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BIBLIOGRAFIA
HEYSEL |
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BATTE FORTE IL CUORE (Fabrizio Casa)
Ando,
Vinicio, Zeffi e Nitta vivono nei "Bastioni", la zona di
periferia a ridosso del Muro che circonda la città. Le
loro avventure di giovani a confronto con una realtà
complessa e difficile andranno ad intrecciarsi via via,
in un crescendo di pathos e avventura, con una pluralità
di storie e di personaggi (il giustiziere soprannominato
"il Giudice", il commissario Liborio Giuvenale, Lindo e
Roccia, Bellabé, l'allenatore Giovenale Liborio...). Al
culmine della storia, una partita di calcio, finale di
un campionato in cui alla sfida sportiva si unisce
quella sociale. Proprio durante quella gara che vedrà
protagonista uno dei ragazzi della banda, chiamato a
battere il rigore decisivo per le sorti della partita -
i protagonisti di questo avvincente romanzo saranno
messi di fronte alla scelta più importante. Età di
lettura: da 12 anni. Data di uscita: 1 dicembre 2008 -
Collana: Segni. Zona franca. Sinnos Editore.
Fonte: Sinnos
Editore
© 1 Dicembre 2008
Una
postilla -
Caro Lettore, c’è un piccolo retroscena dietro questo
libro e, poiché abbiamo passato un bel po’ di tempo in
compagnia l’uno dell’altro, è giusto rivelartelo. Ho
iniziato a pensare il romanzo dal finale,
indissolubilmente legato a Michel Platini (l’uomo, prima
che il calciatore): la mia non è una dedica, ma una
precisazione. L’idea nacque nella redazione sportiva del
quotidiano Reporter, durante una chiacchierata tra me e
Corrado Sannucci, il mio capo-redattore, qualche giorno
dopo la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e
Liverpool, disputata allo stadio Heysel di Bruxelles il
29 maggio 1985. Prima della partita tifosi inglesi e
italiani erano venuti a contatto. Nel parapiglia e nella
fuga conseguente erano rimaste uccise 39 persone:
schiacciate contro i cancelli, precipitate dal
parapetto, travolte dalla folla. La partita si era
disputata ugualmente, la Juventus aveva vinto 1-0,
grazie a un calcio di rigore realizzato da Platini, a
metà del secondo tempo. Io e Corrado discutevamo per
capire e uno di noi disse: "Platini doveva tirarlo
fuori". Non ricordo chi lo disse, né se lui poi abbia
scritto un articolo in tal senso. Ma quel pensiero mi
aveva colpito. Mi è ritornato forte, quando nel 1995
Stefano Tacconi, portiere della Juventus che giocò la
finale, disse: "Noi della Juventus sapevamo che
all’Heysel c’erano stati dei morti". Di nuovo pensai:
"Platini doveva tirare fuori quel rigore". Lo penso
ancora oggi e, a distanza di 23 anni, sono riuscito
finalmente a scriverlo.
Fonte: Batte forte il cuore © 1
dicembre 2008
Fotografie: Sinnos Editore
© Biancoeneroedizioni.it
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Icona: Itcleanpng.com ©
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"Batte forte il
cuore": in un romanzo la tragedia dell’Heysel
di Gianluca Parisi
L’autore Fabrizio Casa
alla Cooperativa Equovadis presenterà il suo romanzo
ispirato alla finale Juventus-Liverpool.
Presentare
un romanzo in una bottega del commercio equo e solidale
? Accade nel quartiere Flaminio alla Cooperativa
Equovadis, dove domenica 8 febbraio si parlerà
dell’ultimo romanzo di Fabrizio Casa, Batte forte il
cuore, edito dalla romana Sinnos nella collana "Zonafranca".
Fabrizio Casa è giornalista e scrittore: cura la rubrica
"Ragazzi" di Rai Televideo, collabora con il Consiglio
Nazionale delle Ricerche come divulgatore ed è ideatore
di trasmissione televisive. Questo suo romanzo è nato da
un episodio che è entrato a far parte della memoria
collettiva, in particolare dei tifosi di calcio: la
finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool,
disputata allo stadio Heysel di Bruxelles il 29 maggio
1985 (39 persone morirono, schiacciate contro i
cancelli, precipitate dal parapetto, travolte dalla
folla). La partita si era disputata ugualmente, la
Juventus aveva vinto 1-0, grazie a un calcio di rigore
realizzato da Platini, a metà del secondo tempo.
L’autore e Corrado Sannucci commentando quest’episodio
si trovarono d’accordo su un punto: Platini doveva
tirarlo fuori quel rigore... Intorno a questo tema - che
tornerà nel momento culmine della storia - Fabrizio Casa
ha saputo costruire un romanzo corale, con personaggi
che difficilmente si dimenticheranno: il piccolo Ando, e
il suo mondo di Chiari e Scuri; il giovane Lindo, che
lotta fino alla fine per riscattarsi da un futuro
sociale e affettivo apparentemente già scontato;
Vinicio, che passa da un’infanzia carica di
responsabilità a un forte impatto con il mondo degli
adulti, non senza sofferenza; Giuvenale Liborio
(l’anziano ispettore che riuscirà a risolvere la serie
di omicidi) e Liborio Giovenale (il giovane allenatore
della squadra dell’Interpopolare), legati dal nome e dai
giochi del destino che li farà diventare via via
confidenti e poi amici… La Cooperativa Equovadis, che
ospita l’evento, nasce nel 2004 con lo scopo primario di
diffondere e sensibilizzare al commercio equo e solidale
e, più in generale, al consumo critico, inteso come
strumento alternativo per radicare nel territorio la
consapevolezza ed il rispetto dei diritti umani e della
solidarietà. Il romanzo di Casa si inserisce
egregiamente in questo delicato compito di
"fertilizzare" le coscienze all’accoglienza della
diversità e dei suoi drammi. Per l’occasione l’autore
terrà un dibattito aperto coi ragazzi, cui seguirà una
merenda collettiva ...
(NdR: omissis)
Fonte:
Abitarearoma.net © 4 Febbraio 2009
Fotografia:
GETTY IMAGES © (Not
for commercial use)
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Letteratura: "Batte
forte il cuore", storie di ragazzi
di Andrea Monda
Romanzo di formazione dal forte impatto etico,
l'ultimo lavoro di Fabrizio Casa è pensato per un
pubblico non solo di giovanissimi.
La
dedica fa già capire tutto: "A Ferenc Molnar per "I
ragazzi della via Pal" e Stephen King per "Stand by me",
le più belle storie di ragazzi che diventano grandi". E
"Batte forte il cuore" (Sinnos), secondo romanzo di
Fabrizio Casa, dopo "Le metamorfosi di Ghinta", del
2001, è proprio un omaggio a questi due classici della
letteratura per ragazzi che, inevitabilmente, non è mai
solo per ragazzi. Fabrizio Casa è un "giovanilissimo
cinquantenne" amante dello sport e dei ragazzi, che ha
fatto del rapporto con le generazioni più piccole un
punto di distinzione della sua carriera non solo come
scrittore ma anche come giornalista, autore di
trasmissioni tv e ideatore di giochi da tavolo. Era da
molto tempo che "covava" questa storia, oltre venti
anni. Una storia che in effetti può assomigliare ad un
"mix" tra la storia immortale di Molnar e quella di
King, diventata celebre anche grazie al film di Rob
Reiner. C’è una banda di ragazzi, che si crea un proprio
territorio in cui vige il comandamento dell’extra omnes
e c’è un viaggio, più interiore che fisico, che porta a
toccare con mano l’acre odore della morte, ciò che più
di ogni altra cosa (escluso l’amore) costringe ogni
ragazzo a quella rapida e palpitante crescita che
comporta l’abbandono del magico mondo dell’infanzia.
Vinicio e il suo fratellino Ando (efficacissima figura
di bambino geniale e "veggente") sono i protagonisti
della storia che si svolge in un luogo e in un tempo non
precisamente identificati: un Paese sudamericano ? Nella
prima o nella seconda metà del ’900 ? O forse oggi ?
Senz’altro è un Paese sotto il tallone di una violenta
dittatura che ricorda per certi versi la società divisa
in "caste" descritta dal film "Metropolis" di Fritz Lang
con una città di benestanti rigidamente separata dal
"mondo fuori", violento e misero. In questo contesto si
muovono Vinicio e i suoi amici, circondati, quasi
"braccati" dal vuoto quotidiano della vita "fuori città"
e da una confusa ansia di crescere: "Una volta Vinicio,
che ogni giorno si faceva più spavaldo, aveva
commentato: "Quando sarà il momento usciremo, ma ancora
non siamo pronti". Tutti avevano annuito convinti, ma
nessuno si era chiesto quale sarebbe stato il momento e
soprattutto che cosa volesse dire essere pronti".
L’attesa è la dimensione tipica dell’infanzia e
dell’adolescenza ed è il senso più profondo della
vicenda della banda dell’Ortomagico (così si chiamano
tra loro Vinicio e i suoi, da quando hanno scoperto un
cunicolo sotterraneo che porta al di sotto della città
proibita, quasi un mondo parallelo e opposto a quello
reale). Romanzo di formazione, dal forte impianto e
impatto etico, "Batte forte il cuore" si rivela in
controluce molto più di un libro per ragazzi, una storia
in cui anche l’atmosfera fantasy, l’utopia negativa e il
giallo fanno capolino inseriti, con misura e discrezione
da una scrittura ad un tempo matura e vibrante,
accattivando il lettore, non solo quello giovanissimo.
"Batte forte il cuore", di Fabrizio Casa, Sinnos, 323
pp., 15 euro.
Fonte:
Romasette.it © 19 gennaio 2009
Fotografia:
Wikipedia.org ©
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"Batte forte il cuore"
di Fabrizio Casa
Un romanzo corale, che va diretto al cuore dei
giovani.
C’è
un Muro che divide la Città dai Bastioni, come fu a
Berlino, com’è oggi in Palestina. Ma non può fermare i
sogni. E i protagonisti di questo romanzo di sogni ne
hanno tanti: Lindo vuole diventare calciatore, Nita la
ragazza del gruppo, Vinicio cerca il padre che se n’è
andato. Le loro avventure s’intrecciano alle vicende che
accadono a ridosso del Muro: un assassino che terrorizza
la Città, un commissario che gli dà la caccia, un prete
che si ribella al potere, un allenatore di calcio che fa
sognare i suoi tifosi. E una rivoluzione che non può più
essere rimandata.
Fonte:
Fidarelibri.blogspot.it © 29 novembre 2008
Fotografie:
Sinnos Editore
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Biancoeneroedizioni.it
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Il calcio non è pronto
di Fabrizio Casa
Un nostro collaboratore, campione mancato,
interviene sulla tragedia di Heysel e sulle sue
conseguenze.
Scrivo
di calcio femminile su "Reporter" e in generale mi
occupo di sport minori, quelli dove il business non è
entrato e forse non entrerà mai. La mia grande passione,
o addirittura amore, è il calcio. Sono stato calciatore,
ora allenatore, mi piace parlarne e scriverne. Anche io
mi sento parte della Tribù. Ma mai come ora sento il
divorzio vicino, un’inevitabile separazione. Sensazione
che mi ha sfiorato molte volte quando piccolo calciatore
venivo fatto giocare dopo un mese di gesso dai miei
dirigenti solo per essere messo in vetrina; quando ho
conosciuto le storie calcistiche di miei amici che
avevano girato mezza Italia come un pacco postale e ad
ogni recapito qualcuno ci steccava sul prezzo di vendita
o di prestito del loro cartellino; o quando, in tempi
recenti, mi ritrovo, a fare qualche torneo amatoriale e
un terzino pensa bene di picchiarmi per novanta minuti;
pur sapendo che io cerco solo un po’ di divertimento e
un momento di apparente gloria in cui annegare le mie
delusioni agonistiche. Per questo il calcio non è
pronto. E bisogna usare parole dure - sottolineo anch’io
senza criminalizzare - ed essere spietati giudici degli
altri, che non è bello lo so, ma necessario. Ho ancora
un barlume di buon senso per capire, le motivazioni di
alcune prese di posizione e la buona volontà dei molti,
italiani e non, che si sono interrogati sui fatti di
Bruxelles. Capisco chi fa il nazionalista a spada
tratta, chi rivendica il sangue dei propri morti per
onorare un trofeo, chi nel tumulto di quella sera ha
trovato la voglia, con parole o con fatti, di mostrarci
la validità dell’impresa "sportiva": li capisco, ma non
mi piacciono. Capisco anche, e mi piacciono di più,
quelli che si sono preoccupati subito di una
pacificazione sportiva, che non hanno avuto la frenesia
di chiamare inglesi gli assassini, ma assassini gli
assassini, quelli che auspicano una Supercoppa fra
Juventus ed Everton a Liverpool. E mi costringo infine a
capire anche chi ha celebrato la strage sui muri o, per
opposti motivi, a suon di clacson nelle strade d’Italia.
Ho il dovere di capire tutte queste persone perché sono
dentro di me, che volente o nolente faccio parte della
loro stessa Tribù, perché mai come negli ultimi anni il
calcio è stato parte della nostra cultura: per questo il
calcio non è pronto. Non è pronto a partite, spareggi,
scudetti, campionati del mondo, a campioni, personaggi,
tifosi. E io me ne accorgo solo adesso ? Sì è vero, ho
avuto bisogno dei morti e sento tutto il peso di questa
vergogna, ma non è il momento di criminalizzare nessuno,
tanto meno me stesso. Voglio avere lucidità e coraggio,
io, come membro della Tribù, sono stato fra i più
fortunati: ho passato la settimana precedente alla
finale in Ungheria, al seguito della Nazionale Femminile
di calcio. Fortunato perché immune da tutto il clamore
intorno all’ evento partita dell'anno. Di questo vaccino
ancora provo gli influssi e sento il bisogno di fare un
passo indietro rispetto a quasi tutte le cose che ho
letto e sentito in questi giorni. Perché da noi il
calcio non può ridiventare sport come ce ne sono tanti,
senza che continui ad essere venerato con tutti i suoi
sacri riti ? Perché siamo ipnotizzati dai Processi del
Lunedì, dai Novantesimi Minuti, dalle Domeniche Sportive
? Perché la maggior parte dei tifosi non sa distinguere
un fallo di ostruzione da una carica di spalla ? Perché
la prima cosa che si insegna a un ragazzino è il modo di
colpire in maniera cattiva l’avversario ? lo credo che
Bruxelles sia dietro tutto questo, e anzi la lista della
spesa è ancora più ricca di voci se solo si vuole
allungarla. Se mai si farà la Supercoppa a Liverpool
potranno succedere incidenti o filare tutto liscio e, in
ognuno dei due casi ci sarà chi ripeterà "io l’avevo
detto". Ma nulla cambia: i miei perché stanno là
inamovibili. Per questo il calcio non è pronto.
Fonte:
Reporter © 7 giugno 1985
Fotografie: Reporter
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