Bruno Pizzul al Panathlon:
"L'Heysel un ricordo doloroso,
il calcio di oggi è diverso"
di Gianluca Trentini
Una bella serata organizzata
dal Panathlon Club Mottarone con ospite il mitico Bruno
Pizzul, storico telecronista della RAI che tra gli anni
70 e i primi anni 2000 ha raccontato tutti i più grandi
successi delle squadra italiane in Europa, ha effettuato
decine e decine di telecronache del campionato italiano
e della Coppa Italia oltre alle partite della nazionale
italiana dal 1986 al 2002. "Il calcio tra ieri e oggi" la
tematica della serata che ha visto il giornalista friulano
raccontare della sua carriera da calciatore e dei suo inizi
in RAI: "Ci entrai nel 69, l'esordio ? Mi mandarono a Como
a fare una partita di Coppa Italia in campo neutro tra la
Juventus ed il Bologna. Ero pronto a partire con la vettura
della RAI ma Beppe Viola mi vide e si offrì di accompagnarmi
lui, arrivammo in ritardo. Quando dissi alla commissione
di inchiesta come andarono le cose non presero provvedimenti".
Cosa è stato raccontare così tante emozioni ? "Una bella
cosa che peraltro nacque inaspettata - ha detto - quando
giocavo avevo anzi poca simpatia per i giornalisti, invece
ne è nata questa bella carriera". C'è un momento, una telecronaca
a cui Bruno Pizzul è maggiormente legato ? "C'è un momento
che mi è rimasto dentro - dice in maniera molto seria -
ed è la serata dell'Heysel, quando prima della finale di
Coppa del Campioni tra la Juve ed il Liverpool dovetti raccontare
di oltre 30 tifosi morti, qualcosa di tremendo ed inaccettabile".
Oggi Bruno Pizzul in poltrona quando accende la TV per vedere
il calcio cosa vede ? "La verità ? Ascolto le partite alla
radio, oggi è tutta un'altra cosa"
2 Marzo 2016
Fonte: Vcoazzurratv.it
ARTICOLI STAMPA e WEB MARZO 2016
In memoria delle vittime dell'Heysel, Raphael De Santis
a Rutigliano
Il Presidente
dell’Associazione Vittime Francesi dell’Heysel omaggerà
la stele eretta in via Vittime dello Stadio Heysel,
prima strada intitolata in Italia alle vittime del 29
Maggio 1985.
Il presidente della
Associazione delle vittime Francesi dell’Heysel, Raphael
De Santis, sarà a Rutigliano (Ba), oggi, domenica 6
Marzo. Sarà ospitato dalle ore 15,00 nel locale Juventus
Club "Boniperti" in Via Marche n. 27. Alle ore 17, con i
soci del club, simpatizzanti e giornalisti, renderà
omaggio al cippo commemorativo eretto dal Comune di
Rutigliano il 29 Maggio 2005, nella strada che lo stesso
Comune, su iniziativa dello Juventus Club "Boniperti",
ha voluto intitolare già all’indomani della tragedia di
Bruxelles alle vittime dell’Heysel, prima strada in
Italia ad essere dedicata alla memoria di quella strage:
Via Vittime dello Stadio Heysel. Qui si svolge, ad ogni
anniversario, una commemorazione ufficiale, a cura dello
Juventus Club "Boniperti", per rimarcare l’impegno a non
dimenticare quanto accaduto in quella folle notte di 31
anni fa e come monito da trasmettere alle nuove
generazioni perché non accada mai più. Il 29 Maggio
1985, prima dell’inizio della finale di Coppa dei
Campioni di calcio tra Juventus e Liverpool allo stadio
Heysel di Bruxelles, i tifosi inglesi, molti dei quali
ubriachi, cercarono il contatto con quelli juventini. La
struttura era fatiscente, priva di adeguate uscite di
sicurezza e di corridoi di soccorso. I tifosi bianconeri
arretrarono ammassandosi contro il muro opposto alla
curva dei tifosi del Liverpool. Nella grande ressa che
venne a crearsi, alcuni si lanciarono nel vuoto per
evitare di rimanere schiacciati. Il muro crollò per il
troppo peso, moltissime persone vennero travolte,
schiacciate e calpestate nella corsa verso una via
d’uscita. Il bilancio fu tragico: 39 morti (di cui 32
italiani) e 600 feriti. Tra questi, anche Raphael De
Santis che venne soccorso anche da alcuni tifosi dello
Juventus Club "Boniperti" di Rutigliano, superstiti
anche loro di questa tragedia.
6 Marzo 2016
Fonte: Rutiglianoweb.it
ARTICOLI STAMPA e WEB MARZO 2016
"Il Franchi
ora isoli chi semina odio"
Appello dell'associazione
vittime dell'Heysel dopo i cori vergognosi della curva juventina.
di Andrea Lorentini
I cori antisemiti all'indirizzo
di Firenze e dei fiorentini partiti dalla curva bianconera
in occasione di Juventus-Palermo sono solo l'ultimo episodio
d'intolleranza e inciviltà che caratterizza gli stadi italiani.
Episodio che conferma, purtroppo, come nel nostro Paese,
soprattutto nel calcio, manchi cultura sportiva. L'altro
visto come il nemico e non l'avversario. Da odiare e da
abbattere. Senza alcun rispetto. Atteggiamenti che non hanno
alcuna giustificazione. Come familiare di una vittima dell'Heysel
(mio padre Roberto era un medico di trentuno anni e perse
la vita nel tentativo di soccorrere i feriti sugli spalti
durante le cariche degli hooligans) ho subìto sulla mia
pelle l'ignoranza e la follia di persone simili che usano
lo stadio come zona franca, dove tutto è permesso. Persino
offendere i morti. Ho dovuto sopportare, al pari delle altre
famiglie, per oltre trent'anni il vilipendio alla memoria
di quelle 39 vite innocenti. Il motivo principale per il
quale un anno e mezzo fa ho deciso di ricostituire l'Associazione
fra i familiari delle vittime dell'Heysel, fondata subito
dopo la tragedia da mio nonno, Otello Lorentini, tifoso
della Fiorentina, è stato proprio per alzare la voce e chiedere
il rispetto dei nostri cari. L'Associazione è impegnata
quotidianamente nella cura della memoria di quell'assurda
tragedia. Ci sono stadi in Italia, e Firenze purtroppo è
uno di questi, dove appaiono striscioni che oltraggiano
la memoria dei nostri cari, stadi nei quali si alzano cori
vergognosi che inneggiano all'Heysel. Trentanove non è,
semplicemente, un numero da mostrare come scalpo del nemico.
Dietro quel numero, quei cori, quegli striscioni ci sono
trentanove famiglie che ancora oggi convivono con un dolore
incancellabile. Ogni volta che in uno stadio si levano quei
cori o vengono esposti quegli striscioni ignobili con il
39 per tutti noi è una ferita che si riapre. L'Associazione,
quindi, chiede e chiederà sempre il rispetto per i propri
morti, ma proprio per questo pretende, esige, il rispetto
per Firenze e i fiorentini. Così come pretende il rispetto
per tutte le città e i cittadini di questo Paese, per le
altre tragedie del calcio, come Superga per esempio, e per
tutte le vittime dello sport in generale. L'Associazione
si sta battendo con ogni sforzo e con i mezzi di cui dispone,
anche legali, affinché certa gente venga espulsa per sempre
dal calcio e dallo sport. Qualunque sia la curva, qualunque
sia la tribuna, qualunque sia la gradinata, qualunque sia
il colore con il quale ignoranza e idiozia si travestono.
Il mio auspicio è che Fiorentina-Juventus sia solo una partita
di calcio. Che sugli spalti si tifi con passione nel segno
di una rivalità antica e profonda, ma che tutto resti nei
limiti del rispetto dell'essere umano e della normale convivenza
tra le persone. Per evitare di vergognarci tutti quanti
un'altra volta.
Andrea Lorentini, Presidente
dell'Associazione familiari vittime Heysel
20 aprile 2016
Fonte: Il Corriere Fiorentino
ARTICOLI STAMPA e WEB APRILE 2016
Trent'anni passati
inutilmente
Heysel, la strage rimossa
di Gianni Cerasuolo
Nella notte del 29 maggio
1985 si consumò un dramma che ancora dà fastidio. La vera
Coppa andrebbe data al cinismo, al disimpegno e soprattutto
al mancato rispetto per il dolore.
Il massacro dell’Heysel
viene "commemorato" ogni domenica nei nostri stadi così:
"Ti ricordi lo stadio Heysel / le bandiere del Liverpool
/ diecimila sono partiti / 39 non tornan più…". Lo cantano
un po’ di canaglie della curva Fiesole, a Firenze, base
musicale il vecchio brano di Marcella Bella, Montagne verdi.
Anche quelli del Torino si esibiscono su queste note. A
Roma, invece, molti farabutti della sponda giallorossa sono
più rockettari e preferiscono Vasco di Cosa succede in città
? E allora si attacca con: "Cosa succede ? / Cosa succede
a Bruxelles ? / Cosa succede all’Heysel ? / Guarda qui,
guarda lì / son trentanove e son tutti sottoterra…".
La carneficina dello stadio
Heysel (accadde a Bruxelles 30 anni fa, il 29 maggio 1985,
finale di Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool, 39 morti,
32 italiani) offre da sempre spunti per l’idiozia da stadio.
Una strage rimossa, un ricordo che infastidisce come succede
per altre storie drammatiche collettive che hanno segnato
il nostro paese. Come se le vittime della "partita della
morte" appartenessero solo ad un tifoseria, al club più
amato e detestato. E non a tutta la nazione. Sono andato
a guardare le regioni di provenienza dei 32 morti ed ho
contato: 7 venivano dalla Lombardia, 4 dal Piemonte e dalla
Toscana, 3 dal Veneto e dalla Sardegna, 2 dall’Abruzzo,
dalla Sicilia e dalla Puglia e 1 rispettivamente dal Friuli,
dall’Umbria, dal Lazio, dalla Liguria e dall’Emilia (le
altre 7 vittime: 3 erano residenti in Belgio, 3 in Francia
e 1 era irlandese). Alcuni erano originari del Sud, come
Luciano Rocco Papaluca che veniva da Grotteria, in provincia
di Reggio Calabria. Un paio forse non erano nemmeno tifosi
juventini ma interisti che avevano seguito in Belgio i loro
amici di fede bianconera. Insomma, un mosaico dell’Italia
come da sempre si caratterizza il tifo per la Juve.
A trent’anni di distanza
bisogna, invece, ancora ascoltare offese di ogni genere
per quei poveri morti. L’esecuzione delle "montagne verdi"
è stata fatta da una parte della Fiesole appena nello scorso
aprile quando Fiorentina e Juve si sono affrontate nella
semifinale di ritorno della Coppa Italia. Poi coro chiama
coro, così come striscione segue a striscione. Durante la
partita con il Napoli allo Juventus Stadium si ricordano
i morti dell’Heysel ma, per mantenersi in allenamento, si
cantano anche ritornelli contro i napoletani. Se quelli
del Toro inneggiano al Liverpool, quelli della Juve rispondono
sbeffeggiando la sciagura di Superga. E gli altri ricordano
il "volo" di Pessotto e, in risposta, quegli altri se la
prendono con Facchetti. I napoletani promettono vendetta
per Ciro Esposito e i romanisti espongono striscioni offensivi
contro la madre del ragazzo: una spirale che alimenta l’odio
e la vergogna.
L’Heysel non ci ha insegnato
quasi nulla. Abbiamo contato altri morti, altri feriti,
gli ultimi nel derby di Roma di lunedì. La violenza continua.
Altrove, in Inghilterra, hanno cercato di arginarla, di
contenerla, di punirla dopo l’Heysel e la strage di Sheffield,
quella avvenuta quattro anni dopo la finale tra Juve e Liverpool
(96 morti tra i supporters dei Reds, a Hillsborough un altro
stadio in rovina e altri tragici errori di organizzazione).
Margaret Thatcher usò ogni mezzo, come aveva fatto per reprimere
gli scioperi nelle miniere e il terrorismo dell’Ira. Ma
l’hooliganismo è stato reso impotente non solo con la repressione.
C’è stata anche una ribellione di chi voleva tifare e godersi
una partita di pallone. Da noi, no. Roberto Beccantini,
ex firma della Stampa, uno dei migliori giornalisti sportivi,
ha scritto nell’introduzione alla nuova edizione del libro
di Francesco Caremani "Heysel. La verità di una strage annunciata",
(BradipoLibri), uscito dodici anni fa ed ora riedito in
occasione del trentennale del terribile fatto: "Era il 2003
quando uscì il libro. Il 2 febbraio 2010 abbiamo celebrato,
in sordina, il terzo anniversario dell’uccisione dell’ispettore
Raciti… Siamo il paese degli slogan ("tolleranza zero"),
dei tornelli, delle tessere del tifoso e dei tifosi con
le tessere. Siamo quelli che un nero non può essere italiano,
riferito a Mario Balotelli; siamo quelli che "Opti Poba
è venuto qui che prima mangiava le banane"… Siamo quelli
che mai più un altro Ciro Esposito… Siamo quelli, sempre
quelli". Aggiungo: siamo quelli del "non si può sempre pensare
di dare soldi a queste quattro lesbiche", quelli che hanno
consegnato il calcio di periferia in mano alle mafie, quelli
che si spartiscono la tv del pallone probabilmente in maniera
fraudolenta. Tanto per completare un quadro decadente e
incivile.
Del resto, l’Heysel fu
dimenticato già qualche ora dopo il massacro. Fu cancellato
da quell’esultanza fuori luogo di Platini dopo aver messo
a segno il rigore inesistente che consegnò la Coppa alla
squadra diretta da Giovanni Trapattoni. Da quel giro di
campo festoso degli juventini mentre oltre il muro dello
stadio maledetto erano stesi i corpi dei tifosi uccisi dalla
furia degli hoolingans e i lamenti dei feriti (oltre 600)
erano ancora alti. Dai caroselli dei tifosi a Torino nella
notte, nonostante fosse ormai noto il tragico bilancio della
finale. Dai silenzi e dalle omissioni della stessa società
torinese che ha scelto, almeno negli anni passati, di parlare
il meno possibile di quella drammatica serata. Non è un
caso che tra il club e l’Associazione fra le famiglie delle
vittime di Bruxelles i rapporti siano stati spesso tesi,
al limite della rottura. Adesso, con la presidenza di Andrea
Agnelli le cose sono cambiate. Allo Juventus Stadium ci
sono 39 "stelle" con i nomi delle vittime e una parte dello
"J Museum" è dedicato a quei morti.
Ma anche per questo trentennale
non sono mancate le frizioni. Quelli dell’Associazione volevano
che venisse rappresentato un testo teatrale, alla Juve non
è piaciuto, è stato modificato, i familiari delle vittime
hanno dato l’ok ma hanno fatto sapere anche che parteciperanno
soltanto alla messa in ricordo dei loro morti: "Quello sarà
l’unico momento condiviso con il club bianconero" hanno
scritto in un comunicato pubblicato da "Arezzo Notizie".
La città toscana ebbe due
giovani uccisi: Roberto Lorentini, 31 anni, un medico, un
uomo generoso che rimase
travolto dalla furia degli hooligans
mentre cercava di soccorrere qualcuno, con ogni probabilità
un bambino sardo, Andrea Casula, 11 anni, la più giovane
vita sacrificata in quel massacro. Per quel gesto Lorentini
ebbe la medaglia d’argento al valor civile ("d’argento e
non d’oro, così lo Stato risparmiò una piccola pensione…"
accusava il padre, Otello). L’altra vittima aretina si chiamava
Giuseppina Conti detta Giusy, una ragazza di 17 anni. Otello
Lorentini, scomparso lo scorso anno ad 89 anni, ha impiegato
metà della sua vita a combattere una battaglia difficile
e spesso solitaria affinché i colpevoli venissero puniti
e non si dimenticassero i 39. "La Juve non si è mai fatta
viva" si lamentava spesso. Aggiungendo: "Boniperti non ci
ama… Tre giorni dopo la catastrofe disse che si doveva mettere
una pietra sopra l’accaduto. Evidentemente, l’intenzione
della Juventus era di stendere un velo sui fatti dell’Heysel,
in modo da salvare il famoso "stile Juve" che io non ho
mai condiviso". Il genitore vide scomparire all’improvviso
il figlio Roberto che era accanto a lui nel famigerato settore
Z dell’Heysel. Quando lo ritrovò "mi sembrava che gli battesse
ancora il cuore, invece era la mia tempia che martellava
sul suo petto". Fu Otello a fondare l’Associazione e fu
lui con la sua tenacia a sconfiggere in appello la protervia
dell’Uefa che l’aveva passata liscia nel primo processo
in Belgio. L’Uefa fu costretta a pagare dei risarcimenti
ai superstiti e si vide condannare il segretario generale,
Hans Bangerter, a tre mesi con la condizionale. Una pena
mite ma quello fu il riconoscimento della responsabilità
dell’organizzazione calcistica, sebbene il presidente, che
allora era Jacques Georges, venisse assolto.Nei processi
in Belgio, impostati e condotti male dalla pubblica accusa,
alla fine hanno pagato i pesci piccoli. Ci furono gravissime
responsabilità per quello che successe da parte dell’organizzazione
locale. Lo stadio cadeva a pezzi. Gli hooligans – guidati
da un ex parà (l’ex portiere del Liverpool, Bruce Grobbelar
ha detto a Repubblica che quel giorno a Bruxelles c’era
gente del National Front, l’estrema destra inglese, venuta
da Londra, che scatenò l’assalto e poi scomparve: dovevano
fare casino e mettere in cattiva luce quelli di Liverpool,
che molti odiavano, secondo lui) – "caricarono" i tifosi
della Juve rompendo pezzi di gradinata che si sbriciolava
come pasta frolla e lanciandoli verso il Block Z. Quelli
di fede bianconera non dovevano stare in quel settore, destinato
ai belgi o a spettatori neutrali, però i biglietti
furono venduti anche da agenzie
italiane e da club juventini e provenivano probabilmente
dal mercato nero. Le forze di polizia erano presenti in
maniera ridicola: 7-8 poliziotti a dividere gli inglesi
dagli italiani in quella parte dello stadio dove era stata
eretta una rete inadeguata ("tipo tennis" dissero molti
testimoni). I walkie talkie degli agenti non funzionavano
perché le pile erano scariche; incapaci e mal diretti, quei
poliziotti furono capaci di infliggere solo manganellate
ai pochi tifosi italiani che riuscirono a mettersi in salvo
sul prato mentre il muro della curva Z crollava. Il ministro
degli Interni, che si guardò bene dal dimettersi, il sindaco,
il capo della polizia non furono toccati; venne condannato
un capitano: pochi mesi con la condizionale. Pesci piccoli.
Accade sempre così, anche da noi. Su YouTube, ci sono pochi
frammenti che riprendono la polizia a cavallo mentre fa
il suo ingresso nel piccolo stadio a passo di parata, dopo
che i morti già si contavano a decine. Tragicamente comici.
Mentre intorno c’era gente che si disperava, persone moribonde,
corpi che venivano adagiati confusamente su barelle improvvisate
con le recinzioni in ferro. Altri che venivano portati a
spalla, come si fa con i quarti di bue. Nel civile Belgio,
sede della Comunità europea, furono talmente cinici, in
quella occasione, che anche con i morti si comportarono
malissimo. Lo denunciò Lorentini, lo scrissero i giornali
italiani. Le autopsie furono eseguite in maniera sommaria,
molti corpi, mutilati orrendamente, non vennero ricuciti
e furono riconsegnati in condizioni pietose ai familiari.
In qualche caso le bare portavano nomi sbagliati; delle
vittime furono scambiate con altre: "Non eravamo pagati
per gli straordinari", fu la risposta fredda e impudente
di certi medici di Bruxelles. "L’Italia ci mise fretta per
la riconsegna dei cadaveri", fu la versione ufficiale. I
nostri magistrati chiesero la riesumazione dei corpi. Lo
ricordava, commuovendosi, Lorentini nel libro di Caremani.
Soltanto da poco, i belgi hanno riconosciuto i loro errori
e hanno reso omaggio ai morti. I pochi inglesi condannati
se la cavarono con qualche anno di galera mai scontato.
Show must go one. Forse
quella volta lo spettacolo dovette continuare per scongiurare
il peggio: la vendetta degli italiani, dei Fighters, gli
ultrà juventini, che si agitavano minacciosi già prima degli
assalti inglesi. Si temeva anche qualche altra pazzia dei
tifosi dei Reds, ubriachi dalla testa ai piedi. "Giochiamo
per voi" disse Scirea ai microfoni dello stadio. D’altro
canto il calcio non si è fermato nemmeno l’11 settembre
2001: la sera stessa dell’attacco alle Torri Gemelle si
scese in campo per la Champions, all’Olimpico andò in scena
Roma-Real Madrid. Poi il giorno dopo l’Uefa ci ripensò e
sospese le partite, rossa di vergogna. Bruno Pizzul durante
una telecronaca surreale – che gli fu a lungo rimproverata
ma quella sera tutta l’informazione Rai fu sbagliata – fece
in tv una premessa prima dell’inizio della partita, ore
21.40: "Consentitemi di non definirla finale di Champions,
è che si gioca una semplice partita per motivi di ordine
pubblico". All’Heysel molti juventini non volevano scendere
in campo, lo stesso Giampiero Boniperti, allora presidente
bianconero, andò dai capi dell’Uefa a dire: "Prendo la squadra
e la riporto a casa". E quelli gli risposero, secondo la
testimonianza di Francesco Morini, ex difensore e all’epoca
ds bianconero: "Allora vi assumerete la responsabilità degli
incidenti e su di lei ricadrà la colpa di quello che può
succedere". Edoardo Agnelli, il figlio dell’Avvocato presente
negli spogliatoi, esclamò: "Incredibile, si gioca". Giocarono,
la Juve vinse 1-0 e si assicurò la Coppa che gli era sfuggita
da troppo tempo. La Coppa venne mostrata come il più bello
dei trofei il giorno dopo sulla scaletta dell’aereo atterrato
a Caselle. Bettino Craxi, che era presidente del Consiglio,
disse chiaro e tondo che quella partita non andava giocata.
Ancora oggi la tifoseria juventina è combattuta su quella
vittoria sporca di sangue. Trapattoni si è espresso recentemente:
"Restituiamo la Coppa all’Uefa". E così anche qualche giocatore,
Tardelli ad esempio. Andrea Agnelli, che al tempo dell’Heysel
aveva dieci anni, nel venticinquennale della strage ha sottolineato:
"È una Coppa che facciamo fatica a sentire nostra". Mario
Soldati pochi giorni dopo quel 29 maggio disse a Repubblica:
"La Juve si è comportata in maniera perfetta. Chi condanna
il tripudio dei giocatori … dimentica che loro non potevano
conoscere l’esatta dimensione del dramma … Non mi vergogno
di aver gioito per quella vittoria. Erano anni che noi juventini
la aspettavamo… È assurdo pensare di restituire il trofeo…
Sarebbe come punire la Juventus…".
Di altro parere Italo Calvino che,
intervistato dallo stesso quotidiano, ammise, pur non essendo
tifoso juventino: "Da principio anch’io ho provato una naturale
soddisfazione per lo smacco sportivo – almeno quello – subito
dai tifosi di Liverpool. La gioiosa scorribanda dei giocatori
per il campo, però, mi è sembrata inopportuna. Di fronte
a una tragedia di quella portata, ciò è risultato disumano".
Calvino non voleva che si disputasse la finale. "Rifare
la partita ? Restituire la Coppa ? No, non sono molto sensibile
a questi simbolismi" (i pareri di Soldati e Calvino li ho
trovati leggendo Quella notte all’Heysel di Emilio Targia,
uscito da poco in libreria per Sperling & Kupfer. Targia
rivela un particolare non da poco: sul biglietto di ingresso
allo stadio Heysel che lui ancora conserva e che si procurò
con un amico direttamente dal Belgio c’è una scritta in
francese in cui l’Uefa avvertiva che declinava ogni responsabilità
in caso di incidenti. Da non credere: l’Uefa che allestiva
l’evento si lavava le mani per qualsiasi cosa fosse successa…).
Otello Lorentini, tifoso
bianconero (NdR: era tifoso della Fiorentina) come il
figlio Roberto, aveva le idee chiare in proposito. Rivelò
che quando vide la Juve che faceva il giro d’onore con la
Coppa "mi è venuto da vomitare… Sono rimasto impressionato
vederli scendere dall’aereo come se avessero vinto il mondo,
quando "quella cosa là" grondava ancora sangue. Quella visione
mi ha dato veramente fastidio, non ho mai potuto digerire
quelle immagini. Dico di più, considero vergognoso che ancora
oggi nelle statistiche e negli almanacchi la Coppa dei Campioni
1985 si consideri vinta dalla Juventus, quando la dovrebbero
restituire… Come si fa a parlare di Coppa vinta ?". Michel
Platini non ha mai voluto parlare volentieri di quella notte
e dell’atteggiamento suo e della squadra. Lo ha fatto una
sola volta, aprendosi un pochino di più, in una intervista
incrociata con Marguerite Duras su Liberation, due anni
dopo la tragedia: "Per prima cosa non avevamo visto l’orrore.
È come quando dicono: si è schiantato un aereo, trentasette
morti, duecento morti… Non si vede niente. Bene, dopo si
prende lo stesso l’aereo… E quando sei in campo, quando
si pensa al calcio, che è la nostra passione, la nostra
giovinezza, la nostra adolescenza, non si può pensare mentre
si gioca che ci sono stati tanti morti. Quando realizzo
il rigore sono felice, in fin dei conti il calcio mi salva
dall’infelicità umana… Quel giorno sono diventato un uomo
! Diciamo che sono passato da un mondo in cui il calcio
era un gioco a un mondo in cui il calcio è diventato una
specie di violenza. In altre parole, fino ad un certo momento
hai dei giocattoli. Beh, quel giorno non avevo più giocattoli.
Ero diventato un uomo" (da Le Heysel. Une tragédie européenne
di Jean-Philippe Leclaire, 2005, edito in Italia da Piemme).
Nelle ore successive al massacro, le Roi Michel usò altre
parole, atroci: "Al circo quando muore il trapezista entrano
i clown in pista. Noi non siamo dei clown, ma il discorso
è lo stesso…". Infatti, quella dell’Heysel fu una macabra
recita.
25 maggio 2016
Fonte: Succedeoggi.it
ARTICOLI STAMPA e WEB
MAGGIO 2016
Heysel, la commemorazione a Bruxelles
Presso lo stadio della
capitale belga si è tenuto l’evento per ricordare le 39
vittime di quel tragico giorno di 31 anni fa.
Il Presidente dello Juventus
Museum Paolo Garimberti e Virginia Antonini, Sustainability
and External Relations Manager, hanno preso parte questa
mattina rappresentando la Juventus con il gonfalone della
società alla cerimonia di commemorazione delle vittime dell’Heysel,
presso lo stadio di Bruxelles. Durante il momento di raccoglimento
promosso dal Parlamento Europeo, dall’Associazione "Vittime
dell’Heysel" (presieduta da Andrea Lorentini) e da "Quelli
del Filadelfia", sono state ricordate le 39 vittime innocenti
che persero la vita nel settore Z di quello stadio, trentuno
anni fa, prima dell’inizio della finale di Coppa Campioni.
Il vicepresidente del Parlamento Europeo Tajani, l’onorevole
Cirio e l’assessore allo sport Alain Courtois del comune
di Bruxelles le autorità presenti davanti a quello stesso
settore Z dello stadio, che oggi reca il nome di Roi-Baudouin.
La mattina a Bruxelles si è aperta con una tavola rotonda
sul tema "La sicurezza negli stadi: fare tesoro della tragica
esperienza di Heysel per garantire l’incolumità di giocatori
e tifosi". Venerdì sera si terrà invece a Torino, presso
il Comune in Piazza Palazzo di Città, la "Giornata della
memoria per le vittime dell’Heysel e di ogni violenza sportiva".
L’anno scorso, in occasione del trentennale, la FIGC ritirò
simbolicamente la maglia numero 39 durante una cerimonia
allo stadio con il Capitano Buffon e Giorgio Chiellini,
alla vigilia di una partita degli Azzurri. L’amichevole
Belgio-Italia fu interrotta al minuto 39’. Un mese fa, a
Cherasco, Paolo Garimberti ha presenziato all’inaugurazione
di un monumento emblema di quel dramma, recante la scritta
"+ 39 Nessuno muore veramente se vive nel cuore di chi resta,
per sempre". Monito permanente per far sì che simili tragedie
non accadano mai più nel mondo dello sport.
26 maggio 2016
Fonte: Juventus.com
ARTICOLI STAMPA e WEB
MAGGIO 2016
Juventus, a Bruxelles commemorazione delle vittime dell'Heysel
Alla cerimonia di commemorazione
hanno partecipato presidente dello Juventus Museum Paolo
Garimberti e Virginia Antonini in rappresentanza dei bianconeri.
BRUXELLES - Giornata di
memoria oggi a Bruxelles, dove la Juventus ha ricordato
le 39 vittime della tragedia dell'Heysel presso lo stadio
della capitale belga. Alla cerimonia di commemorazione hanno
partecipato il presidente dello Juventus Museum Paolo Garimberti
e Virginia Antonini (Sustainability and External Relations
Manager) - si legge sul sito ufficiale bianconero - come
rappresentanti della Juventus con il gonfalone della società.
LA CERIMONIA - Durante il momento di raccoglimento
promosso dal Parlamento Europeo, dall'Associazione "Vittime
dell’Heysel" e da "Quelli del Filadelfia 88", sono state
ricordate le 39 vittime innocenti che persero la vita nel
settore Z di quello stadio, prima dell’inizio della finale
di Coppa Campioni. Il vicepresidente del Parlamento Europeo
Tajani, l'onorevole Cirio e l’assessore allo sport Alain
Courtois del comune di Bruxelles le autorità presenti davanti
a quello stesso settore Z dello stadio, che oggi reca il
nome di Roi-Baudouin. La mattina a Bruxelles si è aperta
con una tavola rotonda sul tema "La sicurezza negli stadi:
fare tesoro della tragica esperienza di Heysel per garantire
l’incolumità di giocatori e tifosi". Venerdì sera si terrà
invece a Torino, presso il Comune in Piazza Palazzo di Città,
la "Giornata della memoria per le vittime dell’Heysel e
di ogni violenza sportiva".
26 maggio 2016
Fonte: Tuttosport.com
ARTICOLI STAMPA e
WEB
MAGGIO 2016
La Juve a Bruxelles alla commemorazione delle vittime dell’Heysel
Il presidente del JMuseum
Paolo Garimberti e Virginia Antonini in rappresentanza della
società hanno preso parte alla cerimonia in ricordo dei
39 caduti di 31 anni fa.
Il presidente dello Juventus
Museum Paolo Garimberti e Virginia Antonini, Sustainability
and External Relations Manager, hanno preso parte questa
mattina rappresentando la Juventus con il gonfalone della
società alla cerimonia di commemorazione delle vittime dell’Heysel,
presso lo stadio di Bruxelles. Durante il momento di raccoglimento
promosso dal Parlamento Europeo, dall’Associazione ’Vittime
dell’Heysel’ (presieduta da Andrea Lorentini) e da ’Quelli
del Filadelfia 88’ - si legge in una nota - sono state ricordate
le 39 vittime innocenti che persero la vita nel settore
Z di quello stadio, trentuno anni fa, prima dell’inizio
della finale di Coppa Campioni. Il vicepresidente del Parlamento
Europeo Tajani, l’onorevole Cirio e l’assessore allo sport
Alain Courtois del comune di Bruxelles le autorità presenti
davanti a quello stesso settore Z dello stadio, che oggi
reca il nome di Roi-Baudouin. La mattina a Bruxelles si
è aperta con una tavola rotonda sul tema "La sicurezza negli
stadi: fare tesoro della tragica esperienza di Heysel per
garantire l’incolumità di giocatori e tifosi". Venerdì sera
si terrà invece a Torino, presso il Comune in Piazza Palazzo
di Città, la "Giornata della memoria per le vittime dell’Heysel
e di ogni violenza sportiva". L’anno scorso, in occasione
del trentennale, la FIGC ritirò simbolicamente la maglia
numero 39 durante una cerimonia allo stadio con il Capitano
Buffon e Giorgio Chiellini, alla vigilia di una partita
degli Azzurri. L’amichevole Belgio-Italia fu interrotta
al minuto 39’. Un mese fa, a Cherasco, Paolo Garimberti
ha presenziato all’inaugurazione di un monumento emblema
di quel dramma, recante la scritta "+ 39 Nessuno muore veramente
se vive nel cuore di chi resta, per sempre". Monito permanente
per far sì che simili tragedie non accadano mai più nel
mondo dello sport.
26 maggio 2016
Fonte: Lastampa.it
ARTICOLI STAMPA e WEB
MAGGIO 2016
Due corone di fiori per ricordare le vittime dell'Heysel,
31 anni dopo
E venerdì cerimonia rievocativa
in piazza Palazzo di città a Torino
di Timothy Ormezzano
Heysel, 31 anni dopo. Due
corone di fiori sono state deposte all'ex stadio Heysel
di Bruxelles (oggi si chiama Stade Roi-Baudouin) a tre giorni
dall'anniversario della tragedia in cui, il 29 maggio del
1985, persero la vita 39 tifosi prima della finale di Coppa
dei Campioni tra Juventus e Liverpool. "Il Belgio ha sempre
preferito dimenticare questa tragedia - ha detto l'eurodeputato
Alberto Cirio durante la commemorazione ufficiale. Ma noi
vogliamo ricordare e vogliamo farlo ogni anno, non solo
in occasione di grandi anniversari. Perché ricordare è anche
il modo migliore per prevenire, intanto che la sicurezza
negli stadi continua ad essere una criticità importante
di cui prendersi cura". Davanti alla targa che ricorda i
nomi di tutte le vittime erano presenti anche il vicepresidente
del Parlamento Europeo, Antonio Tajani, il presidente dello
Juventus Museum, Paolo Garimberti, il presidente dell’Associazione
Familiari Vittime dell’Heysel, Andrea Lorentini, il presidente
dell’Associazione "Quelli di Via Filadelfia", Beppe Franzo,
e il consigliere regionale del Piemonte Gianluca Vignale,
oltre a numerosi sindaci del territorio. La mattina a Bruxelles
si era aperta con una tavola rotonda sul tema "La sicurezza
negli stadi: fare tesoro della tragica esperienza di Heysel
per garantire l’incolumità di giocatori e tifosi". Venerdì
sera si terrà invece a Torino, in Comune in Piazza Palazzo
di Città, la "Giornata della memoria per le vittime dell’Heysel
e di ogni violenza sportiva".
26 maggio 2016
Fonte: Torino.repubblica.it
ARTICOLI STAMPA e WEB
MAGGIO 2016
Heysel:
ricordo da sindaci Piemonte e Ue
(ANSA) - BRUXELLES, 26
MAG - Una delegazione di sindaci piemontesi, il vicepresidente
vicario del Parlamento europeo, Antonio Tajani, e l'eurodeputato
Alberto Cirio hanno deposto due corone di fiori allo Stadio
Heysel di Bruxelles, a pochi giorni dal 31° anniversario
della tragedia in cui, il 29 maggio del 1985, persero la
vita 39 persone prima della finale di Coppa dei Campioni
tra Juventus e Liverpool. Alla cerimonia davanti alla lapide
che ricorda i nomi di tutte le vittime, hanno partecipato
anche il presidente dell' Associazione Familiari Vittime
dell'Heysel Andrea Lorentini, il presidente dell'Associazione
"Quelli di Via Filadelfia" Beppe Franzo, il consigliere
regionale del Piemonte Gianluca Vignale ed il presidente
dello Juventus Museum Paolo Garimberti, con il Gonfalone
della Juventus. La commemorazione è stata preceduta in mattinata
da una tavola rotonda al Parlamento europeo sul tema della
sicurezza negli stadi.
26 maggio 2016
Fonte: Ansa.it
ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO
2016
Bruxelles, l'Europarlamento ricorda la tragedia
dell'Heysel, domani a Torino
la giornata della memoria
Due corone di fiori sono
state deposte oggi allo Stadio Heysel di Bruxelles, a pochi
giorni dal 31° anniversario della tragedia in cui, il 29
maggio del 1985, persero la vita 39 persone prima della
finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool.
Presenti alla commemorazione,
davanti alla targa che ricorda i nomi di tutte le vittime,
il vicepresidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani,
e l'eurodeputato Alberto Cirio, insieme al presidente dell’Associazione
Familiari Vittime dell’Heysel, Andrea Lorentini, Beppe Franzo,
presidente dell’Associazione "Quelli di Via Filadelfia",
Gianluca Vignale, consigliere regionale del Piemonte, con
numerosi sindaci del territorio, e il presidente dello Juventus
Museum Paolo Garimberti, con il Gonfalone della Juventus.
La cerimonia è stata preceduta, stamane, al Parlamento europeo,
da una tavola rotonda sul tema della sicurezza negli stadi.
"Quando lo stadio venne ristrutturato, alcuni anni fa, scrissi
al Governo - ha ricordato il vicepresidente del Parlamento
Ue Tajani - perché c’era la preoccupazione che la stele
in ricordo delle vittime venisse rimossa e accantonata.
L’allora primo ministro belga, che era di origine italiana,
si impegnò perché ciò non accadesse. E quella targa oggi
è ancora qui, per non farci dimenticare". "Oggi all’Heysel
abbiamo visto tanti giovani - sottolinea Alberto Cirio -
molti di loro, però, probabilmente non sanno cosa è accaduto
qui 31 anni fa. Il Belgio ha sempre preferito dimenticare
questa tragedia. Ma noi vogliamo ricordare e vogliamo farlo
ogni anno, non solo in occasione di grandi anniversari.
Perché ricordare è anche il modo migliore per prevenire
e la sicurezza negli stadi continua ad essere una criticità
importante di cui prendersi cura". Si terrà domani invece
a Torino, su proposta dell'Associazione Quelli di... Via Filadelfia, la "Giornata della Memoria per le vittime dell'Heysel
e di condanna di ogni violenza sportiva", patrocinata dalla
Città di Torino. Il ricordo delle vittime dell'Heysel e
la condanna di ogni violenza sportiva a Torino saranno,
per l'appunto, al centro della serata organizzata nella
Sala le Colonne del Comune di Torino. Per questo venerdì
sera, oltre alle 39 vittime dello Stadio di Bruxelles del
1985, si ricorderanno anche i morti dello stadio Luzhniki
a Mosca. In memoria delle vittime allo stadio Heysel, nella
serata di domani 27 maggio sulla Mole Antonelliana di Torino,
sarà proiettata la scritta "+39 rispetto". Era la sera del
29 maggio di 31 anni fa, allo stadio Heysel di Bruxelles
si giocava la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus
e Liverpool.
L'entusiasmo finisce in tragedia:
poco prima del fischio d'inizio, perdono la vita 39 persone,
quasi tutti italiani, il più vecchio ha 58 anni, il più
giovane di 11 anni. Oltre 600 feriti. Quella russa è forse
meno nota, ma non meno dolorosa. Era il 20 ottobre 1982,
ed allo Stadio Luzhniki si gioca una partita valida per
l'andata dei sedicesimi di finale della Coppa Uefa. Si trovano
di fronte i padroni di casa dello Spartak Mosca, e gli olandesi
dell'HFC Haarlem.
Perdono la vita 66 tifosi (ma la
cifra non ufficiale è 350). La serata inizierà con l'introduzione
di Beppe Franzo, presidente dell'Associazione "Quelli di
... via Filadelfia" e storico punto di riferimento della
tifoseria bianconera. Si continuerà con la proiezione del
docu-film "Non dimenticare Heysel". Infine la serata di
concluderà con la testimonianza di Lev Simonov, sopravvissuto
alla tragedia nello stadio di Mosca.
26 maggio 2016
Fonte: Langheroeromonferrato.net
ARTICOLI STAMPA e WEB
MAGGIO 2016
+39 Rispetto: Per non dimenticare le vittime dell’Heysel
di
Caterina Autiero
Il 29 maggio 1985, poco
prima dell`inizio della finale di Coppa dei Campioni tra
Juve e Liverpool allo stadio Heysel di Bruxelles, è andata
di scena una delle pagine più tristi della storia del
calcio: quello che doveva essere teatro di festa si trasformò in
un campo di battaglia e in un cimitero.
Erano le 18.30, in
tv la voce di Bruno Pizzul cercava di spiegare quanto stava
accadendo. Difficile, per un telecronista sportivo, ma per
chiunque, raccontare qualcosa che con il calcio non ha nulla
a che vedere: la polizia che non riusciva a controllare
i tifosi inglesi che inseguono i supporters della Juventus
fino all’estremità degli spalti; tutti ammassati nell’angolo
più lontano e basso del Settore Z, schiacciati l’uno sull’altro
contro un muro che crollò… Sotto quelle macerie persero
la vita 39 tifosi juventini, anzi no, 39 persone che
erano in Belgio, in quello stadio, quella sera,
semplicemente per l’amore del calcio
e per sostenere la propria squadra. Triste però che,
ancora oggi, negli stadi, si sentano cori inneggianti
quell’episodio che dovrebbe far raccapricciare qualsiasi
tifoso, di qualsiasi colore, perché non è giusto morire
così…A trentuno anni di distanza da quella tragedia resta
una ferita aperta. Una ferita che, purtroppo, non può
essere rimarginata perché non si può più tornare indietro.
Non si può fare altro che ricordare a Bruxelles, dove, presso
lo stadio della capitale belga ha avuto luogo una cerimonia
di commemorazione alla quale hanno partecipato il presidente
dello Juventus Museum Paolo Garimberti e Virginia Antonini
(Sustainability and External Relations Manager) come rappresentanti
bianconeri; a Torino, dove, per onorare la
memoria delle vittime, sulla Mole Antonelliana sarà
proiettata la scritta "+39 rispetto". Sono passati
ormai trentuno anni da quella notte maledetta, in cui
una partita di calcio si macchiò del sangue di uomini,
donne e bambini partiti con la semplice intenzione di vivere
una serata di festa e tifare. Si può e si deve ricordare,
commemorare, abbracciare col pensiero come tutt’oggi fanno
gli ultras della curva Sud in occasione di ogni partita
della squadra bianconera, perché, in quelle 39 vittime
c’è ognuno di noi che ama questo sport e "nessuno muore
veramente se vive nel cuore di chi resta".
27 maggio 2016
Fonte: Golditacco.ilgiornale.it
ARTICOLI STAMPA
e WEB MAGGIO 2016
Da Bruxelles
a Torino a Reggio Emilia
Il 29 maggio 1985 la finale
di coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool si trasformò
in una strage che lasciò sul campo 39 vittime. Uomini, donne,
bambini. Italiani e stranieri, tifosi juventini e non. Persone
che erano là per assistere a una partita di calcio.
Prima, la violenza e la
follia omicida degli hooligans. Poi, le colpevoli dimenticanze
degli anni successivi. Poi, purtroppo ancora oggi, i cori,
le magliette, le scritte, gli slogan infamanti dettati dalla
stupidità. Ma alcuni (inizialmente pochi, poi sempre di
più) in questi anni hanno svolto una funzione encomiabile,
non smettendo mai di promuovere la memoria. In particolare,
va segnalata l’attività di alcune associazioni, da sempre
attente sia al ricordo delle vittime dell’Heysel (e della
violenza nello sport in generale) sia alla promozione dei
valori di uno sport che deve unire e non dividere.
Il 26 maggio a Bruxelles
Presso il Parlamento Europeo
si è svolta una tavola rotonda sul tema "La sicurezza negli
stadi: fare tesoro della tragica esperienza di Heysel",
seguita dalla commemorazione delle vittime davanti a quello
che era il settore Z dello stadio. L’iniziativa, promossa
da alcuni parlamentari europei, ha visto la partecipazione
della "Associazione Familiari Vittime Heysel", dell’associazione
"Quelli di via Filadelfia", della stessa Juventus FC, di
alcuni deputati del Parlamento Europeo e di alcune delegazioni
e personalità italiane e straniere.
Il 27 maggio a Torino
Promossa dall’associazione
"Quelli di Via Filadelfia", si svolge la "Giornata della
Memoria per le vittime dell’Heysel e di ogni violenza sportiva".
Alle ore 21, a Palazzo di Città, nella Sala delle Colonne
del Comune di Torino, ci si riunirà per onorare la memoria
dei caduti dell’Heysel e delle vittime della tragedia dello
stadio Luzhniki di Mosca, con la presenza e gli interventi
di autorità, associazioni, delegazioni italiane e straniere.
Inoltre, per onorare la memoria delle vittime dell’Heysel,
il Comune di Torino (così come il 4 maggio colorò la Mole
di granata in onore del Grande Torino), ha disposto che
il 27 maggio sulla Mole Antonelliana venga proiettata la
scritta "+39 Rispetto".
Il 29 maggio a Reggio Emilia
Promossa dal comitato "Per
non dimenticare Heysel", si svolgerà la commemorazione delle
vittime dell’Heysel, davanti al "Monumento alla Memoria".
Il monumento, realizzato dallo scultore fiammingo Vanlessen,
è costituito da 39 steli e rappresenta l’unicità e la fragilità
della vita umana. E’ stato ristrutturato e provvisto di
copertura e viene curato e preservato dal comitato stesso,
come simbolo della non violenza nello sport. La cerimonia
inizierà alle ore 10.30 nel parco antistante lo stadio Mirabello.
Saranno presenti alcuni familiari e parenti delle vittime,
delegazioni di vari Juventus Club Doc, tifosi reduci della
tragica sera dell’Heysel, oltre a una rappresentanza del
"Museo del Grande Torino". Verrà inoltre letto il messaggio
di ringraziamento del Presidente Andrea Agnelli.
27 maggio 2016
Fonte: Juveatrestelle.it
ARTICOLI STAMPA e
WEB
MAGGIO 2016
The Heysel Memorial
di Cinzia Fresia
La strage allo stadio Heysel
di Bruxelles, accaduta il 29 aprile 1985 prima della finale
di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool non ha conosciuto
giustizia, ancora oggi, si dibatte su chi e che cosa scatenò
quella follia omicida che annientò 39 persone, uomini, donne
e bambini: mamme, papà, nonni, figli e figlie non tornarono
più a casa. A ricordare la strage e le vittime, oltre alle
testimonianze fotografiche e televisive, è rimasto un monumento
che si trova a Reggio Emilia, situato nel parco cittadino
davanti allo stadio Mirabello, è composto da 39 monoliti
inseriti in ordine sparso in un basamento circolare, la
posizione di queste steli e il rigore formale, conferiscono
solennità all’insieme perfettamente inserito nell’ambiente
rendendolo quindi unico nel suo genere. Come ogni strage,
a lungo andare viene messa da parte, ogni anno che passa
si ricorda sempre meno perché ricordare stanca, ma per noi
Juventini la strage dell’Heysel non si dimentica, nessuno
di noi vuole dimenticare o parcheggiare l’accaduto in qualche
posto nella nostra memoria, è un dolore che resta sempre
lì. Il Memorial che ricorda le 39 vittime dell’Heysel aveva
trascorso anni di incuria e abbandono fino a quando non
ha trovato una mamma e un papà, che si chiamano Rossano
e Iuliana, i quali lo hanno adottato come fosse una loro
creatura, dandosi da fare, organizzando raccolte di fondi
volte a provvedere alla manutenzione e protezione da intemperie
e altri atti, e occupandosene praticamente tutti i giorni.
Da questo sentimento, Iuliana Bodnari e Rossano Garlassi
decidono di costituirsi ufficialmente in un Comitato che
si è preso carico della gestione nonché manutenzione dell’opera,
grazie all’intervento del Comitato che il Monumento è stato
rimesso in piena efficienza e ogni anno organizza una commemorazione
in ricordo delle 39 vittime. Mantenere la memoria è faticoso,
ma Rossano e Iuliana per il Monumento, per la Juventus e
per tutto ciò che riguarda le 39 vittime, ci sono sempre,
in questi anni di Comitato non si sono mai sottratti ad
ogni appuntamento quando si parla di Heysel. Il Comitato
è sempre presente, come lo è stato lo scorso 16 Aprile 2016,
a Cherasco all’inaugurazione di un altro Monumento sempre
dedicato alla terribile strage, è stato bello poterci essere
e assistere all’inaugurazione, a poter vivere un momento
di autentica bellezza e solidarietà, sensazioni che si potranno
rivivere questo 29 maggio a Reggio Emilia, in occasione
della 10ma commemorazione delle 39 vittime. Il Comitato
però, oltre alla custodia di questa memoria ha avviato un
dialogo importante con il Presidente del Museo Grande Torino,
Domenico Beccaria, il cui intento è la pacificazione delle
tifoserie in memoria di quegli appassionati di calcio che
non ci sono più, nella speranza che non accada più una strage
in nome dello sport.
27 maggio 2016
Fonte: Ilblogdialessandromagno.it
ARTICOLI STAMPA e
WEB
MAGGIO 2016
Come non si commemora l'Heysel: idioti a Torino assaltano
un locale
Ultrà bianconeri assaltano
un locale dopo una provocazione da parte di un tifoso del
Torino.
TORINO - Sarebbe stato
uno screzio con un tifoso del Torino, cliente del locale,
a innescare il raid di una sessantina di ultrà della Juventus
in una vineria del centro del capoluogo piemontese, la scorsa
notte. E' quanto emerge dalle prime indagini condotte dalla
polizia, che sta analizzando anche tutti i filmati delle
telecamere di sorveglianza di via Mercanti, dove è avvenuto
l'episodio. Il gruppo di juventini, secondo quanto si apprende,
aveva appena finito di partecipare alla commemorazione delle
vittime dello stadio Heysel di Bruxelles, 31 anni fa. Quando
i tifosi juventini sono passati davanti al locale, il supporter
granata avrebbe fatto qualche commento offensivo e sarebbe
scattata la violentissima reazione. Il titolare della vineria,
anche lui di fede granata, da anni non fa più parte del
tifo organizzato anche se non è escluso che gli ultrà bianconeri
lo abbiano riconosciuto, benché sia stato del tutto estraneo
alla discussione. Nel corso del parapiglia un tifoso granata
è rimasto ferito in modo lieve, ma ha rifiutato le cure
del 118. L'idea che dopo aver commemorato le vittime dell'Heysel
a qualcuno possa venire in mente di attuare un'azione violenta
è grottesco e avvilente. La memoria delle 39 vittime si
difende dagli insulti e dalla volgarità senza ricorrere
alla follia violenta che fu la causa di quella tragedia.
Altrimenti l'Heysel viene calpestato ancora una volta. (g.va.)
28 maggio 2016
Fonte: Tuttosport.com
ARTICOLI STAMPA e WEB
MAGGIO 2016
Tifoso fa una battuta sull'Heysel e si scatena la furia
degli juventini a Torino
di Claudio Torre
Una frase di troppo che
ha scatenato la furia dei tifosi bianconeri che tornavano
da una cerimonia per la commemorazione della strage.
Un vero e proprio raid
di 60 tifosi della Juve nel centro di Torino. A far scoppiare
la furia degli ultras bianconeri la frase di un tifoso torinista
che si trovava in un locale. Secondo la ricostruzione della
polizia un gruppo di tifosi bianconeri aveva partecipato
alla commemorazione della strage dell'Heysel dove morirono,
nel 1985, 39 tifosi della Juventus dopo gli scontri (NdR:
Aggressione, non ci furono scontri !) con i tifosi del Liverpool
durante la finale di Coppa dei Campioni. Il gruppo di tifosi,
tornando dalla commemorazione sono passati davanti ad uno
storico locale del centro. Lì un tifoso granata avrebbe
fatto una battuta poco gradita sull'Heysel ed è scattata
la furia degli juventini. Il gestore del locale è un tifoso
del Toro del tifo organizzato e anche lui è stato vittima
dell'aggressione. Pronto l'intervento delle forze dell'ordine
e del 118. Uno dei tifosi, durante la maxi rissa, ha riportato
lievi ferite e ha rifiutato le cure dei para-medici.
28 maggio 2016
Fonte: Ilgiornale.it
ARTICOLI STAMPA e
WEB
MAGGIO 2016
Torino, frase sull'Heysel scatena il raid: ultras
juventini devastano vineria
tifosi del Toro
Una sessantina di tifosi
della Juventus ha preso d'assalto, la scorsa notte, una
vineria del centro di Torino i cui proprietari sono noti
supporters del Torino. Gli ultras, secondo quanto accertato
dalle forze dell'ordine, sono scesi da due bus. Poi sono
entrati nel locale ubicato in via Mercanti, a un tiro di
schioppo da piazza Castello e hanno danneggiato arredi e
fatto razzia di prodotti, dopodiché sono fuggiti via, portandosi
dietro anche alcuni oggetti personali lasciati incustoditi
sui tavolini dai clienti spaventati. Sull'accaduto indaga
la polizia. Gli agenti hanno già sequestrato le telecamere
di zona e quelle posizionate all'interno del locale nella
speranza di riuscire a individuare i responsabili del folle
raid. RAID SCATENATO DA FRASE SU HEYSEL - A quanto pare
sarebbe stato uno screzio con un tifoso del Torino, cliente
del locale, a innescare il raid. E' quanto emerso dalle
prime indagini condotte dalla polizia. Il gruppo di juventini,
secondo quanto si apprende, aveva appena finito di partecipare
alla commemorazione delle vittime dello stadio Heysel di
Bruxelles, 31 anni fa. Quando i tifosi juventini sono passati
davanti al locale, il supporter granata avrebbe fatto qualche
commento offensivo e sarebbe scattata la violentissima reazione.
Il titolare della vineria, anche lui di fede granata, da
anni non fa più parte del tifo organizzato anche se non
è escluso che gli ultrà bianconeri lo abbiano riconosciuto,
benché sia stato del tutto estraneo alla discussione. Nel
corso del parapiglia un tifoso granata è rimasto ferito
in modo lieve, ma ha rifiutato le cure del 118.
28 maggio 2016
Fonte: Torino.blog.cronacaqui.it
ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 2016
Juventus: i sindaci piemontesi commemorano le vittime allo
stadio Heysel
Una delegazione di primi
cittadini, capitanati dal vicepresidente del Parlamento
europeo Antonio Tajani, hanno deposto due corone di fiori
allo stadio di Bruxelles.
BRUXELLES (BELGIO) - Una
delegazione di sindaci piemontesi, il vicepresidente vicario
del Parlamento europeo, Antonio Tajani, e l'eurodeputato
Alberto Cirio hanno deposto due corone di fiori allo Stadio
Heysel di Bruxelles, a pochi giorni dal 31° anniversario
della tragedia in cui, il 29 maggio del 1985, persero la
vita 39 persone prima della finale di Coppa dei Campioni
tra Juventus e Liverpool. Alla cerimonia davanti alla lapide
che ricorda i nomi di tutte le vittime, hanno partecipato
anche il presidente dell' Associazione Familiari Vittime
dell'Heysel Andrea Lorentini, il presidente dell'Associazione
"Quelli di Via Filadelfia" Beppe Franzo, il consigliere
regionale del Piemonte Gianluca Vignale ed il presidente
dello Juventus Museum Paolo Garimberti, con il Gonfalone
della Juventus. La commemorazione è stata preceduta in mattinata
da una tavola rotonda al Parlamento europeo sul tema della
sicurezza negli stadi. "Quando lo stadio venne ristrutturato,
alcuni anni fa, scrissi al Governo - ha ricordato il vicepresidente
del Parlamento Ue Tajani - perché c'era la preoccupazione
che la stele in ricordo delle vittime venisse rimossa e
accantonata. L'allora primo ministro belga Elio Di Rupo,
che era di origine italiana, si impegnò perché ciò non accadesse.
E quella targa oggi è ancora qui, per non farci dimenticare".
"Oggi all'Heysel abbiamo visto tanti giovani - ha sottolineato
Alberto Cirio - molti di loro, però, probabilmente non sanno
cosa è accaduto qui 31 anni fa. Il Belgio ha sempre preferito
dimenticare questa tragedia. Ma noi vogliamo ricordare e
vogliamo farlo ogni anno, non solo in occasione di grandi
anniversari. Perché ricordare è anche il modo migliore per
prevenire e la sicurezza negli stadi continua ad essere
una criticità importante di cui prendersi cura".
28 maggio 2016
Fonte: Tuttosport
ARTICOLI STAMPA e WEB
MAGGIO 2016
Alla Mia Regina di Cuori
Messaggio di Commemorazione
Ufficiale del Museo Virtuale Multimediale Saladellamemoriaheysel.it
in occasione del 31° Anniversario della Strage dello Stadio
Heysel di Bruxelles.
Pregiatissima Signora,
La prego di dedicare soltanto
un minuto della sua nobile attenzione alla ragione per cui
mi prendo licenza d’importunarla…
Sono passati 31 anni, oramai, da quella tragedia
protervia che ha rapito al cielo tanti suoi figli e che
in terra ha disintegrato le loro povere famiglie. Lei ora
ha finalmente elaborato, al riparo da occhi indiscreti e
lingue mordaci, viltà e pudore di qualcuno, quel lutto,
nascondendo nelle anse del suo cuore l’immensa pena. L’avversario
più grande affrontato nella sua storia leggendaria e la
sconfitta più atroce dalla nemica acerrima di tutti e di
sempre, la morte… Ed a nulla valse lo sprono dei cavalli
alla carica dei suoi paladini più fieri, il trionfo effimero
di una battaglia, persino vinta, quando la guerra si era
già perduta, dal principio.
Noi ricorderemo per sempre sugli spalti quei caduti
innocenti, disarmati e schiacciati dalla sorpresa e dalla
paura, sopraffatti dalla barbarie d’un esercito d’oltremanica
di lanzichenecchi senza onore. Noi ci metteremo in cerchio
intorno al monumento dedicato alla loro Memoria a Reggio
Emilia come alla Continassa, ritti e muti come quei pilastri
dell’Heysel, sentinelle attente i nostri pensieri a intimarci
di non violare mai senza una preghiera il riposo dei giusti.
Noi resteremo lì, mano nella mano… In dieci o mille, non
farà alcuna differenza, perché tramanderemo di padre in
figlio quel racconto porpora di maggio, insegnando loro
l’unico silenzio giustificabile difronte al dolore: quello
dell’amore.
…Ma intanto al vento, alla pioggia, alla neve od
al sole cosa mai importerà di tutto questo ?! Non potranno
avere in nessun tempo a cuore la memoria, consumando le
cose prima ancora degli uomini. A sfidare le armate delle
intemperie e il dileggio del popolo subdolo dei mentecatti
svetterà il nostro monumentale impegno simbolo di cordoglio,
di fraternità e di pace. La gente, a volte, se vuole può
tutto, ma di certo nulla al confronto di quanto in potere
ad una Regina. Pertanto, Magnifica Signora, osiamo chiederLe
di spalancare il suo grande cuore di Madre così da riabbracciarli,
uno ad uno tutti, "i suoi figli dispersi nel Belgio". …E
casomai non riponesse la sua fede negli angeli, quanto splendenti
di oro e argento in quei trofei gloriosi conquistati dai
tanti suoi condottieri, allora, La prego, Madonna Bianca
e Nera, lo faccia in nome di Gaetano, il più grande dei
capitani…
Suo devoto fedele…
Domenico Laudadio (Custode
Saladellamemoriaheysel.it)
29 maggio 2016
Fonte: Giulemanidallajuve.com
ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO
2016
Heysel, la Juventus ricorda le vittime: "Mai più"
Il 29 maggio 1985 la finale
di Coppa dei Campioni fra il club bianconero e il Liverpool
si trasformò in tragedia: 39 le vittime innocenti: "Una
follia che ancora oggi non trova spiegazioni"
twitta.
TORINO - Trentuno anni
fa, eppure sembra ieri. Il 29 maggio del 1985 la Juventus
visse il momento più triste della sua storia: allo stadio
Heysel di Bruxelles, poco prima della finale di Coppa dei
Campioni fra il club bianconero e il Liverpool, la tragedia
in cui persero la vita 39 persone. IL RICORDO - Una ferita
mai rimarginata per la Juventus che ricorda oggi quel giorno
con un post sul sito ufficiale: "L’orrore e la tragedia
che si consumarono allo stadio Heysel, nelle ore immediatamente
precedenti la finale di Coppa dei Campioni fra Juventus
e Liverpool, sono ancora vive negli occhi dei tifosi bianconeri
e, più in generale, di tutti gli appassionati di calcio,
che quella sera, a Bruxelles o davanti alla televisione,
hanno assistito a momenti da incubo. Una notte, quella del
29 maggio 1985, che ha cambiato per sempre le vite di 39
famiglie, segnate dalla perdita dei loro cari, vittime innocenti
di una follia che ancora oggi non trova spiegazioni. A loro,
da 31 anni, va il nostro pensiero e il nostro ricordo, nella
convinzione che quello che è accaduto all’Heysel non debba
ripetersi mai più".
IL MESSAGGIO DI MORATA - Anche Alvaro Morata ha
voluto testimoniare la sua vicinanza al club bianconero
e il suo rispetto per le vittime con un messaggio su Instagram
con la foto della lapide a loro dedicata.
TAVECCHIO - "Il ricordo della tragedia dell'Heysel
unisce il mondo del calcio e l'Europa intera. Il dolore
e la dignità delle famiglie delle vittime rappresentano
l'insegnamento più importante, a distanza di anni, per tutti
coloro che amano il calcio, indipendentemente dai ruoli
che ricoprono". Così il presidente della Figc, Carlo Tavecchio,
commemora le vittime nel 31° anniversario della strage.
BARZAGLI RICORDA - Anche Barzagli dedica un post al ricordo
della tragedia e commenta: "Per non dimenticare. Mai".
29 maggio 2016
Fonte: Tuttosport.com
ARTICOLI STAMPA e WEB
MAGGIO 2016
Tavecchio
ricorda le vittime dell'Heysel
Il presidente della Figc:
"Dolore e dignità delle famiglie è un insegnamento per tutti".
ROMA - "Il ricordo della
tragedia dell'Heysel unisce il mondo del calcio e l'Europa
intera. Il dolore e la dignità delle famiglie delle vittime
rappresentano l'insegnamento più importante, a distanza
di anni, per tutti coloro che amano il calcio, indipendentemente
dai ruoli che ricoprono". Così il presidente della Figc,
Carlo Tavecchio, commemora le vittime nel 31° anniversario
della strage dell'Heysel. "Il 29 maggio 1985, 39 persone,
per la maggior parte italiane, persero la vita allo stadio
di Bruxelles prima della finale di Coppa Campioni Juventus-Liverpool.
In quello stadio, in occasione dell'amichevole Italia-Belgio
del novembre scorso, la Figc guidata dal presidente accompagnato
dagli Azzurri aveva ricordato la terribile tragedia con
una cerimonia davanti la lapide posta nella curva "Z". Il
calcio italiano ha voluto rendere un commosso omaggio, insieme
a rappresentanti istituzionali delle federazioni italiana
e belga, dirigenti della Juventus e soprattutto i componenti
dell'Associazione dei familiari delle vittime dell'Heysel
guidati da Andrea Lorentini. La Figc in occasione della
cerimonia del novembre 2015 aveva ufficialmente ritirato
la maglia della Nazionale n. 39, che era stata poi autografata
da tutti i calciatori ed esposta al Museo del calcio di
Coverciano. Il giorno dopo, al 39' di Italia - Belgio, le
due squadre erano scese in campo con uno striscione a ricordo
della tragedia ("29-5-85 will never forget") e al 39' del
primo tempo tutto lo stadio ha iniziato ad applaudire mentre
i nomi delle 39 vittime, tutti insieme, uno per uno, senza
distinzioni di nazionalità o fede calcistica, sono stati
ricordati sui led a bordo campo. Oggi, 31 anni dopo, il
calcio italiano non dimentica le vittime dell'Heysel.
29 maggio 2016
Fonte: Corrieredellosport.it
ARTICOLI STAMPA e WEB
MAGGIO 2016
Sono tanti i messaggi per ricordare la tragedia avvenuta
il 29 maggio 1985 prima di Juventus-Liverpool
Tavecchio: "La dignità
delle famiglie è l'insegnamento più importante"
29 maggio 1985-29 maggio
2016. 31 anni se ne sono ormai andati, ma il ricordo di
quanto accaduto quella sera, nel settore Z dell'Heysel di
Bruxelles, rimane vivo. 39 persone persero la vita, in quel
tragico e assurdo prepartita di Juventus-Liverpool, finale
di Coppa dei Campioni. Un dramma ancora vivo nella memoria
di chi c'era, di chi ha perso un parente o un amico e di
chi ne ha solo sentito parlare.
"Il ricordo della tragedia dell'Heysel unisce il
mondo del calcio e l'Europa intera - le parole di Carlo
Tavecchio, presidente della FIGC - Il dolore e la dignità
delle famiglie delle vittime rappresentano l'insegnamento
più importante, a distanza di anni, per tutti coloro che
amano il calcio, indipendentemente dai ruoli che ricoprono".
Oltre al numero uno della Federcalcio, molti altri
personaggi del calcio hanno espresso un pensiero, un ricordo,
un'emozione tramite social. Anche il Torino ha postato un
tweet sul proprio account. Perché la morte non ha colori.
29 maggio 2016
Fonte: Goal.com
ARTICOLI STAMPA e WEB
MAGGIO 2016
Strage
dell’Heysel, 31 anni dopo la ferita è ancora aperta
di Alessia Cruciani
Il 29 maggio 1985 a Bruxelles
è in programma la finale della Coppa dei Campioni tra Juventus
e Liverpool. Ma sugli spalti si scatena l’inferno: 39 morti.
Milano - Oggi si chiama
Champions League e la finale è stata giocata ieri in Italia.
C’erano tanti italiani anche il 29 maggio di 31 anni, quando
si chiamava ancora Coppa dei Campioni. Quella volta la finale
si disputò a Bruxelles. E si giocò per davvero, nonostante
sugli spalti dello stadio Heysel fosse appena andata in
scena una strage assurda: 39 morti tra le tifoserie di Juventus
e Liverpool, le finaliste di allora. I morti furono in maggioranza
nostri connazionali: 32 più 4 belgi, 2 francesi e 1 irlandese.
L’attacco - La festa dei 60 mila tifosi arrivati
in Belgio diventa incubo poco dopo le 19: il settore Z si
trasforma in un campo di battaglia, con gli hooligan all’attacco.
In pochi attimi riescono ad abbattere la sottilissima rete
che divide i sostenitori avversari. Si scatena l’apocalisse.
Le forze dell’ordine non sanno come intervenire, quasi restano
a guardare la furia degli inglesi. Quando intervengono,
lo fanno in modo sbagliato, prendendo a manganellate gli
italiani che vogliono andare verso il prato. Non è un’invasione
che hanno in mente, ma stanno semplicemente cercando una
via di fuga per la salvezza. Chi resta imprigionato nelle
gradinate può solo indietreggiare fino al muro che delimita
il settore. È l’attimo prima della tragedia, il muro crolla
sotto il peso della folla.
In campo - Per evitare un bilancio ancora più grave,
l’Uefa e le autorità belghe danno l’ordine perentorio di
giocare lo stesso. E così Juve e Liverpool scendono in campo
mentre i corpi dei tifosi vengono ammassati nel retro della
curva. I giocatori non hanno idea della gravità dei fatti
e giocano con l’agonismo di sempre. Vince la Juve grazie
alla rete segnata da Platini. Nessuno, però, ha il buon
senso di fermare la loro esultanza, evitando quell’indegno
giro di campo con la Coppa in bella mostra.
Grazie alla tenacia di Otello Lorentini, papà di
una delle vittime, anche l’Uefa è stata condannata per le
responsabilità nella strage: tre mesi con la condizionale
per il segretario generale Hans Bangerter. La Cassazione
belga ha confermato nel 1991 le condanne a 4 anni con la
condizionale e 60mila franchi per nove hooligans mentre
altri tre hanno preso cinque anni. Quella maledetta notte,
sei medici militari effettuarono 39 autopsie. Sul certificato
di morte di ognuno di loro hanno scritto la causa del decesso:
accidentale.
29 maggio 2016
Fonte: Gazzetta.it
ARTICOLI STAMPA e WEB
MAGGIO 2016
Trentuno anni dall’Heysel, una ferita mai guarita
di Roberto Moretti
Oggi sono trentuno anni
esatti da quel 29 maggio 1985, giorno stampato nella memoria
collettiva come uno dei più dolorosi e sconcertanti della
storia del calcio. Quella sera Juventus e Liverpool si giocavano
la finale di Coppa dei Campioni, in campo interpreti assoluti
del livello di Platini, Scirea, Rossi, Rush, Dalglish e
Whelan erano pronti a scrivere una pagina indimenticabile
del calcio europeo, ma la follia degli hooligans prese,
purtroppo, le prime pagine dei giornali. I più accesi sostenitori
inglesi cercarono di invadere la zona di tifosi juventini,
composti in quel settore specifico per lo più da ragazzi
e famiglie. Quello che era, secondo quel tifo inglese, una
manovra intimidatoria, un rituale di "presa della curva",
venne gestito in modo grossolano dalle forze dell’ordine
belghe che lasciarono senza un riferimento il settore bianconero.
I tifosi juventini, impauriti, si ammassarono sul muro opposto
a quello dei tifosi inglesi, creando un sovraccarico della
struttura divisoria, che cedette. Trentanove persone persero
la vita, la maggior parte italiani, schiacciati dalle macerie
o dalla stessa foga della calca. La finale si giocò per
motivi di ordine pubblico, dopo tanta incertezza e in un
clima surreale, la Juventus vinse la sua prima Coppa Campioni
grazie ad un gol di Platini, ma quel trofeo non è un vanto
per nessuno dei vincitori, anzi. Resta solo il ricordo di
una delle pagine più tristi della nostra Nazione, dello
sport, resta un punto di svolta verso un calcio che non
può permettersi simili pericoli per quel tifo sano e genuino,
per famiglie, ragazzi e bambini. Restano trentanove lacrime,
e poco più.
29 maggio 2016
Fonte: Spazioj.it
ARTICOLI STAMPA e WEB
MAGGIO 2016
La
strage dell’Heysel 30 anni più uno dopo
di Simone Cosimelli
In campo si gioca, comunque.
Fu l’ordine delle autorità belghe e dei vertici Uefa. Dopotutto,
era la Coppa dei Campioni, il culmine della stagione. Si
affrontavano la Juve di Platini, già pluripremiata, e il
Liverpool, vincitore l’anno prima dell’amara finale di Roma,
che aveva seppellito le ambizioni europee giallorosse. Ma
al fischio d'inizio dell’arbitro, alle 21 e 40, nello stadio
Heysel di Bruxelles 39 corpi senza vita e centinaia di feriti
erano già una realtà, seppur taciuta. Qualcosa non aveva
funzionato. Intorno alle 19 e 30 dal gioco si passa alla
guerriglia, dai colori alle armi. Le tifoserie, in gran
parte provenienti da club organizzati, sono accuratamente
divise, almeno secondo i piani. Settori X e Y per gli inglesi,
Z gli italiani. Però non solo gli ultras dei Reds sono presenti,
ma pure quelli del Chelsea, gli Headhunters (cacciatori
di testa), noti più per la violenza che per l’estro coreografico.
Estremisti da radiare e ripudiare. Ma pochi se ne accorgono,
e ancor meno se ne preoccupano. Del resto, tutti Hooligans,
tutto normale in quegli ambienti lì. Poi arriva la violenza
e il settore Z diventa un campo di battaglia. Gli inglesi
attaccano, per intimidire e per far male. Si fugge, in preda
alla disperazione: ma i cancelli d’ingresso posti in cima
rimangono chiusi con i lucchetti (li romperanno i vigili
del fuoco decine di minuti dopo con le cesoie), e chi prova
a entrare in campo è ricacciato indietro dalla polizia belga,
che irrompe a cavallo sventolando i manganelli. Dominano
il panico, le botte, le urla. Nessuno aiuta nessuno. Il
muro, minato dal peso schiacciante della folla spaventata
che si accalca, crolla. E' l’immagine di una serata tragica.
Eppure il tempo scorre. La partita s’ha da fare: il biglietto
non è rimborsabile, e poi in migliaia sono collegati a casa
per seguire quel meraviglioso spettacolo qual è il calcio.
Allora, in campo si gioca. E gli operatori televisivi fanno
il loro dovere: riprendono le squadre, gli allenatori, le
panchine, il sudore, le imprecazioni, il gol dell’1 a 0
(Platini), l’agonismo. Il sangue, no, quello non viene inquadrato.
Gli spalti neppure. I bianconeri non sanno niente: festeggiano,
esultano e girano coppa alla mano. Non lo sanno che 32 italiani,
4 belgi, 2 francesi e un irlandese dall’Heysel non usciranno
più; e che altri, tanti, vanno in giro con la testa spaccata
e il corpo pestato. Nemmeno quelli del Liverpool hanno saputo
niente. Lo sapevano però Albert Roosens, presidente Federcalcio
Belga, e Johan Mahieu, responsabile dell’ordine pubblico
(condannati poi a sei mesi di reclusione). Lo sapevano,
ma dimostreranno il contrario, il presidente Uefa, Jacques
Georges, e il segretario generale, Hans Bangerter – anche
se la Uefa, da entità astratta, risarcirà le vittime perché
giudicata responsabile della strage. Lo sapevano, forse
dopo il fatto compiuto o probabilmente prima ancora di caricare,
gli inglesi. Che tanto più di qualche anno di galera non
sconteranno. Se ne rese conto subito, invece, il dottor
Roberto Lorentini, presente per la passione juventina nel
sangue: era fuggito, tornò indietro per soccorrere, e trovò
la morte. Il padre, Otello, per anni si lamenterà con il
Club degli Agnelli per non aver rifiutato il trofeo e per
aver ignorato l’associazione dei parenti delle vittime.
Fu una mattanza. Quanti ancora oggi vanno allo stadio con
la rabbia da sfogare, questo, sì, l’hanno sentito dire,
l'hanno sentito raccontare. Ma se lo dimenticano spesso.
E lo vediamo in Italia: dalla serie massima alle finali
romane della coppa nazionale (per esempio nel 2014, e ancora
nel 2016). Tant'è che 30 anni più uno dopo, malgrado lacrime
e commemorazioni, nel meraviglioso gioco del calcio, c’è
ancora chi si diverte e chi combatte, chi insegue e chi
fugge. Chi colpisce e chi è colpito.
29 maggio 2016
Fonte: Affaritaliani.it
ARTICOLI STAMPA e WEB
MAGGIO 2016
Heysel e Luzhniki stadi tragicamente gemelli
di Marco Edoardo
Sanfelici
Il solo pronunciare Heysel evoca
nella memoria collettiva del popolo juventino e di
coloro che seguono il mondo del calcio, una zona d’ombra
sinistra ed inquietante. È il dovere automatico di
riaprire il cassetto mentale nel quale si è riposta una
tragedia mai tanto abbastanza ricordata. È altresì
rammentare la sommatoria colpevole e criminale di
leggerezze, inefficienze, inadempienze e vergognosi
menefreghismi che hanno portato, quasi ineluttabilmente,
ad uno scempio di vite umane, in un numero ben superiore
alle 39 materialmente rilevate. Occorre infatti
calcolare anche le vite distrutte dei familiari e di
coloro che, seppur scampati, hanno dovuto sopportare
conseguenze non ben precisate, ma tangibili, nello
scorrere dei loro giorni. Vittime. Che hanno il diritto
di essere ricordate, che abbiamo tutti quanti il dovere
di commemorare, perché la memoria non muoia. A questo
compito, oseremmo definire "religioso", si stanno
dedicando da anni "Quelli di via…Filadelfia" ed il loro
presidente Beppe Franzo, testimone presente la sera di
Bruxelles nello stadio maledetto, con tanti altri della
sua associazione. Ora, dopo anni di oblio, anche la
società Juventus partecipa con assiduità alle
manifestazioni di ricordo del 29 maggio 1985; anche la
Città di Torino non si tira indietro, attraverso la
Giunta, tramite assessori e consiglieri in prima linea.
Ora si può dare finalmente spazio a testimonianze sempre
più precise ed attendibili, come il documento filmato
"Per non dimenticare Heysel" a cura di Massimo Tadolini,
fondatore di "Nucleo 1985" e girato per ricordare le due
vittime di Bassano del Grappa, Mario Ronchi e Amedeo
Spolaore. Per chi non fosse ancora al corrente di che
cosa ha rappresentato l’Heysel o volesse voltarsi, in
modo spudorato, fingendo di non sapere, è apparsa molto
utile ed azzeccata la scritta "+39 RISPETTO" comparsa
sulla Mole Antonelliana la sera del 27 maggio scorso.
Perché non si possa più affermare di non sapere. Eppure,
Heysel non è la prima ed unica sciagura avvenuta in uno
stadio. Già nel 1982 nell’allora stadio Lenin di Mosca,
ora ribattezzato "stadio Luzhniki", durante la gara
Spartak - Haarlem di Coppa U.E.F.A., la solita micidiale
miscela di disorganizzazione, arroganza delle autorità e
mancanza di buon senso provoca una calca tra tifosi che
tornano indietro attirati dal boato per una rete segnata
a tempo scaduto e l’afflusso forzoso di spettatori
spinti ad uscire. L’inferno che ne scaturisce, in un
unico stretto cunicolo di uscita causa la morte di 66
tifosi; ma al netto degli accertamenti le vittime,
secondo testimonianze dagli ospedali e da persone
presenti, toccano il numero di circa 300. Nessuna
notizia in merito è trapelata in occidente fino a non
molto tempo fa. Al tempo dei fatti, il regime comunista
si è premurato a coprire l’ecatombe allo stadio Lenin e
di non fare uscire notizia alcuna. La sera di venerdì
alla Sala delle Colonne un sopravvissuto del Luzhniki,
Lev Simonov ha dato testimonianza della tragedia
moscovita. Forse anche la non conoscenza di quanto
accaduto a Mosca nell’82, ha determinato la lacunosa
organizzazione di Bruxelles, tre anni dopo. Sicuramente
i dirigenti dell’U.E.F.A. si sono auto sollevati, in una
sorta di protervo esonero, dalle responsabilità che solo
la testarda, costante manifestazione di amore del padre
Otello Lorentini, nei confronti del figlio Roberto,
caduto nella curva Z mentre da medico prestava soccorso
ad un bambino, ha fatto crollare sotto i colpi delle
sentenze di tribunali europei. C’è da sperare che lo
Stadio Heysel (divenuto Re Baldovino) e il Luzhniki (ex
Lenin) non restino gemellati nella disgrazia, ma che
siano luoghi da cui intravvedere oltre i mucchi di
macerie un orizzonte di attenzione crescente per la
sicurezza delle persone. Senza distinzione di lingua e
di colore di sciarpa.
29 maggio 2016
Fonte: Spazioj.it
ARTICOLI STAMPA e WEB
MAGGIO 2016
Quel maledetto 29 maggio: il racconto di chi era
all’Heysel per una festa
e si ritrovò all’inferno
di Federico Callegaro
Chi ha vissuto quell’incubo
torna con la memoria a quella tragedia trentun anni dopo.
Torino - "Dal punto in
cui eravamo noi sembrava che il settore Z stesse ondeggiando.
Si vedeva un’indistinta marea rossa che premeva verso gli
spalti occupati dagli italiani e li faceva arretrare". La
sera del 29 maggio 1985 Beppe Franzo è dentro l’Heysel,
lo stadio di Bruxelles in cui la Juventus si gioca la Coppa
dei Campioni contro il Liverpool. E’ un ragazzo di vent’anni
ed è un ultras degli Indians, un gruppo di tifosi organizzati
che segue i bianconeri in tutte le trasferte. "Eravamo partiti
il giorno prima da piazza Castello - racconta - All’epoca
i pullman per le partite fuori casa si radunavano tutti
lì". Quello che sta succedendo dall’altro lato dell’impianto
sportivo e che tutti i testimoni descrivono con la metafora
dell’onda umana lo racconta su "La Stampa" Carlo Capecci,
un avvocato di Pistoia che si trova allo stadio con tre
bambini. L’uomo ha preso i biglietti nel settore Z, il lato
sud della curva occupata dai tifosi del Liverpool e che
doveva servire da cuscinetto tra le opposte tifoserie. Visto
il grande numero di spettatori italiani, però, in quel punto
vengono collocati anche gli juventini. A separare famiglie
e pacifici tifosi dagli hooligans inglesi c’è una semplice
rete: "Improvvisamente ho sentito un razzo sfiorarmi il
capo. Guardo verso quelli del Liverpool e li vedo che stanno
lanciando altri razzi verso di noi - racconta Capecci -
Siete matti? Grido. Subito riparo con le braccia il bimbo
più piccolo, spaventato". E’ l’inizio di una tragedia che
costerà la vita a 39 persone. "Le donne hanno cominciato
a strillare, a spingere per scappare. Ma non solo le donne.
Tutti cercavano di allontanarsi il più possibile dalla rete
che li separava dai ‘Reds’. Intanto continuava a volare
di tutto, e c’erano i primi feriti. Gente colpita al capo
col volto rigato dal sangue". Nel settore Z ci sono
soltanto famiglie. Gli ultras bianconeri sono nell’altra
curva e possono solo intuire quello che sta capitando. "Quando
vediamo che gli inglesi caricano nuovamente verso i nostri
decidiamo di sfondare le barriere e entriamo in campo -
racconta Franzo - La polizia belga era quasi tutta radunata
sotto il nostro settore, nell’altra curva dove stava avvenendo
la strage erano in pochi". La polizia carica gli ultras
italiani e riesce a respingerli ma Franzo si separa dal
suo gruppo. Inizia a percorrere a piedi l’anello della pista
di atletica nella speranza di trovare un punto di accesso
alle tribune: "Continuo a camminare e mi avvicino sempre
di più al settore degli inglesi. Arrivo a pochi metri da
loro e mi accorgo che c’è qualcosa che non va. Ci sono bandiere
della Juventus e tricolori italiani distesi per terra e
da sotto i drappi vedo che spuntano dei piedi". Sono i primi
morti. La carica dei ‘Reds’ ha spinto i tifosi bianconeri
ad ammassarsi contro un muretto che ha ceduto, facendoli
precipitare nel vuoto. Il tifoso riesce a prendere un megafono
e si mette a gridare verso le tribune spiegando che è in
corso una tragedia ma gli spettatori non lo capiscono e
gli lanciano addosso quello che hanno in mano.
"Eravamo lontani dal punto della
strage. Abbiamo saputo dopo quanto era veramente accaduto"
Quello che cercano tutti, durante
e dopo il drammatico evento, è di reperire informazioni.
Lo fanno gli ultras collocati nella curva opposta al settore
Z e che intravedono soltanto la scena, i famigliari di chi
è andato in trasferta, angosciati davanti al televisore
ma senza la possibilità di mettersi in contatto con i propri
cari e anche i tifosi in bus durante il viaggio di ritorno.
"La prima cosa che abbiamo fatto quando siamo rientrati
in Italia è stata andare a comprare i giornali - racconta
Franzo - Solo guardando le prime pagine abbiamo capito davvero
la dimensione della tragedia". Su alcuni pullman, poi, dei
posti a sedere sono vuoti. E’ il caso di quello che riporta
a casa lo Juventus club di Alessandria, dove all’appello
manca Walter Gianni, un ragazzo di 27 anni di cui gli amici
hanno perso le tracce durante la carica degli inglesi. Il
suo è un caso fortunato. Nonostante l’angoscia degli altri
alessandrini, infatti, si scoprirà in serata che era stato
ricoverato in un ospedale di Bruxelles. "A casa erano tutti
preoccupati ma i miei genitori no perché mi avevano visto
in televisione - racconta Franzo - Dopo essere tornato nel
mio settore avevamo nuovamente sfondato i cordoni della
polizia per raggiungere gli inglesi. Mio padre mi aveva
visto al Tg mentre piantavo nel centro del campo da calcio
una bandiera Italiana. Il suo commento era stato: ‘Ho un
figlio stupido ma almeno so che è vivo’".
Alla fine, nonostante il ministro
dell’Interno belga ne avesse chiesto l’annullamento, la
partita si gioca. Motivi di ordine pubblico, spiegano le
autorità. Far uscire tutti dallo stadio sarebbe stato peggio.
La Juventus vince la Coppa ma, tra quelli che sono all’Heysel,
la partita non la guarda nessuno. Né i tifosi, né Giovanni
Agnelli, che appena saputo dei gravi fatti ha deciso di
tornare subito in Italia.
"Gravissime carenze erano state
constatate nell’organizzazione del servizio di sicurezza
attorno allo stadio e al suo interno".
A Torino, però, la gente scende
in strada per festeggiare il successo sportivo. "Ed è la
cosa che ci ha fatto più male - spiega Beppe Franzo - Per
noi sapere che qualcuno aveva voglia di fare i caroselli
con le auto è stato un colpo al cuore. A distanza di tempo
ho avuto modo di incontrare tante persone che si giustificavano
persino per aver scelto di scendere in strada in quella
giornata di disgrazie". Una cosa simile succede anche ad
Alessandria, dove però dalla caserma dei Carabinieri escono
tutte le volanti che si impegnano meticolosamente a multare
i conducenti delle vetture che si sono date ai festeggiamenti.
Per la strage che è costata la vita a 39 persone sono state
accertate le responsabilità degli hooligans inglesi e quelle
legate alla gestione dell’ordine pubblico, imputate alla
polizia belga.
6 giugno 2016
Fonte: Lastampa.it
ARTICOLI STAMPA e WEB
GIUGNO 2016
Gorgonzola, venerdì 14 ottobre serata per ricordare la tragedia
dell'Heysel
di Davide Villa
Presso il centro intergenerazionale
di via Oberdan a Gorgonzola, si svolgerà alle ore 21:00
di venerdì 14 ottobre un incontro con Francesco Caremani,
autore del libro "HEYSEL, le verità di una strage annunciata",
Andrea Lorentini Presidente dell'Associazione Familiari
Vittime Heysel, Luca Gattuso giornalista e conduttore radiofonico
di Radio Popolare, Daniele Fossati responsabile sezione
sport di "Radar", per ricordare la tragedia dello stadio
Heysel.
Sono passati più di trentuno
anni da quel 29 maggio del 1985, giorno della finale di
Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool, nella quale
perirono 39 persone, di cui 32 italiane e ne rimasero ferite
oltre 600. Un mix di follia originata dagli atti vandalici
dei temibili hooligans inglesi, sommata alle scelte infelici
dell’Uefa e dell’organizzazione locale, a partire dallo
stadio, quello dell’Heysel di Bruxelles, un impianto fatiscente
e logoro, con una capienza di solo trentamila posti, a fronte
di richieste da parte dei tifosi italiani che ammontavano
a quasi il doppio.
Nella grande calca che venne a crearsi in seguito
alle cariche di hooligans ubriachi, che dalla propria curva
invasero il piccolo settore Z adiacente occupato da famiglie
di tifosi Italiani - gli ultrà della Juventus erano assiepati
nella curva opposta - alcune persone rimasero schiacciate
contro il muro di recinzione, altre si lanciarono nel vuoto,
proprio per evitare di essere calpestate dalla folla e uccise
alla ricerca di una via d’uscita. L’impreparazione delle
forze dell’ordine belghe, che ingenuamente ostacolarono
l’unica via di fuga verso il campo, completò la carneficina.
Dopo un'ora e mezza di parapiglia generale, la prefettura
belga e l’Uefa decisero di far disputare ugualmente la partita,
per evitare altre tensioni, sotto gli occhi attoniti di
migliaia di tifosi i quali, con lo scorrere dei minuti,
percepivano sempre più grave la portata del dramma. La gente,
ormai in preda al panico, implorava i giornalisti affinché
essi potessero contattare le famiglie di turno a casa, dando
loro bigliettini con numeri di telefono per riportare messaggi
del tipo "suo figlio è vivo, suo marito sta bene". Fu così
che dalla tribuna partirono telefonate in tutta Italia.
Venne ufficialmente affidata alla voce del capitano
Gaetano Scirea, attraverso un altoparlante, la comunicazione
che la partita sarebbe stata giocata, per consentire alle
forze dell’ordine di gestire l’emergenza. Poi il fischio
d’inizio. Vinse la Juve con un rigore inesistente: fallo
su Boniek fuori area e gol di Platini, in uno scenario apocalittico,
con i cadaveri disposti in fila a fare da sfondo alla tribuna.
Lo stesso Platini risponde alle critiche sull’opportunità
o meno di giocare quella partita surreale, e sui successivi
episodi di esultanza con il trofeo in mano, sostenendo "il
pericolo di una minaccia imminente di incidenti ancor più
gravi", nel caso non si fosse giocato, e che soltanto "rientrati
in albergo, dopo la partita, prendemmo coscienza della gravità
del bilancio delle vittime, un’assurdità che mi accompagnerà
per il resto della mia vita".
Tutto il mondo calcistico ha faticato non poco a
metabolizzare il disastro dell’Heysel, che ha di fatto costretto
gli addetti ai lavori a ripensare l’intero sistema dei flussi
negli stadi, a partire dalla messa in sicurezza dei medesimi,
regolamentando gli ingressi con tessere personalizzate e
installando telecamere all’interno degli impianti. Le squadre
inglesi furono, per decisione dell’Uefa, squalificate per
cinque anni dalle Coppe europee e il Liverpool per ulteriori
tre stagioni (poi ridotta a una). Il provvedimento fu applicato
fino al 1990.
9 settembre 2016
Fonte: Tuttotritiumgiana.com
ARTICOLI STAMPA
SETTEMBRE 2016
Pessotto:
"Nel '95 si voleva vincere la Champions dopo la tragedia
dell'Heysel"
Gianluca Pessotto, team
manager della formazione "Primavera", ha raccontato un frangente
della sua carriera con la maglia della Juventus, la Champions
League dell'anno 1995/96, a margine del backstage per il
film sui 120 anni della formazione bianconera.
"Sono arrivato in una squadra
che aveva vinto Scudetto, Coppa Italia, aveva fatto la finale
di Coppa Uefa e quindi c'era una base di mentalità vincente
già ben radicata, per cui noi nuovi ci siamo dovuti adeguare
in fretta a questa mentalità, per raggiungere gli obiettivi
che questa società si era prefissata, e cioè di vincere
la Champions League. Si voleva sentire propria questa coppa
dopo la tragedia dell'Heysel. C'era questo desiderio, perché
questa Coppa non fosse macchiata da una tragedia che ha
devastato questa società".
Juventus Story, il film in arrivo nelle sale italiane
solo per tre giorni, dal 10 al 12 ottobre, distribuito da
Nexo Digital e Good Films. Si tratta di un docu-film sulla
Juventus e sul legame con la famiglia Agnelli, con interviste
a Gianluigi Buffon, Alessandro del Piero, Andrea Pirlo,
Giorgio Chiellini, Leonardo Bonucci, Andrea Agnelli, John,
Lapo e Ginevra Elkann. Attraverso un sapiente mix di immagini
esclusive, interviste ai nomi più illustri del calcio mondiale,
video di repertorio e materiali inediti provenienti dagli
archivi privati della società, si raccontano i 120 anni
di leggenda a strisce bianconere.
9 ottobre 2016
Fonte: Tuttojuve.com
ARTICOLI STAMPA OTTOBRE
2016
Riapre
il Bataclan, i suoi angeli come quelli dell’Heysel
di Marco Bernardini
Questa sera a Parigi, con
la voce e la musica di Sting, tornerà a vivere per suoni
e per colori il luogo che per un anno ha rappresentato il
simbolo tombale della violenza assassina e della follia
oltranzista mascherata da un distorto senso religioso. Riapre
il "Bataclan", tempio del rock e del jazz dove nella notte
del 13 novembre di dodici mesi fa venne consumata a colpi
di mitra e di bombe a mano l’orribile mattanza di giovani
vite innocenti.
Ci occupammo allora del
terribile fatti e ci piace tornare a dirne. Riproporre,
oggi, quel tempio e donarlo nuovamente alla gente rappresenta
infatti un grande atto di coraggio oltre che uno schiaffo
potente sul viso della morte e del disprezzo della vita
altrui. L’ennesimo e definitivo urlo di protesta contro
tutto ciò che è barbarie e inciviltà. La testimonianza che
sempre e comunque possibile sopravvivere e poi tornare a
vivere per rendere giustizia al Bene contro il Male. Un
evento, quello di questa serata storica parigina, che mi
riporta alla mente un’altra notte di insanguinata da un
massacro. Quella dello stadio Heysel di Bruxelles il 29
maggio del 1985 il cui bilancio fu quello di dover contare
trentanove morti ammazzati senza colpa se non quella di
essersi trovati, pacificamene, nel posto sbagliato al momento
sbagliato. E non importa se, a differenza dei terroristi
e fanatici islamisti, gli hooligans inglesi del Liverpool
erano gonfi di alcool e di bestialità anziché di ideologia
catastrofista. I morti sono morti. E gli stessi sopravvissuti
sono egualmente un poco morti dentro. Come accadrà questa
sera al Bataclan, anche lo stadio belga del massacro venne
prima blindato e poi riaperto. Personalmente ricordo che,
dopo aver vissuto in diretta il giorno della tragedia, tornai
a Bruxelles per l’inaugurazione ufficiale dell’impianto
sportivo rimesso a nuovo e ribattezzato con il nome di re
Baldovino. Se non sbaglio si giocava una finale di Coppa
Uefa che vinse, guarda caso, la squadra francese del Paris
Saint
Germain. L’emozione di trovarmi
in quel luogo che, senza ma e senza se, era un poco come
un cimitero pellerossa a cielo aperto fu pari allo sgomento
provocato dalla memoria. La medesima sensazione che, credo,
fibrillerà nelle anime e nelle menti di tutti coloro i quali
questa sera varcheranno l’ingresso del Bataclan. Perché,
come accadde nello stadio belga, anche nel locale parigino
faranno ritorno con grande coraggio alcuni di quelli che
erano presenti la notte del massacro e che per loro fortuna
sono usciti vivi. Ascolteranno la musica bellissima di Sting,
ma sentiranno anche e in qualche modo le voci dei loro anici
e compagni che, proprio in quel luogo, diventarono loro
malgrado angeli. Le pareti stesse del locale, ancorché riverniciate
di fresco, saranno impregnate dalla leggerezza di anime
fragili e invisibili. Esattamente come quelle dell’Heysel.
Gli spiriti sono immortali e non dimenticano. Come quelli
rimasti. Come coloro per i quali Samarcanda non era ancora
attrezzata a riceverli. Come quelli che, pur vivi, ammettono
di essere un poco morti dentro tanto che da quella notte
apocalittica son costretti a ricorrere a psicofarmaci e
psicologi per tentare di uscire da un incubo che, prevedibilmente,
sarà ricorrente per sempre nelle loro notti bianche. Come
Omar Omoughi, un giovane marocchino scampato alla morte
non al Bataclan ma davanti ad un tornello dello Stade de
France. Lui al cui coraggio debbono la vita un numero imprecisato
di persone che riuscirono a scappare perché avvisati dalle
urla disperate dell’uomo che aveva visto il pazzo kamikaze
islamico trafficare sulla cintura esplosiva con la quale
avrebbe dovuto uccidere e uccidersi. Omar svenne dopo la
deflagrazione e addosso porta i segni di quella violenza.
E’ vivo e, dicono, è anche un eroe. Ma spesso, troppo spesso,
guarda nel vuoto e pare assente. E quando torna allo stadio
guarda la partita con distrazione. Più che altro sente le
voci.
12 novembre 2016
Fonte: Calciomercato.com
ARTICOLI STAMPA NOVEMBRE
2016
Il silenzio degli
innocenti
Intervista a Beppe Franzo,
Presidente dell’Associazione "Quelli di…via Filadelfia"
, sul viaggio compiuto da una sua delegazione in Russia
al fine di onorare l’anniversario del tragico evento avvenuto
all’interno dello Stadio Centrale "Lenin" di Mosca durante
una partita di Coppa UEFA del 1982. Un numero altissimo
e mai precisato di spettatori perì tragicamente nei sottopassaggi
delle tribune a causa della calca improvvisa in seguito
ad un goal della squadra di casa. La tragedia fu nascosta
e successivamente minimizzata dal regime sovietico.
DOMENICO LAUDADIO: Ciao
Beppe, è davvero un piacere ritrovarti dopo qualche tempo
ancora per un’intervista ispirata da una memoria condivisa.
Questa volta però, nello specifico, raddoppiamo: non soltanto
l’Heysel, ma anche la sanguinosa tragedia causata il 20.10.1982
dalla calca del pubblico ammassato nei cunicoli dello stadio
centrale "Lenin" di Mosca (oggi ristrutturato e rinominato
"Lužniki") che fu occultata dal regime comunista sovietico
per più lustri con il tacito assenso della Uefa. Vuoi gentilmente
raccontarci la genesi di questo pregevole gemellaggio italo-russo
nel nome di due grandi e assurde stragi del calcio europeo
del secolo scorso e in particolare approfondire le tappe
di questo viaggio nella capitale moscovita assieme alla
delegazione da te presieduta ?
BEPPE FRANZO: "Ciao Domenico,
alcuni anni fa ebbi modo di poter apprendere della tragedia
del Luzhniki attraverso la lettura di articoli trovati sul
web. Avrei voluto saperne di più, ma l’occultamento della
vicenda, come hai detto giustamente, non ha dato adito a
molti scritti o informazioni sull’argomento. Poi avvenne
uno di quegli incontri che meno ti aspetteresti: in occasione
della "Giornata della Memoria delle Vittime dell’Heysel
e di ogni manifestazione sportiva" di due anni fa presso
il Comune di Torino, a margine della serata, mi avvicinò
un ragazzo che si presentò come inviato italiano di "Sputnik
Italia", l’Agenzia di Informazione Internazionale russa
in lingua italiana. Mi chiese un’intervista e nel corso
della stessa dissi che intravvedevo una certa famigliarità
tra la tragedia dello Stadio Heysel e quella del Luzhniki
e mi sarebbe piaciuto un giorno poter andare a Mosca a rendere
omaggio a quelle vittime innocenti. Ritornato nella capitale
russa, Riccardo (il nome del giornalista con cui divenni
da allora amico) ne parlò con i tifosi dello Spartak, in
particolare con alcuni sopravvissuti a quell’evento e, nel
giro di alcuni mesi, ricevemmo come Associazione "Quelli
di … Via Filadelfia", un invito in occasione dell’anniversario
della tragedia, a Ottobre 2015. Nonostante avessimo pianificato
il viaggio, purtroppo la sera antecedente la partenza io
ebbi un grave incidente stradale e i miei amici rinunciarono
al volo, dimostrando un grande senso di amicizia e fratellanza.
Per contraccambiare il gesto degli amici russi, li invitammo
a Torino nel Maggio 2016, dove parteciparono in Comune alla
serata prevista per l’anniversario dell’Heysel. Lev, uno
dei sopravvissuti di allora, ebbe modo di spiegare il contesto
di quella tragica serata del 21 ottobre 1982, confutando
i dati ‘ufficiali’ con quelli ‘ufficiosi’, decisamente più
drammatici di quelli fino a oggi diffusi. A ottobre scorso,
una nostra delegazione si è finalmente recata in Russia
al Monumento presso lo Stadio Luzhniki".
DOMENICO LAUDADIO: Secondo
il tuo pensiero quali sono effettivamente le analogie fra
le due tragedie ?
BEPPE FRANZO: Se penso
che la morte avvenne in entrambe i luoghi principalmente
per asfissia, mi si raggela il sangue. Tragedie del calcio
che hanno voluto essere dimenticate: perché sconvenienti,
in contrasto con un potere che vendeva agli occhi di tutti,
sebbene attraverso due forme di governo antitetiche (democrazia
e totalitarismo), l’idea di una Società e di uno Stato sicuri.
Non si può, per entrambe, fare a meno di evidenziare la
corresponsabilità dell’UEFA, in quanto si trattava di due
partite internazionali. Analogie, purtroppo, che hanno generato
morte, attraverso il silenzio compiacente e opportunista
dei molti, troppi, "addetti ai lavori.
DOMENICO LAUDADIO: Hai
scritto che si è praticamente istituzionalizzato un gemellaggio
fra le stragi, ma non, invece, fra le sue tifoserie. Però
qualcuno dei tifosi russi reduci di quella malefica serata
del 20 ottobre del 1982 indossava per "rispetto dell’Heysel"
la maglia della Juventus nell’incontro tenuto con voi presso
la loro sede storica. Secondo te sarebbe possibile oggi
in Italia vestire almeno una volta l’anno i colori degli
avversari per onorare pubblicamente la memoria dei loro
caduti ? Ricordi, lo ha fatto da calciatore anche il nostro
presidentissimo Giampiero Boniperti dopo la tragedia di
Superga in una partita amichevole fra Torino e River Plate…
Altri uomini o altri tempi ?
BEPPE FRANZO: "Gemellaggio
fra le stragi" è sicuramente l’espressione più corretta.
Siamo stati accolti da tutti i tifosi dello Spartak con
una simpatia e con una passionalità che difficilmente potremo
dimenticare, ma non ho voluto appositamente parlare di gemellaggio
tra le tifoserie, in quanto per dar vita a ciò occorre il
bene placito di un’intera tifoseria, di tutti i gruppi che
la compongono. Credo che, attraverso il tempo, "se son rose,
fioriranno", diversamente rimarrà una grande amicizia e
un profondo senso di rispetto da entrambe le parti. Mi ha
molto colpito vedere che in Russia, il 21 ottobre, in occasione
della tragedia del Luzhniki, molte tifoserie dedicano striscioni
a quelle vittime, indipendentemente dalla simpatia o antipatia
tra di loro. Reputo molto difficile che la stessa cosa possa
un giorno avvenire in Italia, ma spero di sbagliarmi. Sicuramente
è "lo spirito del tempo", perché, come tu hai evidenziato,
persino Giampiero Boniperti indossò la maglia granata per
onorare i caduti del Grande Torino.
DOMENICO LAUDADIO: Oltre
a voi, era presente sul posto un altro italiano e juventino
doc, Massimo Carrera, nostro calciatore degli anni 90 e
attuale allenatore dello Spartak Mosca. Mi sembrava emotivamente
molto coinvolto durante la cerimonia. Cosa vi ha detto in
privato a riguardo della manifestazione ?
BEPPE FRANZO: Massimo Carrera
ha dimostrato di essere un grande, se ancora vi fosse bisogno
di riscontri. Era emotivamente provato dal ricordo di entrambe
le tragedie. Aveva, ovviamente, conosciuto molto dell’Heysel,
ora ha iniziato a conoscere in maniera più approfondita
il Luzhniki.
DOMENICO LAUDADIO: Negli
anni dell’opprimente e austero regime sovietico in quali
modi potevano sostentarsi e aggregarsi degli Ultras in Russia
? I vecchi tifosi dello Spartak vi avranno raccontato molte
cose…
BEPPE FRANZO: I vecchi
Ultras dello Spartak sono stati molto ospitali con noi,
e abbiamo avuto modo di poter parlare degli albori del tifo
in Russia. Furono tempi molto duri, dove ogni fenomeno di
aggregazione sociale veniva visto come un possibile focolaio
di insurrezione antigovernativa, motivo per cui la mannaia
della repressione si abbassò sulle teste degli Ultras. Ci
raccontarono di tempi, parliamo di fine Anni ’70, in cui
allo Stadio era proibito anche solo urlare "Forza Spartak
!" e spesso alcuni di loro si chinavano o dovevano mettersi
una mano davanti alla bocca per lanciare l’urlo, celandolo
ai poliziotti che li controllavano dal campo. I "dissenzienti"
venivano intercettati ai cancelli d’uscita e portati nei
vari Commissariati. Succedeva che, in taluni casi, arrivasse
direttamente una lettera sul luogo di lavoro, che voleva
dire licenziamento immediato. Proprio per poter meglio controllare
il deflusso dallo stadio, venivano limitate le aperture
delle porte d’uscita, col risultato che si creavano ingorghi
spaventosi. Da una di queste situazioni nacque appunto il
tragico evento dello Stadio Luzhniki del 1982.
DOMENICO LAUDADIO: I testimoni
oculari della mattanza furono individualmente perseguiti
e messi a tacere dal regime ? Come riuscirono a coprire
un tale disastro ? Tu hai raccolto le loro testimonianze
?
BEPPE FRANZO: Non ci fu
necessità di perseguire nessuno perché il Regime occultò
totalmente la vicenda e, in un clima di assoluta non circolazione
della notizia, occorsero molti anni prima che il tutto fosse
reso pubblico, in quanto le notizie circolavano solo tramite
la diffusione orale, ed è facile intuire che molti fossero
terrorizzati di venire smascherati raccontando il tutto.
Non ho potuto raccogliere testimonianze, le ho solo potute
sentire da parte di qualche reduce di allora e, per mia
fortuna, avendo un interprete bravissimo, sono riuscito
a comprendere ottimamente i loro racconti.
DOMENICO LAUDADIO: Oblio
Heysel: familiari delle vittime dimenticati da tutti per
decenni… Oblio Lenin: familiari delle vittime minacciati
di non scrivere la verità sulle tombe dei loro cari… Tu
sei un grande appassionato di storia… Perché, secondo te,
la verità fa sempre tanta paura nella memoria di un contesto
storico ? Se pensiamo alle Foibe, ignorate dai libri di
scuola per 50 anni oppure a chi ancora oggi nega l’olocausto…
BEPPE FRANZO: La Verità
è scritta dai Vincitori o dai detentori del potere. Ammettere
le colpe o le responsabilità, in tragedie calcistiche come
quelle dell’Heysel e del Luzhniki, vorrebbe dire evidenziare
le proprie colpe e responsabilità e, quindi, dare un’idea
diversa dell’ordine pubblico, spesso discordante con quella
che si è voluto far credere.
DOMENICO LAUDADIO: Al di
là di tutto contava in primis l’esperienza umana, il contatto
fra le genti. Da questo punto di vista è stato un momento
alto di civiltà e di storia delle due tifoserie. Scusami,
non vorrei trascinarti in una polemica sterile, ma a questo
punto oserei chiederti se questo viaggio non abbia ricevuto,
a mio parere, un meritevole e doveroso sostegno dei media
italiani: per vostra scelta, quindi per disinformazione
passiva o come abitualmente per snobismo ?
BEPPE FRANZO: Hai fatto
una considerazione importante: è stato un grande (e commovente)
momento di civiltà e di storia, compiuto dalle due tifoserie.
Volutamente, da entrambe le parti, abbiamo dato riscontro
del gesto a commemorazione avvenuta, perché non volevamo
creare fraintendimenti. Non ritenevamo opportuno che un
gesto spontaneo, nobile, ma soprattutto fatto col cuore,
potesse essere scambiato come un atto ricercato a solo titolo
di "propaganda", di "pubblicità" da parte dei rispettivi
gruppi o associazioni. Purtroppo, anche quando ciò è stato
reso pubblico, mi è parso di capire che buona parte degli
organi massmediatici siano più propensi a parlare delle
tragedie a ridosso delle stesse, per poter riempire i giornali
o dedicare trasmissioni incentrate sui ricordi, più che
capire a fondo il dramma ancora vivo in molti.
DOMENICO LAUDADIO: Fermiamole
in un dipinto. Quale, quali le immagini più care del viaggio
che ti porti nel cuore al termine di questa tua indimenticabile
esperienza ?
BEPPE FRANZO: Due istantanee.
La prima: con in mano la corona di fiori con sopra apposto
il nome della nostra Associazione, ho alzato gli occhi al
cielo e ho visto di fronte a me il monumento adiacente allo
Stadio Luzhniki. Per un attimo ho provato un brivido, perché
su quella pietra è scolpita una sofferenza che molti ignorano.
La seconda: giunto sulla Piazza Rossa non avrei mai pensato
di potervi un giorno arrivarci, e il ricordo è andato a
mio nonno, a colui dal quale ereditai un Nome e un Cognome
senza nemmeno poterlo conoscere, in quanto i suoi resti
riposano, chissà dove, in terra russa.
DOMENICO LAUDADIO: Per
concludere, Beppe, ti ringrazio della paziente, cortese
e amichevole collaborazione ed avrei moltissimo piacere
che ci presentassi al meglio la vostra Associazione Culturale
"Quelli di…via Filadelfia": origini, attività, sue finalità…
BEPPE FRANZO: L’Associazione
senza fini di lucro Quelli di... Via Filadelfia, costituitasi
ad Aprile 2015, ha lo scopo di preservare la storia e la
memoria del tifo juventino. Nata dall'evoluzione del Gruppo
Facebook Via Filadelfia 88 (via e civico identificativi
dell'ingresso della vecchia Curva Filadelfia), già attiva
con varie iniziative negli anni passati, si propone d'intrattenere
rapporti con tutti quegli enti e associazioni (italiane
e straniere) che hanno obiettivi simili, di pubblicare un
sito della propria attività, organizzare convegni, mostre
e incontri per affrontare tematiche inerenti al calcio,
agli aspetti sociologici e folkloristici del tifo, a condurre
campagne di sensibilizzazione sull'argomento verso il pubblico
e le istituzioni politiche e sportive, italiane e internazionali.
A tal fine, la Memorialistica dell'Heysel e il ricordo perenne
di quelle vittime, è argomento caro all'Associazione, che
si prodiga annualmente all'organizzazione della Giornata
della Memoria in ricordo delle 39 vittime dell'Heysel e
di ogni forma di violenza in ambito sportivo. Eventuali
raccolte di fondi scaturiti da iniziative dell'Associazione,
vengono interamente devoluti. Attualmente è in essere un'iniziativa
a sostegno della Fondazione per la ricerca sui tumori dell'apparato
muscolo scheletrico e rari Onlus.
10 dicembre 2016
Fonte: Giulemanidallajuve.com
ARTICOLI STAMPA e WEB DICEMBRE 2016
CRONACA
La scomparsa di Beppe Capocchi,
scampò alla tragedia dell’Heysel
Per 50 anni è stato il
barista dell’Arlecchino. Giocò nel rugby.
Carrara, 22 dicembre 2016
- Si spegne una luce del commercio degli ultimi anni a Carrara.
Beppe Capocchi, storico barman del rinomato bar pasticceria
Arlecchino è morto all’età di 76 anni e lascia un ricordo
indelebile di bontà e simpatia. Aveva festeggiato anche
le "nozze d’oro" al bar Arlecchino in Galleria nel 2008
per i suoi 50 anni da barman. Beppe Capocchi venne, per
così dire, "strappato" dal forno: faceva il pizzaiolo a
Pisa quando il 28 settembre 1958 approdò in città per il
suo primo giorno al bar Arlecchino allora gestito dal cognato
Mario Benedetti.
Originario di Montecarlo di Lucca, Beppe aveva saputo
guadagnarsi la stima e la simpatia dei carraresi che vedevano
in lui un amico sincero. Simpatico, sempre allegro, Beppe
era stato anche uno sportivo di primo piano. Un ottimo passato
tra le fila della leggendaria squadra di rugby dell’Apuania
Carrara che negli anni ’60 militò in serie B. Tra i suoi
compagni di squadra c’erano Franco Garbati, il medico legale
Vinicio Tesconi e Franco Fazzi.
Di fede juventina Beppe scampò alla tragedia dell'Heysel,
a Bruxelles, il 29 maggio 1985 quando in compagnia di Darietto
Caffaz vide morire a pochi metri da lui 39 spettatori tra
cui 32 tifosi bianconeri, 4 belgi, 2 francesi ed un irlandese.
Uno sportivo di lungo corso che ha seguito sempre con passione
anche le vicende della Carrarese Calcio.
Beppe andava fiero delle sue origini lucchesi ma
si sentiva un carrarino a tutti gli effetti. E incarnava
anche il carattere schietto e gioviale che non lo ha mai
tradito dietro il banco, sempre impeccabile e in rigorosa
divisa da barman con gilet professionale. Tutti conoscevano
Beppe, dalle persone più anziane ai giovanissimi che affollavano
il bar in Galleria. Aveva una battuta per tutti e Mario
Benedetti lo considerava come un figlio. Si interessava
di tutti i problemi della città, cercava sempre la strada
giusta per risolverli dando anche dei preziosi consigli.
Un punto di riferimento, insomma, per l’aperitivo di mezzogiorno
o serale con Beppe impeccabile nel servizio. E si era molto
affezionato alla città e ai carraresi di cui amava il carattere
schietto e leale. La notizia della sua scomparsa si è diffusa
ieri mattina e ha suscitato grande dolore e commozione.
Giovedì 22 dicembre alle 10 a Fossola avranno luogo
i funerali e il bar pasticceria Arlecchino resterà chiuso
per lutto.
G.B.
21 dicembre 2016
Fonte: Lanazione.it
ARTICOLI STAMPA e WEB DICEMBRE
2016
Editoriale - Addio Avvocato Troiano, testimone
di una tragedia
che decise la partita della vita
di Roberto Caporilli
Episodi. Tante volte decidono
una partita di calcio ma possono essere fondamentali anche
nella vita reale. Fanno la differenza fra una vittoria e
una sconfitta, fra la vita e la morte. L’avvocato Davide
Troiano ha finito la sua partita questa mattina, in un letto
dell’ospedale Gemelli di Roma, ma i suoi 90 minuti li ha
giocati appieno, tutti d’un fiato, senza risparmiarsi mai.
Voi, appassionati di calcio, avete già visto l’avvocato
almeno una volta nella vostra vita, purtroppo. Pur non incontrandolo
dal vivo, il volto di Troiano e di suo figlio Guido sono
apparsi davanti ai vostri occhi diverse volte e vi vengono
riproposti ogni 29 maggio. Quel giorno di quasi 32 anni
fa l’avvocato e suo figlio furono, loro malgrado, protagonisti
di un avvenimento, di un episodio appunto, che cambiò per
sempre la storia del calcio e dello sport in Europa e nel
Mondo. Il 29 Maggio 1985 è una data impossibile da dimenticare
per ogni tifoso juventino ma è un giorno impresso nella
memoria di tutti gli appassionati di sport, di quello sport
pulito ma passionale, inteso come alternarsi di gioie e
sofferenze ma senza mai trascendere nella violenza.
Quel giorno, invece, a Bruxelles di violenza ce
ne fu a non finire, una vera e propria mattanza nella quale
persero la vita 39 persone, colpevoli solamente di trovarsi
nel posto sbagliato al momento sbagliato, una casualità
che negli ultimi mesi è diventata il terrore della maggior
parte di noi.
Andare a un concerto, visitare un mercatino, andare
a vedere una partita: attività normali, parte integrante
della nostra cultura, che oggi come allora possono rivelarsi
fatali. Per motivi diversi, in momenti storici differenti,
ma il filo conduttore rimane lo stesso: la morte, che colpisce
quando meno te l’aspetti. Allo stadio Heysel l’avvocato
Troiano e il figlio diventarono simboli inconsapevoli di
chi ce l’ha fatta, di chi è scampato alla furia distruttiva
degli hooligans inglesi, di chi è sopravvissuto a una strage
causata anche da gravi inadempienze organizzative. Quell’episodio
ha scritto la storia e chi ci si è trovato coinvolto ne
è diventato suo malgrado protagonista. Il signor Davide
e Guido, però, lo sono diventati più degli altri: la loro
fuga precipitosa, la disperazione di un uomo in camicia
che porta per mano suo figlio lontano dalla strage, lo sguardo
atterrito di un adolescente con la bandiera in mano e la
sciarpa al collo; dietro loro soltanto morte e distruzione.
Questa istantanea è diventata il simbolo della strage,
il simbolo di una violenza che nulla dovrebbe avere a che
fare con lo sport, una foto che sta a testimoniare quanto
nella partita della vita gli episodi facciano la differenza.
L’avvocato Troiano e suo figlio ce l’hanno fatta,
il suo amico Loris Messore di Pontecorvo no: per lui quell’episodio
è rimasto l’ultimo e più importante della vita, quello che
ha decretato il triplice fischio della partita.
Oggi l’avvocato Troiano non c’è più, il suo match
è terminato ma almeno si è concluso in modo più glorioso.
Dietro di sé lascia un messaggio
indelebile, che sarà trasmesso per sempre da quella © Fotografia:
gli episodi, appunto, sono tutto nello sport e nella vita.
22 dicembre 2016
Fonte: Tg24.info
ARTICOLI STAMPA e WEB DICEMBRE
2016
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