Processo dell’Heysel
Pubblico ministero generoso. Chieste
pene irrisorie per hooligan e autorità.
BRUXELLES - Una requisitoria debole,
costellata da numerose contraddizioni, assoluzioni e infine una
richiesta di pene miti, che hanno sollevato la reazione della
parte civile. Queste sono le prime risultanze del processo
dell’Heysel, in corso di svolgimento a Bruxelles, dopo
l'intervento del pubblico ministero, che si è rimesso al
giudizio della Corte e confessando di non riuscire a valutare
con esattezza se le cariche e gli atti teppistici degli hooligan
inglesi, durante la finale della Coppa dei Campioni di calcio
Juventus-Liverpool, disputata allo stadio Heysel di Bruxelles il
29 maggio dell’85, fossero premeditate o meno. Un’ammissione che
potrebbe partorire una conclusione scandalosa del processo, con
numerosi imputati, che potrebbero venirne fuori con pene
irrisorie in pieno contrasto con i gravi fatti avvenuti in
quella terribile serata, dove persero la vita 39 persone di cui
32 italiane. Il pubblico ministero ha praticamente scagionato
tutte le "teste d’uovo" belghe direttamente interessate
all’avvenimento, cioè i "grandi capi" della gendarmeria, quelli
della federazione calcio e il sindaco della città, che ha
concesso l'utilizzo di uno stadio non adeguato all’avvenimento,
privo delle necessarie misure di sicurezza. Imputati erano 26
teppisti inglesi per i quali sono state chieste due assoluzioni
piene, otto assoluzioni con il beneficio del dubbio e 15
condanne da un minimo di tre ad un massimo di quattro anni. Per
l’allora segretario generale della Unione calcio belga e per i
due responsabili del servizio d’ordine, la richiesta di condanna
non è stata neanche quantificata. Sarà la Corte a decidere.
Nessun accenno all’Uefa e alla Municipalità chiamate a correo
dalle parti civili, per i quali l’accusa ha chiesto
l’assoluzione. Lunedì cominceranno le arringhe della difesa. Il
dibattito dovrebbe concludersi verso metà marzo, il verdetto a
metà aprile.
18 gennaio 1989
Fonte: L’Unità
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GENNAIO 1989
Pene irrisorie per i maggiori
responsabili dei 39 morti. Per i 25 teppisti imputati, 10
assoluzioni e 15 condanne da 3 a 4 anni; per i responsabili
dell'ordine nello stadio non è nemmeno quantificata la pena.
TORINO - Pene miti, troppo miti, per i
25 teppisti inglesi imputati. Pene neanche quantificate per
Albert Roosens, l'allora segretario generale dell'unione calcio
belga, responsabile dell'organizzazione, e per i due ufficiali
della gendarmeria che avrebbero dovuto garantire l'ordine nello
stadio. Queste le richieste avanzate ieri pomeriggio dal
pubblico ministero, il procuratore del Re Pierre Erauw, al
processo per la strage di Heysel, 29 maggio 1985, finale di
Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool. Gli "hooligans"
inglesi, fradici di birra, causarono con una carica sulle
gradinate: 39 morti, 32 dei quali tifosi italiani della Juventus
giunti in Belgio con migliaia di altri appassionati. Tra i morti
ci furono anche due torinesi, Domenico Russo e Giovacchino
Landini. Gli imputati principali sono 26 teppisti inglesi. La
posizione di uno di loro è stata stralciata, essendo in carcere
in Gran Bretagna. Per gli altri 25, l'accusa ha chiesto due
assoluzioni piene, otto assoluzioni col beneficio del dubbio, e
15 condanne a tre o quattro anni. Il pubblico ministero si
rimette inoltre al giudizio della corte per quel che riguarda la
"premeditazione" della carica. Il procuratore del re ha detto di
non essere in grado di valutare se la carica dei tifosi
britannici fosse premeditata o no. Non è un particolare
secondario: se si propende per la premeditazione, la pena è fino
a 10 anni (e l'accusa diventa di lesioni volontarie e omicidio
preterintenzionale) al contrario, il massimo della condanna è
cinque. L'accusa, come detto, si rimette alla Corte, ma intanto
si è limitata a chiedere quattro anni. Per l'allora segretario
generale dell'unione calcio belga, e per i due responsabili del
servizio d'ordine (i tre, comunque, rischiano un massimo di due
anni) la richiesta di condanna non è neanche stata quantificata,
tutto è rimesso alla corte. Le reazioni alla requisitoria sono
state ovviamente negative. La parte civile, ma anche altri
avvocati, perfino alcuni difensori di imputati britannici,
l'hanno giudicata debole, poco incisiva, ed, in alcuni casi,
contraddittoria. Lunedì cominciano le arringhe della difesa, che
dureranno almeno un mese. Verso la metà di marzo la fine del
dibattito in aula, quattro settimane dopo la sentenza.
19 gennaio 1989
Fonte: Stampa Sera
Lo ha deciso ieri il comitato esecutivo
dell'Uefa riunito a Lisbona - Per il Liverpool, che deve
scontare una pena suppletiva di due anni, sarà necessario però
un provvedimento speciale - Il presidente Georges: "Ora tocca ai
tifosi responsabili separarsi dai teppisti".
LISBONA - Il comitato esecutivo
dell'Uefa, riunito a Paimela (40 km da Lisbona) ha deciso ieri
di riammettere i club inglesi nelle coppe europee di calcio, a
partire dalla stagione 1990-1991. "Questa riammissione sarà
fatta sotto riserva dell'applicazione integrale della
convenzione della Comunità europea sulla lotta contro la
violenza", è scritto in un comunicato dal presidente Georges.
L'esclusione a tempo indeterminato dalle coppe europee delle
squadre inglesi fu decisa dopo la tragedia dell'Heysel, lo
stadio di Bruxelles, dove gli hooligans causarono la morte di 39
spettatori (in massima parte tifosi juventini) e il ferimento di
centinaia di persone, in occasione della finale di coppa
Campioni del 29 maggio '85 fra Juventus e Liverpool (1-0). Per
la squadra dei "reds" sarà necessario un provvedimento speciale,
poiché le fu comminata una sospensione suppletiva di due anni.
Il comitato esecutivo dell'Uefa dovrà tuttavia confermare la
decisione presa nel giugno del '90 sulla base di un rapporto che
sarà elaborato da Georges, dopo che questi si sarà recato a
Londra in aprile per incontrare, tra gli altri, il ministro
inglese dello Sport. La decisione dovrà inoltre essere
ratificata dai membri Uefa in una riunione con il governo
britannico e i dirigenti del calcio europeo. Sulla decisione
dell'Uefa ha pesato il giudizio emesso in mattinata da un
parlamentare europeo a Strasburgo, secondo cui "l'interdizione
unilaterale" pronunciata dall'Uefa verso i club inglesi era
"senza basi giuridiche" e "contraria alla libera circolazione
delle persone". Favorevoli le prime reazioni. Dopo la conferenza
stampa ufficiale, il presidente dell'Uefa ha aggiunto: "Ora la
palla passa nel campo dei tifosi inglesi responsabili. Essi
debbono separarsi da quei teppisti che fanno tanto male al
calcio inglese. Se l'Inghilterra si qualifica ai mondiali
italiani, essi avranno una magnifica occasione per dimostrarlo".
Gli ha fatto eco Jack Dunnet, presidente della Lega inglese:
"Siamo molto felici per questa decisione, a nostro avviso
importante e positiva. Sono stato sempre ottimista riguardo ad
un provvedimento di questo genere che mette fine ad una
punizione già piuttosto pesante per il calcio inglese". A sua
volta il direttore esecutivo della federazione calcistica
inglese, Graham Kelly ha ribadito: "E’ stata fatta giustizia. Il
calcio inglese non può essere ritenuto responsabile, da solo,
degli atti di alcuni teppisti che, tuttavia, andranno isolati".
Il ministro britannico dello Sport, Colin Moynihan, ha fatto
intendere che il sostegno del governo inglese verrà concesso
soltanto se all'inizio della stagione 1990-91 sarà operativo il
piano governativo sui tifosi, compreso il provvedimento
riguardante il documento di riconoscimento. "Sono molto lieto.
Ho sempre ritenuto che sarebbe stato troppo presto riammettere
le squadre inglesi a partire dalla stagione 1989-90, poiché
nessuna nuova misura è stata presa dopo le finali del campionato
europeo '88". "Mi aspetto comunque - ha proseguito Moynihan -
che il piano sui tifosi sarà pronto e in opera dopo la fine
della prossima stagione e dei campionati mondiali in Italia che
saranno un importante banco di prova per i tifosi inglesi
all'estero. I veri tifosi saranno ben coscienti delle loro
responsabilità. Ho sempre sperato che i club inglesi fossero
riammessi per la stagione 1990-1991; l'Uefa ha voluto decidere
con largo anticipo".
12 aprile 1989
Fonte: La Stampa
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APRILE 1989
di Franco Badolato
TORINO - Giampiero Boniperti,
presidente della Juventus, è rimasto visibilmente scosso quando
la televisione ha diramato ieri le prime immagini dei tragici
fatti avvenuti nello stadio inglese di Sheffield. Troppo vivo è
in lui come in tutta la squadra, il ricordo della notte
dell'Heysel, di una Coppa dei Campioni vinta con il cuore
affranto. "E’ una cosa terribile - ha detto Boniperti - non ci
sono purtroppo parole di fronte a queste tragedie". Non è
riuscito ad aggiungere altro. Il presidente juventino è sempre
stato uno dei primi fautori del ritorno in Europa delle squadre
inglesi, annunciato proprio questa settimana dall'esecutivo Uefa
di Lisbona. E proprio l'altro giorno, nel commentare la novità,
aveva ribadito: "Ora tocca al Liverpool. Speriamo in
un'amnistia". La gloriosa formazione della città di Liverpool
infatti non rientra in Europa nel '90, come gli altri club
inglesi, a causa di una condanna suppletiva. Antonio Cabrini
sottolinea: "Questa è la più brutta pubblicità che il calcio
potrebbe mai ricevere. Sembra una iella, a pochi giorni dalla
decisione di riaprire le porte europee ai club inglesi. Non è
possibile neppure spiegarsela, forse hanno venduto biglietti in
eccesso rispetto alla capienza di quello stadio". L'allenatore
della Juventus, Zoff, ricorda: "In Italia l'ordine pubblico e la
sicurezza negli stadi sono migliorati anche in seguito alla
tragedia dell'Heysel e tra le misure prese c'è la drastica
riduzione della capienza negli stadi. A Torino è stata decurtata
di un terzo. Ora, in vista dei mondiali, probabilmente saranno
aumentati i controlli sulla capienza. Ma ci sarà comunque un
calo di spettatori dovuto agli effetti di questa disgrazia in
Inghilterra". Il portiere Tacconi cerca di scindere i due
avvenimenti: "Non ci sono punti in comune tra Bruxelles e
Sheffield. All'Heysel ci fu la provocazione da parte degli
hooligans, questa è invece una disgrazia provocata probabilmente
dal sovraffollamento e dall'inadeguatezza dello stadio
britannico". E il vice allenatore Scirea si pone dinanzi al
quesito più amaro: "Sembra incredibile che si possa morire per
il calcio. Non resta che trovare i colpevoli, allora come oggi".
16 aprile 1989
Fonte: La Stampa
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APRILE 1989
La notte dell'Heysel con il terrore
negli occhi
di Bruno Perucca
La carica degli hooligans ai tifosi
juventini, il crollo, le urla e la tragedia. Il 29 aprile la
giustizia belga arriverà forse alla sentenza: chiuderà un
processo nel quale sono imputati 26 sostenitori del Liverpool.
Altri 95 morti da stadio si aggiungono
ai 39 (trentadue Italiani, tifosi della Juventus) rimasti sul
cemento dello stadio Heysel di Bruxelles. Era la notte del 29
maggio '85, sono passati quattro anni. Il 29 aprile, fra poco,
la giustizia della capitale belga arriverà forse alla sentenza.
Chiuderà un processo nel quale erano imputati (blandamente) 26
hooligans di Liverpool e dintorni, alcuni dei quali sono già
sfuggiti fra le maglie della procedura. Non subiranno condanne i
veri colpevoli: la gendarmeria di Bruxelles, i dirigenti del
calcio belga, i dignitari della Federazione europea (Uefa).
Tutti responsabili di scarsi controlli, di nessuna precauzione
malgrado gli hooligans avessero messo a soqquadro la città nella
vigilia del match. Le notizie da Sheffield escludono risse, come
scintilla. Le colpe sono di chi in uno stadio dovrebbe impedire
sovraffollamenti, invasioni di settore. Nel tragico catino
dell'Heysel le due componenti (incuria e violenza) si sono unite
in una miscela esplosiva. Eravamo a Bruxelles, quella notte,
dove Liverpool e Juventus giocavano la finale della Coppa dei
Campioni. Il come, il perché, i motivi, ammesso che ne
esistessero di comprensibili, li abbiamo cercati nei giorni
successivi fra ospedali, parenti, polizia (subito reticente),
funzionari (presto spariti), tifosi scampati. Sul momento,
bastavano gli occhi sbarrati della gente, le grida di aiuto, il
sangue, i morti allungati uno per uno nel retro della tribuna.
La ressa in uno stadio ha qualcosa di spaventoso. I buchi nelle
porte sfondate, nelle reti divelte, nessuno li trova al momento
della fuga. Quando la paura prende. Si rimane nel folto,
intrappolati, pestati. E attorno, per un poco, l'altro pubblico
neppure sa, non avverte. Che la mischia è diventata mortale,
molte persone in zone lontane dello stesso stadio lo apprendono
dalle sirene. Di ambulanze che vanno e vengono e dalle auto
della polizia. La curva maledetta dell'Heysel (a sinistra della
tribuna) era contrassegnata dalla lettera zeta. Una Z" dipinta
con vernice bianca sul muretto in basso. I primi subbugli
attorno alle 19. Il settore era diviso a metà, verticalmente, da
una rete metallica (si è saputo dopo che era arrugginita e
troppo debole). Nella parte destra, guardando dal campo, gli
hooligans. Nell'altra tanti Italiani ma non i gruppi del tifo
organizzato. Erano stati indirizzati (una precauzione era stata
presa: sulla curva opposta. Sono bastate alcune bandiere
bianconere, qualche berretto, ad accendere gli hooligans. Grida,
lanci di bottiglie (ecco, le bottiglie dentro uno stadio...),
pressioni sulla rete divisoria che accennava a cedere. Non è
giusto, non è onesto, sostenere che un italiano quella sera è
stato ucciso da un folle fan inglese. Ma è sacrosanto dire che
la paura degli hooligans (bisogna vederli da vicino nella pazza
euforia di gruppo, per capire) ha avviato la tragedia. La gente
si è accalcata sul basso della curva, per scappare. Quella rete
non ha ceduto anche perché dal basso la polizia addetta alla
"protezione del campo ancora deserto, minacciava con gli
sfollagente chi cercava una via di fuga. La tragedia si
consumava in dieci minuti nella trappola ai piedi della curva.
Morti schiacciati, asfissiati. Quando la rete si spaccava e
consentiva la fuga, era tardi. Uomini, donne, ragazzi, correvano
impazziti cercando parenti, figli, amici. La foto dell'uomo
piangente, impietrito, che abbracciava la moglie trovata nella
fila delle salme ha fatto il giro dei giornali del mondo. Ma non
è bastata.
16 aprile 1989
Fonte: La Stampa
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APRILE 1989
di Ivano Barbiero
Troppe le deficienze di organizzazione
e delle misure di sicurezza - I pareri di Cardetti, Porcellana e
Zanalda.
TORINO - Quanto accaduto sabato a
Sheffield, all'inizio della partita Liverpool-Nottingham, ha
riportato alla mente dei torinesi la tragica notte di quattro
anni fa all'Heysel, in Belgio, con i suoi 39 morti, quasi tutti
italiani, mezz'ora prima del fischio d'inizio dell'incontro di
finale della Coppa dei campioni, tra la Juventus e il Liverpool.
Anche in quell'occasione la diretta televisiva portò il dramma
nelle case con le immagini brutali degli hooligans scatenati e
delle forze dell'ordine impassibili. Un "deja vu" che si è
ripetuto con sinistra puntualità. Giorgio Cardetti era sindaco
di Torino nell'85. "Mi sembra che anche questa tragedia sia
stata causata da un lato dall'assurdo comportamento di teppisti
che confondono il tifo con altri fenomeni. Ma sembra ci siano
anche altre gravi responsabilità se è vero che qualcuno ha
aperto i cancelli. E anche all'Heysel, quel 29 maggio di quattro
anni fa, pur senza cancelli sfondati le misure di sicurezza non
erano certo adeguate. Episodi come questo pongono sempre più
urgente il problema della sicurezza degli stadi che devono
essere costruiti e dotati di tutte le misure più moderne, con
posti a sedere e controlli agli ingressi. Una nota mi sembra
opportuna: in questa circostanza almeno si è sospeso l'incontro.
Ricordo invece che dopo aver avuto la notizia della tragedia di
Bruxelles, prima ero corso a Palazzo Civico, poi avevo fatto un
breve giro in città, da piazza San Carlo a piazza Castello. E di
fronte ai caroselli di auto e alle scene di festa avevo provato
grande amarezza. Il fatto sportivo non ha davvero più senso
quando si hanno morti e feriti". Il sociologo Filippo Barbano
analizza il comportamento della folla. "Una volta la spiegazione
era la violenza negli stadi e quindi con questa formula si
trovava un qualche motivo per rendersi conto di quel che
succedeva. Adesso sembra ancora sia sempre violenza negli stadi
ma ci sono da mettere insieme delle componenti e conseguenze
inattese che dipendono da fatti tecnici: probabilmente da come
sono fatti gli stadi, da come viene regolato l'afflusso della
gente. Logico che se si sommano queste due componenti, una di
natura psicologica e collettiva e l'altra che fa un po' pensare
ad una specie di ingovernabilità delle situazioni, si ottiene
una somma di irrazionalità collettiva e di inefficienza laddove
ci dovrebbe invece essere razionalità. In pratica il curarti di
quel che può avvenire in una partita di calcio, con annessi e
connessi architettonici e di ordine pubblico, si presume debba
essere governato da criteri di razionalità. Invece ne ritroviamo
ben poca. Mi sembra però che oggettivamente la situazione sia
diversa rispetto a quattro anni fa a Bruxelles, anche se in
definitiva c'è la presenza di una violenza potenziale o virtuale
che esplode sia come causa che come effetto". Sintetico il
prosindaco Giovanni Porcellana: "Vedendo questi fatti si capisce
come il problema della sicurezza che molti tendono a
sottovalutare comporti invece il merito di preservare e salvare
vite umane. E' una riflessione che ancora una volta trova
conferma: ciò che può apparire oltremodo costoso e fonte di
ritardi è invece fondamentale e quanto mai necessario se ha lo
scopo di salvare anche una sola vita". Questo infine il parere
di Anselmo Zanalda, neuropsichiatra: "Noi stiamo assistendo al
giorno d'oggi ad un super-investimento affettivo sul presente.
Questo è il presupposto psicologico del consumismo. Il
consumismo quindi diventa un investimento sul piano affettivo
presente che si manifesta in vari modi. Fra questi modi vi è
anche il tifo che non è espressione di una mentalità sportiva ma
esclusivamente un interesse che non ha futuro. Di lì nasce la
violenza come bisogno di ottenere, a qualunque costo, ciò che al
momento si desidera. Ad esempio, la vittoria della propria
squadra, l'assistere alla partita anche se non c'è posto. Senza
preoccuparsi delle conseguenze future. Attendiamoci altre
manifestazioni di violenza e di suggestioni collettive se non
cambiamo la nostra mentalità di vivere il presente. I posti a
sedere e le misure di sicurezza sono ottime cose. Ma non sono
sufficienti, perché anche stando seduto posso dare un pugno al
mio vicino".
17 aprile 1989
Fonte: Stampa Sera
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APRILE 1989
A quattro anni dalla strage nello
stadio di Bruxelles
Domani la sentenza per i morti
all'Heysel
di Fabio Galvano
L'ombra del dramma di Sheffield su un
processo che non trova colpevoli.
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE. BRUXELLES -
Risvegliati dal dramma di Sheffield, i fantasmi dell'Heysel
battono alla porta della giustizia. Ma dalla sentenza che
pronuncerà domani il giudice Verlinden, sotto la grande cupola
del tribunale di Bruxelles, difficilmente emergerà un esauriente
quadro delle colpe per i 39 spettatori - 32 erano italiani -
uccisi la sera del 29 maggio 1985. A conclusione di un processo
durato più di sei mesi, le labili prove portate contro gli
hooligans del Liverpool non apriranno la strada alle severe
condanne che si erano auspicate. Quasi dimenticato e stancamente
avviato verso il suo esito inconcludente, il processo
dell'Heysel riflette inevitabilmente l'angoscia dell'ultima
tragedia calcistica britannica: protagonisti in entrambi i casi
i supporters inglesi, anzi proprio quelli del Liverpool, è
difficile sfuggire alla conclusione che la meccanica dei due
incidenti può essere stata diversa, ma che identica - la
violenza - ne è stata la matrice. Probabilmente la sentenza di
domani non sarà l'ultimo atto dell'Heysel. Seguiranno infatti
ricorsi e azioni civili; ma per 39 morti e per i 600 feriti, per
i loro familiari, per tutti coloro che hanno sofferto in seguito
agli avvenimenti di quella notte, è come se si chiudesse la
rincorsa alla giustizia. Dei 26 hooligans portati in giudizio
dopo oltre tre anni di indagini, undici sono stati esonerati
dalla stessa accusa: uno era in carcere in Gran Bretagna e due
sono stati ritenuti estranei ai fatti, mentre per altri otto è
stata chiesta l'assoluzione col beneficio del dubbio. Per i
rimanenti quindici sono state chieste condanne di tre o quattro
anni, non meglio specificate, per le quali il pubblico ministero
si è rimesso al giudizio della corte. Questo può significare che
l'accusa non ritiene di avere dimostrato gli estremi della
premeditazione, che si tradurrebbe in pene massime di dieci
anni; peggio, che non è neppure convinta di avere dimostrato le
lesioni volontarie e l'omicidio preterintenzionale. Come ha ben
sottolineato la difesa, inoltre, non esiste nella giurisprudenza
belga il concetto di "reato collettivo". I gesti di alcuni
singoli, cioè, non possono essere "collettivizzati"; e quindi
non può esserci condanna per la causa principale dei decessi, il
soffocamento dovuto ai grandi spostamenti di folla, sebbene
questi siano stati a loro volta dovuti a gesti teppistici di
singoli individui. E se anche il giudice Verlinden indicherà
responsabilità civili per gli autorevoli personaggi che hanno
diviso con gli hooligans il banco degli accusati, mossa che
aprirebbe la via ai risarcimenti da parte delle compagnie
assicuratrici, pochi saranno gli strascichi penali. Per il
presidente e per il segretario dell'Uefa, Jacques Georges e Hans
Bangerter, nonché per il sindaco di Bruxelles Hervé Brouhon e
per l'assessore allo sport Vivianne Baro, è stata la stessa
accusa a chiedere l'assoluzione. Per gli altri imputati - il
segretario della federazione belga Albert Roosens e i due
gendarmi responsabili della sicurezza nello stadio, il maggiore
Michel Kensier e il capitano Johan Mahieu, tutti passibili di
pene massime di due anni - il pubblico ministero non ha fatto
una richiesta precisa: come per gli hooligans, si è rimesso alla
volontà della corte. Potrebbe davvero finire con tutti in
libertà, sia pure attraverso i benefici della condizionale. A
meno che l'esigenza di un capro espiatorio spinga all'esemplare
condanna di almeno una persona.
27 aprile 1989
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
APRILE 1989
Sentenza stamane per la strage di
Juve-Liverpool.
BRUXELLES - Un processo per la strage
dello stadio di Heysel si concluderà con la condanna di 14 dei
25 tifosi teppisti britannici. Questo l'annuncio che ha dato
stamani il presidente del tribunale, Pierre Verlinden, iniziando
la lettura delle conclusioni del procedimento. Gli altri 11
teppisti, i tristemente famosi "hooligans" a giudizio, saranno
assolti. Le richieste della pubblica accusa erano state: la
condanna di 15 teppisti e l'assoluzione, per non avere commesso
il fatto o per insufficienza di prove, di dieci di essi.
L'entità delle pene, ha detto il presidente del tribunale, sarà
annunciata in un secondo tempo, probabilmente nella tarda
serata. Si è potuto constatare alla lettura delle conclusioni
del processo che il tono del presidente nei confronti degli
imputati è stato estremamente duro e severo. Si sta esaurendo
così, dopo un lungo e travagliato periodo di indagini non sempre
condotte secondo quanto speravano e pretendevano i familiari
delle vittime, il primo atto di una delle più tragiche vicende
che abbiano funestato il mondo dello sport. Il dibattito
iniziatosi il 17 ottobre racchiude in 564 pagine la "verità" su
quella terribile serata del 29 maggio 1985 in cui morirono allo
stadio dell'Heysel 39 persone delle quali 32 italiane. Soltanto
il 9 settembre del 1987 gli hooligans furono trasferiti
dall'Inghilterra a Bruxelles e rinchiusi nel carcere di Leuven.
Ma la detenzione durò soltanto un mese, il 17 ottobre 1988 ebbe
finalmente inizio il processo che rischiò subito la paralisi
giacché i difensori degli hooligans chiesero che fossero lette
in aula tutte le 48 mila pagine agli atti. Per fortuna, il
presidente volle sfoltire la procedura, ma lo scorso 13 febbraio
vi fu un nuovo colpo di scena. Dopo le arringhe dei difensori,
il procuratore del re chiese due assoluzioni con formula piena e
8 con formula dubitativa per gli imputati inglesi e per gli
altri 15 condanne a discrezione della corte. Inoltre, chiese
l'assoluzione per l'Uefa e per la città di Bruxelles
individuando solo nel capitano della gendarmeria Mahieu e nel
segretario dell'Unione belga Roosens eventuali responsabili.
Questa mattina alle ore 9, il presidente del tribunale ha dato
inizio alla lettura della sentenza che continuerà per tutta la
giornata di oggi. In aula oltre agli imputati, erano presenti
150 giornalisti provenienti da tutto il mondo (una decina
dall'Italia).
28 aprile 1989
Fonte: Stampa Sera
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APRILE 1989
di Daniele Mastrogiacomo
BRUXELLES - Nessuna vendetta, chiediamo
solo giustizia. Lidia e Salvatore Mastroiaco parlano con un filo
di voce. Si tengono per mano, gli occhi lucidi, sconvolti da una
tragedia immensa. La sera del 29 maggio 1985 il loro figlio
Gianni era lì, nel settore Z della curva allo stadio di Heysel.
Era partito da Rieti con un gruppo di amici. "C'era la Juve,
finale della Coppa dei Campioni - ricordano. Era un ragazzo
felice, spensierato. Non lo abbiamo più visto, l'ha ucciso la
furia degli hooligans. Una violenza senza ragione, bestiale,
immotivata... Cosa ci aspettiamo ? Solo giustizia. Vogliamo che
venga punito chi ha assassinato nostro figlio". Sul DC9 Alitalia
diretto a Bruxelles rabbia e speranza dominano i racconti. A
bordo ci sono una trentina di parenti dei 32 italiani morti dopo
l'assalto dei red del Liverpool. Madri e padri che hanno perso i
loro cari. Mogli rimaste improvvisamente vedove. Sguardi spenti
che si perdono nel vuoto. Stamani saranno tutti lì, nella grande
aula del tribunale del Palais de Justice di Bruxelles, per
ascoltare il verdetto della corte chiamata a giudicare 32
imputati del massacro di Heysel. Dai 25 supporter del Liverpool
(la posizione di un tifoso è stata stralciata perché in galera
in Inghilterra), inchiodati dalle riprese Tv, a Jacques Georges
e Hans Bangerter, presidente e segretario della Uefa. Da Hervé
Brouhon, sindaco di Bruxelles, a Vivianne Baro, assessore allo
sport, ad Albert Roosens, segretario dell'Unione calcio belga, a
Michel Kensier e Johans Mahieu, rispettivamente maggiore e
capitano della Gendarmerie, entrambi responsabili del servizio
d'ordine allo stadio della città. Saranno presenti anche gli
avvocati di parte civile. Uno stuolo di legali, deciso e
combattivo. Per tutti questi mesi hanno seguito le udienze del
dibattimento, incalzando la corte con una serie di richieste.
Per tutti parla l'avvocato Bruzio Pirroncelli, del Foro di Roma.
Da questa sentenza ci aspettiamo ben poco, ammette. Gli
hooligans, probabilmente, saranno assolti per insufficienza di
prove. Ma quello che non riusciamo ad accettare è l'assoluzione
del responsabili della Uefa. Loro hanno organizzato l'incontro,
loro hanno incassato l'83 per cento degli introiti, loro hanno
svolto un ruolo determinante in tutta la vicenda. Ci aspettiamo
la condanna dell'Unione calcio belga e dei responsabili del
servizio d' ordine. Interviene Otello Lorentini, 54 anni. E' il
presidente dell'associazione che raccoglie i familiari delle
vittime di Heysel. Nello stadio della morte ha perso un figlio,
Roberto. Una tragedia nella tragedia. Si era salvato dalle
cariche bestiali degli hooligans. Ma, in quanto medico, era
tornato indietro per assistere i feriti. La seconda carica lo ha
travolto. Il padre non si dà pace: Come faccio a dimenticare
quella gente ? Io li ho visti, con i miei occhi. Ci aggredivano
con violenza, con rabbia. Armati di spranghe, di bastoni, di
pietre, ci spingevano verso il muro. Li ho visti picchiare,
sputare, lanciare in aria, in segno di spregio, i documenti e
gli oggetti personali dei feriti e dei moribondi. Adesso ci
chiedono di perdonare, come la Candy, che sponsorizza la squadra
del Liverpool... No, purtroppo, non ce la sentiamo di perdonare.
E' ancora troppo presto. Il massacro di Sheffield forse avrà
insegnato loro qualcosa. Avranno finalmente capito cosa si prova
quando si muore in modo così assurdo"... Ma la requisitoria del
Pubblico ministero, Pierre Erauw, ha spianato la strada verso un
verdetto mite. Gli hooligans hanno continuato a gridare la loro
innocenza. I filmati, acquisiti agli atti del processo, mostrano
due, tre giovani che brandiscono dei bastoni e lanciano alcune
pietre. Prove che, per la pubblica accusa, sono insufficienti
per incastrare i responsabili. E, motivo determinante, per
accogliere la tesi della premeditazione. Alla fine, ha chiesto
l'assoluzione per otto hooligans, e la condanna per altri
quindici. Nessuno azzarda previsioni. Anche se molti sono
convinti che l'unico a pagare il prezzo della strage sarà il
capitano della Gendarmerie, Johans Mahieu. Era la sua prima
esperienza di ordine pubblico allo stadio ed in aula ha ammesso
che i walkie-talkie della polizia non erano muniti di batterie.
In questo clima di generale indifferenza, creato da una città
che vuole rimuovere e dimenticare l'incubo di un assurdo
massacro, i parenti delle vittime si aggrappano all'ultima
speranza. La speranza di una condanna che apra la strada verso
il risarcimento.
28 aprile 1989
Fonte: La Repubblica
ARTICOLI STAMPA
APRILE 1989
Indizi confusi e giuridicamente dubbi:
dei 32 imputati (25 hooligan) nessuno rischia condanne troppo
dure. L'ombra della tragedia di Sheffield. Solo la recente
strage in Inghilterra ha in parte ravvivato l’interesse per una
vicenda che dura dal luglio ’86.
Heysel, una sentenza piccola piccola ?
di Paolo Soldini
Tre anni e undici mesi dopo quella
maledetta sera del 29 maggio 1985, sulla strage dello stadio di
Heysel (39 morti, travolti dalla furia scatenata dei tifosi del
Liverpool) cala il sipario della giustizia. Oggi il tribunale di
Bruxelles emetterà la sentenza di un processo che dura, ormai,
dal luglio dell'86. Dei 92 imputati nessuno rischia condanne
troppo dure.
DAL NOSTRO
CORRISPONDENTE. BRUXELLES - Per leggere la sentenza, si prevede,
il presidente del tribunale Pierre Verlynden impiegherà diverse
ore, per dar tempo agli interpreti di tradurla. Ma tanta
lentezza non rischia davvero di rovinare la "suspense": dalla
conclusione del processo per la tragedia di Heysel nessuno si
aspetta fatti sconvolgenti, né giustizie esemplari. Dei 32
imputati, 25 "hooligan" britannici (all'inizio erano 26, poi la
posizione di uno è stata stralciata perché è già condannato, per
altri motivi, in patria), due ufficiali della gendarmeria belga,
l'ex segretario dell’Unione calcistica belga, il presidente e il
segretario generale della Uefa, il borgomastro e l'assessore
allo Sport della città di Bruxelles, nessuno rischia più di
tanto. Gli elementi a carico dei teppisti, identificati sulla
base delle riprese televisive, sono abbastanza confusi e
giuridicamente dubbi, al punto che lo stesso pubblico ministero,
nel corso del dibattimento, ha messo in Iuce il fatto che per
molti regga l'imputazione di omicidio preterintenzionale. L'Unione
calcistica belga e la Uefa rischiano al massimo una condanna
simbolica e pro-forma, che servirebbe solo a permettere alle
assicurazioni di pagare (chissà quando) il premio alle famiglie
delle vittime e ai feriti di quel 29 maggio. Il borgomastro e
l'assessore allo sport di Bruxelles sono già, praticamente,
usciti dal processo: "puliti", come si dice. L’unico che ha da
temere, fra gli imputati belgi, è il capitano della gendarmeria
Johan Mahieu, che quella sera maledetta era "responsabile"
dell'ordine pubblico all’Heysel e sbagliò tutto. "Fino ad allora
- si è giustificato al processo - non avevo mai messo piede in
uno stadio"... Il suo superiore diretto, il maggiore Michel
Kensier, invece, ha ottime probabilità di passarla liscia; Il
principio delle responsabilità di chi comanda, in questa
tristissima storia, non ha mai contato molto. Fin dall’inizio,
quando, poche ore dopo la strage, il ministro degli interni
Charles-Ferdinand Nothomb a chi gli chiedeva le dimissioni
rispose: "E perché mai ? lo che c’entro ?". È ben difficile,
insomma, che i parenti dei 32 morti di Heysel, una trentina,
attesi a Bruxelles per stamani, scioperi aerei permettendo,
possano aver almeno la consolazione di veder fatta giustizia.
D'altronde, nonostante l'impegno dei legali di parte civile,
coordinati dall’avvocato italo-belga Daniel Vedovatto, il
processo aveva preso un andamento discutibile fin dalle prime
battute. Per ottenere l'estradizione dei 26, poi diventati 25,
"hooligans" riconosciuti nelle riprese tv, le autorità belghe
avevano impiegato mesi e mesi. Poi, in base ad accordi mai
chiariti del tutto con il governo di Londra, li aveva sistemati
in prigioni di tutto comodo (il che provocò addirittura la
rivolta dei detenuti "normali" in due carceri di Bruxelles) e
quindi rilasciati su una serie di cauzioni che non si sa chi
abbia, alla fine, pagato. La prima apertura del procedimento, il
2 luglio dell’86, fu una specie di finta giuridica: gli atti,
oltre 50 mila pagine, che il tribunale pretendeva che venissero
pagate, e a peso d’oro, erano del tutto sconosciuti agli
avvocati, cosicché fu necessario un rinvio di oltre due anni,
fino all'ottobre dell‘88. Tra le schermaglie legali e le
lungaggini, il dibattito aveva finito per perdere ogni interesse
e la fiducia che arrivasse a una conclusione significativa si
era ben presto persa. Dalle udienze, a poco e poco, scomparivano
i vestiti a lutto dei parenti delle vittime e i giornali
relegavano la cronaca nelle pagine interne. La tragedia di
Sheffield ha riacceso l'attenzione su una storia che cominciava
a divenire "lontana" nel tempo e, soprattutto, nelle coscienze.
Resta da chiedersi se quello che è successo nello stadio
inglese, la ripetizione di una follia che dopo Heysel era
sembrata davvero irripetibile, influirà in qualche modo sulla
conclusione del processo di Bruxelles. Ma c’è da dubitarne.
28 aprile 1989
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA
APRILE 1989
Sedici condannati e sei assolti.
Riconosciuta la responsabilità della Federcalcio belga ma non
dell’Uefa. Duri commenti dei parenti delle vittime.
Strage archiviata. Assoluzione per i
padroni del pallone. Sedici condanne e sedici assoluzioni; tre
anni di reclusione con la condizionale per 14 dei 25 teppisti
britannici individuati tra la folla; pene minori per due degli
accusati belgi; negata ogni responsabilità dell’Uefa. Il
processo per la strage dell’Heysel si è chiuso ieri con una
sentenza che lascia l'amaro in bocca. Quattro anni dopo, nessuno
dei responsabili di quella follia è in carcere.
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE. BRUXELLES -
Delle meticolose misure di sicurezza dispiegate il 17 ottobre
scorso, quando il processo per la strage dell'Heysel si era
aperto (o, meglio, riaperto, dopo una prima falsa partenza) sono
rimasti il "metal detector" all'ingresso dell'aula e un cordone
di poliziotti annoiati. Il grande processo alla follia della
violenza negli stadi non eccita più gli animi, e da un bel po'
di tempo. Sotto la cupola enorme del palazzo di giustizia di
Bruxelles, che dovrebbe simboleggiare nel suo neoclassico "kitsch" la sacralità della Giustizia, si affollano giornalisti
e cameramen, ma di curiosi, stavolta, non ce ne sono molti. Di
avvocati, sì, invece, in tocco e toga e sir Henry Livermoore, il
super patron degli accusati inglesi, anche con la parrucca in
testa, come si usa a casa sua. Tanti avvocati perché questo è un
processo difficile, molto "tecnico", come dice chi se ne
intende, e senza precedenti, almeno in Belgio: 50 mila pagine di
atti istruttori, elementi di prova inediti, come le riprese tv
che hanno permesso di identificare 26 persone (su quanti:
cinquecento, mille ?) "nella massa scatenata che quella sera,
tre anni e 11 mesi fa, travolse la tribuna "Z" e lasciò per
terra 39 morti, un complicato intreccio di elementi penali ed
elementi civili, i risarcimenti per i sopravvissuti e i parenti
delle vittime… Quando il presidente della Corte Pierre Verlynden
comincia, verso le 10 del mattino, a leggere la sentenza, le
ultime curiosità si sono già spente. Come finirà questo processo
"esemplare", più o meno già si sa. A fugare le ultime
incertezze, il giudice Verlynden ha fatto discretamente sapere
in giro che la sua sentenza era pronta da tempo, da prima, per
intenderci, del nuovo massacro della "guerra degli stadi",
quello di Sheffield, che così qualcuno aveva pensato avrebbe
potuto influire sul giudizio. Solo dalle file in cui si sono
raggruppati i parenti dei morti, le vedove con il nero del
lutto, le madri, i padri, i fratelli viene ancora qualche segno
di passione, scambi di occhiate inquiete, qualche parola a bassa
voce, qualche messaggio per gli avvocati di parte civile. Più
avanti, dove sono seduti i 32 imputati, l'atmosfera è distesa:
nessuno rischia troppo. E tutti già lo sanno. Pian piano, in
francese prima e in inglese poi, si sgranano le cifre della
sentenze. Undici degli accusati inglesi sono assolti: la Corte
non ha potuto provare nessuna particolare colpevolezza, pur se
li ha riconosciuti tutti nella massa inquadrata dalle telecamere
quella sera maledetta. Assolto il maggiore Michel Kensier, che
quella sera dirigeva dal suo ufficio le operazioni della
gendarmeria dentro e intorno allo stadio: non ha sbagliato
nulla, secondo il tribunale, e una responsabilità particolare,
per chi risponde dell'operato dei propri sottoposti, non esiste,
evidentemente. D’altronde, neppure il ministro degli Interni del
tempo, Charles Ferdinand Nothomb, sentì il dovere di dimettersi
(figuriamoci) e neppure di scusarsi... Assolta anche l'Uefa,
nelle persone del presidente Jacques George e del segretario
generale Hans Baugerter. L’idea di far giocare una partita "calda" come la finale della Coppa dei Campioni fra il Liverpool
e la Juventus in uno stadio per niente attrezzato come quello di
Bruxelles fu certo un errore, ma non è una colpa, secondo la
giustizia belga. Assolti e questo era previsto fin dall’inizio
anche il borgomastro di Bruxelles Hervé Brouhon e l’assessore
allo sport Viviane Baro. La signora Baro, la sera del 29 maggio
'85, era anche lei allo stadio, ma se ne andò quando
cominciarono gli incidenti. Non aveva visto, non sapeva che le
tribune dell’Heysel erano insicure, una trappola nel caso di
scontri fra tifosi o di aggressioni. Ed ecco le condanne.
Quattordici dei 26 teppisti chiamati in giudizio (la posizione
di uno è stata poi stralciata perché sconta già una pena in
patria) sono stati riconosciuti colpevoli di colpi e lesioni
tali da provocare la morte e condannati a tre anni di reclusione
con sospensione condizionale della metà della pena per un
periodo di cinque anni. Significa un anno e mezzo di carcere a
meno che, nel corso dei prossimi cinque anni, e qui in Belgio,
non vengano condannati per qualche altro reato penale. A
quell'anno e mezzo vanno tolti sei mesi, già scontati di
carcerazione preventiva. Ma anche i dodici mesi che restano è
molto, molto difficile che li debbano trascorrere davvero in
prigione. Il pubblico ministero Pierre Erauw avrebbe dovuto
chiedere l'ordine d'arresto, e fino a ieri sera non lo aveva
fatto. E dei quattordici condannati britannici, alla riapertura
dell'udienza del pomeriggio, nell'aula del processo non restava
che la memoria e la preoccupazione di un'avvocatessa belga che
aveva visto sparire il suo cliente e, probabilmente, la
parcella. In teoria i 14 potrebbero essere riestradati in
Belgio, ma chi ci crede ? Tanto per confermare l'impressione
che, anche in questo caso, la giustizia sia particolarmente
severa solo con i pesci piccoli, il tribunale, che ha assolto il
suo diretto superiore, ha condannato invece 9 mesi con la
condizionale e una fortuna in indennizzi alle parti lese per il
maggiore della gendarmeria Johan Mahieu che quella sera era sul
posto. E l’ex segretario dell'Unione calcistica belga Albert
Roosens che si è preso sei mesi con la condizionale sacrificato
sull’altare della necessità di considerare comunque responsabile
l'Unione in modo da assicurare una "parte solvente" per i
risarcimenti civili. L'udienza del mattino si conclude ed è il
momento, amaro, dei commenti: "Volevamo una sentenza esemplare e
non l'abbiamo avuta" dice Otello Lorentini, che all’Heysel ha
perso un figlio e dirige l’associazione dei parenti delle
vittime – quindi che vuole che dica ? Siamo delusi. Avrebbero
almeno dovuto condannare l'Uefa: sono i dirigenti del calcio
internazionale che hanno sbagliato allora e che potrebbero
sbagliare ancora". "Una sentenza deludente - aggiunge Marilena
Fabbro che ha perso il marito - non cercavamo vendetta, ma
giustizia quella sì, ci era dovuta". Poche ore più tardi
comincia la lettura del dispositivo civile della sentenza: i
risarcimenti e gli indennizzi per i morti e i feriti. Il
presidente spiega chi e quanto deve pagare, e a chi e perché in
una contabilità crudele, che stabilisce quanto "valga" un morto,
quanto si debba "pagare" un lutto, o il dramma di chi porta
ancora sul corpo o nella mente le ferite di quella sera
maledetta. A pagare saranno, probabilmente le assicurazioni e
l'Unione calcistica perché gli accusati britannici non sono "solvibili". Si tratta di povera gente. E anche questo è un
aspetto amaro della storia dell’Heysel che arriva alla sua fine.
29 aprile 1989
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA
APRILE 1989
Tutti fuori, nessuno paga per i morti
dell’Heysel
di Paolo Soldini
Sedici assoluzioni e sedici condanne,
ma nessuno è in carcere, e nessuno probabilmente ci andrà, per
la strage dello stadio di Heysel che costò la vita, il 29 maggio
di quattro anni fa, a 39 persone. Il Tribunale di Bruxelles ha
condannato 14 "hooligan", ma ha assolto i dirigenti del calcio
internazionale e le autorità belghe che della follia di quella
sera portano responsabilità non facili da dimenticare.
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE. BRUXELLES -
"Volevamo una sentenza esemplare e non l'abbiamo avuta". Otello
Lorentini nella tragedia del Heysel ha perso un figlio, ed è
presidente dell'associazione dei parenti delle vittime: il suo
commento vale più di ogni altra spiegazione sul significato
della sentenza con cui ieri si è concluso il lungo e difficile
processo per la strage del 29 maggio dell'85. Trentanove morti
(trentadue italiani), uccisi sulle gradinate dello stadio di
Bruxelles dalla furia dei teppisti del Liverpool, ma anche
dall'insipienza, dagli errori e dalla irresponsabilità di chi
avrebbe dovuto impedire che una simile tragedia avvenisse:
l'Uefa, che aveva organizzato la finale della Coppa dei
Campioni, Juventus-Liverpool, in uno stadio manifestamente
inadatto; la gendarmeria belga, che non seppe mantenere
l’ordine; le autorità di Bruxelles, che non si erano "accorte"
che l'Heysel era in realtà una trappola pericolosa. La sentenza
punisce solo una parte dei colpevoli, lascia la sensazione amara
che i morti di Heysel non abbiano diritto alla giustizia e il
dubbio inquietante che il fenomeno della violenza negli stadi
(riesploso in forma ancor più tragica a Sheffield) possa
continuare a sfuggire ai principi di responsabilità che regolano
la vita civile. Dei condannati i 14 teppisti, un ufficiale della
gendarmeria e il segretario dell'Unione calcistica belga nessuno
è in prigione e nessuno, probabilmente, ci andrà mai.
Riconosciuti colpevoli di "colpi e lesioni tali da provocare la
morte", sono stati condannati a tre anni di reclusione con
sospensione condizionale di metà della pena per un periodo di
cinque anni. Un anno e mezzo di carcere; quindi, e in Belgio, a
condizione che entro i prossimi cinque anni non vengono
condannati per altri reati nello stesso territorio belga. I
britannici se ne sono tornati a casa prima ancora che fosse
finita la lettura della sentenza ed è molto improbabile che
vengano in futuro rinviati in Belgio. Gli altri due
beneficeranno della condizionale. Per quanto riguarda i
risarcimenti e gli indennizzi per i morti e per i feriti, si
incaricheranno probabilmente le assicurazioni e l'Unione
calcistica, dal momento che gli accusati britannici non sono "solvibili".
29 aprile 1989
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA
APRILE 1989
di Alfio Bernabei
LONDRA - C'è grande sollievo a
Liverpool e in tutta l’Inghilterra dopo la sentenza pronunciata
ieri a Bruxelles. Il segretario all'Interno Douglas Hard si è
dichiarato soddisfatto del verdetto. "Il governo venne criticato
quando decidemmo di permettere l'estradizione dei tifosi in
Belgio, ma ora gli eventi hanno provato la giustezza della
nostra posizione. Il sistema giudiziario belga è diverso dal
nostro, ma nel complesso tutto si è svolto secondo le regole".
Alla domanda se consentirà l'estradizione dei quattordici tifosi
che sono stati condannati nel caso le autorità belghe decidano
di procedere alla loro incarcerazione, Hurd ha risposto: "È
troppo presto per dare una risposta. Probabilmente ci sarà un
appello. Vedremo". Anche a Downing Street dove la Thatcher
proprio oggi ha ricevuto Ciriaco De Mita l'impressione è che le
cose siano andate secondo i piani. Il premier è riuscito a
dimostrare agli altri paesi della Comunità che quando si tratta
di hooligan non c’è protezione che tenga. Se un tribunale
straniero li vuole, deve averli, affinché venga fatta giustizia.
Ma il sollievo negli ambienti governativi è anche dovuto al
fatto che la natura della sentenza non crea problemi a livello
diplomatico tra i due paesi. Anche sir Harry Livermoore,
l'avvocato di Liverpool che ha difeso alcuni degli imputati, si
è dichiarato soddisfatto. In passato aveva criticato le
procedure legali belghe trattandole come inferiori a quelle
britanniche tanto da sollevare dubbi sulla possibilità di
un'equa sentenza. "Le assoluzioni sono ok. Mi pare però che una
condanna alla prigione dopo che sono trascorsi quattro anni
dagli avvenimenti, sia un po’ forte. Allo stesso tempo devo dire
che, se fossero stati processati in Gran Bretagna, le cose
sarebbero andate peggio". Ha confermato che ci sarà un appello
entro i prossimi quindici giorni. "Anche se non lo chiediamo
noi, lo chiederanno i rappresentanti degli altri imputati belgi
che sono stati condannati. Speriamo solo che questo non ci
riporti indietro creando complicazioni per i nostri giovani.
Hanno sofferto abbastanza". Uno degli imputati che non è andato
a Bruxelles per ascoltare la sentenza ha dichiarato: "Sono stato
trattato ottimamente dalle autorità belghe. La sentenza è
giusta". Ma una reazione completamente diversa è venuta da un
tifoso presente alla lettura del verdetto. Si è alzato ed è
uscito quasi di corsa senza aspettare di conoscere la sentenza
e, scontrandosi coi cameramen inglesi, ha gridato: "È caos
completo, tutto il processo è stato un caos". La frase è servita
a ricordare che lo scorso anno questa definizione venne usata da
quasi tutti i tifosi, dai loro avvocati e dalla maggior parte
dei media britannici per indicare la loro mancanza di fiducia
nella giustizia belga. Secondo un loro imputato, Alan Woodray,
"il processo è stato preordinato e la sentenza non è venuta dal
giudice, ma da qualche altra fonte". John Smith, dirigente del
Liverpool Football Club, ha dichiarato; "Spero che ora si sia
giunti alla fine di questa storia. Si è protratta troppo a lungo
ed è tempo che le cose tornino alla normalità". La sentenza era
attesa con particolare ansia a Liverpool e a Sheffield dove
proprio ieri sono iniziati i lavori dell'inchiesta per stabilire
le responsabilità della tragedia di Hillsborough dove
hooliganismo, cattiva organizzazione e deficienze nelle misure
di sicurezza dentro e fuori lo stadio, hanno causato la morte di
novantacinque tifosi.
29 aprile 1989
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA
APRILE 1989
di Michele Serra
Non saranno molto soddisfatti, i
parenti delle vittime di Bruxelles, di questa sentenza blanda
seguita a un'istruttoria pigra. Ci si chiede quale
"soddisfazione giudiziaria", e insomma quanti anni di galera, ci
vorrebbero per lavare una macchia di dolore così indelebile
perché così stupida e inutile. Gli hooligans se la cavano a buon
prezzo; anche nel loro caso, del resto, nessun castigo
sembrerebbe in grado di ricondurli alla ragione, visto che
neppure i cento morti di Sheffield (quasi tutti tifosi del
Liverpool) sono serviti a placare i gruppetti di potenziali
assassini che riempiono gli stadi d’Europa. La sentenza di
Bruxelles (imperdonabile per la pilatesca decisione di non
coinvolgere nemmeno da lontano i capoccioni dell'Uefa, che
decisero di assegnare a uno stadio pateticamente vecchio e
insicuro una finale "calda" come Liverpool-Juventus) attribuisce
almeno la responsabilità civile dell'eccidio alla Federcalcio
belga. Cosa che consentirà ai parenti delle vittime,
probabilmente, di ottenere lo straccio di un risarcimento. Ma è
scandaloso, per tutti gli uomini di buona volontà, che i padroni
del calcio (coloro, per entrare nel merito, che ci mangiano
sopra e sul pallone ritagliando fette di potere) continuino a
godere di una sostanziale impunità per tutto ciò che dentro al
calcio accade.
29 aprile 1989
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA
APRILE 1989
Le reazioni a Torino
"È tutta una presa in giro.
Come al solito i veri colpevoli non pagano"
di Tullio Parisi
TORINO -
Una sentenza che ha lasciato sconcertati. Quattordici condanne
per la strage dell'Heysel, tutti hooligans. Altri undici
teppisti liberi, nessuna pena per i poliziotti e le autorità
belghe. A Torino sono stanchi di ripetere le stesse cose. La
fiducia nella giustizia belga era già venuta meno in questi
quattro lunghi anni di attesa. Nessuno si illudeva più di tanto,
come aveva detto Scirea in questi giorni, facendosi portavoce di
una sensazione generale. Il presidente della Juve, Giampiero
Boniperti, ha detto: "Come sempre, purtroppo, si è rivelato
estremamente difficile individuare e colpire i responsabili.
Condivido e capisco l'amarezza dei parenti delle vittime.
Nessuna sentenza avrebbe mai potuto ripagarli, né restituire
loro gli affetti che hanno perso". Ma le loro reazioni
autentiche non lasciano dubbi sui sentimenti con cui la notizia
della sentenza viene accolta. Tiziana Russo, vedova del marito
Domenico, si era già espressa pessimisticamente in altre
circostanze. È ancora l'amarezza che sgorga dalle sue parole: "Non è che la logica conclusione dei fatti di questi anni. Prima
il tentativo di insabbiare tutto, poi i rinvii e adesso la
sentenza che è una presa in giro. Non si capisce perché i
colpevoli siano solo i teppisti e perché, fra loro, una parte
sia meno colpevole". Carlo Duchene, pinerolese, fu preso a
sprangate da James Mcgill, tifoso del Liverpool. Rimase
invalido, mentre l'inglese se la cavò con 40 mesi di carcere e
una multa di 5 milioni di franchi. "Avrebbe dovuto restare in
prigione per tutta la vita - dice Duchene. Ora sono diventato
anche più cattivo di allora, il calcio non mi interessa più, è
finito tutto quella sera nel settore dell'Heysel. La sentenza
conferma l'atmosfera che c'era al processo: gli avvocati degli
hooligan" hanno avuto il coraggio di accusare gli italiani.
Ormai si va allo stadio par sfogarsi, non più per divertirsi.
Isabella Landini, nipote di Gioacchino Landini, perito
all’Heysel, va controcorrente, solo per affermare l'angoscia
accumulata e per testimoniare uno stato d'animo vicino alla
rassegnazione: "Pensavamo peggio. Dopo tutti i rinvii, gli
insabbiamenti, il minimo che ci si poteva aspettare era una
manciata di assoluzioni. E’ vero, le pene non sono state né
severe, né distribuite con equità. Non vedo nomi di poliziotti o
di autorità tra i condannati. Eppure la polizia non ha fatto
niente per evitare il massacro, anzi, respingeva la folla che
cercava di scappare. Gli hooligans non sono stati i soli
responsabili. E poi, perché punirne solo una parte ? La follia
collettiva è stata responsabilità di tutti". Per lei,
diciannovenne, sarà un po’ più facile dimenticare. Per suo
padre, no. "Non bisogna fare di tutte le erbe un fascio: e la
mia famiglia ha cercato di mantenere il senso della giustizia
senza odiare indiscriminatamente tutti. Ma rimarrà sempre un
senso di profonda ingiustizia fuori, quando ti presenti agli
occhi della gente e non puoi nascondere il peso che ti si legge
in viso".
29 aprile 1989
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA
APRILE 1989
Giampiero Boniperti, presidente della
Juventus, ha così commentato la sentenza di Bruxelles
sull'Heysel: "Purtroppo si è rivelato molto difficile, come
spesso accade, individuare e colpire i responsabili. Anche se la
tragedia dell'Heysel è stata così atroce, da lasciare in tutti
noi una ferita profonda, che non potrà rimarginarsi facilmente.
Non abbiamo elementi sufficienti per giudicare con serenità e
competenza, la giustizia ha fatto il suo corso, però capisco e
condivido l'amarezza dei parenti delle vittime: nessuna sentenza
avrebbe mai potuto ripagarli, né restituire loro gli affetti che
hanno perso per una assurda follia collettiva che è difficile,
realisticamente, imputare soltanto a pochi teppisti". In Gran
Bretagna la sentenza ha scatenato la protesta delle famiglie dei
tifosi condannati. "Sono disgustata - è la reazione di Gillian
Evans, moglie di uno dei 14 tifosi del Liverpool indicati come
colpevoli dalla corte belga - ancora una volta siamo stati
trattati come capri espiatori. Questa non è giustizia". Joan
Hurst, a capo di un'associazione di solidarietà fra le famiglie
degli accusati, si è detta "addolorata per le mamme dei
condannati. Questa sentenza scarica addosso alle famiglie un
ulteriore carico di pressioni e problemi dopo che hanno già
sofferto cosi tanto". Il presidente del Liverpool, John Smith,
ha detto: "Processo è durato fin troppo, spero che sia l'epilogo
di questo sconvolgente disastro. Ora potremo ritornare il più
presto alla normalità". Il portavoce laborista Barry Sheerman ha
detto alla Bbc: "Se qualcuno va all'estero per commettere reati
di violenza e di aggressione è lecito che si aspetti di essere
portato davanti ad un tribunale nel Paese dove ha commesso il
crimine". r. s.
29 aprile
1989
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
APRILE 1989
I parenti delle vittime e gli scampati reagiscono con
sdegno alla sentenza sull'Heysel
"Anche la legge ha perso la sua
partita"
di Ezio Mascarino
"E le responsabilità degli
organizzatori ?" - si chiede Carlo Duchene che rimase in coma
per 27 giorni. "Non volevamo vendette, non abbiamo avuto
giustizia" dice Otello Lorentini che perse il figlio. "Provo gli
stessi sentimenti di allora" confessa Tiziana Russo, che non
rivide, più il marito.
TORINO - La disperazione e la rabbia di
quei giorni si sono stemperate, ma tutti dicono: "Volevamo
giustizia e non c'è stata; siamo delusi, e sconfitti". Carlo
Duchene ha oggi 38 anni. Il 29 maggio 1985 fu preso a sprangate
da un tifoso del Liverpool mentre già era lontano dallo stadio:
"Mi aggredì alle spalle, ma io non ricordo più nulla. Ho ancora
in mente l'eco festosa della tifoseria italiana, lo sventolare
delle bandiere. Poi tutto è confuso. Non voglio più pensare,
altrimenti impazzirei". Rimase in coma per 27 giorni, poi si
riprese; la moglie dice: "Un miracolo". Abitavano a Pinerolo,
nel Torinese; da un mese la famiglia si è trasferita a
Bordighera, un negozio di parrucchiere nel centro, due passi dal
mare. "Mi aiuta Yvette, mia moglie; Claude, nostra figlia, ha 11
anni. Se sono vivo debbo molto a lei". Non c'erano più speranze,
i medici di Bruxelles suggerirono di far sentire a Carlo Duchene
la voce della figlia, registrata su un nastro. Lui ora mormora:
"Sento ancora quelle parole, anelli di una catena che mi ha
ancorato alla vita". Sulla sentenza dice: "Troppe assoluzioni,
pare che nessuno abbia colpe, solo i teppisti, coloro che
materialmente ci hanno aggrediti. E le responsabilità degli
organizzatori ? No, non chiedetemi un giudizio: io sono vivo,
molti hanno perso mariti, figli, parenti. Loro, solo loro, hanno
diritto a parlare". Otello Lorentini è presidente
dell'Associazione parenti delle vittime: ieri è uscito dal
tribunale a capo chino: "Avremmo voluto una sentenza esemplare,
siamo profondamente delusi". All'Heysel ha perso il figlio. "Lo
so, lo sappiamo, nessuna sentenza avrebbe potuto restituirci i
nostri cari. Non volevamo vendette, ma non abbiamo avuto
giustizia". Una "giustizia" che invocava anche Carola Bandiera
Landini. Abita a Torino in via (omissis), quel giorno all'Heysel
ha perso il marito. Ieri mattina era in aula. E' una donna
timida, ha portato i figli. Monica ed Andrea. Aveva detto ai
vicini, chiudendo casa: "voglio esserci, voglio guardare negli
occhi i giudici, voglio capire e sapere perché Gioacchino, mio
marito, è morto". E' uscita dall'aula del tribunale con gli
occhi gonfi di lacrime: chissà se ha saputo, se ha capito. A
Bruxelles doveva andare anche Tiziana Russo. 30 anni, abita a
Moncalieri, all'Heysel perse il marito Domenico. In quelle ore
drammatiche, quando le prime notizie rimbalzavamo confuse e
contraddittorie, aveva "rifiutato" l'ipotesi che il marito fosse
tra le vittime. I parenti: "Capitela, è incinta al settimo mese,
come può essere così sfortunata ? Continua a ripetere che
Domenico è vivo". Poi la bara dal Belgio, le corone dei fiori,
il cordoglio della città. "Eravamo felici per il bimbo che
doveva nascere, lui non voleva andare, "non ti lascio ", diceva;
fui io ad insistere. La morte lo attendeva in quello stadio".
Anche lei dai magistrati di Bruxelles aspettava "solo giustizia,
ma non basta punire solo qualche tifoso: ci sono le
responsabilità degli organizzatori. dell'Uefa, di chi ha venduto
biglietti per una zona riservata agli inglesi. Sono passati
quattro anni, provo gli stessi sentimenti di allora: dolore,
rabbia". Per non rivivere quei momenti, per non ritrovarsi in un
incubo, Marco Manfredi, 44 anni, dipendente dell'ospedale Santa
Croce di Moncalieri ha preso qualche giorno di ferie ed è
fuggito a Massa, in casa di parenti. "Voglio essere lasciato in
pace, non voglio neppure sapere", ha detto ai colleghi di
lavoro. Era in quello stadio, riuscì a scappare: come, rimarrà
sempre un mistero. Si perse, girovago per una settimana, finì in
Francia, rientrò in Italia e fu trovato da un amico a Torino.
Era in stato confusionale, di quei momenti ha ricordi vaghi,
confusi: un "buco nero". Si è ripreso, lavora sempre in
ospedale. "Ma è cambiato" - dicono i compagni.- "Parla, ride, ma
ogni tanto gli occhi si appannano, fissi nel vuoto, in quel
vuoto durato sette lunghi giorni". Delusione, profonda delusione
per la sentenza dei giudici di Bruxelles. "Eppure - sono ancora
parole di Carlo Duchene - bisogna trovar la forza per perdonare.
Ma anche fare di tutto per impedire che quei momenti debbano
ripetersi". Lui, strappato alla morte dalle parole della figlia
incise su un nastro, ha seguito per televisione quanto è
accaduto a Sheffield, altri 95 tifosi massacrati in uno stadio:
"Mi sono sentito lì tra loro: qualcuno mi spingeva, stavo
cadendo, sono caduto, mi hanno calpestato. Ancora, come quel
giorno, quattro anni fa".
29 aprile
1989
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
APRILE 1989
Condannati, ma con la condizionale, i tifosi che causarono 39
morti
Per la strage dell'Heysel nessuno
finisce in carcere
Assolti Comune di Bruxelles e Uefa. I
parenti delle vittime: "I nostri figli si sono uccisi da soli
?".
BRUXELLES - Nessuno in carcere per la
strage dell'Heysel. Così hanno deciso i giudici nel processo di
primo grado, la cui sentenza è stata letta ieri. I parenti dei
39 tifosi uccisi nel vetusto stadio di Bruxelles chiedevano
giustizia. "Ma questa sentenza è un'offesa" hanno detto alla
fine. Molti ricorreranno in appello, ma intanto oggi torneranno
in Italia "con il cuore pieno di tristezza. Così sembra proprio
che i nostri figli si siano uccisi da soli", come dice scuotendo
il capo Otello Lorentini, presidente dell'Associazione
famigliari delle vittime dell'Heysel. "Volevamo una sentenza
esemplare, ma non l'abbiamo avuta. Siamo delusi". La lettura
della sentenza per la strage prima di Liverpool-Juventus prende
sei ore abbondanti. E riserva qualche sorpresa. Le previsioni
della vigilia facevano temere ancor peggio. Soprattutto per gli
hooligans, nei confronti dei quali si parlava di un'ampia
assoluzione. Non è stato proprio così. Pur escludendo la
premeditazione, il tribunale ha ritenuto che non ci siano dubbi
sul fatto che 14 dei 25 tifosi inglesi incriminati abbiano
capeggiato le cariche selvagge che hanno ferito e ucciso i
tifosi: lesioni volontarie, dunque, e tre anni a tutti. Seppur
attenuati dalla circostanza che per la metà della pena
(decurtata del periodo di detenzione preventiva effettuato,
circa sei mesi) viene concessa la condizionale per cinque anni.
Ma in galera non finisce nessuno. Il pubblico ministero (Pierre
Erauw, che ha brillato per assenza) avrebbe potuto chiederne
l'arresto immediato, ma non lo ha fatto. Del resto,
probabilmente sarebbe stato troppo tardi. Quando, nella
mattinata, le condanne hanno cominciato a prendere forma si è
visto un immediato sfoltimento tra i ranghi dei 18 hooligans che
si erano presentati in aula. Altre due le condanne, ambedue
importanti. Una scontata: quella del capitano della gendarmeria
Mahieu. Era lui il responsabile della sicurezza sul campo quella
sera. Ha sbagliato tutto, rifugiandosi pateticamente dietro alla
circostanza di avere ricevuto ordini sbagliati. "Anche se è
vero, ed è tutt'altro che provato - ha detto con durezza il
presidente - un ufficiale responsabile adegua gli ordini
all'evoluzione delle circostanze e non si comporta da esecutore
cieco". A Mahieu sono stati inflitti nove mesi con la
condizionale, una multa di 30 mila franchi belgi (poco più di un
milione di lire), più un indennizzo simbolico di 5 franchi. 175
lire, per ogni vittima. Condannato anche Albert Roosens,
segretario dell'Associazione calcio belga. Sei mesi con la
condizionale, più multa e rimborso simbolico. Ma i toni del
giudice verso di lui sono stati meno duri. Comprensione, stima
per una carriera onorata: ma evidenza penale che era lui il
responsabile dell'organizzazione della partita, organizzazione
curata con negligenza, così come "insufficiente controllo ed
anarchica leggerezza" è stato rivelato dalla sentenza nella
vendita dei biglietti, un elemento centrale nella meccanica
della tragedia: italiani e britannici non si sarebbero dovuti
mai trovare fianco a fianco come avvenne quella sera. Maggiori
controlli, poi, dovevano essere fatti perché non erano mancate
le "avvisaglie", prima della gara: bande di hooligans avevano
sfasciato vetrine e negozi, seminando panico in città.
L'importanza della condanna di Roosens è comunque nel fatto che
essa trascina con sé la responsabilità civile dell'Unione calcio
belga, che dovrà pagare i risarcimenti. E quello dei
risarcimenti è un capitolo doloroso. Avviato, seppur non
confuso, nella sentenza, sembra promettere molto poco. I danni
morali assegnati dalla Corte appaiono bassissimi, oscillando tra
i 4 ed i 7 milioni. Ma i belgi spiegano che questi sono i
parametri del Paese. Tempi lunghi, invece, per i danni
materiali. Nella maggioranza dei casi il giudice ha sì affermato
il principio della loro esigibilità, ma ha assegnato una cifra
simbolica di rimborso, rinviando tutto ad ulteriori accertamenti
peritali. Che sembra aprire la strada ad una serie di
transazioni. Poche le decisioni in materia prese già ieri: il
rimborso più alto è stato assegnato alla vedova del figlio di
Otello Lorentini: 300 milioni di lire. Esce di scena, invece,
l'Uefa. La sentenza ne esclude ogni responsabilità, e la stessa
cosa ha deciso per il Comune di Bruxelles. Fisicamente alla
sbarra erano presidente e segretario generale dell'Uefa, Jacques
George e Hans Bargerter, e sindaco ed assessore allo sport di
Bruxelles, Hervé Brouhon e Vivianne Baro. Mentre l'assoluzione
della municipalità appariva scontata e non ha suscitato
reazioni, quella dell'Uefa è stata accolta male dalle parti
civili. Insomma, una triste conclusione dopo 5 mesi di processo,
84 udienze, 260 ore di dibattito. E qualcuno mormora che senza
la tragedia di Sheffield le cose potevano andare ancora peggio.
Non che volessimo vendetta - mormora Marilena Fabbro, che
all'Heysel ha perso marito e figlio - ma la giustizia non
l'abbiamo avuta. g. e.
29 aprile
1989
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
APRILE 1989
Sentenza Heysel, vergognoso ricorso in appello
L'unione belga rifiuta di risarcire le
famiglie
I commenti inglesi: "Le radici delle
stragi nella cultura del nostro calcio".
BRUXELLES - "Sentenze come questa non
riusciranno a tenere alla larga il teppismo", sostiene
l'avvocato Claudio Pasqualin che insieme ad altri cinque legali
ha rappresentato al processo sui fatti dell'Heysel i congiunti
delle vittime. E aggiunge: "I giudici sono stati troppo
indulgenti ed il pubblico ministero Pierre Eraux non ha neppure
ordinato l'arresto dei colpevoli dopo la sentenza". Amarezza
nelle parole di Marilena Fabbro che nella strage di Bruxelles ha
perduto il marito: "In base alla legge belga i quattordici
teppisti riconosciuti colpevoli avrebbero potuto essere
condannati ad una pena massima di cinque anni di reclusione. Un
avvocato, che ha chiesto di conservare l'anonimato, ha spiegato
che i giudici si sono trovati in difficoltà nel verdetto perché
consapevoli che nella strage erano rimasti coinvolti altri
tifosi del Liverpool mai assicurati alla giustizia". La
delusione dei familiari delle vittime dell'Heysel è ribadita da
Otello Lorentini, presidente dell'associazione costituita dopo
la strage. Lorentini ha rilevato una cauta soddisfazione solo
per le responsabilità riconosciute all'Unione calcio belga. Ma
ha espresso amarezza per la completa assoluzione dell'Uefa e del
governo belga. Nel commentare la sentenza il presidente
dell'Uefa, Jacques Georges, prosciolto da ogni accusa, se l'è
cavata con un generico: "Spero ardentemente che il calcio non
debba mai più trovarsi in veste di imputato nell'aula di un
tribunale". La stampa inglese non ha accennato soddisfazione per
la sentenza, il "Guardian" spera che proprio la tragedia di
Sheffield "possa aiutare Liverpool a comprendere l'angoscia in
Italia per il disastro dell'Heysel. Nessuna somma offerta dal
governo britannico, a parte le miserevoli 5000 sterline pagate
per ogni vittima, può compensare le perdite sofferte dalle
famiglie italiane". Per l'Independent la sentenza mette in
risalto: "...Le radici dei disastri sono insite nella cultura
del calcio inglese". Intanto, fatto clamoroso, l'Unione calcio
belga riconosciuta civilmente responsabile della tragedia
dell'Heysel, e quindi tenuta a risarcire i danni alle famiglie
delle vittime, intende ricorrere in appello contro la sentenza.
Fra i condannati solo per risarcimento danni anche 14 teppisti,
l'ex segretario dell'Unione calcio belga Roosens, un capitano
della gendarmeria. La Federazione belga è considerata l'unica
parte solvibile, sia per disponibilità proprie sia perché
coperta da forti assicurazioni. c. p.
30 aprile
1989
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
APRILE 1989
BRUXELLES - Le sentenze emesse per la
strage dell'Heysel saranno riesaminate in appello. La
magistratura belga ha dato parere favorevole alle istanze
presentate dai difensori degli imputati e dai rappresentanti
delle parti civili al termine del processo di primo grado,
conclusosi il 28 aprile. Non è stata ancora fissata la data
d'inizio del nuovo processo, che riguarderà tutti gli imputati,
con l'eccezione del vicesindaco della capitale belga Viviane
Baro. In primo grado i giudici hanno condannato 14 tifosi
inglesi a tre anni e ne hanno assolto altri 11.
19 maggio
1989
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA MAGGIO 1989
ROMA - A favore delle famiglie colpite
tre anni fa dall'eccidio allo stadio Heysel, sarebbero stati
stanziati complessivamente in ambito Cee, 205 mila sterline
(oltre 870 milioni di lire), 200 mila Ecu (300 milioni di lire),
100 mila marchi tedeschi (più di 70 milioni) e oltre due
miliardi di lire. Lo rende noto il ministro del Turismo, Sport e
Spettacolo, Franco Carraro, in un documento con cui risponde ai
deputati Francesco Servello e Adriana Poli Bortone (msi-dn)
autori di una interrogazione "sulle gravi difficoltà
finanziarie" delle famiglie delle vittime dell'Heysel. I due
parlamentari chiedevano fra l'altro al ministro se non ritenesse
necessario promuovere "appropriate iniziative" di sostegno
economico "sia direttamente, sia presso la Federazione italiana
Gioco Calcio". L'elenco delle iniziative rese note dal ministro
comprende: 1°) un accredito del governo britannico presso la
propria ambasciata a Roma di 155 mila sterline (da destinare
alle famiglie colpite), oltre all'istituzione di un fondo
supplementare di 50 mila sterline. 2°) 200 mila Ecu stanziati
dalla Comunità europea che ha provveduto alla "distribuzione
diretta delle relative quote alle famiglie interessate". 3°)
L'iniziativa del Belgio per il sostegno "delle spese ospedaliere
e funebri". 4°) 100 mila marchi raccolti e distribuiti
direttamente dall'Uefa. 5°) Il complesso delle iniziative
italiane per oltre 2 miliardi di lire, di cui 197 milioni
erogati dal ministero degli Interni e ripartiti "sulla base
delle condizioni economiche dei rispettivi nuclei familiari".
Fra le altre iniziative italiane si contano 34 milioni di
donazioni private "suddivise secondo gli stessi criteri
assistenziali del ministero dell'Interno"; 320 milioni,
corrispondenti a 10 milioni per ogni congiunto deceduto, sono
stati erogati dalla Federazione italiana Gioco Calcio che ha
provveduto anche ad un "ulteriore contributo diretto" di 611
milioni. Infine la Fondazione Agnelli è intervenuta con 970
milioni, di cui 812 distribuiti alle famiglie delle 32 vittime e
158 milioni ai 34 feriti, escludendo i 220 casi di feriti
leggeri.
25 maggio
1989
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA MAGGIO 1989
"Chiediamo giustizia per le vittime
dell'Heysel se ancora non è stata fatta del tutto". Così ha
detto l’Arcivescovo di Torino, mons. Giovanni Saldarini, durante
l’omelia della messa in occasione del quinto anniversario della
tragedia di Bruxelles in cui ha ricordato le "vittime di uno dei
tanti gesti irragionevoli che si compiono sulla terra quando si
perde la misura". Alla cerimonia religiosa erano presenti molti
tifosi, dirigenti e giocatori della Juventus, fra cui il
presidente Boniperti e gli allenatori Zoff e Scirea.
31 maggio 1989
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA MAGGIO 1989
BRUXELLES - Entro il 1991 lo stadio
Heysel di Bruxelles sarà interamente ricostruito. I lavori di
demolizione delle strutture attuali cominceranno l'anno
prossimo. Lo ha deciso il Consiglio comunale della capitale
belga. Il nuovo stadio - destinato a sostituire quello in cui 39
tifosi italiani trovarono la morte il 29 maggio 1985 sotto
l'urto degli hooligans del Liverpool, prima della finale di
Coppa Campioni con la Juventus - sarà in regola con le più
rigorose norme di sicurezza. Lo ha assicurato il borgomastro di
Bruxelles, Hervé Brouhon, commentando ieri sera la decisione
adottata dal Consiglio comunale. Nell'analisi delle cause della
tragedia dell'Heysel, Brouhon era stato severamente criticato:
lo stadio infatti appartiene al Comune e il sindaco è
responsabile della sicurezza delle strutture che risultarono
inadeguate la sera di quella tragica finale.
23
settembre 1989
Fonte:
Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA
SETTEMBRE 1989
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