FEDERAZIONE
ITALIANA
GIUOCO CALCIO
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Stadio
"Roi
Baudouin"
Bruxelles 15.06.2000 |
Campionato Europeo di Calcio
Belgio - Italia |
Omaggio Floreale alla Lapide
in Memoria della Strage |
Commemorazione a Cura della
Nazionale Italiana di Calcio (F.I.G.C.) |
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Euro 2000,
l'Heysel e un imbarazzante silenzio
di Claudio
Leone
Cosa si può
fare in quindici anni ? Molto, quasi tutto. Di
certo, però, è un lasso di tempo troppo breve
per poter dimenticare: le ferite vengono lenite,
disinfettate o cauterizzate. Eppure, la
cicatrice resta lì, visibile ad occhio nudo e
sotto gli occhi di tutti. Non c’ero, quel 14
Giugno del 2000, al Re Baldovino di Bruxelles.
Perdonatemi, se per la prima volta abbandono i
panni del narratore esterno e parlo in prima
persona. Questo perché, in fondo, in questo Monday Night racconto un po’ anche di me,
fuoriuscendo dai classici meccanismi dello
storytelling. Non c’ero, ma ho un ricordo
cruciale di quella sera: per la prima volta
nella mia vita, sentii parlare dell’Heysel. Il
Re Baldovino, infatti, altro non era che il
nuovo volto, sapientemente ristrutturato per
motivi di sicurezza, di uno dei luoghi più
tragici nella storia del calcio italiano. Un
nuovo nome usato come pasta abrasiva, nel
tentativo di cancellare le tracce di una macchia
troppo grande per tutti. Ma sotto la scocca,
vividi più che mai, i graffi, tornati a galla in
una fresca sera di Nyon nel Dicembre del 1999.
Nella sede dell’UEFA, tutti compresero che
l’urna del sorteggio, beffarda come non mai,
avrebbe comportato un ritorno sul luogo del
delitto. 14 Giugno del 2000, Belgio - Italia.
Per la prima volta, a quindici anni dalla
strage, la nazionale italiana sarebbe scesa in
campo a pochi passi da quel settore Z, ormai
smantellato e riconvertito a nuova vita. I
bambini, si sa, sono pervasi da una fanciullesca
curiosità. Davanti al televisore, chiesi a chi
mi era intorno perché si parlasse così
frequentemente dell’Heysel. In fondo, per
l’Italia, sarebbe stata una partita come
un’altra all’interno del cammino in
quell’Europeo. Non ho memoria - sono sincero -
delle risposte ricevute, ma ho un’immagine fissa
nella mia mente, che coincide con quella
riportata in alto: Maldini e Conte, due mazzi di
fiori e il resto della squadra alle spalle. E in
sottofondo, una canzone disco emessa dagli
altoparlanti dello stadio. Fu tutto così
surreale, incluse le parole di Bruno Pizzul. La
stessa voce che nel 1985 cercò di raccontare
quanto stava accadendo nell’attesa di quella
finale di Champions League tra Juventus e
Liverpool, accompagnava con tono sommesso la
celebrazione, sordidamente sovrastato dalle note
musicali. In quella serata, mi godetti lo
spettacolo di una nazionale effervescente, il
gol di Stefano Fiore e un’esultanza mai vista,
tesa ad indicare nome e numero
termopressurizzati sulla divisa. Fu solo il
giorno dopo, tra le righe delle pagine di un
Corriere dello Sport divenuto fedele guida
calcistica della mia infanzia (insieme a Calcio
2000, ma non ditelo al direttore di 1000 Cuori
Rossoblu…), che scoprii dei 39 morti e di una
gara portata a termine in un’atmosfera surreale.
Scoprii, soprattutto, di un retroscena al limite
dell’omertoso. Di un’UEFA che rifiutò la
richiesta italiana di apporre la fascia nera al
braccio, di una serrata lotta con la FIGC per
avere la possibilità di ricordare quanto occorso
tre lustri prima. Della richiesta di una
commemorazione riservata solamente a Maldini,
capitano azzurro, e a Conte, omologo juventino,
seguita dal doveroso rifiuto della delegazione
azzurra, diretta in massa verso una basica
lapide marmorea recitante una data, quella del
29 Maggio 1985, e un generico "in memoriam".
Della commozione dei giocatori, soli di fronte
ad un ingombrante passato, senza lo straccio di
un annuncio degli speaker e con un’inappropriata
musica da discoteca a dissacrare il momento. E
soprattutto, di un imbarazzante silenzio delle
medesime istituzioni che già nel 1985 decisero,
incredibilmente, che lo show non doveva essere
fermato.
Fonte:
1000cuorirossoblu.it © 25 marzo 2019
Fotografie: GETTY IMAGES
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for Commercial Use)
© UEFA ©
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Tutti sotto
la curva Z, l'abbraccio azzurro è da pelle d'oca
di Paolo
Condò
La nazionale
rende omaggio alle 39 vittime della tragedia
dell'Heysel: viene scartata la partecipazione di
una delegazione, si va in gruppo. La cerimonia è
toccante, tanto che coinvolge anche i belgi.
Tutti sotto la curva Z, l'abbraccio azzurro è da
pelle d'oca.
DAL NOSTRO
INVIATO BRUXELLES - Sono le sette e un quarto
quando l'Italia esce dal suo spogliatoio, entra
nello stadio e, invece di dirigersi come al
solito sul prato verde, gira a sinistra e
s'incammina sul rosso pallido della pista di
atletica. C'è una parola da prendere alla
lettera questa volta - l'Italia - perché
qualcosa di potente ti si agita nello stomaco
mentre segui con lo sguardo la marcia degli
azzurri, e capisci che quel passo lento e
visibilmente deciso contiene i sentimenti di 56
milioni di persone, o quanti diavolo siamo noi
italiani. Paolo Maldini e Antonio Conte aprono
la sfilata perché uno è il capitano della
nazionale e l'altro è il capitano della
Juventus, il mazzo di 39 rose bianche lo porta
Paolo, ma di lì a poco, quando sarà il momento,
aspetterà che la mano di Antonio si unisca alla
sua per deporre i fiori insieme. Dietro a loro,
allargati su tutte le corsie, giocatori e
dirigenti mescolati camminano col volto serio,
molti con gli occhi bassi. Ci sono tutti: con
Zoff, Riva, Nizzola e il resto dello staff ecco
Del Piero e Totti, Cannavaro e Ambrosini, Toldo
e un emozionatissimo Abbiati. Tutti e ventidue:
una volta compreso che l'omaggio della nazionale
ai morti dell’Heysel non era una richiesta della
nostra Federcalcio, ma una semplice
comunicazione (nel senso che un "no" non sarebbe
stato accettato, e il mazzo di fiori sarebbe
stato deposto ugualmente), l'UEFA aveva
suggerito che ad andare sotto alla curva dove
una volta c'era il settore Z fosse una piccola
delegazione, il capitano e un paio di dirigenti.
"Se lo scordano" è stata la risposta compatta
degli azzurri, e questa è un’altra di quelle
cose che spiegano perché, nel vederli camminare
verso la lapide (In Memoriam, 29-05-85), la
pelle si è fatta d'oca. Nel minuto che ci
mettono ad arrivare lì, il disc-jockey dello
stadio non ha nemmeno la sensibilità di spegnere
gli altoparlanti, dai quali continua a
martellare la disco-music di "American pie", e
anche se non la sente nessuno è proprio una
schifezza; prima di dedicare ai belgi un
pensiero di rabbia, però, va detto che dietro a
Maldini e Conte, con un secondo mazzo di fiori
incellophanato, camminano il presidente della
federazione di Bruxelles, Michel D' Hooghe, e il
capitano Lorenzo Staelens, che hanno chiesto di
partecipare alla cerimonia ottenendo l'ovvio
abbraccio dei nostri. In molti si fanno il segno
della croce, mentre i fiori vengono appoggiati
sotto alla lapide, e i pochi tifosi belgi già
presenti nella curva corrono ad applaudire la
scena. Una breve preghiera, poi il corteo
riprende la strada dello spogliatoio. Quando i
giocatori rientreranno in campo per il
riscaldamento, un'ora dopo, troveranno la
migliore (e meritata) delle sorprese: tre interi
settori dell’altra curva riempiti di tifosi
azzurri. Dopo l’impressionante latitanza di una
Arnhem consegnata ai turchi, la nostra gente ha
deciso di non lasciarli soli in questo stadio.
Se i belgi l'hanno intitolato alla memoria del
loro re Baldovino, per noi italiani avrà per
sempre 39 altri nomi.
Fonte: La
Gazzetta dello Sport © 15 giugno 2000
Fotografie: GETTY IMAGES
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for Commercial Use)
© RAI ©
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All’Heysel
contro l'oblio
BRUXELLES
(c.s.) - Rose bianche per ricordare i morti
dell’Heysel. Le hanno deposte gli azzurri, in
testa Maldini e Conte, il capitano e uno
juventino, che hanno reso omaggio a una vergogna
che non si può dimenticare. Insieme con gli
azzurri (e con Nizzola e altri della Figc)
c’erano il capitano del Belgio Staelens, i
dirigenti della federazione belga e quelli
dell’UEFA: anche il Belgio, che tanta
responsabilità ebbe nella tragedia, si è
inchinato all’obbligo del lutto. Non lo voleva
fare, perché fin da allora i belgi si sentono
innocenti, ma in qualche modo l’Italia li ha
trascinati, così come ha trascinato l’UEFA che
ostinatamente volle giocare quella notte con i
morti sotto le tribune. Certo, la sacralità del
momento di ricordo è stata quello che è stata:
mentre i giocatori deponevano i fiori, gli
altoparlanti dello stadio urlavano musica rock.
I giocatori sono venuti come un drappello
d’onore, sembrava l’omaggio a una lapide di
partigiani o una visita a un luogo
dell’Olocausto. Ma per il calcio questo stadio è
qualcosa di simile, e per chi ricorda il muro
che c’era prima e che crollò troppo tardi,
quando gli italiani erano già morti soffocati,
questi piccoli mattoni rossi del nuovo impianto
sono troppo simili a quelli di allora. I belgi
non hanno avuto il colpo di genio di cambiare
materiale. E anche il nuovo stadio è stato
rifatto lasciando la stessa breccia che c’era
prima, che servirà senz’altro per fare entrare
ambulanze o altri mezzi necessari, ma che
allora, nella notte del 29 maggio '85, non servì
da via di fuga per gli spettatori ammassati.
Già, il 29 maggio 1985. Maldini e Conte hanno
lasciato le rose, il capitano ha fatto il segno
della croce, poi si sono girati ai fotografi e
compostamente, senza una parola, se ne sono
andati via. Ma forse bisognava avere la presenza
di spirito di dire una preghiera, di sostare un
attimo, per ricordare che quella di allora fu
una lunga agonia, non un crollo improvviso di un
attimo, ma un lento precipitare di uomini e
ragazzi verso un inferno di fronte agli sguardi
indifferenti delle forze di polizia e delle
autorità. Ecco perché il tempo non può sanare la
morte dei 39 tifosi tra i quali vanno ricordati
anche i 3 inglesi.
(NdR: nessun inglese è morto
all’Heysel, soltanto un uomo irlandese)
perché
la loro morte fu lunga, e non ebbe l’attenzione
né la considerazione di nessuno. E ancora adesso
qualcosa bisognerebbe fare. La lapide appesa
dove era il muro della curva Z recita solo: In memoriam, e sotto la data. Ma in memoria di cosa
e di chi ? Qui vanno scritti i nomi di chi morì
quella notte, è un atto di rispetto che va
fatto. Ora, sopra e sotto la scritta e la data,
ci sono 39 linee bianche: ma quegli uomini,
donne e ragazzi erano qualcosa di più di una
semplice linea.
Fonte: La
Repubblica © 15 giugno 2000
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Solo gli
azzurri ricordano l'Heysel
di Giancarlo
Mola
Maldini e
gli altri portano fiori allo stadio della
tragedia di 15 anni fa. L’UEFA tace imbarazzata.
BRUXELLES -
Un mazzo di fiori, un piccolo corteo azzurro
guidato da capitan Maldini con le lacrime agli
occhi, in un uno stadio praticamente vuoto e
distratto. Con l'assordante musica rock negli
altoparlanti: non ha concesso di più l’UEFA, per
ricordare le vittime della strage dell'Heysel. Quindici
anni fa - era il 29 maggio 1985 - 39 tifosi (32
erano italiani) morirono nella folle ressa degli
hooligans inglesi, poco prima della finale di
Coppa dei Campioni fra Juventus e Liverpool.
Oggi la Nazionale è tornata per la prima volta
in quello stadio maledetto, che nel frattempo è
stato abbattuto, ricostruito, intitolato al Re
Baldovino. Un'ora e mezza prima del fischio
d'inizio i giocatori della nazionale, appena
arrivati allo stadio, sono andati a rendere
omaggio a quei morti. Hanno sfilato sotto la
tribuna stampa, in silenzio, accompagnati dai
dirigenti della Federazione italiana gioco
calcio. Si sono fermati sotto quello che era il
settore Z, la curva della morte. Il capitano
Paolo Maldini portava con sé una corona di
orchidee e rose bianche, che ha deposto su una
lapide messa per l'occasione. Un rettangolo di
marmo grigio sul quale c'è semplicemente
scritto: "In memoriam, 29-5-1985". Gli azzurri
si sono raccolti in preghiera per qualche
istante, visibilmente commossi. Con loro c'era
il capitano della squadra belga Lorenzo Stealens
con qualche dirigente federale locale. Poi
niente più: la macchina circense del calcio si è
rimessa in moto. Che la federazione belga e la
stessa UEFA non gradissero l'enfasi sull'evento
si era capito. Nonostante le insistenze della
Figc, nei giorni scorsi avevano in ogni modo
cercato di arginare ogni ipotesi di iniziativa
ufficiale. Il braccio di ferro tra le due
diplomazie è durato fino a ieri, quando la
Federazione ha emesso un comunicato stampa nel
quale sottolineava la sua volontà di ricordare
la strage dell'Heysel. E' stato a questo punto
che l’UEFA ha capito che il silenzio avrebbe
forse provocato più rumore. Ha deciso allora di
concedere agli azzurri uno spazio per la
commemorazione nello stadio. Ma ben prima
dell'inizio della gara, con le curve e le
tribune ancora semivuote. Nessun annuncio dello
speaker. Nemmeno un'interruzione delle musiche
di sottofondo. Poco, signori del calcio europeo.
Troppo poco.
Fonte: La
Repubblica © 14 giugno 2000
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Per non
dimenticare
Mazzi di
rose e orchidee sotto la lapide che ricorda la
strage dell'Heysel
La nazionale
di Dino Zoff ha deposto un mazzo di rose
bianche, miste ad orchidee sotto la lapide che
ricorda i 39 tifosi (31 italiani) che morirono
all'Heysel la sera del 29 maggio 1985 in
occasione della finale di Coppa dei Campioni tra
Juventus e Liverpool.
Bruxelles -
La nazionale al completo, accompagnata anche dal
presidente federale Luciano Nizzola, dai tecnici
e dagli accompagnatori, si è presentata davanti
della lapide alle 19,15. E' toccato a capitan
Maldini e a Conte deporre il mazzo di fiori. I
due calciatori, insieme a Nizzola, sono rimasti
poi qualche attimo in preghiera. Conte è apparso
visibilmente commosso. Insieme alla nazionale
azzurra ha deposto un mazzo di fiori anche una
delegazione della federazione belga. La
commemorazione è avvenuta mentre gli
altoparlanti dello stadio stavano trasmettendo
musica assordante, ma i tifosi che erano
presenti nei pressi della lapide hanno
applaudito.
Fonte:
Raisport.rai.it © 14 giugno 2000
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Heysel, un
ricordo che imbarazza
di Marco
Ansaldo
Lo stadio
della strage abbattuto e ricostruito - L'Italia
"sfida" l'UEFA con un mazzo di fiori
Inviato a
GEEL - I belgi rimarranno a guardare, come
quindici anni fa quando i loro poliziotti
osservavano gli hooligans attaccare della brava
gente fino a schiacciarla contro la rete della
curva Z. "Ero con il comandante della
Gendarmeria - ricorda Giampiero Boniperti -
aveva lasciato un solo uomo tra i nostri tifosi
e quegli inglesi che avevano già creato gravi
incidenti il giorno prima. Quando arrivarono i
rinforzi era troppo tardi: ho ancora negli occhi
la carneficina". Ci furono trentanove morti e
trentuno erano italiani quel 29 maggio
all'Heysel, Juventus-Liverpool, finale della
Coppa dei Campioni. I belgi fissarono i
cadaveri, poi guardarono anche i loro giudici
comminare lievi pene, quasi un buffetto, a chi
aveva permesso quella strage: non tutti i
famigliari delle vittime sono stati
indennizzati. Sono quindici anni che i belgi
guardano e non si sveglieranno neppure per la
partita che riporta l'Italia in quello stadio,
che nel '94 si cominciò a distruggere e dal '98
è ricresciuto come l'araba fenice con altre
tribune e il nome di un re morto, Baldovino.
L'UEFA acchiappa soldi e questi organizzatori da
paese non hanno pensato a un gesto, a un fiore.
Il ricordo li imbarazza: quella tragedia ne ha
quasi partorito un'altra, sabato sera, quando
hanno chiuso al pubblico la Grand Place di
Bruxelles e i poliziotti hanno esagerato nella
repressione, picchiando, ferendo, arrestando chi
chiedeva di festeggiare la prima vittoria del
Belgio. La chiamano tolleranza zero, figlia
della paura di trovarsi impreparati come
all'Heysel, la faccia oscura della stessa
idiozia. "Questo è un altro stadio e poi una
parte importante dell'organizzazione l'hanno
gestita gli Olandesi", spiegano gli autori della
gaffe. Anche l'UEFA se ne lava le mani: se la
lapide dei 39 morti potesse interessare a uno
sponsor, qualcuno si muoverebbe ma così, gratis,
perché ? Solo Platini ha avuto il coraggio di un
gesto forte: "In quello stadio non entro più,
non potrei provare gioia". Ci penseranno gli
azzurri a non far dimenticare. La Juve aveva
chiesto che almeno i suoi giocatori andassero a
posare un fiore, l'idea si è estesa a tutti.
All'arrivo del pullman, Maldini e i compagni
deporranno un mazzo di 39 rose, come fece Franco
Baresi nell'unica occasione in cui una squadra
italiana giocò all'Heysel dopo la tragedia:
Malines-Milan di Coppa dei Campioni, 7 marzo del
'90. La domenica successiva il Milan giocò a
Torino. Sulla curva del vecchio Comunale mani
juventine posero uno striscione: "Baresi,
trentanove volte grazie". Conte pregherà, gli
altri, che erano bambini quella sera, hanno
raccontato ieri l'orrore di quelle immagini e il
disgusto per chi non ha capito l'importanza di
un gesto che richiamasse a una tragedia enorme,
in tempi in cui se ne temono altre. "Anche
quando venni con il Milan - ha detto Maldini -
abbiamo onorato i morti contro la volontà di non
si sa chi". L'UEFA, pure allora. "Noi, come
Federazione, non abbiamo mai dimenticato, quella
rimarrà per sempre una notte di dolore. Se gli
altri non vogliono ricordare lo facciano, noi la
ricorderemo", ha spiegato Antonello Valentini,
il capo ufficio stampa. E pazienza se l'UEFA e i
Belgi, vergognandosi della gaffe, faranno pagare
qualcosa all'Italia in questo torneo. Perché c'è
il rischio: gli stupidi spesso sono vendicativi.
Fonte: La
Stampa © 14 giugno 2000
Fotografia: GETTY IMAGES
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Platini: non
andrò all'Heysel
PARIGI -
Michel Platini seguirà gli Europei, ma con una
riserva: lo stadio Heysel di Bruxelles. "Non
rimetterò piede in quell'impianto, non ci sono
mai tornato", ha detto l'ex numero 10 della
Juventus. Platini segnò il rigore della vittoria
sul Liverpool nella finale di Coppa Campioni del
29 maggio 1985. Ma quella partita è ricordata
per la tragedia in cui morirono 39 tifosi
italiani, schiacciati tra la folla dopo
l'assalto degli hooligan inglesi. "Per me il
calcio è divertimento e non c'è nulla di
piacevole nel tornare in quel luogo".
Fonte: La
Stampa © 8 giugno 2000
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