L'incuria è il peggior oltraggio alla memoria
di Roberto Nappi
02/01/2012 - Innanzitutto
ben ritrovati e buon anno a tutti i lettori del blog "Il
Bianconero News". Il primo articolo di quest'anno non è
affatto piacevole da scrivere, per la tristezza che mi provoca,
ma sento di doverlo fare. Nei giorni scorsi, precisamente
il 29 dicembre, casualmente proprio il 29, mi sono recato,
per il quarto anno consecutivo, in visita al luogo in cui
avvenne la carneficina dell'Heysel, il nome dello stadio
di Bruxelles dove si giocò la finale di Coppa dei Campioni
del 1985 tra Juventus e Liverpool. Come forse molti di voi
sapranno, ci sono voluti venti lunghi anni perché le autorità
della città belga accettassero di ricordare, in occasione
del 20° anniversario, (più) degnamente quella infame tragedia.
Fino ad allora, infatti, esisteva solo, dal 2000 se non
erro, una asettica targa commemorativa all'interno del nuovo
stadio intitolato a Re Baldovino, ma nulla all'esterno,
che potesse essere visitato e omaggiato da tutti. Il 29
maggio 2005, finalmente, viene inaugurata nel piazzale esterno
dello stadio, proprio in corrispondenza di dove sorgeva
il settore Z del vecchio Heysel, una lapide con tutti i
nomi delle vittime e una scultura rappresentante una meridiana
che, illuminandosi, riflette al suolo la luce di 39 faretti
inseriti nella pavimentazione posta alla base. Dopo aver
già notato 3 anni fa che alcune luci all'interno della meridiana
erano spente, il 29 dicembre scorso ho potuto constatare
come 6 faretti inseriti nella pavimentazione fossero rotti
e ovviamente pieni di acqua piovana... Ricordiamo che ogni
luce, ogni faretto rappresenta una vittima calpestata e
soffocata quel giorno e non controllare quotidianamente
che tutti siano funzionanti significa calpestare e soffocare
anche il ricordo di quei 39 angeli. Ciò dimostra, ancora
una volta, la totale mancanza di sensibilità da parte delle
autorità locali, che probabilmente non saranno più le stesse
di allora, ma che allo stesso modo avrebbero forse voluto
che nulla ricordasse loro gli errori e le negligenze nell'organizzazione
di quella tristissima serata. Oggi ho segnalato l'incuria
di cui sono stato testimone al Comitato Heysel con sede
a Reggio Emilia e a chi gestisce il sito www.saladellamoriaheysel.it,
che invito tutti a visitare, anche se alla fine avrete il
groppo in gola... Mai più dovrà accadere una tragedia simile,
ma perché ciò accada mai dovrà essere dimenticata e oltraggiata
con indifferente incuria...
2 gennaio 2012
Fonte: Ilbianconeronews.blogspot.com
ARTICOLI STAMPA
e WEB GENNAIO
2012
Heysel, speriamo che dalle parole si passi ai fatti
di Roberto Nappi
05/01/2012 - Qualche giorno
fa dalle pagine di questo blog abbiamo denunciato lo stato
di abbandono in cui versa il monumento ai caduti dell'Heysel,
che chi vi scrive ha avuto la fortuna poco piacevole di
documentare a fine dicembre in occasione di un soggiorno
a Bruxelles. Sei dei 39 faretti inseriti nella pavimentazione
attorno alla meridiana, eretta a ricordo delle 39 vite spezzate,
risultano rotti e pieni di acqua piovana, come se 6 vittime
fossero state spente, cancellate dal cielo... Il sottoscritto
ha prontamente segnalato l'incresciosa scoperta a chi da
quel tragico 29 maggio 1985 non ha mai smesso di lottare
per mantenere vivo il ricordo di quella immane carneficina
causata dalla follia e dalla stoltezza dell'uomo. Domenico
Laudadio, custode del museo virtuale visitabile all'indirizzo
https://www.saladellamemoriaheysel.it/, ha raccolto la mia
denuncia e ha inviato una lettera via mail al borgomastro
(l'equivalente del nostro sindaco) di Bruxelles, il quale
ha risposto a stretto giro di posta, promettendo un pronto
intervento attraverso l'assessore all'urbanistica. Sarà
nostra premura monitorare che davvero in tempi brevi le
6 luci spente tornino ad illuminare il cielo, perché, come
recita il titolo del mio precedente articolo sull'argomento,
l'incuria è il peggior oltraggio alla memoria.
5 gennaio 2012
Fonte: Ilbianconeronews.blogspot.com
ARTICOLI STAMPA e WEB GENNAIO 2012
di Davide Terruzzi
"Quella notte maledetta
allo stadio Heysel avrebbe dovuto coronare un’annata stupenda
in coppa dei Campioni. Doveva essere la nostra Coppa e purtroppo
è stato un ricordo offuscato da una nebbia impenetrabile.
Giocai gli ultimi 5 minuti di quella finale". Sono le parole
di Beniamino Vignola ai microfoni di Radio Manà Manà Sport
24. Durante la trasmissione "Stile Juventus" sui 90.9 in
fm di Roma, Vignola ricorda quella notte così: "Prima della
partita eravamo pieni di informazioni. C’eravamo resi conto
che stesse succedendo qualcosa di grave, ci avevano parlato
di un morto. Sapevamo fosse una cosa drammatica ma non di
quella portata. La Uefa e la polizia belga ci hanno fatto
giocare. E’ stata una partita agonisticamente poco valida,
le motivazioni e le gioie sono state tutte molto surreali".
22 febbraio 2012
Fonte: "Stile Juventus",
Radio Manà Manà
ARTICOLI STAMPA e WEB FEBBRAIO 2012
A Firenze non imparano mai, nuovi cori sull'Heysel
di Alessandro Vignati
Come non detto dobbiamo
per l'ennesima volta segnalare l'ennesimo coro vile e inqualificabile
della curva Fiesole in occasione della gara di sabato sera
tra Fiorentina e Juventus. Su Youtube infatti sta girando
un breve filmato (che riportiamo in seguito) dove una minoranza
sulle note di "Montagne Verdi" intona l'ormai triste motivo
inneggiante alla tragedia del 29 maggio 1985. Ennesima segnalazione
che probabilmente cadrà nel vuoto dato che da 27 anni chi
di dovere fa orecchie da mercante lasciando impuniti episodi
di questo tipo e invece chiude curve e stadi da altre parti,
probabilmente il vilipendio per i vertici federali e il
giudice sportivo non sono contemplati dato che i tifosi
viola non è la prima volta che in stagione si rendono protagonisti
di questi episodi (ricordiamo la foto pre Novara-Fiorentina)
ed è l'ennesima volta che la fanno franca senza nemmeno
una multarella simbolica. Non aggiungiamo altri commenti
se non il disgusto, il resto potete valutarlo voi con il
seguente collegamento al filmato.
20 marzo 2012
Fonte: Tuttojuve.com
ARTICOLI STAMPA e WEB MARZO 2012
La gioia della
vittoria
di Carlo Cipiciani
Federico c’era, l’altra
sera allo Juventus Stadium. Assieme ad Alex, suo figlio,
a festeggiare lo scudetto ritrovato, con la gioia negli
occhi e il sorriso nel cuore. Federico c’era anche all’Heysel,
quella sera di tanti anni fa, assieme a suo padre e a suo
zio, a veder morire la gente per una partita di calcio.
Da allora ha capito che lo sport è gioia negli occhi, sorriso
nel cuore e rispetto per tutti, e niente violenza. E questo
ha insegnato ad Alex, felice dentro lo stadio a cantare
per la vittoria. Federico c’era, mentre un mare di gente
sventolava le bandiere bianconere sotto il cielo di Torino
l’altra sera. Assieme ad Alex, che cantava a squarciagola
"C’è solo un capitano", con la gioia negli occhi e il sorriso
nel cuore di un bimbo a cui il papà ha insegnato il rispetto
per tutti e niente violenza. E si è stranito quando, a Piazza
Castello, davanti a un negozio ha visto la polizia schierata.
Non sa Alex che quello è il Granata store, il negozio ufficiale
di gadget e magliette del Toro, l’altra squadra cittadina.
E che domenica scorsa, dopo Cagliari-Juve, qualcuno che
si è autodefinito tifoso lo ha assaltato e danneggiato,
in nome della festa per lo scudetto ritrovato. E stavolta,
per evitare il peggio, si è preferito farlo presidiare dalla
Polizia. Federico, che è amico di quel negoziante, non ha
avuto il coraggio di dirglielo. Perché il calcio, lo sport,
per un bimbo che cresce dev’essere solo gioia negli occhi
e sorriso nel cuore. Glielo spiegò il suo papà, il nonno
di Alex, in quella sera di maggio all’Heysel, tra morti
calpestati con le sciarpe bianconere. Una cosa semplice.
Purtroppo, per qualcuno sembra davvero difficile da capire.
15 maggio 2012
Fonte: Giornalettismo.com
ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 2012
Heysel, parola
d'amore
di Domenico Laudadio
Andrea Agnelli ha mantenuto
la parola: "L'angolo della memoria" per le vittime dello
stadio Heysel di Bruxelles è nel cuore del nuovo museo della
Juventus.
In antropologia un totem
è un'entità soprannaturale che ha un significato simbolico
particolare per una persona, un determinato clan o l'intera
tribù, al quale ci si sente legati per tutta la vita. Mi
piace pensare in questo modo alla stele che la Juventus
Football Club ha dedicato alle 39 vittime dello stadio Heysel
di Bruxelles nel suo "J Museum" sorto a Torino nei pressi
del suo nuovo stadio alla Continassa.
Un gesto molto semplice, ma affettivamente altrettanto
nobile che finalmente restituisce tra le braccia di madre
alla "Vecchia Signora" quei 39 tifosi dispersi nel Belgio",
richiamati uno ad uno per nome e cognome al suo seno. Un
segno di purezza e coerenza del Presidente Andrea Agnelli,
all'epoca della strage bambino, che lo aveva promesso alla
cerimonia del 25° anniversario della strage nel giardino
della sede sociale alla presenza dei familiari delle vittime.
Erroneamente alcuni organi di stampa attribuirono
in quella occasione alle parole del neo Presidente bianconero
l'annuncio di una sala della memoria, probabilmente intesa
come un museo nel museo della Juventus. In verità Andrea
Agnelli si riferì letteralmente ad "un luogo per ricordare
queste persone "... E proprio così è stato. Unendo la terra
con il cielo, la Juventus ha inciso alla memoria su una
lunga stele nomi e cognomi di quei 39 innocenti per un battesimo
di eternità. Atto dovuto, certamente, ma non più così scontato
dopo 27 anni di oblio nella memoria delle precedenti gestioni
del club e dei mass media italiani.
Nonostante questo, resterà sempre molto complesso
e contraddittorio il rapporto fra l'etica dei sentimenti
umani e la indubbia legittimità di un trofeo così prestigioso,
vinto comunque con merito e impegno sul campo di gioco,
festeggiato da tifosi e calciatori, esposto sia in occasione
del rientro all'aeroporto di Caselle, maldestramente, che
anonimamente nella sala dei trofei. Per rispetto dei caduti
e dei loro familiari, fra l'altro invitati dalla Juventus
a presenziare alla cerimonia d'inaugurazione, sarebbe cosa
buona e giusta listare a lutto quel trofeo, restituendogli
buona parte della dignità della sua stessa presenza. Basterebbe,
almeno, annodarle anche una di quelle sciarpe bianconere
che servirono a detergere il sangue dei feriti, a coprire
i volti dei morti. Nell'ottica dell'ideazione del museo
è stata privilegiata evidentemente una esposizione figurativa
e multimediale finalizzata ad un impatto emozionale, rinunciando
alla forma museale tradizionale di comunicazione in forma
didascalica. "L'angolo della memoria" dedicato all'Heysel
non è sfuggito a questa scelta prioritaria, ma visibilmente
ancora in forma più criptica, privata dei suoi riferimenti
storici di repertorio che ne identificassero le ragioni
dell'esposizione. Onestamente, il racconto dettagliato e
documentato di una simile cruenta tragedia, vero e proprio
incubo della storia juventina di sempre, poco si adeguerebbe
all'atmosfera edulcorata e onirica d'insieme dell'ambiente
museale. Da un lato, quindi, personalmente comprendo la
scelta "tecnica" degli organizzatori, dall'altro non condivido
il fatto di non accompagnare il totem con almeno una fotografia
o un video a testimonianza di quell'evento e di quel trionfo
marchiato dal sangue da 39 innocenti. Dunque la Juventus
avrebbe finalmente "fatto la pace con l'Heysel" ? Può darsi,
forse di più con se stessa, ma credo anche, dopo tanti anni
di richieste private del sottoscritto, di gruppi e associazioni
di tifosi alla società, che il cerchio si è ormai chiuso.
Non è stato importante che alla fine non sia conciso per
contenuti e forme quanto domandato in questi anni per quello
spazio alla memoria. L'unica cosa che veramente conta, seconda
solo al gradimento dei familiari delle vittime, è che i
cuori trafitti dell'Heysel siano ritornati nel cuore pulsante
della storia della Juventus, proprio lì in quel museo, dove
ancora battono ritmicamente come in quella infausta sera
del 29 Maggio 1985, prima del passaggio oltre... Non li
senti ?! Juve...Juve...Juve...Juve...
21 maggio 2012
Fonte: Saladellamemoriaheysel.it
ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 2012
Il terremoto e
l’Heysel
di Ivano Porpora
Per una coincidenza fortuita
la notte prima del terremoto - fin verso l’una - sono rimasto
a guardare una vecchia puntata di "La storia siamo noi"
dedicata all’Heysel. Parlo di coincidenza fortuita perché
mi è parso di ravvisare non somiglianze fra i due eventi
(il terremoto non preventivabile, l’assalto degli hooligans
assolutamente sì; l’uno non ascrivibile, se non nelle misure
preventive - ossia nella solidità delle costruzioni e nella
loro sensatezza, per esempio - alla stupidità umana, l’altro
sì), dicevo, non somiglianze tra i due eventi, ma strani
incroci tra loro. Quando alle 4.05 ho chiamato mia moglie,
infilato i pantaloni, poi li ho tolti e rinfilati perché
messi inizialmente al contrario; richiamato mia moglie,
infilato la felpa, preso le chiavi di casa e auto, e poi
sono sceso in tutta fretta per le due rampe di scale, la
prima immagine che mi è venuta alla mente, prima ancora
di registrare la presenza del vicino di casa ucraino sceso
subito dopo di noi e ancora assonnato, è stato il tonfo
del muro dell’Heysel. Quello sotto il quale o vicino al
quale sarebbero morte 39 persone. Ripeto: i due eventi non
hanno nulla in comune, se non gli straordinari intrecci
che la mente umana può proporre loro. Non c’era alcun bambino
con la maglietta della Juve, ieri notte: Dimitri, infilato
sul seggiolino dell’auto, aveva il pigiamino. Eppure ho
sentito la folla che vociava, qualcuno che urlava "Merde",
non so se agli operatori che filmavano senza allungare un
braccio o ai tifosi avversari che pressavano. Sono morte
7 persone in questo terremoto. Nicola Cavicchi (35 anni),
Leonardo Ansaloni (51 anni, Gerardo Cesaro (59 anni), Tarik
Naouch (29 anni), Nerina Balboni (103 anni), Gabi Ehsemann
(37 anni), Anna Abeti (86 anni). A causa dell’Heysel trentanove
persone portano, come luogo di decesso, Bruxelles. Nessuna
correlazione tra le due cose. Eppure, chissà perché, è un
giorno e mezzo che ci penso.
21 maggio 2012
Fonte: Nottola.it
ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 2012
Cari napoletani, purtroppo, esiste pure gente cattiva
e imbecille
di Antonio Corsa
Juventus-Napoli, finale
di Coppa Italia. Durante i festeggiamenti post-partita,
di per sé sacrosanti e mai un problema, un ultrà napoletano,
rivolgendosi verso la Curva Sud - per la verità ormai di
fatto vuota - ha esposto una bandiera bianca e nera con
su scritto -39. C’è una foto che ne ritrae il gesto e che
ha fatto il giro del web. L’ho fatta circolare pure io,
e non per accusare un’intera tifoseria, un popolo per bene
o uno Stato (quello Borbonico, no ?), bensì per ricordare
proprio quanto affermato nel titolo, ovvero dimostrare,
a chi ancora si rifiuta di crederlo, che la gente cattiva
esista. Perché parliamo di cattiveria pura, in questo caso.
E non è neanche tanto banale, come affermazione, se è vero
che le reazioni sono state piuttosto scoraggianti. La prima:
"sarà un montaggio, non è possibile, noi napoletani siamo
gente di cuore...". Non lo mette in dubbio nessuno, ma è
possibile ed è successo. Altra reazione: "noi non auguriamo
la morte di nessuno, quello lo fate voi". Non è vero neanche
questo. Alcuni napoletani non solo hanno augurato la morte
di tifosi bianconeri, ma l’hanno pure promessa, su facebook,
nei siti, nei blogs (ed è a prova di "non ci credo"). "Per
voi sarà un'altra Heysel" è stata per settimane la minaccia
di tanti giovani partenopei, e negarlo, significa giustificarli.
Ultima reazione, la più brutta: quella di Calcionapoli24
e altri siti annessi, ovvero "è photoshoppata". E invece,
anche in questo caso, non è vero: la foto è assolutamente
autentica, e chi lo scrive (evidentemente un giornalista/tifoso
da poltrona), invece di fare brutta figura, faccia una telefonata
a qualcuno presente allo stadio per chiedere conferma. Non
parliamo mica di extraterrestri avvistati nel deserto dell’Arizona,
ma di una persona che era in campo, e che è stata vista
da diverse persone. La verità, amici napoletani, è che nessun
"popolo" è meglio di un altro per partito preso o perché
se lo ripete da solo. Gli imbecilli, "piaccia o non piaccia",
ci sono e ci sono da una parte e dall’altra. Sono imbecilli
quelli che invocano il Vesuvio, sono imbecilli quelli che
vi insultano citando la "tubercolosi" o i "terremoti", che
vi accolgono con sacchi di immondizia, che durante la partita
vi guardano negli occhi a distanza barriera di protezione
e si portano il pollice e l’indice al naso, tappandoselo.
Ma sono imbecilli anche quei napoletani che hanno inventato
dal nulla casi mai esistiti dopo il ritorno di campionato,
raccontando di un invalido in carrozzella picchiato (era
in piedi e "deambulava", per citarlo, e non era immediatamente
riconoscibile come invalido, se è vero che - racconta -
fu costretto a gridarlo), o addirittura di bambini picchiati.
Sono imbecilli perché hanno posto le basi per giustificare
nella mente malata di qualcuno l’aggressione del dopo-partita
di Coppa che ha visto ad esempio uno juventino accoltellato
e altri aggrediti e presi a bastonate. Perché la conseguenza
è quella. Sono imbecilli, sia chiaro, anche coloro i quali
(fermati e denunciati) si sono permessi di alzare le mani
(e anche fosse stato contro un energumeno in perfetta salute
non sarebbe cambiato nulla: farlo è sbagliato a prescindere,
è un reato e come tale andrebbe trattato). Non si dovrebbe
scusare o giustificare nessuno, ma condannarli (voi) e dissociarsi
(noi), senza giri di parole. Insomma sono imbecilli anche
e soprattutto tutti quelli che, invece di ammettere tutto
questo con la calma e tranquillità d’animo del sottoscritto,
preferiscono negare e trovare sempre una scusa, una giustificazione,
un complotto, una virgola storta, un qualcosa da ridire.
Non lo fate più. Cambiamo, tutti. Grazie.
23 maggio 2012
Fonte: Fcjuventustorino.blogspot.it
ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 2012
La Gogna: identifichiamoli e denunciamoli
di F. Del Re
Le "Istituzioni" fanno
finta che il problema non esista. Insultare la memoria di
39 persone che persero la vita a causa di una partita di
pallone per loro non è reato, né in ambito penale, né tanto
meno in ambito sportivo. Quei 39 rappresentano nella mente
malata e miserabile di chi porta in giro certi drappelli
l'intero popolo bianconero, l'intera sua storia. Come dire:
-39 sempre e ovunque, così alla fine sparirete. Ciò
è inaccettabile. Lo è sempre stato, fin da quando per la
prima volta il primo di questi individui si azzardò a scarabocchiare
quell'orrendo numero preceduto dal segno "meno". E
allora, visto che il celeberrimo "chi di dovere" se ne disinteressa
bellamente da ben 27 anni, iniziamo noi ad indagare su certi
comportamenti molto meno che bestiali: abbiamo la tecnologia
per riprenderli in luoghi pubblici; abbiamo i mezzi per
divulgarne le pubbliche "imprese". Bene: "identifichiamoli
e denunciamoli". Poi, se "chi di dovere" vorrà agire e sanzionarli,
bene. Altrimenti rimarrà a futura memoria la gogna mediatica
verso questi rifiuti della società. Intanto ecco il
"Capitolo I" della rubrica: Domenica 20 Maggio 2012, Stadio
Olimpico di Roma; finale di Coppa Italia Juventus-Napoli.
Chiunque riconosca questo essere umano lo denunci.
23 maggio 2012
Fonte: Giulemanidallajuve.com
ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 2012
Vergognoso striscione
sulla strage dell'Heysel
all'Olimpico: tifoso
espone in campo -39
Il sito giulemanidallajuve.com
ha denunciato il fatto, ripreso da altri siti e sui social
network.
Quanto di più sconcertante
è che per loro, per le vittime dell'Heysel, non vi è alcun
rispetto. Alcun sentimento di compassione. E quanto si legge,
su uno striscione comparso durante l'invasione di campo
a conclusione della Coppa Italia, riassume lo stato di deprecabile
inciviltà che tuttora, nell'era della tessera del tifoso
e della linea dura, si è costretti a vedere negli stadi.
Da quanto pubblicato, e denunciato, dal sito dei piccoli
azionisti della Juventus giulemanidellajuve.com e ripreso
sul blog del giornalista di Repubblica Fabrizio Bocca, un
tifoso a conclusione della finale Juventus-Napoli ha esposto
una bandiera bianconera con in evidenza quel -39 che allude,
senza alcuna remora e senza alcuna vergogna, ai morti dell'Heysel.
E qui, ancora una volta si denuncia l'insensibilità, il
silenzio su quanto esposto o sentito (di cori se ne potrebbero
citare fin troppi), come accaduto ai tempi dell'altrettanto
sgradevole allusione all'acciaio. La sollevazione della
questione a livello giuridico ancor prima che morale evidenzia
come, da quel 29 maggio 1985, più che una indignazione comune
provocata da simili accadimenti derivanti a incongruenze,
scelte errate e tentativi di scaricare responsabilità da
parte di istituzioni abbiano prodotto un reiterato motivo
di offesa nei riguardi di quanti attendevano di assistere
alla finale di Champions League e, invece, sono stati ordinati
sotto un lenzuolo davanti a uno stadio o in ospedale. Tifosi
non solo juventini, ricordiamo. Più che valutare quale male
oscuro alberghi oggi in quelli che si rendano protagonisti
di questi atti o fino a che punto le norme vigenti e annesse
pene siano deterrenti, c'è chi si è interrogato sulla autenticità
della foto. Su Twitter, uno dei social network prediletti
in tema di condivisione, sono recuperabili foto sequenze
che dimostrano la veridicità di quanto riportato e dell'immagine
in questione. In particolare, sul profilo di Barza Inter
sono state caricate le quattro foto che mostrano il tifoso
napoletano in campo correre con quell'orribile striscione.
24 maggio 2012
Fonte: Virgilio.it
ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 2012
Ci risiamo, ancora vilipendio sull'Heysel
Incriminata una foto al
termine della finale di Coppa Italia
di Alessandro Vignati
Purtroppo ci tocca per
l'ennesima volta segnalare l'ennesimo e deprecabile gesto
isolato di qualche "tifoso" di infangare la memoria delle
vittime dell'Heysel. Come evidenziato dal famoso fotografo
Salvatore Giglio al termine della finale di Coppa Italia
di domenica sera vi è stata sul campo l'invasione di un
individuo che con imbarazzante coraggio ha osato sventolare
una bandiera con scritto "-39" verso la curva sud dove erano
stazionati i tifosi juventini. Che sia il momento che qualcuno
dall'alto prenda qualche decisione dopo aver lasciato campo
libero a questi soggetti che dal giorno della tragedia (29
maggio 1985) non perdono occasione per agire impuniti ?
Vedremo, non è mai troppo tardi per cominciare a punirli
severamente...
24 maggio 2012
Fonte: Tuttojuve.com
ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 2012
Andrea Agnelli scrive al Comitato "Per non dimenticare
Heysel"
Il Presidente della Juventus
Football Club ha inviato sabato 26 maggio 2012 ad Enzo Cerlini,
Presidente del Comitato "Per non dimenticare Heysel" il
messaggio seguente letto pubblicamente da Annamaria Licata
in occasione della Commemorazione Ufficiale del 27° Anniversario
della strage allo stadio Heysel di Bruxelles davanti al
monumento di Reggio Emilia: "Caro Presidente, come ogni
anno questa è una data nella quale ognuno di noi, ovunque
si trovi, si fermi un attimo per ricordare, per pregare,
per rendere omaggio alle vittime dell'Heysel. Ma coloro
che hanno perso la vita in quel tragico 29 maggio sono sempre
con noi, ci accompagnano tutti i giorni e ci hanno accompagnato
anche quest'anno che è stato per noi importantissimo in
quanto siamo tornati a vincere.
Un saluto ed un abbraccio
a tutti i presenti".
Andrea Agnelli
26 maggio 2012
Fonte: Comitato "Per non
dimenticare Heysel" Reggio Emilia
ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 2012
Heysel, per
non dimenticare
di Roberto Beccantini
Il 29 maggio 1985 lo stadio
Heysel di Bruxelles, teatro della finale di Coppa dei Campioni
tra Juventus e Liverpool, diventò la tomba di trentanove
tifosi, quasi tutti italiani e juventini. Sono passati ventisette
anni e di sport si continua a morire, un po' sul campo e
un po' attorno. Ogni volta, la ricorrenza strappa epicedi
di circostanza: è il rischio che corrono anche queste righe.
Ogni volta, ci poniamo la stessa domanda: cos'è cambiato
? Se morire in uno stadio, per l'incuria degli organizzatori
e la brutalità degli inquilini, è il massimo dello sciacallaggio
morale, figuriamoci morire invano: senza, cioè, che un sacrificio
talmente assurdo possa illuminare le generazioni future.
Piccoli Heysel covano ovunque, in Europa e oltre, sotto
un drappo nazista, al calduccio di una inciviltà generalizzata,
in interviste e articoli "sdraiati", sull'onda di promesse
millantate e abbandonate, tra compromessi e collusioni.
Quando una società abbatte le barriere tra le curve, facciamo
la ola, ma dal 1985 soltanto la Juventus ha costruito uno
stadio tutto suo. La tessera del tifoso ha spostato la mappa
degli scontri all'esterno delle arene, senza risolvere il
problema. Ai tempi dell'Heysel, l'avversario era il popolo
della squadra antagonista; oggi, è la divisa, lo Stato;
se non, addirittura, la squadra del cuore (caso Bari, con
i giocatori spinti dagli ultras a scommettere contro). E
l'Italia, Paese fondato sui campanili e i bar sport, ha
sempre manifestato un senso dello Stato così scarso da finire
spesso ostaggio delle proprie ambiguità. Non mi stancherò
mai di consigliare "Heysel, le verità di una strage annunciata"
di Francesco Caremani: se ne parla martedì 29 maggio alla
Hall of Fame di Piazza Piemonte 8, Milano, dalle 19,30 (ingresso
gratuito). Aiuta ad allontanare la tentazione di metterci
una pietra sopra: trentanove non bastano ?
27 maggio 2012
Fonte: It.eurosport.yahoo.com
ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 2012
Heysel: il triste anniversario 27 anni dopo
39 tifosi che adesso non
ci sono più, vittime di uno stupido pomeriggio, il 29 Maggio
del 1985. Sono passati ventisette anni e di sport si continua
a morire, con lo sport si continua a farsi del male. Tutte
le volte si pensa a cambiare, a migliorare, ma la realtà
forse è sempre la stessa, la realtà è che continuiamo a
fare confronti con altri stati, con altre realtà... Ma le
cose nel nostro paese non cambiano mai. Pensiamo che soltanto
la Juventus ha costruito uno stadio tutto suo. La tessera
del tifoso ha spostato la mappa degli scontri all’esterno
delle arene, senza risolvere il problema. Ai tempi dell’Heysel,
l’avversario era il popolo della squadra antagonista; oggi,
è la divisa, lo Stato; l’Italia, Paese fondato sui campanili
e i bar sport, ha sempre manifestato un senso dello Stato
così scarso da finire spesso ostaggio delle proprie ambiguità.
Noi vorremmo ancora una volta stringerci intorno alle famiglie
e ai conoscenti delle vittime e fare in modo che quanto
successe quel 29 maggio non sia mai dimenticato. In questo
senso vanno spese parole di elogio per l’iniziativa della
società Juventus che dopo tante battaglie promosse soprattutto
dal sito https://www.saladellamemoriaheysel.it/ ha comunicato,
proprio in settimana, che alla strage dell’Heysel sarà dedicato
uno spazio all’interno del museo della Juventus (da inaugurare
nella primavera 2012) e che una ognuna delle vittime avrà
una propria stella accanto al nome del Capitano in quella
tragica serata, ovvero Gaetano Scirea.
28 maggio 2012
Fonte: Sport.blogville.it
ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 2012
Heysel, 29 maggio 1985: Andrea aveva 11 anni
di Francesco Alessandrella
Andrea ha 11 anni e non
sta più nella pelle. Suo padre gli ha trovato il biglietto
della partita più importante dell’anno e potrà vedere da
vicino tutti i suoi campioni più amati. Certo, il viaggio
è un po’ lungo, da Cagliari al Belgio, ma ne varrà certamente
la pena. Francesco di anni ne ha 15 e vive in provincia
di Napoli. È tifoso della Juventus da quando ne aveva 10,
ma forse anche prima. Lui dice che a 10 anni per la prima
volta non ha dormito una notte a causa della eliminazione
della sua squadra al 90° dalla Coppa delle Coppe e che,
poi, la cosa si è ripetuta qualche anno dopo, nell’83, nella
finale di Atene. Ma stavolta è certo che le cose andranno
meglio. Andrea è arrivato a Bruxelles, il viaggio è stato
stancante, ma adesso ha addosso tutta l’adrenalina del pre-partita.
Suo padre Giovanni sta provando a fargli mangiare qualcosa,
prima di entrare allo stadio, ma la sua attenzione è tutta
rivolta verso quello che gli sta intorno. C’è gente, tanta
gente con le sciarpe bianconere. Andrea domanda al padre
se si conoscono già le formazioni, se Tardelli giocherà,
pare che abbia un problema muscolare, forse parte dalla
panchina... Francesco è arrivato a casa di Alfio, un amico
del liceo, dove vedrà la partita insieme ad altri compagni
di scuola. Mentre entra nel cancello, incontra il padre
di Alfio che sta prendendo la macchina per andare a comprare
le pizze. "Sono già tutti sopra", gli urla. Francesco sale
le scale che lo separano dal secondo piano a due a due.
Non fa altro che pensare a quella partita da una settimana,
anche le ultime interrogazioni di greco sono andate un po’
così, ma la promozione dovrebbe essere cosa fatta. E’ che
proprio non è riuscito a trovare la giusta concentrazione.
Ma ormai ci siamo ! Andrea è entrato nella stadio. La prima
cosa che ha notato è che lo stadio è piccolo, più piccolo
di quanto si era immaginato. Piccolo e vecchio, pensa Andrea.
Ma è un momento, poi ritorna a guardarsi intorno, affascinato
da quell’atmosfera della finale. Prova a tenere dentro di
sé ogni singola immagine, quando tornerà a casa dovrà raccontare
tutto alla madre e ai suoi compagni di classe. Sul campo,
poco fa, c’erano i giocatori. Suo padre gli ha indicato
Platini, il suo preferito, quello del poster nella sua cameretta.
Tardelli giocherà, in panchina ci va Briaschi. Francesco
si è portato dietro un suo portafortuna: un pupazzetto bianconero.
Lo aveva con sé all’andata delle semifinali contro il Bordeaux
ma non al ritorno e la Juventus aveva rischiato l’eliminazione.
Ci crede a queste cose e, a rischio di essere preso in giro
dai compagni, lo ha portato. Fosse stato per lui, avrebbe
portato anche il poster di Platini che aveva attaccato sul
suo letto, ma la madre lo ha convinto a non toglierlo. Tornando
a casa, pensa, lo avrebbe abbellito con una fotografia della
Coppa dei Campioni che aveva ritagliato la mattina dal giornale
del padre. Quando entra in casa di Alfio, chiede subito
se si conosce già la formazione e se Tardelli avrebbe giocato.
Nessuno gli risponde. Andrea adesso guarda preoccupato il
padre che sta fissando alla sua sinistra. Non riesce a rendersi
conto di quello che sta succedendo. Sa solo che quell’atmosfera
di festa che fino a qualche minuto prima stava vivendo,
non c’è più. Intorno c’è, adesso, uno strano silenzio, un
silenzio ovattato, irreale per essere in uno stadio. Prova
a guardare anche lui e quello che riesce a vedere è una
specie di onda fatta di persone vestite di rosso che si
allontana dalle reti di "protezione" del suo settore e,
poi, con lucida follia, vi si scaglia contro cercando di
farle cedere. Andrea guarda il padre e si accorge che in
quello sguardo non c’è quella espressione che tante volte,
nella sua vita, lo aveva rassicurato. Non prova nemmeno
a chiedere che cosa stia succedendo, sa che il padre non
ha una risposta per quella domanda. Non avrebbe mai immaginato
che potesse esserci una domanda alla quale un adulto, un
padre, non sapesse dare una riposta, ma adesso sa che è
proprio così. Ed è una delle ultime cose che imparerà. Francesco
è seduto davanti al televisore. Sul tavolo c’è la pizza
ma nessuno ha voglia di mangiarla. C’è Scirea che parla
al microfono, ma lui non sta sentendo. Sta pensando alle
volte che in questo mese ha chiesto al padre di andare a
vedere la partita e si sente sollevato a pensare che non
è riuscito a convincerlo. Guarda le immagini, Francesco,
e pensa che in quel momento sta morendo una parte di sé,
che in quel preciso istante sta perdendo quella spensieratezza
che aveva riguardo al mondo dello sport. Sa che ci vorrà
del tempo per mettere in ordine dentro di sé quello che
sta accadendo a migliaia di chilometri di distanza ma che
la televisione sta scagliando con prepotenza in quella stanza
tra una pizza fredda e un pupazzetto bianconero, in un silenzio
irreale. Francesco sono io e Andrea è la più giovane delle
39 vittime cadute all’Heysel. Oggi, io ho l’età del padre
di Andrea, anch’egli vittima della follia degli hooligans,
e mio figlio Lorenzo è poco più piccolo di Andrea. Ogni
volta che penso di portare mio figlio allo stadio, mi torna
in mente la storia di Andrea. Qualche volta ho anche provato
a raccontargliela, sfidando il rischio di sentirmi fare
qualche domanda alla quale non saprei rispondere. Perché
ora lo so anche io: ci sono domande alle quali anche un
padre non sa rispondere. La sera dell’Heysel è una ferita
che sanguina dentro ogni uomo che l’ha vissuta, allo stadio
o seduto davanti al televisore. Nella notte dell’Heysel
non sono morte solo 39 persone. Sono morti, dentro, tutti
quelli che amavano il calcio. Niente e nessuno è stato uguale
a prima dell’Heysel. Quella notte ha cambiato, per sempre,
il modo di intendere lo sport. Andrea e Francesco. Due giovani
tifosi bianconeri che, in quella sera, hanno avuto due destini
diversi. Andrea è rimasto schiacciato sotto la furia omicida
di gente che con il calcio e lo sport non hanno nulla in
comune. Francesco, da quella sera, sa di avere un compito:
raccontare a Lorenzo, e a quanta più gente è possibile,
la storia di un bambino, partito da Cagliari per assistere
ad una festa, e mai più tornato per poterla raccontare.
Perché non accada mai più.
29 maggio 2012
Fonte: Juventinovero.com
ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 2012
Il giorno più triste
29 maggio 2012
Una notte di follia, che
spazza via quella che doveva essere una festa del calcio
e che si porta via 39 persone innocenti. Sono passati 27
anni dal 29 maggio 1985, ma quanto accaduto quella sera
a Bruxelles, ancora oggi scuote l’anima.
Allo stadio Heysel è in
programma la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e
Liverpool, ma prima che la partita inizi, gli hooligans
inglesi scatenano una violenza inaudita contro i tifosi
italiani. L’impianto ha gravi problemi strutturali e il
settore Z cede mentre i sostenitori bianconeri cercano una
via di fuga: 39 morti e oltre 600 feriti. Una tragedia immane.
La partita si gioca per evitare che la situazione degeneri
ulteriormente, ma quella vittoria, la prima Coppa Campioni
della Juventus, non regala gioia.
Da allora, ogni anno, il 29 maggio è il giorno della
commozione, del ricordo, della preghiera. La Juventus ha
reso omaggio alle vittime dell’Heysel intitolando ad ognuna
di loro una stella nel suo nuovo stadio, dedicando loro
una parte del museo, inaugurato da poco, e permettendo ai
famigliari di accedervi liberamente. Piccoli gesti, per
onorarne la memoria e per fare in modo che nessuno dimentichi.
Perché simili tragedie non dovranno mai più accadere.
29 maggio 2012
Fonte: Juventus.com
ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 2012
Ricordando
la strage dell’Heysel
di Simona Aiuti
Il 29 Maggio 1985 lassù
in Belgio a Bruxelles c’era una strana atmosfera nell’aria,
grigia e densa di odio e birra che fermentava sull’espressione
nordica dei britannici sui visi degli hooligans.
La Juventus quell’anno
arrivò in finale di Coppa dei Campioni, allora si chiamava
così la Champions League, disputando egregiamente la competizione,
ma questo servì solo a finire in uno stadio vecchio, fatto
di cemento marcio, con pezzi di porfido che si staccavano,
e che i nostri avversari trasformarono in proiettili per
colpirci, e una rete da pollaio avrebbe dovuto dividere
le tifoserie, ma fu piegata come il burro. Il popolo juventino
era andato lassù per divertirsi, assolutamente pacifico
e invece ci fu la provocazione, l’insulto ai colori, alla
bandiera, l’aggressione, l’odio ingiustificato che avanzava
a macchia d’olio verso di noi che indietreggiavamo su strutture
che non avrebbero retto a lungo il nostro peso. Infine il
crollo che incredibilmente non fu visto da tutti, e morirono
39 persone, mentre i feriti furono più di 600. L’impianto
non era a norma, il campo era mal curato, ricoperto da terra;
i muretti divisori erano scrostati. Lo stadio era diviso
in vari settori: in 3/4 di curva c’erano i supporters del
Liverpool: precisamente nella parte denominata Y e X, mentre
di fronte c’era la tifoseria organizzata della Juventus.
Il settore "Z" fu la camera della morte, il settore definito
cuscinetto poiché non doveva essere presidiata da gruppi
Ultras ma da famiglie. Anche un padre calabrese acquistò
un biglietto per il figlio dodicenne che era stato promosso
e quel bambino non tornò mai a casa. Quasi tutto accadde
prima della gara, mentre i calciatori erano chiusi negli
spogliatoi e le notizie gli arrivavano a sprazzi, discontinue
e gli si fece capire che se non avessero giocato sarebbe
scoppiato il finimondo. Fu come uno schiaffo, un attacco
violento da parte di un gruppo di delinquenti vestiti di
rosso, che si buttarono nella curva Z per colpire per fare
bottino, e per fare male. Scoppiò il panico, la paura, e
loro gli hooligans iniziarono a seminare il terrore. A questo
punto non si capì più niente, c’erano anche i bambini, terrorizzati
e in trappola. Per la cronaca, non tutti capirono cosa stesse
accadendo, infatti, chi era nella curva opposta, proprio
gli ultras juventini, non videro l’effetto della carica
inglese e del conseguente sfondamento. Dopo più di mezz’ora
arrivò un corpo speciale di Polizia, in ritardo inspiegabile;
ormai il fatto era accaduto, c’erano solo 2 ambulanze e
un manipolo di poliziotti inermi. Ci fu così un fuggi, fuggi,
che poteva far solo peggiorare la situazione. Era una Juventus
di campioni: in difesa c’era Scirea, oltre a Cabrini e Brio,
a centrocampo Prandelli, Platini e in attacco Rossi e Boniek.
Il clima fu comunque surreale. La sfida la vinse la Juventus,
con un gol di Francesco Michel Platini. La sanzione che
venne presa fu la squalifica delle squadre inglesi nelle
competizioni europee dal 1985-1986 al 1990-1991. Ma questo
a che servì ? Tale decisione appunto non poteva ridare indietro
i 39 defunti amanti di un gioco, il più bello del mondo.
Riposate in pace 39 anime e ricordatevi che non vi dimenticheremo
mai.
29 maggio 2012
Fonte: Unmondoditaliani.com
ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 2012
27 anni
fa la strage dell'Heysel
di Carlo Calabrò
Ventisette anni fa, 29
maggio 1985, la strage dell'Heysel. Non è una ricorrenza
"numericamente" significativa, come potrebbe esserlo un
ventennale o un trentennale, ma tengo comunque a ricordarla,
perché la sensazione (non solo mia, posso assicurarlo) è
che su quel tremendo evento sia stato calato un velo di
ingiusto oblio, che troppe persone e troppe istituzioni,
dopo lo sdegno delle prime settimane, abbiano voluto rimuovere
il tutto. Troppo ingombrante quella tragedia, nella sua
assurda enormità: eppure, la si dovrebbe tenere ancora oggi
come perenne punto di riferimento e monito, una ideale linea
di demarcazione oltrepassata la quale, per un calcio già
malato, esiste solo l'annientamento. Dell'Heysel e di quella
sera maledetta vorrei, in questa sede, dare una lettura
un po' diversa dalle solite, un po' più fredda e analitica.
Non necessariamente migliore e più completa, ci mancherebbe.
Solo "diversa".
LO STADIO - Contrariamente
a quanto si crede oggi, la scelta dell'Heysel Stadium di
Bruxelles come sede della finale di Coppa Campioni 1984/85
tra Juventus e Liverpool non suscitò, lì per lì, grossissime
polemiche. Che io sappia solo Piero Dardanello, direttore
dell'allora autorevole Tuttosport, ebbe modo di esprimere
il proprio dissenso, ma i dubbi erano più che altro legati
alla capienza dell'impianto, che per "la partita dell'anno"
venne stabilita in 58 mila spettatori: non certo bassa,
ma sicuramente insufficiente per un match attesissimo, che
aveva fatto registrare centinaia di migliaia di richieste
di tagliandi (Juve e Liverpool erano considerate, pressoché
unanimemente, le due squadre europee più forti del periodo,
e già fin dai sorteggi estivi del torneo in molti avevano
scommesso che sarebbero state proprio loro ad arrivare fino
in fondo alla competizione). Inoltre va detto che lo stadio
Heysel è stato per molti anni, ed era ancora in quel 1985,
uno degli impianti "preferiti" dall'Uefa, uno di quelli
maggiormente utilizzati per ospitare finali internazionali.
Nel dettaglio, era già stato sede delle finalissime di Coppa
Campioni del '58, del '66 e del '74 (quest'ultima doppia,
in quanto dopo il pareggio nella prima gara il regolamento
dell'epoca prevedeva la ripetizione del match, e così avvenne
fra Bayern Monaco e Atletico Madrid), di altrettante di
Coppa Coppe (1964, 1976 e 1980) e di una di Coppa Uefa (l'andata
del 1983 fra Anderlecht e Benfica). Vi si disputò anche
l'atto conclusivo dell'Europeo per nazioni del '72, fra
Germania Ovest e URSS. Era, infine, il principale teatro
delle sfide ufficiali della Nazionale belga (meno di un
mese prima del fatidico 29 maggio vi si era giocata Belgio-Polonia,
per le qualificazioni mondiali). Insomma, una struttura
utilizzatissima, anche in epoche di pochissimo anteriori
alla data fissata per l'attesa sfida fra Reds e bianconeri.
"Esternamente" poteva dunque apparire una scelta plausibile,
e tuttavia, nei sei mesi che separarono la designazione
della sede (avvenuta nel novembre '84) dalla disputa del
match, chi di dovere avrebbe avuto tutto il tempo per effettuare
gli opportuni controlli e rendersi conto dello stato dell'impianto,
assolutamente non all'altezza di ospitare l'evento calcistico
"del secolo" (venne definito proprio così, come è stato
fatto spesso, prima e dopo, per tante altre partite, e quasi
sempre a sproposito).
CURVE FATISCENTI - L'Heysel,
già Stade du Centenaire, era stato costruito alla fine degli
anni Venti per essere inaugurato nel 1930. All'epoca dei
fatti qui ricordati aveva dunque quasi sessant'anni. Nel
corso del tempo era stato sottoposto a diversi ritocchi,
dalla copertura della tribuna opposta a quella centrale,
in origine non presente, all'installazione di un gigantesco
tabellone elettronico, passato grottescamente alla storia
perché la sera della carneficina, mentre gli hooligans caricavano
e la gente moriva, continuava a trasmettere messaggi di
benvenuto agli spettatori e raccomandazioni sui comportamenti
da tenere per un tranquillo svolgimento della manifestazione
sportiva... Gli ultimi interventi di restyling corposi pare
risalissero alla seconda metà degli anni Settanta. Nel 1985
l'Heysel era uno stadio... squilibrato, quanto a confortevolezza
e stato di conservazione: tutto sommato abbastanza funzionali
e in condizioni accettabili le due tribune con posti a sedere,
del tutto vetuste e arretrate le due larghissime e capientissime
curve, Nord e Sud, infossate in un terrapieno, con gradoni
in cemento usurato, tanto da poter essere facilmente asportato
(e difatti i teppisti di Liverpool usarono i frammenti delle
scalee come armi improprie, nel loro assalto agli juventini):
settori accessibili da poche e strette porticine, e con
vie di fuga quasi inesistenti. Ecco, questo è il punto:
un tale stato di cose, trascuratezza e fatiscenza, non sarebbe
dovuto né potuto sfuggire agli organizzatori dell'evento
e ai responsabili dell'ordine pubblico. E se magari era
tardi per operare uno spostamento di sede (la scelta ideale
sarebbe stata rappresentata dal modernissimo Olympiastadion
di Monaco di Baviera, più capiente, a metà strada fra Italia
e Inghilterra), occorreva trarne le conseguenze per allestire
un sistema di sicurezza e di prevenzione incidenti a prova
di bomba. E' vero che all'epoca i parametri erano meno restrittivi
di oggi (posti in piedi e "portoghesi" a go go), ma c'erano
stati dei precedenti freschissimi a dover indurre alla massima
cautela.
PRECEDENTI PERICOLOSI -
Le prime avvisaglie di teppismo inglese in continente si
ebbero nel 1974, quando la finale di ritorno di Uefa fra
Feyenoord e Tottenham, a Rotterdam, fu funestata da violenti
incidenti causati sugli spalti dai sostenitori degli "Spurs".
Nel 1980, in occasione dell'Europeo giocato in Italia, gli
hooligans si ripeterono durante Belgio-Inghilterra con una
battaglia sulle gradinate del Comunale di Torino, che per
fortuna non erano piene (non più di 20mila spettatori):
il fumo dei lacrimogeni lanciati dalla Polizia causò persino
una momentanea sospensione del match. Ma il peggio accadde
dodici mesi prima di Juve-Liverpool, nel maggio '84: prima
della finale UEFA di andata fra Anderlecht e Tottenham,
nelle strade di Bruxelles, un tifoso irlandese ucciso e
diversi feriti causati principalmente dalla violenza inglese,
e incidenti con contusi anche durante e dopo lo svolgimento
della gara (non all'Heysel, ma al Parc Astrid, il secondo
stadio della Capitale belga). Dopo la finale di Coppa Campioni
fra il solito Liverpool e la Roma, giocata all'Olimpico,
nella Città Eterna, in un clima sovraeccitato, si scatenò
una incredibile caccia all'inglese (così la definirono i
giornali dell'epoca), con una cinquantina di feriti, in
larga parte britannici. E infine, pericolose avvisaglie
anche da parte degli juventini, che poco prima dell'inizio
della finale di Coppa Coppe col Porto, nello stadio di Basilea,
iniziarono un lancio di oggetti in campo con tentativo di
invasione, dopo aver aperto una breccia nella recinzione
(Fonte: Archivio storico La Stampa): la reazione delle forze
dell'ordine svizzere fu immediata, con ingresso in gradinata
a formare un provvidenziale "cordone sanitario". Qualcosa
di più di semplici campanelli d'allarme, che avrebbero dovuto
indurre le autorità belghe e quelle della federazione internazionale
a predisporre uno dei più massicci dispositivi di sicurezza
mai visti prima per un incontro di football. Il dispositivo
ci fu, sulla carta: leggere i quotidiani dei giorni precedenti
la finale è per certi versi agghiacciante, coi responsabili
dell'ordine pubblico a regalare ai cronisti proclami bellicosi,
a cianciare di severità massima e tolleranza zero nei confronti
dei facinorosi...
CONTROLLI INESISTENTI -
Parole al vento, come si sa: i controlli all'ingresso furono
quasi inesistenti. Gli inglesi poterono entrare con casse
di birra, quindi ubriachi e con in mano oggetti potenzialmente
atti a far male, molto male; poterono entrare senza biglietto,
o utilizzando biglietti di altri che gli venivano passati
da chi era già dentro attraverso fori aperti nelle fragili
mura dell'impianto (!). I tagliandi del settore Z, che doveva
essere riservato in teoria a spettatori neutrali, finirono
in realtà nelle mani di sostenitori juventini non appartenenti
al tifo organizzato: cosa facilmente prevedibile e che solo
gli organizzatori belgi non seppero intuire e prevenire.
A dividere questo settore di gente pacifica e indifesa dai
bellicosi hooligans (occupanti i settori X e Y) venne issata
solo una doppia, fragile recinzione, della consistenza di
una "rete per polli" (l'espressione ricorre spesso nelle
rievocazioni dell'evento), facilmente scavalcabile, e in
ogni caso talmente resistente da... venire abbattuta dai
teppisti con poche vigorose spallate. A nessuno venne in
mente di sistemare fra le due fazioni, a mo' di cuscinetto,
una nutrita schiera di forze di polizia: le cronache narrano
di non più di dieci - dodici gendarmi, che peraltro in buona
parte sparirono misteriosamente poco prima delle cariche
assassine dei britannici (c'è chi dice per andare a soccorrere
una venditrice di hot dog aggredita poco fuori dello stadio:
mi auguro non sia vero, sarebbe una pagina grottesca di
una tragedia autentica).
LA STRAGE DEL SETTORE Z
- Ciò che accadde dopo è, purtroppo, cronaca nera trasformatasi
in storia. Ricostruzioni scritte e parlate, in questi 27
anni, ce ne sono state a iosa. Limitiamoci dunque a dare
singoli flash: le cariche violente e ripetute dei teppisti
pseudo-tifosi del Liverpool, accecati dall'odio e pieni
di alcool fino alle orecchie, verso il settore Z della curva
nord dello stadio belga, i cui pacifici e inermi occupanti
non solo non opposero resistenza, ma anzi fuggirono, presi
da un sacrosanto panico, cercando salvezza verso il campo
di gioco e, nel contempo, spostandosi sulla destra, verso
il muretto di sostegno laterale della curva. Mentre gli
inglesi assaltavano e venivano giù a ondate sempre più furenti,
picchiando, anzi massacrando con spranghe, bottiglie rotte
e pezzi di cemento asportati dai gradoni i poveri tifosi
che incontravano sulla loro strada, questi ultimi si ritraevano
sempre più; in breve in uno spazio ridotto, in basso a destra,
si assembrò una quantità enorme di persone: la pressione
di quella massa sul fragile muretto di sostegno divenne
insostenibile e la struttura crollò, facendo precipitare
al suolo, per alcuni metri, diversi tifosi: alcuni trovarono
la morte, per altri, paradossalmente, fu una via di salvezza,
la valvola di sfogo all'innaturale cumulo umano che si era
formato. Nel mentre, nella calca in molti morivano schiacciati,
calpestati e asfissiati, altri lacerati e infilzati dalle
recinzioni metalliche che separavano la gradinata dal terreno
di gioco, contro le quali gli sventurati erano stati compressi
e schiacciati dalla folla urlante e in cerca di salvezza
alle loro spalle. Recinzioni che alfine furono abbattute
dalla spinta della marea umana, visto che gli addetti alla
sorveglianza a lungo impedirono ai tifosi terrorizzati l'ingresso
sul prato, arrivando addirittura a manganellare chi riusciva
a scavalcare. Una Caporetto senza se e senza ma delle forze
dell'ordine e del sistema di sicurezza, superficialità e
dilettantismo allo stato puro. Il bilancio immediato di
quella follia (follia ultras e organizzativa) fu di 38 vittime,
la 39esima si aggiunse nei giorni successivi, spirando dopo
una breve agonia.
LA PARTITA - Quello del
match vero e proprio è un altro punto dolente della vicenda.
Giocare per consentire alle forze dell'ordine di organizzare
in sicurezza l'uscita dallo stadio, così pareva e così i
capitani delle due squadre, Neal e Scirea, avevano annunciato
all'altoparlante in un messaggio alle rispettive tifoserie.
D'accordo: ma poi perché dare veste ufficiale alla gara
? L'aver fatto giocare una finale di Coppa Campioni "burocraticamente
autentica" in uno stadio-cimitero, coi morti che, probabilmente,
al fischio d'inizio erano ancora allineati all'ingresso
della tribuna centrale, rimane una vergogna incancellabile,
la perdita della verginità per un certo tipo di calcio già
professionalizzato ma ancora genuino, un calcio che scomparve
definitivamente quella sera di tarda primavera. Interrogativo
meno rilevante ma ancora oggi molto sentito: fu partita
vera, sul piano tecnico ? Sì e no. No di certo nel primo
tempo, giocato a ritmi nemmeno da amichevole, ma da accademia,
con toni agonistici quasi inesistenti e pochi affondo davvero
pericolosi, non più di uno per parte. Tutt'altra musica
nella ripresa (che qualche funzionario Uefa, nell'intervallo,
abbia ricordato alle due squadre che di partita ufficiale
si trattava, e quindi era il caso di mettere nella contesa
un po' più di combattività ? Mia supposizione, sia chiaro):
i giocatori cominciarono a fronteggiarsi con vigoria fisica
sempre maggiore (su tutti un Tardelli assai battagliero),
la Juve creò pochino in avanti e badò soprattutto al controllo
degli avversari, in particolare con un Brio ineccepibile
in marcatura sul temutissimo Rush; un paio di volte riuscì
però ad azionare il contropiede, e con uno di questi fece
centro: lancio lungo di Platini per il velocissimo Boniek,
fuga centrale e atterramento ben prima di entrare in area:
l'arbitro svizzero Daina concesse un incredibile rigore
e Roi Michel lo trasformò. Gli inglesi reagirono furiosamente,
Tacconi si erse a miglior uomo in campo sventando due palle
gol nitidissime, poi il direttore di gara, lui invece peggiore
in campo, non sanzionò col penalty un intervento falloso
in area di Bonini. Secondo molti questa è stata una vittoria
"meritata" dalla Juve: per quel che può valere (nulla, perché
quella sera il calcio nulla valeva) non lo fu: i bianconeri
ebbero poche occasioni, al contrario degli avversari; sì,
azzeccarono il match sul piano tattico ma vinsero, alla
resa dei conti, grazie a un rigore inesistente a favore
e uno nitido a sfavore non concesso: i successi meritati
sono altri.
L'ESULTANZA - Rimane la
constatazione di come la trance agonistica possa davvero
annebbiare la mente, far perdere il lume della ragione,
rendere incapaci di valutare le situazioni nella loro globalità,
quasi regredendo all'età infantile: non in altra maniera
riuscirei a spiegare il clima di ritrovato entusiasmo sugli
spalti che caratterizzò la fase finale della contesa, e
soprattutto l'esultanza finale dei giocatori torinesi, prima
con salti e urla di giubilo sotto la tribuna d'onore, poi
con un mezzo giro di campo transitando sotto la curva del
tifo organizzato juventino. Tutto documentato dalla tv,
mentre non esistono testimonianze video, e ne esistono pochissime
fotografiche, del ritorno in campo, poco dopo, di Platini
e compagni con la Coppa, consegnata loro negli spogliatoi
da un funzionario Uefa o, forse, addirittura dal presidente
della Federazione europea di calcio Georges. Scene spiegabili,
ripeto, con una trance agonistica accresciuta dalla lunga
attesa del match (il cui inizio era slittato di circa un'ora
e mezza), oppure dall'ambiguità, dalla mancanza di chiarezza
da parte delle autorità: se hanno chiesto di giocare, si
devono essere detti in molti in campo e sugli spalti, la
situazione non può essere così grave, sennò con che coraggio
si può fare calcio in uno scenario di morte ? Ma qui si
aprirebbe un altro capitolo infinito: i giocatori sapevano
? E, se sì, quanto ? Ancora oggi esistono versioni discordanti:
nel decennale dell'Heysel Tacconi ammise che lui e i suoi
compagni erano a conoscenza della tragedia. Testimonianze
precedenti e successive vanno in direzione parzialmente
opposta: si sapeva, sì, ma non del tutto. La sensazione
è che molti dei protagonisti siano oppressi da un insostenibile
senso di vergogna, e che quindi incontrino tremende difficoltà
nell'ammettere che, sì, quella maledetta notte loro sapevano,
ma un po' furono costretti a comportarsi in un determinato
modo, a "recitare una parte", a fingere una partita vera
e una vittoria vera per "ragion di Stato", un po' lo fecero
spontaneamente, perché è ciò che succede quando calchi il
campo di gioco e il pallone comincia a circolare da un piede
all'altro: tutto il resto scompare, conta solo il gol. E'
pazzesco, ma sono stati scritti saggi corposi sulle potenzialità
anche psicologiche e sociali del football, c'è ben poco
di che sorprendersi. Diverso il discorso per chi, il giorno
dopo, scendendo la scaletta dell'aereo che lo riportava
in patria, alzò la Coppa al cielo; e ancora più diverso
per il comportamento di tutti quei tifosi rimasti in Italia
che, dopo aver seguito minuto per minuto sugli schermi di
Rai Due l'evolversi del dramma, a fine partita scesero per
le strade a festeggiare. Bestie senza testa e senza cuore.
29 maggio 2012
Fonte: Notedazzurro.blogspot.it
ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 2012
"Quelle
lacrime trattenute all'Heysel"
di Carlo Nesti
Ora che è arrivato il 29
maggio, posso dire di avere riflettuto molto, a cavallo
fra l'addio di Del Piero alla Juve, e la fatidica data.
Mi sono chiesto: ma come ho fatto a piangere per Ale, in
"diretta", e a non piangere all'Heysel ? Quel giorno maledetto
ero la "spalla" del grande Enrico Ameri. Dovevamo realizzare
la radiocronaca di una mega-finale di Coppa dei Campioni:
Juve-Liverpool. Invece, diventammo una sorta di "avamposto"
della Protezione Civile. I tifosi, provenienti dal satanico
settore Z, salivano da noi, in postazione, sudati-feriti-sconvolti.
Ci chiedevano solo di pronunciare il loro nome e cognome
al microfono, in modo che i familiari, in Italia, sapessero
che erano vivi. Ebbene: non ho pianto perché ero un ragazzo
di 30 anni, ancora capace di gestire il dolore. Oggi, a
57, crollerei subito, e non me ne vergogno affatto.
29 maggio 2012
Fonte: Carlonesti.it
ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 2012
Heysel
non è il nome di un bar
di Domenico Laudadio
39 vittime innocenti, ma
evidentemente non bastano. Allucinante doverne ancora difendere
la memoria, a 27 anni dalla strage, dal vilipendio impunito
negli stadi, dalla ignoranza, dai luoghi comuni e dalle
leggende metropolitane dell'informazione. Quella partita
si gioca ancora troppe volte in luoghi più sbagliati di
quello stadio. Cerchiamo tutti insieme una rivincita morale
per le famiglie di quei poveri morti, pretendendone il rispetto
dalle istituzioni del calcio, ma iniziando anche ad esigere
risposte che a volte tardano ad arrivare proprio da chi
dovrebbe per deontologia professionale raccontare solo la
verità.
"Gent.mo sig. Guarneri,
ero in macchina ieri sera ed ascoltavo alla radio, letto
dalla speaker, il suo testo relativo alla strage dell'Heysel:
"1985 - E’ il giorno della "Strage dell’Heysel". A Bruxelles,
39 persone muoiono e centinaia rimangono ferite, durante
scontri scoppiati nella finale di Coppa dei Campioni tra
Juventus e Liverpool. Per la cronaca, il trofeo va ai bianconeri,
vincenti per 1 a 0 (contestato rigore di Platini al 56°)."
Con molta franchezza, oso dirle che se fossi un familiare
di una delle vittime dell'Heysel mi sentirei profondamente
offeso dal contenuto di questa breve informazione. I morti
ed i feriti non parteciparono ad alcuno scontro fra tifoserie
perché furono aggrediti ingiustificatamente e barbaramente
dall'orda selvaggia degli inglesi ubriachi. Gli scontri
dei tifosi juventini avvennero semmai con la polizia belga,
successivamente, nella curva opposta, impegnando soltanto
gli ultras bianconeri e non tifosi comuni. Riguardo la "cronaca"
riferita al trofeo, mi permetto di farle notare che nessun
calciatore o dirigente del Liverpool contestò il rigore
fischiato a favore della Juventus dall'arbitro Daïna. La
palesemente errata interpretazione arbitrale del fallo su
Boniek, avvenuto nettamente fuori area, non legittima a
riguardo alcun genere di accanimento terapeutico su quell'incontro
di calcio, disputato fondamentalmente per gravi motivi di
ordine pubblico e non certo per il crogiuolo delle moviole
di Biscardi. Bisognerebbe fare comunemente tutti insieme
lo sforzo di tramandare a quanti non conoscono quella tragedia
una informazione corretta e pulita, non cedendo alle insidie
di argomentazioni più consone al bar dello sport. Perdoni
il mio spirito critico, ma sentivo di doverle comunicare
quanto le ho detto".
(NdR: naturalmente non
è seguita nessuna risposta)
30 maggio 2012
Fonti: GLMDJNews n. 13-1
/
Articolo di Gianluca Guarnieri
ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 2012
I fantasmi dell’Heysel
di Ale
Quando cammini nel bel
mezzo di una tempesta tieni bene la testa in alto e non
aver paura del buio alla fine della tempesta, c’è un cielo
d’oro". I tifosi del Liverpool cantano a squarciagola mentre
Gerrard e Del Piero si caricano nel tunnel che dagli spogliatoi
porta al campo. Dietro ci sono i loro compagni in fila.
Silenzio religioso, giù nel torpedone che sbuca sul verde.
C’è un’atmosfera elettrica. I tifosi "reds" sulla mitica
Kop mostrano diversi cartelli a formare un mosaico con la
scritta "amicizia". C’è la sigla della Champions. I supporters
ospiti si voltano e danno le spalle. Qualcuno agita un dito
medio. Sulla Kop c’è imbarazzo. Viene maledetto il sorteggio
che vent’anni dopo ha creato questa scocciatura. Eppure
loro, i padroni dell’Anfield, se vogliono, sono capaci di
"risucchiare la palla in rete" quando il Liverpool attacca.
Ma stavolta sono impotenti. "English animals", è la risposta.
Ululati che si mischiano a fischi. Urla e silenzio. Clima
pesante. E allora cercare il perdono è inutile. Perché il
passato rotola all’infinito, come il pallone. E come cantano
loro, "anche se i sogni saranno sconvolti e scrollati va
avanti, va avanti". Triste realtà. Ventisette anni. Trentanove
vittime. Una carneficina. L’Heysel non c’è più, i fantasmi
restano.
30 maggio 2012
Fonte: Amarcord1983.wordpress.com
ARTICOLI STAMPA e
WEB MAGGIO 2012
Figli delle stelle
di Domenico Laudadio
Siamo vicini a Nicola de
Bonis. Il suo papà ci ha lasciati fisicamente, ma adesso
traccia fra le stelle il disegno di uno stile inconfondibile,
quello appreso in gioventù e tramandato ai suoi figli, lo
"Stile Juventus".
"Ulisse, mio padre è tornato
tra le stelle. GRAZIE, TI AMERO' PER SEMPRE". Con
queste dolci parole l’amico Nicola de Bonis annunciava a
tutti la scomparsa di suo padre, da tempo ammalato, mentore
bianconero dell’educazione sportiva di suo figlio,
uno dei migliori esponenti contemporanei della Juventinità
nell’informazione, creatore della popolare trasmissione
"Stile Juventus". Particolare non trascurabile, la sua adorata
compagna, la Juve, era in campo mentre lui la lasciava per
sempre, sostituito dall’Eterno. Parole da aggiungere alle
sue non credo siano possibili. Valuto uno scrigno da custodire
gelosamente anche quello del dolore privato. Però pensavo
fra me al valore dell’educazione umana e di quella sportiva
che non sempre coincidono, ma come nel caso di Ulisse e
di Nicola siano esse, al contrario, una cosa sola, mirabilmente.
Pensavo alle giornate di un bambino vissute sui prati di
Villar Perosa, dove il verde dell’erba pestata siglava autografi
sui polpacci induriti dalla fatica e sui calzettoni sudati
dei suoi idoli: Anastasi, Cuccureddu, Dino Zoff… Storia
di una amicizia decennale di papà Ulisse con Giovanni Trapattoni. Pensavo
al privilegio di muoversi cucciolo d’uomo in quella leggenda
animata di uomini semplici e veri, di campioni inossidabili,
temuti ed invidiati dai nemici, stimati e rispettati in
campo e fuori dagli avversari. In una parola sola: campioni.
Gaetano Scirea, il principe di questo concetto. Nasce da
quella università vivente la professionalità di Nicola de
Bonis. Un particolare, per tutti, le macchie di sangue che
ho visto sulla sciarpa "cimelio" che Nicola, ragazzino,
portava al collo all’Heysel: Ulisse con quella stessa sciarpa
aveva tamponato il sangue di alcuni feriti che si rifugiavano
in tribuna. Ci sono lezioni di umanità che non si spiegano
sgranando rosari di parole e che s’imparano in silenzio
e muti. Purtroppo, una di queste è anche il dolore, quando
è fitto e spezza il cuore. Siamo qui, un passo indietro,
cara Simonetta e caro Nicola… Però, statene certi, Nicola
ha ragione: Papà, ora è fra le stelle… Sono molte più di
tre e sono molto più lucenti, le più caste e le più belle…
GRAZIE di tutto e buon
viaggio, "Picchio".
29 luglio 2012
Fonte: Saladellamemoriaheysel.it
ARTICOLI STAMPA e WEB LUGLIO 2012
Vogliamo le scuse pubbliche di Neville Southall
di Dario Mangiacasale
A distanza di più di ventisette
anni dalla strage del 29 maggio 1985, dove allo stadio Heysel
di Bruxelles (finale di Coppa dei Campioni Juventus-Liverpool)
morirono 39 tifosi della Juventus, ci tocca ancora leggere
parole che vanno a ledere il ricordo di quelle povere vittime,
nonché il rispetto verso il dolore delle loro famiglie.
Spulciando in internet, ci si è imbattuti in un'intervista
a Neville Southall (ex calciatore e, attualmente allenatore),
che troverete integralmente
a questo link.
Soltanto leggendo il titolo
dell'articolo, si è capito subito con cosa si aveva a che
fare: "Neville Southall: Liverpool fans weren't the ones
to blame for Heysel" ("Neville Southall: I tifosi del Liverpool
non erano quelli da incolpare per l'Heysel"). Leggendo l'intervista,
tutti i nostri timori si sono materializzati nelle sue parole.
Southall dice anche cose sensate, come ad esempio quando
afferma che la UEFA e le autorità recitarono una parte importante
in quella storia, che anche loro avevano le loro colpe,
ma da qui a tentare di giustificare gli hooligans inglesi
ce ne passa. Nessuno mette in dubbio che lo stadio Heysel
fosse in condizioni fatiscenti, che il consumo degli alcolici
andasse vietato e che il numero delle forze dell'ordine
fosse irrisorio in confronto al tipo di evento pubblico
che stava per avere inizio e, soprattutto, rispetto alla
"fama" che i tifosi inglesi si portavano dietro (soprattutto
quando oltrepassavano il confine britannico). Nessuno, però,
può anteporre tutte queste verità a un fatto inconfutabile,
che ha giocato un ruolo essenziale in quella tragedia: niente
e nessuno può giustificare il buttare giù una rete di recinzione;
niente e nessuno più giustificare il lancio di qualsiasi
oggetto contro i tifosi bianconeri, per lo più famiglie,
che occupavano il settore Z, niente e nessuno può permettersi
di giustificare quei delinquenti che hanno caricato gente
indifesa, armati di qualsiasi cosa avessero trovato o possedessero
ancor prima di entrare nello stadio; niente e nessuno può
permettersi di giustificare quegli hooligans che hanno seminato
il panico, terrore che ha portato all'ammassamento di migliaia
di persone indifese contro un muretto, poi crollato; niente
e nessuno può e potrà permettersi di minare il ricordo di
quelle persone innocenti che sono morte per una festa. Così
facendo si infanga la memoria di 39 angeli che hanno perso
la vita per una semplice partita di calcio, per seguire
una passione per loro irrefrenabile: la Juventus.
La parte conclusiva dell'intervista
a Southall, poi, è la beffa, oltre al danno. Dice: "E' stato
devastante, come giocatore, non avere avuto il diritto di
competere con i migliori club d'Europa, è stato un duro
colpo"; e poi ancora, giusto per chiudere in "bellezza":
"Se si guarda indietro si possono trovare tante carriere
distrutte da tale divieto europeo (dopo quegli eventi, le
squadre inglesi subirono un divieto a partecipare alle competizioni
europee, ndr). Sono sicuro che deve essere stato terribile
anche per i tifosi". Ricordiamo al sig. Southall che quella
triste notte di maggio del 1985 sono morte 39 persone, si
preoccupasse a ricordare con dignità e umanità, e per come
meritano, quelle vittime innocenti, invece di preoccuparsi
di cose futili, se paragonate a una morte, come le carriere
"stroncate" di questo o quel calciatore o le "terribili"
sofferenze dei tifosi che per poco più di cinque anni non
hanno potuto assistere alle partite delle loro squadre nelle
competizioni europee. Sig. Southall, si è posto il quesito
di quale dolore abbiano provato e continuano a provare i
familiari di quelle vittime, prima di scrivere queste parole
e prima di utilizzare tali aggettivi per descrivere delle
futilità ? In virtù di quanto letto nell'intervista, chiediamo
a Neville Southall le scuse pubbliche. Deve chiedere scusa
ai 39 angeli dell'Heysel e alle loro famiglie, che portano
ancora sulle loro spalle il peso della perdita assurda e
ingiustificabile dei loro cari. Scuse che vanno allargate
anche a tutti i tifosi della Juventus. Chiediamo onore e
rispetto per i 39 angeli dell'Heysel, affinché non ci si
dimentichi mai di loro e affinché la loro memoria non venga
mai macchiata.
19 agosto 2012
Fonte: Tuttojuve.com
ARTICOLI STAMPA e WEB AGOSTO 2012
Vergognosi insulti contro l'Heysel sulla nostra
pagina Facebook
Fino ad ora abbiamo provato
a usare i metodi più gentili, vale a dire i richiami scritti
e avvisi, gli inviti educati e l'eliminazione manuale. Purtroppo
dopo gli ennesimi e innumerevoli messaggi di tifosi o meglio
di persone che si dicono tifosi del Napoli, con insulti
alla redazione e soprattutto ai caduti del 1985 ci tocca
denunciare l'accaduto. Chiediamo a tutti di smetterla di
usare la pagina di TUTTOJUVE come valvola di sfogo, ma solo
come punto di discussione, anche accesa ma rispettosa, non
tollereremo più termini violenti e soprattutto insulti verso
fatti tragici come L'Heysel.
La redazione di TUTTOJUVE.com
8 settembre 2012
Fonte: Tuttojuve.com
ARTICOLI STAMPA e WEB SETTEMBRE 2012
La differenza fra Hillsborough e Heysel
di Stefano Olivari
Juventus-Liverpool, finale
di Coppa Campioni 1984-1985 a Bruxelles. Liverpool-Nottingham
Forest, semifinale di Coppa d’Inghilterra 1988-1989 a Sheffield.
Il passare del tempo e la superficialità hanno fino a qualche
giorno fa accomunato nella memoria collettiva queste due
tragedie, che dal punto di vista freddamente contabile non
sono nemmeno state le peggiori della storia del calcio (il
triste record appartiene a un Perù-Argentina giocato a Lima
nel 1964, con 318 morti e oltre 500 feriti) ma che unite
all’incendio dello stadio di Bradford (1985, 56 morti) hanno
fatto sì che sulla spinta della vituperata Margaret Thatcher
e di robusti finanziamenti pubblici il calcio inglese abbia
rinnovato i suoi stadi, migliorato la sua organizzazione
e cambiato il modo stesso di seguire le partite con la Premier
League (nata nel 1992) a dare un’immagine nuova a tutto
il movimento. Discorsi già fatti tante volte, che si incrociano
con considerazioni anche antipatiche, se vogliamo, sul mutamento
della composizione per classi sociali all’interno degli
stadi inglesi e sulla televisivizzazione (a beneficio del
resto del mondo, perché intelligentemente Sky inglese trasmette
solo una parte delle partite costringendo quindi il tifoso
ad alzarsi ogni tanto dal suo divano e seguire il calcio
vero). Il discorso del giorno è però quello relativo a Hillsborough,
lo stadio teatro della tragedia del 1989. Un rapporto indipendente,
le cui conclusioni sono state rese note dal premier inglese
David Cameron e non da un bar di Liverpool, ha infatti dopo
23 anni stabilito sulla base di una montagna di documenti
e testimonianze che la versione della polizia inglese, quella
per così dire "storicizzata", era parzialmente falsa. I
96 morti e gli oltre 200 feriti rimangono veri, mentre in
una nuova luce viene messo il comportamento della polizia
del South Yorkshire nella gestione dell’emergenza (dall’apertura
di un cancello sbagliato, con flusso di gente in un settore
troppo piccolo, ai soccorsi) ma soprattutto quello dei tifosi
del Liverpool. Che non furono carnefici, come nel caso dell’Heysel,
perché è vero che quasi tutte le 39 persone, di cui 32 italiane,
morirono schiacciate dalla folla, ma è anche vero che tutto
iniziò quando un gruppo di ultras del Liverpool aggredì
un parte del pubblico juventino non ultrà creando le premesse
per il fuggi fuggi generale, il crollo del muro e tutto
il resto: ci fu poi un secondo tempo, con scontri per così
dire alla pari fra ultras inglesi e italiani, con la polizia
belga svegliatasi, ma i morti si riferiscono al primo. In
altre parole, la tragedia dell’Heysel fu colpa della disorganizzazione
ma soprattutto degli ultras del Liverpool che accesero la
miccia, mentre quella di Hillsborough fu della disorganizzazione
e dell’obsolescenza dello stadio (anche lì cedettero alcune
barriere, sotto il peso della folla). Non sappiamo quanto
i parenti e gli amici delle vittime abbiano apprezzato il
distinguo, ma questi sembrano essere i fatti. Di sicuro
anche Hillsborough venne messa in conto, nel dibattito generale
di quegli anni, agli ultras e quindi usata in chiave repressiva
visto che l’impatto sull’opinione pubblica inglese fu forse
superiore a quello dell’Heysel e di Bradford. Basta ricordare
la genesi del Rapporto Taylor. Si può quindi dire che parte
del successo della Premier League dipenda da una interpretazione
strumentale di una tragedia vera.
13 Settembre 2012
Fonte: Blog.guerinsportivo.it
ARTICOLI STAMPA e WEB SETTEMBRE 2012
Stasera debutto dei Campioni
d’Italia in Champions
La Juve
e la Coppa maledetta
di Nunzia Bossa
La fermata del Parco Heysel
è la penultima della linea gialla della metro di Bruxelles.
Se giri un angolo cieco, per un istante, non vedi incombere
su di te l’Atomium d’acciaio. Ma è solo un attimo. Basta
un passo e non c’è centimetro nel quale rifugiarsi per non
vedere le possenti sfere che lo compongono, e rappresentano
il simbolo della capitale belga. Bruxelles è la sede delle
principali istituzioni europee, e benché lo sia diventata
formalmente solo dopo l’entrata in vigore del Trattato di
Maastricht nel ’92, era stata il centro dell’Europa calcistica
anche qualche anno prima, nel 1985. Il 29 maggio di quell’anno
si doveva giocare, proprio sotto l’Atomium, una partita
di calcio. Si è giocata, in effetti, ma nessuno ci ha mai
fatto caso. Era la finale della vecchia Coppa dei Campioni
d’Europa, quella che oggi si chiama Champions League. Si
affrontavano Juventus e Liverpool. I bianconeri erano alla
terza finale disputata, le prime due le avevano perse nel
’73 con l’Ajax e dieci anni dopo con l’Amburgo. Identico
risultato, uno scarno e dolorosissimo 1-0. Anche allo stadio
Heysel di Bruxelles finì 1-0, stavolta per la Juventus.
Segnò Michel Platini su rigore, un rigore che non c’era,
e che fu dato nel delirio assoluto di una partita che mai
si sarebbe dovuta giocare. Una delle pagine più assurde
e nere della storia dello sport, la rammentiamo tutti con
orrore. Io avevo solo 13 anni, ricordo che avrei voluto
guardare il match comunque, ma mio padre spense la tv. E
fece bene, quella tragedia non si poteva vedere, non si
doveva guardare. La vittima più giovane di quel drammatico
giorno aveva ancor meno vita di me alle spalle. Aveva solo
11 anni e si chiamava Andrea. Quel giorno rimase schiacciato,
insieme ad altre 38 persone, di cui 32 italiane, nell’inferno
del settore Z dell’Heysel. Ecco perché quella coppa non
luccica affatto, nella bacheca dell’incolpevole Juventus.
Quella coppa, per la squadra più titolata d’Italia, è maledetta.
Dopo quella tragica notte, alla Juve ci vollero ben 11 anni
per tornare a disputare una finale europea. Fu una notte
completamente diversa, la Juve giocava, per così dire, in
casa. L’appuntamento con l’Ajax fu a Roma, l’11 maggio del
’96. I tempi regolamentari si conclusero 1-1 e solo ai rigori
la Juve prevalse in un tripudio per la prima volta totale.
Quella coppa sì, luccica e risplende, nella bacheca dei
trofei bianconeri all’interno del nuovo museo inaugurato
pochi mesi fa nello Juventus Stadium. Museo nel quale uno
spazio apposito è dedicato proprio alla memoria delle vittime
della strage dell'Heysel. Curiosamente, proprio nel 1996,
lo stadio Heysel, che l'anno prima aveva cambiato nome in
stadio Re Baldovino, tornò ad ospitare una finale europea,
quella di Coppa delle Coppe tra PSG e Rapid Vienna, vinta
1-0 dai francesi. Le squadre inglesi, intanto, erano state
riammesse alle competizioni europee, dopo l’esclusione successiva
ai tragici avvenimenti di Bruxelles. Il cerchio si chiuse
e, per quel che riguarda la Juventus, non si è ancora riaperto.
I bianconeri hanno disputato altre due finali consecutive,
dopo quella del ’96. Nel ’97 e nel ’98, la prima persa 3-1
contro i tedeschi del Borussia Dortmund e la seconda, con
il solito 1-0, contro il Real Madrid. Qualche anno dopo,
nel 2003, andò in scena la settima, e finora ultima, finale
europea juventina. La sfida tutta italiana fra Juve e Milan
si concluse nuovamente ai calci di rigore. Un’altra finale
nata male per la Juventus, lo si poteva già intuire negli
ultimi minuti della straordinaria semifinale di ritorno
del torneo - vinta in casa dai bianconeri 3-1 contro il
Real di Zidane, che tornava a Torino per la prima volta
da avversario, dopo la sconfitta dell’andata a Madrid per
2-1 - quando il leader indiscusso della squadra juventina,
Pavel Nedved, che proprio quell’anno vinse il Pallone d’Oro,
si fece scioccamente ammonire per un inutile fallo a centrocampo.
Pavel cadde in ginocchio e pianse candidamente, con le mani
sul volto in mezzo al campo, un istante dopo aver incrociato
con lo sguardo il cartellino giallo mostrato dall’arbitro,
che significava squalifica per la gara successiva, la finale
europea. La Juve perse ai rigori una delle edizioni più
italiane di sempre del torneo dei Campioni, con 3 squadre
italiane su 4 in semifinale (l’Inter fu eliminata in semifinale
dai cugini rossoneri). Neanche 10 anni dopo, sembra passato
un secolo. Per le squadre italiane, che ai nastri di partenza
della Champions si presentano quest’anno soltanto in due,
proprio Juve e Milan, per via dello scivolamento inesorabile
dell’Italia nel ranking Uefa. E per la Juventus, in particolare,
che dopo la serie B e le vicende di Calciopoli, non vedeva
l’ora di ripresentarsi in Europa con una squadra all’altezza
del suo blasone. Il Milan ha debuttato ieri, deludendo nuovamente
i suoi tifosi fra le mura amiche. La Juve sfiderà questa
sera a Londra i campioni in carica del Chelsea. Poteva esserci
un inizio migliore ?
19 settembre 2012
Fonte: Linkontro.info
ARTICOLI STAMPA e WEB SETTEMBRE 2012
Fiorentina-Juve: l’esempio
di Ferguson,
i cori
sull’Heysel e un vergognoso
gemellaggio
di Matteo Negri
Siamo ormai giunti al momento
di Fiorentina-Juventus, una sfida che i dirigenti e tifosi
viola stanno caricando da settimane di significati extra-sportivi
contribuendo a creare un brutto clima intorno a una partita
che non avrebbe certo bisogno di questo. Abbiamo letto che
per motivi di ordine pubblico sarebbe addirittura pericoloso
per Conte assistere dalla tribuna del Franchi alla partita.
E leggiamo che in tutta risposta l’ad viola Mencucci lo
invita a starsene in albergo. Non possiamo fare a meno di
pensare che meno di una settimana fa il nostro allenatore
sia potuto stare tranquillamente in tribuna a Londra ed
esultare senza problemi ai gol bianconeri, in un clima di
assoluta civiltà. Il weekend ci ha mostrato un altro bell’esempio
dall’Inghilterra che ci piacerebbe in futuro venisse seguito
anche dalla Fiorentina, pur non nutrendo alcuna speranza
che ciò possa accadere. Il Manchester United ha infatti
deciso di consegnare in occasione di Liverpool-United all’ingresso
del settore ospiti una lettera ad ogni tifoso firmata da
Sir Alex Ferguson, in cui si raccomanda il rispetto della
memoria dei 96 tifosi reds morti a Sheffield nell’89 per
evitare che si ripetano spiacevoli cori che si sono scambiati
in passato le due tifoserie. I tifosi del Liverpool insultavano
quelli dello United per la tragedia aerea di Monaco del
’58 e i sostenitori dei Red Devils rispondevano citando
Hillsborough. Ora Ferguson ha detto basta, giustamente,
e si è rivolto così ai suoi tifosi:
"Caro tifoso, il grande
supporto che avete dato qui (ad Anfield, ndr) alla squadra
la passata stagione ci ha visto ad un alto livello di comportamento.
Voglio che continuiate quei progressi. Ma oggi occorre fare
di più. Dobbiamo concentrarci su ciò che ha reso lo United
il miglior club del mondo. La nostra rivalità col Liverpool
si basa sulla volontà di arrivare in testa alla classifica
- con il desiderio di vederci incoronati quali i migliori
contro una squadra che ha avuto questo onore per così tanto
tempo. Questa rivalità non può e non deve basarsi sull’odio
personale. Dieci giorni fa abbiamo conosciuto la terribile
verità sulla morte di 96 persone che andarono a vedere la
propria squadra nella semifinale di FA Cup e che non tornarono
più. Quello che è successo dovrebbe risvegliare la coscienza
di tutti. Il nostro grande club oggi è vicino al Liverpool
nel ricordare quella perdita e nel tributare la loro campagna
in favore della giustizia. So che posso contare su di voi.
Sinceramente vostro, Alex Ferguson".
Una presa di posizione
del genere ci piacerebbe vederla un giorno sul sito della
Fiorentina o all’ingresso del Franchi vista l’abitudine
di alcuni tifosi viola di insultare sistematicamente le
vittime dell’Heysel. Siamo stanchi di sentire quei cori
vergognosi, vedere striscioni o persino magliette con la
scritta -39 e constatare che neanche la Federazione prende
mai provvedimenti. I viola non sono gli unici a divertirsi
sull’argomento ma sono senz’altro quelli che lo fanno più
spesso e non solo in occasione della partite con la Juve.
Tra le altre tifoserie che si sono "distinte" ricordiamo
anche di recente l’Inter, il Napoli nella finale di Coppa
Italia (con una vergognosa invasione di campo a fine partita
di un tifoso con una bandiera con la scritta -39 di cui
i media hanno preferito non curarsi), ma anche il Torino,
la Roma e il Verona. Certamente la Fiorentina detiene il
primato, tanto che la prima domenica dopo la tragedia dell’Heysel
avevano già pronto uno striscione che metteva in bella mostra
tutta la loro più becera ignoranza. Le cose con gli anni
non sono cambiate, anzi. Fa male che tutto quello che succede
non venga minimamente amplificato dai media, che la Federazione
non prenda mai provvedimenti e che la società viola non
si sia mai mossa in maniera decisa sul tema. Cecchi Gori
aveva tanti difetti ma apprezziamo il suo sdegno dopo una
partita del ’91 in cui si scusò pubblicamente per i cori
dei suoi tifosi e privatamente con i dirigenti della Juve,
oltre a scrivere una lettera direttamente alla signora Scirea,
dato che qualcuno si era divertito a insultare anche un
uomo vero e leale come il povero Gaetano. Una vicenda che
lasciò basito anche l’allora capitano Dunga che dichiarò
che se fosse capitata di nuovo una cosa simile e lui se
ne fosse accorto avrebbe fatto sospendere la partita per
dire ai suoi tifosi di smetterla. Le cose non cambiarono
ma almeno non si cercava di insabbiare le cose come accade
con l’attuale gestione Della Valle. Nel dicembre 2010 il
problema si ripropone in modo continuativo tanto che persino
i media non possono far finta di niente. Il capitano Montolivo
condanna i cori dei suoi tifosi ma dice che è una cosa a
cui va data "poca importanza" perché portata avanti da "poca
gente". Ci auguriamo che sia poca gente, peccato che continua
ad agire impunita e a farsi sentire però. Prandelli, ex
allenatore viola e in quel periodo da poco CT della Nazionale
condanna l’episodio ma si dice convinto che "è stato subito
capito l’errore". Il peggio ce lo regala Mencucci che prima
condanna i cori dei suoi tifosi ma poi devia subito il discorso
sul lancio di tre petardi nel settore ospiti da parte dei
tifosi bianconeri avvenuto durante Juve-Fiorentina. Gesto
da condannare senz’altro, tanto che la Figc punisce la Juve
con 40mila € di ammenda e la diffida del campo. Mentre i
cori e le magliette della Fiorentina la passano liscia come
sempre, neanche una multa simbolica. Nonostante questo,
Mencucci ha anche il coraggio di lamentarsi dicendo che
"sono state sanzioni leggere" e che "quando si condanna
la violenza non bisogna fare distinzioni di maglie ma agire
tutti in modo deciso". Ricordiamo che tutto era partito
dalla richiesta di un suo parere sui cori anti Heysel dei
suoi tifosi. Ma Mencucci non si ferma qui e ci regala una
perla: "Dall’arrivo della famiglia Della Valle siamo riusciti
a incanalare il pubblico di Firenze, che fino a pochi anni
fa era abbastanza caldo per non dire violento, nel tifo
che vogliamo noi, quello sano, quello dell’incitamento della
squadra e degli sfottò". Sono parole che lasciano a bocca
aperta, soprattutto considerando quello che era successo
appena un anno prima, nell’autunno 2009. Un fatto di cui
i media hanno deciso di parlare come se fosse una bella
favola facendo finta di non sapere la verità e nascondendola
una volta emersa. Ci riferiamo al vergognoso tentativo dei
tifosi viola di gemellarsi con quelli del Liverpool esclusivamente
in virtù dei fatti dell’Heysel. Riepiloghiamo i fatti. A
settembre si svolge al Franchi la partita di Champions Fiorentina-Liverpool.
Quella sera alcuni tifosi viola vengono fatti entrare in
campo con uno striscione dedicato agli inglesi che recita
"Welcome Reds, your story is for us a legend" proponendo
un gemellaggio con la squadra ospite da celebrare nella
gara di ritorno. Gli inglesi apprezzano molto il gesto non
capendone il significato nascosto, perché non immaginavano
certo quello che erano soliti fare i tifosi viola in Italia
relativamente all’Heysel. I media italiani esaltano il gesto
nel nome dei più sani e nobili principi sportivi e considerano
di fatto solo paranoie dei tifosi juventini ogni riferimento
alla tragedia di Bruxelles. I tifosi bianconeri non vengono
creduti, eppure anche un bambino sarebbe in grado di capire
il doppio fine del gesto. A Liverpool, come si è detto,
accettano il gemellaggio e in occasione del ritorno ad Anfield
che si sarebbe svolto a dicembre la società prepara una
coreografia bianca e viola da esporre nella Kop con la scritta
"Thank you". Nel frattempo si gioca una partita di campionato
tra la Fiorentina e la Juve dove i tifosi viola regalano
il solito repertorio e alcuni si presentano anche con le
maglie del Liverpool griffate -39. Ovviamente la Figc non
prende provvedimenti. Intanto il gemellaggio si avvicina
esaltato dalla stampa italiana ma molti tifosi juventini
vogliono che almeno in Inghilterra possa emergere la verità.
Così alcuni bianconeri attraverso il forum ufficiale del
sito del Liverpool riescono a chiarire la vicenda con alcuni
tifosi inglesi ed esponenti della società che vengono così
a conoscenza di quello che succedeva abitualmente in Italia
compresa l’ultima chicca della maglie dei Reds dedicate
ai caduti di Bruxelles. Il Liverpool annulla la coreografia
e il gemellaggio il giorno prima della partita ma nessuno
ne parla. Ciò che prima era stato esaltato ora viene insabbiato.
E questo sarebbe un tifo sano per Mencucci e Della Valle.
Noi tifosi della Juve non possiamo certo definirci migliori
di altri, sappiamo benissimo che alcuni dei nostri a volte
cantano vergognosamente contro Superga e che c’è stato anche
uno striscione su Hillsborough. Episodi da condannare, come
sarebbero da condannare e punire quelli relativi all’Heysel
che vengono sempre taciuti. Aveva provocato più sdegno il
rifiuto da parte di alcuni tifosi bianconeri delle scuse
fatte da quelli del Liverpool prima dei quarti di Champions
nel 2005 ad Anfield girandosi di spalle. Può essere un gesto
giusto o sbagliato, ma certamente perdonare non è un obbligo
per chi ha subito una tragedia. Non sappiamo cosa ne pensi
di quella coreografia con scritto "Amicizia" chi ha perso
qualcuno quel giorno maledetto, se non vuole accettare le
scuse è liberissimo di farlo senza che nessuno debba sentirsi
in dovere di fare la morale. A chiudere lo stadio alla Juve
la Figc ha fatto in fretta proprio durante la stagione 2009/2010
facendo passare come un coro razzista quello che era "solo"
un coro offensivo e di cattivo gusto verso Balotelli. Un
coro da stigmatizzare ma non diverso da quelli che si sentono
a decine durante ogni partita e che usava solo la stessa
rima utilizzata da una vita per fare cori offensivi verso
Lucarelli senza che nessuno se ne preoccupasse. Ma in quel
momento si voleva colpire la Juve e farla passare per razzista,
fa niente se intanto un’altra squadra si divertiva a organizzare
oltraggiosi gemellaggi e a stampare magliette ignobili.
Ma questo è un tifo sano. Benvenuti a Fiorentina-Juventus.
25 settembre 2012
Fonte: Lojuventino.net
ARTICOLI STAMPA e WEB SETTEMBRE 2012
Cori choc dei tifosi della Fiorentina
Pre-partita teso: riferimento
ai 39 morti dello stadio Heysel
di Massimiliano Nerozzi
Pre-partita all’insegna
dello sport e del fair play all’Artemio Franchi di Firenze,
se a tre quarti d’ora dall’inizio della sfida tra Fiorentina
e Juventus l’intera curva Ferrovia del tifo viola ha cantato,
"Amo Liverpool, Amo Liverpool", con vergognoso riferimento
alla tragedia dell’Heysel, dove persero la vita 39 tifosi
bianconeri. Non è la prima volta che una fetta del tifo
della Fiorentina si distingue per cori del genere. Nessun
incidente, invece, fuori dallo stadio, all’arrivo del pullman
della Juventus, scortatissimo dalle forze dell’ordine: ad
attenderlo c’erano circa un migliaia di tifosi locali, ma
il tutto s’è risolto, si fa per dire, con qualche coro,
offese e il lancio di un paio di pomodori. Pioggia di fischi,
poi, all’entrata sul prato dei giocatori juventini: ma i
fischi, quelli sì, fanno parte dello spettacolo.
25 settembre 2012
Fonte: Lastampa.it
ARTICOLI STAMPA e WEB SETTEMBRE 2012
Il tifo e gli
avvoltoi
di Giselda Colombano
Sono una vecchia signora
tifosissima da oltre 60 anni della vera e unica Vecchia
Signora. Ho vissuto l'incontro Fiorentina Juventus con ansia
crescente, che andava ben oltre il risultato sul campo.
Temevo gli striscioni infami e qualsiasi altro riferimento
ai nostri poveri caduti all'Heysel. Mi congratulo con i
tifosi viola se davvero (e voglio crederlo) hanno accantonato,
almeno per questa volta, l'insana abitudine di speculare
sui morti per la sofferenza di noi juventini e di tutte
le persone di buon senso e rispettose della vita umana.
Per onestà devo dire che anche i riferimenti infami riferiti
alla tragedia di Superga mi toccano nel profondo e di questo,
sempre onestamente, dobbiamo puntare il dito sui nostri
tifosi. Avevo dodici anni quando l'aereo del grande Torino
si schiantò sulla collina di Superga e una squadra da leggenda
perì in maniera tragica lasciando l'intera Nazione nel lutto
e nell'angoscia. Una ragazzina come me, già juventina, ha
vissuto quei giorni in maniera strana. Lontana dal gioco
e dal divertimento, lontana anche dalla Juve e dai suoi
campioni. Vivevo a Savona e in quella città si sono svolti
i funerali del portiere Bacigalupo. Ho ancora impressa nella
memoria la folla immensa in lacrime e il dolore di un'intera
comunità fino a qualche giorno prima lacerata nel tifo contro
e poi unita e stretta nel dolore più atroce. Penso ai famigliari
di tutti quei caduti per colpa di una guerra insulsa e inutile
come può essere quella del tifo. Penso a loro e ogni volta
che qualcuno evoca la memoria dei nostri morti e lo fa in
maniera strumentale e volgare vorrei ci fosse qualcuno che
li fermasse, che li colpisse, che gli facesse pagare almeno
la metà di quanto hanno patito coloro che sono rimasti nel
lutto. In questo caso non sono pensieri molto cristiani
e forse non mi fanno onore, ma non posso pensare diversamente.
E vi dico un'ultima cosa: ieri, nel leggere i commenti dell'esaltante
partita della Juve contro la Roma, mi sono imbattuta nel
portale di Virgilio e in un articolo lusinghiero sulla prestazione
bianconera. Poi, però c'erano anche i commenti dei lettori.
Uno di loro, anonimo, ha scritto solo questo: 39 SOTTOTERRA
VIVA VIVA L'INGHILTERRA !!! Non so di che squadra questo
spregevole individuo sia tifoso, so solo che non è degno
di appartenere alla comunità umana. Grazie a tutti voi,
per la compagnia che mi fate, per il sostegno che mi date,
per l'entusiasmo che mi rinnovate ogni volta che difendete
la Juve. Complimenti e tanti cari e grati saluti.
1 ottobre 2012
Fonte: Giulemanidallajuve.com
ARTICOLI STAMPA
e WEB OTTOBRE
2012
39
vittime
Nello stadio maledetto
ucciso anche un friulano
La strage dello stadio
Heysel, avvenuta il 29 maggio 1985, rappresenta una delle
pagine più nere della storia del calcio. Sono passati più
di 27 anni da allora, ma il ricordo è rimasto vivo. Tra
le 39 vittime (32 italiani e 7 tra belgi, francesi e irlandesi)
vi fu anche un tifoso friulano della Juve, Dionisio Fabbro,
di Buja, che all’epoca aveva 51 anni. Un altro friulano,
il professionista udinese Paolo Miseri, si salvò per miracolo.
Quel mercoledì sera, nello stadio di Bruxelles, si giocava
la finale di Coppa Campioni (oggi si chiama Champions League)
tra il Liverpool e la Juventus. Prima dell’inizio della
gara i tifosi delle due squadre vennero a contatto nel settore
Z del fatiscente impianto. Gli hooligans, la tifoseria più
"accesa" del Liverpool caricò letteralmente la curva dove
c’erano gli italiani: in pochi istanti abbatterono le recinzioni
e i pochi poliziotti furono costretti alla fuga. Così in
quel settore Z dove avrebbero dovuto starci 3 mila persone,
se ne accalcarono più di 6 mila. Molti morirono schiacciati
dalla folla che fuggiva terrorizzata. La finale, nonostante
la tragedia, si giocò lo stesso, in un clima surreale e
fu vinta dalla Juventus.
8 ottobre 2012
Fonte: Messaggeroveneto.gelocal.it
ARTICOLI STAMPA e WEB OTTOBRE 2012
Il festival
di Sanscemo
di Domenico Laudadio
Ancora luci della ribalta
sull’infame "sanscemo" dell’anti-juventinità becera che
calpesta puntualmente e impunita dalle istituzioni la memoria
dei defunti dell’Heysel abusando del silenzio onorevole
delle loro famiglie.
Sono due settimane che
vorrei scrivere di Juventus e del profumo dell’erba verde
falciata dagli scarpini di Arturo Vidal, ma, invece, mi
sento chiamare moralmente in causa a difendere dal fango
quella accarezzata da 39 angeli in paradiso.
Ancora un episodio grave, dai contenuti estremamente
torbidi, che riguarda la profanazione inqualificabile della
memoria dei caduti dello stadio Heysel. Qualunque ne sia
il responsabile… La fotografia di un consigliere comunale
di Udine, immortalato all’Anfield Road di
Liverpool sotto la lapide commemorativa della strage dell’Heysel,
ha scatenato un’autentica bagarre mediatica con evidenti
speculazioni politiche di parte, ma con una verità incontrovertibile
di fondo: la bestialità di parte del genere umano. Dal materiale
fotografico in allegato sembra certamente possibile essersi
trattato di un fotomontaggio strumentale da parte di qualcuno
interessato a screditare il (Omissis), per interessi che ignoriamo
e che non ci interessano, ma per dovere di cronaca abbiamo
comunque appurato che non si tratta della stessa fotografia.
Le foto sono almeno due, perché mostrano visibilmente nella
piega della bocca un’espressione facciale, pur lievemente,
differente. Nella foto "casta", pubblicata a sua discolpa,
l’assessore ha inequivocabilmente il dito indice rivolto
verso la targa, ma in volto si coglie anche come una sorta
di compiacimento, quasi un ghigno. Egregio Signore,
al netto delle responsabilità legali di chi abbia eventualmente
strumentalizzato indegnamente il suo dito con uno squallido
fotomontaggio, vorrei che ci spiegasse, comunque, poiché
saremmo davvero molto lieti di accogliere ogni suo contributo
chiarificatore in merito, cosa la rendeva tanto ilare nell’istante
dello scatto davanti a quel simbolo del massacro di 39 innocenti,
fra cui, le ricordo, il suo concittadino Dionisio Fabbro
di Buia, in provincia di Udine ? Signor assessore, ci chiarisca
anche di questo "suo" (?) presunto post di twitter, datato
2 settembre 2012, che circola in rete da diversi giorni
e che cito testualmente: "Il + grande spettacolo dopo l’Hejsell
siamo noi, io e te, Udine, Udine". ? Fotomontaggio anche
questo ? Un altro complotto politico ? Può anche darsi,
la tecnologia fa miracoli, al giorno d’oggi, ma sa, cosa
penso veramente di lei, che purtroppo in
tanti le stiamo facendo la campagna elettorale a spese di
quelle povere vittime. Sono sempre loro, da 27 anni ormai,
a pagare ancora e a caro prezzo le colpe di esseri viventi
senza onore. Uomini, donne a cui evidentemente non è bastato
di portare sui loro corpi martoriati i segni della barbarie
di chi li ha travolti per l’inettitudine di chi non ha pensato
prima, durante e persino dopo la loro morte a difenderli.
E’ morto un bambino di 11 anni in quello stadio di merda…
Lei ce l’ha un figlio ? Non lo so, ma se lo immagini
ritornare a bordo di un C-130 dell’aeronautica militare
in una piccola bara bianca e che qualcuno, la domenica successiva
allo stadio o magari persino su internet, metta su una canzoncina
goliardica, "tanto per ridere". Ridere, un cazzo, vergogna
!! E sono certo laicamente che per la legge della
gravità gli sputi in cielo, prima o poi, ritornano… E ora,
basta, non intendo più rivolgermi a lei, a cui ho dato anche
fin troppo lustro, dato il giudizio che nutro bipartisan
per questa generazione politica, ma alla mia Signora… Li
hanno coperti con le tue bandiere, qualcuno teneva per l’Inter,
ma era venuto a Bruxelles per ammirarti davanti agli occhi
del mondo, per amicizia, per turismo. Perché non li difendi
? In 27 anni, mai una denuncia, un comunicato ufficiale.
Non pensi mai ai loro cari, a quanto hanno già patito, per
te. Quante pugnalate ancora dovranno ricevere da vili impuniti.
Non è stata colpa tua, lo sappiamo, ma sono morti in troppi
con la tua sciarpa al collo, allora, difendili ! Per una
volta sola, in modo esemplare, che serva da monito, che
tocchi qualche portafoglio di chi ha soltanto sterco nel
cervello. Difendili, madre, sono i tuoi figli…
9 ottobre 2012
Fonte:
Saladellamemoriaheysel.it
ARTICOLI STAMPA e WEB OTTOBRE 2012
Fino a quando ?
di Davide Terruzzi
Quando si affrontano argomenti
come quelli che ci stiamo accingendo a sviscerare, bisogna
muoversi sempre con i piedi di piombo avendo come stella
polare la verità, solo quella, e il rispetto della memoria
di chi non c'è più e del dolore di chi c'è ancora e piange
chi è morto. Premessa necessaria, perché siamo lontani,
lontanissimi dalla politica che ci interessa, certo, ma
non intendiamo commentarla e farla. Anzi, in questo caso
non ce ne frega proprio niente. Siamo anche distanti, fisicamente
soprattutto, da Udine, diventata suo malgrado epicentro
di un episodio che coinvolge un consigliere comunale di
nome (Omissis). Perché ne parliamo su TuttoJuve ? Per
un semplice motivo che viene illustrato meglio di fiumi
di parole dalle foto in coda all'articolo. (Omissis) si è
difeso su Twitter e Facebook affermando di essere stato
vittima di un hackeraggio con mire politiche per screditare
il suo operato. Preferiamo non commentare, ma ci sentiamo
di consigliare al politico di rivolgersi immediatamente
alla Polizia Postale. Certo, non capita ai vari Renzi, Casini,
Bersani e Alfano presenti sui social network di vedersi
attaccare i propri profili da pirati informatica e succede,
invece, a un consigliere politico di un Comune. Cose che
possono succedere, ma sicuramente ha trovato degli hacker
pronti anche a rispondere con minacce nemmeno tanto velate
a chi, spinto da senso civico, ha sollevato il problema.
Foto e insulti che poi sono state nel giro di un giorno
cancellate. Lo ripetiamo anche in chiusura. Di (Omissis) non
ci interessa nulla, nessuno ha intenzione di screditarlo,
quello che ci importa è osservare ancora quanta ignoranza
ci sia nel mondo. Non si finisce mai di stupirsene, ma insultare
chi è morto seguendo una passione che dovrebbe unire tutti
i tifosi, il calcio appunto, è segno di un campanilismo
becero che purtroppo affligge l'Italia da sempre. Siamo
il Paese dei guelfi e dei ghibellini e, troppo spesso, ci
sentiamo di offendere la memoria che dovrebbe essere comune.
Purtroppo, succede senza che nessuno punisca chi si macchia
di certi atti. L'umanità è tutt'altra cosa. P.S. Un grazie,
di cuore, a chi ha segnalato e scoperto la questione.
15 ottobre 2012
Fonte: Tuttojuve.com
ARTICOLI STAMPA e WEB OTTOBRE 2012
Onore a Scirea
di Annamaria Licata
Grazie Comitato Heysel
di Reggio Emilia. A volte gli umili e i silenziosi sono
quelli che fanno la storia.
Nel corso della cerimonia,
il Presidente del consiglio comunale di Torino, l’ha ricordato:
il Corso, oggi intitolato a Scirea, doveva essere per le
vittime dell’Heysel... Ma il Comitato Heysel Reggio Emilia
ha lasciato il ricordo al nostro grandissimo capitano. Per
i morti dell’Heysel è previsto un ricordo dentro il parco
della Continassa (così che sia più protetto dai vandali,
che purtroppo non mancano mai di farsi notare...) come da
promessa del nostro Presidente. Unendomi alle parole del
Presidente del consiglio comunale di Torino aggiungo un
ringraziamento per la loro generosità e sensibilità,
al Comitato dell’Heysel, nelle persone più rappresentative,
di Iuliana e di Rossano, e penso di poterlo fare a nome
di tutti quei tifosi che hanno amato Scirea e hanno nel
cuore l’Heysel. Il cuore loro, non ce lo ha nessuno e nemmeno
l’umiltà di essere stati protagonisti, senza volerlo, di
un pezzo di storia. In silenzio proteggono e onorano il
ricordo dei nostri morti da tanti anni, lasciando gli onori
agli altri. Ma a me sembra giusto rendergli merito da parte
di tutti noi. Se vi fidate di me, credetemi, hanno fatto
un gesto che, nemmeno nel dizionario, si riescono a trovare
le parole giuste che lo possano descrivere. Noi tifosi
NON DIMENTICHIAMO. E il nostro Grazie è davvero di
cuore. Ed è quello che vale di più... Perché NOI SIAMO
LA JUVE.
21 novembre 2012
Fonte: Radiojuveweb.com
ARTICOLI STAMPA e WEB NOVEMBRE 2012
Corso Gaetano
Scirea 50
di Domenico Laudadio
Sarà il nuovo e definitivo
indirizzo dello Juventus Stadium. Inaugurata a Torino mercoledì
21.11.2012 la targa del Corso intitolato all’indimenticabile
capitano bianconero, alla presenza dei suoi familiari, dei
dirigenti della Juventus, di tifosi e delle autorità cittadine.
Caro Gaetano, il tuo ruolo
è oramai da tempo scomparso dai campi di calcio e mi piace
pensarlo rapito proprio da te con quell’ultima elegante
falcata dalla Polonia al cielo azzurro, come la maglia che
onorasti a Madrid in quella sera afosa di Luglio, fiero
e italiano, per una notte padrone del mondo. "Libero gentiluomo",
scrisse di te Darwin Pastorin, riferendosi a persona
e calciatore. Tu, l’esempio incarnato della professione:
mai una parola in più del necessario, mai una in meno del
dovuto, principesco equilibrio di sorrisi e silenzi. Gaetano
Scirea, ieri e oggi, il nome e cognome di uno stile irraggiungibile,
la Juventus 6 tu. In tanti ad arrogarsi tronfiamente, a
torto od a ragione, il medesimo diritto all’esclusivo titolo
di proprietà: Agnelli, Ultrà, azionisti di Borsa, lanzichenecchi
dell’informazione, Presidenti di Clubs, appassionati individualisti
o sacerdoti di una fede monoteistica autoreferenziale. E
mentre qui sulla terra, intanto, si sollevano le polveri
velenose di una grande mischia senza più regole, sul campo
come nelle aule dei tribunali, tu resti più in alto di tutto,
al di sopra delle miserie umane. A testa alta come lo eri
in battaglia, quando sbrogliavi le matasse più ingarbugliate
delle piccole gambe di Furino e di Gentile, quando posavi
una mano rassicurante sulla spalla di "Schizzo" Tardelli
negli istanti a precedere il furore… Petto in fuori
uscivi dall’area regale, disegnando squadrate geometrie
verticali sull’erba zuppa di fango o arroventata dal sole.
Sobrio, persino il tuo pugno al cielo e quel saltello felice
dopo una rete… Signorile e dai modi gentili con l’Avvocato
e con il suo operaio, nemico acerrimo soltanto degli eccessi,
incantatore di anime, un miracolo di umanità. E Boniperti
stravedeva per te, eri in pectore il figlio prediletto.
Chissà cosa avrà pensato il "grande vecchio" mercoledì pomeriggio
mentre si scopriva quella targa che riavvicinava il tuo
stile inconfondibile alla strada, che riaffermava la divinità
di una memoria tanto cara anche a chi detestava alla domenica
i tuoi colori. Persino un toro chinerebbe il capo davanti
alla tua icona e s’inginocchiano in tanti miscredenti davanti
a te che professasti il rispetto come una religione. Ora
non 6 solamente la stella più luminosa e casta quando si
spengono le luci del paradiso artificiale dello stadio che
resta al buio, da questo momento in poi diventerai il padre
amorevole che gli rimboccherà i cancelli e lo cullerà amorevolmente
al fresco della notte mentre riposa e sogna di nuovi tricolori
e Coppe dei Campioni… Hai sposato per sempre la gente che
lo riempirà di giorno e finanche l’aria che vi si respira
intorno. E sai bene che quello che il cielo e la terra dispongono
di "Comune" accordo dura in eterno. Pensa, sono discesi
da Superga persino gli "Invincibili" a tributarti gli onori
ed a lasciarti il testimone della gloria che gli intitolò
quell’asfalto fino a ieri. Ai padri, leggendo nomi e date,
verrà spontanea una carezza ai figli, raccontando di te,
nel transito di emozione in emozione verso lo Stadium. A
Torino la politica aveva pensato d’intitolare quel corso
ai 39 martiri dell’Heysel. Mariella ci ha raccontato di
quante notti hai trascorso insonne e turbato a sfidarne
nella coscienza l’orrore. Il Comitato "Per non dimenticare
Heysel" di Reggio Emilia ha devoluto il loro ricordo ad
altra area della Continassa, rendendo così onore alla tua
storia. Forse, proprio già in questo piccolo umile grande
gesto c’è traccia del tuo insegnamento eroico, Gaetano,
sposo, padre, amico e fratello, campione. Scirea, capitano,
mio capitano, ti rendiamo questo omaggio e un saluto nel
vento, ti soffiamo un bacio da un mondo infranto. La festa,
il tripudio delle nostre bandiere e ogni vittoria che fu
tuo pane quotidiano e miracoloso da condividere fraternamente
ed in comunione con immigrati proletari e con gli dei del
pallone. Maestro di vita e nostra leggenda, ti riaffacci
dal cielo al cuore e ci sorridi benevolo tutte le volte
che appare il numero 6 perché tu sarai per sempre con noi…
24 novembre 2012
Fonte:
Giulemanidallajuve.com
ARTICOLI STAMPA e WEB NOVEMBRE 2012
A
Siracusa il primo club bianconero
Sarà inaugurato domani
alle 10,30 il primo Juventus club siracusano. Covo di tifosi
e sportivi siracusani sedotti dalla Vecchia signora che
potranno godere di un punto di ritrovo dove liberare la
propria fede sportiva. Ma dietro la semplice costituzione
di un club e dietro la sua stessa denominazione, Heysel
club Juventus 1985, c'è una storia di passione che va proprio
oltre la fede bianconera. Il 29 maggio 1985 Salvo Speranza
e Pippo Calvo erano a Bruxelles, testimoni in prima fila
di quella Strage che rappresentò una tragedia nella storia
dello sport di tutti i tempi. Poco prima dell'inizio della
finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool, allo
stadio Heysel di Bruxelles, morirono 39 persone, di cui
32 italiane, e ne rimasero ferite oltre 600. "Abbiamo assistito
a scene di guerra - racconta Speranza - scene crudeli di
vittime, feriti e disperazione. Quel giorno lo portiamo
dentro, ci ha segnato la vita. Questo club è per tutte le
vittime di quella strage". Sessanta posti a sedere, con
poltrone rigorosamente bianche e nere, monitor 55
pollici schermo piatto hd-3d, impianto audio con effetto
stadio, faretti e casse ben sistemate per vivere come sugli
spalti dello Juventus stadium le gare dei bianconeri. Sulle
pareti, oltre alla gigantografia del biglietto d'ingresso
dello stadio di Heysel, e il tagliando originale, i poster
con i capitani storici: da Bettega a Zoff, da Platini a
Scirea, Del Piero e Nedved. E proprio il ceco potrebbe essere
uno dei primi ospiti eccellenti nei locali di viale zecchino
145. "E' questo che vogliamo rappresentare. Un tramite tra
i più piccoli appassionati e questi grandi campioni - spiega
Speranza - Organizzare eventi sportivi e non, mettere il
nostro spazio a disposizione di manifestazioni o convegni
di natura sportiva". Cinque i componenti del direttivo dello
Heysel club Juventus 1985: Alberto Speranza, presidente,
Carlo Barucco, vicepresidente, Danilo Scala, amministratore,
Felice Gentile e Salvo Speranza, delegati. All'inaugurazione
di domani mattina saranno presenti il presidente del Coni,
Pino Corso, della Figc, Maurizio Rizza, Elio Gervasi. Presenterà
Franco Arria. E alle 20,45 c'è Milan-Juventus.
Sabato, 24 Novembre 2012
Fonte: Gazzettadisicilia.it
ARTICOLI STAMPA e WEB NOVEMBRE 2012
L’Heysel,
per capire meglio
di Nicole Gomena
Troppe volte, dopo una
partita, dopo qualche polemica di troppo, tra innocenti
sfottò di tifoserie rivali e non, spuntano striscioni, frasi
e qualche parola di troppo riguardo una tragedia calcistica
che talvolta viene nominata con la leggerezza di una notizia
di cronaca rosa. Vorrei dunque riproporre, per approfondire,
ciò che successe quel 29 maggio 1985 attraverso le parole
di Fabio Caressa: "La Juve dell’84 era irrefrenabile, vinse
il campionato e poi andò a giocare la finale di Coppa delle
Coppe battendo il Porto con un gol vittoria del solito Boniek.
Era ormai pronta per dominare anche in Europa e portare
finalmente a Torino la Coppa dei Campioni. Così fu, ma la
portò a casa in qualche modo. Fino al momento della tragedia
era stata una giornata bellissima. Italiani e inglesi camminavano
insieme per le vie della città, bevevano birra e cantavano
insieme. Ognuno indossava sciarpe e cappellini della propria
squadra e li portava con orgoglio, senza la paura che ogni
tanto potevi avere in Italia, quando dovevi mimetizzarti
per evitare assalti. Nessuno poteva immaginare quello che
sarebbe accaduto. Si cominciava ad avvertire che l’atmosfera
era cambiata verso le sei, quando i tifosi cominciavano
ad avviarsi verso lo stadio. In giro c’erano gruppi di inglesi
ubriachi e "in caccia". La polizia aveva cercato di tenerli
a bada, ma proprio l’impossibilità di muoversi liberamente
li aveva fatti imbestialire ancora di più. IL CONTESTO STORICO
NEL PAESE... In Inghilterra, in quel periodo, la situazione
degli hooligans era un disastro, allora il primo ministro
era l’ultra conservatrice Margaret Thatcher, la lady di
ferro. Dalla fine del periodo post coloniale in poi, l’economia
inglese era andata progressivamente in crisi. In particolare
si ampliava la forbice tra borghesia e proletariato industriale.
Nel 1984, in marzo, era cominciata una lotta sindacale che
si sarebbe rivelata la più dura degli ultimi 50 anni. I
minatori avevano incrociato le braccia. In quegli anni l’energia
più utilizzata nel regno unito dipendeva ancora molto dall’estrazione
del carbone. Ma le cose stavano cambiando, come nel resto
del mondo. Si parlava sempre più di energie alternative,
di nucleare. Le multinazionali del petrolio intanto puntavano
al monopolio, il carbone diventava anti economico e si cominciava
a capire quanto inquinasse. Le miniere chiudevano e i minatori
volevano garanzie per il futuro. Ventimila lavoratori con
famiglia carico si trovarono dalla mattina alla sera senza
stipendio: il movimento si compattò. Due giorni dopo la
proclamazione dello sciopero 142 dei 176 pozzi attivi nel
paese iniziarono la serrata. Lo scioperò andò avanti per
più di un anno con tensioni fortissime e scontri in tutto
il paese. E NEGLI STADI CON GLI HOOLIGANS... Ancora adesso
qualcuno è convinto che il governo inglese avesse abbassato
la guardia negli stadi un po’ per necessità (impiegava troppe
forze di polizia), un po’ perché conveniva far sfogare le
tensioni in posti controllabili e chiusi come gli stadi
piuttosto che per strada. Anche il porto di Liverpool era
stato pesantemente investito dalla crisi. Molti di quelli
che avevano seguito i Reds del Liverpool in Belgio erano
incazzati, disperati, delusi anche per il difficile clima
che respiravano in patria, da troppo tempo. Ma non solo.
Per le frange di destra della tifoseria, la trasferta di
coppa era diventata la scusa per imporre all’Europa una
sorta di nuovo imperialismo, questa volta "calcistico",
fatto di terrore e botte. Basta leggere alcuni dei tanti
scellerati libri sugli Hooligans pubblicati in questi anni
per rendersi conto che ciò che li animava non aveva nulla
a che fare col calcio: era rivalsa nazionalista, nostalgia
dell’impero, razzismo. La Thatcher odiava il calcio e chi
lo seguiva, ne parlava con disprezzo, non se ne curava.
Eppure, appena diciotto giorni prima di Bruxelles, c’era
stato il disastro dello stadio di Bradford. Un incendio,
forse doloso, aveva distrutto una delle tribune del Valley
Parade, facendo crollare il tetto. Per paura che gli Hooligans
li usassero come armi, prima della partita erano stati tolti
gli estintori. Cinquantasei morti tra le fiamme e nella
calca per la fuga. Il governo dichiarò che si era trattato
di una fatalità. I problemi dello stadio, insomma, non erano
percepiti come problemi reali. Insomma, in quell’occasione,
chi aveva il potere di prendere certe decisioni ebbe più
di una responsabilità. Solo dopo la tragedia dell’Heysel
la Thatcher si decise a promulgare il Public Disorder Act,
una legge speciale per la violenza negli stadi, di fatto,
limitò il consumo di alcolici durante le manifestazioni
sportive e conferì alla polizia poteri speciali sugli Hooligans.
TORNANDO ALL’HEYSEL... Quel giorno però, gli errori più
tragici li commisero i Belgi. Le autorità locali avevano
clamorosamente sottovalutato i problemi di ordine pubblico
che si sarebbero potuti verificare. Anche l’UEFA sbagliò
la scelta della sede. L’impianto dell’Heysel non avrebbe
mai superato gli attuali controlli. Costruito negli anni
’30, era piccolo, fatiscente, pericoloso per la stabilità
della struttura, vie d’uscita, accesso. L’ultimo errore,
il peggiore di tutti, fu mettere alcuni gruppi di tifosi
italiani nel settore Z a fianco dei peggiori ultras inglesi,
settore che in realtà doveva fungere da cuscinetto tra le
tifoserie, ma agenzie di viaggio e bagarini avevano fiutato
l’affare ed erano riusciti a mettere in vendita anche i
biglietti per quelle gradinate. Non era previsto un cordone
di sicurezza, nulla. Poliziotti a cavallo mezzi addormentati,
presidiavano gli ingressi, ma non era sufficiente. Il disastro
avvenne dentro. Verso le 19.30 si cominciarono a vedere
i primi movimenti strani, gli inglesi dal settore Y iniziarono
a spostarsi verso le transenne. Non c’era stato nessun insulto
o provocazione. Dopo le prime avvisaglie partì la carica
vera e propria. La divisione tra le due tifoserie stava
per cedere. Le transenne vacillavano, la gente cominciò
a scappare spaventata verso l’uscita. Che era stretta. Si
udì un rumore sordo, poi un gruppo di persone letteralmente
scomparve come risucchiato in un buco. Un muretto, si venne
a sapere poi, aveva ceduto, ma anche dalle altre parti dello
stadio non si capiva nulla. Gli ultras cominciarono a cercare
di entrare in campo. Erano armati. Apparve qualche coltello.
Una parte di transenne fu divelta e usata come spranga.
I poliziotti cercarono di contenere l’ondata. Nessuno diceva
cose sensate, si percepivano solo urli e gente che cadeva
nel vuoto. Gli altoparlanti continuavano a chiedere di mantenere
la calma, ma era come chiedere di pregare all’inferno, arrivavano
notizie di un morto, forse due. NEGLI SPOGLIATOI INTANTO...
Il Trap stava dando le ultime indicazioni. Qualcuno entrò
per dire che c’erano stati degli scontri. Forse qualche
ferito. La porta dello spogliatoio era socchiusa, nel corridoio
cominciarono a passare persone ferite. C’era tanto sangue,
molti piangevano, altri venivano trascinati via mentre urlavano
il nome di un parente o di un amico che avevano perso nella
calca e che, forse, non avrebbero più rivisto vivo. Non
c’erano sufficienti barelle a disposizione. I feriti venivano
portati dentro gli spogliatoi adagiati sulle transenne.
Anche il medico della Juve uscì e cominciò a dare una mano
ai soccorritori. Continuavano a ripetere ai giocatori di
concentrarsi sulla partita, ma era impossibile farlo: quelli
più vicini alla porta dello spogliatoio vedevano passare
in continuazione medici, ferite, flebo. La situazione era
drammatica. Alcuni dei giocatori non volevano disputare
il match, ma l’UEFA fu categorica. Disse che ci sarebbe
stato un ritardo, ma che la partita non sarebbe stata rinviata.
Alla fine anche Boniperti si convinse che si doveva andare
in campo. Temevano che, in caso di rinvio si sarebbe aperta
la caccia all’uomo, non avevano tutti i torti. Nello spogliatoio
l’atmosfera era irreale. I giocatori cercavano di isolarsi,
ma arrivavano grida, lamenti anche se nessun giocatore sapeva
cosa stesse accadendo nonostante Pizzul avesse già comunicato
in tv la notizia ufficiale di almeno 36 caduti. Non esistevano
ancora i cellulari. Dopo due ore di caos fu stabilito che
si sarebbe scesi in campo. Quando la squadra entrò in campo
sembrava chiusa in una bolla. Per anni Platini e i suoi
compagni di squadra furono accusati di aver esultato, dopo
la vittoria, ma gli era stato imposto di giocare come una
partita vera. Sarebbe servito a calmare gli animi, per quanto
possibile. E così fu. Fu una partita "di servizio", rigori
dati e negati compresi. La Juve vinse 1-0 grazie ad un rigore
per un fallo su Boniek chiaramente commesso fuori dall’area
di rigore. Forse la frase, pur crudelissima, che meglio
traduce quei momenti la disse Platini: "Se muore il trapezista,
entrano i clown". Molti dei giocatori ammisero che il giro
d’onore con la coppa in mano avrebbero potuto evitarlo,
dato che il trofeo era stato consegnato negli spogliatoi.
Ma è anche vero che non si possono giudicare quei momenti
a così tanti anni di distanza. C’era stata una specie di
guerra, il trofeo andava mostrato e restituire la coppa
che senso avrebbe avuto ? Era più significativo, per quanto
drammatico, mostrarlo a chi era scomparso. Nel parcheggio
dello stadio, c’erano i cadaveri, pietosamente coperti dai
lenzuoli, per terra, bisognava scavalcarli per entrare nel
bus. Quasi tutti piansero. Poi, durante il processo che
ne seguì, emersero storie orribili: autopsie fatte in maniera
vergognosa, indegne per i morti. Un caso da macelleria,
titolarono i giornali. Alla fine dei gradi di giudizio,
cinque anni dopo, i rimborsi alle famiglie delle vittime
furono poco più che simbolici e la punizione per i colpevoli
(le autorità) ridicola. L’UEFA cancellò le squadre inglesi
da ogni competizione di club per cinque anni e la Thatcher
fu costretta, finalmente, ad intervenire contro la violenza
negli stadi.
26 novembre 2012
Fonte: Tifosisinasce.wordpress.com
ARTICOLI STAMPA e WEB NOVEMBRE 2012
Un minuto di silenzio
di Giuseppe Simone
Vorrei rivolgere un pensiero
a quelle persone che hanno esposto, in curva sud, lo striscione
che liofilizzava la storia del Torino Calcio nello schianto
dell'aereo sulla collina di Superga il 4 maggio del 1949.
Analizzando a mente fredda il contenuto dello stesso, sembra
chiaro che l'intenzione degli autori fosse quella di sottolineare
l'enorme e innegabile differenza di palmarès tra le due
maggiori realtà calcistiche cittadine. L'intenzione di sberleffo,
però, si è tramutata in offesa quando è stata tradotta in
quell'insulso messaggio vergato su quel lenzuolo simbolicamente
nero. Vorrei rivolgermi alle persone che hanno pensato il
messaggio, a quelle che lo hanno riportato materialmente,
a quelle che hanno retto il vessillo e a quelle che hanno
controllato all'ingresso dello stadio, sempre che questa
ispezione sia avvenuta, ciò che era riportato su quello
striscione; vorrei dire a tutta questa gente di fermarsi
un minuto a pensare alle 39 persone decedute a Bruxelles
il 29 maggio di oltre ventisette anni fa. Di spogliarsi
della veste di tifoso e di uscire anche dall'ambito sportivo.
Vorrei che in questo minuto pensassero solo alla vita di
quelle 39 persone. Pensiamo solo ai "nostri" morti (scusate
la volgare semplificazione), per un minuto. Pensiamo un
minuto alla manifestazione che ogni anno si svolge a Reggio
Emilia intorno al monumento che ricorda quei caduti. Pensiamo
ad Andrea Casùla. Pensiamo ai genitori di quelle vittime,
ai fratelli, ai figli, agli amici. A quelli che sono rimasti
da questa parte. Cosa hanno a che vedere loro con le beghe
tra tifosi ? Lo so che quello che sto scrivendo non è molto
differente dalla retorica stagnante di molti commenti che
leggiamo in questi giorni sugli organi di stampa. Ma leggo
anche di rappresentanti della tifoseria bianconera che cercano
un appiglio a cui appendere una giustificazione. E allora
fermiamoci anche noi. Solo un minuto. Noi tifosi della Juventus
abbiamo fortemente brontolato sulla disparità delle multe
comminate alle società. Le offese a Pessotto sono più leggere
delle discriminazioni razziali ? Ci siamo detti giustamente
indignati della leggerezza di questi provvedimenti (della
loro utilità è meglio non parlare proprio). Ci indigniamo
ogni volta che viene offesa la memoria di Scirea e quella
di Ale&Ricky. Sacrosanto. Ma in questo minuto vorrei
pensare anche al dolore di Sandro Mazzola. Non come ex calciatore
e dirigente dell'Inter che quando parla di Juve non ne dice
una giusta. No, penso a lui come figlio di Valentino. Penso
a suo fratello Ferruccio. Non come personaggio emarginato
dalla stampa italiana dopo la pubblicazione del suo libro-denuncia.
No, penso a lui come figlio di Valentino. Penso al dolore
di questi due bambini rimasti orfani di padre a 7 e 4 anni
di età. Penso a Giorgio Tosatti. Non come giornalista infangato
ingiustamente dai colleghi per una telefonata confidenziale
con Moggi. No, penso a lui come il figlio di Renato, anch'egli
su quell'aereo. Anche Giorgio orfano a nemmeno 12 anni.
Penso ai congiunti degli altri calciatori, ai familiari
dei dirigenti, noti e meno noti. Penso al massaggiatore
Ottavio Cortina e al dolore di quelli che lo conoscevano.
Bisognerebbe smetterla di pensare alle tragedie del calcio
come entità astratte e incominciare a pensare ad esse riferendosi
al dolore delle vittime. E immediatamente rapportarlo al
proprio dolore per la perdita di un genitore, di un fratello,
di un marito, di un amico. Un minuto per pensare a queste
persone. Ora provate a riprendere in mano il pennarello,
o lo spray o quello che è. Se ancora avete voglia di scrivere
quello striscione, spero per me di non incontrarvi mai da
solo per strada. Mi fareste paura.
4 Dicembre 2012
Fonte: Juventinovero.com
ARTICOLI STAMPA e WEB DICEMBRE 2012
MICHEL PLATINI: "Sapevo dei morti ma non ci pensavo"
di Anglotedesco
Forse è il miglior libro
sull'Heysel. Le dichiarazioni di Michel Platini che sono
pubblicate nel libro sono assolutamente normali, stiamo
parlando dell'ambiente calcistico dove c'è dentro di tutto
e che ai calciatori non gliene frega nulla di chi sta fuori
dal loro mondo. Tutti i giocatori della Juventus e del Liverpool
sapevano dei morti, hanno festeggiato i bianconeri, avrebbero
fatto altrettanto quelli dei Reds se avessero vinto la Coppa
Campioni. Quello che mi fa ridere sono le cretinate dette
dagli ex giocatori della Juventus e le buffonate su Gaetano
Scirea fatto passare per un santo. L'ex Libero era uno di
quelli che festeggiò fregandosene di quello che era successo
nella curva Z. Ho visto dei video di Stefano Tacconi dove
è tra i più dispiaciuti ma in realtà allora disse altre
cose, le trovate all'interno del libro; le pubblicherò su
questo blog prossimamente. (Da HEYSEL - Jean Philippe Leclaire
- Piemme). Giampietro Agus della Gazzetta dello Sport riassume
così questi comportamenti ambivalenti: "All'Heysel i giocatori
hanno sperimentato questa sensazione incredibile, si sono
resi conto che delle persone erano morte per loro ! Quando
sono entrati in campo non erano più calciatori, ma quasi
delle divinità a cui erano stati tributati dei sacrifici.
Da qui, quel miscuglio di euforia e di vergogna". Se l'euforia
se ne va sempre in fretta, la vergogna può rimandare per
anni. Come unico marcatore dell'incontro, Platini sembra
avere sofferto ancora più violentemente questa lacerazione.
La famosa intervista incrociata, organizzata nel 1987 dal
giornale LIBERATION tra il calciatore e la scrittrice Marguerite
Duras, è forse l'occasione in cui l'autore del gol del 57'
minuto si è lasciato andare di più: "Per prima cosa non
avevamo visto l'orrore. E' come quando dicono: si è schiantato
un aereo, 37 morti, duecento feriti. Non si vede niente.
Bene, dopo si prende lo stesso l'aereo. E poi, quando si
è in campo, quando si pensa al calcio, che è la nostra passione,
la nostra giovinezza, la nostra adolescenza, non si può
pensare mentre si gioca che ci sono stati 35 morti. Quando
realizzo il rigore sono felice, in fin dei conti il calcio
mi salva dall'infelicità umana. Mi salva completamente,
e per meglio dire mi salvava, dato che non gioco più. Ma
è vero che non si pensa e niente quando si gioca a calcio.
Quel giorno sono diventato un uomo ! Diciamo che sono passato
da un mondo in cui il calcio era un gioco a un mondo in
cui il calcio è diventato una specie di violenza. In altre
parole, fino a un certo momento hai dei giocattoli. Beh
quel giorno non avevo più giocattoli. Ero diventato un uomo".
Una confessione sorprendente che Michael Platini aveva già
accennato sei mesi prima in un'altra intervista, più tradizionale
al giornale "L'EQUIPE". Il giocatore sembrava ancora così
spaventato dai propri sentimenti che aveva preferito preavvertire
il suo interlocutore: PLATINI "Le dirò una cosa terribile:
a Bruxelles non ho mai pensato ai morti". GIORNALISTA: "Perché
non sapeva niente". PLATINI: "Sì sapevo". GIORNALISTA: "Perché,
allora ?". PLATINI: "Bisognerebbe chiederlo a uno psichiatra".
Questo psichiatra "France Football" lo aveva consultato
già il giorno dopo la tragedia. Pierre Barbey aveva fatto
la sua diagnosi a caldo: "Il calcio è nato istituzionalmente
per indurre nelle persone uno stato di ipnosi. Quando poi
si verificano dei problemi, queste persone vengono condannate.
E' una situazione paradossale". All'Heysel non solo i 22
giocatori, ma anche buona parte dei giornalisti e degli
spettatori sono stati "ipnotizzati". Quando sono usciti
dallo spogliatoio con la coppa, i giocatori della Juventus
avrebbero potuto ricevere un'accoglienza glaciale o persino
scioccata da parte dei loro tifosi. Invece i tifosi si sono
lasciati andare all'esultanza, hanno ripreso a sventolare
le bandiere che avevamo ripiegato, hanno sparato fumogeni
e cantato. E cosa dire dei tifosi rimasti a Torino che hanno
sfilato trionfalmente per le vie della città ? Eppure sapevano
perfettamente che a Bruxelles erano morti 38 dei loro, avevano
anche visto i cadaveri alla televisione ! Per assurdo, gli
ipnotizzati dell'Heysel potevano perlomeno giustificarsi
dicendo che sul posto avevano visto molto meno, rispetto
ai telespettatori di tutto il mondo. Molto criticato per
la sua telecronaca, giudicata troppo "terra terra", Therry
Roland, spiega che ha dovuto tornare a Parigi per misurare
tutta l'ampiezza del dramma. "Mentre parcheggiava davanti
a casa mia, in Rue Mirabeau, alle 3.30 del mattino, ho visto
le luci del mio appartamento erano ancora accese. Ho pensato
che mia moglie si fosse dimenticata di spegnere prima di
andare a dormire. Invece mi stava aspettando dietro la porta
e non appena sono entrato mi ha sgridato. Mi ha detto: "credevo
di conoscerti. Come hai potuto commentare una partita di
calcio con tutto quello che si è visto ? In realtà, prosegue
Thierry Roland, "prima e durante la partita, i nostri monitor
di servizio ci mostrano soltanto le immagini girate dalle
telecamere fisse sistemate intorno al campo. Abbiamo visto
le persone accalcarsi in fondo al settore Z, ma non i cadaveri
ripresi dalle troupe mobili. E sono proprio quelle, le immagini
che hanno tanto sconvolto i telespettatori".
9 dicembre 2012
Fonte: Anglotedesco.myblog.it
ARTICOLI STAMPA e WEB DICEMBRE 2012
Appuntamento
all’Heysel
di Antonio Leo
A volte, ci sono tragedie
dimenticate, scomparse dalla memoria, i cui morti finiscono
ingiustamente nel dimenticatoio. Ci sono però casi nei quali
l’inciviltà, trasforma la morte in uno sfottò da stadio,
in un coro, una scritta sulla maglietta con tanto di numero
di defunti sul petto quasi fosse motivo di orgoglio. E’
questo ciò che spesso accade negli stadi anti-juventini
ricordando la tragedia dell’Heysel… Una tragedia si noti
bene non solo juventina, ma di tutti gli italiani in quanto
nostri connazionali. Essi morirono a causa della furibonda
e cieca violenza degli hooligans inglesi. Ma bisogna dire
che fino al momento della tragedia era stata una bella giornata
di festa. Italiani e inglesi camminavano insieme per le
vie della città di Bruxelles che ospitava la finale di coppa
dei campioni dell’ 85 tra la Juventus e il Liverpool. Entrambe
le tifoserie cantavano insieme e indossavano sciarpe e cappellini
della propria squadra e li portavano con orgoglio e senza
paura. Nessuno immaginava quello che poi sarebbe successo.
Pian piano si cominciò ad avvertire che l’atmosfera stava
cambiando. Verso le 6 i tifosi incominciarono ad avviarsi
verso lo stadio. In giro c’erano già gruppi di tifosi inglesi
ubriachi e a caccia dell’avversario… La polizia aveva cercato
di tenerli a bada, ma proprio l’impossibilità di muoversi
liberamente li aveva fatti imbestialire ancora di più. Dopo
le prime avvisaglie partì la carica vera e propria. La divisione
tra le due tifoserie cedette. Le transenne vacillarono,
una parte di transenna fu divelta e usata come spranga,
i tifosi inglesi tirarono fuori anche numerosi coltelli…
La gente cominciò a scappare spaventata verso l’uscita,
che era stretta, i poliziotti cercarono invano di contenere
l’ondata. Si udì in rumore sordo, poi il gruppo di persone
letteralmente scomparve come risucchiato in un buco nero.
Un muretto, si venne a sapere in seguito, aveva ceduto,
e da lì l’immane tragedia. Fino ad oggi però si è parlato
quasi sempre e soltanto della fatiscenza dello stadio Heysel:
tipo tribune malcurate, i muretti divisori vecchi e fragili,
ecc… Ma si è sorvolato troppo su un aspetto importante:
i gentlemen inglesotti, che amano tanto fare la morale al
nostro paese, che si elevano a paladini della moralità,
si dovrebbero solo vergognare, non dovrebbero più avere
il coraggio di alzare gli occhi e lo sguardo quando
passa un italiano dopo quello che fecero quel maledetto
giorno…. C’è da dire che in quel periodo in Inghilterra
(la perfida Albione) la situazione degli Hooligans era un
disastro, il primo ministro inglese era l’ultraconservatrice
Margareth Thatcher, la lady di ferro. Nel marzo 84 era cominciata
una lotta sindacale che in Inghilterra si sarebbe rivelata
la più dura degli ultimi 50 anni. Ventimila lavoratori con
famiglia a carico si trovarono dalla mattina alla sera senza
stipendio. Lo sciopero andò avanti per più di un anno con
tensioni fortissime e scontri in tutto il paese. Ancora
adesso qualcuno è convinto che il governo inglese avesse
abbassato la guardia negli stadi perché conveniva far sfogare
la rabbia in posti controllabili e chiusi, piuttosto che
all’ aperto per strada. La Thatcher odiava il calcio e chi
lo seguiva, ne parlava con disprezzo, non se ne curava.
Quel fatidico giorno, quel tristemente famoso 29 maggio
1985 successe di tutto, una sorta di rievocazione della
giornata contro gli italiani organizzata fin nei minimi
dettagli, proprio per questo i tifosi del Liverpool si erano
conquistati nella loro madre patria la nomea di cacciatori
di teste, in particolare per la loro violenza. Ma quel giorno
gli errori tragici li commisero anche i belgi. Le autorità
locali avevano clamorosamente sottovalutato i problemi di
ordine pubblico che si sarebbero potuti verificare. Anche
l’UEFA sbagliò la scelta della sede. L’impianto dell’Heysel
non avrebbe assolutamente mai superato gli attuali parametri
e controlli. Stadio vecchio, piccolo, fatiscente e pericoloso
per la stabilità della struttura, senza vie d’uscita e d’accesso
e così via… L’ultimo errore, il peggiore di tutti, fu mettere
alcuni gruppi di tifosi italiani nel settore Z, al fianco
dei peggiori ultras inglesi del settore Y. La curva Z in
realtà doveva fungere da cuscinetto tra le tifoserie. Ma
agenzie di viaggio e bagarini avevano fiutato l’affare ed
erano riusciti a mettere in vendita anche i biglietti per
quelle gradinate. Inoltre, non era previsto neanche un cordone
di sicurezza, niente di tutto ciò. Poliziotti a cavallo
presidiavano l’ingresso, ma non era sufficiente. Da lì il
disastro che costò la vita a 39 persone, tra le quali il
medico toscano Roberto Lorentini. Il medico trentunenne
si può definire a pieno titolo un eroe senza usare a sproposito
il termine. Ormai fuori dalla calca, quindi salvo, il medico
fiorentino fu ucciso facendo il suo dovere solo perché tornò
indietro a soccorrere un bambino di 11 anni morto in seguito
nonostante i soccorsi e nonostante il padre si fosse sacrificato
facendo scudo col proprio corpo, anche il Lorentini quindi
morì schiacciato dalla folla. Nel parcheggio dello stadio
intanto per terra si accumulavano i cadaveri, pietosamente
coperti da lenzuola, bisognava scavalcarli per entrare nei
bus che portavano alla stazione. Quasi tutti piansero. Alla
fine dei gradi di giudizio, 5 anni dopo, i rimborsi alle
famiglie delle vittime furono poco più che simbolici e le
punizioni per i colpevoli ridicole. L’UEFA cancellò le squadre
inglesi per 5 anni da ogni competizione europea e solo allora
la Thatcher fu costretta, finalmente ad intervenire drasticamente
contro la violenza negli stadi. Noi che abbiamo dato i natali
ai più grandi maestri del pensiero, dovremmo oggi prendere
lezione dai vecchi sudditi di Enrico VIII ?!? Ma mi faccia
il piacere… Diceva Totò !! Piuttosto il mio pensiero
va ai numerosi italiani scomparsi e assassinati dalla furia
della "Perfida Albione", tutto questo cari inglesi non sarebbe
successo se nella faccenda fossero state coinvolte delle
persone civili e non degli animali allo stato brado, ma
soprattutto sono fiero di essere italiano come lo era il
medico Roberto Lorentini !
27 dicembre 2012
Fonte: Collepassosx.com
ARTICOLI STAMPA e WEB DICEMBRE 2012
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