L’Heysel e la manutenzione della memoria
di Emilio Targia
Deve essere un vizio
maledettamente umano. Quello della propensione
all’oblio. Una specie di basso istinto. Malsano,
contagioso. Lo si può scegliere per autodifesa, come
anestesia contro il dolore. O si può provare a imporlo,
a se stessi e agli altri, per comodità, per
superficialità. O per vigliaccheria. Heysel è una parola
che schiocca come una frustata. Che evoca solo e
soltanto quella notte, quella strage. E’ un termine
ormai svuotato del suo originario valore. Heysel non è
più uno stadio, così come Ustica non è più un’isola, né
l’Italicus un treno. In Belgio quello stadio prima lo
hanno abbattuto, e poi lo hanno ricostruito, nel 1995.
Cambiandogli nome: Stadio Re Baldovino. Come se bastasse
quello, a cancellare la Storia. A cancellare quel che
significa davvero Heysel. Del vecchio Heysel resta oggi
solo il cancello principale. Unico testimone di quella
sciagurata notte del 29 Maggio 1985. Che io non posso,
né voglio, dimenticare. Una notte cominciata dentro a
una luce speciale. Un tramonto giallo-arancione che
sembrava il contraltare ideale di quelle bandiere
bianconere infilate dentro a un sogno. Come gli
ombrelloni ancora chiusi sulla spiaggia al mattino
presto. Quando soffia un’aria piena di promesse. I cori
dei tifosi bianconeri erano partiti un po’ in disordine,
tanto erano emozionati. Come bambini. Ciascuno intento a
coltivare il proprio senso di gioia e di stupore, con lo
sguardo fisso sul verde del prato. Ciascuno a "cantare"
un po’ per conto proprio. Poi pian piano i sentimenti si
erano organizzati, e avevan trovato ritmo ed equilibrio.
E soprattutto un senso di comunione. Finalmente dentro a
un unico canto. Fino a quel battere di mani serrato,
ordinato. A scandire i cori. Le rime storiche. Gli
slogan più cari. E io ero lì immobile, fermo a guardare
e ad ascoltare. Silenzioso. Sull’onda di quella chimica
speciale che si forma nell’aria e che assomiglia così
tanto a un incantesimo. Poi quel batter di mani
bruscamente interrotto. Poi le mani che ora indicavano
"laggiù". La prima carica degli inglesi. Mentre il canto
spezzato diventava un urlo. E le bocche della curva Z,
spalancate nella paura, respiratori d’emergenza. Un
click sull’interruttore e la più bella delle luci
svanisce in un attimo. Gli spalti mutano in fronte di
guerra. Il campo da gioco diventa via di fuga. E la
curva Z un girone dell’inferno. E noi lì smarriti,
raggelati. Immobili. Con le pale degli elicotteri dentro
al nostro sguardo attonito. Vera giustizia, come noto,
non fu mai fatta. Difficile individuare, accertare e
provare tutte
le
singole responsabilità nella follia del branco
impazzito. E allora, ci resta la memoria. La cui
solidità non passa solo attraverso un monumento. O un
anniversario. Occorre che divenga prima di tutto risorsa
condivisa, consapevolezza, comprensione. Una specie di
sentimento comune. Occorre che le istituzioni, le
scuole, i media sostengano e preservino la memoria.
Memoria che sembra ancora oggi infastidire i principali
responsabili di quella strage. Tanto che nel 1990, in
quello che era lo stadio Heysel, in occasione della
partita tra il Malines e il Milan, al capitano rossonero
Franco Baresi viene impedito di deporre una corona di
fiori in prossimità del vecchio settore Z, al Milan
viene impedito di portare il lutto al braccio, né si
osserva un minuto di silenzio prima del match. Episodi
come questo accrescono il rischio che la memoria possa
dunque sfilacciarsi, affievolirsi, perdersi. Col
pericolo che resti alla fine solo quel nome, Heysel,
senza dentro la storia di quel che accadde davvero
quella notte. Senza il suo significato più profondo, il
suo dolore tagliente, i suoi volti segnati. Heysel come
una scatola vuota. Una volta si faceva un nodo al
fazzoletto, per rammentarsi qualcosa di importante. Non
c’era il bip di un telefonino, ma un semplice nodo di
stoffa. La scrittrice americana Barbara Kingsolver
sostiene che la memoria è una faccenda complicata, è
imparentata con la verità ma non è la sua gemella. A me
piace pensare che si possa imbrigliare il destino di
quella frase. Se non sovvertirlo. E che nel caso
dell’Heysel la memoria possa divenire almeno sorella
della verità. Che possa provare a far immaginare il
dolore. Quel dolore di cui nessuno parla mai. E creare
gli anticorpi contro qualunque manipolazione o
strumentalizzazione. Tenere lontana la retorica e
respingere l’ipocrisia. Non ci sarà qualcuno che lo farà
per noi. Perché la memoria è un lavoro. Una scelta.
Necessita di manutenzione e amore. Un compito che spetta
a tutti e a ciascuno. Fatelo, allora, quel nodo al
fazzoletto. Che senza memoria, saremmo luci spente.
(Tratto dal libro "Quella notte all’Heysel" -
Sperling&Kupfer)
29 maggio 2017
Fonte: Juventibus.com
ARTICOLI STAMPA e WEB 29
MAGGIO
2017
Briaschi: "Heysel ? Ero in
campo quel giorno, era una strage annunciata..."
di Alessandra Stefanelli
L'ex calciatore della
Juventus, oggi procuratore sportivo, Massimo Briaschi ha
parlato ai microfoni di TMW Radio ricordando la strage
dell'Heysel avvenuta 32 anni fa: "Ero in campo quel
giorno. Fu una strage annunciata secondo me, visto che
furono sottovalutati dei segnali importanti. C'era paura
che qualcosa sarebbe potuto succedere. Anche durante la
gara non tutti sapevano, io per esempio fui informato
della tragedia solamente nel viaggio di ritorno. Il
nostro cammino era stato straordinario, sfociato in una
finale sentita e attesa. Diciamo che è una Coppa che
esiste, ma ha l'importanza che merita. Juventus ? La
Juve arriva al top fisicamente e mentalmente alla finale
di Cardiff. Ha ragione Allegri quando dice che il Real
concede qualcosa dietro, ma è anche vero che i
bianconeri non dovranno sbagliare niente. Cristiano vs.
Buffon ? Io darei il Pallone d'Oro a Buffon a
prescindere, perché è incredibile che non sia ancora
riuscito a vincerlo. L'esito della finale sarà senza
dubbio importante per la consegna del premio".
29 maggio 2017
Fonte: Tuttojuve.com
ARTICOLI STAMPA e WEB 29
MAGGIO
2017
Heysel, 32 anni dalla
tragedia allo stadio
Tra le vittime ci fu anche
un bergamasco
Per non dimenticare una
delle pagine più brutte e drammatiche del calcio
moderno. Era il 29 maggio del 1985 quando, allo stadio
Heysel di Bruxelles, durante la finale di Coppa dei
Campioni morirono 39 tifosi, quasi tutti juventini per
gli incidenti scatenati dai supporter del Liverpool. Tra
loro anche il bergamasco Mario (Francesco) Galli da
Calcio. Nel 1985 il calcio inglese fu bandito per anni
dall’Europa, era una delle conseguenze della tragedia
che si era verificata il 29 maggio di quello stesso anno
allo stadio Heysel di Bruxelles. Gli incidenti scatenati
dai tifosi del Liverpool causarono la morte di 39 tifosi
juventini prima della finale di Coppa dei Campioni.
Francesco Galli di Calcio è una delle vittime della
strage dello stadio belga di 32 anni fa. Francesco aveva
25 anni ed era l’ultimo dei dieci figli. Lavorava come
carpentiere ed era fidanzato con Daniela. Aveva una
grande passione per la Juventus che condivideva con
altri amici della zona con i quali aveva deciso di
andare a vedere la finale. Purtroppo da quella che
doveva essere una giornata di festa Francesco non torno
più. Lui come altri 38 tifosi rimasero schiacciati. Una
tragedia che sembra lontana nel tempo ma che non si può
dimenticare, monito di un calcio "malato" che non
vorremmo più vedere.
29 maggio 2017
Fonte: Ecodibergamo.it
ARTICOLI STAMPA e WEB 29
MAGGIO
2017
Heysel, 32 anni fa. La
notte più brutta
di Emilio Targia
Il 29 maggio del 1985 la
finale di Coppa dei Campioni a Bruxelles finiva in
tragedia: oggi più che mai non bisogna dimenticare.
Heysel. 39 morti, 32 anni dopo. Heysel. La
strage, la storia, la memoria. Come si fa a misurare il
tempo ? E come si fa a quantificare il dolore ? La
misura del tempo, alla fine, svicola dal calendario e
diviene soggettiva, e così fa il dolore, che a volte il
tempo non allevia, ma dilata. Per tutte queste ragioni
scrivere di Heysel diventa ogni anno maledettamente
complicato. Perché si rischia di perdere la messa a
fuoco degli eventi, di venire travolti da emozioni
ancora troppo fresche, nonostante tutto, di essere
offuscati dalla rabbia. Si corre il rischio di essere
retorici, e magari di ripetersi. Ecco perché però
bisogna insistere. Ecco perché tutti noi che eravamo lì
quella notte, e che abbiamo portato a casa la pelle per
qualche caso o fortuna, non dobbiamo mollare la presa.
Dobbiamo continuare a scrivere, a conservare ricordi e
inventare parole nuove, perché quella memoria non si
perda, non si danneggi, non si sfilacci. Stava
accadendo, anni fa. Può accadere di nuovo. E’ un rischio
costante. E allora, occorre "fare manutenzione",
stringere viti e bulloni, rabboccare l’olio e sporcarsi
le mani. Come fosse un motore, la memoria. Perché lo è
in fondo. E guai a farlo fermare. La storia dell’Heysel,
e il suo gigantesco fardello di perdite e dolore, ha
certamente insegnato qualcosa. Non sappiamo ancora se
abbastanza. Ma certo oggi le finali si giocano in stadi
più sicuri. Ci sono finalmente responsabilità ben
definite e misure di sicurezza imponenti. E il rischio
ora sembra annidarsi altrove. Non in un branco
impazzito. Ma in singoli individui votati alla causa del
terrorismo. Dopo 32 anni però resta ancora troppo forte
l’eco di insulti gratuiti da parte di alcune tifoserie.
E il vociare scomposto del solito refrain da bar
dell’odio: "la coppa sporca di sangue-non si doveva
giocare-non si doveva esultare". Pian piano la verità si
è fatta strada in questi anni, con fatica. Spazzando via
alcuni luoghi comuni e impoverendo la sloganistica
dell’odio di comodo. E la fotografia di quella notte sta
riacquistando le sue vere forme, i suoi colori reali. Ma
guai ad abbassare la guardia. Ora all’orizzonte c’è
un’altra finale, quella di Cardiff. Piena di aspettative
e speranze, dopo il sogno infranto a Berlino. Le stesse
aspettative e speranze che avevamo prima di Bruxelles,
in quel maggio del 1985 pieno di luce complice, dopo il
sogno spezzato ad Atene. Sarebbe bello se nello zaino
che porteremo con noi in Galles infilassimo anche
un’oncia di quegli entusiasmi traditi a Bruxelles. Se
ciascuno di noi si facesse carico di una storia
dell’Heysel da raccontare ai più giovani che incroceremo
nel viaggio. Anche questo - credo - è manutenzione di
memoria. Non smettere di raccontare - e far vivere - le
singole storie di Andrea Casula e suo padre Giovanni, di
Giuseppina Conti e Claudio Zavaroni, di Roberto
Lorentini e Domenico Ragazzi, di Franco Martelli e Nino
Cerullo, di ...
NDR: Emilio Targia
(Giornalista e scrittore, autore del libro "Quella Notte
all’Heysel" - Sperling&Kupfer)
29 maggio 2017
Fonte: Tuttosport.com
ARTICOLI STAMPA e WEB 29
MAGGIO
2017
Heysel, anche il Torino si
unisce al ricordo: "È tragedia nazionale"
Le tragedie non hanno
colore o bandiera. Non esistono morti di una fazione:
davanti al dolore ci si deve unire, non dividere. E a
Torino le due società che rappresentano calcisticamente
la città lo dimostrano: prima la Juve, tra le prime a
rendere omaggio ai caduti di Superga, poi il Torino. I
granata, oggi, nel giorno dell'anniversario della
tragedia dell'Heysel, che costò la vita a 39 tifosi
bianconeri, sul proprio profilo Twitter danno una
lezione a tutti: "32 anni fa, l'Heysel. Ci uniamo nel
ricordo delle 39 vittime di quell'assurda tragedia
nazionale". Con annessa foto della targa in ricordo del
tristissimo evento. E le parole usate non sono casuali.
"Tragedia nazionale" vuol dire tragedia di tutti. In
barba agli idioti che ancora esibiscono cartelli
offensivi verso un giorno così triste.
29 maggio 2017
Fonte: Ilbianconero.com
ARTICOLI STAMPA e WEB 29
MAGGIO
2017
1985-2017: 32 anni fa la
strage dell'Heysel, impossibile dimenticare
di Roberto Vassallo
Il 29 maggio 1985, in
occasione della finale di Coppa dei Campioni tra
Juventus e Liverpool in programma allo stadio "Heysel"
di Bruxelles, 39 persone (in maggioranza tifosi
bianconeri) persero la vita in un'assurda tragedia: un
dramma inciso indelebilmente nel cuore della Vecchia
Signora.
29 maggio 1985, una data
incisa indelebilmente nella storia della Juventus.
Doveva essere una notte di festa, l'occasione giusta per
vincere finalmente la prima Coppa dei Campioni e
contemporaneamente scacciare l'incubo della beffa subita
ad Atene (contro l'Amburgo di Magath) appena due anni
prima, ma purtroppo non fu così. Uno stadio inadatto ad
ospitare un evento di tale importanza, un'organizzazione
non all'altezza e la piaga Hooligans trasformarono una
serata primaverile di Bruxelles nel teatro di una
dolorosissima tragedia: 39 morti, in grande maggioranza
tifosi juventini, ed oltre 600 feriti. Di quanto accadde
ormai 32 anni fa allo stadio Heysel, in quel maledetto
settore Z prima di Juventus-Liverpool, si è detto di
tutto: parole che a distanza di tempo non fanno che
riaprire una ferita sempre viva nel cuore di tutto il
mondo Juve. Impossibile dimenticare, impossibile non
pensare a quella finale ogni qualvolta si parla di
Champions League. Ed è impossibile anche considerare
quella coppa, macchiata di sangue, come le altre vinte
dalla Vecchia Signora: no, non è così e non lo sarà mai.
Si giocò per l'ordine pubblico, non certo per un trofeo
che ora è lì, al JMuseum, quasi come monito per
ricordare quanto sia piccolo il calcio di fronte a
drammi del genere. Esattamente oggi cade l'anniversario
di quella terribile notte, una ricorrenza che giunge a
pochi giorni dalla prossima finale di Champions League
che vedrà in campo proprio la Juventus. A Cardiff i
bianconeri potranno contare sul supporto di tantissimi
tifosi presenti sugli spalti del Millennium Stadium, ma
siamo certi che lassù da qualche parte anche 39 angeli
strappati a questo mondo troppo presto tiferanno per la
squadra di Massimiliano Allegri. Un motivo in più dunque
per tornare a casa con la coppa: il miglior modo per
onorare la memoria di chi, per seguire la squadra del
cuore, ha perso la propria vita in un'assurda tragedia.
29 maggio 2017
Fonte: Torinosportiva.it
ARTICOLI STAMPA e WEB 29
MAGGIO
2017
32 anni fa la strage nello
stadio "Heysel": la notte del calciodi Luigi Garofalo
È il 29 maggio 1985. Lo
stadio "Heysel" di Bruxelles, nel quale è in programma
la finale di Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool, si
trasforma in un campo di battaglia e in un cimitero. La
polizia non riesce a controllare i tifosi inglesi,
interviene in ritardo, quando ormai gli hooligans
inseguono i tifosi della Juventus fino all’estremità
degli spalti. Presi dal panico i tifosi italiani si
ammassano nell’angolo più lontano e basso del Settore Z,
schiacciati l’uno sull’altro contro un muro. Il muro
crolla e a salvarsi saranno solo i tifosi intrappolati
perché quelli rimasti schiacciati troveranno la morte.
39 vittime di cui 32 italiani. Ma si gioca lo stesso.
Vince la Juve con gol di Platini su rigore. Ma è la
notte del calcio.
29 maggio 2017
Fonte: Sport.leggo.it
ARTICOLI STAMPA e WEB 29
MAGGIO
2017
Heysel, 32 anni fa:
impossibile dimenticare la Coppa insanguinatadi Armando Patacchiola
A 32 anni di distanza
Juventus e Liverpool ricordano una delle più grandi
tragedie del calcio moderno. Morirono 39 persone, tra
cui un bambino di 10 anni.
Trentanove morti, oltre
seicento feriti. Trentadue anni fa. Un ricordo
indelebile: "impossibile (da) dimenticare" come ricorda
il comunicato del club. Trentadue gli italiani vittima
della più grande tragedia della storia della Juventus.
Tra questi anche Andrea Casula, di soli 10 anni, nato a
Cagliari e morto a Bruxelles assieme al padre Paolo
(NdR: Giovanni). Nonostante l'estremo tentativo del
medico aretino Roberto Lorentini, che invano cercò di
salvargli la vita. "Massacro per una Coppa" scrisse
l'indomani il Corriere dello Sport, uno dei quotidiani
sportivi più autorevoli del panorama mediatico italiano.
L'Italia intera pianse le sue vittime, puntando il dito
contro gli hooligan del Liverpool, i tifosi più accesi,
che già un'ora prima del calcio d'inizio avevano causato
disordini. Poi, alle 19.15, l'invasione del settore "Z"
dello stadio Heysel. Quello riservato alla tifoseria
italiana più neutrale. Da un lato gli otto poliziotti
belgi, impreparati all'evento. Dall'altro l'onda
dell'avanzata dei tifosi inglesi. I più fortunati
riuscirono a trovare un varco, a scavalcare il muro di
cinta, a scappare verso il campo da gioco. Gli altri
morirono schiacciati dal peso della folla impazzita,
dalle recinzioni e dai calcinacci dei muri venuti giù. "Quella sera vidi cadere i miei fratelli e non rialzarsi
più. Ora tocca a noi rialzarli con la memoria e la
responsabilità, così 39 angeli vivranno sempre nei cuori
di chi resta" ricorda uno dei comitati per "Non
dimenticare l'Heysel" (NdR: In Italia ce n’è uno
soltanto a Reggio Emilia oltre all’Associazione dei
Familiari delle vittime). Per sei anni il Liverpool non
ha potuto partecipare a nessuna competizione europea.
Cinque, invece, gli anni di esilio forzato per tutti gli
altri club inglesi. Dodici gli hooligan incarcerati per
i disordini. Mentre le famiglie delle vittime hanno
ricevuto aiuti dallo stato inglese, da quello italiano,
dalla federazione belga, dall'Uefa, dalla Juventus e
persino dalla Fiat. Bandiere a mezz'asta, oggi, anche ad
Anfield Road, lo stadio del Liverpool. Susan Black, il
direttore della comunicazione dei "Reds" ha posto oggi
un mazzo di fiori nei pressi della placca commemorativa
delle vittime del 29 maggio 1985. La notte di quella che
gli stessi giocatori della Juve, vittoriosi (1-0,
Platini '58) chiamarono la "Coppa insanguinata". La
prima per la "Vecchia Signora". Molti, in patria,
criticarono per i festeggiamenti troppo vigorosi dei
calciatori bianconeri. L'emettente televisiva austriaca
mandò ugualmente in onda le immagini della partita ma
senza telecronaca, lasciando in sovraimpressione la
scritta "questa che andiamo a trasmettere non è una
manifestazione sportiva" in polemica con la decisione
dell'Uefa far giocare ugualmente la partita.
29 maggio 2017
Fonte: Sportnotizie24.it
ARTICOLI STAMPA e WEB 29
MAGGIO
2017
Heysel, tra memoria,
riflessioni, congetture, mancanze di rispetto e
commozioneQuando onore, lealtà e
rispetto cedono alla follia, viene tradita ogni
disciplina sportiva. Da quella serata, il calcio non è
stato più lo stesso. 29 maggio 1985 Strage dell’Heysel,
Belgio. 39 morti e centinaia di feriti nella finale tra
Juventus e Liverpool.
Intanto Massimo Briaschi:
"Se non avessimo giocato sarebbero morti in mille". E la
cosa che più ci ha fatto riflettere: "Quanto si è
speculato su quel giro di campo e su tante altre cose !
Io dico solo che quella notte ci toccò viverla ! E chi
non c’era, porti rispetto". Da parte nostra non entriamo
assolutamente nel merito delle scelte, ovvero giocare o
meno la partita, fare o meno il giro di campo.
Piuttosto, in questi casi è d’uopo il rispetto dei
morti, immedesimandoci nella situazione di coloro che
erano presenti, tra tifosi, calciatori, forze
dell’ordine, etc… Semplicemente prendiamo posizione
contro gli escrementi che negli stadi invocano strage
dell’Heysel, Superga, Vesuvio, Tevere, etc… Chiosiamo
invece con questo schifoso episodio riportato da Blitz
Quotidiano: "Spero che venga giù l’aereo che li porta a
giocare la finale di Champions League". Ha
dell’incredibile quello che succede in una puntata di
Radio International, radio bolognese, qualche ora dopo
Bologna-Juventus finita 1-2 per i bianconeri grazie al
gol nel finale di Kean. "Questi riescono a rubare anche
nelle partite in cui non conta niente", dice l’ospite in
collegamento telefonico, con il conduttore che avalla
totalmente i suoi discorsi e lo aizza sempre di più: "Non è ipocrisia, fa benissimo, voglio la morte di tutti
gli juventini", aggiunge il conduttore. Rinfrancato
l’ospite aggiunge ancora benzina al fuoco: "Io odio
tutti quelli che vestono la maglia bianconera,
giocatori, allenatori, tutti, sono la vergogna del
calcio italiano". "Sei la mia voce - prosegue il
conduttore - grande Davide, ti ringrazio. Sei il mio
idolo".
Queste parole mostrano la
mostruosità e lo schifo di certe persone…
29 maggio 2017
Fonte:
Lacommunitydelcalcio.com
ARTICOLI STAMPA e WEB 29
MAGGIO
2017
Heysel, noi non
dimentichiamo
Esattamente 32 anni fa la
tragedia in occasione della Finale di Coppa dei
Campioni.
Non è possibile dimenticare
l’Heysel. Non lo è per nessuno juventino che quella
sera, a Bruxelles oppure davanti alla televisione, ha
assistito a una festa, l’attesa di una Finale di Coppa
dei Campioni che, minuto dopo minuto, diventava
tragedia. Non lo è per le famiglie delle vittime che da
32 anni, esattamente come tutti noi, si chiedono il
perché di tutta questa follia. Non lo è nemmeno per chi
quel giorno non era ancora nato, ma ha avuto modo di
conoscere a pieno la storia di quella maledetta
giornata. E quel + 39, impresso sulla Mole Antonelliana
questa notte, è il simbolo di un ricordo indelebile. Non
è possibile dimenticare, nemmeno in una settimana come
questa, che porterà la Juventus a una nuova, grande
sfida, in Finale di Champions League contro il Real
Madrid sabato prossimo. Una settimana che, proprio oggi,
inizierà con una giornata nella quale i bianconeri
saranno a disposizione dei media italiani ed europei,
per parlare proprio dell’appuntamento di sabato. Si
racconteranno emozioni, attese, tensioni sportive: ma
nella testa di tutti un pensiero, in un giorno come
oggi, sarà sempre rivolto ai 39 tifosi che, dal 29
maggio 1985, non ci sono più, e ovviamente alle loro
famiglie: esattamente come accade da 32 anni.
29 maggio 2017
Fonte: Juventus.com
ARTICOLI STAMPA e WEB 29
MAGGIO
2017
La strage dell’Heysel nel
1985, la tragedia di tutti
di Emanuele Lubatti
29 maggio 1985: all’Heysel
la Juve vince la Coppa Campioni, ma a perdere è il
calcio. Come si è arrivati a quei terribili 39 morti ?
É la tragedia calcistica
dell’Europa. C’è un prima e dopo Heysel, perché in
quella notte di fine maggio del 1985 tutto cambia. Uno
stadio fatiscente, la totale inadeguatezza delle forze
dell’ordine, l’alcool, la violenza degli ultrà inglesi
trasforma quel Juventus-Liverpool di finale di Coppa
Campioni in una carneficina. 39 morti, di cui 32
italiani e più di 600 feriti. Un bollettino di guerra,
non una partita di pallone. In quello stadio di
Bruxelles si fanno a pezzi i sogni e muoiono pian piano.
Uno ad uno. "Quando onore, lealtà, rispetto cedono alla
follia, è tradita ogni disciplina sportiva". Le parole
sono quelle di Giovanni Arpino. "Qui ricordiamo le 39
vittime di Bruxelles, trucidate da brutale violenza". Le
lettere incise una ad una nel bronzo e poi messe in
rilievo sul cippo dell’architetto Dante Grassi, visibile
all’interno della sede della Juventus, in piazza Crimea
prima ed in Corso Galileo Ferraris poi.
Heysel, cronaca di una
tragedia
L’esodo per la finale di
Bruxelles da parte dei tifosi juventini è di massa. Le
autorità belghe prediligono un piano di separazione
delle due tifoserie a partire già dall’arrivo in
aeroporto e in treno. I settori dello stadio M-N-O sono
quelli riservati ai supporters bianconeri. Chi però si
muove autonomamente per l’acquisto dei biglietti si
ritrova nel settore Z, adiacente al settore dei tifosi reds del Liverpool. A fare da separazione solo una rete
metallica, di quella che si usa nei pollai. La
sensazione, ancor prima di entrare nello stadio è carica
di un qualcosa che non si può spiegare a parole. "La
città era lurida, la percorrevano ruscelletti di birra e
piscio - scrive l’allora inviato di Tuttosport Maurizio
Crosetti - Alle dieci di mattina, la Grand Place era
piena di vetri spezzati. Gruppi di inglesi ubriachi
ronfavano nel mezzogiorno, distesi sul selciato, le
teste appoggiate a cartoni di bottiglie usate come
cuscini. A un certo punto, da una finestra d’improvviso
spalancata volò un oggetto di cristallo, una specie di
centrotavola scagliato per disperazione contro la marea
urlante degli hooligans, ed esplose come una bomba. Si
rischiava di ferirsi anche solo passeggiando,
nell’attesa della partita. Ed era un giorno tiepido,
dolcissimo". I numeri dicono 58.000 spettatori paganti e
sono impietosi. 5.000 tifosi inglesi entrano senza
biglietto, 5 sono gli agenti accanto alla recinzione fra
i settori X e Y (riservati ai reds) ed il settore Z
(teoricamente neutro, ma in cui per l’appunto finiscono
gran parte degli italiani che hanno comprato i biglietti
all’ultimo). La maggior parte del dispiego delle forze
belga è infatti fuori dallo stadio tanto che, prima
della partita, quando un ragazzo tenta di rubare una
salsiccia dai rivenditori viene inseguito da ben 28
gendarmi. Il caos è comunque percepibile fin da subito,
all’arrivo dei tifosi all’ Heysel Stadium. "Partimmo a
piedi per lo stadio. Ovunque c’erano tafferugli. In
circostanze normali, tutto ciò non sarebbe avvenuto".
Questa la testimonianza dell’ex hooligans Tony Evans a
La Stampa. "Ma quel giorno era diverso… Eravamo
ubriachi, ma anche in quello stato capimmo che lo stadio
era fatiscente. Alle entrate non vi erano praticamente
controlli. Tutt’ora, 25 anni dopo, ho ancora intatto il
biglietto di quella serata. Eravamo nel settore Y,
accanto al maledetto settore Z, e si capì subito che
eravamo in troppi". "La folla ci spinse avanti, verso il
campo, crollò una prima barriera. La polizia reagì con i
manganelli. Vidi un ragazzo, uno dei nostri, rimasto
imbrigliato nel filo spinato mentre cercava di
scavalcare un muro. E vidi un poliziotto che lo
manganellava. Mi avvicinai e gli diedi un pugno in
faccia. Scappò via. A quel punto, quasi tutta la polizia
si era dileguata". Il servizio d’ordine preposto ai
bordi di quei settori non è minimamente adeguato. Ancora
Tony Evans, una delle pochissime voci reds raccolte
dalla stampa italiana, racconta il seguito. Quello
tragico e sanguinoso. "Guardammo con invidia gli spazi
nel settore Z che era mezzo vuoto, mentre il nostro
settore Y, complici i molti tifosi senza biglietto, era
strapieno. Mi assentai per qualche minuto per fare la
pipì. Al ritorno vidi che la rete che separava i due
settori era caduta e che molti dei nostri erano passati
al settore adiacente… Più sotto e nell’angolo più
lontano stavano morendo 39 persone". La folla reds
carica di alcool, piena di infiltrati senza biglietto
ondeggia pericolosamente. Alle 19:20, a un’ora circa dal
fischio di inizio teorico della gara gli hooligans
inglesi caricano verso il settore Z. Una pratica usuale
negli stadi d’Oltre Manica, chiamata take an end,
"prendi la curva". I tifosi bianconeri impauriti e senza
il supporto della polizia si ammassano lungo il muro
opposto al settore dei reds. Da qui il disastro: il muro
crolla per il troppo peso e la gente a frotte cade una
sopra l’altra. Nella ressa si cerca l’unico varco di
uscita, il campo. Ma ormai la tragedia è segnata.
Heysel, lo stadio ieri e
oggi
Lo Stadio Heysel fu
costruito fra il 1929 e il 1930 e ribattezzato così nel
secondo dopoguerra perché il nome originale era quello
di "Stadio del Giubileo". Una prima ristrutturazione
dell’impianto avvenne negli anni ’70, ma nel 1985 era
vecchio ormai di mezzo secolo e totalmente inadeguato ad
ospitare una finale di Coppa Campioni. "Entrando si
aveva l’impressione orribile di essere dentro a un
pollaio" fu l’impressione dell’inviato di Tuttosport
Maurizio Crosetti. Solo nel 1994-95 lo stadio è stato
completamente ristrutturato per riaprire col nome di
"Stadio Re Baldovino" in adempimento ai nuovi standard
di sicurezza UEFA.
La capienza attuale è di 50.122
spettatori ed ospita le gare della nazionale Belga.
Heysel: tutti sapevano
tranne loro ?
In un clima irreale le
squadre, un’ora e mezza dopo rispetto al previsto
entrano in campo. Ai bordi del campo c’è tanta, troppa
gente, fra polizia e addetti.
Bruno Pizzul, il telecronista
della Rai presente per commentare la partita ripete più
volte che commenterà "nel modo più impersonale e
asettico possibile". Alle squadre però è stato detto che
quel match bisogna giocarlo. "Zibi" Boniek parla di
partita giocata contro se stesso. "Dopo pochi minuti la
palla va in fallo laterale, oltrepasso la linea e mi
paralizzo perché ci sono dieci poliziotti con dieci
rottweiler che mi ringhiano contro. Torno in campo, mi
rimetto a correre e mentre corro ci sono tre pensieri
fissi, stampati nel cervello, che mi martellano.
Pensiero numero uno: ma a che ora sto giocando questa
partita. Pensiero numero due: ma perché la sto giocando
? Pensiero numero tre: proprio qui, a pochi passi da me,
qualcuno è appena morto perché voleva vedermi giocare. E
contro questi pensieri ugualmente gioco. Tre volte
incazzato con me stesso. Perché mi hanno detto che è
giusto farlo". Marco Tardelli dirà poi successivamente
di non sentire sua quella Coppa. Gianni Agnelli, che non
fu portato allo stadio per motivi di sicurezza, quando
venne informato in aeroporto della decisione dell’Uefa
di giocare fu molto contrariato.
Heysel: i festeggiamenti
forzati
I giocatori della Juventus,
a cui arrivano notizie frammentarie, fanno il giro di
campo col trofeo in mano, suscitando poi anche polemiche
a posteriori per quel gesto. Michel Platini, a sintesi
del momento, usa una frase che diventa un tutt’uno con
l’Heysel. "Quando al circo muore il trapezista, entrano
i clown". Stefano Tacconi, che quella sera difende la
porta bianconera, dirà poi successivamente che "le
notizie erano frammentarie, non si capiva se fosse morto
un tifoso oppure un centinaio. La Uefa ci aveva impedito
di scendere in campo ma per fortuna un generale grande e
grosso, con un po’ più sale in zucca, ci ha ordinato di
giocare per evitare problemi più grandi. La nostra festa
era stata decisa dallo stesso generale alto due metri:
ci ha obbligati a uscire dallo spogliatoio e andare
sotto la curva bianconera, perché dovevamo tenere i
nostri tifosi all’interno dello stadio".
Heysel, il rigore di
Platini
Al 56′ Boniek subisce un
fallo al limite dell’area. L’arbitro fischia il rigore,
ma i replay successivi chiariscono che la trattenuta è
parecchi centimetri fuori area. Platini segna dal
dischetto: 1-0 Juve, finisce così una delle partite più
assurde della storia. Dopo i 39 morti, la Juve vince la
sua prima Coppa dei Campioni.
Heysel, il coro della
vergogna
L’Heysel però purtroppo non
si ferma a quella maledetta serata di fine giugno.
Perché nelle curve italiane ci sono dei veri e propri
cori di repertorio. Contro ogni tipo di decenza e di
vergogna. A Firenze durante Fiorentina-Cagliari del 2010
(dopo 25 anni in cui, però, a quanto pare nulla è
cambiato) sulle note di "Ti ricordi montagne verde" si
alza un terribile "Ti ricordi lo stadio Heysel/le
bandiere del Liverpool/10 mila sono partiti/39 non tornan più". Senza considerare le magliette col numero
39 e gli striscioni ("Acciaio scadente nostalgia
dell’Heysel"). A Napoli, una professoressa tifosa
partenopea sui social era arrivata anche a dichiarare
che "se ci girano le palle qua succede una seconda
edizione dell’Heysel: non provo pena per loro, se la
sono andata a cercare", scatenando un polverone
mediatico. Più costruttivo sicuramente avere davanti
agli occhi la coreografia del Liverpool durante i quarti
di finale di Champions del 2005 contro la Juve. Solo una
gigantesca scritta in italiano: "Amicizia".
Heysel, il giardino di
Grugliasco e la piazza a Torino
La memoria dei 39 caduti a
Bruxelles si custodisce nelle mente di tutti e poi
rimane fissa lì, nei luoghi. A Grugliasco il 27 marzo
2017 viene inaugurata il Giardino "Vittime dell’Heysel"
perché "nessuno muore veramente se vive nel cuore di chi
resta". Alla cerimonia partecipano congiuntamente lo
Juventus DOC Club di Grugliasco e il presidente del Toro
Club Grugliasco. Poco dopo il 24 maggio 2017, Torino
dedica una piazza alle 39 vittime dell’Heysel, in lungo
Dora Agrigento, nella Circoscrizione 7.
Heysel, il racconto di
Bruno Pizzul contro l’assurdo
La voce di quella partita,
perché pur sempre di partita si tratta, la Rai la affida
al suo telecronista di punta, Bruno Pizzul. "Ho cercato
di centellinare un po’ la gravità della notizie, - dirà
molti anni dopo - proprio perché avevo la perfetta
consapevolezza che c’erano tantissimi italiani, e quindi
tantissimi amici, figli, padri e parenti che ci
seguivano". Le notizie comunque, anche in tribuna
stampa, circolano confuse, non si riesce a capire niente
in più di quello che si vede. Appeso al microfono, senza
la possibilità naturalmente di verificare di persona,
Pizzul prova a riferire in telecronaca le poche cose che
girano fra i giornalisti. "Io vi posso solo dire che
purtroppo debbo confermare l’esistenza di alcuni morti,
di cui peraltro non conosco, sottolineo, non conosco la
nazionalità". Anche attorno alla sua postazione comincia
però ad affluire gente.
"Uno dei momenti di maggior
difficoltà di carattere personale l’ho affrontato quando
un paio di ragazzi, che erano nella curva Z, vennero
vicino a me. Mi chiesero di far dire al microfono alla
loro mamma che erano vivi. Io ebbi alcune difficoltà, ma
alla fine decisi di non farlo. Immediatamente pensai
alle migliaia di altre mamme in Italia, che non
avrebbero sentito il proprio figlio e all’angoscia che
avrebbero provato".
Heysel, la formazione della
Juve contro il Liverpool
Così scese in campo quella
notte la Juventus. In porta Stefano Tacconi, davanti a
lui Favero, Scirea, Brio e Cabrini. A metà campo Briaschi-Bonini e Tardelli. In avanti le Roi Platini
alle spalle di Boniek e Paolo Rossi. A partita in corso
entrarono Cesare Prandelli (futuro ct della Nazionale) e
Beniamino Vignola.
LIVERPOOL: Grobbelaar,
Neal, Beglin, Lawrenson (3′ Gillespie), Nicol, Hansen,
Dalglish, Whelan, Rush, Walsh (46′ Johnston), Wark.
Allenatore: Fagan
JUVENTUS: Tacconi, Favero,
Cabrini, Bonini, Brio, Scirea, Briaschi (84′ Prandelli),
Tardelli, Rossi P. (89′ Vignola), Platini, Boniek.
Allenatore: Trapattoni.
MARCATORE: 57′ rigore
Platini
ARBITRO: Daina (Svizzera)
29 maggio 2017
Fonte: Junews24.com
ARTICOLI STAMPA e WEB 29
MAGGIO
2017
Marco Manfredi, lo
"smemorato dell'Heysel"
di Roberto Bordi
Storia del tifoso juventino
che nei tafferugli prima di Juventus-Liverpool perse la
memoria e tornò a casa mangiando mele e formaggio.
29 maggio 1985, 29 maggio
2017: oggi sono 32 anni esatti dal più grave disastro
della storia del calcio italiano. Quel giorno, allo
stadio Heysel di Bruxelles, si giocò la finale di coppa
dei campioni tra Juventus e Liverpool. Vinsero i
bianconeri per 1-0 grazie al rigore trasformato da
Michel Platini, ma il risultato della partita passò in
secondo piano a causa degli scontri che avvennero sugli
spalti del vetusto impianto belga, costati la morte a 39
tifosi.
I fatti: le carenze
dell'organizzazione e gli hooligans inglesi
In estrema sintesi, lo
stadio dove era in programma la finale era al canto del
cigno: ancora quella partita e sarebbe stato sottoposto
a ingenti lavori di ristrutturazione. Molti manufatti
erano arrugginiti e tutto il complesso dello stadio dava
l'l'impressione di cadere a pezzi. A ciò si aggiungevano
un dispiegamento insufficiente di forze di polizia e la
decisione di non separare del tutto i settori riservati
ai tifosi della Juve da quelli occupati dagli hooligans
del Liverpool. Il risultato ? Un mix esplosivo destinato
a fare danni, con i tifosi del Merseyside scatenati per
cercare di prendere il settore Z, a loro vicino e
occupato per la maggior parte da quei sostenitori
bianconeri che non erano riusciti a trovare un biglietto
per la curva che stava dall'altra parte dello stadio,
riservata dalle autorità belghe agli juventini più
"caldi".
Let's take the end:
prendiamogli la curva
Dopo qualche scaramuccia
dentro e fuori dallo stadio, alle 19.20 - un'ora prima
dell'inizio della partita - i primi tifosi inglesi
attaccarono i "colleghi" juventini del settore Z ("cani
sciolti" e famiglie) con un fitto lancio di oggetti. Il
passo successivo fu di spingersi a ondate verso i tifosi
juventini, approfittando delle vetuste reti di
separazione esistenti tra i due settori. I supporter
bianconeri, spaventati e ignorati dalla polizia,
arretrarono bruscamente e si ammassarono contro il muro
opposto che a un certo punto crollò per il troppo peso.
Si scatenò il panico e molte persone persero la vita per
schiacciamento e soffocamento. Complessivamente, furono
39 i morti di quell'assurda giornata di "sport".
Marco Manfredi, il tifoso
che perse la memoria
Nei giorni successivi c'era
chi parlava di 40 e non 39 morti. All'appello mancava un
certo Marco Manfredi, quarantenne autista di ambulanze
di Moncalieri: era sparito nel nulla. La moglie, Rosita
Binelli, stava cominciando a non credere più nella
possibilità di ritrovarlo vivo. Ma il 5 giugno, vicino
all'ospedale "Le Molinette" di Torino, fu avvistato un
uomo che vagava in stato confusionale, con la barba
lunga e i vestiti sporchi e strappati. Era lui. Marco
Manfredi aveva perso la memoria, tanto da guadagnarsi
l'appellativo di "smemorato dell'Heysel" (cit. John Foot). Della partita non ricordava nulla. Furono
magistratura e stampa a ricostruire la sua ultima
settimana. Manfredi si trovava nel settore Z insieme a
due amici, fu coinvolto negli scontri e svenne.
Scambiato forse per un cadavere, fu adagiato in uno
spiazzo nei pressi dallo stadio vicino alle salme di
alcuni tifosi juventini. Lo portarono all'ospedale di
Bruxelles, dove si risvegliò e riuscì a convincere i
medici a lasciarlo andare. Di lì cominciò il suo lento e
confuso vagabondaggio per tornare nella sua casa di
Moncalieri. Cambiò un treno dopo l'altro, senza mai
lavarsi e cibandosi di mele e formaggio fino a quando,
una volta terminati i soldi, sopravvisse grazie a degli
espedienti. Il 5 giugno il "lieto fine". Lieto fine di
una triste storia che non avremmo mai voluto leggere.
29 maggio 2017
Fonte: Blastingnews.com
ARTICOLI STAMPA e WEB 29
MAGGIO
2017
Il ricordo dell’Heysel 32
anni dopo, Donati: "Ricordare ed educare"Il 29 maggio 1985, allo
stadio Heysel di Bruxelles, prima della finale di Coppa
dei Campioni Juventus-Liverpool morirono 39 persone, di
cui 32 italiani, per colpa degli hooligans inglesi,
delle autorità politiche e sportive belghe e dell’Uefa.
Due di quelle vittime erano di Arezzo, la studentessa di
Rigutino Giuseppina Conti e il medico Roberto Lorentini,
morto tentando di salvare un connazionale e per questo
medaglia d’argento al valore civile. "Ci sono date che
da aretini e da italiani restano impresse nella memoria
- dichiara l’onorevole aretino Marco Donati - e il 29
maggio 1985, purtroppo, è una di queste. L’Italia e la
mia città pagarono un drammatico tributo di sangue per
una partita di calcio e questo è assurdo e
inaccettabile". Otello Lorentini, fondando
l’Associazione fra i familiari delle vittime, ha fatto
condannare l’Uefa con una sentenza che ha cambiato per
sempre il mondo del calcio. Dopo la sua scomparsa il
testimone è stato preso dal nipote Andrea, primogenito
di Roberto, che nel 2015 ha rifondato l’Associazione fra
i familiari delle vittime dell’Heysel. "Otello Lorentini
ci ha lasciato una grande eredità - continua Donati -
eredità oggi portata avanti da suo nipote Andrea il
quale, in una recente intervista a un importante
quotidiano sportivo nazionale, ha dichiarato che la
memoria serve per due cose: "Ricordare ed educare". "Andrea Lorentini - conclude Marco Donati - assieme
all’Associazione che rappresenta si è fatto carico di
presentare proposte concrete che mirano a trasmettere,
attraverso la scuola, i veri valori dello sport e in
particolare il rispetto degli avversari e credo sia
compito della politica sostenere i progetti che vanno in
questa direzione".
29 maggio 2017
Fonte: Marcodonati.org -
Arezzonotizie.it
ARTICOLI STAMPA e WEB 29
MAGGIO
2017
Giro dell’Heysel
di Domenico Laudadio
29.05.2017: Partita la
cronometro della mia ultima tappa verso il podio della
dignità e verità nella staffetta della Memoria.
E’ sempre più difficile per
me aggiungere con la scrittura qualcosa che non si è già
detto o letto sull’Heysel, quindi sarà una impresa anche
questa volta schivare il turbinio del gorgo della
retorica, non tinteggiare pareti prefabbricate dal
sentimentalismo una tantum. Quasi dieci anni fa mi sono
messo in sella su una bici sgangherata e avevo davanti
una montagna da scalare. Ho forato tante volte per
strada, si sa come sono le strade in montagna, però,
soprattutto al principio, spesso le ruote me le han
bucate di notte faine e roditori. Ma lo sguardo sfidava
ancora la vetta ciò nonostante. La memoria di certe
tragedie datate è impresa ardua in Italia: un po’ per
cattiva tradizione di chi trascrive la storia, un po’
per il menefreghismo di chi ama cibarsi la mente di
gossip e altre menate. Pensavo di essere un uomo solo al
comando, ma più nella disperazione che per il vanto,
fortunatamente mi sbagliavo. Oltre alla maglia Rosa Caremani qualche compagno/a di squadra seguiva a ruota
mentre un folto gruppo si formava alle nostre incrinate
spalle e si arrampicava sui tornanti dando battaglia
nell’inseguimento fino in vetta al mare di silenzio.
Presto mi resi conto che non era me che volevano
superare, ma puntavano soltanto al comune traguardo. La
verità in cima alla salita ci attendeva con qualche
baruffa di nebbia a intervallare il panorama tra le
pietre infocate e le verdi valli. Nessuna impresa
individuale, dunque, ma l’arrivo in volata di un
gruppone di giusti.
Oggi l’Heysel finalmente
non è più l’arrocco inespugnabile della viltà dei rei
impuniti e dell’oblio calato ad arte da chi celebrò una
mezza vittoria, ma una tappa di una storia ben più
limpida, depurata dalle incrostazioni delle frasi di
circostanza, dei racconti infantili di testimoni
divorati dai sensi di colpa. Oggi l’Heysel è il puzzle
ricomposto faticosamente con parsimonia dai cacciatori
di una verità inconfutabile che radicalizzandosi in un
sentimento di umanità ha istituzionalizzato la Memoria:
Associazione dei Familiari delle Vittime, un monumento
nazionale e il suo Comitato a Reggio Emilia,
Associazioni, Clubs, Gruppi Ultras della Tifoseria, una
tradizionale giornata della memoria ufficiale a
Bruxelles e Torino, altre cerimonie solenni,
inaugurazioni di Giardini, Vie, Piazze, tornei sportivi
commemorativi. Possiamo dirlo con estrema soddisfazione
dopo decenni di calvario: "tutto è compiuto !". Da
domani potrò svestire i panni sudici del gregario
ardimentoso in breve fuga solitaria, appendere quella
bici al chiodo e rientrare nei ranghi a seguire il giro
dell’Heysel benemerito sulla grande ammiraglia dei
Familiari. Non mi resterà che prendermi cura dei miei 2
siti amatoriali
(saladellamemoriaheysel.it -
associazionefamiliarivittimeheysel.it) chiudendo
l’agonismo con il trofeo più agognato: "la sala della
memoria dell’Heysel". Tutto, infatti, partì da lì, da
una petizione nazionale nel 2008 che la invocava a furor
di popolo nel nuovo stadio della Juventus, cordialmente
ignorata da Cobolli Gigli, Monsieur Blanc e dal mio
idolo Roberto Bettega. In seguito idea riconvertita in
una luminosa stele commemorativa nel J-Museum da Andrea
Agnelli, Presidente Bianconero molto più sensibile
all’argomento. Ora, però, è tempo di fare da soli… Sono
schierato dalla parte migliore: approvata in febbraio
dall’assemblea dei soci dell’Associazione fra i
Familiari delle Vittime dell’Heysel" la "Sala della
Memoria" sarà il progetto che chiuderà naturalmente la
mia corsa e un ciclo decennale. Si prevede un piccolo
museo nazionale con sede e collocazione ancora da
definirsi nel quale documentare la verità su questa
trentennale pagina di sangue e terrore dello sport,
rivendicando in nome della eterogeneità delle vittime la
sua degna cittadinanza nella storia nazionale e
dell’Europa, non più l’accantonamento in cronaca nera
nel feudalesimo bianconero, inviso a molti. Il mio giro
intorno all’Heysel si concluderà esattamente nel punto
dove è partito, chiudendo il cerchio di una sorta di
vocazione con questo speciale tributo per 39 caduti
innocenti e con il ringraziamento alle loro onorevoli
famiglie. Così sia.
29 maggio 2017
Fonte:
Giulemanidallajuve.com
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MAGGIO
2017
Stadio Heysel di Bruxelles:
il 29 maggio 1985 gli Hooligans uccisero 39 tifosi
di Emidio Melis
Per non dimenticare quel
triste giorno in cui morirono 39 persone a Bruxelles,
causa la barbara violenza chiamata Hooligans.
In molti avranno
dimenticato la tragedia avvenuta 32 anni fa allo stadio
Heysel di Bruxelles, quando, poco prima di disputarsi la
finale di Coppa Campioni fra la squadra della Juventus e
quella del Liverpool, gli hooligans si schierarono in
massa accanendosi contro i tifosi italiani. Era la sera
del 29 maggio 1985 e nessuno poteva immaginare quello
che da lì a poco sarebbe avvenuto. Molti italiani,
agguerriti sostenitori della squadra bianconera e
provenienti da club organizzati, furono assegnati alle
tribune M-N-O, nella curva antistante la tifoseria
inglese. Nella tribuna Z, trovarono invece posto un
notevole numero di tifosi, juventini e non, in attesa di
seguire la partita. Un'ora prima del suo inizio, verso
le 19.15, gli Hooligans, convinti che il gruppo facesse
parte della tifoseria organizzata e aspettandosi una
reazione pari alla loro violenza, si ammassarono sulle
reti di separazione del settore Z, sfondandole e facendo
arretrare verso gli spalti, quegli attoniti spettatori
impauriti che non vedevano alcun intervento delle forze
d'ordine belga.
La strage degli Hooligans
all'Heysel
Il gruppo di spettatori
italiani posizionati nel settore Z, si seppe solo dopo
che cercarono di fuggire dall'orda barbara di Hooligans
che li caricava. I tentativi di scappare verso l'unica
via di fuga, fu però resa vana dalle forze dell'ordine,
che invece di aiutarli iniziò a manganellarli e a
respingerli, verso quel muro che da li a poco tempo
sarebbe stata per molti la tomba. La grande ressa
ammassatasi velocemente contro quel muro, portò le
persone a ferirsi nelle recinzioni, a lanciarsi dagli
spalti per evitare di essere schiacciato, o a scavalcare
gli ostacoli che gli si paravano davanti nel tentativo
di entrare in un settore più sicuro dello stadio. Mentre
la "mattanza" dei tifosi era in corso, lo speaker e i
capitani delle due squadre chiesero ai tifosi di
soprassedere e ritornare alla calma. A niente servì
l'appello quando l'orda di Hooligans riuscì a sovrastare
l'impaurita folla di tifosi che radunatisi sul muro
della curva opposta ai sostenitori del Liverpool in
tanti vi trovarono la morte.
Il conteggio dei morti allo
stadio Heysel
Il peso delle centinaia di
tifosi respinti dagli Hooligans sul muro del settore Z,
ebbe ragione della sua fragilità e in seguito al
cedimento si contarono i morti. Alla fine
dell'aggressione le vittime non furono solo quelle, ma
altre vi si aggiunsero perché nella fuga furono
calpestate dalla folla nel tentativo di salvarsi.
L'arrivo della polizia Belga, dopo una mezzora
dall'inizio della controversia, riuscì a ristabilire
l'ordine nello stadio Heysel completamente devastato e
invaso dalla tifoseria bianconera inferocita. 32
italiani, 1 irlandese, 2 francesi, 4 belgi e oltre 600
feriti, furono la somma delle vittime di quell'incontro
a Bruxelles, per la Coppa Campioni disputatasi fra
Juventus-Liverpool. Oggi si spera che la cronaca
sportiva del 29 maggio 1985 non debba più ripetersi e ci
si augura che l'insofferenza e la voglia di prevalere
sulla sportività, sia privata di cattivi intenti.
29 maggio 2017
Fonte: Blastingnews.com
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MAGGIO
2017
Tavecchio:
"Heysel ricordo vivo. Il calcio va difeso"
Il presidente della FIGC,
Carlo Tavecchio, ha omaggiato le vittime della tragedia
dell'Heysel con qualche parola riportata sul sito
ufficiale della Federazione: "Quello dell’Heysel è un
ricordo vivo e doloroso, una tragedia che abbiamo il
dovere di ricordare e che deve indurci a respingere con
ancor più fermezza ogni forma di violenza. Il mio
pensiero va alle 39 vittime e ai loro familiari, che
ancora oggi pagano la follia di quella notte. Il calcio
dovrebbe essere sempre sinonimo di gioia e contribuire a
far superare divisioni e barriere culturali. Il nostro
sport è uno straordinario strumento di coesione sociale
e dobbiamo difendere questo preziosissimo patrimonio da
chi approfitta della sua popolarità per dar sfogo ai
peggiori istinti umani".
29 maggio 2017
Fonte: Ilbianconero.com
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MAGGIO
2017
Anche il Liverpool ricorda le vittime dell'Heysel
Trentadue anni fa la
tragedia dell'Heysel colpiva la Juventus e 39 tifosi che
erano arrivati in Belgio per seguire la finale di Coppa
dei Campioni contro il Liverpool. Nel corso del media
day organizzato allo Juventus Stadium quest'oggi
Leonardo Bonucci ha ricordato i tifosi caduti in quella
tragica sera che doveva essere di festa e che invece si
trasformò in una tragedia. Anche il Liverpool,
ricordando gli avvenimenti tragici di quella giornata,
ha voluto ricordare le vittime dell'Heysel con una
corona di fiori piazzata fuori da Anfield Road dove è
stata apposta anche una targa con i loghi delle due
squadre in memoria delle vittime dell'Heysel.
29 maggio 2017
Fonte: Ilbianconero.com
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MAGGIO
2017
Il ragazzo con lo zaino arancione nell’inferno
dell’Heysel
"I primi assalti contro
gli abruzzesi"
di Domenico Logozzo
Un superstite racconta
in un libro la strage di 32 anni fa allo stadio di
Bruxelles. "I tifosi del Liverpool iniziarono a lanciare
pietre verso lo Juventus club di Pescara".
"Vivo questi giorni
sempre con molta angoscia, soprattutto da quando è
saltata fuori quella foto, ma sto cominciando a capire
che devo imparare a gestire il mio dolore". 32 anni dopo
l’Heysel, Torino dedica una piazza alle 39 vittime
juventine (due abruzzesi: Rocco Acerra e Nino Cerullo di
Francavilla al Mare) e in prima pagina Tuttosport
pubblica la foto-simbolo di una delle "più tristi
tragedie della storia del calcio e dello sport in
generale". In piedi tra tanti cadaveri e tanti feriti un
ragazzo con uno zaino arancione in mano e lo sguardo
perso. Il ragazzo era Alberto Tufano, ieri tifoso e oggi
giornalista. Aveva 16 anni ed una grande passione per la
Juve. "Arrivato da solo a Bruxelles. In pochi secondi
dal giorno più bello della vita a quello che poteva
essere l’ultimo". Quella foto Tufano l’ha vista per la
prima volta tanti anni dopo, nel 2012, quando i giornali
di tutto il mondo l’hanno pubblicata più volte. E questo
gli ha fatto "rompere il ghiaccio e decidere di
raccontare". Insieme al collega Francesco Ceniti della
Gazzetta dello Sport, ha ricordato l’orrore di quella
esperienza nel libro "Il ragazzo con lo zaino arancione.
Io, sopravvissuto all’Heysel, 29 maggio 1985".
Pubblicato dal quotidiano sportivo milanese in occasione
del 30° anniversario della tragedia nello stadio di
Bruxelles. Dentro l’inferno dell’Heysel, i tifosi
juventini furono letteralmente schiacciati da quelli del
Liverpool, prima dell’inizio della finale di Coppa dei
Campioni, l’attuale Champions League, che quest’anno
vede i bianconeri di nuovo in corsa per la conquista del
titolo. Il 3 giugno a Cardiff incontreranno il Real
Madrid. 19 anni dopo la squadra di Allegri vuole
riscattare la sconfitta di Amsterdam, decisa da una rete
che fa ancora discutere. Torneremo con la Coppa.
Rivediamole quelle tragiche ore nello stadio della
follia, rileggendo il drammatico racconto di Tufano.
Tanti lutti. 39 morti. Erano stati più di seicento i
tifosi juventini che dall’Abruzzo avevano seguito la
squadra del cuore a Bruxelles. Rocco Acerra e Nino
Cerullo erano partiti da Francavilla al Mare sicuri
della vittoria bianconera: "Torneremo con la Coppa".
Tornarono purtroppo in due bare. Non ci fu nessuna pietà
per i morti. Corpi straziati dalle autopsie e non
ricomposti. Tutto l’Abruzzo fu vicino al dolore delle
famiglie e della comunità francavillese. Ai funerali
parteciparono più di trentamila persone. La notte dei
barbari. Tra i primi ad essere stati presi di mira dai
tifosi inglesi nella "notte dei barbari dell’Heysel"
furono proprio gli abruzzesi, come ricorda Tufano.
"Noto uno Juventus
Club, in particolare, lo Juventus Club Pescara, che
viene investito dal lancio di bottiglie. Alcuni signori
si toccano la testa, forse sono stati colpiti e si
voltano a protestare verso gli inglesi responsabili del
gesto. Per tutta risposta ricevono il lancio di altri
oggetti: mi sembrano sassi, oppure pezzi di intonaco
dello stadio che sono stati staccati per essere usati
come pietre". Misure inesistenti. Misure di sicurezza
praticamente inesistenti, come testimonia Tufano nel
raccontare l’aggressione subita dai tifosi dal club
juventino di Pescara. "Vedo gesti di rabbia anche tra i
signori colpiti nel nostro settore e, istintivamente, mi
alzo in piedi per capire meglio cosa sta succedendo.
Sembra una piccola schermaglia tra un paio di tifosi
inglesi e i signori dello Juventus Club Pescara colpiti
dalle bottiglie, ma c’è comunque una piccola rete da
pollaio che li divide. Poliziotti non ne vedo, anzi ne
conto 6 in tutta la curva, tra settori X e Y degli
inglesi e il settore Z occupato da noi. Certo, sulla
pista di atletica, nei pressi della nostra curva, ci
sono anche due poliziotti a cavallo, quindi il totale
dei poliziotti presenti è di 8. Sta di fatto che nessuno
di essi muove un dito per sedare sul nascere quel
piccolo diverbio tra tifosi vicini di settore. Il lancio
di oggetti, anzi, si infittisce di più". Un tuono scuote
lo stadio. La situazione improvvisamente si fa
esplosiva. "Un boato, un tuono che scuote lo stadio.
Cosa è stato ? Cosa sta succedendo ? Cos’è questo
improvviso fragore ? Sono in piedi, fermo, ma tutto
intorno a me si muove. E’ un terremoto forse ? Dove
vanno tutti ? In un attimo la curva dei tifosi del
Liverpool non è più la stessa: gli inglesi, che prima
erano tutti compressi nei loro settori, sembrano essersi
mossi improvvisamente tutti insieme di circa cinque
metri verso di noi. Vedo uno spazio vuoto, piuttosto
ampio alla fine del loro settore X, quello più lontano,
però non vedo più i signori dello Juventus Club Pescara
che stavano discutendo con gli inglesi… Dove sono finiti
?". Sciacalli e speculatori. Ad Alberto Tufano chiediamo
se dopo la pubblicazione del libro ha avuto la
possibilità di entrare in contatto con qualcuno del club
juventino pescarese. "Non ho fatto alcun passo.
Ricordare e trascrivere quello che era inciso nei miei
ricordi più tristi è già stato molto doloroso per me;
non voglio indugiare troppo e rivivere ulteriormente
quei momenti, anche per distinguermi dagli sciacalli e
speculatori che hanno fatto dell'Heysel la ragione della
loro vita, narrando imbarazzanti menzogne per
ritagliarsi un ruolo nel mondo o monetizzare le loro
apparizioni con dettagli sempre più clamorosi (ho in
mente qualcuno, ma preferisco non approfondire
l'argomento). No, caro Domenico, voglio trovare il modo
per valorizzarmi come giornalista e uomo, andando oltre
l'Heysel con i miei prossimi lavori". Racconto dentro
l’orrore. Grande onestà intellettuale. Ma ritorniamo al
libro pubblicato due anni fa e che ha avuto un grande
successo di vendite. Un racconto "da dentro l’orrore".
Sconvolgente. Scrive enitii: "Per come
si svolge, il racconto di Alberto sembra quasi romanzo,
sceneggiato e pensato in ogni punto. Non è un romanzo: è
tutto tragicamente vero". Su acebookk
Tufano commentò: "Io e Francesco abbiamo scelto di
narrare i fatti come se io avessi ancora i 16 anni che
avevo all'epoca, per far vivere al lettore l'atmosfera e
il dramma, momento per momento. Onore a 39 vittime
innocenti, martiri senza bandiera di un calcio
sbagliato". L’assalto degli "nimalssal
settore Z, ha trasformato la finale di Coppa dei
Campioni tra Juventus e Liverpool in un campo di
battaglia. Alcool, furia, follia. Un’orda di ubriachi
all’assalto e nessuno ha fermato il massacro. "Ma quanti
saranno ? Devo cercare di scivolare verso il basso. E
quelli cosa sono ? Perché tutti quei corpi a terra ?
Sono morti o svenuti ? Morti, sembrano morti, porca
puttana ! SONO MORTI ! Le urla mi stanno entrando nel
cervello"." al settore Z, ha trasformato la finale di
Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool in un campo
di battaglia. Alcool, furia, follia. Un’orda di ubriachi
all’assalto e nessuno ha fermato il massacro. "Ma quanti
saranno ? Devo cercare di scivolare verso il basso. E
quelli cosa sono ? Perché tutti quei corpi a terra ?
Sono morti o svenuti ? Morti, sembrano morti, porca
puttana ! SONO MORTI ! Le urla mi stanno entrando nel
cervello".
Tifosi allo sbaraglio.
Alberto Tufano per quasi trenta anni quelle urla e
quelle immagini di furia e di terrore le ha tenute per
sé, intimo ricordo di un dramma mai dimenticato. Tifosi
mandati allo sbaraglio in una partita organizzata senza
alcuna tutela degli spettatori. "L’Uefa,
le autorità locali, la gendarmeria belga e il personale
medico: ci sono tanti colpevoli, ognuno ha contribuito
primo e dopo a quella che non è stata una drammatica
fatalità", afferma Ceniti. E sottolinea
con amarezza che "soltanto nel 1991 i coraggiosi
familiari delle vittime, con l’associazione voluta da
Otello Lorentini, papà di Roberto (al quale il libro è
dedicato: è morto nel tentativo di salvare un bambino),
sono riusciti a ottenere la condanna dell’Uefa per
omessa prevenzione e delle autorità locali ritenute
responsabili del sangue versato in Belgio". Il ricordo
di Boniek. E poi Ceniti evidenzia che
molto è cambiato dal 1985. "Oggi sarebbe impensabile
organizzare un evento come la finale di Champions con la
stessa faciloneria di 30 anni fa.
L’Uefa e il Paese che ospita la partita più importante
della stagione per i club, lavorano 12 mesi per curare
ogni dettaglio. E la sicurezza è al primo punto. C’è
voluto l’Heysel, purtroppo". E Boniek nel rievocare nel
libro di Ceniti e Tufano le sensazioni
vissute quella sera, afferma: "C’era una mentalità
sbagliata e tutti facevano finta di nulla. Se la
tragedia non fosse accaduta a Bruxelles, sarebbe stata
solo questione di tempo. Poco tempo. L’uomo è fatto
così: solo dopo avere toccato con mano il sangue apre
gli occhi e rimedia agli errori".
29 maggio 2017
Fonte: Ilcentro.it
ARTICOLI STAMPA e WEB
29 MAGGIO
2017
La Strage
dell’Heysel
Il 29 maggio 1985 a Bruxelles si consumò una
delle peggiori tragedie della storia del calcio,
sicuramente quella più nota perché avvenuta prima della
finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool.
Sono le sette e venti di sera allo stadio Heysel
di Bruxelles, in campo due squadre di ragazzini belgi
con indosso le maglie rosse e bianconere si stanno
sfidando in attesa dell’incontro dei grandi, in cielo un
bellissimo tramonto sembra disegnato apposta da Emile
Claus per fondersi con i colori delle sciarpe e delle
bandiere dei tifosi. Sono le sette e venti di sera allo
stadio Heysel, quando qualcosa va storto. Quella che
doveva essere la festa della finale di Coppa Campioni
tra il Liverpool, che l’aveva vinta l’anno prima
all’Olimpico contro la Roma, e la Juventus, che la
stagione precedente aveva vinto la Coppa delle Coppe e
poi a gennaio la Supercoppa Europea proprio contro i
Reds, si trasforma in una tragedia. Alla fine di quasi
due ore di panico e angoscia, di urla e di spaventi, di
paura e di delirio, si contano 39 morti (di cui 36 (32
ndr) italiani, il più vecchio di 58 anni e il più
giovane di 11 anni) e oltre 600 feriti. Sono le nove e
quaranta allo stadio Heysel di Bruxelles, e da quel
maledetto 29 maggio del 1985 il calcio non sarà più lo
stesso. Alle sette e venti, dopo le prime scaramucce tra
tifosi del Liverpool (sistemati nei settori X e Y dello
stadio Heysel) e della Juventus (che si trovano
inopinatamente nel settore Z, lì a fianco), separati
solo da una rete, un gruppo di inglesi rompe le deboli
recinzioni che separano i settori e cerca lo scontro. È
il panico. Chi cerca di uscire dai cancelli d’ingresso
posti in cima li trova incredibilmente chiusi con i
lucchetti, i vigili del fuoco decine di minuti dopo li
dovranno rompere con le cesoie, chi prova a entrare in
campo è ricacciato indietro dalla polizia belga, che
entra in campo a cavallo sventolando i manganelli, senza
capire cosa sta succedendo e senza aiutare nessuno.
Anzi, aumentando il panico. A decine sono soppressi
nella calca del fuggi-fuggi generale, e muoiono
schiacciati. Altri per uscire dal settore Z provano a
scavalcare il muro, che crolla sotto il loro peso
schiacciando i fuggitivi.
Alla nove e quaranta, quando è
calata la notte e l’arbitro fischia l’inizio della
partita, a terra ci sono già quei 39 morti di cui il
calcio non si è mai assunto le responsabilità. Non è il
disastro peggiore della storia, nel 1964 in Perù ci
furono quasi 400 morti, nel 1982 in Russia circa 340,
poche settimane prima dell’Heysel nel fuoco di Bradford
morirono in 56 e pochi anni a dopo a Sheffield saranno
96. Ma è il più clamoroso. Perché è una finale di Coppa
dei Campioni. Perché la tragedia avviene prima del
calcio d’inizio, eppure si gioca lo stesso, a onta dei
39 morti. Perché le televisioni, a eccezione di quella
tedesca, decidono di trasmettere lo stesso le immagini
della partita, in un silenzio che puzza di morte. Perché
ci si rende conto fin da subito che le responsabilità
sono tanto degli organizzatori e delle forze dell’ordine
quanto dei famigerati hooligans. Lo conferma l’inchiesta
del giudice belga Marina Coppieters, che tre anni dopo
condanna una decina d’inglesi a pochi anni di galera per
omicidio colposo, ma soprattutto condanna la Uefa al
risarcimento danni per le vittime in quanto ritenuta
responsabile della strage. E se il presidente della Uefa
Jacques Georges e il segretario generale Hans Bangerter
non sono arrestati per un soffio nel dopopartita, Albert
Roosens, allora presidente della federcalcio belga, e
Johan Mahieu, responsabile dell’ordine pubblico, sono
condannati a sei mesi di reclusione. I club inglesi, che
allora dominavano in Europa, saranno squalificati per
cinque anni dalle competizioni internazionali. I tifosi
dei Reds negli anni seguenti racconteranno una verità
terribile, confermata dalla commissione d’inchiesta
affidata al giudice britannico Popplewell: infiltrati
tra i presunti hooligans del Liverpool c’erano alcuni
tifosi del Chelsea del gruppo di estrema destra
Headhunters, membri dell’organizzazione neonazista
Combat 18 e del partito National Front, tra cui
addirittura due consiglieri comunali di Liverpool. I
gruppi di neofascisti che dalla fine degli anni Settanta
in Inghilterra approfittavano del calcio per aumentare
il livello di tensione, e favorire la repressione delle
proteste sindacali, si era spinto fino in Belgio. I
tifosi bianconeri negli anni seguenti denunceranno di
essere stati lasciati soli, dal club e dalle istituzioni
calcistiche italiane. Quella sera si rompe il patto di
fiducia tra società e tifosi, tra chi a Bruxelles ha
visto morire amici e parenti e chi con quella partita ci
ha guadagnato e vinto una coppa.
I giocatori, eroi del
Mundial spagnolo dell’82, ammetteranno infatti solo
molto tempo dopo che sapevano dei morti prima di
scendere in campo, molti di loro diranno che quella
partita non si doveva giocare, ma quasi nessuno di loro
all’epoca acconsentì di donare il premio partita alle
famiglie delle vittime. La stessa Juventus non rinuncerà
mai a quella coppa - nonostante le richieste che
arrivavano dallo scrittore Italo Calvino all’allora
direttore della Gazzetta dello Sport Candido Cannavò -
ma si rifiuterà anche per anni di intrattenere rapporti
con l’Associazione dei parenti delle vittime. Lo ha
denunciato più volte il presidente dell’associazione
Otello Lorentini, il cui figlio Roberto una volta uscito
dal settore Z sceglie, da uomo e da medico quale era, di
tornare indietro a cercare di salvare gli altri, e trova
la morte. Ma la figura peggiore davanti a quella
carneficina la fa la Uefa, che decide che the show must
go on per non rimborsare biglietti e pagare penali alle
tv. E non tornerà mai più indietro. Le responsabilità
della Uefa risalgono a prima, alla decisione di fare
giocare il match in uno stadio fatiscente, con mattoni
di calcestruzzo talmente leggeri che alcuni tifosi fanno
buchi nei muri per entrare. Alla decisione di vendere i
biglietti del famigerato settore Z, a fianco dei settori
X e Y riservati al Liverpool, sia agli italiani
residenti in Belgio sia alle agenzie di viaggio italiane
che organizzano i pacchetti, pur sapendo che l’anno
prima all’Olimpico i tifosi del Liverpool e della Roma
se le erano date di santa ragione. Le responsabilità
della polizia belga sono evidenziate, oltre che
dall’assurdo comportamento delle guardie a cavallo in
campo, dalla decisione di utilizzare solo 5 (cinque!)
poliziotti lungo le reti che dividono il settore X dallo
Z, mentre fuori ne impiegano 40 (quaranta!) per
inseguire un ragazzo che ha rubato un hot dog. Scaricate
per anni le colpe sui tifosi inglesi brutti, sporchi e
cattivi, di queste nefandezze le autorità del calcio e
della politica non si sono mai assunte la
responsabilità.
29 maggio 2017
Fonte: Lefotochehannosegnatounepoca.it
ARTICOLI STAMPA e WEB
29 MAGGIO
2017
Heysel, la memoria non si
cancella
di Luigi Alberto Alberti
32 anni dopo la memoria non
si cancella. Quello che è accaduto la sera del 29 maggio
1958 allo stadio Heysel resta una ferita aperta che non
potrà essere mai risanata. Un'onta che solo la cecità di
chi ancora confonde la passione con il becerume, stenta
ancora a riconoscere. Giusto onorare la memoria di quei
morti che sono i nostri morti. Opportuno ricordare
l'impegno di Otello Lorentini, che da solo vinse una
battaglia di grande civiltà.
30 maggio 2017
Fonte: Teletruria.it
ARTICOLI STAMPA e WEB
30 MAGGIO
2017
Dall'Heysel a Cardiff con
la maglia del Grande Torino: la storia meravigliosa
di Edoardo Siddi
Ci sono storie belle e che
sono belle da ascoltare. Altre che definirle
meravigliose non basterebbe e ascoltarle non è bello, ma
è un onore. Quella che vi andiamo a raccontare fa senza
dubbio parte della seconda categoria. Il protagonista si
chiama Carlo Ricci, tifoso bianconero che sabato sarà a
Cardiff con addosso la maglia del Grande Torino. No, non
ha le idee confuse. Le sue idee sono chiarissime e
stupende. Carlo è sopravvissuto alla tragedia
dell'Heysel e da Tivoli, provincia di Roma, ha deciso di
imbarcarsi in questa bellissima avventura. Dopo aver
vissuto da vicino la tragedia in cui persero la vita 39
tifosi bianconeri, non ha voluto più mettere piede in
uno stadio per 30 anni, finché, convinto dal figlio, lo
scorso anno, non ha fatto il suo nuovo esordio in un
impianto. Ovviamente allo Stadium. E la passione si è
riaccesa. Perché una delle cose meravigliose della
passione, è che fa dimenticare anche le peggiori paure.
Rende a suo modo immortali. Ora Carlo è nuovamente
abbonato e non si perde una partita e ha deciso di
intraprendere questo viaggio, dove tiferà con maglia
granata e sciarpa del Comitato per non dimenticare
l'Heysel al collo, per dire basta ai cori beceri. Basta
agli insulti verso i caduti di Superga, basta agli
insulti contro le vittime della tragedia dell'Heysel.
Basta stupidità. E tutti dovremmo prendere esempio.
31 maggio 2017
Fonte: Ilbianconero.com
ARTICOLI STAMPA e WEB
31 MAGGIO
2017
Dall'Heysel fino a Cardiff per tifare Juventus
indossando la maglia del Grande Torino
di Giorgio Capodaglio
Un'idea bella e commovente
quella di Carlo Ricci, tifoso bianconero sopravvissuto
alla tragedia dell'Heysel, che sarà a Cardiff con la
maglia del Grande Torino e la sciarpa del Comitato Per Non Dimenticare Heysel: "Voglio lanciare un messaggio,
bisogna smetterla con cori beceri che non rispettano i
morti".
Da Tivoli, in Provincia di
Roma, dove lavora come pediatra, fino a Cardiff per
sostenere la Juventus con la maglia del Grande Torino e
al collo la sciarpa del "Comitato Per Non Dimenticare Heysel Reggio Emilia". È ciò che farà Carlo Ricci,
tifoso bianconero, sopravvissuto alla tragedia
dell’Heysel. La sua è una storia commovente, quella di
chi ha sempre amato la Juventus, imbarcandosi in
numerosi viaggi al seguito della fede bianconera, fino
alla finale di Coppa Campioni del 29 maggio 1985, giorno
di quel maledetto Juventus-Liverpool. Una tragedia
vissuta in prima persona, perché Carlo era insieme al
figlio, allora quindicenne, nel settore Z dello stadio
belga, era finito anch’egli nella calca, aveva rischiato
di restare schiacciato e successivamente aveva vissuto
lunghi momenti di panico alla ricerca del figlio, per
fortuna ritrovato. Per trent'anni non è riuscito a
mettere più piede allo stadio, per poi tornare, spinto
dal figlio, nella passata stagione. Appena entrato allo Stadium, la passione è esplosa nuovamente, forse anche
più forte di prima, per la voglia di recuperare gli anni
persi. Non solo l’abbonamento al campionato, ma anche
diverse trasferte nel centro Italia. Quando gioca la
vecchia signora Carlo Ricci è una presenza fissa sugli
spalti. A togliergli la serenità dello spettacolo
sportivo, però, ci hanno pensato in questi due anni i
tanti cori beceri che ha sentito in tanti stadi, quelli
da parte delle tifoserie anti juventine sulle vittime
dell’Heysel, ma anche degli stessi "tifosi" bianconeri
sulla tragedia di Superga. Troppo per lui, che ha voluto
così raccontare la sua storia a Torinosportiva e
lanciare così un forte messaggio.
Ciao Carlo, hai deciso di
andare alla finale di Cardiff con la maglia del Grande
Torino. Cosa ti ha spinto a farlo ?
"L’ho annunciato in
occasione della commemorazione sulla tragedia
dell'Heysel, che si è svolta come ogni anno a Reggio
Emilia - città natale di Claudio Zavaroni, ultima
vittima identificata di questa immane tragedia - davanti
al monumento donato da uno scultore belga alla città
reggiana. Zavaroni era un ragazzo ventottenne,
appassionato di fotografia, partito per l’evento insieme
al gruppo di juventini reggiani, anche se non aveva il
cuore bianconero, soltanto per fare fotografie. Sono
stato molto felice che la mia iniziativa abbia ricevuto
il pieno appoggio di Domenico Beccaria, presidente del
Museo del Grande Torino, che da anni lotta affinché si
ponga fine alla parte più becera del tifo e le tifoserie
torinesi, ma non solo, rispettino i morti. Non a caso,
ogni anno, lui ci raggiunge a Reggio Emilia per la
commemorazione. Io sono intervenuto dopo di lui, mi ero
scritto il discorso già in treno, non sono capace a
parlare a braccio come Domenico. Ho così annunciato che
andrò a Cardiff con la maglia del Grande Torino e la
sciarpa che commemora le vittime dell’Heysel, perché
vorrei mandare un segnale, nel mio piccolo, far capire
che bisogna rispettare le vittime altrui, essere uniti
di fronte a certi drammi. Io sono tornato a seguire la
Juventus non soltanto nelle gare interne, ma anche nelle
trasferte più vicine a casa mia, e ovunque sento cori
sulle vittime dell’Heysel e tifoserie che si presentano
con bandiere del Liverpool per provocare. Allo Juventus
Stadium, poi, ci sono anche i nostri di tifosi, che
tirano fuori quei cori orribili su Superga.
Insopportabile. Sentivo che dovevo fare qualcosa e
questo è il mio modo per dire "basta".
Proprio pochi giorni fa, in
una radio bolognese, qualcuno si è augurato un incidente
aereo della Juventus.
"Incredibile, non potevo
crederci quando l’ho saputo. Ecco perché voglio fare
questo gesto simbolico, andare a Cardiff con maglia del
Grande Torino e sciarpa del "Comitato Per Non Dimenticare Heysel", dove sono elencate tutte le vittime
e vi è il disegno del monumento di Reggio Emilia. Il
bianco e nero della Juventus sarà dentro di me. Io non
riesco proprio a reggere certi cori beceri, tanto che
quando vengono cantati dai nostri tifosi, mi vergogno.
Ho 74 anni e amo questo sport, a me piace lo stadio e il
bel gioco, al punto che spesso, nonostante le vittorie,
ho discusso con altri tifosi della Juventus, perché mi
sono lamentato del gioco della nostra squadra e mi hanno
tutti risposto di andare a vedere il Napoli. Però, la
svolta del 4-2-3-1, con squadra più offensiva è bella da
vedere, che ci ha portato in finale, mi ha dato
ragione".
Arriviamo a quella
maledetta sera del 29 maggio 1985.
"Piango ogni volta che ne
parlo, anche quando al Teatro Ghione ho visto il
bellissimo monologo di David Gramiccioli, che ha
sottolineato tutte le colpe avute dalla Uefa in
quell’occasione, senza che nessuno di loro abbia poi
pagato per l’accaduto. Vorrei evitare di raccontare
quanto accaduto quel giorno, ma ogni volta lo faccio
nella speranza che mi passi il dolore che ho dentro, ma
non se ne va. All’epoca quelle tribune avevano questa
sorta di transenne e noi ci eravamo messi dietro una di
esse, perché così non avremmo rischiato di essere
impallati da nessuno durante la partita. Poi arrivarono
le cariche degli hooligans e in quel momento persi la
mano di mio figlio. Eravamo tutti stretti, da dietro
spingevano, crollò il muro e finimmo come effetto domino
uno sopra l’altro. Non potevo muovermi, perché ero
pressato da chi stava sopra di me, usciva soltanto la
testa. Per fortuna, facendo sport, ero abbastanza forte
e riuscii in qualche modo a muovermi, poi piano piano
uno dopo l’altro ci liberammo. Avevo capito che tante
persone erano morte e iniziai a cercare disperatamente
mio figlio, facendo avanti e indietro. Il tempo divenne
quasi indefinito, non so se avrò cercato un’ora o anche
di più. Nella disperazione andai anche a cercarlo tra le
persone che avevano perso la vita. Sono momenti che non
riesco a togliermi dalla testa, ci penso praticamente
tutti i giorni. A un certo punto, tra le vittime vidi un
ragazzo vestito come mio figlio, con jeans e camicia
bianca, che aveva anche i capelli scuri proprio come
lui, ormai morto, piegato su due gradini. Andai lì e con
delicatezza sollevai la sua testa per capire se fosse
mio figlio. Lo feci tre volte, non era Fabio. È stata
una cosa durissima, non ho mai conosciuto la famiglia di
quel ragazzo e sinceramente avrei anche paura di farlo,
sarebbe troppo dura per me, perché mi sembra in qualche
modo di avergli mancato di rispetto (la voce è rotta
dall’emozione ndr)".
Poi sei riuscito a trovare
tuo figlio: immagino il sollievo.
"Lo ritrovai seduto
sull’angolo di una panchina, con le ginocchia sollevate
e la testa tra esse. In quel momento ci abbracciammo
forte, non so per quanto tempo, ancora una volta era
indefinito. Fu un momento lunghissimo, ci stringemmo
tanto forte da farci male. Non gli ho mai chiesto come
abbia fatto a salvarsi, non parliamo mai di questo e
nemmeno mi interessa, l’importante è che ce l’abbia
fatta. Ricordo soltanto che in quel momento, mio figlio
mi disse: "papà non lasciamoci più".
Dopo quella finale non sei
più andato allo stadio per 30 anni.
"No, ma non perché fossi
schifato dal calcio. Ho continuato sempre a seguirlo in
tv e tifare Juventus, amando soprattutto quella di
Lippi, che giocava secondo me un grande calcio. Non sono
però più riuscito a stare in luoghi affollati. Non ho
più partecipato a un comizio politico, ma nemmeno sono
andato in Piazza San Pietro dal Papa, cosa che in
precedenza facevo spesso. Ho sempre avuto paura delle
possibili conseguenze, se fosse accaduto qualcosa
all’improvviso. Oggi mi è un po’ passata, ma non ancora
completamente. Per fortuna allo Juventus Stadium posso
entrare cinque minuti prima dell'inizio della partita e
ho il mio seggiolino".
Quando hai deciso di
tornare ?
"È stato mio figlio a
convincermi. Lui ha mantenuto la passione per la
Juventus e per tanto tempo ha provato a convincermi ad
andare con lui. Fabio, grazie al suo carattere, è
riuscito a digerire meglio di me quanto accadde quella
notte, così ha continuato a seguire la Juve allo stadio.
Nel 1996, grazie a una mia amicizia personale con un ex
arbitro, sono riuscito a trovare il biglietto per la
finale con l’Ajax, ma non me la sono sentita di andare e
ho lasciato il mio biglietto a mio figlio. Non ho mai
temuto che potesse avere problemi allo stadio, perché se
l’era cavata meglio di me in quell’occasione. Io,
invece, non me la sono sentita di andare nemmeno due
anni fa a Berlino, anche se avevo già ceduto di fronte
alla sua insistenza in occasione di Juventus-Olympiakos
di Champions della stessa stagione. Appena messo piede
allo stadio, però, è tornata tutta la passione, mi sono
subito sentito a casa e già nella passata stagione ho
visto quindici-sedici partite, per poi farmi
l’abbonamento quest’anno".
A proposito, sei nato a
Roma e tifi Juventus: come mai ?
"Mio papà era un grande
romanista e nei primi anni cinquanta mi portò
all’Olimpico per vedere un Roma-Juventus. Sulla carta
avrei dovuto tifare per i giallorossi, invece mi
innamorai subito delle maglie bianconere. Eravamo seduti
su una delle vecchie panchine di legno della Tribuna
Tevere, segnò la Juventus e mi alzai in piedi esultando.
Da dietro un tifoso romanista mi diede anche un calcio
nel sedere, ma mio papà, una persona molto tranquilla,
lo riprese senza andare però oltre le righe. In quel
momento decisi che non avrei più lasciato i colori
bianco e neri, tanto che anni dopo andai anche a
Belgrado per vedere la storica finale contro l’Ajax e ad
Atene per quella contro l’Amburgo, prima della terza
finale contro il Liverpool. Anche dopo l’Heysel ho
sempre seguito con passione la Juventus, mi piaceva
tantissimo la squadra di Lippi, ma a farmi innamorare
ancora di più ci hanno pensato personaggi come Buffon,
Nedved e Del Piero, che sono rimasti con noi anche in
Serie B. Ora, sto raccogliendo, da tifoso, i frutti di
tanta perseveranza e sto recuperando il tempo perso".
Tua moglie non è arrabbiata
perché vai allo stadio così spesso ?
"No (ride ndr), semmai è
arrabbiata perché quando torno a casa la domenica sera,
mi lamento sempre per come abbiamo giocato. A me non
interessa soltanto vincere, ritengo sia importante anche
giocare un bel calcio. Ovviamente, ogni volta, mia
moglie mi chiede cosa ci vado a fare, se non sono
contento nemmeno quando vinciamo".
Grazie Carlo, esempio di
quello che deve essere il tifo, sperando che molti ti
capiscano e quei maledetti cori, cantati in tanti stadi,
finalmente spariscano.
31 maggio 2017
Fonte: Torinosportiva.it
ARTICOLI STAMPA e WEB 31
MAGGIO 2017
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