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BIBLIOGRAFIA
HEYSEL |
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INTERVISTE
HEYSEL
EMILIO TARGIA |
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JUVE / IL RICORDO
Emilio Targia racconta
la sua esperienza nel podcast "Dentro l'Heysel": "Serve
una costante manutenzione della memoria, per evitare,
che si continuino a ferire le vittime e i loro
familiari".
"Heysel, manca
rispetto e si coltiva con II ricordo"
di Sergio Baldini
"Quando sento certi
cori provo rabbia, anche per le istituzioni che non
puniscono. Spero che raccontare quel dolore serva a
cambiare".
TRENTANOVE
- Domani saranno trascorsi 39 anni dalla tragedia delle
39 vittime dello stadio Heysel di Bruxelles, morte a
causa dei disordini nel prepartita della finale di Coppa
dei Campioni tra Juventus e Liverpool. "E’ un numero che
fa effetto ammette Emilio Targia, caporedattore di Radio
Radicale che quel 29 maggio 1985 era all'Heysel da
neanche ventenne tifoso bianconero. Ogni anniversario è
drammatico, ma questo fa un po' più effetto perché
ricorda quel numero lì".
SERGIO BALDINI: Come si sente quando
si avvicina il 29 maggio ?
"Non è sempre uguale. Le
ferite non si riaprono e si richiudono in tempi
simmetrici. Per il mio lavoro cerco di far sì che non si
proceda solo per anniversari, ma provo a infilare la
divulgazione sulla strage dell'Heysel anche durante
l'anno. Dopodiché, inevitabilmente e anche giustamente
il 29 maggio si accende una luce in più. Quello che mi
preme però è "fare manutenzione di memoria". Sempre.
Sempre. È una frase bellissima di Marco Paolini. Mi
preme evitare che ci sia una "giornata dell'Heysel",
come ci sono altre "giornate di", e poi per 364 giorni
non se ne occupa più nessuno".
SERGIO BALDINI: È per combattere
questa "propensione all'oblio" che ha sentito l'esigenza
di scrivere due libri e ora realizzare un podcast ?
"Quella è proprio una malattia
italiana. Per questo cerchiamo di tenere alto il profilo
della memoria: perché uno pensa che l'Heysel non possa
essere dimenticato e non è vero. Nel silenzio,
nell'approssimazione, maturano i germi di malattie che
mutano la realtà dei fatti e la fanno arrivare distorta.
Germi contro cui serve creare anticorpi. Il primo libro
"Heysel Prova di memoria" era proprio una raccolta di
memorie e documenti. Poi con Sperling
& Kupfer abbiamo
fatto "Quella notte all'Heysel" perché mi ero un po'
stufato sentire raccontare l'Heysel da chi non c'era
stato, leggendo anche ricostruzioni un po' così... Il
podcast, prodotto con Mondadori e ascoltabile gratis
sulle principali piattaforme (Spotify, Spreaker Apple
Podcast, Amazon Music, NdR) si chiama "Dentro l'Heysel"
perché significa far entrare all’'Heysel quelli che per
fortuna non ci sono stati. Io avevo nemmeno 20 anni e mi
ero portato una telecamera Super 8 e un registratore a
cassette. Quei suoni e quelle voci sono nel podcast, di
cui domani esce la 3^ puntata, e il sonoro aiuta
tantissimo a percepire meglio quello che è successo.
Anche grazie alla musica di Gianluca Casadei".
SERGIO BALDINI: Cos'è mancato di più
in questi anni ?
"Il rispetto. Da chi ha
scritto o raccontato a sproposito, da chi ha trattato
l'Heysel come questione di fazioni calcistiche. E non lo
è, perché sono morte 39 persone, di cui 7 non italiane e
32 tra le quali anche tifosi di altre squadre. E
ovviamente quando parlo di mancanza di rispetto penso
anche a certi cori negli stadi: chi offende le vittime
dell'Heysel, non conoscendo quel dolore, continua a
ferire, perché i familiari di 39 vittime e 600 feriti
sono migliaia di persone. Un'offesa costante che non ha
senso e che quasi sempre, inspiegabilmente, non viene
punita. Da una parte quando li sento provo rabbia, da
un'altra vorrei più attenzione dalle istituzioni, da
un'altra spero che raccontare, soprattutto nelle scuole,
possa servire: magari gettiamo un seme e in futuro quei
ragazzini, conoscendo il dolore dell'Heysel, non
trasformeranno in slogan un'offesa gravissima ai morti e
ai familiari".
Fonte:
Tuttosport © 28 maggio 2024
Fotografie:
Sperling
&
Kupfer
© Emilio
Targia
©
Tuttosport ©
Icona: Itcleanpng.com ©
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Juve, "L'Heysel è di tutti, è una
questione di memoria civile"
di Guido Vaciago
Lo scrittore Targia: "L'Heysel è un
pezzo di storia drammatica del nostro Paese e come tale
deve essere trattata: scritta con rigore e letta con
attenzione perché la memoria non venga manomessa".
GUIDO VACIAGO: Buongiorno Targia, a 31 anni di
distanza perché bisogna ancora parlare dell’Heysel ?
"Perché è un pezzo di storia
drammatica del nostro Paese e come tale deve essere
trattata: scritta con rigore e letta con attenzione.
L’Heysel deve essere una questione di condivisione
collettiva della memoria. Io aggiungo una motivazione
personale, perché ero lì 31 anni fa e da giornalista
sento una responsabilità raddoppiata perché la memoria
non venga manomessa".
GUIDO VACIAGO: Chi o cosa manomette la memoria
dell’Heysel ?
"L’indifferenza, la superficialità
e la disattenzione. Chi la liquida come un fatto
calcistico e basta, chi la racconta con un taglio
amorale senza approfondire la sostanza di quel dramma,
chi ne parla senza prima cercare di confrontarsi con il
dolore di 39 famiglie e 300 persone ferite. Troppo
spesso si trascura quel dolore. Non lo conoscono quelli
che lo insultano negli stadi: la loro è pura ignoranza
e, in piccola parte, volgare ostentazione di odio per
offendere una tifoseria in una parte molto sensibile dei
suoi sentimenti. Per tutte queste cose dobbiamo
continuare a ricordare e compiere una regolare
manutenzione della memoria".
GUIDO VACIAGO: La lezione del 29 maggio 1985 ha
migliorato il calcio negli ultimi 31 anni ?
"Non ha certamente migliorato una
parte dei tifosi, quelli che continuano a perseguire la
follia della violenza, fisica o verbale. Purtroppo si
respira ancora un clima troppo pesante in certi stadi.
In compenso credo che sul fronte dell’organizzazione dei
grandi eventi siano effettivamente compiuti progressi:
l’Uefa oggi non ripeterebbe nessuno degli errori del
1985 e probabilmente anche le istituzioni belga".
GUIDO VACIAGO: Lei ha continuato a seguire il
calcio "da tifoso": quante volte ha pensato all’Heysel
in uno stadio ?
"Alcune volte, non sempre. Mai
nello Stadium dove mi sento a casa, al sicuro.
Altrove... A proposito delle cose migliorate o
peggiorare: l’obsolescenza di certi nostri impianti non
è certo un aiuto alla sicurezza".
GUIDO
VACIAGO: Crede che una parte del popolo
juventino abbia rimosso o voglia rimuovere l’Heysel ?
"No, non credo, la maggior parte
dei tifosi della Juventus che conosco no".
GUIDO VACIAGO: Per ricordare è meglio una stele o
un dibattito ?
"Non saprei si entra in un
territorio complicato, quello della memoria. Credo che
la società, per esempio, si stia muovendo molto bene
negli ultimi anni. Le associazioni e i comitati lavorano
molto, ma non sempre coordinati: una maggiore
condivisione aiuterebbe anche mediaticamente il ricordo
dell’Heysel. Personalmente sono stupefatto di come la
promozione del mio libro dell’anno scorso stia
continuando per le richieste che ricevo in tutta Italia
(ieri era a Venosa in Basilicata): c’è un desiderio di
sentire raccontare quella storia e le generazioni più
giovani sono le più ricettive: capiscono meglio la
portata della vicenda perché la affrontano senza
preconcetti".
GUIDO VACIAGO: Da tifoso della Juventus come vive
quella Coppa ?
"Tema delicatissimo. Diciamo che è
giusto che sia a casa Juve, nel museo, perché a chi
dice: "andava restituita", domando: a chi ? All’Uefa ?
Quella Coppa è un pezzo di memoria, è un ricordo
prismatico che ogni volta mi fa pensare a qualcosa di
diverso: al dolore, ai patimenti, alla faccia di
Scirea...".
GUIDO VACIAGO: Molti criticarono l’ostentazione di
quel trofeo nel dopo partita.
"Quel giro di campo l’ho filmato
con il mio super8 e l’ho rivisto con il mio occhio
analogico. Eravamo, erano tutti sotto choc, c’era
Tardelli che salutava la Juventus e poi c’era la
richiesta delle forze dell’ordine: distrarre i tifosi
juventini per evitare altri incroci pericolosi con gli
inglesi. Non ho mai visto gioia, solo smarrimento".
EMILIO TARGIA:
giornalista di
Radio Radicale e scrittore, è autore di due libri sulla
tragedia di Bruxelles. "Quella notte all’Heysel" è
scritto in prima persona e racconta l’esperienza di
Targia, che il 29 maggio 1985 era fra gli spettatori
della finale di Coppa dei Campioni Juventus-Liverpool,
prima della quale morirono 39 tifosi bianconeri in
seguito a una folle carica di quelli inglesi. Ne esce
una narrazione dal forte impatto emotivo, ma che resta
rigoroso sotto il profilo storico. Nell’ampio panorama
sull’argomento uno dei testi più ficcanti pe ricordare o
conoscere una delle pagine più drammatiche del calcio,
indipendentemente dai colori che si amano o dalla
squadra per la quale si tifa.
Fonte:
Tuttosport.com
© 29 maggio 2016
Fotografie:
Emilio Targia
©
Icona: Itcleanpng.com ©
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Heysel: 30 anni dopo, la denuncia
"agenti erano tutti in ferie"
(AGI) - Roma, 26 mag. - Da 30 anni,
il 29 maggio è una data che fa male, una data che deve
essere ricordata. Il 29 maggio 1985, 39 persone morirono
allo stadio Heysel di Bruxelles, poco prima della finale
di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool. Gli
inglesi ubriachi, approfittando della mancanza di forze
dell'ordine - in ferie dopo la visita del Papa in
Belgio, è la denuncia di chi quel giorno era lì -
caricarono i supporters bianconeri che per difendersi si
ammassarono contro il parapetto del settore ospiti. La
barriera cedette e a decine precipitarono nel vuoto. Da
allora molto si è detto e scritto, spesso perdendo di
vista l'unica cosa che conta: il mantenimento della
memoria e della verità, nel rispetto delle vittime e dei
loro famigliari. Emilio Targia, giornalista testimone,
nel libro 'Quella notte all'Heysel' (Sperling
& Kupfer, 178
pagine, 14,90 euro) ripercorre lucidamente la vicenda,
raccontando quello che ha visto all'interno dello
stadio, condividendo lo sgomento, l’incredulità e la
rabbia che seguirono.
(AGI) - Heysel continua a "vivere" con
noi e, spesso, contro la pigrizia della nostra memoria.
Qual è la prima immagine che viene in mente riavvolgendo
il nastro ?
EMILIO TARGIA - "Un padre di famiglia. Un uomo
che, preso da un attimo di follia, mi affida il figlio e
tenta di raggiungere il settore Z che avevamo di fronte.
E' stato un attimo, poi probabilmente si sarà reso conto
che non avrebbe potuto essere d'aiuto in nessun modo, ed
è tornato indietro. Ma un'altra immagine che resterà
indelebile nella memoria è il mio ritorno allo stadio il
giorno seguente. Ero andato per portare un mazzo di
fiori e mi ritrovai a camminare tra sciarpe
insanguinate, macerie e scarpe rimaste a terra".
(AGI) - Cosa ha scatenato il tutto ?
EMILIO TARGIA - "Non fu una sola la causa. Più
che altro fu una serie di eventi. Uno stadio obsoleto e
fatiscente, un servizio d'ordine non all'altezza e
migliaia di inglesi ubriachi pronti a "caricare" i
tifosi italiani. Fu tutto sbagliato anche la vendita dei
biglietti, troppi, e infine anche il mancato divieto di
vendita di alcol".
(AGI) - Entrati allo stadio avevate
avuto il sentore che potesse accadere qualcosa ? Avevate
capito la gravità della situazione ?
EMILIO TARGIA - "Eravamo a conoscenza delle
"turbolenze" dei tifosi del Liverpool. Arrivando allo
stadio avevamo incontrato inglesi ubriachi, avevamo
sentito parlare di risse, ma non pensavamo che la
situazione potesse degenerare in questo modo. L'anno
prima a Roma c'era stato l'incontro con il Liverpool, in
uno stadio grande il doppio, non c'erano stati problemi
e tutto era stato gestito bene. Come avremmo potuto
immaginare che i belgi sarebbero potuti essere tanto
disorganizzati ? Qualche tempo dopo si venne a sapere
che il Papa, Giovanni Paolo II, quindici giorni prima
del mach era andato in visita a Bruxelles e per
l'occasione erano stati impiegati i corpi d'élite
specializzati nell'ordine pubblico. Il giorno
dell'incontro erano tutti in ferie".
(AGI) - E le forze dell'ordine presenti
allo stadio, come intervennero ?
EMILIO TARGIA - "I poliziotti sul campo erano
davvero pochi, io ne contai 5 o 6. Mi dissero che molti
erano impegnati fuori dallo stadio, nessuno si rese
conto che il rischio e la situazione da tenere sotto
controllo era all'interno. Appena iniziò lo spostamento
di massa, qualche italiano riuscì a fuggire "invadendo"
il campo, ma fu preso a manganellate. Il servizio di
sicurezza non era stato nemmeno addestrato sui colori
delle maglie delle due squadre, non riuscivano a
riconoscere gli hooligans dai tifosi italiani".
(AGI) - Le autorità calcistiche
decisero comunque di far disputare la partita, è stata
una scelta giusta ?
EMILIO TARGIA - "Assolutamente sì. Sarebbe stato
un gesto folle non far disputare la gara. Sarebbero
venute a contatto le curve e si sarebbe scatenato
l'inferno".
(AGI) - Qual è il modo migliore per non
dimenticare i 39 morti ?
EMILIO TARGIA - "Un buon esempio lo ha dato la
curva della Juve nel corso dell'ultima partita contro il
Napoli, issando uno striscione con i nomi dei 39 tifosi
morti nella tragedia. Non bisognerebbe parlare solo di
numeri, ma raccontare storie per far capire e non
dimenticare. Mi piacerebbe che il Coni, la Uefa, la Lega
insomma le autorità calcistiche organizzassero un minuto
di silenzio, anche in tutti gli stadi, domenica prossima
per il trentennale".
Fonte:
Agi.it
© 26 maggio 2015
Fotografie:
Juventus Club Venosa
©
Emilio Targia
©
GETTY IMAGES
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for Commercial Use)
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