I Belgi negano le responsabilità negli incidenti per
Liverpool-Juventus.
BRUXELLES - Le autorità belghe
continuano a negare ogni responsabilità negli incidenti dello
stadio di Heysel che, il 29 maggio dell'anno scorso, in
occasione della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e
Liverpool, provocarono la morte di 39 spettatori, 32 dei quali
italiani. Fin dalle prime battute del processo, intentato da un
gruppo di tifosi belgi che chiedono di essere risarciti per le
ferite riportate negli incidenti, infatti, gli avvocati che
rappresentano lo Stato belga, il Comune di Bruxelles, le
organizzazioni calcistiche, negano ogni addebito. Ha cominciato,
ieri, nella capitale belga, l'avvocato che difende il Comune di
Bruxelles e il suo borgomastro, Hervé Brouhon. Come proprietario
dello stadio di Heysel, il Comune è responsabile delle
condizioni delle sue strutture, che il 29 maggio si sono
dimostrate drammaticamente carenti dal punto di vista della
sicurezza. Nella prima udienza del processo, l'avvocato del
Comune ha negato ogni responsabilità. Egli ha affermato che "lo
stadio di Heysel era, al momento degli incidenti, in condizioni
migliori di molti altri stadi belgi ed anche britannici", e ha
respinto così le conclusioni della commissione d'inchiesta del
Parlamento belga che, dopo il dramma, aveva denunciato
l'inadeguatezza delle strutture dell'Heysel. L'avvocato si è
trincerato dietro una dichiarazione del ministro belga degli
interni, Charles Ferdinand Nothomb, imputato politico numero uno
nella tragedia, secondo il quale nessuna critica può essere
rivolta al borgomastro Hervé Brouhon". Anche il difensore
dell'Unione belga di calcio ha negato ogni validità dei lavori
della commissione parlamentare, a suo giudizio capace di
esprimere "valutazioni di valore soltanto politico". La
commissione parlamentare aveva tuttavia lavorato con la
dichiarata intenzione di fornire una solida base istruttoria
sulle responsabilità della tragedia. L'avvocato dell'Unione
belga è giunto a mettere in dubbio l'onestà degli spettatori che
hanno richiesto i risarcimenti: "Siamo proprio sicuri che non
siano falsi feriti ?", si è chiesto. E' stato prontamente
zittito dall'avvocato di una delle vittime, Anne Henricourt, il
quale ha ricordato come la sua cliente fosse stata addirittura
data ufficialmente per morta subito dopo gli incidenti. "E’
stata in coma per due giorni - ha precisato - e poi, avendo
subito varie fratture e una commozione cerebrale, è rimasta
immobilizzata a letto per tre mesi".
11 gennaio 1986
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA
GENNAIO 1986
BRUXELLES - Tre tifosi belgi - una
donna e due uomini - rimasti feriti nella tragedia dello stadio
di Heysel prima della partita Juventus-Liverpool nel maggio
scorso, hanno citato in giudizio le autorità belghe e la Uefa
(Unione delle società calcistiche europee) chiedendo un
consistente risarcimento danni. Gli avvocati dei tre tifosi -
dei quali non è stato reso noto il nome - hanno precisato che
sono stati citati in giudizio le autorità della città di
Bruxelles, lo Stato belga, l'Unione reale belga delle società
calcistiche e la Uefa per le ferite riportate dai loro clienti
negli incidenti che si verificarono nel settore "Z" dello stadio
Heysel in seguito ai quali persero la vita 38 persone.
11 gennaio 1986
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA
GENNAIO 1986
BRUXELLES (Ansa) - Le autorità belghe
continuano a negare ogni responsabilità negli incidenti dello
stadio di Heysel che, il 29 maggio dell'anno scorso, in
occasione della finale di Coppa dei campioni tra Juventus e
Liverpool, provocarono la morte di 39 spettatori, 32 dei quali
italiani. Fin dalle prime battute del processo intentato da un
gruppo di tifosi belgi che chiedono di essere risarciti per le
ferite riportate negli incidenti, infatti, gli avvocati che
rappresentano Io Stato belga, il Comune di Bruxelles, le
organizzazioni calcistiche, negano ogni addebito. Ha cominciato,
ieri nella capitale belga, l'avvocato che difende il Comune di
Bruxelles e il suo borgomastro, Hervè Brouhon. L'avvocato
dell'Unione belga di calcio è giunto a mettere in dubbio
l'onestà degli spettatori che hanno provocato il processo con la
loro richiesta dei risarcimenti. "Siamo proprio sicuri che non
siano falsi feriti ?", si è chiesto. E’ stato prontamente
zittito dall'avvocato di una delle vittime, Anne Henricourt, il
quale ha ricordato come la sua cliente fosse stata addirittura
data ufficialmente per morta subito dopo gli incidenti. "È stata
in coma per due giorni - ha precisato - e, avendo subito varie
fratture e una commozione cerebrale, è dovuta rimanere immobile
per tre mesi".
12 gennaio 1986
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA
GENNAIO 1986
CRANS MONTANA - In questa località,
dove da lunedì si disputeranno due Super-G della Coppa del mondo
di sci, c'è una grande affluenza di turisti inglesi. In mezzo ad
essi la polizia ha identificato ed arrestato uno dei teppisti
ricercati per la tragica notte dell'Heysel. Finora non ne è
stato comunicato il nominativo.
31 gennaio 1986
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
GENNAIO 1986
Cossiga in Belgio ricorda la
tragedia dello stadio Heysel
BRUXELLES - Nella giornata tutta
italiana di Cossiga in Belgio, culminata, ieri, nelle visite a
Charleroi e al cimitero di Marcinelle, non poteva essere
dimenticata un'altra tragedia di dimensioni e significato
diverso ma pur sempre con vittime italiane: l'inconcepibile
strage dello stadio Heysel provocata dai tifosi del Liverpool
prima della finale della Coppa dei Campioni con la Juventus. A
rompere un silenzio, che cominciava ad essere imbarazzante, è
stato il borgomastro di Bruxelles, Brouhon, che ha parlato di
"violenza etica che ha provocato delle tragedie che conosciamo e
che deploriamo dal profondo del cuore". Cossiga, in un discorso
agli italiani al palazzo delle esposizioni (che sorge a pochi
passi dallo stadio), si è riferito all'intima solidarietà che
lega i connazionali del Belgio all'Italia "di cui si è avuta una
toccante manifestazione in occasione dei tragici avvenimenti
dello stadio di Heysel, il cui ricordo è ancora così vivo e
lancinante nella nostra memoria". Con questo riferimento,
Cossiga ha forse colto l'unica occasione in cui poteva parlare
di quella tragedia che evoca pesanti responsabilità del governo
belga, della municipalità di Bruxelles e della polizia e sulla
quale le polemiche non sono affatto sopite. Martedì sera, al
ricevimento a palazzo reale, diplomazia ed etichetta hanno avuto
la meglio perché accanto a Cossiga e Baldovino c'era tutta la
"Heysel connection", dal ministro degli Interni Nothomb al
sindaco di Bruxelles, al capo della gendarmeria, ma l'argomento
non è stato neanche sfiorato. La seconda giornata tutta italiana
della visita di Francesco Cossiga in Belgio era iniziata di
buon'ora, con la partenza del Capo di Stato da Bruxelles.
Destinazione: Marcinelle, dove ha reso omaggio alla memoria dei
136 italiani periti nella sciagura del Bois du Cazin. Qui,
accanto alle vittime di quell'agosto di 30 anni fa (262 il
totale del morti), riposano molti altri dei 1000 minatori
italiani uccisi dal carbone. I "nostri fratelli", li ha chiamati
Cossiga.
20 febbraio 1986
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA
FEBBRAIO
1986
ROMA - Sono ventotto i teppisti
riconosciuti da alcune foto come responsabili degli incidenti
che, il 29 maggio dello scorso anno, nello stadio Heysel di
Bruxelles poco prima della finale di Coppa dei Campioni tra la
Juventus ed il Liverpool, provocarono la morte di 39 persone. Le
foto dei giovani sostenitori della squadra inglese sono state
indicate da numerosi tifosi della "Juventus", reduci da
Bruxelles ed interrogati, per incarico del giudice romano
Alfredo Rossini, dai funzionari di polizia di diverse questure
d'Italia. Il magistrato, che da tempo sta conducendo
un'inchiesta giudiziaria sui fatti avvenuti nello stadio in
occasione della partita, ha trasmesso ora una copia di tutte le
foto dei giovani alla polizia inglese ed alla magistratura belga
chiedendo notizie utili alla identificazione dei teppisti.
22 marzo 1986
Fonte: La Repubblica
ARTICOLI STAMPA MARZO 1986
Le vittime di Bruxelles
attendono ancora aiuti
di Pier Paolo Cervone
NOSTRO SERVIZIO.
GENOVA - Bruxelles, 29 maggio 1985, quasi un anno fa, ore 18.15.
Allo stadio "Heysel" della capitale belga 38 persone muoiono,
centinaia rimangono ferite nella curva Z. Mancano pochi minuti
all'inizio di Juventus-Liverpool, finale della Coppa dei
Campioni. Tifosi italiani e inglesi nello stesso settore dello
stadio, la carica assassina degli "hooligans", l'assurda strage.
E lo sdegno, le accuse alla polizia belga, all'Uefa, le promesse
di inchieste rapide e di esemplari condanne, le raccolte di
fondi, gli stanziamenti straordinari decisi dall'Italia e dalla
Gran Bretagna. Un anno dopo: che fine hanno fatto quei soldi ?
Da Roma e da Londra i parenti delle vittime, i sostenitori
bianconeri rimasti gravemente feriti, non hanno ancora ricevuto
una lira. Si è mossa soltanto, e con una certa celerità, la
Fondazione Edoardo Agnelli cui la Juventus ha affidato la
gestione del problema dopo aver raccolto complessivamente 914
milioni e 234 mila lire. Ma anche qui gli ostacoli da superare
sono stati molti. In Liguria hanno ricevuto aiuti, sin ora, solo
Pietro Margiotta, da più di vent'anni compagno di Barbara Lusci,
56 anni, genovese e la famiglia di Sergio Mazzino, 38 anni, di
Cogorno, schiacciati tra la folla e morti sulle gradinate
dell'Heysel. Dall'elenco della Fondazione Agnelli era rimasta
esclusa, per un errore di trasmissione dei dati anagrafici,
Laura Salamida Bianchi, la giovane mamma di Finale Ligure (ha 27
anni e due maschietti: Alessandro e Matteo) rimasta in coma tre
giorni, tra i feriti più gravi ricoverati negli ospedali della
capitate, belga. Ieri, pomeriggio gli impiegati della Fondazione
hanno potuto finalmente mettersi in contatto con Laura e
chiederle la documentazione necessaria. Spiegano a Torino: "7
nominativi ci erano stati comunicati dal nostro ministero degli
Esteri. All'appello mancavano solo due persone che, nonostante i
nostri sforzi, non eravamo ancora riusciti a rintracciare: una
di Reggio Calabria, una appunto di Finale Ligure. Il caso della
signora Bianchi adesso è stato finalmente risolto. Purtroppo
anche in una triste occasione come questa c'è stato chi ha
subito cercato di approfittarne. Ci hanno scritto anche tifosi
che a Bruxelles avevano riportato lievi escoriazioni. La
Fondazione aveva deciso invece di intervenire, oltre che a
favore dei congiunti delle vittime, solo per i feriti più gravi,
quelli che avevano dovuto rimanere in ospedale per un periodo
superiore ai sette giorni". Ieri sera la signora Bianchi ha
ricevuto da Torino un'attesa telefonata. Ma Laura, salvata dal
marito che era riuscito a individuarla sotto un mucchio di
cadaveri, vuole precisare: "Non ho chiesto soldi a nessuno, ho
continuato a curarmi sempre a mie spese. Ma quando ho saputo che
avevano ricevuto contributi persone che avevano riportato ferite
ben più lievi delle mie, allora ho cominciato ad interessarmi".
Ma resta il dubbio iniziale. La Fondazione Agnelli, ente morale
e privato, si è mossa con una certa celerità. E gli aiuti, i
soldi che avevano promesso l'Uefa, i governi italiano e
britannico, quando arriveranno a destinazione ?
9 aprile 1986
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
APRILE 1986
ZURIGO - A quasi un anno dalla tragica
finale di Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool, nello stadio
Heysel di Bruxelles, l'Uefa critica severamente le forze di
sicurezza belghe in un rapporto del segretario generale, Hans
Bangerter, che sarà presentato al congresso dell'organismo
calcistico europeo il 24 aprile in Portogallo. I vandali inglesi
- è detto tra l'altro nel rapporto - non sarebbero mai stati
capaci di provocare tante morti e una così grande tragedia se
non fossero stati aiutati dalla spaventosa incompetenza delle
forze di sicurezza belghe".
12 aprile 1986
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
APRILE 1986
Con Belgio-Bulgaria riapre
l'Heysel
di Bruno Bernardi
Dopo i 39 morti di quella tragica
Juve-Liverpool non si è più giocato a calcio - Bearzot
spettatore.
DAL NOSTRO INVIATO. BRUXELLES - Il
calcio torna stasera sul luogo della tragedia, all'"Heysel", con
l'amichevole Belgio-Bulgaria, dopo un'assenza forzata di 325
giorni. E la gente torna nella curva della morte, la maledetta
"Z" che, in occasione di Juventus-Liverpool del 29 maggio 1985,
fu teatro della strage di tifosi innocenti perpetrata dalla
selvaggia barbarie degli "hooligans" inglesi. Trentanove le
vittime, di cui 32 italiani. 275 i feriti, questo
l'agghiacciante bilancio dell'immane tragedia in diretta, in
mondovisione, che macchiò di sangue la Coppa dei Campioni vinta
dai bianconeri. Cos'è rimasto dopo le lacrime e le feroci
polemiche che seguirono e che sembrarono travolgere il ministro
degli Interni Nothomb, accusato di non aver predisposto un
adeguato servizio d'ordine ? Tutto è rimasto come prima, a parte
la retrocessione a servizi minori di qualche agente. Il vecchio
e anacronistico stadio è sempre uguale, con il suo aspetto
sinistro malgrado il sole sfavillante. Ieri mattina gli addetti
ai lavori ci hanno negato, insieme ad altri colleghi, il
permesso di visitarlo, così com'era successo in questi mesi a
numerosissimi italiani, turisti o immigrati. Ci vuole il
permesso del Borgomastro, un muro della vergogna, crollato sotto
la pressione della folla terrorizzata dalla furia omicida dei
"reds" ubriachi di birra e fanatismo, è stato ricostruito da
poco e solo oggi gli operai daranno gli ultimi ritocchi. Nella
curva, allora trasformatasi in cimitero, si notano ancora i
paletti delle transenne in cemento armato sbrecciati. Alcuni
sono rimasti privi dei mancorrente. In compenso c'è una
nuovissima rete di recinzione, con una porticina di sfogo che
prima non esisteva. Adesso quella curva ha cambiato nome: si
chiama Nord 1, mentre l'altra, anch'essa arricchita (si fa per
dire) da due corridoi dipinti in giallo, è denominata Sud 1, con
l'Atomium che fa da sfondo. Nessuna targa che ricordi il
massacro, nessuna cerimonia, nessun minuto di silenzio. Le
autorità belghe vogliono dimenticare, anzi hanno già
dimenticato. L'unico provvedimento è la riduzione della
capienza. Stasera si prevede uno stadio semideserto: dai cinque
ai diecimila spettatori. Belgio-Bulgaria, pur essendo
un'amichevole fra squadre mundial, interessa pochi intimi, al
punto che la tivù non la trasmette neppure in diretta.
Interessa, viceversa, e molto a Bearzot che accompagnato da
Maldini sarà in tribuna d'onore a spiare la Bulgaria, insidiosa
avversaria dell'Italia nella partita inaugurale del 31 maggio a
Città del Messico. Ma sarà una Bulgaria in maschera poiché il
ct. Vuzov intende far ruotare parecchi elementi. Anche Thys, che
non potrà disporre di Scifo impegnato con la Nazionale militare
in Algeria, ha annunciato un paio di staffette.
23 aprile 1986
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
APRILE 1986
BRUXELLES - Spalti desolatamente
semivuoti, per II ritorno del calcio internazionale nello stadio
di Heysel, undici mesi dopo la tragedia che costò la vita a 39
tifosi, 32 gli italiani, prima della finale della Coppa dei
Campioni tra Juventus e Liverpool, il 29 maggio dello scorso
anno. Cinquemila spettatori, per Belgio-Bulgaria, partita di
preparazione ai campionati del Mondo in Messico: cinquemila
spettatori in uno stadio teoricamente capace di contenerne
57mila, ma la cui capienza, per motivi di sicurezza, è stata
oggi ridotta a meno di 25mila.
24 aprile 1986
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA
APRILE 1986
Undici mesi fa la finale di
Bruxelles tra Juventus e Liverpool. Rivediamo le immagini della
tragedia con il commento in diretta del fotoreporter che le
realizzò.
Sembrano immagini di guerra, ma di una
guerra strana. Non ci sono ferite d'arma da fuoco su quei corpi,
e nemmeno le piaghe devastanti di un'esplosione o di un
incendio. Sono corpi inerti e accatastati, oppure allineati
secondo un ordine che rende quell'immobilità ancora più
innaturale. No, non vengono da Beirut quelle fotografie, o da un
altro dei tanti, terribili fronti di guerra. E forse è proprio
per questo che finiscono per inorridirci ancora di più. Ma le
ricordiamo ancora quelle immagini ? Non è una domanda retorica.
Sono passati appena undici mesi dalla tragica e allucinante
finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool, eppure
sembra passato un secolo. Chi parla più di quelle 39 vittime,
della premeditata, cieca violenza dei tifosi inglesi, della
colpevole inerzia della polizia belga ? Sì, forse è di "cattivo
gusto" ricordare la serata del 29 maggio scorso allo stadio di
Bruxelles proprio alla vigilia di una stagione calcistica come i
Mondiali del Messico: ma preferiamo senz'altro mancare di stile,
anziché cullarci nell'ignoranza del ricordo. Undici mesi fa
quelle immagini ci passarono sotto gli occhi ripetutamente. Le
vedemmo sugli schermi della televisione, poi, qualche ora più
tardi, sulle pagine dei quotidiani. Provammo orrore e
raccapriccio ma non avemmo il tempo per riflettere su ciò che
esse rappresentavano. Colpa nostra, certo, della nostra voglia
di rimuovere, di dimenticare una storia che ci sembrava troppo
inaccettabile per essere incasellata in qualche modo nella
memoria. Ma colpa anche di un malinteso senso dell'attualità,
che tutto brucia nel giro di pochi giorni, a volte di poche ore,
che rende ogni notizia e ogni immagine uguale alle altre, che ti
vieta di ragionare e di capire, di andare al di là delle pur
giuste e necessarie emozioni. E’ per questo che ora abbiamo
voluto di nuovo raccogliere le immagini di Bruxelles,
alcune inedite,
e montarle nella loro tragica successione, dando cioè al
reportage quell'unità e continuità del racconto che invece
undici mesi fa giornali e riviste, non ci offrirono. La scelta
del bianconero non è casuale; il colore non aggiunge nulla alla
cruda realtà di questo come di altri avvenimenti, ma anzi
rischia in qualche modo di educarli, rendendo meno scarno e
stringente il messaggio contenuto nelle immagini stesse. La
maggior parte delle foto che pubblichiamo in queste pagine sono
di Claudio Papi (le altre sono di Sandro Falzone), un reporter
che in quel giorno tragico si trovava proprio della zona dello
stadio dove avvennero gli incidenti e che quindi ebbe la
possibilità di seguirli attimo per attimo. E’ una testimonianza
importante quella di Papi, se non altro perché ripropone una
questione centrale e ricorrente nel lavoro del fotografo,
soprattutto del fotogiornalista, la questione della sua doppia
identità: da una parte l'uomo che prova orrore o pietà, che
partecipa emotivamente, comunque, agli avvenimenti che si
sviluppano davanti ai suoi occhi; dall'altra il fotografo che
prima di tutto deve lavorare, far scattare continuamente la sua
macchina, senza perdere tempo, senza distrazioni. E non solo
perché quelle immagini sono il suo "guadagno", ma soprattutto
perché esse in quanto tali, sono proprio il suo lavoro.
"Raggiunta la curva "Z" con altri colleghi,
racconta Papi,
cominciai immediatamente a fotografare. Certo, forse in
un simile momento avrei anche potuto pormi altri problemi, ma fu
quella la molla che scattò in me: fotografare tutto. D'altra
parte questo è il mio mestiere, e credo proprio che
difficilmente l'agenzia per cui lavoro avrebbe potuto
giustificare un "buco" in un servizio tanto importante. Sì,
debbo confessarlo, di fronte alla morte io mi sento prima di
tutto fotografo, i miei sentimenti di uomo passano in secondo
piano. Non è che scompaiano, naturalmente, semplicemente io, per
un processo ormai quasi automatico, li controllo, facendoli
esplodere quel tanto che mi è necessario per lavorare. Ho fatto
cronaca per troppi anni e proprio quella scuola mi ha insegnato
a restare freddo anche di fronte alle scene più drammatiche e
coinvolgenti. A Bruxelles ho lavorato con lo stesso stato
d'animo che mi accompagnò quando accorsi al cinema Statuto di
Torino, dove decine di persone morirono carbonizzate. Chissà,
forse qualcuno può accusarmi di cinismo, ma io invece spesso ho
il sospetto che la professionalità, la mia professionalità, alla
fine non sia altro che un modo per difendermi dalle atrocità
alle quali assisto, per resistere insomma. Che questo "distacco"
poi, dia anche dei risultati, è un altro discorso. Ricordo che a
Bruxelles alcuni colleghi non riuscirono a resistere davanti a
certe scene, molti di loro addirittura si allontanarono, io no,
rimasi e lavorai. Ma cosa dovevo fare ? Mi chiedi se
economicamente quel servizio ha reso molto. L'agenzia Olimpia,
che distribuisce le mie foto, ne ha vendute abbastanza sia in
Italia che in Francia e in Germania. Ma non negli Stati Uniti.
Da New York ci arrivò una richiesta di visionare il materiale,
ma poi ci fu rispedito indietro. Sì, quel servizio ha "reso", ma
non in proporzione all'importanza dell'avvenimento. Ho avuto
paura ? No, mentre lavoravo no. Ero tutto preso da quello che
stavo facendo e non pensavo ad altro. La paura è venuta dopo, ma
oramai era tutto finito".
29 aprile 1986
Fonti: Helaberarda e
Mondopopolare.blogspot.it
ARTICOLI STAMPA
APRILE 1986
VENEZIA - Due veneziani che il 29
maggio dello scorso anno rimasero feriti negli incidenti che
precedettero la finale di Coppa del campioni tra Juventus e
Liverpool allo stadio "Heysel" di Bruxelles, durante i quali
morirono 39 persone, hanno citato la Juventus in tribunale per
chiedere l'indennizzo dei danni. Secondo Egidio Favaretto e
Giuseppe Carraro - questi i nomi dei due tifosi - la squadra
torinese, che si aggiudicò la finale, avrebbe usufruito della
particolare situazione psicologica nella quale venne disputata
la partita. Secondo i due veneziani, i vantaggi della conquista
della Coppa sarebbero tuttavia andati soltanto alla Juventus,
mentre non ne hanno tratto giovamento le vittime degli incidenti
provocati dai tifosi inglesi. Carraro e Favaretto, che avevano
raggiunto insieme la capitale belga in aereo lo stesso giorno
della finale, rimasero intrappolati nella ressa che seguì alla
carica dei sostenitori del Liverpool. Carraro riportò la
frattura della tibia, del perone e di alcune costole e non poté
camminare per sei mesi. Favaretto, invece, si fratturò un
malleolo.
26 aprile 1986
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
APRILE 1986
Il sindaco di Torino, Giorgio Cardetti,
accogliendo l'invito dell'Alcalde di Siviglia, Manuel del Valle
Arévalo, s'incontra questa sera, in occasione della finale della
Coppa dei Campioni, che si disputa tra le squadre del Barcellona
e dello Steaua Bucarest, con il presidente del Consiglio
comunale di Liverpool, Hugh Dalton. L'Iniziativa della città di
Siviglia crea l'occasione per un ulteriore ravvicinamento tra
Torino e Liverpool in seguito ai fatti accaduti allo stadio
Heysel di Bruxelles, lo scorso anno. L'incontro di
riconciliazione come si ricorderà era già avvenuto, ad un mese
dalla tragica finale di Coppa del Campioni '85, a Torino.
Assisteranno alla finale della Coppa dei Campioni oltre a
delegazioni delle società calcistiche di Liverpool e di loro
sostenitori, per la Juventus F.C. il direttore sportivo
Francesco Morini e l'arch. Dante Grassi, responsabile del Centro
Coordinamento Clubs ed i presidenti degli "Juventus club" di
Torino, Perruquet e di Roma, Ghinelli.
7 maggio 1986
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA MAGGIO 1986
PONSACCO (Pisa) - Il borgomastro di
Bruxelles ha impedito a giornalisti e fotografi del quotidiano
inglese "Today" di entrare nello stadio Heysel insieme a Carla
Gonnelli, la giovane di 19 anni di Ponsacco che, la sera della
finale della Coppa dei Campioni tra la Juventus e il Liverpool,
fu gravemente ferita mentre il padre, Giancarlo Gonnelli, morì.
La ragazza si trovava nella città belga, insieme con la madre,
Rosalina, ospite del quotidiano inglese, dove ha incontrato il
tifoso inglese John Welsh, che le salvò la vita.
24 maggio 1986
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA MAGGIO 1986
di Licia Granello
Otello Lorentini è il padre di una
delle vittime di Bruxelles. Il figlio, Roberto, medico
trentenne, morì travolto mentre tentava di rianimare Andrea
Casula, il bimbo di 11 anni perito insieme al padre. A Lorentini
si deve la creazione dell'associazione "Familiari delle vittime
di Bruxelles", che da un anno si batte perché vengano perseguiti
e puniti i responsabili del massacro. "Abbiamo lavorato
duramente per poter attivare il procedimento penale, contattando
tutti per corrispondenza. All'associazione hanno aderito 21
famiglie. Quattro hanno dato la loro adesione morale: è gente
anziana, non ha più voglia di lottare. Gli altri hanno detto, no
grazie. Andare avanti non è facile: ci sono notai che hanno
chiesto 200.000 lire per autenticare la firma del mandato. E ci
sono sindaci che a distanza di otto mesi hanno chiesto i soldi
del funerale... Abbiamo trovato degli avvocati comprensivi, il
loro patrocinio non ci costerà tantissimo. E abbiamo trovato un
referente belga, fondamentale per il proseguimento del lavoro a
Bruxelles. Il 12 giugno faremo un convegno a Roma sulla
violenza. Il ministero degli Interni ci ha messo a disposizione
Palazzo Barberini, i soldati ci hanno assicurato la messa a
punto della sala e la stampa dei manifesti". Quante adesioni
avete ricevuto finora ? "Nessuna. Ci ha contattato solo la
polizia, credo per motivi legati all'ordine pubblico. Mi ha
telefonato Lattarugo, capo gabinetto del ministro degli Interni.
Ah, si è fatto vivo anche Sordillo, dicendo che non può venire
perché sarà in Messico, sa, i mondiali... Ha detto di non
preoccuparci perché i soldi stanziati dalla Federcalcio
arriveranno. Certo, adesso, con i mondiali... Abbiamo chiesto il
patrocinio al Presidente della Repubblica, non ha risposto.
Abbiamo chiesto l'intervento di Biagi, ci ha fatto scrivere
dalla redazione di "Spot" che era impegnato altrove. Della
Juventus non ci sono tracce, dopo il telegramma e la Corona
inviataci per i funerali di Roberto. Aldo Ratti, direttore della
"Fondazione Edoardo Agnelli" ha declinato cortesemente, forse si
vergognava. O forse qualcuno gli ha suggerito di lasciar
perdere". Avete avuto altre notizie dal Belgio ? "L'unica
notizia è l'editto-farsa di Baldovino. I famosi sei miliardi
sventolati a suo tempo non sono mai arrivati. Siamo venuti a
sapere che per vittime si intendono coloro che stavano allo
stadio dalle 19.15 in poi. E noi che stavamo dentro dalle tre,
in che categoria stiamo ? Dicono che ci rimborseranno le spese
sostenute negli ospedali belgi, e il trasporto delle salme fino
alla partenza dal suolo belga. Il tutto con le fatture originali
allegate alla richiesta... Hanno dimesso feriti che in Italia
sono stati poi ingessati per mesi, hanno stilato certificati di
"morte accidentale" per non dover rendere conto al mondo della
loro inettitudine. E così, malgrado l'indagine della
magistratura italiana sia già chiusa, non si sa quando il
processo potrà essere celebrato. So che per l'anniversario sono
in programma manifestazioni solo da parte italiana, a Bruxelles.
Del resto tutte le autorità sono rimaste al loro posto, perché
stupirsi ? La nostra è un'associazione fondata sul dolore:
vogliamo andare avanti. Ci hanno detto che la causa costerà 100
milioni, non importa. Dalle mie parti si dice aver le spalle
tonde, per far scivolare via le responsabilità. Con noi non
attacca. Boniperti era tanto preoccupato per il suo stadio
chiuso. A me m'han chiuso l'unico figlio in un loculo. Non s'
illudano che ceda".
29 maggio 1986
Fonte: La Repubblica
ARTICOLI STAMPA MAGGIO 1986
Volantini minacciosi stanotte a
Torino
"La mafia europea ha impedito che
venisse fatta luce sull'assassinio dei 32 italiani".
TORINO - In occasione del primo
anniversario della tragedia dello stadio Heysel in Belgio (38
morti prima della partita Juventus-Liverpool) centinaia di
volantini di minaccia dattiloscritti e riprodotti in fotocopie
sono stati diffusi durante la notte da ignoti nella
centralissima Galleria San Federico, dove si trovava fino a
qualche mese fa la sede della Juventus. Sono anche state
tracciate sui muri, con una vernice "spray, blu, scritte
ingiuriose nei riguardi degli inglesi. I volantini sono firmati
da un non meglio identificato "nucleo 29 maggio". Vi si afferma
tra l'altro che ad un anno dalla strage dello stadio Heysel
"invano abbiamo chiesto giustizia. Ma i burocrati della mafia
europea hanno impedito che fosse fatta luce sull'assassinio di
32 italiani. Ora basta". I volantini affermano quindi che "la
scure della giustizia bianconera si abbatterà e da qualche
parte, in qualche modo, qualcuno pagherà ! La caccia al maiale
belga ed alla belva inglese è aperta". Alcuni volantini sono
stati raccolti da agenti della "Digos" torinese, ma in Questura
si tende a non prestar peso alle minacce: "E’ lo stesso
linguaggio che si sente allo stadio in certi settori della
curva. Però non è mai accaduto che minuscole frange fanatiche
della tifoseria dessero seguito ai loro propositi a più di 200
metri dallo stadio. E' difficile pensare che le minacce si
trasformino in azione politica o delinquenziale". Sempre la
"Digos" esclude che il volantino sia opera degli amareggiati
parenti delle vittime non ancora risarciti dalle assicurazioni
per la mancata chiusura dei procedimenti giudiziari.
29 maggio 1986
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA MAGGIO 1986
In Belgio nessuno ha pagato
di Fabio Galvano
"Morti per niente" titola un
giornale: sono fermi i procedimenti contro i responsabili
tecnici, amministrativi e politici - Risarciti finora 49 feriti
su 225, nessuna delle vittime - Unico risultato: un manualetto
per la sicurezza negli stadi - Oggi manifestazione davanti
all'"Heysel" che però rimarrà chiuso.
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE. BRUXELLES -
Il settore della morte - il "blocco Z" - è stato ribattezzato
"Nord-1". Il muretto di cinta che cedette, quella tragica sera
di un anno fa, è stato ricostruito, le reti di protezione
sostituite, rinnovati i parapetti d'acciaio. Le ferite di quella
gradinata erano solo un ricordo il 23 aprile, quando lo stadio
di Heysel fu riaperto al calcio internazionale in occasione di
Belgio-Bulgaria. Ma la cosmesi dell'acciaio e del cemento non
rimargina le altre ferite lasciate aperte da quella serata di
orrore: il palleggio delle responsabilità continua e pochissimi
dei teppisti colpevoli hanno pagato. "Morti per niente",
proclamava nei giorni scorsi un giornale belga esaminando in una
vena di pessimismo la "lezione che non è stata imparata".
Stamane alle 9.30 nella Chiesa dell'Immacolata, il nunzio
apostolico in Belgio monsignor Pedroni celebrerà una Messa in
suffragio delle vittime (32 gli italiani). Subito dopo una
manifestazione organizzata dalle comunità italiane si svolgerà
sul piazzale dello stadio di Heysel, con la partecipazione
prevista di un migliaio di persone. Da parte belga, precisato
che per l'occasione non saranno aperti cancelli dello stadio,
non ci saranno cerimonie particolari. E' passato un anno: e
tanto c'è voluto perché - quasi dimenticata la crisi di governo
che indirettamente ne derivò - il ministero degli Interni
partorisse il tanto atteso "Manuale per la sicurezza degli stadi
di calcio", presentato ieri. Per evitare in futuro episodi di
"violenza gratuita e irresponsabile", come l'ha definita il
ministro Nothomb che rifiutò l'estate scorsa di dimettersi,
dovranno essere adottate in tutti gli stadi misure in tema di
solidità delle strutture, capienza, sistemazione dei servizi
d'ordine e di soccorso, ingressi e uscite. E' previsto, per
esempio, che accanto ad ogni cancello chiuso a chiave ci sia
qualcuno in grado di aprirlo: la divisione delle gradinate in
compartimenti, con corridoi laterali che facilitino l'intervento
di polizia o soccorritori. Misure sacrosante, ma tardive. Da
quasi quattro mesi è rientrato ad Agrigento Giuseppe Vullo,
ultimo dei feriti italiani a essere dimesso; ma soltanto tredici
persone - otto inglesi, quattro italiani e un belga - sono state
finora processate, due condannate a sei mesi per infrazioni
minori. Forse ora qualcosa si muove. Un colloquio all'Aia fra
ministri degli Interni, seguito da una visita a Londra del
giudice che conduce l'istruttoria, la signora Marina
Coppieters't Wallant, potrebbe segnalare l'imminente
estradizione di "una ventina di persone" - come ha precisato il
ministro Nothomb - da processare per "ferite volontarie e
omicidio preterintenzionale". Sono ancora arenati sulle secche
interne, invece, i procedimenti in merito alle responsabilità
tecniche, amministrative e politiche. La commissione
d'inchiesta, istituita dal Parlamento nell'orrore di quei
giorni, rilevò colpe di gendarmeria, polizia, Federazione
calcio, Interni. Ma poco è accaduto. Prendiamo la gendarmeria.
Tre alti ufficiali, fra i quali il responsabile dei cento agenti
all'interno dello stadio, sono stati "trasferiti" a incarichi
amministrativi, ma senza che al provvedimento fossero dati
connotati disciplinari. Al ministero degli Interni tutto -
tranne il "Manuale" presentato ieri - sembra fermo. Invitato nel
luglio scorso a dimettersi, il ministro Nothomb rifiutò, per
evitare la caduta del governo. Fu invece il ministro della
Giustizia Gol a dimettersi, provocando una crisi. "E’ stata
danneggiata l'immagine del nostro Paese che si ricostituiva
lentamente..." - aveva lamentato il primo ministro Martens. Ma
non molto è stato fatto per migliorarla, salvo la chiusura dello
stadio ai "turisti della morte" in cerca di macabri souvenir. Il
perfetto esempio viene dalla questione degli indennizzi. A
luglio il ministro dell'Ambiente, Miet Smet, li promise ai
feriti. A febbraio 49 dossier avevano avuto l'avallo della Corte
dei Conti, ma altri 225 restavano bloccati. Per gli indennizzi
alle famiglie dei morti, invece, l'iter è più lungo. Ci sono 200
milioni di franchi (oltre 6 miliardi di lire) a disposizione di
un fondo speciale della Sante Publique, ma ci vorranno ancora
mesi di procedure burocratiche. "Non abbiamo reagito come
occorreva", ha detto il presidente del Parlamento belga Jean
Deiraigne. Di questo bilancio, a un anno, il Belgio non è
orgoglioso.
29 maggio 1986
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA MAGGIO 1986
Tante promesse non mantenute
di Marco Neirotti
TORINO - Non perdonano: ci hanno
provato, "ma è troppo difficile". Per le vedove delle vittime di
Bruxelles, per i feriti gravi, per i loro parenti ogni giorno è
servito soltanto a scandire angoscia. Si sentono abbandonati. E
in questo lugubre anniversario, una vedova - quella di
Giovacchino Landini, il ristoratore torinese di 50 anni ucciso
nel settore Z - ha affrontato il primo giorno di lavoro alla
cassa d'un negozio: "Ho dovuto vendere la trattoria". Questa
gente piange quel che ha perso, piange parole non mantenute. Il
Coni aveva stanziato 500 milioni, ma nulla ha distribuito. Il
governo belga fissò sei miliardi, ma in settembre un decreto
corresse: "non risarcimento: rimborso delle spese vive". Il
governo inglese inviò dagli 8 ai 12 milioni a famiglia. Lo Stato
italiano ha fatto interventi a pioggia, non organizzati. L'aiuto
più razionale e completo è venuto dalla Fondazione Edoardo
Agnelli, cui la Juventus aveva chiesto di gestire i 914 milioni
raccolti in sei mesi di offerte. Racconta il direttore della
Fondazione, Aldo Ratti: "è stato un impegno lungo: troppe
inesattezze negli elenchi venuti dal Belgio. C'è stata una
complessa fase di ricerche per avere notizie, dall'indirizzo
alla struttura della famiglia". A tutti un anticipo di 15
milioni, una seconda tranche è stata diversa secondo le
situazioni: 14 vedove con figli sotto i 6 anni (in tutto 27
milioni ciascuna). 11 genitori conviventi (25 milioni), 3 vedove
senza figli (23 milioni), 3 casi diversi (21 milioni).
Consegnati 812 milioni. Ai 102 rimasti se ne sono aggiunti 15
d'interessi bancari: andranno ai feriti. Ma anche qui ci si è
scontrati con elenchi disastrosi, nomi sbagliati, nomi doppi,
nomi senza indirizzo, nomi dimenticati. Mesi di lavoro hanno
contato 150 persone, divise in quattro categorie: 5 gravissimi
con postumi permanenti, 10 gravi senza postumi, 21 di media
gravità, 114 leggeri. La gente ringrazia. Ma si riaccende la
delusione quando pensano a Bruxelles: non hanno accertato
niente, nessuna responsabilità. "L'unico che han preso è quello
che mi ha spaccato la testa a sprangate", commenta Carlo
Duchene, 34 anni, parrucchiere di Pinerolo. Parla di James Mac
Jill, 21 anni, tifoso del Liverpool: "L'hanno condannato a 40
mesi e 5 milioni di franchi. E' assurdo: dovrebbe restare in
carcere tutta la vita". Mostra una lettera "L'unica cosa che ho
avuto fino a oggi sono 2.723.300 lire: una colletta fra
carcerati e agenti di custodia di Regina Coeli". A Moncalieri
non è tornato Domenico Russo, 26 anni, sposato da quattro,
elettricista. Quando lui partì per il Belgio la moglie, Tiziana,
era incinta. Ora ha un bimbo di 8 mesi, l'ha chiamato Domenico:
"Quando sarà più grande gli racconterò tutto cercando dì non
trasmettergli la rabbia che ho dentro". Riuscirà a perdonare ?
"No. Prima ero credente, oggi penso di non esserlo". Ha avuto
solidarietà ? "Ho avuto il denaro dalla Juventus e dal governo
inglese. Da Bruxelles nulla. E nulla dalle istituzioni italiane:
non parlo di soldi, parlo di presenza, di condoglianze". Non
perdona neppure Carola Bandiera, vedova Landini. Ha al dito la
fede che lui portava quando fu ucciso: "A fine anno ho sentito
dire che erano arrivati a Roma gli effetti personali. Nessuno
aveva avvertito, anche se bastava un biglietto. Sono andata a
Pasqua a riprendere questi ricordi. Come potrei perdonare ? Quei
morti non riposano tranquilli".
29 maggio 1986
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA MAGGIO 1986
Un anno fa, la tragedia dell'Heysel.
Trentotto persone morirono nel vecchiotto stadio di Bruxelles
prima che incominciasse la partita tra Juventus e Liverpool per
la Coppa dei Campioni. Ricordiamo in breve. Uno stadio che dalle
ore 17 va riempiendosi, bandiere e striscioni con i colori delle
due squadre, tamburi e trombe, i soliti riti che precedono una
grande partita. Verso le 19, stipati nella loro curva i "reds"
del Liverpool cantano, bevono, premono contro una rete di
recinzione. Finché l'abbattono, facilmente si sbarazzano di
pochi e timorosi gendarmi, si avventano nel settore Z affollato
di italiani. Alle 19.24 la carica britannica. Sono gli ultras
che vengono avanti a ondate, scagliando pietre e lattine di
birra, colpendo con catene e bastoni. Non c'è battaglia perché
gli assaliti non sono guerrieri da stadio. C'è il si salvi chi
può. Il panico, la fuga che per molti è una corsa al suicidio.
In quattro-cinquemila cercano scampo precipitandosi verso il
terreno di gioco. Cadono, si calpestano. Quelli caduti sulle
gradinate sono preda delle avanguardie reds, che infieriscono.
Un altro gruppo si accalca contro il muro di recinzione
laterale, che crolla: un centinaio precipitano con le macerie, e
qui la gente muore schiacciata o soffocata, mentre altri vanno
ad uccidersi sulle reti dì recinzione. Sono le 19.32 quando
finalmente entra un numero ragionevole di poliziotti e gendarmi,
che respingono i reds nel loro settore. Corpi senza vita sulle
gradinate. Altri corpi sulla pista, sull'erba. Un via vai di
barelle. Le sirene delle ambulanze, si requisiscono anche taxi
per portare via i feriti. Sul piazzale davanti allo stadio
sembra di essere nelle retrovie di un fronte. Volti
insanguinati, quelli con fratture, altri che vagano stralunati e
sotto choc. Gente che cerca il figlio, il padre, la fidanzata,
l'amico. Chi urla contro i poliziotti, chi contro i reds.
Vengono montate tre tende: un vero e proprio ospedale da campo.
In un angolo si allunga la fila dei morti, allineati e anche
accatastati, e non ci sono teli per coprirli. Prima i feriti,
che sono più di trecento e alcuni assai gravi, dopo si pensa a
portare via i morti. All'obitorio dell'ospedale militare. Una
coperta sopra ogni corpo, un numero e un cartellino con il nome.
Gli italiani sono trentuno, quattro belgi, due Francesi, un
inglese. Intanto il prefetto di Bruxelles ordina l'intervento
dell'esercito e dice che bisogna giocare, perché se quindici o
ventimila italiani e altrettanti inglesi escono ora, solo Dio sa
cosa può accadere. Si gioca. Alle 23.30 quando la partita
finisce duemilatrecento soldati e poliziotti fanno cordone per
tenere separate le due tifoserie. Così, quella che si aspettava
come una festa sportiva diventò un massacro. Questo è potuto
accadere per la somma di più fattori negativi. Anzitutto a causa
degli ultras inglesi, tradizionalmente rissosi, più volte
recidivi per vandalismi e azioni delittuose, per l'ubriachezza
di massa. Questo triste primato era noto alla polizia belga, che
nell'occasione si è rivelata incapace e impotente: fuori dello
stadio, lasciando entrare tifosi gonfi di birra e di whisky:
dentro lo stadio, latitante quando era chiaro che la curva degli
inglesi stava per esplodere. E' mancata colpevolmente la
Federazione calcistica europea, che ha scelto uno stadio vecchio
e miseramente inadeguato per una finale internazionale carica di
tensione.
29 maggio 1986
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA MAGGIO 1986
Ma i tifosi oggi pensano al
mundial
Possiamo purtroppo far poco per
quei morti già dimenticati.
Chi si ricorda, ad un anno di distanza,
della strage allo stadio di Bruxelles ? Temo che la maggioranza
dei tifosi abbia in questi giorni, anzi in queste ore, ben altro
a cui pensare. Quale giustizia d'altronde per quella strage è
stata fatta ? Solo le famiglie dei morti ricordano, e i feriti
sopravvissuti. E solo quaranta indennizzi sui più di cento
riconosciuti necessari, sono stati finora attuati per morti e
feriti. Il resto è in mano ai giudici del Belgio, e, come si sa,
anche su questo la burocrazia penale ha piuttosto il senso
dell'eternità che quello della cronaca e del dolore.
Soprattutto, da parte dei responsabili amministrativi e politici
del Belgio, non è stato fatto assolutamente nulla, dopo la
strage d'un anno fa, per lavarsi credibilmente le mani da una
vergogna che ha indignato il mondo, per dimostrare il rimorso
veramente riparatore e costruttivo non solo in forza di processi
e condanne, bensì mostrando coi fatti di voler dare una immagine
nuova e vera della solidarietà umana e sociale prima ancora che
sportiva. Ieri, quasi per un rimasuglio di pudore tardivo, si è
organizzata sul verde prato dello stadio maledetto una maratona
pacifica di giovani, sportivi e no. Insomma, un'improvvisata
riverniciatura fatta in fretta sulla ruggine insanguinata dello
stadio che avrebbe dovuto e potuto invece proporsi, proprio per
quello che vi successe, come punto di riferimento per una
capacità effettiva di impedire lì ed altrove il furore drogato e
assassino di una brutalità che dello sport fa semplicemente un
detonatore della propria nevrosi, e d'uno stadio e d'una partita
l'arena in cui certa gente ha bisogno, come in qualsiasi "plaza
de toros", del sangue per sentirsi viva. Possiamo purtroppo far
poco per quei morti già dimenticati. Portiamoli almeno nel
cuore, senza che il Mundial, già vicino al conto alla rovescia,
non cancelli in nessuno l'ultimo segno di umanità, quel rimorso
che può ancora salvarci. n. f.
29 maggio 1986
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA MAGGIO 1986
L’Heysel, un silenzio colpevole
di Paolo Soldini
Un anniversario nelle pagine
sdegnate dei giornali e attraverso le crudeli immagini
d'archivio che la tv ritrasmette - Il ministro degli Interni ha
vietato ogni cerimonia di commemorazione - Ancora in alto mare
il risarcimento finanziario - Stadio ristrutturato parzialmente.
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE. BRUXELLES -
Sembra incredibile, ma, un anno dopo, la tragedia di Heysel per
le autorità del Belgio non esiste: 39 morti e i feriti, più di
200, non meritano una parola. Neppure l’ipocrisia di un
compianto normale. Nulla. E’ una constatazione amara, ma il
ricordo e la coscienza di quel maledetto 29 maggio stanno, oggi,
nelle pagine sdegnate dei giornali e nelle crudeli immagini
d'archivio che la tv ritrasmette. Come accadde un anno fa,
quando il comportamento della stampa, la commozione della gente
semplice, la generosità di pochi volontari (abbiamo davanti agli
occhi il coraggio e la freddezza di nervi di un pugno di
ragazzini della Croce rossa che curavano i feriti e
organizzavano lo sgombero del settore "Z" quando la polizia
impazzita continuava a produrre il caos) salvarono l'onore di un
paese le cui autorità avevano dato la prova più miserabile della
propria incapacità, prima, e del proprio cinismo, dopo. L’onore:
senza retorica, perché le cose stanno proprio così e fa rabbia
doverlo raccontare. Cominciamo da qui. L’ufficio dell'Ansa di
Bruxelles ha chiamato il ministro degli interni
Charles-Ferdinand Nothomb (ministro allora, ministro oggi) per
chiedergli una dichiarazione sull'anniversario. "Non ho tempo" -
ha risposto - sono impegnato in vicende di partito". Ha avuto
solo il tempo di proibire ogni cerimonia di commemorazione. Il
borgomastro di Bruxelles Hervé Brouhon (borgomastro, allora,
borgomastro oggi) ha impedito che allo stadio venisse posta una
lapide. Il tempo è mancato a Nothomb e a Brouhon come al capo
della gendarmeria col. Bernaert e ai dirigenti della federazione
calcio belga, per dire una parola, una sola, in una sede
qualsiasi in ricordo delle vittime. Parola d’ordine
"dimenticare", come ? Proprio l’atteggiamento indegno delle
autorità, oggi, riapre le ferite, e nel modo più doloroso. E’ un
insulto ai morti e uno schiaffo ai vivi, cui non è stato offerto
appiglio di conforto, ne’ risposta alla richiesta di giustizia.
Neppure quella, minima, di un risarcimento finanziario. Le
assicurazioni non pagano finché non ci sarà un giudizio. E un
processo, se si farà, sarà chissà quando. Cosa è avvenuto in
questi dodici mesi ? Il settore "Z", il teatro della tragedia,
ha cambiato nome: si chiama "settore nord". Lo stadio è stato
"ristrutturato" - dicono - ma non nel modo che avevano suggerito
gli esperti. È stata solo ridotta un po’ la sua capacità e
ospita di nuovo incontri di calcio. Nothomb rifiutò di
dimettersi, dopo che una commissione d'inchiesta parlamentare
aveva denunciato "evidenti responsabilità politiche per la
strage". E’ ancora ministro degli Interni per la democrazia
cristiana francofona. Ancora vice-primo ministro e ministro
della Giustizia è il liberale Jean Gol, il quale, invece, si era
dimesso per protestare contro le non dimissioni di Nothomb.
Sembrò un gesto nobile ed era invece una manovra. Re Baldovino
convocò il primo ministro Martens e gli impose elezioni
anticipate. Sembrava che l’Heysel dovesse avere, almeno, una
conseguenza politica. Le elezioni ci furono, il 13 ottobre
dell’anno scorso, ma durante la campagna elettorale della
tragedia nessuno aveva parlato. Sul piano giudiziario, a
tutt’oggi, c'è solo la richiesta alla Gran Bretagna di estradare
una ventina di teppisti del "Liverpool" che gli inglesi hanno
identificato grazie alle registrazioni televisive. Dovrebbero
essere processati per omicidio preterintenzionale, ma non pare
che Londra sia intenzionata, per ora, ad accogliere le
richieste. Alla vigilia dei campionati del mondo di calcio,
quando già rifioriscono timori e polemiche per le violenze della
tifoseria britannica ? Per carità, non è il momento.
29 maggio 1986
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA MAGGIO 1986
di Michele Serra
DAL NOSTRO INVIATO. CITTA’ DEL MESSICO
- Brutta cosa gli anniversari. Ricordarsi di Bruxelles un anno
dopo. E perché ? Se ne erano già dimenticati, nemmeno un'ora
dopo la carneficina, i tifosi delle due squadre che reclamavano
di vedere la loro partita. Se ne erano dimenticati gli sponsor e
l'eurovisione, che non volevano affrontare seccanti intoppi
contrattuali. Se ne erano dimenticati subito dopo il fischio
d'avvio anche i giocatori, che sono pagati per giocare e non per
pensare. La Coppa dei Campioni adesso figura nell'albo d'oro
della Juventus, e poco importa come. Il mezzo giro d'onore dei
giocatori bianconeri, evitando accuratamente di passare davanti
al sangue della curva della morte, già spiegava tutto: il calcio
non vuole interferenze esterne, il calcio ha le sue scadenze da
rispettare, il calcio non può fermarsi davanti a niente, nemmeno
davanti alla morte, nemmeno davanti alla morte per calcio. Del
resto, non constatiamo forse con soddisfazione, ad ogni spron
battuto, che il calcio è uno dei pochi meccanismi che non si
inceppano mai ? La notte allucinante di Bruxelles - chi scrive
ha vissuto in una tribuna stampa incredula e paralizzata per
lunghissimi minuti – ha semplicemente confermato una banalità
che solo la nostra ipocrisia ci impedisce di accettare una volta
per tutte: che non sono i valori umani, ma il business il motore
dello sport. Rimandare la finale di Coppa dei Campioni voleva
dire ammettere che fattori imprevisti potessero bloccare il rito
eurovisivo. Impossibile. E infatti nessuno ci pensò: primo tra
tutti l'Uefa, che approfittò del vergognoso sbandamento delle
autorità belghe per far passare la tesi della partita da giocare
a tutti i costi per motivi di "ordine pubblico". Storie: quando
la partita iniziò, allo stadio Heysel e dintorni c'erano almeno
diecimila soldati e poliziotti. Nulla più avrebbe potuto
succedere; anche perché, ormai era tutto già successo. La verità
è che la partita venne disputata per puro opportunismo. Non fu
invece opportunismo, il giorno dopo, quello che spinse Cabrini,
Rossi, Tardelli e Scirea sull'aereo che li portava in Messico a
raggiungere Bearzot e gli altri azzurri in tournee pre-mundial,
a stilare un breve documento nel quale i quattro nazionali
juventini sostenevano di essere stati "costretti a scendere in
campo". Una dichiarazione coraggiosa, soprattutto in un mondo
come il calcio dove si è usi obbedir tacendo. Ricordo ancora le
facce perplesse dei quattro mentre stilavano il documento,
sorvegliati affettuosamente da Gianni Minà, erano a disagio,
avendo avuto il cuore di sconfinare in un campo, quello
dell’etica privata e pubblica, insolito per la gente di sport.
Ma niente paura: la routine ha subito provveduto a soffocare
nella noia dei ritiri e nell'oro dei contratti quel sussulto di
coscienza e di ribellione, provocato da una strage così atroce.
Del resto, proprio il Messico oggi ci insegna che la macchina
del calcio non è stata inceppata neppure da un terremoto con
migliaia di morti. Cosa volete che contino trentanove bare in un
vecchio stadio europeo.
29 maggio 1986
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA MAGGIO 1986
BRUXELLES - Ai morti dell'Heysel, i fiori,
gli italiani venuti ieri a ricordarli, hanno dovuto lanciarli al
di là di un cancello chiuso. Le autorità di Bruxelles non hanno
voluto che la piccola folla entrasse nello stadio, a un anno da
quel tragico 29 maggio. Di fronte ai cancelli sbarrati, sul
piazzale dell'Heysel, gli unici belgi presenti erano una ventina
di poliziotti, due a cavallo, alcuni con i cani. Non c'erano
rappresentanti del governo. Non c'erano amministratori della
città. Violenti scrosci di pioggia e lo sciopero dei trasporti
hanno ridotto a poco più di un centinaio di persone il gruppo di
italiani che si sono riuniti, nella tarda mattinata, davanti
allo "stadio della morte". Sul piazzale dello stadio, gli
italiani hanno deposto corone di fiori davanti ai cancelli
chiusi, e poi sotto il monumento allo sportivo. Una corona
portava la scritta, sulla fascia tricolore, accanto su un nastro
bianconero: "ln memoria delle vittime". Un'altra era offerta
dallo Juventus club di Bruxelles. Una salva di applausi
spontanei ha accolto l'arrivo inatteso di un tifoso del
Liverpool, un tedesco di Dusseldorf, Thomas Niederberger, che si
trovava nella curva nord, quella del dramma, la sera della
finale della Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool.
Niederberger indossava una maglia del Liverpool, portava un
cuscino di fiori con i colori dell'Italia, del Belgio, della
Germania. In italiano c'era scritto: "Mai più". Davanti alle
corone, il tifoso del Liverpool e il presidente dello Juventus
club, Carlo Romano, si sono stretti la mano. Anche Liverpool ha
ricordato ieri il primo anniversario della tragedia di Bruxelles
con una messa solenne nella cattedrale. Vi hanno partecipato le
autorità cittadine ed una folta rappresentanza italiana. Come si
ricorderà trentadue tifosi del Liverpool individuati come i
responsabili delle violenze che innescarono la strage sono
ancora in attesa di essere estradati in Belgio.
30 maggio 1986
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA MAGGIO 1986
Individuati i responsabili della strage, ma
non possono essere giudicati in Gran Bretagna. L'accusa è di
omicidio preterintenzionale. Summit tra i giudici dei due Paesi.
Il Belgio chiederà l'estradizione dei 28
tifosi del Liverpool identificati finora come responsabili degli
incidenti che, un anno fa, fecero 39 morti (e, come si
ricorderà, le vittime italiane furono ben 32) prima della finale
della Coppa dei campioni tra Juventus e Liverpool, allo stadio
di Heysel. L'accusa formulata dai giudici è di omicidio
preterintenzionale. Lo ha annunciato ufficialmente ieri sera il
ministro della Giustizia, Jean Gol, confermando le voci in tal
senso diffusesi a Bruxelles. Il ministro Gol ha precisato che la
magistratura di Bruxelles ha preparato 28 mandati di cattura che
saranno trasmessi, tramite il ministero della Giustizia, alla
Gran Bretagna. La magistratura britannica dovrà decidere la
ricevibilità delle richieste di estradizione, che riguardano 28
dei 34 teppisti in un primo tempo identificati, grazie a film e
foto, in collaborazione tra la polizia di Liverpool e quella di
Bruxelles. Soltanto l'estradizione in Belgio potrebbe permettere
di portare in giudizio gli accusati, perché la giurisprudenza
britannica non prevede l'eventualità di processi per fatti del
genere svoltisi al di fuori del territorio britannico. Sulle
modalità d'estradizione, ci sono stati contatti, anche nel mese
scorso, fra magistrati belgi e britannici. Il giudice istruttore
belga prosegue, frattanto, le indagini, con l'aiuto di esperti,
per determinare se sussistano responsabilità di altre persone, a
parte i teppisti, per esempio organizzatori o responsabili
dell'ordine pubblico. Un rapporto in merito dovrebbe essere
pronto in agosto, e le conclusioni dell'inchiesta potrebbero
aversi per settembre.
30 maggio 1986
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA MAGGIO 1986
ROMA - S’è tenuto in questi giorni a Roma
un convegno sulla violenza negli stadi organizzato dall’
"Associazione vittime dello stadio di Bruxelles". Un dato
inquietante è emerso dal convegno. Vale a dire che nessun
giocatore della Juve, tranne Boniek, rinunciò al premio partita
in favore delle vittime di Bruxelles.
14 giugno 1986
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA GIUGNO 1986
Le fatture dell'ospedale sono arrivate a
Carlo Duchene di Pinerolo.
TORINO - Un decreto dell'agosto 1985 del
governo belga stabilisce che tutte le spese per le cure
sanitarie dei feriti dell'Heysel sono a carico dello Stato.
Dunque l'episodio, per certi versi paradossale, delle parcelle
arrivate al trentaquattrenne Carlo Duchene, parrucchiere di
Pinerolo, ridotto in coma a sprangate prima dell'inizio
dell'incontro con il Liverpool, è soltanto frutto di un errore
burocratico. Carlo Duchene ha ricevuto tre conti al suo
indirizzo di via (omissis): il primo datato 12 febbraio è di
3830 franchi, cioè circa 120 mila lire, per il trasporto in
ambulanza; il secondo il 30 aprile di 1334 franchi (44 mila
lire), per visite specialistiche; il terzo, il 30 maggio, di
5906 franchi (190 mila lire) per esami radiologici. Un
funzionario italiano a Bruxelles ha spiegato che sarà
sufficiente che Duchene rispedisca direttamente le fatture
all'ospedale citando il decreto governativo dell'anno scorso o
indirettamente facendo pervenire l'incartamento presso il
consolato italiano all'indirizzo "me de Livourne 38, 1040
Bruxelles". Il parrucchiere di Pinerolo dunque non pagherà, ma
si domanda se qualche altro italiano abbia ricevuto note
dall'ospedale e se per caso questo qualcun altro non abbia già
pagato. Sarebbe poi interessante capire se il disguido è nato da
un errore da parte dell'amministrazione ospedaliera (la firma
sotto le parcelle è del direttore Schorochoff) o del ministero
competente, che ha dimenticato di trasmettere allo stesso
ospedale una lista completa con i nomi degli italiani feriti.
Nessuna volontà persecutoria - spiegano i belgi - si è trattato
soltanto di un equivoco. E le dimensioni dell'episodio in
effetti non sono confrontabili con le gravi responsabilità da
parte delle autorità nello svolgimento degli avvenimenti di
quella tragica serata. Ma la sensazione di disagio per questo
disguido burocratico rimane netta. Un disagio proporzionalmente
più grande in chi fu più o meno direttamente coinvolto in quegli
avvenimenti: i parenti dei morti, i feriti, chi scampò
casualmente dal pericolo, chi seguì con sgomento un evento
sportivo preceduto da una carneficina e l'esultanza finale del
giocatori e i tifosi ubriachi di gioia che festeggiavano la
vittoria nelle strade di Torino. Carlo Duchene il 29 maggio del
1985, la sera della partita, all'Heysel, si trovò di fronte un
giovane tifoso del Liverpool - James Mac Jill, 21 anni - che non
aveva mai visto prima, al quale non aveva mai rivolto la parola,
che eppure per il solo fatto di avere a portata di spranga un
italiano lo identificò come un nemico da colpire. Il bilancio
della serata fu di 38 vittime; tra gli italiani i morti furono
32; 4 i feriti con lesioni gravissime che hanno provocato
postumi di invalidità permanente; 10 feriti gravi senza postumi,
ma con degenza ospedaliera superiore ai 30 giorni; 20 degenze
tra gli 8 e i 30 giorni; 220 feriti leggeri. Marco Manfredi,
dipendente dell'ospedale di Moncalieri, scomparve: ritrovato a
Torino dopo nove giorni in stato confusionale nei pressi delle
Molinette, dove era arrivato non si sa come. L'amarezza di Carlo
Duchene, dopo aver ricevuto le parcelle dell'Ospedale Erasmo di
route de Lennik, è comprensibile. Comprensibile la sua voglia di
dimenticare che quelle parcelle non aiutano certamente.
23 luglio 1986
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA
LUGLIO 1986
Parcella ai feriti dell'Heysel
"Dopo il danno, la beffa", commenta amaro
Carlo Duchene, il parrucchiere di Pinerolo aggredito da un
giovane inglese e rimasto 4 mesi in coma. La prima fattura in
febbraio, poi le altre. Il legale: "Non paghi". Dopo il danno,
la beffa. E "beffa", sono le fatture che l'ospedale Erasmo,
route de Lennik 808, Bruxelles, invia al feriti dell'Heysel per
ambulanza, degenza, esami. Esibisce i conti e scuote il capo
Carlo Duchene, 34 anni, parrucchiere a Pinerolo, spedito in coma
dalle sprangate che gli ha vibrato James Mac Jill, 21 anni, di
Liverpool, condannato a 40 mesi. Ora, tramite La Stampa,
arrivano precisazioni: Un decreto del governo stabilì
nell'agosto '85 che le cure sono a carico dello Stato belga, le
fatture sono un equivoco. "Ma quanti hanno già pagato ?",
chiede. Ed ecco carte piene di timbri, anche la faccia di Erasmo
da Rotterdam, poi matricola, dossier e firma del direttore, O.
Schorochoff. Nel negozio di via (omissis), a Pinerolo, Duchene
sfoglia documenti: 12 febbraio, 3830 franchi (circa 120 mila
lire) per l'ambulanza: 30 aprile, 1334 franchi (44 mila lire)
per visite specialistiche; 30 maggio. 5906 franchi (190 mila
lire) per esami radiologici. "Ne arriveranno altre?", chiede. A
Bruxelles ha parlato con il medico legale, che ha risposto: "Non
paghi". Così ha fatto. E ora arriva l'indicazione della strada
da seguire per chiudere la faccenda. Ma il parrucchiere
commenta: "L'ospedale ha un'amministrazione che segue un iter
senza sapere chi è questo o quello. Mi colpisce che, dopo il
decreto dell'agosto '85, nessuno abbia fornito un elenco di
persone ferite allo stadio. Hanno stanziato miliardi, potevano
avvertirli". Ai feriti rimane, dunque, il senso di un Belgio che
con cinismo guarda alla vicenda: "Ora ne parlate sul giornale,
si chiarisce tutto, ma c'è gente che magari ha pagato. L'unico
interlocutore chiaro che abbiamo avuto è la Fondazione Edoardo
Agnelli". Gestisce il denaro raccolto, con una sottoscrizione,
dallo Juventus Club: 970 milioni, 812 dei quali già consegnati
alle famiglie delle 32 vittime. Per gli altri 158 milioni. Il
direttore, Aldo Ratti, ha preparato in questi giorni la
suddivisione tra i feriti. Sono 254, divisi in gruppi: quattro
hanno riportato lesioni gravissime con postumi di invalidità
permanente, riceveranno 11 milioni a testa; 10 sono feriti,
gravi senza postumi, ma con degenza ospedaliera superiore ai 30
giorni: 5 milioni ciascuno; 201 casi di degenze tra gli 8 e 130
giorni: contributo 3 milioni. Poi ci sono 220 feriti leggeri: a
loro nessun contributo, "per non frantumare le offerte fino a
cifre insignificanti". Conclude Ratti: "Mi spiace ci sia voluto
tanto tempo, ma è stato lento il lavoro di ricostruzione di nomi
e cartelle cliniche. Abbiamo avuto gli ultimi dati all'inizio di
luglio. In 20 giorni abbiamo diviso le cifre, tardi, ma con le
massime garanzie di serietà." Marco Nucirotti Torino, come
tutt'Italia, scoprì quell'orrore alla televisione. La sera del
29 maggio '85 erano ancora incerti i nomi delle vittime.
L'indomani, gli elenchi portavano quella scritta che non lascia
speranza: erano elenchi "ufficiali". Trentotto vittime, fra le
quali trentadue italiani (due torinesi), più di duecento feriti.
A Torino rientrarono tifosi che avevano "visto da lontano".
Arrivarono già nella notte e i loro racconti, all'aeroporto,
ravvivarono le immagini che giornali e televisione cominciavano
a diffondere. Poi tornarono i feriti lievi, quelli che "se
l'erano cavata per miracolo". Mostravano contusioni, abrasioni,
parlavano della fuga, della salvezza e della "voglia di
dimenticare". Mentre s'aspettavano notizie di Marco Manfredi
(dipendente dell'ospedale di Moncalieri scomparso per giorni,
poi rivisto a Torino nei pressi delle Molinette, in preda a
confusione mentale), la città assisteva al dramma di due vedove:
Carola Landini e Tiziana Russo. Giovacchino Landini, 50 anni,
ristoratore, ucciso nella curva Z. Un anno dopo diceva la
vedova: "Non m'hanno detto neppure che erano arrivati gli
effetti personali. Come faccio a perdonare ? Quei morti non
riposano tranquilli". Domenico Russo, 26 anni, elettricista, di
Moncalieri. Quando partì per Bruxelles la moglie era incinta.
Ora ha un bimbo che sta per compiere un anno: "Quando sarà
grande gli dirò tutto, cercando di non trasmettergli la mia
rabbia".
23 luglio 1986
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
LUGLIO 1986
II nostro corrispondente da Bruxelles ci
telefona: Le fatture dell'ospedale belga arrivate a Carlo
Duchene sono un errore, risultato probabilmente di un disguido
amministrativo. Le rette ospedaliere per i feriti dell'Heysel,
infatti, sono sempre state direttamente trasmesse al governo
belga, che, come aveva precisato in un decreto dell'agosto '85,
si è fatto carico di tutte le spese. In qualche caso isolato le
fatture sono state spedite alle autorità consolari italiane, che
si sono limitate a inoltrarle al ministero belga della Sanità.
Il tifoso di Pinerolo ha due possibilità, come ci ha dichiarato
ieri un funzionario italiano a Bruxelles: la "prima consiste nel
rispedire le fatture all'ospedale, citando il decreto in
questione; la seconda - forse la più semplice - è di far
pervenire l'incartamento al nostro consolato (rue de Livourne
38, 1040 Bruxelles) che, da noi informato della vicenda,
provvederà all'inoltro al ministero belga competente. La
disponibilità belga a coprire le spese mediche non poteva
contemplare, naturalmente, i feriti "non ufficiali", cioè i
tifosi fattisi ricoverare, ma non formalmente registrati come
vittime dell'Heysel. Questo non è, ovviamente, il caso di Carlo
Duchene. L'episodio, comunque, non deve far credere che il
Belgio sia terra di predoni ospedalieri: i regolamenti che
governano l'assistenza sanitaria ai cittadini della Cee sono
simili a quelli degli altri Paesi della Comunità. Il turista
dovrà quindi munirsi, presso la sua Usl, del modulo E-111 per il
Paese che intende visitare (in questo caso il Belgio) per
disporre di una copertura sanitaria. Ai tempi dell'Heysel fu il
nostro consolato a richiedere tale documento a tutte le Usl
interessate. In mancanza di tale documento il degente dovrà
pagare, e si sa di casi in cui gli ospedali belgi hanno chiesto
in deposito somme di denaro abbastanza considerevoli
(l'equivalente di un milione di lire). f. gal.
23 luglio 1986
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
LUGLIO 1986
LONDRA - I ventisei tifosi del Liverpool
accusati di avere provocato i disordini allo stadio Heysel di
Bruxelles in cui 39 persone morirono sono stati posti in libertà
provvisoria dietro cauzione dal tribunale londinese che deve
decidere sulla richiesta di estradizione avanzata dalla
magistratura belga. La motivazione di questa sentenza
temporaneamente liberatoria si basa sulla necessità dei
prevenuti di preparare i rispettivi appelli e le difese. I
disordini si verificarono durante l'incontro di finale di Coppa
del campioni tra il Liverpool e la Juventus, il 29 maggio 1985,
finale vinta dalla squadra bianconera. La maggior parte delle
vittime di quei disordini furono tifosi della Juventus. I tifosi
dovranno presentarsi nuovamente in tribunale il prossimo 10
novembre e questa volta per ascoltare la sentenza della corte.
Questa sentenza è attesa negli ambienti forensi inglesi, poiché
in caso di accoglimento della richiesta della magistratura
belga, verrebbe costituito un precedente penale nella storia
giudiziaria inglese.
16 settembre 1986
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA SETTEMBRE 1986
Bruxelles: processo a 3 ultras per gli
incidenti dell'Heysel
I tre tifosi bianconeri Umberto Salussoglia
e Claudio Ardito, di Torino, e Franco Spedicato, di Lecce,
coinvolti negli incidenti scoppiati allo stadio Heysel il 29
maggio 1985, prima della tragica finale di Coppa dei Campioni
tra Juventus e Liverpool che costò la vita a 39 spettatori dei
quali 32 italiani, sono sotto processo da oggi a Bruxelles. I
tre giovani - il primo di 22 anni, gli altri due di 25 - sono
accusati di danneggiamento, resistenza e oltraggio a pubblico
ufficiale. Salussoglia fu ripreso dalla televisione inglese
mentre con una scacciacani sparava in direzione della polizia
dagli spalti della curva affollata di tifosi juventini. I tre,
che vennero arrestati quella sera stessa, furono scarcerati dopo
cinque settimane e tornarono in Italia. Nel processo il comune
di Bruxelles si è costituito parte civile e chiede il
risarcimento dei danni. Quello previsto per mercoledì sarà
dunque il primo verdetto che riguarda tifosi italiani. Sono
invece già stati giudicati e condannati alcuni tifosi del
Liverpool. Ma la magistratura belga attende ancora che 26 dei
giovani inglesi, identificati dalle immagini filmate come
responsabili delle violenze all'Heysel, siano estradati. Per
quanto riguarda gli italiani, i magistrati belgi dovranno
decidere se sia anche loro la responsabilità dei violentissimi
scontri che precedettero la strage o se il loro fu soltanto un
tentativo di difesa dall'aggressività degli inglesi.
13 novembre 1986
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA
NOVEMBRE 1986
Heysel, tre condanne senza sospensione
La magistratura belga, dopo la sentenza di
condanna di due tifosi bianconeri coinvolti negli incidenti del
29 maggio 1985 allo stadio Heysel, ne chiederà l'estradizione,
come ha già fatto per i ventisei tifosi del Liverpool. Ma
probabilmente nessuno dei responsabili della strage, finirà in
galera. Non gli esaltati che parteciparono materialmente agli
scontri, identificati, processati, ma che difficilmente verranno
estradati dai rispettivi Paesi. Non i responsabili dell'ordine
pubblico, che persero la testa non meno dei tifosi e per i quali
non si è aperto alcun procedimento penale. Non i responsabili
morali dell'esaltazione di massa della tifoseria calcistica che
si perpetua di giorno in giorno - impunita e impunibile - in
alcune isteriche cronache calcistiche di parte dei "media".
Umberto Salussoglia, 23 anni, fotografato allo stadio Heysel
mentre puntava una scacciacani contro la polizia, e Claudio
Ardito, 25 anni, anche lui riconosciuto attraverso fotografie e
filmati, entrambi torinesi, sono stati condannati a 2 anni di
reclusione ed al pagamento di una multa di 12 mila franchi (396
mila lire). Franco Spedicato, 26 anni, di Lecce, è stato invece
condannato a 15 mesi di carcere ed anche lui al pagamento di 12
mila franchi. Umberto Salussoglia si è premurato, nel corso del
processo, di far pervenire alla corte attraverso l'avvocato un
certificato medico che giustificasse la sua. assenza e che parla
di "epatite virale". A nessuno dei tre "ultras" è stata concessa
la sospensione condizionale della pena. I giudici belgi infatti
non hanno riconosciuto ai tre le attenuanti generiche.
Particolare però tutto sommato per loro indifferente, perché in
pratica vuol soltanto dire che i tre italiani condannati non
potranno mai decidere di passare una vacanza in Belgio.
Salussoglia, Ardito e Spedicato in cella erano finiti la sera
della strage (39 morti) e vi furono trattenuti per cinque
settimane. Poi ottennero la libertà provvisoria e la possibilità
di rientrare in Italia. Stesso trattamento ebbero i tifosi
inglesi bloccati la sera del 29 maggio. La magistratura belga
non ha ancora chiesto l'estradizione degli imputati condannati,
ma lo farà senz'altro nei termini fissati dalla giustizia di
quel Paese. Gli avvocati che hanno difeso i tre italiani si sono
però dichiarati sicuri che la magistratura italiana risponderà
negativamente, alla domanda di estradizione. Diverso il discorso
per la multa ed il risarcimento dei danni (i tre sono stati
condannati, anche a risarcire i danni a due agenti feriti) che,
seppur attraverso un procedimento complesso e molto lungo, prima
o poi dovrebbe arrivare "a buon fine".
20 novembre 1986
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA
NOVEMBRE 1986
Giustizia per l'Heysel
Umberto Salussoglia, sorpreso dalla tv con
una pistola in mano, e Claudio Ardito condannati a 2 anni,
Franco Spedicato a 15 mesi - Non è escluso che la magistratura
chieda l'estradizione.
Si è concluso, a Bruxelles, il processo
contro i 3 teppisti italiani che il 29 maggio '85, durante la
finale di Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool, scatenarono
incidenti allo stadio Heysel. Umberto Salussoglia, 23 anni, e
Claudio Ardito, 25 anni, sono stati condannati a 2 anni di
reclusione e al pagamento di una multa di 12 mila franchi (quasi
400 mila lire). A Franco Spedicato, 26 anni, di Lecce, 15 mesi
di carcere e 12 mila franchi di multa. A tutt'e tre gli pseudo
tifosi non è stata concessa la sospensione condizionale della
pena: ciò significa che Salussoglia e compagni, se torneranno in
Belgio, saranno arrestati. In cella erano già finiti la sera
della tragica partita (39 persone persero la vita negli
incidenti scatenati da centinaia di inglesi sulle gradinate
dell'Heysel, 32 le vittime italiane), ma dopo 5 settimane
ottennero la libertà provvisoria. Al processo non si sono
presentati: Salussoglia ha fatto pervenire un certificato
medico: "Epatite virale". Quasi certamente, la magistratura
belga chiederà che i condannati siano estradati. Ma, secondo gli
avvocati di Bruxelles, che hanno difeso i 3 ultras, è
improbabile che la richiesta venga accolta. Il tribunale ha
anche condannato Salussoglia, Ardito e Spedicato a risarcire i
danni a 2 agenti feriti nei tumulti. Umberto Salussoglia fu
ripreso dalla televisione inglese (e il fotogramma fece il giro
del mondo), mentre dalla curva in cui erano assiepati i tifosi
juventini sparava con una scacciacani contro le forze
dell'ordine. Bruxelles ha già condannato molti teppisti del
Liverpool: per 26 è stata chiesta l'estradizione.
20 novembre 1986
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
NOVEMBRE 1986
BRUXELLES - Tre italiani sono stati
condannati per reati compiuti in occasione degli incidenti
dell'Heysel, che terminarono con 39 morti il giorno della finale
di Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool. Il tribunale di
Bruxelles ha inflitto due anni di prigione senza condizionale e
l'equivalente di quasi 400mila lire di multa ad Umberto
Salussoglia, 23 anni, di Torino; 15 mesi senza condizionale, più
la stessa multa per Claudio Ardito, 26 anni, di Torino e Franco
Spedicato, 26 anni, di Lecce. I tre imputati erano accusati di
danneggiamento e resistenza a pubblico ufficiale, oltre che di
porto di arma impropria. Salussoglia era anche accusato di
minacce: la Tv lo aveva ripreso mentre sparava con una
scacciacani in direzione della polizia e dei tifosi del
Liverpool. I tre italiani sono stati condannati in contumacia
(Salussoglia aveva anche mandato un certificato medico
attestante un'epatite virale); verranno arrestati in caso
ritornino in Belgio, e dovrebbero anche risarcire i danni a due
agenti di polizia e al comune di Bruxelles. JUVENTINI ARRESTATI
- Due tifosi juventini sono stati arrestati al termine delle
indagini su Fiorentina-Juve del 12 ottobre: Umberto Toia, 21
anni e Geraldo Mocciola, 23 anni. l'accusa è violenza e
resistenza a pubblico ufficiale. Un terzo giovane è minorenne,
la sua posizione è stata trasmessa al tribunale competente.
Diciotto tifosi della Fiorentina sono stati denunciati, sempre
per gli incidenti di quella domenica.
20 novembre 1986
Fonte: La Repubblica
ARTICOLI STAMPA
NOVEMBRE 1986
di Ruggero Conteduca
Accusati di omicidio colposo e lesioni
aggravate - Sono stati riconosciuti attraverso film.
ROMA - La Procura della Repubblica di Roma
ha incriminato i tifosi del Liverpool responsabili degli
incidenti allo stadio Heysel di Bruxelles durante la finale di
Coppa dei Campioni con la Juventus. Le accuse, di omicidio
preterintenzionale e lesioni aggravate, sono rivolte a ventisei
tifosi inglesi da tempo identificati e per i quali l'autorità
giudiziaria belga ha già chiesto l'estradizione al governo di
Londra. L'inchiesta, aperta all'indomani di quel tragico 29
maggio 1985, quando 38 tifosi, in maggior parte italiani,
persero la vita sugli spalti dello stadio Heysel è giunta quasi
alla conclusione con la formulazione delle accuse e,
soprattutto, con l'identificazione dei responsabili. Un lavoro
lungo e delicato che ha impegnato il sostituto procuratore
Alfredo Rossini, il magistrato al quale vennero subito affidate
le indagini, per circa un anno e mezzo. Intensa è stata la
collaborazione nei mesi scorsi fra Italia e Belgio sia a livello
di polizia che di autorità giudiziaria. Quasi inesistente,
invece, quella fra Roma e Londra. Nonostante tutto, grazie alle
testimonianze delle vittime scampate alla morte, e ai filmati
forniti dalla televisione al giudice belga, è stato possibile
attraverso un lavoro comune ricostruire l'intera vicenda e dare
un volto ai responsabili. Anche l'Italia, dunque, chiederà a
questo punto l'estradizione dei colpevoli. Una precisa norma del
nostro codice dà facoltà al magistrato italiano di perseguire i
responsabili di reati commessi all'estero da cittadini stranieri
ai danni di cittadini italiani. Per questo, la procura della
Repubblica di Roma non ebbe indugi e il giorno immediatamente
successivo alla tragedia dell'Heysel aprì un fascicolo contro
ignoti. L'inchiesta venne affidata alla magistratura della
capitale per una serie di motivi. Fra l'altro: perché i tifosi
rimasti vittime della violenza degli inglesi non erano solo ed
esclusivamente residenti a Torino, ma provenivano da diverse
città italiane e, soprattutto, perché dovendo in seguito
procedere ad una richiesta di estradizione la presenza a Roma
del ministero di Grazia e Giustizia e di quello degli Esteri
avrebbe accelerato il già lungo iter burocratico. Proprio su
quest'ultimo punto, però, sulla possibile estradizione in Italia
dei ventisei teppisti inglesi, si addensano i dubbi più grossi,
dal momento che il Belgio ha già avviato la richiesta alla Gran
Bretagna sin dal luglio scorso. La procedura ha avuto inizio
dopo poche settimane, il 9 settembre, presso il tribunale
londinese di Bow Street quando i ventisei tifosi sono comparsi
in manette dinanzi al giudice: erano stati arrestati sulla base
di un mandato di cattura internazionale, ma subito dopo sono
stati rimessi in libertà su cauzione. Gli avvocati della difesa
hanno già annunciato una battaglia durissima: la legge
britannica, infatti prevede l'estradizione di cittadini inglesi
in altri Paesi solo per il reato di omicidio o per atti di
terrorismo. E i ventisei tifosi del Liverpool sono incriminati
sia da parte dell'autorità giudiziaria belga, sia da quella
italiana, di omicidio colposo e non doloso. Per riuscire ad
identificarli la polizia belga, con la collaborazione del
colleghi inglesi ha fatto ricorso a tecniche modernissime
riuscendo ad isolare dalle immagini televisive particolari
ingranditi sino a dieci volte. Quelle stesse immagini,
consegnate al giudice italiano nel novembre dello scorso anno
durante un suo sopralluogo nello stadio Heysel, furono poi
mostrate ad alcuni sopravvissuti: ventisei teppisti furono
riconosciuti da più di uno di loro. Ora, il magistrato sta
raccogliendo le testimonianze scritte da allegare alla
documentazione per la richiesta di estradizione. Anche se sarà
necessario attendere prima l'esito della richiesta belga e
valutare le conclusioni dell'eventuale processo di Bruxelles.
3 dicembre 1986
Fonte: La Stampa
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DICEMBRE 1986
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