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ARTICOLI 29-31 MAGGIO 2017
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29-31 MAGGIO 2017
ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2017

L’Heysel e la manutenzione della memoria

Briaschi: "Heysel ? Ero in campo quel giorno, era una strage annunciata…"

Heysel, 32 anni dalla tragedia allo stadio. Tra le vittime ci fu anche un bergamasco

Heysel, 32 anni fa. La notte più brutta

Heysel, anche il Torino si unisce al ricordo: "È tragedia nazionale"

1985-2017: 32 anni fa la strage dell'Heysel, impossibile dimenticare

32 anni fa la strage nello stadio "Heysel": la notte del calcio

Heysel, 32 anni fa: impossibile dimenticare la Coppa insanguinata

Heysel, tra memoria, riflessioni, congetture, mancanze di rispetto e commozione

Heysel, noi non dimentichiamo

La strage dell’Heysel nel 1985, la tragedia di tutti

Marco Manfredi, lo "smemorato dell'Heysel"

Il ricordo dell’Heysel 32 anni dopo, Donati: "Ricordare ed educare"

Stadio Heysel di Bruxelles: il 29 maggio 1985 gli Hooligans uccisero 39 tifosi

Anche il Liverpool ricorda le vittime dell'Heysel

"I primi assalti contro gli abruzzesi"

La Strage dell’Heysel

ARTICOLI STAMPA e WEB 30 MAGGIO 2017

Heysel, la memoria non si cancella

ARTICOLI STAMPA e WEB 31 MAGGIO 2017

Dall'Heysel a Cardiff con la maglia del Grande Torino: la storia meravigliosa

Dall'Heysel fino a Cardiff per tifare Juventus indossando la maglia del Grande Torino

L’Heysel e la manutenzione della memoria

di Emilio Targia

Deve essere un vizio maledettamente umano. Quello della propensione all’oblio. Una specie di basso istinto. Malsano, contagioso. Lo si può scegliere per autodifesa, come anestesia contro il dolore. O si può provare a imporlo, a se stessi e agli altri, per comodità, per superficialità. O per vigliaccheria. Heysel è una parola che schiocca come una frustata. Che evoca solo e soltanto quella notte, quella strage. E’ un termine ormai svuotato del suo originario valore. Heysel non è più uno stadio, così come Ustica non è più un’isola, né l’Italicus un treno. In Belgio quello stadio prima lo hanno abbattuto, e poi lo hanno ricostruito, nel 1995. Cambiandogli nome: Stadio Re Baldovino. Come se bastasse quello, a cancellare la Storia. A cancellare quel che significa davvero Heysel. Del vecchio Heysel resta oggi solo il cancello principale. Unico testimone di quella sciagurata notte del 29 Maggio 1985. Che io non posso, né voglio, dimenticare. Una notte cominciata dentro a una luce speciale. Un tramonto giallo-arancione che sembrava il contraltare ideale di quelle bandiere bianconere infilate dentro a un sogno. Come gli ombrelloni ancora chiusi sulla spiaggia al mattino presto. Quando soffia un’aria piena di promesse. I cori dei tifosi bianconeri erano partiti un po’ in disordine, tanto erano emozionati. Come bambini. Ciascuno intento a coltivare il proprio senso di gioia e di stupore, con lo sguardo fisso sul verde del prato. Ciascuno a "cantare" un po’ per conto proprio. Poi pian piano i sentimenti si erano organizzati, e avevan trovato ritmo ed equilibrio. E soprattutto un senso di comunione. Finalmente dentro a un unico canto. Fino a quel battere di mani serrato, ordinato. A scandire i cori. Le rime storiche. Gli slogan più cari. E io ero lì immobile, fermo a guardare e ad ascoltare. Silenzioso. Sull’onda di quella chimica speciale che si forma nell’aria e che assomiglia così tanto a un incantesimo. Poi quel batter di mani bruscamente interrotto. Poi le mani che ora indicavano "laggiù". La prima carica degli inglesi. Mentre il canto spezzato diventava un urlo. E le bocche della curva Z, spalancate nella paura, respiratori d’emergenza. Un click sull’interruttore e la più bella delle luci svanisce in un attimo. Gli spalti mutano in fronte di guerra. Il campo da gioco diventa via di fuga. E la curva Z un girone dell’inferno. E noi lì smarriti, raggelati. Immobili. Con le pale degli elicotteri dentro al nostro sguardo attonito. Vera giustizia, come noto, non fu mai fatta. Difficile individuare, accertare e provare tutte le singole responsabilità nella follia del branco impazzito. E allora, ci resta la memoria. La cui solidità non passa solo attraverso un monumento. O un anniversario. Occorre che divenga prima di tutto risorsa condivisa, consapevolezza, comprensione. Una specie di sentimento comune. Occorre che le istituzioni, le scuole, i media sostengano e preservino la memoria. Memoria che sembra ancora oggi infastidire i principali responsabili di quella strage. Tanto che nel 1990, in quello che era lo stadio Heysel, in occasione della partita tra il Malines e il Milan, al capitano rossonero Franco Baresi viene impedito di deporre una corona di fiori in prossimità del vecchio settore Z, al Milan viene impedito di portare il lutto al braccio, né si osserva un minuto di silenzio prima del match. Episodi come questo accrescono il rischio che la memoria possa dunque sfilacciarsi, affievolirsi, perdersi. Col pericolo che resti alla fine solo quel nome, Heysel, senza dentro la storia di quel che accadde davvero quella notte. Senza il suo significato più profondo, il suo dolore tagliente, i suoi volti segnati. Heysel come una scatola vuota. Una volta si faceva un nodo al fazzoletto, per rammentarsi qualcosa di importante. Non c’era il bip di un telefonino, ma un semplice nodo di stoffa. La scrittrice americana Barbara Kingsolver sostiene che la memoria è una faccenda complicata, è imparentata con la verità ma non è la sua gemella. A me piace pensare che si possa imbrigliare il destino di quella frase. Se non sovvertirlo. E che nel caso dell’Heysel la memoria possa divenire almeno sorella della verità. Che possa provare a far immaginare il dolore. Quel dolore di cui nessuno parla mai. E creare gli anticorpi contro qualunque manipolazione o strumentalizzazione. Tenere lontana la retorica e respingere l’ipocrisia. Non ci sarà qualcuno che lo farà per noi. Perché la memoria è un lavoro. Una scelta. Necessita di manutenzione e amore. Un compito che spetta a tutti e a ciascuno. Fatelo, allora, quel nodo al fazzoletto. Che senza memoria, saremmo luci spente. (Tratto dal libro "Quella notte all’Heysel" - Sperling&Kupfer)

29 maggio 2017

Fonte: Juventibus.com

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2017  

Briaschi: "Heysel ? Ero in campo quel giorno, era una strage annunciata..."

di Alessandra Stefanelli

L'ex calciatore della Juventus, oggi procuratore sportivo, Massimo Briaschi ha parlato ai microfoni di TMW Radio ricordando la strage dell'Heysel avvenuta 32 anni fa: "Ero in campo quel giorno. Fu una strage annunciata secondo me, visto che furono sottovalutati dei segnali importanti. C'era paura che qualcosa sarebbe potuto succedere. Anche durante la gara non tutti sapevano, io per esempio fui informato della tragedia solamente nel viaggio di ritorno. Il nostro cammino era stato straordinario, sfociato in una finale sentita e attesa. Diciamo che è una Coppa che esiste, ma ha l'importanza che merita. Juventus ? La Juve arriva al top fisicamente e mentalmente alla finale di Cardiff. Ha ragione Allegri quando dice che il Real concede qualcosa dietro, ma è anche vero che i bianconeri non dovranno sbagliare niente. Cristiano vs. Buffon ? Io darei il Pallone d'Oro a Buffon a prescindere, perché è incredibile che non sia ancora riuscito a vincerlo. L'esito della finale sarà senza dubbio importante per la consegna del premio".

29 maggio 2017

Fonte: Tuttojuve.com

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2017  

Heysel, 32 anni dalla tragedia allo stadio

Tra le vittime ci fu anche un bergamasco

Per non dimenticare una delle pagine più brutte e drammatiche del calcio moderno. Era il 29 maggio del 1985 quando, allo stadio Heysel di Bruxelles, durante la finale di Coppa dei Campioni morirono 39 tifosi, quasi tutti juventini per gli incidenti scatenati dai supporter del Liverpool. Tra loro anche il bergamasco Mario (Francesco) Galli da Calcio. Nel 1985 il calcio inglese fu bandito per anni dall’Europa, era una delle conseguenze della tragedia che si era verificata il 29 maggio di quello stesso anno allo stadio Heysel di Bruxelles. Gli incidenti scatenati dai tifosi del Liverpool causarono la morte di 39 tifosi juventini prima della finale di Coppa dei Campioni. Francesco Galli di Calcio è una delle vittime della strage dello stadio belga di 32 anni fa. Francesco aveva 25 anni ed era l’ultimo dei dieci figli. Lavorava come carpentiere ed era fidanzato con Daniela. Aveva una grande passione per la Juventus che condivideva con altri amici della zona con i quali aveva deciso di andare a vedere la finale. Purtroppo da quella che doveva essere una giornata di festa Francesco non torno più. Lui come altri 38 tifosi rimasero schiacciati. Una tragedia che sembra lontana nel tempo ma che non si può dimenticare, monito di un calcio "malato" che non vorremmo più vedere.

29 maggio 2017

Fonte: Ecodibergamo.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2017  

Heysel, 32 anni fa. La notte più brutta

di Emilio Targia

Il 29 maggio del 1985 la finale di Coppa dei Campioni a Bruxelles finiva in tragedia: oggi più che mai non bisogna dimenticare.

Heysel. 39 morti, 32 anni dopo. Heysel. La strage, la storia, la memoria. Come si fa a misurare il tempo ? E come si fa a quantificare il dolore ? La misura del tempo, alla fine, svicola dal calendario e diviene soggettiva, e così fa il dolore, che a volte il tempo non allevia, ma dilata. Per tutte queste ragioni scrivere di Heysel diventa ogni anno maledettamente complicato. Perché si rischia di perdere la messa a fuoco degli eventi, di venire travolti da emozioni ancora troppo fresche, nonostante tutto, di essere offuscati dalla rabbia. Si corre il rischio di essere retorici, e magari di ripetersi. Ecco perché però bisogna insistere. Ecco perché tutti noi che eravamo lì quella notte, e che abbiamo portato a casa la pelle per qualche caso o fortuna, non dobbiamo mollare la presa. Dobbiamo continuare a scrivere, a conservare ricordi e inventare parole nuove, perché quella memoria non si perda, non si danneggi, non si sfilacci. Stava accadendo, anni fa. Può accadere di nuovo. E’ un rischio costante. E allora, occorre "fare manutenzione", stringere viti e bulloni, rabboccare l’olio e sporcarsi le mani. Come fosse un motore, la memoria. Perché lo è in fondo. E guai a farlo fermare. La storia dell’Heysel, e il suo gigantesco fardello di perdite e dolore, ha certamente insegnato qualcosa. Non sappiamo ancora se abbastanza. Ma certo oggi le finali si giocano in stadi più sicuri. Ci sono finalmente responsabilità ben definite e misure di sicurezza imponenti. E il rischio ora sembra annidarsi altrove. Non in un branco impazzito. Ma in singoli individui votati alla causa del terrorismo. Dopo 32 anni però resta ancora troppo forte l’eco di insulti gratuiti da parte di alcune tifoserie. E il vociare scomposto del solito refrain da bar dell’odio: "la coppa sporca di sangue-non si doveva giocare-non si doveva esultare". Pian piano la verità si è fatta strada in questi anni, con fatica. Spazzando via alcuni luoghi comuni e impoverendo la sloganistica dell’odio di comodo. E la fotografia di quella notte sta riacquistando le sue vere forme, i suoi colori reali. Ma guai ad abbassare la guardia. Ora all’orizzonte c’è un’altra finale, quella di Cardiff. Piena di aspettative e speranze, dopo il sogno infranto a Berlino. Le stesse aspettative e speranze che avevamo prima di Bruxelles, in quel maggio del 1985 pieno di luce complice, dopo il sogno spezzato ad Atene. Sarebbe bello se nello zaino che porteremo con noi in Galles infilassimo anche un’oncia di quegli entusiasmi traditi a Bruxelles. Se ciascuno di noi si facesse carico di una storia dell’Heysel da raccontare ai più giovani che incroceremo nel viaggio. Anche questo - credo - è manutenzione di memoria. Non smettere di raccontare - e far vivere - le singole storie di Andrea Casula e suo padre Giovanni, di Giuseppina Conti e Claudio Zavaroni, di Roberto Lorentini e Domenico Ragazzi, di Franco Martelli e Nino Cerullo, di ...

NDR: Emilio Targia (Giornalista e scrittore, autore del libro "Quella Notte all’Heysel" - Sperling&Kupfer)

29 maggio 2017

Fonte: Tuttosport.com

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2017  

Heysel, anche il Torino si unisce al ricordo: "È tragedia nazionale"

Le tragedie non hanno colore o bandiera. Non esistono morti di una fazione: davanti al dolore ci si deve unire, non dividere. E a Torino le due società che rappresentano calcisticamente la città lo dimostrano: prima la Juve, tra le prime a rendere omaggio ai caduti di Superga, poi il Torino. I granata, oggi, nel giorno dell'anniversario della tragedia dell'Heysel, che costò la vita a 39 tifosi bianconeri, sul proprio profilo Twitter danno una lezione a tutti: "32 anni fa, l'Heysel. Ci uniamo nel ricordo delle 39 vittime di quell'assurda tragedia nazionale". Con annessa foto della targa in ricordo del tristissimo evento. E le parole usate non sono casuali. "Tragedia nazionale" vuol dire tragedia di tutti. In barba agli idioti che ancora esibiscono cartelli offensivi verso un giorno così triste.

29 maggio 2017

Fonte: Ilbianconero.com

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2017  

1985-2017: 32 anni fa la strage dell'Heysel, impossibile dimenticare

di Roberto Vassallo

Il 29 maggio 1985, in occasione della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool in programma allo stadio "Heysel" di Bruxelles, 39 persone (in maggioranza tifosi bianconeri) persero la vita in un'assurda tragedia: un dramma inciso indelebilmente nel cuore della Vecchia Signora.

29 maggio 1985, una data incisa indelebilmente nella storia della Juventus. Doveva essere una notte di festa, l'occasione giusta per vincere finalmente la prima Coppa dei Campioni e contemporaneamente scacciare l'incubo della beffa subita ad Atene (contro l'Amburgo di Magath) appena due anni prima, ma purtroppo non fu così. Uno stadio inadatto ad ospitare un evento di tale importanza, un'organizzazione non all'altezza e la piaga Hooligans trasformarono una serata primaverile di Bruxelles nel teatro di una dolorosissima tragedia: 39 morti, in grande maggioranza tifosi juventini, ed oltre 600 feriti. Di quanto accadde ormai 32 anni fa allo stadio Heysel, in quel maledetto settore Z prima di Juventus-Liverpool, si è detto di tutto: parole che a distanza di tempo non fanno che riaprire una ferita sempre viva nel cuore di tutto il mondo Juve. Impossibile dimenticare, impossibile non pensare a quella finale ogni qualvolta si parla di Champions League. Ed è impossibile anche considerare quella coppa, macchiata di sangue, come le altre vinte dalla Vecchia Signora: no, non è così e non lo sarà mai. Si giocò per l'ordine pubblico, non certo per un trofeo che ora è lì, al JMuseum, quasi come monito per ricordare quanto sia piccolo il calcio di fronte a drammi del genere. Esattamente oggi cade l'anniversario di quella terribile notte, una ricorrenza che giunge a pochi giorni dalla prossima finale di Champions League che vedrà in campo proprio la Juventus. A Cardiff i bianconeri potranno contare sul supporto di tantissimi tifosi presenti sugli spalti del Millennium Stadium, ma siamo certi che lassù da qualche parte anche 39 angeli strappati a questo mondo troppo presto tiferanno per la squadra di Massimiliano Allegri. Un motivo in più dunque per tornare a casa con la coppa: il miglior modo per onorare la memoria di chi, per seguire la squadra del cuore, ha perso la propria vita in un'assurda tragedia.

29 maggio 2017

Fonte: Torinosportiva.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2017  

32 anni fa la strage nello stadio "Heysel": la notte del calcio

di Luigi Garofalo

È il 29 maggio 1985. Lo stadio "Heysel" di Bruxelles, nel quale è in programma la finale di Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool, si trasforma in un campo di battaglia e in un cimitero. La polizia non riesce a controllare i tifosi inglesi, interviene in ritardo, quando ormai gli hooligans inseguono i tifosi della Juventus fino all’estremità degli spalti. Presi dal panico i tifosi italiani si ammassano nell’angolo più lontano e basso del Settore Z, schiacciati l’uno sull’altro contro un muro. Il muro crolla e a salvarsi saranno solo i tifosi intrappolati perché quelli rimasti schiacciati troveranno la morte. 39 vittime di cui 32 italiani. Ma si gioca lo stesso. Vince la Juve con gol di Platini su rigore. Ma è la notte del calcio.

29 maggio 2017

Fonte: Sport.leggo.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2017  

Heysel, 32 anni fa: impossibile dimenticare la Coppa insanguinata

di Armando Patacchiola

A 32 anni di distanza Juventus e Liverpool ricordano una delle più grandi tragedie del calcio moderno. Morirono 39 persone, tra cui un bambino di 10 anni.

Trentanove morti, oltre seicento feriti. Trentadue anni fa. Un ricordo indelebile: "impossibile (da) dimenticare" come ricorda il comunicato del club. Trentadue gli italiani vittima della più grande tragedia della storia della Juventus. Tra questi anche Andrea Casula, di soli 10 anni, nato a Cagliari e morto a Bruxelles assieme al padre Paolo (NdR: Giovanni). Nonostante l'estremo tentativo del medico aretino Roberto Lorentini, che invano cercò di salvargli la vita. "Massacro per una Coppa" scrisse l'indomani il Corriere dello Sport, uno dei quotidiani sportivi più autorevoli del panorama mediatico italiano. L'Italia intera pianse le sue vittime, puntando il dito contro gli hooligan del Liverpool, i tifosi più accesi, che già un'ora prima del calcio d'inizio avevano causato disordini. Poi, alle 19.15, l'invasione del settore "Z" dello stadio Heysel. Quello riservato alla tifoseria italiana più neutrale. Da un lato gli otto poliziotti belgi, impreparati all'evento. Dall'altro l'onda dell'avanzata dei tifosi inglesi. I più fortunati riuscirono a trovare un varco, a scavalcare il muro di cinta, a scappare verso il campo da gioco. Gli altri morirono schiacciati dal peso della folla impazzita, dalle recinzioni e dai calcinacci dei muri venuti giù. "Quella sera vidi cadere i miei fratelli e non rialzarsi più. Ora tocca a noi rialzarli con la memoria e la responsabilità, così 39 angeli vivranno sempre nei cuori di chi resta" ricorda uno dei comitati per "Non dimenticare l'Heysel" (NdR: In Italia ce n’è uno soltanto a Reggio Emilia oltre all’Associazione dei Familiari delle vittime). Per sei anni il Liverpool non ha potuto partecipare a nessuna competizione europea. Cinque, invece, gli anni di esilio forzato per tutti gli altri club inglesi. Dodici gli hooligan incarcerati per i disordini. Mentre le famiglie delle vittime hanno ricevuto aiuti dallo stato inglese, da quello italiano, dalla federazione belga, dall'Uefa, dalla Juventus e persino dalla Fiat. Bandiere a mezz'asta, oggi, anche ad Anfield Road, lo stadio del Liverpool. Susan Black, il direttore della comunicazione dei "Reds" ha posto oggi un mazzo di fiori nei pressi della placca commemorativa delle vittime del 29 maggio 1985. La notte di quella che gli stessi giocatori della Juve, vittoriosi (1-0, Platini '58) chiamarono la "Coppa insanguinata". La prima per la "Vecchia Signora". Molti, in patria, criticarono per i festeggiamenti troppo vigorosi dei calciatori bianconeri. L'emettente televisiva austriaca mandò ugualmente in onda le immagini della partita ma senza telecronaca, lasciando in sovraimpressione la scritta "questa che andiamo a trasmettere non è una manifestazione sportiva" in polemica con la decisione dell'Uefa far giocare ugualmente la partita.

29 maggio 2017

Fonte: Sportnotizie24.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2017  

Heysel, tra memoria, riflessioni, congetture, mancanze di rispetto e commozione

Quando onore, lealtà e rispetto cedono alla follia, viene tradita ogni disciplina sportiva. Da quella serata, il calcio non è stato più lo stesso. 29 maggio 1985 Strage dell’Heysel, Belgio. 39 morti e centinaia di feriti nella finale tra Juventus e Liverpool.

Intanto Massimo Briaschi: "Se non avessimo giocato sarebbero morti in mille". E la cosa che più ci ha fatto riflettere: "Quanto si è speculato su quel giro di campo e su tante altre cose ! Io dico solo che quella notte ci toccò viverla ! E chi non c’era, porti rispetto". Da parte nostra non entriamo assolutamente nel merito delle scelte, ovvero giocare o meno la partita, fare o meno il giro di campo. Piuttosto, in questi casi è d’uopo il rispetto dei morti, immedesimandoci nella situazione di coloro che erano presenti, tra tifosi, calciatori, forze dell’ordine, etc… Semplicemente prendiamo posizione contro gli escrementi che negli stadi invocano strage dell’Heysel, Superga, Vesuvio, Tevere, etc… Chiosiamo invece con questo schifoso episodio riportato da Blitz Quotidiano: "Spero che venga giù l’aereo che li porta a giocare la finale di Champions League". Ha dell’incredibile quello che succede in una puntata di Radio International, radio bolognese, qualche ora dopo Bologna-Juventus finita 1-2 per i bianconeri grazie al gol nel finale di Kean. "Questi riescono a rubare anche nelle partite in cui non conta niente", dice l’ospite in collegamento telefonico, con il conduttore che avalla totalmente i suoi discorsi e lo aizza sempre di più: "Non è ipocrisia, fa benissimo, voglio la morte di tutti gli juventini", aggiunge il conduttore. Rinfrancato l’ospite aggiunge ancora benzina al fuoco: "Io odio tutti quelli che vestono la maglia bianconera, giocatori, allenatori, tutti, sono la vergogna del calcio italiano". "Sei la mia voce - prosegue il conduttore - grande Davide, ti ringrazio. Sei il mio idolo".  Queste parole mostrano la mostruosità e lo schifo di certe persone…

29 maggio 2017

Fonte: Lacommunitydelcalcio.com

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2017  

Heysel, noi non dimentichiamo

Esattamente 32 anni fa la tragedia in occasione della Finale di Coppa dei Campioni.

Non è possibile dimenticare l’Heysel. Non lo è per nessuno juventino che quella sera, a Bruxelles oppure davanti alla televisione, ha assistito a una festa, l’attesa di una Finale di Coppa dei Campioni che, minuto dopo minuto, diventava tragedia. Non lo è per le famiglie delle vittime che da 32 anni, esattamente come tutti noi, si chiedono il perché di tutta questa follia. Non lo è nemmeno per chi quel giorno non era ancora nato, ma ha avuto modo di conoscere a pieno la storia di quella maledetta giornata. E quel + 39, impresso sulla Mole Antonelliana questa notte, è il simbolo di un ricordo indelebile. Non è possibile dimenticare, nemmeno in una settimana come questa, che porterà la Juventus a una nuova, grande sfida, in Finale di Champions League contro il Real Madrid sabato prossimo. Una settimana che, proprio oggi, inizierà con una giornata nella quale i bianconeri saranno a disposizione dei media italiani ed europei, per parlare proprio dell’appuntamento di sabato. Si racconteranno emozioni, attese, tensioni sportive: ma nella testa di tutti un pensiero, in un giorno come oggi, sarà sempre rivolto ai 39 tifosi che, dal 29 maggio 1985, non ci sono più, e ovviamente alle loro famiglie: esattamente come accade da 32 anni.

29 maggio 2017

Fonte: Juventus.com

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2017  

La strage dell’Heysel nel 1985, la tragedia di tutti

di Emanuele Lubatti

29 maggio 1985: all’Heysel la Juve vince la Coppa Campioni, ma a perdere è il calcio. Come si è arrivati a quei terribili 39 morti ?

É la tragedia calcistica dell’Europa. C’è un prima e dopo Heysel, perché in quella notte di fine maggio del 1985 tutto cambia. Uno stadio fatiscente, la totale inadeguatezza delle forze dell’ordine, l’alcool, la violenza degli ultrà inglesi trasforma quel Juventus-Liverpool di finale di Coppa Campioni in una carneficina. 39 morti, di cui 32 italiani e più di 600 feriti. Un bollettino di guerra, non una partita di pallone. In quello stadio di Bruxelles si fanno a pezzi i sogni e muoiono pian piano. Uno ad uno. "Quando onore, lealtà, rispetto cedono alla follia, è tradita ogni disciplina sportiva". Le parole sono quelle di Giovanni Arpino. "Qui ricordiamo le 39 vittime di Bruxelles, trucidate da brutale violenza". Le lettere incise una ad una nel bronzo e poi messe in rilievo sul cippo dell’architetto Dante Grassi, visibile all’interno della sede della Juventus, in piazza Crimea prima ed in Corso Galileo Ferraris poi.

Heysel, cronaca di una tragedia

L’esodo per la finale di Bruxelles da parte dei tifosi juventini è di massa. Le autorità belghe prediligono un piano di separazione delle due tifoserie a partire già dall’arrivo in aeroporto e in treno. I settori dello stadio M-N-O sono quelli riservati ai supporters bianconeri. Chi però si muove autonomamente per l’acquisto dei biglietti si ritrova nel settore Z, adiacente al settore dei tifosi reds del Liverpool. A fare da separazione solo una rete metallica, di quella che si usa nei pollai. La sensazione, ancor prima di entrare nello stadio è carica di un qualcosa che non si può spiegare a parole. "La città era lurida, la percorrevano ruscelletti di birra e piscio - scrive l’allora inviato di Tuttosport Maurizio Crosetti - Alle dieci di mattina, la Grand Place era piena di vetri spezzati. Gruppi di inglesi ubriachi ronfavano nel mezzogiorno, distesi sul selciato, le teste appoggiate a cartoni di bottiglie usate come cuscini. A un certo punto, da una finestra d’improvviso spalancata volò un oggetto di cristallo, una specie di centrotavola scagliato per disperazione contro la marea urlante degli hooligans, ed esplose come una bomba. Si rischiava di ferirsi anche solo passeggiando, nell’attesa della partita. Ed era un giorno tiepido, dolcissimo". I numeri dicono 58.000 spettatori paganti e sono impietosi. 5.000 tifosi inglesi entrano senza biglietto, 5 sono gli agenti accanto alla recinzione fra i settori X e Y (riservati ai reds) ed il settore Z (teoricamente neutro, ma in cui per l’appunto finiscono gran parte degli italiani che hanno comprato i biglietti all’ultimo). La maggior parte del dispiego delle forze belga è infatti fuori dallo stadio tanto che, prima della partita, quando un ragazzo tenta di rubare una salsiccia dai rivenditori viene inseguito da ben 28 gendarmi. Il caos è comunque percepibile fin da subito, all’arrivo dei tifosi all’ Heysel Stadium. "Partimmo a piedi per lo stadio. Ovunque c’erano tafferugli. In circostanze normali, tutto ciò non sarebbe avvenuto". Questa la testimonianza dell’ex hooligans Tony Evans a La Stampa. "Ma quel giorno era diverso… Eravamo ubriachi, ma anche in quello stato capimmo che lo stadio era fatiscente. Alle entrate non vi erano praticamente controlli. Tutt’ora, 25 anni dopo, ho ancora intatto il biglietto di quella serata. Eravamo nel settore Y, accanto al maledetto settore Z, e si capì subito che eravamo in troppi". "La folla ci spinse avanti, verso il campo, crollò una prima barriera. La polizia reagì con i manganelli. Vidi un ragazzo, uno dei nostri, rimasto imbrigliato nel filo spinato mentre cercava di scavalcare un muro. E vidi un poliziotto che lo manganellava. Mi avvicinai e gli diedi un pugno in faccia. Scappò via. A quel punto, quasi tutta la polizia si era dileguata". Il servizio d’ordine preposto ai bordi di quei settori non è minimamente adeguato. Ancora Tony Evans, una delle pochissime voci reds raccolte dalla stampa italiana, racconta il seguito. Quello tragico e sanguinoso. "Guardammo con invidia gli spazi nel settore Z che era mezzo vuoto, mentre il nostro settore Y, complici i molti tifosi senza biglietto, era strapieno. Mi assentai per qualche minuto per fare la pipì. Al ritorno vidi che la rete che separava i due settori era caduta e che molti dei nostri erano passati al settore adiacente… Più sotto e nell’angolo più lontano stavano morendo 39 persone". La folla reds carica di alcool, piena di infiltrati senza biglietto ondeggia pericolosamente. Alle 19:20, a un’ora circa dal fischio di inizio teorico della gara gli hooligans inglesi caricano verso il settore Z. Una pratica usuale negli stadi d’Oltre Manica, chiamata take an end, "prendi la curva". I tifosi bianconeri impauriti e senza il supporto della polizia si ammassano lungo il muro opposto al settore dei reds. Da qui il disastro: il muro crolla per il troppo peso e la gente a frotte cade una sopra l’altra. Nella ressa si cerca l’unico varco di uscita, il campo. Ma ormai la tragedia è segnata.

Heysel, lo stadio ieri e oggi

Lo Stadio Heysel fu costruito fra il 1929 e il 1930 e ribattezzato così nel secondo dopoguerra perché il nome originale era quello di "Stadio del Giubileo". Una prima ristrutturazione dell’impianto avvenne negli anni ’70, ma nel 1985 era vecchio ormai di mezzo secolo e totalmente inadeguato ad ospitare una finale di Coppa Campioni. "Entrando si aveva l’impressione orribile di essere dentro a un pollaio" fu l’impressione dell’inviato di Tuttosport Maurizio Crosetti. Solo nel 1994-95 lo stadio è stato completamente ristrutturato per riaprire col nome di "Stadio Re Baldovino" in adempimento ai nuovi standard di sicurezza UEFA.  La capienza attuale è di 50.122 spettatori ed ospita le gare della nazionale Belga.

Heysel: tutti sapevano tranne loro ?

In un clima irreale le squadre, un’ora e mezza dopo rispetto al previsto entrano in campo. Ai bordi del campo c’è tanta, troppa gente, fra polizia e addetti.  Bruno Pizzul, il telecronista della Rai presente per commentare la partita ripete più volte che commenterà "nel modo più impersonale e asettico possibile". Alle squadre però è stato detto che quel match bisogna giocarlo. "Zibi" Boniek parla di partita giocata contro se stesso. "Dopo pochi minuti la palla va in fallo laterale, oltrepasso la linea e mi paralizzo perché ci sono dieci poliziotti con dieci rottweiler che mi ringhiano contro. Torno in campo, mi rimetto a correre e mentre corro ci sono tre pensieri fissi, stampati nel cervello, che mi martellano. Pensiero numero uno: ma a che ora sto giocando questa partita. Pensiero numero due: ma perché la sto giocando ? Pensiero numero tre: proprio qui, a pochi passi da me, qualcuno è appena morto perché voleva vedermi giocare. E contro questi pensieri ugualmente gioco. Tre volte incazzato con me stesso. Perché mi hanno detto che è giusto farlo". Marco Tardelli dirà poi successivamente di non sentire sua quella Coppa. Gianni Agnelli, che non fu portato allo stadio per motivi di sicurezza, quando venne informato in aeroporto della decisione dell’Uefa di giocare fu molto contrariato.

Heysel: i festeggiamenti forzati

I giocatori della Juventus, a cui arrivano notizie frammentarie, fanno il giro di campo col trofeo in mano, suscitando poi anche polemiche a posteriori per quel gesto. Michel Platini, a sintesi del momento, usa una frase che diventa un tutt’uno con l’Heysel. "Quando al circo muore il trapezista, entrano i clown". Stefano Tacconi, che quella sera difende la porta bianconera, dirà poi successivamente che "le notizie erano frammentarie, non si capiva se fosse morto un tifoso oppure un centinaio. La Uefa ci aveva impedito di scendere in campo ma per fortuna un generale grande e grosso, con un po’ più sale in zucca, ci ha ordinato di giocare per evitare problemi più grandi. La nostra festa era stata decisa dallo stesso generale alto due metri: ci ha obbligati a uscire dallo spogliatoio e andare sotto la curva bianconera, perché dovevamo tenere i nostri tifosi all’interno dello stadio".

Heysel, il rigore di Platini

Al 56′ Boniek subisce un fallo al limite dell’area. L’arbitro fischia il rigore, ma i replay successivi chiariscono che la trattenuta è parecchi centimetri fuori area. Platini segna dal dischetto: 1-0 Juve, finisce così una delle partite più assurde della storia. Dopo i 39 morti, la Juve vince la sua prima Coppa dei Campioni.

Heysel, il coro della vergogna

L’Heysel però purtroppo non si ferma a quella maledetta serata di fine giugno. Perché nelle curve italiane ci sono dei veri e propri cori di repertorio. Contro ogni tipo di decenza e di vergogna. A Firenze durante Fiorentina-Cagliari del 2010 (dopo 25 anni in cui, però, a quanto pare nulla è cambiato) sulle note di "Ti ricordi montagne verde" si alza un terribile "Ti ricordi lo stadio Heysel/le bandiere del Liverpool/10 mila sono partiti/39 non tornan più". Senza considerare le magliette col numero 39 e gli striscioni ("Acciaio scadente nostalgia dell’Heysel"). A Napoli, una professoressa tifosa partenopea sui social era arrivata anche a dichiarare che "se ci girano le palle qua succede una seconda edizione dell’Heysel: non provo pena per loro, se la sono andata a cercare", scatenando un polverone mediatico. Più costruttivo sicuramente avere davanti agli occhi la coreografia del Liverpool durante i quarti di finale di Champions del 2005 contro la Juve. Solo una gigantesca scritta in italiano: "Amicizia".

Heysel, il giardino di Grugliasco e la piazza a Torino

La memoria dei 39 caduti a Bruxelles si custodisce nelle mente di tutti e poi rimane fissa lì, nei luoghi. A Grugliasco il 27 marzo 2017 viene inaugurata il Giardino "Vittime dell’Heysel" perché "nessuno muore veramente se vive nel cuore di chi resta". Alla cerimonia partecipano congiuntamente lo Juventus DOC Club di Grugliasco e il presidente del Toro Club Grugliasco. Poco dopo il 24 maggio 2017, Torino dedica una piazza alle 39 vittime dell’Heysel, in lungo Dora Agrigento, nella Circoscrizione 7.

Heysel, il racconto di Bruno Pizzul contro l’assurdo

La voce di quella partita, perché pur sempre di partita si tratta, la Rai la affida al suo telecronista di punta, Bruno Pizzul. "Ho cercato di centellinare un po’ la gravità della notizie, - dirà molti anni dopo - proprio perché avevo la perfetta consapevolezza che c’erano tantissimi italiani, e quindi tantissimi amici, figli, padri e parenti che ci seguivano". Le notizie comunque, anche in tribuna stampa, circolano confuse, non si riesce a capire niente in più di quello che si vede. Appeso al microfono, senza la possibilità naturalmente di verificare di persona, Pizzul prova a riferire in telecronaca le poche cose che girano fra i giornalisti. "Io vi posso solo dire che purtroppo debbo confermare l’esistenza di alcuni morti, di cui peraltro non conosco, sottolineo, non conosco la nazionalità". Anche attorno alla sua postazione comincia però ad affluire gente.  "Uno dei momenti di maggior difficoltà di carattere personale l’ho affrontato quando un paio di ragazzi, che erano nella curva Z, vennero vicino a me. Mi chiesero di far dire al microfono alla loro mamma che erano vivi. Io ebbi alcune difficoltà, ma alla fine decisi di non farlo. Immediatamente pensai alle migliaia di altre mamme in Italia, che non avrebbero sentito il proprio figlio e all’angoscia che avrebbero provato".

Heysel, la formazione della Juve contro il Liverpool

Così scese in campo quella notte la Juventus. In porta Stefano Tacconi, davanti a lui Favero, Scirea, Brio e Cabrini. A metà campo Briaschi-Bonini e Tardelli. In avanti le Roi Platini alle spalle di Boniek e Paolo Rossi. A partita in corso entrarono Cesare Prandelli (futuro ct della Nazionale) e Beniamino Vignola.

LIVERPOOL: Grobbelaar, Neal, Beglin, Lawrenson (3′ Gillespie), Nicol, Hansen, Dalglish, Whelan, Rush, Walsh (46′ Johnston), Wark. Allenatore: Fagan

JUVENTUS: Tacconi, Favero, Cabrini, Bonini, Brio, Scirea, Briaschi (84′ Prandelli), Tardelli, Rossi P. (89′ Vignola), Platini, Boniek. Allenatore: Trapattoni.

MARCATORE: 57′ rigore Platini

ARBITRO: Daina (Svizzera)

29 maggio 2017

Fonte: Junews24.com

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2017  

Marco Manfredi, lo "smemorato dell'Heysel"

di Roberto Bordi

Storia del tifoso juventino che nei tafferugli prima di Juventus-Liverpool perse la memoria e tornò a casa mangiando mele e formaggio.

29 maggio 1985, 29 maggio 2017: oggi sono 32 anni esatti dal più grave disastro della storia del calcio italiano. Quel giorno, allo stadio Heysel di Bruxelles, si giocò la finale di coppa dei campioni tra Juventus e Liverpool. Vinsero i bianconeri per 1-0 grazie al rigore trasformato da Michel Platini, ma il risultato della partita passò in secondo piano a causa degli scontri che avvennero sugli spalti del vetusto impianto belga, costati la morte a 39 tifosi.

I fatti: le carenze dell'organizzazione e gli hooligans inglesi

In estrema sintesi, lo stadio dove era in programma la finale era al canto del cigno: ancora quella partita e sarebbe stato sottoposto a ingenti lavori di ristrutturazione. Molti manufatti erano arrugginiti e tutto il complesso dello stadio dava l'l'impressione di cadere a pezzi. A ciò si aggiungevano un dispiegamento insufficiente di forze di polizia e la decisione di non separare del tutto i settori riservati ai tifosi della Juve da quelli occupati dagli hooligans del Liverpool. Il risultato ? Un mix esplosivo destinato a fare danni, con i tifosi del Merseyside scatenati per cercare di prendere il settore Z, a loro vicino e occupato per la maggior parte da quei sostenitori bianconeri che non erano riusciti a trovare un biglietto per la curva che stava dall'altra parte dello stadio, riservata dalle autorità belghe agli juventini più "caldi".

Let's take the end: prendiamogli la curva

Dopo qualche scaramuccia dentro e fuori dallo stadio, alle 19.20 - un'ora prima dell'inizio della partita - i primi tifosi inglesi attaccarono i "colleghi" juventini del settore Z ("cani sciolti" e famiglie) con un fitto lancio di oggetti. Il passo successivo fu di spingersi a ondate verso i tifosi juventini, approfittando delle vetuste reti di separazione esistenti tra i due settori. I supporter bianconeri, spaventati e ignorati dalla polizia, arretrarono bruscamente e si ammassarono contro il muro opposto che a un certo punto crollò per il troppo peso. Si scatenò il panico e molte persone persero la vita per schiacciamento e soffocamento. Complessivamente, furono 39 i morti di quell'assurda giornata di "sport".

Marco Manfredi, il tifoso che perse la memoria

Nei giorni successivi c'era chi parlava di 40 e non 39 morti. All'appello mancava un certo Marco Manfredi, quarantenne autista di ambulanze di Moncalieri: era sparito nel nulla. La moglie, Rosita Binelli, stava cominciando a non credere più nella possibilità di ritrovarlo vivo. Ma il 5 giugno, vicino all'ospedale "Le Molinette" di Torino, fu avvistato un uomo che vagava in stato confusionale, con la barba lunga e i vestiti sporchi e strappati. Era lui. Marco Manfredi aveva perso la memoria, tanto da guadagnarsi l'appellativo di "smemorato dell'Heysel" (cit. John Foot). Della partita non ricordava nulla. Furono magistratura e stampa a ricostruire la sua ultima settimana. Manfredi si trovava nel settore Z insieme a due amici, fu coinvolto negli scontri e svenne. Scambiato forse per un cadavere, fu adagiato in uno spiazzo nei pressi dallo stadio vicino alle salme di alcuni tifosi juventini. Lo portarono all'ospedale di Bruxelles, dove si risvegliò e riuscì a convincere i medici a lasciarlo andare. Di lì cominciò il suo lento e confuso vagabondaggio per tornare nella sua casa di Moncalieri. Cambiò un treno dopo l'altro, senza mai lavarsi e cibandosi di mele e formaggio fino a quando, una volta terminati i soldi, sopravvisse grazie a degli espedienti. Il 5 giugno il "lieto fine". Lieto fine di una triste storia che non avremmo mai voluto leggere.

29 maggio 2017

Fonte: Blastingnews.com

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2017  

Il ricordo dell’Heysel 32 anni dopo, Donati: "Ricordare ed educare"

Il 29 maggio 1985, allo stadio Heysel di Bruxelles, prima della finale di Coppa dei Campioni Juventus-Liverpool morirono 39 persone, di cui 32 italiani, per colpa degli hooligans inglesi, delle autorità politiche e sportive belghe e dell’Uefa. Due di quelle vittime erano di Arezzo, la studentessa di Rigutino Giuseppina Conti e il medico Roberto Lorentini, morto tentando di salvare un connazionale e per questo medaglia d’argento al valore civile. "Ci sono date che da aretini e da italiani restano impresse nella memoria - dichiara l’onorevole aretino Marco Donati - e il 29 maggio 1985, purtroppo, è una di queste. L’Italia e la mia città pagarono un drammatico tributo di sangue per una partita di calcio e questo è assurdo e inaccettabile". Otello Lorentini, fondando l’Associazione fra i familiari delle vittime, ha fatto condannare l’Uefa con una sentenza che ha cambiato per sempre il mondo del calcio. Dopo la sua scomparsa il testimone è stato preso dal nipote Andrea, primogenito di Roberto, che nel 2015 ha rifondato l’Associazione fra i familiari delle vittime dell’Heysel. "Otello Lorentini ci ha lasciato una grande eredità - continua Donati - eredità oggi portata avanti da suo nipote Andrea il quale, in una recente intervista a un importante quotidiano sportivo nazionale, ha dichiarato che la memoria serve per due cose: "Ricordare ed educare". "Andrea Lorentini - conclude Marco Donati - assieme all’Associazione che rappresenta si è fatto carico di presentare proposte concrete che mirano a trasmettere, attraverso la scuola, i veri valori dello sport e in particolare il rispetto degli avversari e credo sia compito della politica sostenere i progetti che vanno in questa direzione".

29 maggio 2017

Fonte: Marcodonati.org - Arezzonotizie.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2017  

Giro dell’Heysel

di Domenico Laudadio

29.05.2017: Partita la cronometro della mia ultima tappa verso il podio della dignità e verità nella staffetta della Memoria.

E’ sempre più difficile per me aggiungere con la scrittura qualcosa che non si è già detto o letto sull’Heysel, quindi sarà una impresa anche questa volta schivare il turbinio del gorgo della retorica, non tinteggiare pareti prefabbricate dal sentimentalismo una tantum. Quasi dieci anni fa mi sono messo in sella su una bici sgangherata e avevo davanti una montagna da scalare. Ho forato tante volte per strada, si sa come sono le strade in montagna, però, soprattutto al principio, spesso le ruote me le han bucate di notte faine e roditori. Ma lo sguardo sfidava ancora la vetta ciò nonostante. La memoria di certe tragedie datate è impresa ardua in Italia: un po’ per cattiva tradizione di chi trascrive la storia, un po’ per il menefreghismo di chi ama cibarsi la mente di gossip e altre menate. Pensavo di essere un uomo solo al comando, ma più nella disperazione che per il vanto, fortunatamente mi sbagliavo. Oltre alla maglia Rosa Caremani qualche compagno/a di squadra seguiva a ruota mentre un folto gruppo si formava alle nostre incrinate spalle e si arrampicava sui tornanti dando battaglia nell’inseguimento fino in vetta al mare di silenzio. Presto mi resi conto che non era me che volevano superare, ma puntavano soltanto al comune traguardo. La verità in cima alla salita ci attendeva con qualche baruffa di nebbia a intervallare il panorama tra le pietre infocate e le verdi valli. Nessuna impresa individuale, dunque, ma l’arrivo in volata di un gruppone di giusti.

Oggi l’Heysel finalmente non è più l’arrocco inespugnabile della viltà dei rei impuniti e dell’oblio calato ad arte da chi celebrò una mezza vittoria, ma una tappa di una storia ben più limpida, depurata dalle incrostazioni delle frasi di circostanza, dei racconti infantili di testimoni divorati dai sensi di colpa. Oggi l’Heysel è il puzzle ricomposto faticosamente con parsimonia dai cacciatori di una verità inconfutabile che radicalizzandosi in un sentimento di umanità ha istituzionalizzato la Memoria: Associazione dei Familiari delle Vittime, un monumento nazionale e il suo Comitato a Reggio Emilia, Associazioni, Clubs, Gruppi Ultras della Tifoseria, una tradizionale giornata della memoria ufficiale a Bruxelles e Torino, altre cerimonie solenni, inaugurazioni di Giardini, Vie, Piazze, tornei sportivi commemorativi. Possiamo dirlo con estrema soddisfazione dopo decenni di calvario: "tutto è compiuto !". Da domani potrò svestire i panni sudici del gregario ardimentoso in breve fuga solitaria, appendere quella bici al chiodo e rientrare nei ranghi a seguire il giro dell’Heysel benemerito sulla grande ammiraglia dei Familiari. Non mi resterà che prendermi cura dei miei 2 siti amatoriali  (saladellamemoriaheysel.it -  associazionefamiliarivittimeheysel.it) chiudendo l’agonismo con il trofeo più agognato: "la sala della memoria dell’Heysel". Tutto, infatti, partì da lì, da una petizione nazionale nel 2008 che la invocava a furor di popolo nel nuovo stadio della Juventus, cordialmente ignorata da Cobolli Gigli, Monsieur Blanc e dal mio idolo Roberto Bettega. In seguito idea riconvertita in una luminosa stele commemorativa nel J-Museum da Andrea Agnelli, Presidente Bianconero molto più sensibile all’argomento. Ora, però, è tempo di fare da soli… Sono schierato dalla parte migliore: approvata in febbraio dall’assemblea dei soci dell’Associazione fra i Familiari delle Vittime dell’Heysel" la "Sala della Memoria" sarà il progetto che chiuderà naturalmente la mia corsa e un ciclo decennale. Si prevede un piccolo museo nazionale con sede e collocazione ancora da definirsi nel quale documentare la verità su questa trentennale pagina di sangue e terrore dello sport, rivendicando in nome della eterogeneità delle vittime la sua degna cittadinanza nella storia nazionale e dell’Europa, non più l’accantonamento in cronaca nera nel feudalesimo bianconero, inviso a molti. Il mio giro intorno all’Heysel si concluderà esattamente nel punto dove è partito, chiudendo il cerchio di una sorta di vocazione con questo speciale tributo per 39 caduti innocenti e con il ringraziamento alle loro onorevoli famiglie. Così sia.

29 maggio 2017

Fonte: Giulemanidallajuve.com

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2017  

Stadio Heysel di Bruxelles: il 29 maggio 1985 gli Hooligans uccisero 39 tifosi

di Emidio Melis

Per non dimenticare quel triste giorno in cui morirono 39 persone a Bruxelles, causa la barbara violenza chiamata Hooligans.

In molti avranno dimenticato la tragedia avvenuta 32 anni fa allo stadio Heysel di Bruxelles, quando, poco prima di disputarsi la finale di Coppa Campioni fra la squadra della Juventus e quella del Liverpool, gli hooligans si schierarono in massa accanendosi contro i tifosi italiani. Era la sera del 29 maggio 1985 e nessuno poteva immaginare quello che da lì a poco sarebbe avvenuto. Molti italiani, agguerriti sostenitori della squadra bianconera e provenienti da club organizzati, furono assegnati alle tribune M-N-O, nella curva antistante la tifoseria inglese. Nella tribuna Z, trovarono invece posto un notevole numero di tifosi, juventini e non, in attesa di seguire la partita. Un'ora prima del suo inizio, verso le 19.15, gli Hooligans, convinti che il gruppo facesse parte della tifoseria organizzata e aspettandosi una reazione pari alla loro violenza, si ammassarono sulle reti di separazione del settore Z, sfondandole e facendo arretrare verso gli spalti, quegli attoniti spettatori impauriti che non vedevano alcun intervento delle forze d'ordine belga.

La strage degli Hooligans all'Heysel

Il gruppo di spettatori italiani posizionati nel settore Z, si seppe solo dopo che cercarono di fuggire dall'orda barbara di Hooligans che li caricava. I tentativi di scappare verso l'unica via di fuga, fu però resa vana dalle forze dell'ordine, che invece di aiutarli iniziò a manganellarli e a respingerli, verso quel muro che da li a poco tempo sarebbe stata per molti la tomba. La grande ressa ammassatasi velocemente contro quel muro, portò le persone a ferirsi nelle recinzioni, a lanciarsi dagli spalti per evitare di essere schiacciato, o a scavalcare gli ostacoli che gli si paravano davanti nel tentativo di entrare in un settore più sicuro dello stadio. Mentre la "mattanza" dei tifosi era in corso, lo speaker e i capitani delle due squadre chiesero ai tifosi di soprassedere e ritornare alla calma. A niente servì l'appello quando l'orda di Hooligans riuscì a sovrastare l'impaurita folla di tifosi che radunatisi sul muro della curva opposta ai sostenitori del Liverpool in tanti vi trovarono la morte.

Il conteggio dei morti allo stadio Heysel

Il peso delle centinaia di tifosi respinti dagli Hooligans sul muro del settore Z, ebbe ragione della sua fragilità e in seguito al cedimento si contarono i morti. Alla fine dell'aggressione le vittime non furono solo quelle, ma altre vi si aggiunsero perché nella fuga furono calpestate dalla folla nel tentativo di salvarsi. L'arrivo della polizia Belga, dopo una mezzora dall'inizio della controversia, riuscì a ristabilire l'ordine nello stadio Heysel completamente devastato e invaso dalla tifoseria bianconera inferocita. 32 italiani, 1 irlandese, 2 francesi, 4 belgi e oltre 600 feriti, furono la somma delle vittime di quell'incontro a Bruxelles, per la Coppa Campioni disputatasi fra Juventus-Liverpool. Oggi si spera che la cronaca sportiva del 29 maggio 1985 non debba più ripetersi e ci si augura che l'insofferenza e la voglia di prevalere sulla sportività, sia privata di cattivi intenti.

29 maggio 2017

Fonte: Blastingnews.com

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2017  

Tavecchio: "Heysel ricordo vivo. Il calcio va difeso"

Il presidente della FIGC, Carlo Tavecchio, ha omaggiato le vittime della tragedia dell'Heysel con qualche parola riportata sul sito ufficiale della Federazione: "Quello dell’Heysel è un ricordo vivo e doloroso, una tragedia che abbiamo il dovere di ricordare e che deve indurci a respingere con ancor più fermezza ogni forma di violenza. Il mio pensiero va alle 39 vittime e ai loro familiari, che ancora oggi pagano la follia di quella notte. Il calcio dovrebbe essere sempre sinonimo di gioia e contribuire a far superare divisioni e barriere culturali. Il nostro sport è uno straordinario strumento di coesione sociale e dobbiamo difendere questo preziosissimo patrimonio da chi approfitta della sua popolarità per dar sfogo ai peggiori istinti umani".

29 maggio 2017

Fonte: Ilbianconero.com

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2017  

Anche il Liverpool ricorda le vittime dell'Heysel

Trentadue anni fa la tragedia dell'Heysel colpiva la Juventus e 39 tifosi che erano arrivati in Belgio per seguire la finale di Coppa dei Campioni contro il Liverpool. Nel corso del media day organizzato allo Juventus Stadium quest'oggi Leonardo Bonucci ha ricordato i tifosi caduti in quella tragica sera che doveva essere di festa e che invece si trasformò in una tragedia. Anche il Liverpool, ricordando gli avvenimenti tragici di quella giornata, ha voluto ricordare le vittime dell'Heysel con una corona di fiori piazzata fuori da Anfield Road dove è stata apposta anche una targa con i loghi delle due squadre in memoria delle vittime dell'Heysel.

29 maggio 2017

Fonte: Ilbianconero.com

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2017  

Il ragazzo con lo zaino arancione nell’inferno dell’Heysel

"I primi assalti contro gli abruzzesi"

di Domenico Logozzo

Un superstite racconta in un libro la strage di 32 anni fa allo stadio di Bruxelles. "I tifosi del Liverpool iniziarono a lanciare pietre verso lo Juventus club di Pescara".

"Vivo questi giorni sempre con molta angoscia, soprattutto da quando è saltata fuori quella foto, ma sto cominciando a capire che devo imparare a gestire il mio dolore". 32 anni dopo l’Heysel, Torino dedica una piazza alle 39 vittime juventine (due abruzzesi: Rocco Acerra e Nino Cerullo di Francavilla al Mare) e in prima pagina Tuttosport pubblica la foto-simbolo di una delle "più tristi tragedie della storia del calcio e dello sport in generale". In piedi tra tanti cadaveri e tanti feriti un ragazzo con uno zaino arancione in mano e lo sguardo perso. Il ragazzo era Alberto Tufano, ieri tifoso e oggi giornalista. Aveva 16 anni ed una grande passione per la Juve. "Arrivato da solo a Bruxelles. In pochi secondi dal giorno più bello della vita a quello che poteva essere l’ultimo". Quella foto Tufano l’ha vista per la prima volta tanti anni dopo, nel 2012, quando i giornali di tutto il mondo l’hanno pubblicata più volte. E questo gli ha fatto "rompere il ghiaccio e decidere di raccontare". Insieme al collega Francesco Ceniti della Gazzetta dello Sport, ha ricordato l’orrore di quella esperienza nel libro "Il ragazzo con lo zaino arancione. Io, sopravvissuto all’Heysel, 29 maggio 1985". Pubblicato dal quotidiano sportivo milanese in occasione del 30° anniversario della tragedia nello stadio di Bruxelles. Dentro l’inferno dell’Heysel, i tifosi juventini furono letteralmente schiacciati da quelli del Liverpool, prima dell’inizio della finale di Coppa dei Campioni, l’attuale Champions League, che quest’anno vede i bianconeri di nuovo in corsa per la conquista del titolo. Il 3 giugno a Cardiff incontreranno il Real Madrid. 19 anni dopo la squadra di Allegri vuole riscattare la sconfitta di Amsterdam, decisa da una rete che fa ancora discutere. Torneremo con la Coppa. Rivediamole quelle tragiche ore nello stadio della follia, rileggendo il drammatico racconto di Tufano. Tanti lutti. 39 morti. Erano stati più di seicento i tifosi juventini che dall’Abruzzo avevano seguito la squadra del cuore a Bruxelles. Rocco Acerra e Nino Cerullo erano partiti da Francavilla al Mare sicuri della vittoria bianconera: "Torneremo con la Coppa". Tornarono purtroppo in due bare. Non ci fu nessuna pietà per i morti. Corpi straziati dalle autopsie e non ricomposti. Tutto l’Abruzzo fu vicino al dolore delle famiglie e della comunità francavillese. Ai funerali parteciparono più di trentamila persone. La notte dei barbari. Tra i primi ad essere stati presi di mira dai tifosi inglesi nella "notte dei barbari dell’Heysel" furono proprio gli abruzzesi, come ricorda Tufano.

"Noto uno Juventus Club, in particolare, lo Juventus Club Pescara, che viene investito dal lancio di bottiglie. Alcuni signori si toccano la testa, forse sono stati colpiti e si voltano a protestare verso gli inglesi responsabili del gesto. Per tutta risposta ricevono il lancio di altri oggetti: mi sembrano sassi, oppure pezzi di intonaco dello stadio che sono stati staccati per essere usati come pietre". Misure inesistenti. Misure di sicurezza praticamente inesistenti, come testimonia Tufano nel raccontare l’aggressione subita dai tifosi dal club juventino di Pescara. "Vedo gesti di rabbia anche tra i signori colpiti nel nostro settore e, istintivamente, mi alzo in piedi per capire meglio cosa sta succedendo. Sembra una piccola schermaglia tra un paio di tifosi inglesi e i signori dello Juventus Club Pescara colpiti dalle bottiglie, ma c’è comunque una piccola rete da pollaio che li divide. Poliziotti non ne vedo, anzi ne conto 6 in tutta la curva, tra settori X e Y degli inglesi e il settore Z occupato da noi. Certo, sulla pista di atletica, nei pressi della nostra curva, ci sono anche due poliziotti a cavallo, quindi il totale dei poliziotti presenti è di 8. Sta di fatto che nessuno di essi muove un dito per sedare sul nascere quel piccolo diverbio tra tifosi vicini di settore. Il lancio di oggetti, anzi, si infittisce di più". Un tuono scuote lo stadio. La situazione improvvisamente si fa esplosiva. "Un boato, un tuono che scuote lo stadio. Cosa è stato ? Cosa sta succedendo ? Cos’è questo improvviso fragore ? Sono in piedi, fermo, ma tutto intorno a me si muove. E’ un terremoto forse ? Dove vanno tutti ? In un attimo la curva dei tifosi del Liverpool non è più la stessa: gli inglesi, che prima erano tutti compressi nei loro settori, sembrano essersi mossi improvvisamente tutti insieme di circa cinque metri verso di noi. Vedo uno spazio vuoto, piuttosto ampio alla fine del loro settore X, quello più lontano, però non vedo più i signori dello Juventus Club Pescara che stavano discutendo con gli inglesi… Dove sono finiti ?". Sciacalli e speculatori. Ad Alberto Tufano chiediamo se dopo la pubblicazione del libro ha avuto la possibilità di entrare in contatto con qualcuno del club juventino pescarese. "Non ho fatto alcun passo. Ricordare e trascrivere quello che era inciso nei miei ricordi più tristi è già stato molto doloroso per me; non voglio indugiare troppo e rivivere ulteriormente quei momenti, anche per distinguermi dagli sciacalli e speculatori che hanno fatto dell'Heysel la ragione della loro vita, narrando imbarazzanti menzogne per ritagliarsi un ruolo nel mondo o monetizzare le loro apparizioni con dettagli sempre più clamorosi (ho in mente qualcuno, ma preferisco non approfondire l'argomento). No, caro Domenico, voglio trovare il modo per valorizzarmi come giornalista e uomo, andando oltre l'Heysel con i miei prossimi lavori". Racconto dentro l’orrore. Grande onestà intellettuale. Ma ritorniamo al libro pubblicato due anni fa e che ha avuto un grande successo di vendite. Un racconto "da dentro l’orrore". Sconvolgente. Scrive enitii: "Per come si svolge, il racconto di Alberto sembra quasi romanzo, sceneggiato e pensato in ogni punto. Non è un romanzo: è tutto tragicamente vero". Su acebookk Tufano commentò: "Io e Francesco abbiamo scelto di narrare i fatti come se io avessi ancora i 16 anni che avevo all'epoca, per far vivere al lettore l'atmosfera e il dramma, momento per momento. Onore a 39 vittime innocenti, martiri senza bandiera di un calcio sbagliato". L’assalto degli "nimalssal settore Z, ha trasformato la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool in un campo di battaglia. Alcool, furia, follia. Un’orda di ubriachi all’assalto e nessuno ha fermato il massacro. "Ma quanti saranno ? Devo cercare di scivolare verso il basso. E quelli cosa sono ? Perché tutti quei corpi a terra ? Sono morti o svenuti ? Morti, sembrano morti, porca puttana ! SONO MORTI ! Le urla mi stanno entrando nel cervello"." al settore Z, ha trasformato la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool in un campo di battaglia. Alcool, furia, follia. Un’orda di ubriachi all’assalto e nessuno ha fermato il massacro. "Ma quanti saranno ? Devo cercare di scivolare verso il basso. E quelli cosa sono ? Perché tutti quei corpi a terra ? Sono morti o svenuti ? Morti, sembrano morti, porca puttana ! SONO MORTI ! Le urla mi stanno entrando nel cervello".

Tifosi allo sbaraglio. Alberto Tufano per quasi trenta anni quelle urla e quelle immagini di furia e di terrore le ha tenute per sé, intimo ricordo di un dramma mai dimenticato. Tifosi mandati allo sbaraglio in una partita organizzata senza alcuna tutela degli spettatori. "L’Uefa, le autorità locali, la gendarmeria belga e il personale medico: ci sono tanti colpevoli, ognuno ha contribuito primo e dopo a quella che non è stata una drammatica fatalità", afferma Ceniti. E sottolinea con amarezza che "soltanto nel 1991 i coraggiosi familiari delle vittime, con l’associazione voluta da Otello Lorentini, papà di Roberto (al quale il libro è dedicato: è morto nel tentativo di salvare un bambino), sono riusciti a ottenere la condanna dell’Uefa per omessa prevenzione e delle autorità locali ritenute responsabili del sangue versato in Belgio". Il ricordo di Boniek. E poi Ceniti evidenzia che molto è cambiato dal 1985. "Oggi sarebbe impensabile organizzare un evento come la finale di Champions con la stessa faciloneria di 30 anni fa. L’Uefa e il Paese che ospita la partita più importante della stagione per i club, lavorano 12 mesi per curare ogni dettaglio. E la sicurezza è al primo punto. C’è voluto l’Heysel, purtroppo". E Boniek nel rievocare nel libro di Ceniti e Tufano le sensazioni vissute quella sera, afferma: "C’era una mentalità sbagliata e tutti facevano finta di nulla. Se la tragedia non fosse accaduta a Bruxelles, sarebbe stata solo questione di tempo. Poco tempo. L’uomo è fatto così: solo dopo avere toccato con mano il sangue apre gli occhi e rimedia agli errori".

29 maggio 2017

Fonte: Ilcentro.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2017 

La Strage dell’Heysel

Il 29 maggio 1985 a Bruxelles si consumò una delle peggiori tragedie della storia del calcio, sicuramente quella più nota perché avvenuta prima della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool.

Sono le sette e venti di sera allo stadio Heysel di Bruxelles, in campo due squadre di ragazzini belgi con indosso le maglie rosse e bianconere si stanno sfidando in attesa dell’incontro dei grandi, in cielo un bellissimo tramonto sembra disegnato apposta da Emile Claus per fondersi con i colori delle sciarpe e delle bandiere dei tifosi. Sono le sette e venti di sera allo stadio Heysel, quando qualcosa va storto. Quella che doveva essere la festa della finale di Coppa Campioni tra il Liverpool, che l’aveva vinta l’anno prima all’Olimpico contro la Roma, e la Juventus, che la stagione precedente aveva vinto la Coppa delle Coppe e poi a gennaio la Supercoppa Europea proprio contro i Reds, si trasforma in una tragedia. Alla fine di quasi due ore di panico e angoscia, di urla e di spaventi, di paura e di delirio, si contano 39 morti (di cui 36 (32 ndr) italiani, il più vecchio di 58 anni e il più giovane di 11 anni) e oltre 600 feriti. Sono le nove e quaranta allo stadio Heysel di Bruxelles, e da quel maledetto 29 maggio del 1985 il calcio non sarà più lo stesso. Alle sette e venti, dopo le prime scaramucce tra tifosi del Liverpool (sistemati nei settori X e Y dello stadio Heysel) e della Juventus (che si trovano inopinatamente nel settore Z, lì a fianco), separati solo da una rete, un gruppo di inglesi rompe le deboli recinzioni che separano i settori e cerca lo scontro. È il panico. Chi cerca di uscire dai cancelli d’ingresso posti in cima li trova incredibilmente chiusi con i lucchetti, i vigili del fuoco decine di minuti dopo li dovranno rompere con le cesoie, chi prova a entrare in campo è ricacciato indietro dalla polizia belga, che entra in campo a cavallo sventolando i manganelli, senza capire cosa sta succedendo e senza aiutare nessuno. Anzi, aumentando il panico. A decine sono soppressi nella calca del fuggi-fuggi generale, e muoiono schiacciati. Altri per uscire dal settore Z provano a scavalcare il muro, che crolla sotto il loro peso schiacciando i fuggitivi.

Alla nove e quaranta, quando è calata la notte e l’arbitro fischia l’inizio della partita, a terra ci sono già quei 39 morti di cui il calcio non si è mai assunto le responsabilità. Non è il disastro peggiore della storia, nel 1964 in Perù ci furono quasi 400 morti, nel 1982 in Russia circa 340, poche settimane prima dell’Heysel nel fuoco di Bradford morirono in 56 e pochi anni a dopo a Sheffield saranno 96. Ma è il più clamoroso. Perché è una finale di Coppa dei Campioni. Perché la tragedia avviene prima del calcio d’inizio, eppure si gioca lo stesso, a onta dei 39 morti. Perché le televisioni, a eccezione di quella tedesca, decidono di trasmettere lo stesso le immagini della partita, in un silenzio che puzza di morte. Perché ci si rende conto fin da subito che le responsabilità sono tanto degli organizzatori e delle forze dell’ordine quanto dei famigerati hooligans. Lo conferma l’inchiesta del giudice belga Marina Coppieters, che tre anni dopo condanna una decina d’inglesi a pochi anni di galera per omicidio colposo, ma soprattutto condanna la Uefa al risarcimento danni per le vittime in quanto ritenuta responsabile della strage. E se il presidente della Uefa Jacques Georges e il segretario generale Hans Bangerter non sono arrestati per un soffio nel dopopartita, Albert Roosens, allora presidente della federcalcio belga, e Johan Mahieu, responsabile dell’ordine pubblico, sono condannati a sei mesi di reclusione. I club inglesi, che allora dominavano in Europa, saranno squalificati per cinque anni dalle competizioni internazionali. I tifosi dei Reds negli anni seguenti racconteranno una verità terribile, confermata dalla commissione d’inchiesta affidata al giudice britannico Popplewell: infiltrati tra i presunti hooligans del Liverpool c’erano alcuni tifosi del Chelsea del gruppo di estrema destra Headhunters, membri dell’organizzazione neonazista Combat 18 e del partito National Front, tra cui addirittura due consiglieri comunali di Liverpool. I gruppi di neofascisti che dalla fine degli anni Settanta in Inghilterra approfittavano del calcio per aumentare il livello di tensione, e favorire la repressione delle proteste sindacali, si era spinto fino in Belgio. I tifosi bianconeri negli anni seguenti denunceranno di essere stati lasciati soli, dal club e dalle istituzioni calcistiche italiane. Quella sera si rompe il patto di fiducia tra società e tifosi, tra chi a Bruxelles ha visto morire amici e parenti e chi con quella partita ci ha guadagnato e vinto una coppa.

I giocatori, eroi del Mundial spagnolo dell’82, ammetteranno infatti solo molto tempo dopo che sapevano dei morti prima di scendere in campo, molti di loro diranno che quella partita non si doveva giocare, ma quasi nessuno di loro all’epoca acconsentì di donare il premio partita alle famiglie delle vittime. La stessa Juventus non rinuncerà mai a quella coppa - nonostante le richieste che arrivavano dallo scrittore Italo Calvino all’allora direttore della Gazzetta dello Sport Candido Cannavò - ma si rifiuterà anche per anni di intrattenere rapporti con l’Associazione dei parenti delle vittime. Lo ha denunciato più volte il presidente dell’associazione Otello Lorentini, il cui figlio Roberto una volta uscito dal settore Z sceglie, da uomo e da medico quale era, di tornare indietro a cercare di salvare gli altri, e trova la morte. Ma la figura peggiore davanti a quella carneficina la fa la Uefa, che decide che the show must go on per non rimborsare biglietti e pagare penali alle tv. E non tornerà mai più indietro. Le responsabilità della Uefa risalgono a prima, alla decisione di fare giocare il match in uno stadio fatiscente, con mattoni di calcestruzzo talmente leggeri che alcuni tifosi fanno buchi nei muri per entrare. Alla decisione di vendere i biglietti del famigerato settore Z, a fianco dei settori X e Y riservati al Liverpool, sia agli italiani residenti in Belgio sia alle agenzie di viaggio italiane che organizzano i pacchetti, pur sapendo che l’anno prima all’Olimpico i tifosi del Liverpool e della Roma se le erano date di santa ragione. Le responsabilità della polizia belga sono evidenziate, oltre che dall’assurdo comportamento delle guardie a cavallo in campo, dalla decisione di utilizzare solo 5 (cinque!) poliziotti lungo le reti che dividono il settore X dallo Z, mentre fuori ne impiegano 40 (quaranta!) per inseguire un ragazzo che ha rubato un hot dog. Scaricate per anni le colpe sui tifosi inglesi brutti, sporchi e cattivi, di queste nefandezze le autorità del calcio e della politica non si sono mai assunte la responsabilità.

29 maggio 2017

Fonte: Lefotochehannosegnatounepoca.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2017 

Heysel, la memoria non si cancella

di Luigi Alberto Alberti

32 anni dopo la memoria non si cancella. Quello che è accaduto la sera del 29 maggio 1958 allo stadio Heysel resta una ferita aperta che non potrà essere mai risanata. Un'onta che solo la cecità di chi ancora confonde la passione con il becerume, stenta ancora a riconoscere. Giusto onorare la memoria di quei morti che sono i nostri morti. Opportuno ricordare l'impegno di Otello Lorentini, che da solo vinse una battaglia di grande civiltà.

30 maggio 2017

Fonte: Teletruria.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 30 MAGGIO 2017 

Dall'Heysel a Cardiff con la maglia del Grande Torino: la storia meravigliosa

di Edoardo Siddi

Ci sono storie belle e che sono belle da ascoltare. Altre che definirle meravigliose non basterebbe e ascoltarle non è bello, ma è un onore. Quella che vi andiamo a raccontare fa senza dubbio parte della seconda categoria. Il protagonista si chiama Carlo Ricci, tifoso bianconero che sabato sarà a Cardiff con addosso la maglia del Grande Torino. No, non ha le idee confuse. Le sue idee sono chiarissime e stupende. Carlo è sopravvissuto alla tragedia dell'Heysel e da Tivoli, provincia di Roma, ha deciso di imbarcarsi in questa bellissima avventura. Dopo aver vissuto da vicino la tragedia in cui persero la vita 39 tifosi bianconeri, non ha voluto più mettere piede in uno stadio per 30 anni, finché, convinto dal figlio, lo scorso anno, non ha fatto il suo nuovo esordio in un impianto. Ovviamente allo Stadium. E la passione si è riaccesa. Perché una delle cose meravigliose della passione, è che fa dimenticare anche le peggiori paure. Rende a suo modo immortali. Ora Carlo è nuovamente abbonato e non si perde una partita e ha deciso di intraprendere questo viaggio, dove tiferà con maglia granata e sciarpa del Comitato per non dimenticare l'Heysel al collo, per dire basta ai cori beceri. Basta agli insulti verso i caduti di Superga, basta agli insulti contro le vittime della tragedia dell'Heysel. Basta stupidità. E tutti dovremmo prendere esempio.

31 maggio 2017

Fonte: Ilbianconero.com

ARTICOLI STAMPA e WEB 31 MAGGIO 2017 

Dall'Heysel fino a Cardiff per tifare Juventus

indossando la maglia del Grande Torino

di Giorgio Capodaglio

Un'idea bella e commovente quella di Carlo Ricci, tifoso bianconero sopravvissuto alla tragedia dell'Heysel, che sarà a Cardiff con la maglia del Grande Torino e la sciarpa del Comitato Per Non Dimenticare Heysel: "Voglio lanciare un messaggio, bisogna smetterla con cori beceri che non rispettano i morti".

Da Tivoli, in Provincia di Roma, dove lavora come pediatra, fino a Cardiff per sostenere la Juventus con la maglia del Grande Torino e al collo la sciarpa del "Comitato Per Non Dimenticare Heysel Reggio Emilia". È ciò che farà Carlo Ricci, tifoso bianconero, sopravvissuto alla tragedia dell’Heysel. La sua è una storia commovente, quella di chi ha sempre amato la Juventus, imbarcandosi in numerosi viaggi al seguito della fede bianconera, fino alla finale di Coppa Campioni del 29 maggio 1985, giorno di quel maledetto Juventus-Liverpool. Una tragedia vissuta in prima persona, perché Carlo era insieme al figlio, allora quindicenne, nel settore Z dello stadio belga, era finito anch’egli nella calca, aveva rischiato di restare schiacciato e successivamente aveva vissuto lunghi momenti di panico alla ricerca del figlio, per fortuna ritrovato. Per trent'anni non è riuscito a mettere più piede allo stadio, per poi tornare, spinto dal figlio, nella passata stagione. Appena entrato allo Stadium, la passione è esplosa nuovamente, forse anche più forte di prima, per la voglia di recuperare gli anni persi. Non solo l’abbonamento al campionato, ma anche diverse trasferte nel centro Italia. Quando gioca la vecchia signora Carlo Ricci è una presenza fissa sugli spalti. A togliergli la serenità dello spettacolo sportivo, però, ci hanno pensato in questi due anni i tanti cori beceri che ha sentito in tanti stadi, quelli da parte delle tifoserie anti juventine sulle vittime dell’Heysel, ma anche degli stessi "tifosi" bianconeri sulla tragedia di Superga. Troppo per lui, che ha voluto così raccontare la sua storia a Torinosportiva e lanciare così un forte messaggio.

Ciao Carlo, hai deciso di andare alla finale di Cardiff con la maglia del Grande Torino. Cosa ti ha spinto a farlo ?

"L’ho annunciato in occasione della commemorazione sulla tragedia dell'Heysel, che si è svolta come ogni anno a Reggio Emilia - città natale di Claudio Zavaroni, ultima vittima identificata di questa immane tragedia - davanti al monumento donato da uno scultore belga alla città reggiana. Zavaroni era un ragazzo ventottenne, appassionato di fotografia, partito per l’evento insieme al gruppo di juventini reggiani, anche se non aveva il cuore bianconero, soltanto per fare fotografie. Sono stato molto felice che la mia iniziativa abbia ricevuto il pieno appoggio di Domenico Beccaria, presidente del Museo del Grande Torino, che da anni lotta affinché si ponga fine alla parte più becera del tifo e le tifoserie torinesi, ma non solo, rispettino i morti. Non a caso, ogni anno, lui ci raggiunge a Reggio Emilia per la commemorazione. Io sono intervenuto dopo di lui, mi ero scritto il discorso già in treno, non sono capace a parlare a braccio come Domenico. Ho così annunciato che andrò a Cardiff con la maglia del Grande Torino e la sciarpa che commemora le vittime dell’Heysel, perché vorrei mandare un segnale, nel mio piccolo, far capire che bisogna rispettare le vittime altrui, essere uniti di fronte a certi drammi. Io sono tornato a seguire la Juventus non soltanto nelle gare interne, ma anche nelle trasferte più vicine a casa mia, e ovunque sento cori sulle vittime dell’Heysel e tifoserie che si presentano con bandiere del Liverpool per provocare. Allo Juventus Stadium, poi, ci sono anche i nostri di tifosi, che tirano fuori quei cori orribili su Superga. Insopportabile. Sentivo che dovevo fare qualcosa e questo è il mio modo per dire "basta".

Proprio pochi giorni fa, in una radio bolognese, qualcuno si è augurato un incidente aereo della Juventus.

"Incredibile, non potevo crederci quando l’ho saputo. Ecco perché voglio fare questo gesto simbolico, andare a Cardiff con maglia del Grande Torino e sciarpa del "Comitato Per Non Dimenticare Heysel", dove sono elencate tutte le vittime e vi è il disegno del monumento di Reggio Emilia. Il bianco e nero della Juventus sarà dentro di me. Io non riesco proprio a reggere certi cori beceri, tanto che quando vengono cantati dai nostri tifosi, mi vergogno. Ho 74 anni e amo questo sport, a me piace lo stadio e il bel gioco, al punto che spesso, nonostante le vittorie, ho discusso con altri tifosi della Juventus, perché mi sono lamentato del gioco della nostra squadra e mi hanno tutti risposto di andare a vedere il Napoli. Però, la svolta del 4-2-3-1, con squadra più offensiva è bella da vedere, che ci ha portato in finale, mi ha dato ragione".

Arriviamo a quella maledetta sera del 29 maggio 1985.

"Piango ogni volta che ne parlo, anche quando al Teatro Ghione ho visto il bellissimo monologo di David Gramiccioli, che ha sottolineato tutte le colpe avute dalla Uefa in quell’occasione, senza che nessuno di loro abbia poi pagato per l’accaduto. Vorrei evitare di raccontare quanto accaduto quel giorno, ma ogni volta lo faccio nella speranza che mi passi il dolore che ho dentro, ma non se ne va. All’epoca quelle tribune avevano questa sorta di transenne e noi ci eravamo messi dietro una di esse, perché così non avremmo rischiato di essere impallati da nessuno durante la partita. Poi arrivarono le cariche degli hooligans e in quel momento persi la mano di mio figlio. Eravamo tutti stretti, da dietro spingevano, crollò il muro e finimmo come effetto domino uno sopra l’altro. Non potevo muovermi, perché ero pressato da chi stava sopra di me, usciva soltanto la testa. Per fortuna, facendo sport, ero abbastanza forte e riuscii in qualche modo a muovermi, poi piano piano uno dopo l’altro ci liberammo. Avevo capito che tante persone erano morte e iniziai a cercare disperatamente mio figlio, facendo avanti e indietro. Il tempo divenne quasi indefinito, non so se avrò cercato un’ora o anche di più. Nella disperazione andai anche a cercarlo tra le persone che avevano perso la vita. Sono momenti che non riesco a togliermi dalla testa, ci penso praticamente tutti i giorni. A un certo punto, tra le vittime vidi un ragazzo vestito come mio figlio, con jeans e camicia bianca, che aveva anche i capelli scuri proprio come lui, ormai morto, piegato su due gradini. Andai lì e con delicatezza sollevai la sua testa per capire se fosse mio figlio. Lo feci tre volte, non era Fabio. È stata una cosa durissima, non ho mai conosciuto la famiglia di quel ragazzo e sinceramente avrei anche paura di farlo, sarebbe troppo dura per me, perché mi sembra in qualche modo di avergli mancato di rispetto (la voce è rotta dall’emozione ndr)".

Poi sei riuscito a trovare tuo figlio: immagino il sollievo.

"Lo ritrovai seduto sull’angolo di una panchina, con le ginocchia sollevate e la testa tra esse. In quel momento ci abbracciammo forte, non so per quanto tempo, ancora una volta era indefinito. Fu un momento lunghissimo, ci stringemmo tanto forte da farci male. Non gli ho mai chiesto come abbia fatto a salvarsi, non parliamo mai di questo e nemmeno mi interessa, l’importante è che ce l’abbia fatta. Ricordo soltanto che in quel momento, mio figlio mi disse: "papà non lasciamoci più".

Dopo quella finale non sei più andato allo stadio per 30 anni.

"No, ma non perché fossi schifato dal calcio. Ho continuato sempre a seguirlo in tv e tifare Juventus, amando soprattutto quella di Lippi, che giocava secondo me un grande calcio. Non sono però più riuscito a stare in luoghi affollati. Non ho più partecipato a un comizio politico, ma nemmeno sono andato in Piazza San Pietro dal Papa, cosa che in precedenza facevo spesso. Ho sempre avuto paura delle possibili conseguenze, se fosse accaduto qualcosa all’improvviso. Oggi mi è un po’ passata, ma non ancora completamente. Per fortuna allo Juventus Stadium posso entrare cinque minuti prima dell'inizio della partita e ho il mio seggiolino".

Quando hai deciso di tornare ?

"È stato mio figlio a convincermi. Lui ha mantenuto la passione per la Juventus e per tanto tempo ha provato a convincermi ad andare con lui. Fabio, grazie al suo carattere, è riuscito a digerire meglio di me quanto accadde quella notte, così ha continuato a seguire la Juve allo stadio. Nel 1996, grazie a una mia amicizia personale con un ex arbitro, sono riuscito a trovare il biglietto per la finale con l’Ajax, ma non me la sono sentita di andare e ho lasciato il mio biglietto a mio figlio. Non ho mai temuto che potesse avere problemi allo stadio, perché se l’era cavata meglio di me in quell’occasione. Io, invece, non me la sono sentita di andare nemmeno due anni fa a Berlino, anche se avevo già ceduto di fronte alla sua insistenza in occasione di Juventus-Olympiakos di Champions della stessa stagione. Appena messo piede allo stadio, però, è tornata tutta la passione, mi sono subito sentito a casa e già nella passata stagione ho visto quindici-sedici partite, per poi farmi l’abbonamento quest’anno".

A proposito, sei nato a Roma e tifi Juventus: come mai ?

"Mio papà era un grande romanista e nei primi anni cinquanta mi portò all’Olimpico per vedere un Roma-Juventus. Sulla carta avrei dovuto tifare per i giallorossi, invece mi innamorai subito delle maglie bianconere. Eravamo seduti su una delle vecchie panchine di legno della Tribuna Tevere, segnò la Juventus e mi alzai in piedi esultando. Da dietro un tifoso romanista mi diede anche un calcio nel sedere, ma mio papà, una persona molto tranquilla, lo riprese senza andare però oltre le righe. In quel momento decisi che non avrei più lasciato i colori bianco e neri, tanto che anni dopo andai anche a Belgrado per vedere la storica finale contro l’Ajax e ad Atene per quella contro l’Amburgo, prima della terza finale contro il Liverpool. Anche dopo l’Heysel ho sempre seguito con passione la Juventus, mi piaceva tantissimo la squadra di Lippi, ma a farmi innamorare ancora di più ci hanno pensato personaggi come Buffon, Nedved e Del Piero, che sono rimasti con noi anche in Serie B. Ora, sto raccogliendo, da tifoso, i frutti di tanta perseveranza e sto recuperando il tempo perso".

Tua moglie non è arrabbiata perché vai allo stadio così spesso ?

"No (ride ndr), semmai è arrabbiata perché quando torno a casa la domenica sera, mi lamento sempre per come abbiamo giocato. A me non interessa soltanto vincere, ritengo sia importante anche giocare un bel calcio. Ovviamente, ogni volta, mia moglie mi chiede cosa ci vado a fare, se non sono contento nemmeno quando vinciamo".

Grazie Carlo, esempio di quello che deve essere il tifo, sperando che molti ti capiscano e quei maledetti cori, cantati in tanti stadi, finalmente spariscano.

31 maggio 2017

Fonte: Torinosportiva.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 31 MAGGIO 2017  

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