzati sotto le tribune. Il bambino non
comprende, lui aspetta solo la partita di calcio,
disturbato da quel fuori programma così poco
comprensibile. La madre gli dice: "Ci sono incidenti
gravi", e lui candido "Ma gli incidenti non sono quelli
delle macchine ?". Purezza dell’infanzia di fronte al
disastro. Il conto dei morti verrà fatto a fine partita,
quando tutti saranno andati via e scongiurato il timore
di incidenti ulteriori. Quella sera segnò a vita il
piccolo Mario, che non smarrì la passione per il calcio,
ma cominciò a capire che il calcio "sprigiona energie
potentissime, alcune evidenti, altre occulte, nella
quotidianità delle sfere private di milioni di
appassionati, che si mutano in tensioni, risentimenti,
depressione e violenza".
Fonte:
Vannizagnoli.altervista.org
© 12 maggio 2015
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La notte dell’Heysel
La storia tragica del 29 maggio
1985 vista da un bambino di otto anni davanti alla tv,
nel nuovo libro di Mario Desiati.
È uscito per Rizzoli il libro di
Mario Desiati La notte dell’innocenza. Desiati racconta
quello che successe la sera del 29 maggio 1985 allo
stadio Heysel di Bruxelles in occasione della finale di
Coppa dei Campioni fra Juventus e Liverpool, quando il
crollo di un muro sulle tribune e la calca provocata
dalla pressione dei tifosi inglesi uccise 39 persone e
fece oltre 600 feriti. Il libro è costruito alternando
l’analisi dei documenti raccolti su quella sera, la
ricostruzione della diretta televisiva e i ricordi
personali di Desiati, allora bambino di 8 anni tifoso
della Juventus. In questo estratto il capitolo sugli
scontri successivi al crollo e sui momenti che precedono
l’inizio della partita.
"Quando comincia la partita, alle
21.42, con quasi un’ora e mezzo di ritardo rispetto a
quando era programmato il fischio d’inizio, per me è
quasi ora di andare a letto, avevo già sforato i
permessi extra che avevo trattato nei giorni precedenti.
Vedendo le squadre entrare in campo vengo sollecitato da
uno strano pensiero e guardo ancora per un poco la
televisione. I fili d’erba di quel prato hanno visto
guerra e sangue fino a pochi minuti fa, come possono
adesso piegarsi sotto i tacchetti di ferro di ventidue
calciatori ? È uno dei dubbi con cui mi allontano dalla
tragedia che scorre in televisione. L’erba è un pensiero
che mi tormenta mentre raggiungo il letto. Porto ancora
le scarpe coi tacchetti e la maglietta che ho indossato
agli allenamenti del pomeriggio. Il sudore asciugandosi
ha formato una patina appiccicosa sulla mia pelle e mia
madre mi ordina di fare la doccia. Prima di lavarmi
osservo sempre la striscia verde che lascia sul
calzettone l’erba gramigna del campetto clandestino,
un’erba che non c’entra con quelle che disegnano i campi
da gioco. La accarezzo come qualcosa di caro. Ne sento
le particelle invisibili che mi danno il potere di
legarmi a chi sta giocando dentro uno stadio vero,
avverto una connessione speciale con quegli dei
dell’Olimpo in pantaloncini e tacchetti. Poi i dettagli
di ciò che è accaduto si moltiplicano all’infinito nella
mia testa. Sotto la doccia piango, e le lacrime si
mischiano all’acqua che scende. Quando entro nel letto
mi sento un po’ meno tremebondo e scioccato, ma non
riesco ad addormentarmi subito e, prima che il sonno
arrivi come un guanto a coprire la ferita della serata,
nella mia mente rivedo le scene della mezz’ora
concitatissima che ha preceduto il fischio d’inizio. Una
trentina di juventini finalmente riesce ad arrivare a
poche decine di metri dalla curva X e Y, l’ennesima
carica ha portato i suoi frutti, vogliono andare verso i
tifosi del Liverpool che stanno esultando. I toni si
fanno concitati e la polizia li respinge, ormai ha il
controllo della situazione, lancia un paio di
lacrimogeni per allontanarli. Alcuni capi ultras cercano
di calmare gli animi, ma ce ne sono altri che ancora,
come impazziti, corrono tra i fili d’erba di quel campo
insanguinato. Caccia all’uomo sotto le tribune, la
telecamera segue piccoli particolari.
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Le
immagini degli ultras italiani sono diverse
dall’iconografia odierna: sono secchi, magri, scavati,
non sembrano mastodontici, muscolosi o robusti, sono
ancora i figli di un’Italia che, per certi versi,
opulenta non lo è mai stata neanche nel cuore degli anni
Ottanta. Alle 21.30 circa compare quello striscione, "Reds
Animals", in caratteri squadrati, gli stessi che
accompagnano tutti gli striscioni del movimento ultras.
Dopo il tafferuglio con la polizia, una quindicina di
juventini guadagna quasi il terreno di gioco e lo stadio
intero applaude la provocazione. È anche una
liberazione, perché ormai la voce che a causare gli
scontri siano stati i Reds è arrivata ovunque, non solo
nelle case degli italiani attraverso i televisori, ma
anche nello stadio attraverso il tam tam e il
passaparola. Dalle gradinate opposte i tifosi del
Liverpool cercano di arrivare verso quelli della Juve
per strappargli lo striscione. Tafferugli, poi veri
scontri sulla pista d’atletica, gli juventini lanciano
pietre e pietre ritornano a loro, la polizia fatica a
contenere singoli italiani e inglesi che superano gli
sbarramenti delle forze dell’ordine. Ne arriva uno, a
pochi metri dalla curva italiana, è alto, baffuto, ha la
maglia dei Reds, ma gli va malissimo, una pietra gli
apre in due la testa… La sua immagine con la testa
fasciata, la faccia insanguinata farà il giro del mondo
mentre i poliziotti lo arrestano e gli fanno
attraversare tutto il campo di gioco seminando ulteriore
rabbia tra le due tifoserie. Un altro gravissimo ferito,
e un’altra immagine che fa il giro del mondo, è il
povero fotografo scambiato per un tifoso del Liverpool,
oppure semplicemente al posto sbagliato nel momento
sbagliato. Mentre i poliziotti lo allontanano dalla
curva juventina, una pietra, non si sa se destinata agli
agenti o a lui, gli ha rotto la nuca. Il lanciatore è un
ragazzo di Lecce che verrà arrestato e processato il
giorno dopo per direttissima. È in questo caos che
arriva la voce di Phil Neal, il grande capitano del
Liverpool: ha trentaquattro anni, è preoccupato perché
non sa come stia sua moglie Jane, è preoccupato che
possano verificarsi altri incidenti, ma, soprattutto, ha
sentito il boato del muro che cadeva. È stato tra i
primi a intuire che era accaduto qualcosa di grave e
probabilmente tragico. Leclaire racconta un cammeo dello
spogliatoio del Liverpool, il dissidio tra il
giovanissimo Ronnie Whelan che vuole giocare subito e
Neal che invece è scosso, è consapevole e dunque
terrorizzato da quanto sta avvenendo e dal fatto che
attorno a lui molti dei suoi compagni non ne capiscono
la gravità, sono ancora bambini.
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Dopo
il messaggio di Neal, che viene letto e recepito male a
causa della cattiva acustica dell’altoparlante, è il
turno del capitano della Juventus. Gaetano Scirea è un
uomo riservato e dal volto sereno, è un grande libero,
ruolo poetico e durissimo, l’ultimo uomo davanti al
portiere e il primo uomo che fa partire l’azione. Forse
il più grande libero della storia del calcio italiano
assieme a Giacinto Facchetti e Franco Baresi. Si
ritirerà ventiquattro mesi dopo quella partita, come
molti altri giocatori ha capito che il calcio è cambiato
proprio in quel momento ed è un mondo a cui lui non
appartiene. Morirà due anni e mezzo più tardi in un
incidente stradale, in Polonia, dove era andato come
osservatore juventino per assistere a un incontro della
piccola squadra del Górnik contro cui la Juve avrebbe
giocato un turno di Coppa Uefa. Di Gaetano Scirea
rimarranno per sempre le parole pronunciate
nell’altoparlante che rimanda la sua voce rauca e
metallica, rotta dall’emozione, al resto dello stadio:
"La partita verrà giocata per consentire alla polizia di
organizzare la protezione durante l’uscita dallo stadio,
non rispondete a provocazioni, restate calmi, giochiamo
per voi". Appena finisce l’appello gli animi non si
calmano affatto, decine di juventini caricano i
poliziotti sotto la curva. È una carica violentissima e
disperata, non assomiglia a quella inglese che ha
distrutto il settore z, è più discontinua, assomiglia
alle immagini che tutti conosciamo degli scontri in
piazza negli anni di piombo: uomini imbavagliati,
capelli lunghi, sciarpe in faccia, sbarre con cui
sbriciolano le colonne dello stadio per procurarsi i
pezzi da lanciare. La polizia risponde, e questa volta
in maniera durissima. Un cordone di tre file di
poliziotti avanza verso la curva sud, e finalmente
riesce a riportare una parvenza di ordine. Pochi minuti
e le squadre scenderanno in campo per la più assurda
partita di sempre. I fili d’erba tornano a essere
sovrastati dai loro padroni, le scarpe coi tacchetti
percuotono il suolo verde, i chiodi bucano la terra su
cui cresce l’erba, il fruscio del cuoio che rotola da
una parte e dall’altra diventa, per novanta minuti,
nuovamente legittimo proprietario di quel territorio
profanato".
Fonte:
RCS Libri S.p.A 2015
© Mario Desiati ©
Ilpost.it
© 9 maggio 2015
Fotografie:
Amazon.it
©
RCS
Libri © Cervofestival.com ©
Incipitmania.com
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La tragedia dell'Heysel nel
nuovo libro di Mario Desiati
Il 29 maggio 1985 Mario Desiati ha
otto anni ed è felice perché la sera potrà guardare in
tv la sua squadra, la Juventus, scendere in campo contro
il Liverpool per la finale della Coppa dei Campioni. È
La notte dell’innocenza, rievocazione di quella tragica
partita allo stadio Heysel di Bruxelles dove persero la
vita 39 persone - 32 gli italiani - e oltre 600 rimasero
ferite. È il ricordo dello scrittore così come la
cronaca "chirurgica" di quelle drammatiche ore per
capire se, trent’anni dopo, noi italiani siamo
cresciuti. "La notte dell'innocenza" è una ricostruzione
chirurgica della diretta che incollò al televisore
milioni di italiani sgomenti, impauriti, disgustati; è
la rievocazione della partita vista con gli occhi
increduli di un bambino, è una riflessione sull'eredità
dell'Heysel: cosa ci ha lasciato quella notte di
trent'anni fa ? "Un libro che racconta la tragedia
dell'Heysel del 1985 e lo fa attraverso gli occhi di un
bambino", dice lo scrittore martinese Mario Desiati. "Ho
scritto questo libro pensando a chi non ha mai visto una
partita di calcio in vita sua, raccontando come anche i
morti dentro uno stadio meritano memoria". o. cri.
Fonte:
Lostradone.eu
© 23 aprile 2015
Fotografia: Mario Desiati ©
Icona: Itcleanpng.com ©
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La strage dell’Heysel rivive
nel libro "La notte dell’innocenza"
di Adasso
Heysel 1985, memorie di una
tragedia. Da una delle voci più interessanti della
narrativa italiana, Mario Desiati, finalista al Premio
Strega 2011, la rievocazione toccante e incredula di uno
dei momenti più bui dello sport mondiale, nel libro La
Notte Dell’Innocenza.
29 maggio 1985. Mario è un bambino
di otto anni, felice perché il pomeriggio ha calzato per
la prima volta nella sua vita un paio di scarpe da
calcio con i tacchetti di ferro ed emozionato perché la
sera la sua Juventus contenderà al Liverpool la Coppa
dei Campioni nella finale in programma al vecchio stadio
Heysel di Bruxelles. Le strade si svuotano, tutto il
paese si ferma per assistere alla partita e anche Mario
rientra precipitosamente a casa ancora sporco di terra.
Accende il televisore sulle ultime note della sigla
dell’Eurovisione e non può sapere che all’Heysel si è
appena consumata una delle più gravi tragedie della
storia del calcio. Non è il solo. Quando la diretta
comincia in pochi ne hanno la percezione - a cominciare
dal telecronista Bruno Pizzul -, in pochissimi conoscono
la verità. Il bilancio finale sarà di trentanove morti e
oltre seicento feriti, ma, sia pure in ritardo di un’ora
e mezza e in una cornice spettrale, la partita verrà
giocata ugualmente. Lo spettacolo non si ferma o meglio,
come commentò Michel Platini diversi mesi più tardi,
"quando cade l’acrobata, entrano i clown". La notte
dell’innocenza è una ricostruzione chirurgica della
diretta che incollò al televisore milioni di italiani
sgomenti, impauriti, disgustati; è la rievocazione della
partita vista con gli occhi increduli di un bambino, è
una riflessione sull’eredità dell’Heysel: cosa ci ha
lasciato quella notte di trent’anni fa ? Cos’ha lasciato
agli appassionati di calcio, alla nostra cultura
sportiva, al Paese tutto e al suo immaginario ? Siamo
cresciuti da allora o siamo rimasti lì, con il
calcestruzzo insanguinato che si sgretola sotto i piedi,
in uno stadio sempre più desolatamente vuoto.
Fonte:
Laltrapagina.it
© 3 aprile 2015
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