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Quella notte all'Heysel Emilio Targia 2015
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JUVE / IL RICORDO

Emilio Targia racconta la sua esperienza nel podcast "Dentro l'Heysel": "Serve una costante manutenzione della memoria, per evitare, che si continuino a ferire le vittime e i loro familiari".

"Heysel, manca rispetto e si coltiva con II ricordo"

di Sergio Baldini

"Quando sento certi cori provo rabbia, anche per le istituzioni che non puniscono. Spero che raccontare quel dolore serva a cambiare".

TRENTANOVE - Domani saranno trascorsi 39 anni dalla tragedia delle 39 vittime dello stadio Heysel di Bruxelles, morte a causa dei disordini nel prepartita della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool. "E’ un numero che fa effetto ammette Emilio Targia, caporedattore di Radio Radicale che quel 29 maggio 1985 era all'Heysel da neanche ventenne tifoso bianconero. Ogni anniversario è drammatico, ma questo fa un po' più effetto perché ricorda quel numero lì".

SERGIO BALDINI: Come si sente quando si avvicina il 29 maggio ?

"Non è sempre uguale. Le ferite non si riaprono e si richiudono in tempi simmetrici. Per il mio lavoro cerco di far sì che non si proceda solo per anniversari, ma provo a infilare la divulgazione sulla strage dell'Heysel anche durante l'anno. Dopodiché, inevitabilmente e anche giustamente il 29 maggio si accende una luce in più. Quello che mi preme però è "fare manutenzione di memoria". Sempre. Sempre. È una frase bellissima di Marco Paolini. Mi preme evitare che ci sia una "giornata dell'Heysel", come ci sono altre "giornate di", e poi per 364 giorni non se ne occupa più nessuno".

SERGIO BALDINI: È per combattere questa "propensione all'oblio" che ha sentito l'esigenza di scrivere due libri e ora realizzare un podcast ?

"Quella è proprio una malattia italiana. Per questo cerchiamo di tenere alto il profilo della memoria: perché uno pensa che l'Heysel non possa essere dimenticato e non è vero. Nel silenzio, nell'approssimazione, maturano i germi di malattie che mutano la realtà dei fatti e la fanno arrivare distorta. Germi contro cui serve creare anticorpi. Il primo libro "Heysel Prova di memoria" era proprio una raccolta di memorie e documenti. Poi con Sperling & Kupfer abbiamo fatto "Quella notte all'Heysel" perché mi ero un po' stufato sentire raccontare l'Heysel da chi non c'era stato, leggendo anche ricostruzioni un po' così... Il podcast, prodotto con Mondadori e ascoltabile gratis sulle principali piattaforme (Spotify, Spreaker Apple Podcast, Amazon Music, NdR) si chiama "Dentro l'Heysel" perché significa far entrare all’'Heysel quelli che per fortuna non ci sono stati. Io avevo nemmeno 20 anni e mi ero portato una telecamera Super 8 e un registratore a cassette. Quei suoni e quelle voci sono nel podcast, di cui domani esce la 3^ puntata, e il sonoro aiuta tantissimo a percepire meglio quello che è successo. Anche grazie alla musica di Gianluca Casadei".

SERGIO BALDINI: Cos'è mancato di più in questi anni ?

"Il rispetto. Da chi ha scritto o raccontato a sproposito, da chi ha trattato l'Heysel come questione di fazioni calcistiche. E non lo è, perché sono morte 39 persone, di cui 7 non italiane e 32 tra le quali anche tifosi di altre squadre. E ovviamente quando parlo di mancanza di rispetto penso anche a certi cori negli stadi: chi offende le vittime dell'Heysel, non conoscendo quel dolore, continua a ferire, perché i familiari di 39 vittime e 600 feriti sono migliaia di persone. Un'offesa costante che non ha senso e che quasi sempre, inspiegabilmente, non viene punita. Da una parte quando li sento provo rabbia, da un'altra vorrei più attenzione dalle istituzioni, da un'altra spero che raccontare, soprattutto nelle scuole, possa servire: magari gettiamo un seme e in futuro quei ragazzini, conoscendo il dolore dell'Heysel, non trasformeranno in slogan un'offesa gravissima ai morti e ai familiari". Fonte: Tuttosport © 28 maggio 2024 Fotografie: Sperling & Kupfer © Emilio Targia © Tuttosport © Icona: Itcleanpng.com ©

 

Juve, "L'Heysel è di tutti, è una questione di memoria civile"

di Guido Vaciago

Lo scrittore Targia: "L'Heysel è un pezzo di storia drammatica del nostro Paese e come tale deve essere trattata: scritta con rigore e letta con attenzione perché la memoria non venga manomessa".

GUIDO VACIAGO: Buongiorno Targia, a 31 anni di distanza perché bisogna ancora parlare dell’Heysel ?

"Perché è un pezzo di storia drammatica del nostro Paese e come tale deve essere trattata: scritta con rigore e letta con attenzione. L’Heysel deve essere una questione di condivisione collettiva della memoria. Io aggiungo una motivazione personale, perché ero lì 31 anni fa e da giornalista sento una responsabilità raddoppiata perché la memoria non venga manomessa".

GUIDO VACIAGO: Chi o cosa manomette la memoria dell’Heysel ?

"L’indifferenza, la superficialità e la disattenzione. Chi la liquida come un fatto calcistico e basta, chi la racconta con un taglio amorale senza approfondire la sostanza di quel dramma, chi ne parla senza prima cercare di confrontarsi con il dolore di 39 famiglie e 300 persone ferite. Troppo spesso si trascura quel dolore. Non lo conoscono quelli che lo insultano negli stadi: la loro è pura ignoranza e, in piccola parte, volgare ostentazione di odio per offendere una tifoseria in una parte molto sensibile dei suoi sentimenti. Per tutte queste cose dobbiamo continuare a ricordare e compiere una regolare manutenzione della memoria".

GUIDO VACIAGO: La lezione del 29 maggio 1985 ha migliorato il calcio negli ultimi 31 anni ?

"Non ha certamente migliorato una parte dei tifosi, quelli che continuano a perseguire la follia della violenza, fisica o verbale. Purtroppo si respira ancora un clima troppo pesante in certi stadi. In compenso credo che sul fronte dell’organizzazione dei grandi eventi siano effettivamente compiuti progressi: l’Uefa oggi non ripeterebbe nessuno degli errori del 1985 e probabilmente anche le istituzioni belga".

GUIDO VACIAGO: Lei ha continuato a seguire il calcio "da tifoso": quante volte ha pensato all’Heysel in uno stadio ?

"Alcune volte, non sempre. Mai nello Stadium dove mi sento a casa, al sicuro. Altrove... A proposito delle cose migliorate o peggiorare: l’obsolescenza di certi nostri impianti non è certo un aiuto alla sicurezza".

GUIDO VACIAGO: Crede che una parte del popolo juventino abbia rimosso o voglia rimuovere l’Heysel ?

"No, non credo, la maggior parte dei tifosi della Juventus che conosco no".

GUIDO VACIAGO: Per ricordare è meglio una stele o un dibattito ?

"Non saprei si entra in un territorio complicato, quello della memoria. Credo che la società, per esempio, si stia muovendo molto bene negli ultimi anni. Le associazioni e i comitati lavorano molto, ma non sempre coordinati: una maggiore condivisione aiuterebbe anche mediaticamente il ricordo dell’Heysel. Personalmente sono stupefatto di come la promozione del mio libro dell’anno scorso stia continuando per le richieste che ricevo in tutta Italia (ieri era a Venosa in Basilicata): c’è un desiderio di sentire raccontare quella storia e le generazioni più giovani sono le più ricettive: capiscono meglio la portata della vicenda perché la affrontano senza preconcetti".

GUIDO VACIAGO: Da tifoso della Juventus come vive quella Coppa ?

"Tema delicatissimo. Diciamo che è giusto che sia a casa Juve, nel museo, perché a chi dice: "andava restituita", domando: a chi ? All’Uefa ? Quella Coppa è un pezzo di memoria, è un ricordo prismatico che ogni volta mi fa pensare a qualcosa di diverso: al dolore, ai patimenti, alla faccia di Scirea...".

GUIDO VACIAGO: Molti criticarono l’ostentazione di quel trofeo nel dopo partita.

"Quel giro di campo l’ho filmato con il mio super8 e l’ho rivisto con il mio occhio analogico. Eravamo, erano tutti sotto choc, c’era Tardelli che salutava la Juventus e poi c’era la richiesta delle forze dell’ordine: distrarre i tifosi juventini per evitare altri incroci pericolosi con gli inglesi. Non ho mai visto gioia, solo smarrimento".

EMILIO TARGIA: giornalista di Radio Radicale e scrittore, è autore di due libri sulla tragedia di Bruxelles. "Quella notte all’Heysel" è scritto in prima persona e racconta l’esperienza di Targia, che il 29 maggio 1985 era fra gli spettatori della finale di Coppa dei Campioni Juventus-Liverpool, prima della quale morirono 39 tifosi bianconeri in seguito a una folle carica di quelli inglesi. Ne esce una narrazione dal forte impatto emotivo, ma che resta rigoroso sotto il profilo storico. Nell’ampio panorama sull’argomento uno dei testi più ficcanti pe ricordare o conoscere una delle pagine più drammatiche del calcio, indipendentemente dai colori che si amano o dalla squadra per la quale si tifa. Fonte: Tuttosport.com © 29 maggio 2016 Fotografie: Emilio Targia © Icona: Itcleanpng.com ©

 

Heysel: 30 anni dopo, la denuncia "agenti erano tutti in ferie"

(AGI) - Roma, 26 mag. - Da 30 anni, il 29 maggio è una data che fa male, una data che deve essere ricordata. Il 29 maggio 1985, 39 persone morirono allo stadio Heysel di Bruxelles, poco prima della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool. Gli inglesi ubriachi, approfittando della mancanza di forze dell'ordine - in ferie dopo la visita del Papa in Belgio, è la denuncia di chi quel giorno era lì - caricarono i supporters bianconeri che per difendersi si ammassarono contro il parapetto del settore ospiti. La barriera cedette e a decine precipitarono nel vuoto. Da allora molto si è detto e scritto, spesso perdendo di vista l'unica cosa che conta: il mantenimento della memoria e della verità, nel rispetto delle vittime e dei loro famigliari. Emilio Targia, giornalista testimone, nel libro 'Quella notte all'Heysel' (Sperling & Kupfer, 178 pagine, 14,90 euro) ripercorre lucidamente la vicenda, raccontando quello che ha visto all'interno dello stadio, condividendo lo sgomento, l’incredulità e la rabbia che seguirono.

(AGI) - Heysel continua a "vivere" con noi e, spesso, contro la pigrizia della nostra memoria. Qual è la prima immagine che viene in mente riavvolgendo il nastro ?

EMILIO TARGIA - "Un padre di famiglia. Un uomo che, preso da un attimo di follia, mi affida il figlio e tenta di raggiungere il settore Z che avevamo di fronte. E' stato un attimo, poi probabilmente si sarà reso conto che non avrebbe potuto essere d'aiuto in nessun modo, ed è tornato indietro. Ma un'altra immagine che resterà indelebile nella memoria è il mio ritorno allo stadio il giorno seguente. Ero andato per portare un mazzo di fiori e mi ritrovai a camminare tra sciarpe insanguinate, macerie e scarpe rimaste a terra".

(AGI) - Cosa ha scatenato il tutto ?

EMILIO TARGIA - "Non fu una sola la causa. Più che altro fu una serie di eventi. Uno stadio obsoleto e fatiscente, un servizio d'ordine non all'altezza e migliaia di inglesi ubriachi pronti a "caricare" i tifosi italiani. Fu tutto sbagliato anche la vendita dei biglietti, troppi, e infine anche il mancato divieto di vendita di alcol".

(AGI) - Entrati allo stadio avevate avuto il sentore che potesse accadere qualcosa ? Avevate capito la gravità della situazione ?

EMILIO TARGIA - "Eravamo a conoscenza delle "turbolenze" dei tifosi del Liverpool. Arrivando allo stadio avevamo incontrato inglesi ubriachi, avevamo sentito parlare di risse, ma non pensavamo che la situazione potesse degenerare in questo modo. L'anno prima a Roma c'era stato l'incontro con il Liverpool, in uno stadio grande il doppio, non c'erano stati problemi e tutto era stato gestito bene. Come avremmo potuto immaginare che i belgi sarebbero potuti essere tanto disorganizzati ? Qualche tempo dopo si venne a sapere che il Papa, Giovanni Paolo II, quindici giorni prima del mach era andato in visita a Bruxelles e per l'occasione erano stati impiegati i corpi d'élite specializzati nell'ordine pubblico. Il giorno dell'incontro erano tutti in ferie".

(AGI) - E le forze dell'ordine presenti allo stadio, come intervennero ?

EMILIO TARGIA - "I poliziotti sul campo erano davvero pochi, io ne contai 5 o 6. Mi dissero che molti erano impegnati fuori dallo stadio, nessuno si rese conto che il rischio e la situazione da tenere sotto controllo era all'interno. Appena iniziò lo spostamento di massa, qualche italiano riuscì a fuggire "invadendo" il campo, ma fu preso a manganellate. Il servizio di sicurezza non era stato nemmeno addestrato sui colori delle maglie delle due squadre, non riuscivano a riconoscere gli hooligans dai tifosi italiani".

(AGI) - Le autorità calcistiche decisero comunque di far disputare la partita, è stata una scelta giusta ?

EMILIO TARGIA - "Assolutamente sì. Sarebbe stato un gesto folle non far disputare la gara. Sarebbero venute a contatto le curve e si sarebbe scatenato l'inferno".

(AGI) - Qual è il modo migliore per non dimenticare i 39 morti ?

EMILIO TARGIA - "Un buon esempio lo ha dato la curva della Juve nel corso dell'ultima partita contro il Napoli, issando uno striscione con i nomi dei 39 tifosi morti nella tragedia. Non bisognerebbe parlare solo di numeri, ma raccontare storie per far capire e non dimenticare. Mi piacerebbe che il Coni, la Uefa, la Lega insomma le autorità calcistiche organizzassero un minuto di silenzio, anche in tutti gli stadi, domenica prossima per il trentennale". Fonte: Agi.it © 26 maggio 2015 Fotografie: Juventus Club Venosa © Emilio Targia © GETTY IMAGES © (Not for Commercial Use) Icona: Itcleanpng.com ©

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