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ARTICOLI 1-28 MAGGIO 2015
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1-28 MAGGIO 2015
ARTICOLI STAMPA e WEB 4 MAGGIO 2015

Calcio: 30 anni fa la strage dell'Heysel. Morirono 39 persone

Curva Z, niente selfie qui sono morti in 39

 ARTICOLI STAMPA e WEB 9 MAGGIO 2015

Juventus Observer

 ARTICOLI STAMPA e WEB 10 MAGGIO 2015

"Da soli per avere giustizia"

ARTICOLI STAMPA e WEB 17 MAGGIO 2015

Sette giorni di cattivi pensieri

ARTICOLI STAMPA e WEB 23 MAGGIO 2015

30 anni fa l'Heysel, quando la Coppa fu tragedia e dolore

Heysel, 30 anni fa la tragedia nello stadio della morte

Heysel, la "staffetta della memoria" da nonno a nipote

Juve, il ricordo dell’Heysel: tutto lo Stadium commosso

Juve: festa scudetto, ricordo dell'Heysel e la vergogna dei soliti cori

La curva Scirea ricorda le vittime juventine dell’Heysel

ARTICOLI STAMPA e WEB 24 MAGGIO 2015

Heysel, 39 cuori in più battono in curva Sud

Un brivido lungo la schiena dei quarantamila

39 e 93

Juventus, Buffon: "Heysel tragedia che sentiamo fortemente...

ARTICOLI STAMPA e WEB 25 MAGGIO 2015

Trent'anni fa la Tragedia Heysel

+39 rispetto (anche per i vivi)

Heysel 30 anni dopo: cosa è cambiato ?

Heysel, ricordare è un dovere e aiuta anche a rispettare

...Bruce Grobbelaar rivela: "Furono estremisti di destra di Londra a provocare"

Heysel, quando la furia hooligan  travolse l’innocenza del calcio

ARTICOLI STAMPA e WEB 26 MAGGIO 2015

Juve e l’Heysel, 30 anni dopo. Rossi: "Non avremmo dovuto giocare"

Che cosa resta dell'Heysel, trent'anni dopo

Heysel, Chiarini scrive al presidente Agnelli

Heysel, il calcio non fu più un gioco

ARTICOLI STAMPA e WEB 27 MAGGIO 2015

L’Heysel, la notte in cui morì il calcio

...Francis mi disse: "Mi vergogno di essere inglese"

Strage Heysel, trent'anni e 39 morti dopo

 ARTICOLI STAMPA e WEB 28 MAGGIO 2015

E il calcio non è più lo stesso

Dalla Curva Z all’Internazionale degli hooligan: tre decenni inutili ?

Incuria e follia: 30 anni fa l'eccidio dell'Heysel

La tragedia nello stadio Heysel di Bruxelles

La rabbia, il dolore, i ricordi: domani speciale sull’Heysel

Era il 29 maggio 1985

Calcio: 30 anni fa la strage dell'Heysel. Morirono 39 persone

di Alberto Gioffreda

Erano le 18.30 e a Bruxelles era in programma la finale di Coppa Campioni tra Liverpool e Juventus.

Roma - Ci sono tragedie dalle quali si può imparare. E invece la memoria spesso viene calpestata e il cattivo esempio si ripete. Come se per il calcio italiano, per il tifo italiano, la notte del 29 maggio 1985 non ci fosse mai stata. Quando uno stadio, l'Heysel di Bruxelles, si trasformò in un campo di battaglia e in un cimitero. Erano le 18.30 e nella capitale belga c'era in programma la finale di Coppa Campioni tra Liverpool e Juventus. In tv la voce di Bruno Pizzul cerca di spiegare quanto sta accadendo ma è difficile dare un senso a quello che le immagini mostrano. La polizia non riesce a controllare i tifosi inglesi, interviene in ritardo, quando ormai gli hooligans, allora noti in tutta Europa per la loro violenza, inseguono i supporters della Juventus fino all’estremità degli spalti. Presi dal panico i tifosi italiani si ammassano nell’angolo più lontano e basso del Settore Z, schiacciati l’uno sull’altro contro un muro. Il muro crolla e a salvarsi saranno solo i tifosi intrappolati perché quelli rimasti schiacciati troveranno la morte. 39 vittime. A quasi 30 anni di distanza la tragedia dell’Heysel resta una ferita aperta. Perché ancora oggi, negli stadi, si sentono i cori inneggianti quella tragedia. E poi c'è il capitolo ancora tutto da spiegare, quello dello "show must go on", dei calciatori che sapevano ma hanno giocato o ai quali era stato tutto nascosto. Surreali le scene dell'esultanza di Platini dopo aver segnato il rigore decisivo, poi tutti i giocatori di quella Juventus si sono dissociati da quel momento di "gioia", con Tardelli che ha riassunto bene lo stato d'animo suo e dei compagni: "Non l’ho mai sentita mia come Coppa quella del 1985; una sconfitta per il calcio, lo sport e non solo. Chiedo scusa a tutti". L'unica cosa certa fu la punizione che le squadre inglesi subirono e che è stata una lezione per il calcio d'oltremanica: cinque anni fuori dalle competizioni europee, stadi nuovi in patria, tolleranza zero verso gli hoolingans.

4 maggio 2015

Fonte: Rainews.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 4 MAGGIO 2015 

Ritorno a Bruxelles

Curva Z, niente selfie qui sono morti in 39

di Gabriella Greison

Quando arrivi sotto la gradinata Z, ci arrivi da solo. Vietato farsi un selfie, qui. E sono vietate anche tante altre cose. Non puoi raggiungere i seggiolini con un amico, non puoi scattare foto divertite, non puoi parlare con nessuno. Sono le regole. Puoi solo inquadrare con l’obiettivo esattamente quella parte di campo che si vede da questa posizione. Ci arrivi piano piano, perché il silenzio di uno stadio di calcio deserto mette paura. Sono le sensazioni. Ancora di più se conosci la storia, la letteratura già scritta su questo posto. Siamo nel settore crollato il 29 maggio del 1985, il dramma conosciuto come "tragedia dell’Heysel": fece 39 morti e 600 feriti, e tra pochi giorni saranno passati esattamente 30 anni. Bruxelles, stadio Re Baldovino, l’orario delle visite è appena cominciato. "La ricostruzione della curva Z, la rimessa a nuovo dell’intero stadio è avvenuta molto velocemente", racconta Tom Teirlinck, "anche perché per Bruxelles è stata prima di tutto una vergogna. Ma non è stato usato per molto tempo, nessuno sapeva bene come gestire questa cosa". Tom Teirlinck è la guida che accompagna le persone ad una visita veloce sul posto dove è avvenuta la strage. Ha molti aneddoti da raccontarti, il suo punto di vista è nuovo, né inglese, né italiano, proprio come i belgi sanno essere. Non vuole essere fotografato, e ti dice tutto prima di arrivare al cancello: "Tra pochi giorni ci sarà la cerimonia ufficiale in cui verrà cambiata la targa esterna in ricordo delle vittime, fino ad allora ci penso io ad accompagnare le persone che vogliono ricordare questa triste vicenda. Chi vuole entrare allo stadio con me, però, non può farsi autoscatti o scherzare con gli amici, ci entra da solo e in rispettoso silenzio, perché in un’occasione come questa devi solo abbracciare quegli angeli che sono volati in cielo per quella maledetta sciagura, e niente di più". Poi, conclude: "L’Heysel e una Bruxelles impreparata non fecero male solo ai poveri tifosi che ci lasciarono la vita, ma anche al Belgio". Ma non è finita, Tom ti prende sottobraccio, abbassa la voce, e ti consiglia un altro incontro: "Poi, lo vedi quell’uomo laggiù, che sta sistemando gli ultimi seggiolini per il giorno dell’anniversario ? La sua famiglia lavora qui da generazioni, e allo stadio quel giorno era presente". Seguiamo il suo prezioso consiglio. L’uomo si chiama Herman Lanoye, sa dirti uno ad uno tutti i nomi che campeggiano sulla targa incisa fuori dallo stadio. Finale della Coppa Campioni, la Juventus di Michel Platini sfida il Liverpool di Kenny Dalglish. La scenografia è quella che tutti ricordano: gli hooligans inglesi che accesero lo scontro, la polizia belga che intervenne poco e male, lo stadio vecchio che crollò sotto i piedi di migliaia di persone, e quello che ne restò fu solo questione di numeri: 32 italiani, 4 belgi, 2 francesi e 1 irlandese, morti schiacciati sotto il peso della curva. La partita si giocò e si vinse, Platini racconterà in seguito che a loro, ai giocatori non fu mai detto quello che era accaduto veramente. "Posso confermare, quella sera nessuno prendeva una decisione, si alternavano verità e bugie, chiunque scappava dal proprio incarico. Per questo, la colpa è di tutti. La colpa è del lassismo, la colpa è della codardia, la colpa è dello scarico di responsabilità, la colpa è di alcuni imbecilli, la colpa è di alcuni violenti, la colpa è dell’ignoranza", dice Lanoye. E aggiunge: "Le curve delle due squadre erano contrapposte, ma accanto alla curva inglese, c’era una parte della tifoseria bianconera. Non il movimento ultras, ma semplicemente tifosi che avevano acquistato il biglietto, anche in Italia. Caricati dagli hooligans, che volevano lo scontro, i tifosi bianconeri provarono la fuga verso il campo ma la polizia caricò a propria volta. Fin quando il muro del settore Z non è crollato, tra chi è rimasto schiacciato e chi si è buttato nel vuoto per provare ad evitare la tragedia. Io ero molto giovane, ed ero presente. Non c’è una notte che non mi addormenti non pensandoci ancora". Alla celebrazione di metà maggio, qui allo stadio Re Baldovino, parteciperà anche Marc Tarabella, l’europarlamentare belga molto sensibile alle questioni legate al calcio: "E’ necessario stare vicino ai famigliari delle vittime, prima di tutto. Per noi quella dell’Heysel è una ferita ancora aperta, ci fa molto male. Ero presente anche alle celebrazioni cinque anni fa, fu tutto molto doloroso e commovente". Verranno in tanti qui, ci sarà il momento del canto degli inni, ci sarà il momento della deposizione delle corone di fiori, ci sarà il momento dei racconti di quella sera. La televisione di stato belga è già pronta, e con un giornalista molto in gamba, sta anche ultimando un reportage in Inghilterra e in Italia da mostrare a tutto il paese, ma a noi racconta le difficoltà che sta trovando nella raccolta delle dichiarazioni nel nostro paese: "E’ molto difficile far parlare gli ex giocatori di quella partita, ed è impossibile riuscire ad avere interviste programmate di comune accordo con le due società". Le associazioni delle vittime in Italia oggi sono rinate. Ognuna organizza i propri ritrovi, ognuna accoglie ricordi e dona abbracci. Ci sono anche i tifosi juventini che hanno aperto dei blog per stare insieme: alcuni passano, e lasciano il loro racconto, altri una poesia, altri ancora pensano ad una frase dolce per chi quella notte non riesce a togliersela dalla testa. Infine, ci sono quelli che postano foto e fiori. Ogni anno, sempre lo stesso mese, sempre lo stesso giorno. Così, da trent’anni esatti. C’è, anche, chi porta messaggi di pace allo stadio ogni domenica, nessun gesto estremo o disperato, solo il nome esposto su un piccolo drappo di stoffa, di uno dei presenti quella notte a Bruxelles. Poi, ci sono le singole iniziative portate avanti dai comuni: a Padova verrà inaugurata una mostra fotografica, a Bassano un torneo di calcio della categoria pulcini, a Cittadella una partita di beneficenza, a Torino ancora mostre fotografiche. Uno dei racconti più toccanti che si trovano in rete è quello di Matteo Lucii, a cui fu assegnato un biglietto del settore Z: "Ad un certo punto mi resi conto che stavo male che non respiravo più. Pensai di essere arrivato al capolinea. Feci appello a tutte le forze che mi erano rimaste e provai ad alzarmi nonostante il peso delle altre persone sopra. Alla fine ci sono riuscito. Come prima cosa pensai bene di uscire dallo stadio e cercare un telefono per avvisare a casa. Il mio primo pensiero fu quello, perché avevo perso pure la percezione del tempo. E invece quando io telefonai a casa erano le 19.40. Il collegamento con la Rai sarebbe iniziato soltanto cinque minuti dopo. La mia famiglia non si rendeva conto di quello che stavo raccontando. Capirono ben presto appena accesero la Tv. Così come fece tutta l’Italia. Non voglio immaginare l’angoscia di chi stava davanti alla Tv e aveva familiari o amici allo stadio". Gli 80 erano gli anni della Nintendo, della Perestrojka, della Guerra Fredda, delle Olimpiadi di Los Angeles boicottate, di Cernobyl, di Reagan come presidente degli Stati Uniti d’America, dei funerali di Berlinguer, ed erano gli anni della strage dell’Heysel. Del crollo di un settore che ha schiacciato bambini, uomini, ragazzi, tifosi, sotto il proprio peso, e sostenuto dall’ignoranza. Oggi fuori dallo stadio Re Baldovino di Bruxelles i ragazzi della periferia nord della capitale organizzano partite di cricket. Ci sono dei anche dei campi di calcio per bambini, dietro una recinzione di ferro, dove i tornei vengono giocati scrivendo su fogli di carta le squadre allestite nello stesso momento in cui centinaia di ragazzini si presentano sul posto. C’è anche un cantante rapper che viene a cantare per loro. Questo è il paese di Stromae, e tutti quelli che si avvicinano alla musica vorrebbero diventare come lui, un giorno. Il ragazzo è molto bravo con le sue frasi in rima agguerrite e secche. Racconta che canterà pure il giorno della cerimonia in ricordo delle vittime della strage. Fuori dallo stadio Re Baldovino di Bruxelles, lui ci abita. Il suo nome è come quello del quartiere, e della metropolitana più vicina. Siamo a 10 chilometri dalla gare central, qui si arriva solo con i mezzi pubblici. La fermata si chiama Heysel. Nessuno ha mai pensato di dargli un nome diverso.

4 maggio 2015

Fonte: Il Fatto Quotidiano

ARTICOLI STAMPA e WEB 4 MAGGIO 2015 

Juventus The Observer

Juventus hope cup run will honour memory of "forgotten" Heysel disaster victims

of Ed Vulliamy

Thirty years after a night that scarred football, when 39 people died moments before the Italian side took on Liverpool in the 1985 European Cup final, there are moves to in Turin to mark the loss.

Juventus Football Club of Turin - one of the world’s most prestigious sides, and an Italian national institution -  stands this week at a crossroads, epic even by the standards of its own illustrious history. A draw against Real Madrid on 13 May would see the team qualify for the European Cup final, which Juventus won on 29 May 1985 - the night 39 of its fans died when a wall collapsed at the aged Heysel Stadium in Brussels. The tragedy was triggered by Juventus supporters attempting to escape a violent charge by Liverpool supporters. By a twist of fate, if Juve qualify again, the final tie in Berlin will be played just two days short of the 30th anniversary of a football massacre that has been all but airbrushed from mainstream memory in Britain. On 29 May, Juventus will hold a commemorative mass at the church of the Grande Madre di Dio in Turin, modelled on the Pantheon. A statement by the club announcing the occasion is probably its strongest yet: "For too many years," it reads, "these 39 victims have been subject to scorn with the sole aim of attacking the black-and-white colours. This is a vile action that has no place in any stadium or sporting debate. This anniversary should also serve as a period of reflection, ensuring that such behaviour is not repeated". In March, Juventus refused to allow England’s Football Association to lay a wreath at its new stadium before a friendly between Italy and England, lest it detract from Juventus’s own plans. But behind the mass lie months of backstage planning and wrangling among followers of Juventus and the club, and 30 years of painful reckoning - and general failure to reckon - with what the title of a book by reporter Jean-Philippe Leclaire calls: Heysel: the Tragedy Juventus Tried to Forget. Juventus’s reference to "scorn" refers to the glee with which rivals in Italian football have taunted the club over the tragedy. In the minds of the victims’ relatives, that word scorn will apply also to two decades during which Liverpool - city, club and supporters - failed to formally apologise for what its fans had done. On the 20th anniversary in 2005, Bruno Guarini, who lost his son Alberto in the tragedy, said: "We’ve heard nothing from Liverpool or its supporters, no apology, no solidarity, nothing to say they did anything wrong". But that year, by a twist of fate, Juventus drew Liverpool in the month of the anniversary: militant groups of Liverpool fans organised a mosaic reading Amicizia - friendship - across the Kop, and an official delegation finally visited Turin. Liverpool captain Sami Hyypia joined his counterpart Alessandro del Piero to read out the names of the dead. Juventus’s announcement of the 29 May mass says it is the result of "a heartfelt and sincere dialogue with the Association for the Families of Heysel Victims", but thereby hangs a tale. Soon after the killings, a group of victims’ relatives was established in Arezzo by Otello Lorentini, whose son Roberto, a doctor, was killed while trying to administer first aid to other fans. The association had become a focal point for those who felt the club had done too little for the bereaved and wounded. The campaign for justice and memory was always championed by Juventus’s organised fans, the ultràs - who gathered in groups with names such as Viking or Drughi (from the Droogs of A Clockwork Orange) on their favoured terrace, the Curva Filadelfia. "We were," says one Drughi veteran, Salvatore, "always in the front line for truth and justice, to get the dead at Heysel honoured in the proper way". The club’s reticence changed dramatically in 2010 when Andrea Agnelli - nephew of the man whose name is synonymous with Juventus, the late Fiat boss Gianni Agnelli - took over as president. Agnelli presided over a moving 25th anniversary ceremony at which he said: "I was nine years old - I watched on television and saw the horror in my parents’ faces. I grew up that day, became mature". Agnelli ensured a beautiful monument at the new stadium of 39 falling stars to represent the dead, and at its opening in 2011 the words "In Memory" were picked out in fire across the pitch. "The atmosphere was transformed," says Beppe Franzo, one of the veteran fans’ leaders, who has written two books about the Curva and the legacy of Heysel. "The club was involved, the taboo lifted". "Juventus seemed finally to have made peace with Heysel," says Domenico Laudadio, designer and curator of the relatives’ association’s "virtual museum". For this month’s commemorations, Franzo and Laudadio set to work on projects more ambitious than the mass. One was a striking theatrical production designed by Laudadio, recited by actor Omar Rottoli. It envisaged strong imagery - Calvary, a "river of blood" - and a passage that squarely blames Liverpool fans and European football’s governing body Uefa for the massacre. Franzo had for two years laid plans for a day of collective memory in Turin, to include Laudadio’s text, which "would bring together everyone: fans, relatives and the Juventus club, as it should be. It was also to include our partisans of both extreme right and left, united by their feelings of antagonism. A commemoration from the Curva and the street that belonged to us all: every fan, every family, and Juventus". Neither plan came to fruition. Laudadio’s drama failed to win the club’s backing: "They totally modified the rhythm, form and words," he says. "The relatives’ association has decided not to accept the changed text". Otello Lorentini died last year, but his association was relaunched this January by his grandson Andrea Lorentini, who issued an impassioned plea from Arezzo: "The memories of Heysel, sadly, are solitary ones (I lost my own father there), and we’re happy every time anyone wants to share it with us. We thank Juventus, but we claim our role as guarantors of the memory… We’ll participate in the mass for the fallen; as our only shared [anniversary] moment with the club". Franzo approved of Juventus’s script changes, but counsels: "If we’re not united, leave it. We know who is to blame, we know who did it - now is the time for something more ambitious". His vision is that: "On one hand, there is the private memory of each of the families, to be respected. But we also need collective tribute, collective commemoration and collective memory, so that what happened can belong to the history of Juventus and all its fans, as well as the private memories of those who suffered loss". He seeks official sanction from Turin city council this week for a trip to Brussels to lay wreaths. "To lose your son in that way," says Guarini in Puglia, "killed by those people, is beyond sorrow. It is something time cannot cure. It leaves you dead in your heart".  A young fan unborn at the time, Alessandro Borghi, added: "Ironically, the families of 96 people in Liverpool know the feeling well. But still we’re mostly forgotten".

Saturday 9 May 2015

Source: Theguardian.com

ARTICOLI STAMPA e WEB 9 MAGGIO 2015 

Le famiglie italiane hanno combattuto nei tribunali. Un giornalista è stato vicino a loro

"Da soli per avere giustizia"

di Francesco Caremani

Ricordo ancora quella sera del 29 maggio 1985 e i giorni seguenti. Un ricordo violento, perché quello che accadde cambiò per sempre il mio essere ragazzo, tifoso, e ha cambiato anche il giornalista che sono diventato. L’Heysel è una cicatrice che fa male ancora oggi e che non se ne vuole andare, forse proprio perché in troppi hanno cercato di cancellarla, ma non c'è cura. Anzi, una ci sarebbe: una memoria condivisa che dovrebbe avere (ha) come assioma l'unica verità storica e processuale riconosciuta dall'Associazione fra i familiari delle vittime dell'Heysel, presieduta da Andrea Lorentini, che a Bruxelles perse il padre Roberto, giovane medico aretino medaglia d'argento al valore civile per essere morto mentre salvava un connazionale. "Abbiamo sconfitto l'Uefa, abbiamo fatto giurisprudenza, ma in troppi se la sono cavata" mi ha detto Otello Lorentini prima di soccombere sotto gli acciacchi della vecchiaia e morire lo scorso maggio. Otello era il padre di Roberto e il nonno di Andrea. Lui le udienze del processo di Bruxelles se l'è fatte tutte. Prendeva l'aereo da Roma e poi cercava i giornalisti per informarli di quanto stava accadendo. Un processo per il quale i familiari delle vittime italiane si sono autotassati. Otello Lorentini fondò la prima Associazione per avere giustizia di fronte a una strage in cui tutti volevano farla franca: gli hooligans inglesi come l'Uefa, le istituzioni sportive come la politica belga. La paura era che le 39 vittime fossero uccise una seconda volta dall'ignavia, spesso in malafede, di un Paese che preferisce rimuovere le tragedie. Soprattutto per questo Otello e gli altri hanno litigato spesso, seppure a distanza, con Giampiero Boniperti. Perché, come mi ha detto Antonio Conti (che ha perso la figlia Giuseppina, 17 anni), guardandomi negli occhi: "Sono contento che se ne parli ancora, ma il dolore non se ne va". In questi trent'anni non si è dimenticata solo la strage, ma anche la solitudine, la dignità e la forza con cui i familiari delle vittime sono andati avanti: "Mi hanno detto che m'avevano pagato il marito morto, che la macchina (che avevo anche prima) me l'ero comprata con quei soldi" ricorda Rosalina Vannini, vedova di Giancarlo Gonnelli. "Nessuno sa cosa ha significato andare avanti senza Giancarlo e con tutti i problemi che ha avuto nostra figlia Carla". Lei dell'Heysel non vuole ancora parlare. E allora, cosa ci resta di una battaglia condotta in solitudine da 32 famiglie italiane, fattesi forza nella figura di un uomo che aveva perso l'unico figlio per una partita di calcio ? Sicuramente c'è la condanna dell'Uefa, passata anch'essa sotto i tacchi di una certa inconsistenza giornalistica, che l'ha resa per sempre corresponsabile delle manifestazioni che organizza. Se gli stadi delle finali delle Coppe europee devono avere determinati requisiti di sicurezza (con biglietti nominali, dotati di microchip) non lo si deve certo all'evoluzione del calcio, bensì alla testardaggine di Otello Lorentini e allo choc di vedere tutti gli imputati assolti in Primo grado. Così il presidente dell'Associazione decise, insieme con gli altri familiari delle vittime italiane, di citare direttamente la Uefa, che è stata poi condannata in Appello e in Cassazione. A Hillsborough, Sheffield, il 15 aprile 1989, morirono 96 tifosi del Liverpool. E’ la strage che ha dato il via ai grandi cambiamenti che fanno della Premier League il campionato più sicuro dal punto di vista degli impianti. Disorganizzazione e inadeguatezza delle forze di polizia sono forse le cause più importanti, ma questo lo stabilirà l'inchiesta ancora in corso dopo 26 anni. Ecco, se avessero imparato la lezione del 29 maggio 1985, se avessero riflettuto invece di respingere le accuse e cercare di nascondere la vergogna dell'Heysel, forse Hillsborough sarebbe rimasto solo il nome di uno stadio. In Italia, se possibile, è andata anche peggio. Nel 1995, per il decennale, a Otello Lorentini promisero una puntata del Processo del Lunedì ad Arezzo, ma poi non se ne fece niente. Nel 2010 ci fu la prima messa della Juventus, che con la presidenza di Andrea Agnelli ha intrapreso, con difficoltà, un cammino verso i familiari delle vittime. Dietro, 25 anni di vuoto. "Ho ricevuto l'invito ma non andrò, ognuno ha la sua coscienza" mi disse Maria Teresa Dissegna, che all'Heysel ha perso il marito Mario Ronchi, uno dei tre interisti morti a Bruxelles. Abbandono, fastidio, oblio: questo hanno continuato a subire i familiari delle vittime e coloro che sono morti il 29 maggio 1985, insieme alle continue offese negli stadi italiani, quasi mai sanzionate: "In tutti questi anni la Procura federale non mi è sembrata cosi pronta e attenta" dice Andrea Lorentini. La memoria va allenata, perché non accada mai più. Lo dobbiamo a Otello Lorentini, Domenico Laudadio, Annamaria Licata, Claudio II Rosso, il Nucleo 1985, lo Juventus Club Supporters Juve 1897, il Comitato "Per non dimenticare Heysel" di Reggio Emilia, Andrea Lorentini e a tutti gli altri famigliari. Senza edulcorazioni, ipocrisie di parte e interessi economici. Anche per questo vado fiero della scritta che posso esibire sul mio libro "Heysel, le verità di una strage annunciata": "L'unico libro ufficialmente riconosciuto dall'Associazione familiari vittime Heysel". Chi ha ancora voglia di raccontare quello che è accaduto 30 anni fa, faccia i conti con le famiglie delle vittime. La storia dell'Heysel sono loro, nessuno si senta offeso.

10 maggio 2015

Fonte: Guerin Sportivo

ARTICOLI STAMPA e WEB 10 MAGGIO 2015 

Sette giorni di cattivi pensieri

di Gianni Mura

Trent’anni fa, l’Heysel. Dove ai cretini si sommarono i violenti, gli ubriachi, i disorganizzati. E fu una strage di innocenti, di persone che erano andate a Bruxelles per vedere una partita e si ritrovarono in una trincea di metallo e cemento, schiacciate dalla furia degli hooligans. Su quella notte sono freschi di stampa tre libri, che meritano tutti uno spazio nello scaffale del dolore. Il primo l’ha scritto Francesco Caremani: "Heysel, le verità di una strage annunciata" (ed. Bradipolibri, 227 pagine, 15 euro). Si basa in gran parte sulla testimonianza di Otello Lorentini, padre di Roberto, il medico morto mentre cercava di soccorrere gli altri. E sulla lunga battaglia legale che seguì quella tragica notte, il cui orrore è testimoniato dalle foto di Salvatore Giglio. Anche Otello era all’Heysel, e di un lutto privato seppe fare una battaglia civile. Se oggi gli stadi sono più sicuri è anche merito suo. È morto un anno fa. E nel libro denuncia insensibilità che s’aggiungono alle violenze: "I nostri familiari al momento dell’autopsia erano stati sezionati come maiali e neanche ricuciti. Questa storia è venuta fuori al processo. I medici belgi hanno dichiarato che non gli pagavano gli straordinari e che il governo italiano aveva fretta di riavere i corpi". Il secondo l’ha scritto Emilio Targia, giornalista romano: "Quella notte all’Heysel" (ed. Sperling&Kupfer, 175 pagine, 14.90 euro). Anche lui c’era, quella notte. Il suo è un racconto "da dentro", come quelli che ha raccolto da altri sopravvissuti. Il dolore, la rabbia, la paura, l’angoscia delle voci che rimbalzano: i morti sono sette, i morti sono venti. È un libro per non dimenticare. Perché senza memoria, per usare parole sue, saremmo luci spente. Il terzo libro è scritto a quattro mani: "Il giorno perduto" (ed. 66thand2nd, 329 pagine, 18 euro). Le mani sono di Gian Luca Favetto ed Anthony Cartwright, un italiano e un inglese. È un romanzo, è la storia di un viaggio a Bruxelles di Mich, juventino della Valchiusella, e di Christy, disoccupato di Liverpool. Un viaggio verso la felicità e la gloria che l’Heysel sembra promettere, una storia di destini incrociati scritta a montaggio alternato.

17 maggio 2015

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI STAMPA e WEB 17 MAGGIO 2015 

30 anni fa l'Heysel, quando la Coppa fu tragedia e dolore

Il 29 maggio 1985 39 tifosi della Juventus morirono prima della finale di Coppa Campioni col Liverpool.

TORINO - Alla gioia e alla trepidazione del popolo bianconero per la finale di Berlino si mescola il ricordo più brutto e doloroso: la tragedia dell'Heysel con le sue 39 vittime innocenti di cui proprio in questi giorni ricorre il trentennale. Tifosi juventini - 32 erano italiani - andati a Bruxelles con la speranza di festeggiare la prima Coppa dei Campioni bianconera e che invece trovarono una morte orribile nel settore Z dello stadio, travolti dalla furia degli hooligans inglesi ubriachi, schiacciati contro le balaustre o precipitati dalle gradinate, poco prima che iniziasse la finale Juve-Liverpool. Morti, però, anche per l'inadeguatezza dell'Heysel e dei servizi di sicurezza ed ordine pubblico. Un ricordo ancora oggi terribile per i parenti delle vittime, per i sopravvissuti, per chi aveva seguito le cariche degli hooligans, il caos e la disperazione dei tifosi che cercavano scampo dagli altri settori dell'Heysel o in tv. Una "Coppa maledetta" che la Juve aveva inseguito per 30 anni, sfuggita già due volte, nel '73 a Belgrado, dieci anni dopo ad Atene. Un trofeo che oggi molti protagonisti dell'epoca non sentono come un trofeo conquistato, ricordando che in pratica furono obbligati a giocare. Ma ci sono anche tifosi juventini che, al contrario, la considerano un premio alla memoria delle 39 vittime, allineate nelle stanze dello stadio mentre sul campo si consumava la partita più surreale nella storia del calcio europeo, vinta dalla Juventus con un calcio di rigore segnato da Platini. Una partita giocata con un intero spicchio dell'Heysel, senza più tifosi, transennato davanti alle macerie ed alle cose perse dai tifosi nella calca. "Non sapevamo cosa era davvero successo, avevamo avuto notizie di un morto, forse due, ma non potevamo immaginare una tragedia così grande", avrebbero detto poi i giocatori bianconeri. I neo campioni d'Europa avevano festeggiato sotto la curva dell'Heysel subito dopo il 90', ma il giorno dopo, al rientro a Torino, quando le notizie sulle tragedia erano diventate ufficiali e chiare nella loro drammaticità, ogni traccia di gioia era scomparsa dai loro volti. Sergio Brio, scendendo sulla scaletta dell'aereo, stringeva la Coppa, ma senza esultare. All'Heysel il club bianconero aveva consegnato al delegato Uefa Gunther Schneider la nota ufficiale spiegando perché aveva detto sì alla richiesta di giocare comunque: "La Juve accetta disciplinatamente, anche se con l'animo pieno di angoscia, la decisione dell'Uefa, comunicata al nostro presidente, di giocare la partita per motivi di ordine pubblico". Il presidente di allora, Giampiero Boniperti, non ha mai voluto riparlare di quella finale così dolorosa. Neppure per l'attuale massimo dirigente bianconero, Andrea Agnelli, è facile tornare sull'argomento: "Ho sempre fatto fatica a sentire mia quella Coppa - ha detto in occasione del venticinquennale dell'Heysel - anche se i giocatori mi hanno sempre detto che fu partita vera". E Marco Tardelli, in un'intervista alla Rai, qualche anno fa ha spiegato e chiesto scusa: "Era impossibile rifiutarsi di giocare, ma non dovevamo andare a festeggiare, l'abbiamo fatto e sinceramente chiedo scusa". Le vittime dell'Heysel saranno ricordate a Bruxelles con una cerimonia pubblica e a Torino in una messa alla Chiesa della Gran Madre di Dio, alle 19.30. "La giornata del 29 maggio - sottolinea la società bianconera - sarà dedicata al ricordo da parte di tutti i tesserati Juventus. Per troppi anni quelle 39 vittime - rimarca sul sito ufficiale - sono state oggetto di scherno finalizzato unicamente ad attaccare i colori bianconeri: un'azione vile che non dovrebbe trovare cittadinanza in nessuno stadio ed in nessun dibattito sportivo. Questo anniversario dovrà essere utile anche alla riflessione per evitare che simili comportamenti si ripetano".

23 maggio 2015

Fonte: Ansa.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 23 MAGGIO 2015 

Commemorazione

Heysel, 30 anni fa la tragedia nello stadio della morte

Genova - (Omissis Comunicato Ansa). Parla il superpoliziotto.

Sono stati la "stupidità umana degli hooligans e gli errori organizzativi e tattici" a provocare la "catastrofe" allo stadio dell’Heysel, il 29 maggio 1985. Il superpoliziotto Roland Vanreusel, allora commissario aggiunto incaricato dell’ordine pubblico per la finale della Coppa dei Campioni di calcio Juventus-Liverpool, in questi ultimi trent’anni si è trovato più volte a ripensare ai motivi di quell’inferno, con 39 morti - 33 gli italiani - e 600 feriti. Salito negli anni al vertice della polizia di Bruxelles, e da poco in pensione, Vanreusel traccia all’ANSA un’analisi lucida degli sbagli, che furono fatti da autorità belghe, Lega calcio e Uefa. Tutti fattori che concorsero al dramma. "Il primo errore fu la scelta dello stadio". Allora si chiamava Heysel, oggi Re Baldovino. Il poliziotto spiega: "Era vetusto. Si potevano staccare pezzi di cemento dalle gradinate. Le recinzioni, aggiunte tra il blocco Y e Z (dove avvenne la tragedia) avevano la forza di reti per pollai. Dopo 30 anni mi chiedo ancora come la Uefa possa aver accettato di tenere una partita in uno spazio così inadeguato". Il secondo sbaglio - evidenzia Vanreusel - "fu quello di dividere il servizio d’ordine pubblico all’interno dello stadio tra polizia (settori M,N,O) e gendarmeria (X,Y,Z). Non era mai stato fatto prima. La consuetudine era la polizia all’interno e la gendarmeria fuori. La decisione fu presa dal commissario di polizia Poels e dal generale Beernaert, su richiesta di Beernaert, che voleva visibilità. Questo assetto creò gravi problemi di coordinamento. Tra l’altro i transistor dei due corpi non erano in grado di comunicare tra loro, ed i telefoni cellulari all’epoca non esistevano". Il terzo errore secondo l’esponente delle forze dell’ordine, fu nella vendita dei biglietti dei settori Z e M. "In teoria avrebbero dovuto essere blocchi neutri, destinati ai belgi. Ma in Belgio c’è una grande comunità di italiani, da generazioni. Si poteva prevedere che avrebbero comprato i biglietti. Per questo il settore Z, vicino a quello Y dove erano gli hooligans, si riempì di tifosi juventini". A quello scenario, si aggiunse - dice Vanreusel - "un grave sbaglio tattico della gendarmeria, che nel corridoio tra i settori Y e Z lasciò solo cinque o sei gendarmi. Ci voleva più gente in quello spazio, dove hooligans e tifosi erano vicini. Ci volevano almeno 25-30 persone, come avevamo fatto noi dalla parte opposta". Il capitano della gendarmeria Johan Mahieu era al debutto per l’ordine pubblico allo stadio. Aveva dovuto sostituire all’ultimo minuto un collega che si era ammalato. Non aveva partecipato alle riunioni preparatorie. Quando iniziò la carica dei supporter del Liverpool contro quelli juventini Vareusel era a trecento metri circa. "Si sentivano le urla. Si vedevano le persone cadere, le une sulle altre, come in un effetto domino. Noi dovevamo bloccare i tifosi italiani, evitare che andassero dalla parte opposta". Poi iniziò la partita. Il commissario rimase "scioccato" nel vedere Michel Platini "esultare dopo aver segnato il goal". "Lui - sottolinea - sapeva che c’erano i morti". Mentre i soccorsi continuavano senza sosta, Vanreusel ricorda improvvisamente che anche suo figlio di 16 anni aveva un biglietto nel settore Z. "Ebbi una reazione da padre. Entrai nella tenda dove avevano portato le vittime. Cercai ovunque. Ma fortunatamente era riuscito ad andarsene" prima di quell’apocalisse. Il ministro dell’Interno belga Ferdinand Nothomb non volle dare le sue dimissioni "Su questo non commento. Sono un poliziotto. Non faccio politica".

La Partita per ricordare.

Squadre italiane, inglesi e belghe saranno in campo il 30 maggio per ricordare i morti della finale di Coppa Campioni di 30 anni fa. Il Memorial Heysel si svolgerà in scena allo Stade Vercauteren di Anderlecht, quartiere della capitale belga, ed è organizzato dal Pd di Bruxelles con il sostegno del locale Partito socialista rappresentato dal sindaco di Anderlecht Eric Tomas, dalla deputata federale Isabelle Emmery e dall’eurodeputato Marc Tarabella. "Mi ricordo", racconta proprio l’eurodeputato belga di origini italiane, "di un padre che aveva offerto a suo figlio il biglietto per festeggiare assieme allo stadio i 10 anni. Nessuno dei due è tornato vivo da quello che doveva essere un momento di festa ed è invece diventato una carneficina per la stupidità di un pugno di supporter idioti".

Le parole di Marco Tardelli.

"Quella notte un gruppo di selvaggi mise in croce decine di poveri cristi, per questo non ho mai voluto sentir parlare di quella coppa: io la vivo come se avessimo perso, e d’altra parte fu una sconfitta per tutti". Marco Tardelli urla ancora, e stavolta non per un gol mondiale. Trenta anni dopo la tragedia dell’Heysel, racconta all’Ansa: "il dolore e la tristezza restano fortissimi, come se tutto fosse avvenuto ieri. Insisto: quella Coppa dei Campioni non l’ha vinta nessuno, piuttosto in Belgio è stata vissuta una delle peggiori pagine della storia del calcio". Ma anche per i calciatori ? Si disse che non sapevano fino in fondo la verità ? "Certo, anche per noi giocatori: eravamo lì e come potevamo non entrarci in quella brutta storia ? Comunque sapevamo che c’era stato un morto, siamo anche usciti a parlare con i tifosi, avevamo visto qualcosa. Anche se quello che è accaduto realmente, con le vere dimensioni della tragedia, io l’ho saputo il giorno dopo, in Messico, dov’ero volato con la Nazionale. Le immagini del vero dramma le ho viste lì. Quando la tv messicana ha mostrato quei corpi per terra, mi sono sentito male di nuovo: sembravano morti di guerra". Al tempo si discusse molto sull’opportunità di giocarla, quella finale. "Non è che prima della partita non sapessimo proprio nulla, dunque certo che ho pensato che sarebbe stato meglio non giocare: ma questa decisione non dipendeva da noi, questa è la semplice verità". Flash rimasti impressi nella memoria, Tardelli ne ha molti. "Ma la faccia terrorizzata di un padre con un bambino sotto choc in braccio, entrambi riusciti a scappare alla furia degli hooligans ed approdati chissà come negli spogliatoi, quelli non li dimenticherò mai". "Con i parenti delle vittime - prosegue Tardelli - invece non ho mantenuto contatti, non ne ho conosciuti: ma i nostri tifosi li avevo visti arrivando allo stadio, avevano volti dolci e felici, li porto tutti dentro di me". I tifosi inglesi, invece, "Ci fecero un’impressione pessima, al contrario dei giocatori, che erano a loro volta sconvolti. Grobbelaar, il portiere sudafricano del Liverpool, venne sul nostro pullman a chiedere scusa alla fine della partita. Ma dopo era tutto inutile, quella tragedia bisognava prevenirla l’errore enorme lo commisero le autorità belghe: non avevano capito il problema, le strutture dello stadio non erano adeguate, non si potevano mettere nella stessa curva con i tifosi italiani gli hooligans, che in quel periodo erano famigerati per la loro bestialità. Ora - conclude Tardelli - restano solo le lacrime. E una coppa inutile, perché nessuno l’ha vinta".

Le parole di Paolo Rossi.

"Dentro di noi sapevamo che qualcosa di grave era successo ma prima della partita nessuno ci diede informazioni precise. Ci dissero solo: andate in campo e giocate. Dopo abbiamo saputo che in 39 erano morti...". Paolo Rossi non scorderà mai la tragica notte dell’Heysel. "Io quei corpi, in fila fuori dallo stadio coperti dai teli, li ho visti" - ricorda con l’Ansa il centravanti della Juventus. In questi giorni, il capocannoniere di Spagna ‘82 ha ricevuto chiamate dalle tv di mezza Europa per ricordare i fatti legati alla finale di Coppa dei campioni del 1985 tra i bianconeri, che la vinsero, e il Liverpool. "È bene che se ne parli - dice Paolo Rossi - perché quella sera ha fatto da spartiacque, ha aperto gli occhi a tutti. Anche se non ci sarebbero dovuti volere 39 morti (32 italiani) per capire che certi stadi non erano adeguati". "Ci fecero rimanere chiusi negli spogliatoi - ricorda ancora Rossi - fino all’ultimo momento. C’erano delle voci che giravano su quale fosse la situazione ma nessuno ci disse cosa era veramente accaduto. Anche perché altrimenti avremmo potuto dire la nostra, fare qualcosa". "La partita - sottolinea il centravanti bianconero - si giocò in un clima surreale. Con un occhio al settore Z, vuoto, dello stadio. Anche l’esultanza dopo il gol e l’avere sollevato la Coppa festeggiando furono legate al fatto di non sapere con precisione quanto era successo". Dei 39 morti i bianconeri furono informati nel dopo partita, sull’autobus. Poi quell’immagine dei corpi allineati che Paolo Rossi non dimenticherà mai. "Non si può morire - sottolinea oggi - in maniera così banale, per una partita di calcio... E’ un’assurdità". Per quello che oggi è un affermato imprenditore e commentatore tv, quella con gli inglesi fu l’ultima partita con la Juve. "Il giorno dopo - dice - io e alcuni compagni partimmo direttamente da Bruxelles per il Messico per un ritiro con la nazionale. Senza nemmeno passare da Torino". Dalla notte dell’Heysel secondo Paolo Rossi molte cose sono cambiate per la sicurezza negli stadi. "Ormai - sostiene - gli impianti sono adeguati e questo è fondamentale. Mi sembra però assurdo che servano ogni volta 3 mila agenti per garantire la sicurezza di chi assiste alle partite. Evidentemente - conclude Paolo Rossi - non siamo ancora figli di una cultura sportiva così forte...".

L’ Associazione vittime dell’Heysel.

Ricordare per "allenare la memoria" e "non essere dimenticati". Fabio Landini, 53 anni, è il nipote di Gioacchino Landini, torinese, una delle 39 vittime della strage dello stadio Heysel di Bruxelles. Suo zio ("il fratello di mio papà") era lì quella maledetta sera di trent’anni fa a tifare Juve nella finale della Coppa dei Campioni contro il Liverpool. A distanza di tre decenni la tragedia è ancora ben presente nella sua mente. "Come familiari viviamo ancora il ricordo e ci sentiamo abbastanza soli - dice. A parte i tifosi juventini che ci sono stati sempre vicini, in generale siamo ancora abbastanza lontano da avere una condivisione comune con le istituzioni e lo sport in generale". A gennaio è rinata, per questo, l’ "Associazione fra i familiari delle vittime dell’Heysel", grazie all’impegno di Andrea Lorentini, figlio di Roberto, medico aretino morto a Bruxelles nel tentativo di salvare un bambino. "Con l’avvento alla presidenza di Andrea Agnelli, le cose sono migliorate, la Juventus come società ci è stata vicina con la messa in suffragio, ci ha riconosciuto come associazione. Ma in generale siamo ancora un po’ soli". Il percorso di questi trent’anni non è stato semplice. La missione è chiara: "Il nostro impegno è fare informazione e allenare la memoria verso chi ancora oggi inneggia contro morti dell’Heysel e di Superga e non sa esattamente che cosa è successo. E lo fa perché si trova in mezzo a un gruppo e grida cose senza senso". Landini è rimasto un tifoso della Juve e un appassionato di calcio, "lo seguo ma non vado più allo stadio". E ricorda come ogni volta che si vedono scene di violenza "è un dolore in più". "Anche se - rileva - oggi fortunatamente ci sono condizioni diverse da trent’anni fa. A Bruxelles fu giocata una partita senza sicurezza, in uno stadio fatiscente, dove probabilmente i controlli fatti non erano stati regolari". Tra pochi giorni la Juve si giocherà un’altra volta la Coppa dei campioni, ora Champions League. "È una coincidenza che proprio quest’anno la squadra sia tornata in finale, speriamo sia buona per noi - afferma Landini. Ha un significato particolare anche perché la coppa vinta all’Heysel non la sentiamo nostra".

23 maggio 2015

Fonte: Ilsecoloxix.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 23 MAGGIO 2015 

Heysel, la "staffetta della memoria" da nonno a nipote

Andrea Lorentini aveva tre anni quando il padre Roberto morì nello stadio belga. Il nonno Otello fondò l'Associazione familiari delle vittime e la sua lotta portò alla sentenza che punì l'Uefa e a stadi più sicuri. Ora il nipote rilancia la battaglia per la giustizia.

AREZZO - Quando suo padre Roberto Lorentini perse la vita all'Heysel, Andrea aveva da poco compiuto tre anni. Di lui oggi non ha che pochi flash, ma in cuore serba tutta la determinazione  e la generosità di quel giovane medico aretino che non esitò a tornare indietro per salvare un bambino, a costo della sua vita. Per fondare, anzi rifondare l'Associazione familiari vittime dell'Heysel, Andrea è partito da lì e dalla forza di suo nonno Otello che allo stadio c'era e vide morire il suo unico figlio. Attraverso l'Associazione, Andrea porta avanti il ricordo di quella tragedia "che non è avvenuta a caso" e lo fa nel rispetto della verità perché - dice - "non c'è memoria senza verità". Oggi Andrea Lorentini ha 33 anni, vive nella stessa casa di papà Roberto e nonno Otello, è sposato da poco con Elisa, ha una laurea in scienze della comunicazione e una professione, quella di giornalista, che lo ha spinto a seguire le orme del nonno. "Otello è scomparso lo scorso anno a 91 anni. Quando perse suo figlio ne aveva 61 ed era andato in pensione da cinque mesi per occuparsi insieme a mia nonna di me e mio fratello Stefano, visto che mia madre Arianna era laureanda in medicina e aveva ovviamente bisogno di sostegno. Dal giorno della tragedia dell'Heysel - racconta Andrea Lorentini - non ha mai smesso di lottare, di cercare giustizia non solo per suo figlio ma per tutte le 39 vittime. Per affrontare il processo e costituirsi parte civile aveva bisogno però di trovare forza in un'associazione che fondò di lì a poco". "Nei primi anni la sua fu una sorta di battaglia contro i mulini a vento, nessuno ascoltava, nessuno sentiva. Dopo la prima sentenza che assolse la Uefa, nonno Otello non si perse d'animo e si batté per il secondo grado di giudizio. Faceva tanti viaggi a Bruxelles insieme ad avvocati di Arezzo che lo seguivano e che tutelavano l'associazione attraverso il legale italobelga Daniel Vedovatto. Si deve alla sua forza - dice Andrea con orgoglio - se la storica sentenza del 1991, condannando l'Uefa, ha scritto una pagina che fa tutt'ora giurisprudenza e che obbliga la stessa Uefa a scegliere stadi e standard di sicurezza elevati dal momento che l'ha dichiarata colpevole per quanto accadde all'Heysel. Mio nonno ha dato sicuramente un grande contributo affinché la violenza negli stadi regredisse in alcuni casi fino a sparire totalmente". Nel 1992 l'Associazione si estingue ma Otello Lorentini non si ferma e fonda il Comitato contro la violenza nello sport Lorentini Conti (il cognome di Giuseppina l'altra vittima aretina dell'Heysel): "E' frutto del lavoro di questo comitato l'amichevole nel 2005 tra le formazioni primavera di Juventus e Liverpool, in quella della Juve c'erano Marchisio e Giovinco destinati poi ad altre platee". Subito dopo l'attività si ferma e, a gennaio (NdR: maggio 2014) di quest'anno, quando Otello scompare, Andrea Lorentini decide di fondare l'Associazione vittime dell'Heysel. "Con la morte di mio nonno non volevo che il ricordo scomparisse, ho fondato l'Associazione per difendere la memoria, portare avanti i suoi principi e promuovere iniziative per diffondere la cultura sportiva. Il 29 maggio saremo a Torino per la messa che condivideremo con la Juventus. Avevamo pensato anche ad un monologo che ricostruisse con esattezza i fatti ma non ci siamo trovati d'accordo con la società su un punto: per la Juventus l'importante è ricordare, per l'Associazione che rappresento è raccontare la verità, senza imbarazzi perché alla fine la Juventus è vittima essa stessa di negligenze e pecche di Uefa e organizzazione belga. Il disgelo con la società è avvenuto nel 2010 con Andrea Agnelli, con il quale mi sono incontrato più volte. Spero che il dialogo possa proseguire proprio sul desiderio di raccontare la verità che non condanna nessuno se non le coscienze degli uomini che quella sera, con le loro pesanti negligenze hanno, per contro condannato, a morte 39 persone".

23 maggio 2015

Fonte: Iltirreno.gelocal.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 23 MAGGIO 2015 

Juve, il ricordo dell’Heysel: tutto lo Stadium commosso

di Guido Vaciago

Al minuto 39 della partita con il Napoli il ricordo della tragedia di Bruxelles, di cui ricorreranno i 30 anni il prossimo 29 maggio.

TORINO - Minuto 39 del primo tempo, lo Stadium si fa silente per un attimo e in curva Sud compare un enorme striscione: "+39 più rispetto" e intorno al telo nero i tifosi alzano ognuno un cartello diverso. Sopra ci sono i nomi delle 39 vittime dell’Heysel, la tragedia di cui ricorreranno i 30 anni il prossimo 29 maggio. Lo Stadium legge, capisce, si alza in piedi e prorompe in un applauso che diventa standing ovation. Si unisce anche Andrea Agnelli, inquadrato in tribuna, quasi commosso. L’unico neo: il fatto che poco prima del commovente ricordo, la stessa curva fosse impegnata in cori altrettanto beceri. RISPETTO - Trent’anni fa, prima della finale di Coppa Campioni fra Juventus e Liverpool, a causa dell’assalto dei tifosi inglesi morivano 39 tifosi, vittime dello schiacciamento e del crollo di un muretto. Una delle più grandi tragedie del mondo del calcio e una delle più assurde, provocata dalla clamorosa carenza dell’organizzazione. A distanza di trent’anni, i morti dell’Heysel sono ancora oggetto di cori idioti e beceri. Rispetto è la parola adatta e oggi era scritta piuttosto in grande.

23 maggio 2015

Fonte: Tuttosport.com

ARTICOLI STAMPA e WEB 23 MAGGIO 2015 

Juve: festa scudetto, ricordo dell'Heysel e la vergogna dei soliti cori

di Giovanni Capuano

Emozione e lacrime allo Stadium: celebrate le 39 vittime della finale di Bruxelles. Insulti ai napoletani: rischio squalifica ?

Juventus-Napoli è stata anche la giornata della festa per il popolo bianconero che ha celebrato la conquista dello scudetto e della Coppa Italia. In campo anche i figli dei giocatori prima della cerimonia di consegna dei trofei. C'è stata anche commozione nel ricordo delle 39 vittime dell'Heysel: l'anniversario cade il prossimo 29 maggio (trentennale) e i tifosi hanno colorato lo stadio con i nomi dei morti di Bruxelles al minuto numero 39 del primo tempo. Peccato che tutto sia stato preceduto dai soliti cori contro i napoletani inneggianti a Vesuvio e colera. La Curva Sud, già aperta in attesa di sentenza d'appello per la doppia squalifica dopo i fatti del derby di Torino, rischia un nuovo stop ?

23 maggio 2015

Fonte: Panorama.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 23 MAGGIO 2015 

Calcio. Trent’anni dopo

La curva Scirea ricorda le vittime juventine dell’Heysel

di Andrea Cascioli

Migliaia di cartoncini innalzati al cielo, sullo sfondo bianco i nomi delle vittime della strage dell’Heysel. Trentanove, come il minuto della sfida Juventus-Napoli che la curva Scirea ha atteso per onorare la memoria degli "angeli di Bruxelles". Nel primo anello campeggia il copricurva "+39 Rispetto", una risposta agli ignobili "-39" che da trent’anni accolgono i tifosi bianconeri in molti stadi d’Italia. Al secondo anello, in balaustra, lo striscione "Nessuno muore veramente se vive nel cuore di chi resta, per sempre". Il cuore della tifoseria juventina ha voluto commemorare a modo suo il trentesimo anniversario della tragedia che il 29 maggio 1985 ha cambiato il volto del calcio. Un anniversario non immune dalle polemiche, a cominciare da quella che ha riguardato la mancata messa in scena dello spettacolo teatrale promosso dall’Associazione familiari delle vittime: il monologo, ideato dal "custode" di salamemoriaheysel.it Domenico Laudadio e dall’attore e interprete del testo Omar Rottoli, affrontava anche gli aspetti più controversi della serata maledetta, sottolineando gli errori delle autorità belghe e della Uefa insieme alle responsabilità degli hooligans inglesi. Il copione, nonostante le revisioni già apportate, è stato però modificato ulteriormente dal gruppo di lavoro scelto dalla società, a detta dell’Associazione "stravolgendone non soltanto i contenuti, ma omettendo citazioni e riferimenti chiari alle responsabilità sui fatti e sulle verità storiche e processuali". L’Associazione familiari delle vittime dell’Heysel ha deciso all’unanimità di non accettare questo nuovo testo. L’unico momento condiviso tra la società e i tifosi resterà quindi la funzione religiosa prevista per venerdì prossimo alla Gran Madre di Torino. Spenta l’eco di ogni incomprensione, la comunità bianconera tornerà a raccogliersi attorno a quei trentanove nomi che nessuna questione di opportunità può indurre a dimenticare.

23 maggio 2015

Fonte: Barbadillo.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 23 MAGGIO 2015 

COMMOVENTE, Al 39'

Heysel, 39 cuori in più battono in curva Sud

TORINO - Venerdì ricorrerà il trentennale della tragedia dell'Heysel e nel giorno della festa scudetto allo Stadium la curva Sud ha voluto ricordare le 39 vittime di quella notte assurda, quando la finale di Coppa dei Campioni fra Juve e Liverpool si trasfigurò in un evento di sangue e dolore. Succede tutto al 39' (minuto non casuale) del primo tempo: d'improvviso nel tempio bianconero cala il silenzio, mentre il settore degli ultrà più caldi s'organizza per l'evento nell'evento. Bastano uno striscione, un vessillo gigante e tanti cartoncini: "Nessuno muore veramente se vive nel cuore di chi resta per sempre" nel primo; "+39 rispetto" nel secondo; nomi e cognomi dei morti di Bruxelles nei terzi. Tutto straordinariamente toccante, perché in quella curva battono 39 cuori in più, il cui ricordo rimarrà per sempre, in compagnia di un ministriscione che fa il giro della Sud: quello che ricorda i "39 angeli sempre presenti". Fa strano, poi, che dal medesimo settore (tenuto aperto in attesa che si decida sui fattacci del derby) siano partiti cori anti-napoletani, che citano Vesuvio, colera e termini consimili. Lo sfottò spinto, sulle note de "’O surdato 'nnammurato", appartiene a un altro film.

24 maggio 2015

Fonte: Tuttosport

ARTICOLI STAMPA e WEB 24 MAGGIO 2015 

Un brivido lungo la schiena dei quarantamila

Come riporta la Gazzetta dello Sport, il pubblico bianconero ieri ha onorato le 39 vittime dell'Heysel. Al minuto 39 lo Stadium ha smesso i panni della festa e indossato il nero del lutto nel trentennale della tragedia dell’Heysel. Un brivido lungo la schiena dei 40 mila, tutti in piedi quando in curva Sud è apparsa la scritta "Nessuno muore veramente se resta nel cuore di chi resta, per sempre... rispetto, +39". Nelle mani dei tifosi, su cartelli esposti, i nomi dei 39 tifosi deceduti nella curva Z a Bruxelles, travolti dalla furia degli hooligans inglesi e dalla pessima gestione delle forze dell’ordine nel pre-partita contro il Liverpool. Il 29 maggio saranno trascorsi trent’anni, una ferita mai rimarginata, come le polemiche per quella gara comunque giocata e vinta con un rigore di Platini. Una coppa "maledetta" che la Juve aveva inseguito per 30 anni, sfuggita già due volte, nel 1973 a Belgrado e dieci anni dopo ad Atene. Trent’anni dopo, da Bruxelles a Berlino, la Juve vuole chiudere un ciclo tornando a una vittoria netta, che avrebbe il sapore del trionfo, che varrebbe il triplete, e contro uno squadrone infarcito di fenomeni come il Barcellona".

24 maggio 2015

Fonte: Tuttojuve.com

ARTICOLI STAMPA e WEB 24 MAGGIO 2015 

39 e 93

di Nereo Ferlat

Nella festa scudetto odierna, con la Juve che ha battuto il Napoli allo Stadium, due episodi da libro Cuore hanno reso il cielo ancora più blu. Al minuto 39, con la leggera brezza che velava gli spalti, i nostri cuori e le lacrime e gli applausi hanno accompagnato il ricordo dei nostri angeli. Lo striscione srotolato e la bandiera con il numero 39 ed il Rispetto per chi ci ha lasciato in quella serata di tregenda e per chi è ancora qui ed ha il diritto di non veder infangata la memoria da beceri cori e vigliacchi striscioni, ed i cartelli esibiti in memoria con i nomi dei nostri angeli, gridati e rimbombanti nello stadio, questo abbiamo esportato nel mondo, di questo dobbiamo essere orgogliosi. Le immagini hanno varcato i confini, quella Curva che si voleva chiudere ha dato una lezione di civiltà. Grazie ragazzi ! L’altro minuto, il 93 quello in cui un giocatore colpisce vigliaccamente con una testata l’avversario e, danno provocato, viene punito con il rosso ed il rigore, ha mostrato l’altruismo e lo spirito di gruppo della Juventus, nel far tirare la massima punizione a Simone Pepe, che dopo tre anni di calvario, ha partecipato da protagonista alla festa con il sigillo finale. 39 e 93, comunque li girate, saranno sempre numeri nella nostra memoria !

24 maggio 2015

Fonte: Juwelcome.com

ARTICOLI STAMPA e WEB 24 MAGGIO 2015 

Juventus, Buffon:

"Heysel tragedia che sentiamo fortemente. Da ricordare sempre"

Il capitano bianconero ha commentato le celebrazioni avvenute sugli spalti.

TORINO - Gigi Buffon ha rilasciati alcune dichiarazioni a 'JTV' nel corso delle celebrazioni per lo Scudetto della Juventus. Queste le sue parole sulla commemorazione per la tragedia dell'Heysel avvenuta sugli spalti: "Queste celebrazioni le sentiamo tutti fortemente, come popolo juventino, anche giocatori e società. E' una tragedia che ha tolto alla Juventus l'affetto e l'amore di altri tifosi. E' doveroso da parte di tutti ricordarli sempre". M.T.

24 maggio 2015

Fonte: Calciomercato.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 24 MAGGIO 2015 

Trent'anni fa la tragedia Heysel

di Roberto Perrone

Il massacro ha cambiato l'Europa. Stadi sicuri, hooligan cancellati. Ma in Italia rimangono i problemi.  Senza colpevoli. Nessuno ha pagato per la gravità di ciò che è accaduto, soprattutto gli organizzatori belgi.

"Le football assassiné". Il titolo migliore, il 30 maggio, lo fa l’Équipe. Juventus-Liverpool, finale di Coppa dei Campioni, 29 maggio 1985, la tragedia che cambia il calcio europeo, arriva improvvisa come un animale feroce che attacca, le fauci spalancate. Così, a uomini, donne e bambini del settore Z, devono apparire gli hooligan del Liverpool, a cui sono mischiati i famigerati "headhunters", cacciatori di teste del Chelsea. Alle 19.08 lo stadio maledetto, l’Heysel di Bruxelles, ora Re Baldovino, inghiotte 39 vite. Raccontarlo, a trent’anni di distanza, ha ancora senso non tanto per ricordare, quanto per ragionare. Ad esempio sulla contraddizione tra chiedere rispetto per i morti e insultare i vivi. La strage ha molti padri. "Sono la stupidità umana degli hooligan e gli errori organizzativi e tattici a provocare la catastrofe" racconta Roland Vanreusel, allora commissario aggiunto incaricato per l’ordine pubblico. Già alla vigilia appare chiaro che lo stadio è fatiscente e la disorganizzazione sovrana. Non ci sono i cartelli precisi e colorati che i tifosi troveranno a Berlino. I belgi e l’Uefa, prima degli inglesi ebbri, preparano il disastro. L’Heysel è inadatto. Ai tifosi bianconeri vengono venduti i biglietti del settore Z, agli inglesi quelli adiacenti X e Y. Il confine ? Reti posticce e pochi gendarmi. I biglietti sono uguali, su quelli degli inglesi c’è un segno sopra la Z. Su quelli degli italiani, la cancellatura è su XY. Fa caldo, la birra (quella belga è buona, niente da dire) è un fiume in piena nel sangue delle bestie venite dalle sponde povere e depresse della Mersey. Accoltellati un anno prima dai tifosi (?) giallorossi a Roma, meditano vendetta. Attaccano, i cocci di bottiglia come armi, le facce stravolte. Le retine vengono travolte, i gendarmi spariscono salvo manifestarsi a bordo campo, a manganellare gli juventini che cercano di scappare verso il prato. Il resto è noto. I tifosi inglesi non ammazzano, direttamente, nessuno: 39 persone finiscono schiacciate da altre persone e dal crollo di un muro. I sopravvissuti si presentano, anche con i vestiti insanguinati, in tribuna stampa chiedendo di telefonare per rassicurare i parenti. Finita la strage comincia il circo dello scaricabarile. Alla fine non paga nessuno, certo non con pene adeguate alla gravità di quanto accaduto. A battersi, ostinato ma mai aggressivo, resta un uomo solo, Otello Lorentini di Arezzo. Otello ha perso un figlio, Roberto, nel massacro. Medico, è in salvo ma tornato indietro per soccorrere i feriti. Otello è solo, in aula, nel 1990 quando la corte condanna l’Uefa. Siamo a ridosso delle "notti magiche" del Mondiale ’90. Cinque anni e la strage è già un peso. Show must go on. Le squadre inglesi, cacciate dalle coppe, sono già tornate, il Liverpool lo farà nella stagione 1991-1992 e la prima italiana ad affrontarlo sarà il Genoa. Quel giorno, a Bruxelles, si stabilisce un precedente. L’Uefa è responsabile per tutte le manifestazioni che organizza. Non per l’Heysel, ma per i soldi, nasce la Champions League portando controlli, sicurezza, organizzazione, obblighi. Il calcio europeo impara dai propri errori. Gli inglesi avviano riforme concrete che diventano incisive dopo Hillsborough, 15 aprile 1989, 96 morti, ancora il Liverpool di mezzo. È la semifinale di FA Cup con il Nottingham Forrest. Anche qui vittime schiacciate da quelli che spingono cercando di entrare senza biglietto. Gli hooligan spariscono. Si manifestano ancora in Europa, gli ultimi danni a Charleroi, a Euro 2000. L’Inghilterra, avvisata, interviene nuovamente. Secondo la controinformazione dei nostri ultrà non è vero che gli hooligan non esistano più. Sarà, ma negli stadi non ci sono. Gli unici a non cambiare siamo noi. Dall’Heysel in poi abbiamo avuto tragedie, morti, e leggi speciali, ma restiamo sull’orlo dell’abisso. Nel 2014, nei giorni della finale di Coppa Italia, Napoli-Fiorentina, con l’ultima vittima "calcistica", Ciro Esposito, a 89 anni se ne va Otello Lorentini. Suo nipote Andrea, 3 anni nel 1985, qualche anno prima aveva detto: "Allora noi eravamo le vittime e forse non ci siamo sentiti in dovere di cambiare". Quando la Juventus torna a incrociare il Liverpool, nel 2005, a Torino un piccolo esercito circonda i tifosi dei Reds. Non perché tema qualcosa da loro, ma per proteggerli. Trent’anni dopo gli hooligan siamo noi.

25 maggio 2015

Fonte: Corriere della Sera

ARTICOLI STAMPA e WEB 25 MAGGIO 2015 

+39 rispetto (anche per i vivi)

di Ivan Zazzaroni

Rispetto per i morti, e un po’ anche per i vivi. Lo spettacolo allestito dalla Curva Sud dello Juventus Stadium sabato scorso è stato fantastico, indimenticabile; i cori che l’hanno preceduto e gli hanno fatto seguito ci hanno però riportato sulla terra delle piccole miserie quotidiane, nel mondo opaco dell’odio, non della rivalità - lo stadio come luogo della caduta. Rispetto. Quello dovuto alle 39 vittime della tragedia che cambiò la storia del calcio, juventini e non solo, uccisi dalle negligenze degli organizzatori, da un impianto fatiscente, un po’ da tutti ma non dal destino. Rispetto per chi non ha mai ottenuto giustizia, per chi è stato dimenticato, nessuno ha pagato, per le famiglie e gli amici di chi nel settore Z ha lasciato la vita; famiglie e amici condannati all’ergastolo del dolore. In questi giorni sono usciti almeno quattro libri sulla partita maledetta del 29 maggio 1985 (io ero lì, spiazzato e angosciato come tutti); numerosissimi i ricordi, le ricostruzioni, gli inviti alla non-violenza nello sport, nel calcio. E allora rispetto per i morti, ma anche per i vivi: per l’avversario, anche se lo si sente distante, nemico. Macchiare una "coreografia" come quella della Sud con i cori anti-Napoli è stato un autentico sacrilegio. I 39 dell’Heysel dovrebbero essere rispettati ogni domenica, ogni giorno, e soltanto chi in questi trent’anni ha esposto negli stadi italiani striscioni offensivi nei loro confronti dovrebbe pagare con una porzione di dolore.

25 maggio 2015

Fonte: Gqitalia.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 25 MAGGIO 2015 

Heysel 30 anni dopo: cosa è cambiato ?

di Marco Pasotti

Il 29 Maggio 1985 la strage prima di Juve-Liverpool: 30 anni di battaglie per verità e giustizia.

Ci sono eventi, spesso anche tragici, dai quali si può imparare qualcosa. Per migliorare, perché non ricapitino. Purtroppo non è stato il caso dell'Heysel. Il trentennale della strage di Bruxelles, dove persero atrocemente la vita 39 persone di cui 32 italiane, è l'occasione per ricordare le vittime ma anche per rimarcare, con grande amarezza, come il calcio non abbia tratto insegnamento da questa immane tragedia. Non quello italiano, dove ancora oggi vengono segnalati e puniti cori e striscioni di varia natura, ma non quelli che calpestano la memoria delle vittime dell'Heysel. Non quello belga, che ha ribattezzato lo stadio "Re Baldovino", in un goffo e maldestro tentativo di cancellare la memoria di quella serata. E nemmeno quello inglese, dove per riformare stadi e leggi dovettero morire altre 96 persone, nella strage di Sheffield del 1989. I fatti. È mercoledì 29 maggio 1985: allo stadio Heysel di Bruxelles è in programma la finale di Coppa dei Campioni tra i detentori del Liverpool e la Juventus. I bianconeri cercavano l'unico trofeo che ancora mancava al loro palmares, con oltre 30.000 tifosi al seguito. Giunti allo stadio, iniziarono ad affiorare le gravissime pecche dell'organizzazione e delle autorità belghe. Nella tribuna "Z", con le gradinate in condizioni fatiscenti, furono fatti entrare tifosi di entrambe le squadre, separati soltanto da una bassa rete metallica. Circa un'ora prima dell'inizio della partita, gli "hooligans" inglesi iniziarono a muoversi a ondate verso i sostenitori avversari, sfondando la rete e costringendoli ad arretrare e ad ammassarsi contro il muretto di recinzione. Il muro ad un certo punto crollò e molte persone rimasero schiacciate e calpestate dalla folla alla disperata ricerca di una via d'uscita. 39 morti ed oltre 600 feriti. Un bollettino di guerra. Al pari di Enrico Ameri alla radio, un attonito Bruno Pizzul ebbe l'ingrato compito di raccontare agli italiani ciò che stava avvenendo, nonché di commentare, con la morte nel cuore, la partita. Sì, perché Juventus-Liverpool si giocò. Pizzul promise agli italiani un commento "il più asettico ed impersonale possibile". The show must go on. La Juve vince 1-0 ed è Campione d'Europa per la prima volta. A qualcuno importa ? Evidentemente sì. Le esultanze ed i festeggiamenti del dopo gara restano una delle tante ferite aperte. Molti dei protagonisti dichiararono in seguito di essere stati a conoscenza solo parzialmente dei fatti. L'unico a scusarsi pubblicamente fu Marco Tardelli nel 2005, rivedendo le immagini ospite di Giovanni Minoli a "La storia siamo noi". Giampiero Boniperti affermò che davanti a tale tragedia non era il caso di festeggiare, ma fu lui stesso a difendere e cullare la coppa come fosse un figlio, ed a farla alzare ad un imbarazzatissimo Scirea all'arrivo in aeroporto. (NdR: Scirea era in volo da Bruxelles con Cabrini, Tardelli e Rossi in Messico per raggiungere la nazionale di calcio, in realtà si trattava di Sergio Brio, il vice-capitano). Grazie, Otello. Tutto ciò che i caduti di Bruxelles e le loro famiglie sono riusciti ad ottenere in questi 30 anni in termini di verità, rispetto e giustizia, lo si deve all'Associazione fra i familiari delle vittime dell'Heysel. Otello Lorentini, che all'Heysel perse il figlio Roberto, medico di 31 anni, ne è stato il fondatore e Presidente fino alla sua scomparsa, avvenuta un anno fa. Nel 1990 si presentò da solo a Bruxelles al processo contro l'Uefa, inchiodando la federazione europea alle proprie responsabilità ed ottenendone la condanna, con una sentenza che fece giurisprudenza. Ma nel silenzio assordante dei media. Ora la sua opera sarà portata avanti dal nipote Andrea. Riposate in pace, angeli dell'Heysel.

25 maggio 2015

Fonte: Blastingnews.com

ARTICOLI STAMPA e WEB 25 MAGGIO 2015 

Heysel, ricordare è un dovere e aiuta anche a rispettare

di Guido Vaciago

L'Heysel va ricordato e raccontato all'infinito, perché non succeda più niente di così orrendo e per permettere a tutti di conoscere e capire.

TORINO - "La memoria è un lavoro. Una scelta. Ha bisogno di manutenzione e di amore, e questo spetta a tutti e a ciascuno individualmente. Fatelo, allora, quel nodo al fazzoletto. Senza memoria, saremo luci spente" (Emilio Targia, "Quella notte all'Heysel", Sperling & Kupfer). E le luci, quella notte all'Heysel, si sono spente tragicamente per 39 persone. E questo è il punto da cui partire per ricordare, a trent'anni di distanza, una delle più immani tragedie del calcio mondiale. A Bruxelles, il 29 maggio 1985, prima della finale di Coppa dei Campioni fra Juventus e Liverpool, morirono degli essere umani. La didascalia nella memoria collettiva, però, è stata modificata e le 39 vittime sono diventate "tifosi della Juventus" o semplicemente "tifosi". Non è una differenza sottile, perché la mancanza di rispetto che in questi trent'anni ha ulcerato una ferita già difficile da rimarginare, nasce anche dal voler dare a tutti i costi dei colori a chi, in quella maledetta notte, perse la vita. Sì, la maggior parte di quelle 39 persone erano tifosi juventini, ma identificarli solo come tali spiana la strada al becero, fornisce un assist all'ignorante. L'Heysel non va dimenticato per il rispetto che si deve a chi ha perso la vita e a chi ha perso i propri cari. L'Heysel va ricordato e raccontato all'infinito, perché non succeda più niente di così orrendo e per permettere a tutti di conoscere e capire. Per esempio che i morti di Bruxelles non erano ultrà della Juventus, ma persone normali, giovani, adulti e bambini. Insultandone la memoria con cori e striscioni non si ferisce la Juventus e i tifosi juventini, ma si infanga innanzitutto la propria dignità di esseri umani che dovrebbe arginare l'insensibilità schifosa e bestiale che spinge a sfregiare il dolore di chi ha perso una persona cara. Superga, l'Heysel e tutte le tragedie che troppo spesso vengono vilipese nelle curve italiane (quasi nessuna esclusa, purtroppo) nascono dall'ignoranza di chi canta o scrive striscioni. I morti, per gli ultrà, hanno quasi sempre i colori sociali della società e quindi possono essere oggetto del loro becero blaterare. E allora approfittiamo di questo trentennale per combattere quell'ignoranza, per raccontare e spiegare quanto dolore si irride, quanto sia da poveracci farlo. La memoria è un antidoto contro l'ignoranza. Il problema è che funziona lentamente e non dà risultati immediati. Ma guai a dimenticarsi di ricordare, ci spegneremo come i riflettori del decrepito Heysel in quella notte tremenda.

25 maggio 2015

Fonte: Tuttosport.com

ARTICOLI STAMPA e WEB 25 MAGGIO 2015 

Strage dell'Heysel, Bruce Grobbelaar rivela:

"Furono estremisti di destra di Londra a provocare"

Una tragedia causata non dagli hooligans, come ipotizzato, ma da gente che proveniva dagli ambienti di estrema destra di Londra. È questa la tesi che Bruce Grobbelaar, allora portiere del Liverpool, racconta a Repubblica sull’incidente che il 29 maggio del 1985 allo stadio Heysel di Bruxelles provocò la morte di 39 persone. Doveva essere una sfida calcistica d’eccezione, con la Juventus e il Liverpool che si affrontavano per la finale della Coppa dei Campioni e che finì con un’amara vittoria della Juventus. A provocare la morte delle 39 persone e il ferimento di oltre 600 fu il crollo di un muro che fu causato dall’invasione (si suppose) (N.D.R Verità documentata e processuale. Ci sono forse ancora dei dubbi ?) di alcuni hooligan nella tribuna Z, quella occupata dai tifosi italiani. Ma Grobbelaar, come spiega a Repubblica, è convinto che non furono i supporter inglesi a provocare quella strage. "Ho cercato la verità. Non furono autentici tifosi del Liverpool a causare la tragedia. Molti avevano trascorso la mattinata con quelli della Juve, giocando a calcio per le strade, andando a bere una birra insieme. Non posso credere che l’atmosfera sia cambiata allo stadio. Io credo a un’altra cosa". Grobbelaar, come spiega nell'intervista a Repubblica, è infatti convinto che fu gente di Londra a scatenare l’assalto alla tribuna occupata dagli italiani. Persone che andarono fin lì e che poi scapparono subito dopo. E fu per questo motivo che non vennero mai trovati. "Liverpool era odiata, c’era invidia per i suoi successi nel calcio. Mia suocera era venuta alla partita, si era imbarcata con un traghetto. Anche mia madre era lì. Per la prima volta si muoveva dal Sudafrica per la finale: la chiami, confermerà tutto. Mia suocera mi raccontò che all’imbarco c’erano dei tipi che distribuivano volantini su cui c’era scritto che sarebbe stata l’ultima partita in Europa del Liverpool. Avevano le braccia tatuate con gli stemmi di alcune squadre di Londra. Erano del National Front, l’estrema destra. Ho provato a indagare". In che modo ? Sono stato diverse volte a Londra, nei locali del National Front cercando di agganciare qualcuno che sapesse qualcosa. Ho provato a prendere informazioni, avevo un amico poliziotto. Ma non sono riuscito ad arrivare alle prove. Né io, né altri.

25 maggio 2015

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI STAMPA e WEB 25 MAGGIO 2015 

La storia. Il 29 maggio 1985 a Bruxelles si giocava la finale di Coppa dei Campioni

Heysel, quando la furia hooligan travolse l’innocenza del calcio

di Marco Ciriello

Trent’anni fa la tragedia con 39 morti prima di Juve-Liverpool. 32 italiani, 4 belgi, 2 francesi e un irlandese persero la vita travolti per l’assalto al settore Z. La partita. La gara si giocò lo stesso, i bianconeri vinsero 1-0 con un gol di Platini.

Quella partita no, non fu un mattino del mondo, come diceva Georges Haldas delle grandi sfide, perché l’imprevisto al quale si aprì fu una tragedia. Chi aspettava un incontro di calcio, trovò la sera della fine. Si mossero a onde, come il mare, battendo e ribattendo, e invasero il settore Z, occuparono lo spazio e l’aria, volevano prendersi la curva, spinsero così forte che venne giù tutto e a chi guardava uscì il sangue dal naso. Erano gli hooligans, e l’Europa li scoprì nel peggiore dei modi, pagando col dolore italiano la sua ingenuità. Calarono con la velocità dei terremoti, la violenza dei campi di battaglia, l’indifferenza che ha il male quando governa le masse, precipitarono sulla normalità delle vite che consideravano il calcio una festa, e scoprirono che invece, no, non lo era più. Il viaggio che doveva portare a un successo sportivo divenne una tragedia. La gioia di 39 persone normali (32 italiani, 4 belgi, 2 francesi e un irlandese) si trasformò in un incubo. Tutto il carico di una grande partita si sciolse negli ultimi respiri di chi rimase per sempre a Bruxelles, allo stadio Heysel. Il 29 maggio del 1985, Juventus e Liverpool si giocavano il trono dell’Europa calcistica, e nessuno pensava che quella sera sarebbe cambiato il calcio, il modo di andare ai campi, la perdita dell’innocenza. Trent’anni dopo è ancora difficile capire come fu possibile che l’Uefa avesse scelto uno stadio di cartone per una finale di Coppa dei Campioni, che ci fosse un numero esiguo di forze dell’ordine, e che il loro comportamento potesse essere così ottuso, cieco, impietoso. Che l’organizzazione fosse carente da ogni punto di vista. Che non ci fossero soccorsi adeguati e venisse meno la pietas. Tutto questo, più seicento feriti, fu l’Heysel, poi anche una partita di calcio, con un rigore procurato da Boniek e trasformato da Platini. Vinse la Juventus, in molti gioirono nella confusione delle mancate verità, alzarono la coppa e ci girarono il campo, dopo, con gli anni, e le immagini, arrivarono le scuse, cominciarono i pentimenti e la vergogna. Una via crucis che faceva prendere coscienza a tutti del dramma. Ma quella sera di maggio era carica di ordini e contrordini, basta vedere le immagini, sentire la voce di Bruno Pizzul che commentò con "tono il più neutro, impersonale e asettico possibile", leggere il ritardo di una ora e mezza sul fischio d’inizio, e l’assurdo comando di giocare come se niente fosse, come se non ci fossero morti, in un imperativo che aggiungeva assurdità al sangue, normalità a una situazione che non lo era, ordinarietà a una manifestazione che non aveva più nulla di sportivo, come scrisse nel sottopancia la tv austriaca mandando senza audio le immagini dell’incontro. Il Belgio per l’Italia è sempre stato lutto più che luce, prima speranza di lavoro poi morte. Nessuno pensava che dopo Marcinelle si potesse ancora piangere collettivamente da quelle parti, che si dovesse ancora pagare il pizzo alla morte. Ma esiste una geografia pure della sofferenza, con luoghi che hanno promontori di dolore e tunnel e pozzi e tombe sempre per gli stessi. E anche oggi che l’Heysel è stato storicizzato, che è diventato molti libri e persino un film - "Appuntamento a Liverpool" di Marco Tullio Giordana - rimane ancora intatta la ferita da sopruso subito, l’ingiustizia protratta negli anni e delle lievi condanne e per pochi, anche se l’esclusione delle squadre inglesi e l’altra tragedia - quella di Hillsborough - hanno portato la normalità nell’Inghilterra del calcio. Non ci sarà mai normalità, purtroppo nelle famiglie coinvolte nel lutto, le ha raccontate Francesco Caremani, in "Heysel, le verità di una strage annunciata" (Bradipolibri) partendo dalla storia di Roberto Lorentini, un medico, che nonostante si fosse salvato dalla prima carica degli inglesi, tornò indietro per soccorrere un bambino ferito: Andrea Casula (11 anni), e morì schiacciato dalla seconda carica degli hooligans mentre era a terra e gli stava praticando la respirazione artificiale. Fu una sera senza pietà, si apparecchiò un intero stadio alla morte e poi si fece finta di niente. Si giocò una partita che pareva indifferente alla storia, ma la colpa maggiore era e resta dell’Uefa che in nome di una possibile guerra civile mandò in campo le squadre come clown, nella speranza - poi vana - di soprassedere, lasciò trapelare il meno possibile quasi che si potessero nascondere le storie di chi era morto e trasformare i testimoni in fantasmi. Nel caos si scelse il peggio, bisognava pensare in fretta e si pensò male. Per tutti, valgono le parole di Michel Platini, che nel suo libro "Parliamo di calcio" ha raccontato il suo stato d’animo: "La morte di uno spettatore francese, un mio tifoso venuto a vedermi, mi ha ossessionato. Lui era il riassunto di tutti gli altri morti. Lui era per me, prima dell’Heysel, un tifoso come tanti che avevo conosciuto, quelli che mi parlavano, che mi chiedevano gli autografi e posavano con me nelle fotografie, ma all’Heysel era diventato il volto del dramma. Il volto della mia colpa, anche". Quei volti non si sono sbriciolati, grazie alla memoria ostinata di quelli che hanno compreso la tragedia, patito la perdita, ed hanno smesso di concepire il calcio come contrapposizione tra parti, scontro tra diversi ma l’hanno ricondotto alla semplicità del gioco.

25 maggio 2015

Fonte: Il Mattino

ARTICOLI STAMPA e WEB 25 MAGGIO 2015 

Juve e l’Heysel, 30 anni dopo

Rossi: "Non avremmo dovuto giocare"

Il 29 maggio prossimo saranno passati trent’anni dalla strage dell’Heysel, quando gli hooligans barbari e assassini provocarono la morte di 39 spettatori juventini. In Italia, la violenza nel calcio esisteva, ma era sporadica e il fenomeno hooligans una specialità tutta e quasi soltanto inglese. La Repubblica ricorda oggi quell’anniversario per promuovere il video diffuso oggi col quotidiano, che riporta le parole di alcuni protagonisti, come Paolo Rossi: "Non si sarebbe dovuto giocare. Non c’è da essere fieri di quella Coppa. Non rifarei quel giro di campo. 39 morti meritano rispetto". Marco Tardelli: "L’Inghilterra dopo l’Heysel ha fatto sparire gli hooligans, da noi invece gli ultrà ancora comandano. Il nostro calcio urla tolleranza zero, ma permette tutto". Antonio Cabrini: "Abbiamo giocato quella partita solo per motivi di ordine pubblico. Ci avevano detto che c’era un solo morto. Siamo responsabili perché non abbiamo avuto subito le dimensioni di quella tragedia, ma siamo stati anche noi vittime. Non abbiamo perso la vita, ma ci è stato rovinato un momento sportivo che poteva essere bello, il traguardo di una vita, e che invece ora è un ricordo doloroso e senza gioia".

26 maggio 2015

Fonte: Todaysport.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 26 MAGGIO 2015 

Che cosa resta dell'Heysel, trent'anni dopo

di Francesco Caremani

Trent'anni fa la tragedia sugli spalti dello stadio belga prima della finale di Coppa Campioni tra Liverpool e Juventus. I silenzi, gli imbarazzi e la lotta dei sopravvissuti in questi anni.

Otello è morto l’anno scorso, di maggio come Roberto, il suo unico figlio deceduto nella strage dell’Heysel il 29 maggio 1985. Era un giovane e bravo medico di Arezzo, Roberto, tifoso della Juventus, era stato ad Atene nel 1983 (quando a sorpresa l’Amburgo vinse la coppa dalle grandi orecchie), a Basilea nel 1984 (quando contro il Porto i bianconeri conquistarono la Coppa delle Coppe) e a Bruxelles ci andò, come sempre, col padre e i due cugini, Andrea e Giovanni. Un viaggio che doveva essere una festa, la finale del secolo (come fu ribattezzata allora) contro il Liverpool che si trasformò nella tragedia del secolo e nella definitiva perdita dell’innocenza del calcio mondiale. Roberto era salvo, nonostante la calca e le cariche degli hooligan del Liverpool, ma si lanciò in mezzo all’inferno per tentare di salvare un connazionale (molto probabilmente Andrea Casula, 11 anni, la vittima più piccola) con la respirazione bocca a bocca, gesto che gli è stato fatale e che oggi una medaglia d’argento al valor civile appesa nel salotto di via Giordano Bruno 51 ricorda. A Bruxelles, nel fatiscente stadio Heysel, il 29 maggio 1985 morirono 39 persone, 32 italiani, 4 belgi, 2 francesi e un nordirlandese. Uccisi dagli hooligan inglesi, ubriachi all’inverosimile (tanto che avevano messo a ferro e fuoco la Grand Place poche ore prima) e armatisi in un cantiere adiacente l’impianto che era in ristrutturazione, con la responsabilità dell’Uefa e delle autorità sportive e politiche belghe, che non si curarono di scegliere uno stadio sicuro e che organizzarono cialtronescamente l’ordine pubblico. Senza dimenticare che il settore Z sarebbe dovuto essere completamente appannaggio del tifo neutrale accanto alla marea inglese, invece molti di quei biglietti furono venduti dai bagarini in Italia a prezzi maggiorati e per 39 angeli si rivelarono di sola andata. Angeli delle famiglie e delle comitive che entrarono in quello spicchio di stadio dopo una fila di quasi tre ore passando da una porta larga 80 centimetri, l’unica via di fuga che diventerà di fatto inaccessibile. Angeli impreparati all’improvviso lancio di oggetti contundenti, ai pochi (circa sei) poliziotti che scappano, alla rete da giardino che li divideva e che viene giù in un secondo, alle cariche continue, impreparati a morire per una partita di calcio. Partita che si gioca lo stesso, decide l’Uefa insieme al Belgio. Non sanno più cosa fare e devono evitare altri morti. Si gioca per chiamare l’esercito (arriveranno i carri armati), si gioca per una questione di ordine pubblico e si assegnerà la Coppa dei Campioni perché così hanno voluto quelli del Liverpool. Non è un’amichevole, ma diventa una farsa perché si gioca mentre i 39 corpi sono ancora lì, in fila sotto la curva Z ridotta a un campo di battaglia, in cui gli hooligan hanno irriso i morti prima che li portassero via. Si gioca sapendo, come ha sempre confermato Stefano Tacconi, portiere di quella Juventus. Otello Lorentini non poteva accettare di avere perso l’unico figlio (assunto dall’ospedale di Arezzo con lettera datata 29 maggio 1985) per una partita di calcio, così, su consiglio di un avvocato, fondò l’Associazione tra le famiglie delle vittime di Bruxelles per portare davanti a un giudice i responsabili della strage che ha cambiato per sempre il football. Un processo lungo, difficile, condotto in solitudine, quella solitudine che è durata decenni e che in parte dura ancora, perché ricordare l’Heysel da fastidio a tanti, ricordare quello che è accaduto, le colpe, i comportamenti durante e dopo, soprattutto dopo, non è cool, in particolare oggi dove imperversano il gossip e il patinato, dove si scrive e si parla sempre meno di calcio. L’Heysel fa parte della nostra storia, anche sportiva, e ogni 29 maggio è lì a ricordarcelo, nonostante le amnesie, che vengono a galla quando nei nostri stadi o nelle adiacenze accade qualcosa di violento (inaspettato ?), allora tutti a sciacquarsi la bocca con la strage di Bruxelles, senza sapere, senza essersi documentati, tutti a citare la Thatcher e fare figure meschine, perché chi sa non confonde. Gli inglesi non hanno messo mano al loro football dopo l’Heysel bensì dopo Hillsborough e ancora oggi, sono passati 26 anni, non conoscono la verità e le cause che hanno determinato la morte di 96 tifosi del Liverpool; non sanno che la tragedia di Hillsborough è figlia dell’Heysel, perché gli inglesi hanno preferito polemizzare, inventare scuse, arrabbiarsi per la squalifica dei club dalle coppe europee, mettendo la testa sotto la sabbia. Mai risveglio è stato più drammatico. Se avessero imparato la lezione, quella che nessuno, soprattutto in Italia, pare aver imparato, forse Hillsborough sarebbe rimasto solamente il nome di uno stadio. E la Juventus ? Una messa nel 2010 e una messa quest’anno, nel mezzo uno spazio dentro il Museum bianconero con targa e nomi, di più nemmeno Andrea Agnelli sembra capace di fare, il primo presidente che ha intrapreso, con difficoltà, un percorso verso la rinata Associazione fra i familiari delle vittime dell’Heysel, presieduta da Andrea Lorentini, figlio di Roberto e nipote di Otello, vice presidente Emanuela Casula che all’Heysel ha perso il padre e il fratello, Giovanni e Andrea. Rinata anche per difendere la memoria dei propri cari, vituperati e ignominiosamente offesi negli stadi italiani da trent’anni, cori sanzionati per la prima volta nel 2014, la perdita di memoria genera mostri come il sonno della ragione. Non c’è, infatti, una memoria condivisa e in troppi preferiscono cullare il proprio Heysel dimenticandosi dei familiari delle vittime e di quei 39 morti, quasi fossero un ostacolo per ammirare una coppa. L’Heysel sarebbe dovuta diventare la Superga bianconera, con tutte le differenze che in troppi banalmente sottolineano: un momento di comune condivisione di un ricordo che non potrà mai essere cancellato, dalle nostre memorie e dalle nostre coscienze. Senza dimenticare che a Bruxelles sono morti tre interisti, come Mario Ronchi che andò con gli amici, forse quando l’amicizia era più importante del tifo. Per questo l’Heysel dovrebbe essere, come Superga, una tragedia italiana non solo juventina, ma Lega e Figc hanno brillato meno della Juventus in questi trent’anni e mai hanno tentato di ricordare e di commemorare i 39 angeli di Bruxelles. Qualche settimana fa l’Associazione ha chiesto il ritiro (simbolico) della maglia azzurra numero 39, simbolico perché quel numero di maglia in Nazionale non esiste, gesto accolto con scetticismo e critiche dall’opinione pubblica, si sa i parenti delle vittime si preferiscono silenziosi e discreti, quando reclamano rispetto e memoria vengono attaccati e stigmatizzati, perché, come ha detto Paul Valéry, "quando non si può attaccare il ragionamento, si attacca il ragionatore". E pare proprio una gara quella che in questi ultimi mesi ha tentato di sminuire l’autorevolezza dell’Associazione fra i familiari delle vittime dell’Heysel e di chi li ha sostenuti e accompagnati in tutti questi anni. Ma allora cosa resta dell’Heysel ? C’è stata giustizia ? Come ha sempre detto Daniel Vedovatto, l’avvocato italo belga dei familiari italiani, in quelle condizioni e con il diritto che all’epoca vigeva in Belgio è stato ottenuto il massimo: condanna dell’Uefa, di un capitano di polizia, dei pochi hooligan rintracciati e risarcimenti, che nessuno ha mai chiesto. Forse qualcuno s’è perso, ma la condanna dell’Uefa, resa corresponsabile delle manifestazioni che organizzava e che organizza è storica, ha fatto giurisprudenza e ha cambiato per sempre il football europeo, soprattutto le coppe, esigendo severi requisiti di sicurezza per gli stadi delle finali e non solo. Se non ce ne siamo accorti è perché ce ne siamo dimenticati. Trent’anni sono una vita, un vuoto incolmabile e recuperare terreno è quasi impossibile. Resta la forza di Otello Lorentini che ha guidato i familiari delle vittime italiane contro i migliori avvocati d’Europa, la forza che l’ha spinto a citare direttamente l’Uefa nel processo, dopo che in primo grado erano stati tutti assolti, restano i volti, le immagini, i ricordi, i sogni, i sorrisi e il terrore di 39 persone che sono morte dentro uno stadio per vedere una partita di calcio. Li sentite ? Stanno sussurrando qualcosa: "La storia (dell’Heysel) siamo noi, nessuno si senta offeso".

26 Maggio 2015

Fonte: Ilfoglio.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 26 MAGGIO 2015 

Arezzo

Heysel, Chiarini scrive al presidente Agnelli

La mail ad Andrea Agnelli è partita. E forse è già arrivata. Adesso Claudio Chiarini, sopravvissuto dell’Heysel e Andrea Lorentini che allo stadio di Bruxelles quel 29 maggio 1985, perse il babbo Roberto, aspettano la risposta. Fiduciosi ? "No e sì", dicono. Mancano quattro giorni all’anniversario dell’Heysel. E Claudio Chiarini, una settimana fa, lanciò tramite il Corriere di Arezzo un invito alla Juve: "Porti a Berlino noi sopravvissuti della strage di trent’anni fa". A Bruxelles, finale di Coppa campioni tra Juve e Liverpool, morirono 39 tifosi della Juventus per mano assassina degli hooligans. Delle 39 vittime, 32 erano italiani e tra questi c’erano anche gli aretini Roberto Lorentini, medico di 31 anni e la 16enne Giusy Conti. Una settimana fa, il Corriere di Arezzo, ha intervistato Claudio Chiarini, anche lui nella Curva Z dell’Heysel. Un racconto duro di una "strage annunciata", ripete ancora oggi a distanza di trent’anni. E trent’anni dopo, arriva la proposta alla Juve: "Il 6 di giugno a Berlino, si gioca la finale di Champions contro il Barcellona. Sarebbe importante che la società portasse una delegazione di noi sopravvissuti". La proposta è stata immediatamente accolta da Andrea Lorentini, che dopo la morte del nonno Otello, ha raccolto il testimone di presidente dell’Associazione Familiari Vittime dell’Heysel. Andrea ha inviato una prima mail all’ufficio relazioni della Juventus. Ora ci sarà il passo successivo e cioè quello di Claudio Chiarini che ha deciso di inviare personalmente la richiesta ad Andrea Agnelli. "Gli ho scritto una mail, affinché anche la Juventus possa riprendere un po’ della sua immagine in relazione a questa vicenda. In questi anni la Juve è come se non volesse ricordare. Parlo di società - specifica - perché sabato scorso è stato incredibile il ricordo dei tifosi bianconeri nella partita contro il Napoli". "Ho inviato la mail - continua Chiarini - e mi auguro che ci sia una risposta dalla società bianconera. Sarebbe un bel segnale dopo anni di quasi buio in merito a questa tragedia".

26 maggio 2015

Fonte: Corriere di Arezzo

ARTICOLI STAMPA e WEB 26 MAGGIO 2015 

Il ricordo

Heysel, il calcio non fu più un gioco

di Alberto Caprotti

Il primo ricordo è che faceva caldo. Quell’umido sospeso, che fa intuire che qualcosa debba accadere per forza. L’ultima consapevolezza invece, trent’anni dopo, è che quella tragedia immane e folle molto abbia cambiato. Chi c’era, non potrà mai dimenticare. Perché la sera del 29 maggio 1985 il calcio ha smesso per sempre di essere un gioco. La scintilla del massacro si accende alle 19.07, più di un’ora prima della partita. Bruxelles sembra cupa e infastidita, quasi offesa nella sua ingiustificata supponenza per dover ospitare Juventus e Liverpool, la finale di Coppa Campioni. Lo stadio si chiama Heysel, e per fortuna oggi non c’è più: vecchio, crepato, senza posti numerati, privo di qualunque sistema di sicurezza. Lo scriveremo dopo, guardando un tappeto di morti. E sarebbe stato meglio accorgersene prima. Chissà se segnalare il pericolo sarebbe servito almeno ad allertare le forze dell’ordine per arginare l’inumana aggressività degli hooligans inglesi che premevano dal loro settore, ebbri di alcol, verso il settore Z, una fettina di spalti che divideva dallo spicchio di stadio destinato agli juventini. Non era prevista nessuna presenza di tifo organizzato nel settore Z. Ma per vari canali, dai bagarini alle rivendite belghe e le agenzie viaggio che si erano procurate quei biglietti, in quel settore c’erano finiti in troppi, nemmeno tutti juventini e nessuno ultrà. Eravamo lì per una partita di calcio. E il film che rimane di allora invece è solo quella processione dai sotterranei dello stadio: barellieri, infermieri, medici e poliziotti. Quello che è diventato poi un improvviso bollettino di guerra, quella sera - tardi, molto più tardi - parla di 39 morti, quasi tutti italiani, moltissimi con la cassa toracica schiacciata contro i muri di recinzione, altri con la gola aperta dalle punte metalliche che chiudono le transenne. Spinti e in fuga, dal terrore di vedersi arrivare addosso decine di inglesi ubriachi e indemoniati che stipati nel loro settore hanno cominciato ad ondeggiare paurosamente, cercando poi spazio vitale al di là delle transenne. Fragili come reti di zucchero cristallizzato. Non un poliziotto presidiava quella ridicola barriera. Loro, a cavallo, con quegli stupidi caschi bianchi, stavano in campo, rivolti verso la morte che avanzava. Immobili, impettiti, decisi a fare nulla se non ad impedire che la gente si riversasse in campo. L’unica via di fuga cioè, l’unica salvezza che loro, idiotamente istruiti a questo, difendevano con i manganelli. Quando di colpo la gente è cominciata a scappare sotto i colpi degli energumeni inglesi si è scatenato il panico. Scagliavano mattoni, bottiglie e colpivano con un’incoscienza bestiale. Gli italiani sono precipitati l’uno sull’altro travolgendosi a vicenda, cercando scampo. Quattro-cinque mila persone si sono accalcate contro il muro di recinzione laterale sbandando e precipitando dalle gradinate. Finché il muretto cede, diventando una tomba per alcuni, e un varco di salvezza per altri. Sono le 21.40 quando, incredibilmente, si decide che la partita inizia lo stesso. Difficile dimenticare la voce di Gaetano Scirea, capitano della Juventus, che sussurra nel microfono dell’altoparlante: "Giochiamo per consentire alle forze dell’ordine di organizzare l’evacuazione del terreno. State calmi, non rispondete alle provocazioni. Giochiamo per voi...". In un clima irreale, vince la Juve 1-0 grazie ad un rigore inesistente. La verità è che nessuno sa come far uscire cinquantamila nemici dallo stesso luogo senza altri incidenti: la partita è solo un grottesco tentativo per prendere tempo. Forse inevitabile davvero, ma stonato comunque. "Quando al circo muore il trapezista, entrano i clown", disse Michel Platini un anno dopo. Allora sembrò una bestemmia, ma era qualcosa di assai più orribile e definitivo. Era la verità. Due ore dopo nella curva del massacro invece sono rimasti soltanto i resti della tragedia e delle transenne usate come barelle. Documenti, sciarpe, bandiere, vestiti stracciati, scampoli di vita che non appartengono più a nessuno. E gente che piange, che si cerca, che non sa come avvisare casa di esserci ancora nonostante quelli che non ci sono più. Il 26 giugno del 1990, cinque anni dopo, in un tribunale di Bruxelles, Otello Lorentini, presidente dell’associazione vittime dell’Heysel, padre di Roberto, morto a 31 anni nella curva Z perché si era fermato a soccorrere qualcuno che era a terra (e che per questo ebbe la medaglia d’argento al valor civile), conquistò la sua più grande vittoria. Non certo le ridicole sentenze penali: 10 mesi di carcere al massimo, e non per tutti i colpevoli, 2 miliardi di lire il risarcimento per le vittime (in gran parte arrivati da donazioni private). Ma quel giorno i giudici sentenziarono che l’Uefa non poteva declinare ogni responsabilità. Da allora gli stadi devono avere posti numerati, controlli rigorosi, uscite di sicurezza, separazioni vere tra le tifoserie, biglietti nominali, polizia sufficiente. Il resto è ricordo, dolore. Tante storie, tante sofferenze. Uomini, donne e bambini: Andrea Casula, 11 anni e mezzo, la vittima più giovane. E i loro parenti costretti a convivere con un nome, Heysel, e con la stupidità degli uomini. Come i genitori di Giuseppina Conti, 17 anni, di Arezzo, che mesi dopo si videro recapitare da Bruxelles il conto dell’ambulanza.

26 maggio 2015

Fonte: Avvenire.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 26 MAGGIO 2015 

L’Heysel, la notte in cui morì il calcio

Ci sono momenti che segnano per sempre la storia di un popolo, attimi che diventano un naturale spartiacque impossibile da ignorare. C’è un prima e vi è un dopo. La maledetta strage dell’Heysel è uno di questi.

29 maggio 1985, Bruxelles è teatro di una delle pagine più nere della storia dello sport. La finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool diventa il macabro contorno di una barbaria senza precedenti che si consuma all’interno dello stadio Heysel. Nel pre-partita gli hooligans inglesi, zeppi di ogni tipo di alcol, caricano il settore Z, spazio adibito prevalentemente a tifosi neutrali e della Juventus. Le recinzioni dell’impianto fatiscente cedono, i soli cinque agenti preposti al controllo della situazione si scansano. Sono momenti di forte panico, di assoluta ed incontrollata follia. Donne, bambini e padri di famiglia scappano, provando in tutti i modi a sfuggire da un’orda rossa e animalesca. Quella che doveva essere una serata di festa, di gioia e di sport si tramuta in una scena apocalittica degna di un film horror. Centinaia di corpi vengono schiacciati, calpestati senza un briciolo di umanità. 39 cuori smettono di battere. Con essi si ferma il mondo che amavamo. Sì, in quella maledetta notte di maggio, allo stadio Heysel è morto il calcio. La partita, per motivi d’ordine pubblico, viene giocata ma non si tratta di un vero e proprio match. Il clima è surreale. I calciatori, pur essendo a conoscenza delle persone morte, non hanno la reale percezione dell’entità del massacro. I pochi ultras della Juve che hanno visto con i loro occhi la disperazione, la sofferenza ed il terrore presenti nel settore Z provano a divulgare la notizia ma vengono sopraffatti dall’egoismo della maggior parte della tifoseria bianconera che, anche a causa della confusione delle notizie, non vuole a nessun costo rinunciare a quella tanto attesa finale. La sfida termina 1-0, la Juventus vince la sua prima Coppa dei Campioni con un rigore inesistente trasformato da Platini. Il francese esulta alzando il pugno, proprio davanti al settore che qualche ora prima aveva conosciuto l’odore della morte. La gioia di alcuni si mischia al lutto di altri. I festeggiamenti di allora, visti con il senno di poi, appaiono come un forte pugno nello stomaco. Lo sfregio subito è profondo e cambierà per sempre la storia della Juve e della sua tifoseria. La strage si poteva evitare, lo sanno tutti. Accertare con precisione le responsabilità, ancora oggi, non è semplice. Molte di esse ricadono inevitabilmente sull’Uefa, rea di aver scelto per una partita considerata ad alto rischio uno stadio rudimentale, in cui era impossibile garantire la sicurezza. Non esenti da colpe, ovviamente, le autorità di polizia locale, impegnate ad inseguire a cavallo dei ladri di salsicce quando all’interno dello stadio si consumava una tragedia. Infine, gli hooligans inglesi. Definire uomini dei soggetti che si sono macchiati di una vigliaccheria simile non è ammissibile. Il perdono, il più nobile dei gesti, è una via troppo tortuosa da percorrere, nonostante siano passati trent’anni. I provvedimenti presi, se commisurati all’atrocità della vicenda, sono ridicoli. 12 hooligans arrestati con la condizionale. Il capitano della gendarmerie assolto da ogni responsabilità. Sei anni di sospensione dalle coppe europee per il Liverpool, cinque per le altre squadre inglesi. La ferita dell’Heysel è profonda e fa male ancora oggi. Vi sarebbero infinite storie da raccontare. Dal piccolo Andrea (11 anni) a Barbara Lusci (58 anni) passando per Roberto Lorentini, morto nel tentativo di salvare i propri compagni di fede. Una molteplicità di storie differenti, unite da un destino beffardo e crudele. Niente e nessuno riporterà indietro le 39 persone uccise senza pietà, è vero. Sicuramente però si potrebbe fare di più per onorare la memoria di chi, partito con i propri sogni per vedere una partita di calcio, è salito in cielo senza far mai ritorno dai propri cari. Dare spazio all’ignoranza ed al becerismo dei tifosi che odiano la Juventus e strumentalizzano queste assurde morti per colpire i bianconeri sarebbe sbagliato ed immorale. Non riporteremo quindi striscioni o cori vergognosi, troppo spesso utilizzati da entrambe le parti. Preferiamo sottolineare iniziative come quella della Sala della Memoria Heysel, sito in cui viene commemorato non solo il lutto di Bruxelles ma anche il disastro aereo del Grande Torino. Le due tragedie, al di là di ogni discorso di fede calcistica, vengono definite sorelle. Un esempio da cui ripartire. Una pietra miliare per diffondere un valore troppo spesso bistrattato ed invocato a gran voce dai tifosi bianconeri durante Juventus-Napoli: quello del rispetto. Perché da una tragedia, a volte, si può davvero imparare qualcosa e le 39 vittime innocenti, almeno, non saranno morte invano.

27 maggio 2015

Fonte: Pallonate.com

ARTICOLI STAMPA e WEB 27 MAGGIO 2015 

Heysel: quando, dopo la strage, Francis

mi disse: "Mi vergogno di essere inglese"

di Darwin Pastorin

La notte del 29 maggio 1985 mi trovavo a Puebla, in Messico. La nazionale italiana di Enzo Bearzot aveva deciso di disputare alcune amichevoli in vista del mundial dell'anno successivo: bisognava verificare i disagi dell'altura e provare nuovi giocatori. Gli azzurri erano i campioni in carica, dopo il trionfo spagnolo dell'82. Il direttore di Tuttosport, Piero Dardanello, aveva deciso di dividere gli inviati: un folto gruppo al seguito della finale di Coppa dei Campioni a Bruxelles tra Juventus e Liverpool; io e altri due destinati, invece, alla spedizione messicana. I calciatori bianconeri convocati dal commissario tecnico avrebbero raggiunto Città del Messico, dove era in programma Italia-Inghilterra, appena tre giorni dopo la finalissima dell'Heysel. Avevo seguito il cammino della Juve fino a quell'ultima tappa. Era la Juve di Tacconi, Cabrini, Tardelli, Paolo Rossi, Boniek e Platini e dell'immenso Gaetano Scirea, il libero gentiluomo. Bruciava ancora la sconfitta del 1983 ad Atene contro l'Amburgo: 1-0 per i tedeschi con un tiraccio da lontano di Magath. Esistevano i presupposti per una vittoria, malgrado la forza dei Reds. Il desiderio, insomma, era quello di alzare, finalmente, quell'agognato trofeo. Preoccupava, piuttosto, lo stadio, lo disse e lo scrisse Dardanello, soprannominato da Gianni Brera "Pierin Dardanide": troppo piccolo, insicuro, una scelta sbagliata, miope da parte dell'Uefa. La notte del 29 maggio 1985 l'Italia giocò contro il Plueba, si mise in luce Beppe Galderisi, detto Nanu, cresciuto nelle giovanili juventini per poi trovare gloria e scudetto a Verona, in una delle storie più belle e romantiche del nostro football. Noi inviati avevamo solo voglia, una volta dettati tutti i pezzi, di seguire la finale in televisione, c'erano otto ore di fuso orario, il pomeriggio era lieve, con un leggero vento. Ecco il collegamento internazionale. Ma con una sola immagine, fissa. Una curva dello stadio Heysel. Problemi tecnici ? A quel tempo non c'erano computer o telefonino, si usava la macchina da scrivere e il telefono fisso, chiedendo la chiamata a carico del destinatario, in questo caso il giornale. Ma fu difficile parlare con un centralino. Eravamo esclusi da tutto. Non c'erano con noi, in quella stanzetta con televisione, nemmeno dei cronisti messicani. Silenzio. E quella immagine. Non sapevamo ancora dei morti, della furia degli hooligan, della decisione di giocare "comunque" la partita, per "questione di ordine pubblico". Non sapevamo dei giovani e degli anziani, degli uomini e delle donne uccise, calpestate, ferite, della disperazione delle lacrime. Della curva Z. E del match che, intanto, si svolgeva, del rigore segnato da Platini, della festa per il gol e poi per la Coppa, dei miei colleghi che non riuscivano a trovar le parole per descrivere quella strage degli innocenti; delle scuse, successive, dei giocatori, con Platini che disse: "Quando cade l'acrobata, entrano in scena i clown". Noi avevano soltanto un fermo immagine. Su una curva. E la notte di Puebla che si stava annunciando. In una trama sottile di ombre. Poi, cominciarono ad arrivare, a frammenti, a schegge, le notizie: ci sono stati dei morti. Tanti. Un massacro. Restammo attoniti, ricordo il volto di Enzo Bearzot diventare di pietra. Puebla si trasformò in un antro oscuro, come i nostri cuori. L'arrivo della nazionale inglese era previsto per la tarda mattinata del giorno dopo a Città del Messico, in uno degli alberghi lussuosi del centro. Con i colleghi Antonio Corbo e Franco Esposito decidemmo di partire all'alba per andare a intervistare i giocatori britannici, per avere le loro testimonianze. Trovammo Trevor Francis, attaccante della Sampdoria, ai bordi della piscina. Il giornale aperto, lo sguardo perduto nel vuoto. Ci disse, soltanto: "Mi vergogno di essere inglese". Sono passati trent'anni e abbiamo tutti il dovere di non dimenticare. Quei 39 morti appartengono a tutti noi. Questi sono i giorni delle commemorazioni. E di libri che consiglio di leggere, cominciando dal lavoro di Francesco Caremani: "La verità di una strage annunciata", l'unico libro ufficialmente riconosciuto dall'Associazione familiari vittime Heysel, Bradipolibri. "Il giorno perduto", Racconto di un viaggio all'Heysel di Antony Cartwright e Gian Luca Favetto, traduzione della parte inglese di Daniele Petruccioli (66THAND2ND editore): un romanzo epico e poetico. E Mario Desiati, "La notte dell'innocenza", Heysel 1985, memorie di una tragedia, Rizzoli: una narrazione forte, incalzante, incisiva.

27 maggio 2015

Fonte: Huffingtonpost.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 27 MAGGIO 2015 

Strage Heysel, trent'anni e 39 morti dopo

Dalla Z alla A: tutto andò al rovescio

di Sauro Legramandi

Ecco come e perché persero la vita 39 persone: biglietti venduti a caso e più della capienza dell'impianto, poliziotti a caccia di ladri di salsicce mentre dentro lo stadio c'erano cadaveri, gendarmi con radio senza batterie, cantieri aperti dietro la curva inglese...

00:01 - Nulla sarà più come prima. Una frase forse inflazionata ma dopo la strage dell'Heysel davvero qualcosa nel calcio è cambiato. Il mondo, quella sera, ha scoperto in diretta televisiva la follia degli hooligans e l'insicurezza di tanti stadi in giro per l'Europa. Agli hooligans ha pensato la Thatcher, agli impianti sicuri gli Stati che temevano un Heysel-bis. Ma cosa accadde quel mercoledì di fine maggio 1985 ? Qualcuno si ricorda bene, qualcun altro ha fotogrammi sfuocati, a chi ha meno di 35 anni non torna in mente nulla. Di certo quella maledetta notte tutto andò al contrario. Tutto andò dalla Z alla A.

Z COME SETTORE ZETA - Il settore della morte: il tardo pomeriggio di mercoledì 29 maggio 1985 trentanove persone vi entrarono per assistere a una partita di pallone, la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool. Non ne uscirono più, ammazzate dalla ressa, dalla follia disumana e da una buona dose di negligenza delle istituzioni.

V COME VERGOGNA - Da trent'anni a questa parte curve di ogni parte d'Italia ciclicamente espongono indegni striscioni che inneggiano alla tragedia. Non ci siamo fatti mancare nemmeno cori, sciarpe del Liverpool con la scritta Heysel oppure magliette da calciatori con stampato Heysel al posto del nome e 39 come numero.

U COME UNDICI - I metri di distanza tra Michel Platini e Bruce Grobbelaar alle 22.58: il francese trasformò il calcio di rigore, il portiere raccolse il pallone alle sue spalle. Juventus-Liverpool finì così, 1-0 e tanto sangue.

T COME TRANSISTOR - Per ragioni di tipo politico e per la prima volta nella storia belga, la sicurezza all’interno dello stadio fu organizzata in modo diverso: fino a quella sera la polizia controllava l’esterno, la gendarmeria l’interno. Quel 29 maggio no: la polizia "monitorava" i settori M-N-O e la gendarmeria "vigilava" sull’altra curva, i settori X-Y-Z). Uno dei poliziotti presenti ricorda: le radio a transistor dei due corpi non potevano comunicare tra di loro, mancavano le batterie. 

S COME SERVIZIO D’ORDINE - Lo riassume il sito saladellamemoriaheysel.it: "Accanto alla rete che separava i settori Y (biglietti venduti solo ad inglesi) e Z (biglietti per i belgi ma finiti in gran parte in Italia) erano presenti solo cinque agenti, una poliziotta con il cane ed altri sei agenti erano sul prato, 28 gendarmi e un capitano erano fuori allo stadio ad inseguire uno o forse due rapinatori di 900 franchi belgi (22.31 euro) dalla cassa di un venditore di salsicce"

R COME RAI - RaiUno doveva trasmettere l’evento sportivo dell’anno 1985, la riscossa del calcio italiano dopo la sconfitta nella Coppa dei Campioni 1984 della Roma all’Olimpico proprio contro il Liverpool. La voce, provata, di Bruno Pizzul raccontò sì l’evento dell’anno 1985 ma di sportivo non ci fu nulla. La tv tedesca scelse di non mandare in onda la gara. Quella austriaca lo fece ma senza commento e con la scritta in sovraimpressione "Questa che trasmettiamo non è una manifestazione sportiva".

Q COME QUATTROCENTOMILA - E’ il numero di richieste per i biglietti per la finale. Poi i tagliandi staccati effettivamente furono 58mila, anche se la capienza certificata dello stadio non superava i 50mila posti. Un biglietto per il settore Z costava in Belgio 9600 lire ed era destinato a spettatori locali. Per colpevoli carenze nei controlli, quei tagliandi finirono quasi tutti in mano a bagarini e agenzie che li rivendettero in Italia a circa 80mila lire: così gente senza scrupoli trasformò il bloc Z in una polveriera.

P COME "PAPA’ MA A CHE ORA COMINCIA LA PARTITA ?" - Domanda che i quarantenni di oggi ricordano bene. Le risposte furono le più differenti possibili.

O COME ORARIO - La prima carica degli hooligans fu alle 19.09. La "partita" iniziò alle 21.36. Platinì segnò il rigore alle 22.58. L’ultima autopsia fu conclusa all'una del 30 maggio 1985.

N COME NOTHOMB - All’anagrafe Ferdinand Nothomb, all’epoca ministro dell’Interno del Belgio. Non ritenne necessario dimettersi dopo i fatti dell’Heysel.

M COME MAHIEU - Johan Mahieu, capitano della gendarmeria quella sera. Un carneade, o poco più: la sera della mattanza sostituiva il collega parigrado malato. Con due piccoli dettagli: era al debutto al comando della gendarmeria in servizio in uno stadio e non aveva partecipato a nessuna delle riunioni sulla sicurezza allo stadio...

L COME LORENTINI - Una famiglia segnata dall’Heysel: Roberto, 31enne medico di Arezzo e papà di due bambini, morì a bordocampo. Otello, suo padre, non si è mai rassegnato ed è stato l’anima dell’Associazione familiari vittime dell’Heysel. Andrea, suo figlio, nel gennaio 2015 fonda l’Associazione vittime dell’Heysel. "Saremo a Torino per la commemorazione ufficiale - ha detto - e volevamo presentare un monologo sull’accaduto ma non ci siamo trovati d’accordo con la Juventus: per la Juve l’importante è ricordare, per l’Associazione è raccontare la verità"

I COME INTERNET - All’epoca la Rete aveva maglie larghissime quel maggio 1985, i cellulari erano quasi fantascienza. Figuriamoci sms, social network e whatsapp. Comunicare qualcosa divenne un’impresa. Per dire "Mamma, guarda che io sono vivo" esisteva solo il telefono fisso (con evidente sovraccarico) o tentare di farsi inquadrare alle spalle di Bruno Pizzul.

H COME HEYSEL - A rivedere oggi video e foto di quello stadio vengono brividi e rabbia. Ma come si poteva pensare di giocarvi una partita così importante ? Chi e perché lo ha deciso ? Quella sorta di Colosseo è stato abbattuto il 23 agosto 1994. Al suo posto ora c’è il "Re Baldovino".

G COME GIUSTO GIOCARE ? - E’ l’interrogativo che circola da quella sera. Trent’anni dopo ci si divide ancora sull’opportunità di scendere in campo. Inutile cercare la risposta corretta: oggi non si sa per certo nemmeno se i giocatori fossero a conoscenza dell'esatta dimensione della sciagura.

F COME FINALE - Appena scaduta la squalifica internazionale di dieci anni, allo stadio "Re Baldovino" si giocò un'altra finale continentale: era PSG-Rapid Vienna, andata in scena l'8 maggio 1996. In palio c'era la Uefa: vinsero 1-0 i francesi con gol di Bruno N'Gotty. Non si registrarono incidenti.

E COME EQUIPES DI RIANIMAZIONE - Per la trentesima finale di Coppa dei Campioni non ne era prevista nemmeno una in servizio allo stadio. Chiunque fosse stato colto, ad esempio, da infarto sarebbe stato caricato su una barella, messo su un'ambulanza e trasportato all'ospedale più vicino.

D COME DICHIARAZIONI - Al delegato dell'Uefa, la Juve consegnò una nota ufficiale prima di scendere in campo: "La Juve accetta disciplinatamente, anche se con l’animo pieno di angoscia, la decisione dell’Uefa, comunicata al nostro presidente, di giocare la partita per motivi di ordine pubblico". I capitani delle due squadre, Scirea e Neal, lessero agli altoparlanti il seguente comunicato: "La partita si gioca per consentire alle forze dell'ordine di organizzare l'evacuazione dello stadio. Mantenete la calma. Non rispondete alle provocazioni. Giocheremo per voi".  Mentre 39 persone morivano, in campo sul tabellone luminoso della Uefa si leggeva: "Si prega di contenere ogni manifestazione di gioia o di disapprovazione nei limiti della sportività e di collaborare con i servizi di sicurezza nell'esercizio delle loro funzioni". 

C COME CONDANNE - La Cassazione belga ha confermato nel 1991 le condanne a 4 anni con la condizionale e 60mila franchi per nove hooligans mentre altri tre hanno preso cinque anni e la stessa sanzione pecuniaria. Fu condannato a tre mesi con la condizionale Hans Bangerter, segretario generale Uefa. Sconto di pena (3 mesi) e 500 franchi di multa per il maggiore Kensier. Assoluzione per il capitano Mahieu. La responsabilità della Uefa come ente organizzatore fu riconosciuta grazie all’impegno dell’Associazione dei familiari.

B COME BASTONI E MATTONI - Semmai fossero approdati in Continente a mani vuote, gli hooligans poterono recuperare il "materiale di lavoro" da un cantiere incustodito a pochi passi dallo stadio. Tanto a perquisirli ci pensarono ben due poliziotti mentre a controllarne i biglietti c'erano un solo addetto.

A COME (CAUSE) ACCIDENTALI - E' la motivazione del decesso scritta in calce alle 39 autopsie effettuate quella maledetta notte da sei medici militari a Bruxelles.

Quindi per cause accidentali morirono: (Omissis Lista caduti)

27 maggio 2015

Fonte: Tgcom24.mediaset.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 27 MAGGIO 2015 

Heysel 1985-2015: 30 anni dopo quei 39 morti hanno tanti responsabili e nessun colpevole

E il calcio non è più lo stesso

di Luca Pisapia

Il 29 maggio 1985 a Bruxelles si consumò una delle peggiori tragedie della storia del calcio, sicuramente quella più nota perché avvenuta prima della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool. Da allora ad oggi tante inchieste e altrettante polemiche, una coppa che nonostante tutto fa bella mostra in bacheca a Torino, nessuna ammissione di colpa da parte di chi organizzò quel match folle. E le storie dimenticate di coloro che in quello stadio morirono.

Sono le sette e venti di sera allo stadio Heysel di Bruxelles, in campo due squadre di ragazzini belgi con indosso le maglie rosse e bianconere si stanno sfidando in attesa dell’incontro dei grandi, in cielo un bellissimo tramonto sembra disegnato apposta da Emile Claus per fondersi con i colori delle sciarpe e delle bandiere dei tifosi. Sono le sette e venti di sera allo stadio Heysel, quando qualcosa va storto. Quella che doveva essere la festa della finale di Coppa Campioni tra il Liverpool, che l’aveva vinta l’anno prima all’Olimpico contro la Roma, e la Juventus, che la stagione precedente aveva vinto la Coppa delle Coppe e poi a gennaio la Supercoppa Europea proprio contro i Reds, si trasforma in una tragedia. Alla fine di quasi due ore di panico e angoscia, di urla e di spaventi, di paura e di delirio, si contano 39 morti (di cui 32 italiani, il più vecchio di 58 anni e il più giovane di 11 anni) e oltre 600 feriti. Sono le nove e quaranta allo stadio Heysel di Bruxelles, e da quel maledetto 29 maggio del 1985 il calcio non sarà più lo stesso. Alle sette e venti, dopo le prime scaramucce tra tifosi del Liverpool (sistemati nei settori X e Y dello stadio Heysel) e della Juventus (che si trovano inopinatamente nel settore Z, lì a fianco), separati solo da una rete, un gruppo di inglesi rompe le deboli recinzioni che separano i settori e cerca lo scontro. E’ il panico. Chi cerca di uscire dai cancelli d’ingresso posti in cima li trova incredibilmente chiusi con i lucchetti, i vigili del fuoco decine di minuti dopo li dovranno rompere con le cesoie, chi prova a entrare in campo è ricacciato indietro dalla polizia belga, che entra in campo a cavallo sventolando i manganelli, senza capire cosa sta succedendo e senza aiutare nessuno. Anzi, aumentando il panico. A decine sono soppressi nella calca del fuggi-fuggi generale, e muoiono schiacciati. Altri per uscire dal settore Z provano a scavalcare il muro, che crolla sotto il loro peso schiacciando i fuggitivi. Alla nove e quaranta, quando è calata la notte e l’arbitro fischia l’inizio della partita, a terra ci sono già quei 39 morti di cui il calcio non si è mai assunto le responsabilità. Non è il disastro peggiore della storia, nel 1964 in Perù ci furono quasi 400 morti, nel 1982 in Russia circa 340, poche settimane prima dell’Heysel nel fuoco di Bradford morirono in 56 e pochi anni a dopo a Sheffield saranno 96. Ma è il più clamoroso. Perché è una finale di Coppa dei Campioni. Perché la tragedia avviene prima del calcio d’inizio, eppure si gioca lo stesso, a onta dei 39 morti. Perché le televisioni, a eccezione di quella tedesca, decidono di trasmettere lo stesso le immagini della partita, in un silenzio che puzza di morte. Perché ci si rende conto fin da subito che le responsabilità sono tanto degli organizzatori e delle forze dell’ordine quanto dei famigerati hooligans. Lo conferma l’inchiesta del giudice belga Marina Coppieters, che tre anni dopo condanna una decina d’inglesi a pochi anni di galera per omicidio colposo, ma soprattutto condanna la Uefa al risarcimento danni per le vittime in quanto ritenuta responsabile della strage. E se il presidente della Uefa Jacques Georges e il segretario generale Hans Bangerter non sono arrestati per un soffio nel dopopartita, Albert Roosens, allora presidente della federcalcio belga, e Johan Mahieu, responsabile dell’ordine pubblico, sono condannati a sei mesi di reclusione. I club inglesi, che allora dominavano in Europa, saranno squalificati per cinque anni dalle competizioni internazionali. I tifosi dei Reds negli anni seguenti racconteranno una verità terribile, confermata dalla commissione d’inchiesta affidata al giudice britannico Popplewell: infiltrati tra i presunti hooligans del Liverpool c’erano alcuni tifosi del Chelsea del gruppo di estrema destra Headhunters, membri dell’organizzazione neonazista Combat 18 e del partito National Front, tra cui addirittura due consiglieri comunali di Liverpool. I gruppi di neofascisti che dalla fine degli anni Settanta in Inghilterra approfittavano del calcio per aumentare il livello di tensione, e favorire la repressione delle proteste sindacali, si era spinto fino in Belgio. I tifosi bianconeri negli anni seguenti denunceranno di essere stati lasciati soli, dal club e dalle istituzioni calcistiche italiane. Quella sera si rompe il patto di fiducia tra società e tifosi, tra chi a Bruxelles ha visto morire amici e parenti e chi con quella partita ci ha guadagnato e vinto una coppa. I giocatori, eroi del Mundial spagnolo dell’82, ammetteranno infatti solo molto tempo dopo che sapevano dei morti prima di scendere in campo, molti di loro diranno che quella partita non si doveva giocare, ma quasi nessuno di loro all’epoca acconsentì di donare il premio partita alle famiglie delle vittime. La stessa Juventus non rinuncerà mai a quella coppa - nonostante le richieste che arrivavano dallo scrittore Italo Calvino all’allora direttore della Gazzetta dello Sport Candido Cannavò - ma si rifiuterà anche per anni di intrattenere rapporti con l’Associazione dei parenti delle vittime. Lo ha denunciato più volte il presidente dell’associazione Otello Lorentini, il cui figlio Roberto una volta uscito dal settore Z sceglie, da uomo e da medico quale era, di tornare indietro a cercare di salvare gli altri, e trova la morte. Ma la figura peggiore davanti a quella carneficina la fa la Uefa, che decide che the show must go on per non rimborsare biglietti e pagare penali alle tv. E non tornerà mai più indietro. Le responsabilità della Uefa risalgono a prima, alla decisione di fare giocare il match in uno stadio fatiscente, con mattoni di calcestruzzo talmente leggeri che alcuni tifosi fanno buchi nei muri per entrare. Alla decisione di vendere i biglietti del famigerato settore Z, a fianco dei settori X e Y riservati al Liverpool, sia agli italiani residenti in Belgio sia alle agenzie di viaggio italiane che organizzano i pacchetti, pur sapendo che l’anno prima all’Olimpico i tifosi del Liverpool e della Roma se le erano date di santa ragione. Le responsabilità della polizia belga sono evidenziate, oltre che dall’assurdo comportamento delle guardie a cavallo in campo, dalla decisione di utilizzare solo 5 (cinque !) poliziotti lungo le reti che dividono il settore X dallo Z, mentre fuori ne impiegano 40 (quaranta !) per inseguire un ragazzo che ha rubato un hot dog. Scaricate per anni le colpe sui tifosi inglesi brutti, sporchi e cattivi, di queste nefandezze le autorità del calcio e della politica non si sono mai assunte la responsabilità.

28 maggio 2015

Fonte: Il Fatto Quotidiano

ARTICOLI STAMPA e WEB 28 MAGGIO 2015 

Dalla Curva Z all’Internazionale degli hooligan: tre decenni inutili ?

di Alvaro Moretti

Tutto cominciò proprio all’Heysel: il mondo che - improvvisamente (ma non per i sociologi della scuola inglese) - scopre l’universo hooligan. Quelle masse impazzite che mettevano a rischio ogni singola partita in Inghilterra avevano seminato morte nel Continente. Poi venne Sheffield e la Thatcher che estromise un calcio inglese indegno e incontenibile dal consesso mondiale per permetterne la bonifica totale. E gli altri: a parlare e poco fare. Fino ad oggi: di morti per le conseguenze della mentalità hooligan ne abbiamo avute a decine, anche qui da noi. E il cerchio di questo uso del calcio strumentale per l’espressione della violenza fine a se stessa, trasversale, anche se politica si potrebbe anche chiudere col solito derby romano di coltelli e lacrimogeni. Con l’ufficializzazione della nascita di una Internazionale Hooligan. 30 anni dopo Heysel ci cadono le braccia. Thatcher dove sei ?

28 maggio 2015

Fonte: Leggo

ARTICOLI STAMPA e WEB 28 MAGGIO 2015 

Incuria e follia: 30 anni fa l'eccidio dell'Heysel

di Davide Martini

Più che una strage, quella che il 29 maggio di trent'anni fa invase i teleschermi degli italiani intenti a gustarsi il terzo assalto della Juventus a una Coppa dei Campioni che mai come quella sera si confermò stregata, fu una carneficina.

Bruxelles, Stadio Heysel, cronaca di un massacro annunciato.

Dopo due finali perse, la vittoria arrivò, ma è come se non ci fosse mai stata. Da Boniek a Tardelli, tutti i giocatori di quella Juve sono concordi nel sostenere che loro, la Coppa, è come se non l’avessero mai vinta. Tanto si è discusso e tanto ci si è scandalizzati perché a fine partita la squadra andò a festeggiare sotto la curva dei tifosi organizzati. Nei mesi successivi si scoprì che non tutti i giocatori erano ignari di quanto fosse successo, ma in ogni caso per salvare lo spettacolo i dirigenti dell’Uefa obbligarono a scendere in campo con 30’ di ritardo, insensibili agli orrori che si erano appena consumati in quello che, più che un settore, si era appena trasformato in un girone infernale, dal quale uscirono 39 cadaveri, 32 dei quali italiani. Nomen omen dicevano i latini, e la nomenclatura di quella parte dello stadio sembra confermarlo. 

Curva Z, un sinistro presagio finale.

In pochi tra i tifosi bianconeri che scelsero di partire per Bruxelles oggi possono raccontare come hanno potuto salvarsi dall’inferno. Perché molti che ce l’hanno fatta non vogliono più sentire parlare di calcio, mentre altri, la maggior parte, sono bambini di allora, miracolati dalla fortuna, o paradossalmente proprio dal crollo del muro, da un arto provvidenziale di un genitore, o da qualche isolato atto di eroismo, come quello di Roberto Lorentini, medico aretino di 31 anni, che andò incontro alla morte per provare a salvare dalla calca più vite umane possibili, e alla cui memoria è stata conferita la medaglia d’argento al valore civile. In trent’anni la distribuzione delle colpe è stata ondivaga, come l’elaborazione del lutto da parte dei famigliari delle vittime, dei tanti figli che hanno perso fratelli maggiori o padri, delle mogli e madri chiamate a riconoscere i mariti e i figli, trovati morti schiacciati, e spesso abbracciati. Per oltre vent’anni anche il club bianconero ha tenuto nascosto il dolore, come se parlarne potesse tornare a far sanguinare una ferita impossibile da rimarginare. Dal 2010, però, il ricordo è tornato a pulsare anche nel cuore della società, e dal 2012 all’interno dello Stadium 39 stelle d’argento con i nomi delle vittime, al fianco di quella di Gaetano Scirea, che da capitano quella sera fu chiamato a fare da speaker per invitare alla pazienza i tifosi degli altri settori, che non capivano le ragioni del rinvio. E che 4 anni dopo trovò una fine non meno assurda.

Ma cosa successe quella notte, e perché ?

In teoria la Z doveva essere assegnata alle famiglie, ma a causare la tragedia furono due peccati originali, quello di collocare i tifosi del Liverpool nei due settori adiacenti, e quello, strutturale, che vedeva le due zone separate da due basse reti metalliche, che i barbari non ebbero difficoltà a divellere. Le colpe degli pseudo-tifosi dei Reds sono fin troppo evidenti, al pari però degli incredibili errori organizzativi da parte degli organi competenti, responsabili di un’imperdonabile serie di sottovalutazioni. A partire dall’aver ignorato gli incidenti che si erano già verificati un anno prima, all’Olimpico di Roma, sempre ad opera dei tifosi del Liverpool nella finale contro i giallorossi. Per proseguire con l’assegnazione della finale a uno stadio del tutto sprovvisto delle necessarie misure di sicurezza, ma più di ogni altra cosa fatiscente. Bastarono pochi minuti infatti ai vandali per sfondare le irrisorie barriere e far crollare per la pressione il muro che si trasformò in poltiglia, con quei gradini a pezzi che diventarono prima oggetti da lanciare verso i tifosi bianconeri insieme a decine di razzi, e poi polvere. Quella che soffocò decine di persone uccise dalla calca umana formatasi dopo che i fortunati che riuscirono a mantenere l’equilibrio dovettero spostarsi per schivare i lanci, diventando così involontari assassini di sventurati finiti sotto i loro piedi. Gli altri morirono intrappolati, schiacciati dalla balaustra, o lanciandosi nel vuoto per evitare la calca. Il tutto di fronte all’indifferenza e alla totale impreparazione della polizia, presente solo, e in poche centinaia, di fronte al settore opposto dei tifosi organizzati della Juventus, e in poche unità all’interno della Z, inerme di fronte all’assalto, anzi, intenta a manganellare gli juventini che tentavano di fuggire dalla furia altrui. Chissà se qualcuno dei sopravvissuti è tra i 19.500 juventini che seguiranno la squadra a Berlino. Oggi i tempi sono cambiati, e le misure di sicurezza trasformate, e quelle immagini ingiallite probabilmente, e auspicabilmente, non più replicabili. Il Liverpool impiegò 10 anni prima di rivincere la Coppa dopo quella notte di sangue. Dopo altri 10, la Juventus è pronta a invertire la tendenza, aggiudicandosi quella che, per molti tifosi, sarebbe la seconda Coppa Campioni/Champions. Con 39 dediche già scolpite.

28 Maggio 2015

Fonte: 90min.com

ARTICOLI STAMPA e WEB 28 MAGGIO 2015 

La tragedia nello stadio Heysel di Bruxelles

di Andrea Pantaleo

Sulmona, 28 maggio - Sarebbe dovuta essere una serata di sport, allegria, folclore del tifo, gioia, emozioni, invece si trasformerà in una delle più grandi tragedie della storia del calcio e del mondo dello sport. Nella meravigliosa città di Bruxelles il 29 maggio 1985 è in programma la finalissima della coppa dei campioni, trofeo continentale europeo più prestigioso che un club di calcio europeo possa conquistare, che vedrà affrontarsi nello stadio Heysel due celebri club calcistici la Juventus che sin ora non ha mai vinto il prestigioso trofeo e il Liverpool che ne ha già conquistati quattro. Sin dalle prime ore del mattino in città iniziano ad affluire i tifosi delle due squadre con i loro cori di incitamento le loro meravigliose coreografie. Tutto sembra andare per il meglio, l’emozione e l’attesa aumentano con il trascorrere del tempo aspettando l’inizio della partita. Il meraviglioso sventolio delle bandiere delle due tifoserie, i cori, fanno da magnifica cornice al terreno di gioco. La tragedia si compie nella curva Z circa un’ora prima dell’inizio del confronto, con i tifosi inglesi che iniziano a spingere; le reti divisorie cedono e i supporter inglesi si dirigono dal loro settore X verso il settore Z occupato dai sostenitori italiani cercando un contatto con la tifoseria bianconera: ne seguiranno scontri e disordini. I tifosi della Juventus però sono stati collocati nei settori M, N, O opposti alla curva Z. Molti individui si avvicinano verso il muro per non essere schiacciati, alcune persone cadranno nel vuoto, altre rimarranno schiacciate; gli spettatori in preda al panico cercano una via di fuga verso il terreno di gioco riversandosi in massa nel campo nel panico generale. Si vivono fasi e attimi di terrore ed angoscia. Io allora quasi tredicenne resto sgomento dinanzi il televisore, sperando che il bilancio di ciò che sta avvenendo avanti ai miei occhi non assuma le proporzioni di una tragedia. All’interno dello stadio vi sono anche alcuni sulmonesi, tifosi della Juventus, che hanno deciso di recarsi allo stadio per assistere e sostenere la squadra del cuore nella finalissima della coppa dei campioni; torneranno fortunatamente tutti sani e salvi a casa. Con il trascorrere dei minuti la situazione precipita e si avranno anche risse e tafferugli; al termine il bilancio sarà agghiacciante: i morti saranno 39 i feriti oltre 600 per un bilancio terribile. Dagli spogliatoi escono i giocatori della Juventus: Antonio Cabrini, Marco Tardelli, Sergio Brio, Michel Platini, Zbigniew Boniek e tutti gli altri giocatori bianconeri che con un gesto di indimenticabile coraggio, ed encomiabile valore, si recano verso i tifosi bianconeri al fine di tentare di riportare la calma, un minimo di serenità e di verificare la situazione. Il Monarca del Belgio Sua Maestà Re Baldovino e la Sua Augusta consorte la Regina Fabiola saranno impegnati in prima linea in questa sciagura: riceveranno i parenti delle vittime nella camera ardente gesto che commuoverà e resterà per sempre nella memoria collettiva. Toccante, indimenticabile, l’appello al microfono dei due capitani delle squadre Gaetano Scirea della Juventus e Phil Neal del Liverpool rivolto ai tifosi, al pubblico, raccomandando loro di mantenere la calma, di non rispondere alle provocazioni, perché loro sono ansiosi di entrare in campo e di giocare per loro; grandi uomini e indimenticabili atleti dentro e fuori il terreno di gioco, ma gli scontri purtroppo continuano. Le autorità si dividono per quanto concerne il far disputare o meno la partita, alla fine si opta per far giocare la gara al fine di consentire il normale deflusso delle persone dallo stadio e acconsentire alle forze dell’ordine di disporre il servizio di sicurezza. Si gioca con il campo circondato dalle forze dell’ordine, in un clima d’assetto di guerra; per la terna arbitrale non sarà assolutamente facile dirigere questo incontro. Il signor Andre Daina delle Federazione svizzera dirigerà la partita con gran responsabilità e encomiabile professionalità. Commentare una partita un evento in una situazione così funesta è realmente arduo pertanto la telecronaca di Bruno Pizzul è spenta, con tono dimesso, priva di entusiasmi, rispettosa sia degli avvenimenti raggelanti che sono avvenuti, sia nei confronti delle persone tutte, la Sua cronaca televisiva è condotta con meravigliosa professionalità: tutti sono a conoscenza di quello che è accaduto all’interno dello stadio, le notizie purtroppo riferiscono di morti e feriti. Le squadre fanno il loro ingresso in campo per disputare la finale e i giocatori manifestano una lapalissiana apprensione e preoccupazione: i loro volti sono molto tesi. La Juventus schiera come titolari: Tacconi, Favero, Cabrini, Bonini, Brio, Scirea, Briaschi, Tardelli, Rossi, Platini, Boniek; il Liverpool risponde con i titolari Grobbelaar, Neal, Beglin, Lawrenson, Nicol, Hansen, Dalglish, Whelan, Rush, Walsh, Wark. La partita inizia con un ora e mezzo di ritardo e verrà vinta dalla Juventus per 1 a 0 grazie ad un calcio di rigore realizzato da Michel Platini all’undicesimo minuto del secondo tempo, decretato per un fallo di Gary Gillespie entrato in sostituzione di Lawrenson ai danni di Zbigniew Boniek lanciato verso la porta dallo stesso Platini. La città di Bruxelles viene posta in stato d’assedio da parte delle forze dell’ordine per evitare che gli scontri continuino all’esterno dello stadio. Al termine del confronto alcuni tifosi bianconeri festeggeranno la vittoria; tale comportamento darà vita a notevoli polemiche e critiche. Come conseguenza di questa tragedia per cinque anni assieme al Liverpool verranno squalificati anche altri club del calcio inglese da tutte le competizione indette dalla federazione UEFA. A seguito di questa disgrazia si approveranno normative sempre più rigide e severe sia per l’ingresso negli stadi, sia potenziando le misure di sorveglianza come le telecamere di vigilanza a circuito chiuso al fine di individuare nell’immediatezza del fatto eventuali autori di azioni illegali e curare al massimo le protezioni divisorie per separare le tifoserie. Sciagure di simili proporzioni dovrebbero insegnare e far apprendere, purtroppo molte volte non è così: si calpesta la memoria e si ripetono episodi di violenza all’interno degli stadi che non dovrebbero più avvenire. Son trascorsi trent’anni da questa drammatica serata e disastro che resterà per sempre nella memoria collettiva di chi ha vissuto quei drammatici momenti all’interno dello stadio e di tutti coloro che hanno assistito avanti il televisore e non sembrano neanche che siano passati trent’anni in quanto tutto è scolpito per sempre nella memoria e costituisce una ferita che mai si rimarginerà. Una serata di sport si trasformerà in una orribile notte di follia e di violenza. Un pensiero amorevole va alla memoria delle vittime, ai feriti, ai loro familiari tutti, con l’auspicio che simili tragedie non avvengano più.

28 maggio 2015

Fonte: Corrierepeligno.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 28 MAGGIO 2015 

La rabbia, il dolore, i ricordi: domani speciale sull'Heysel

In studio Pizzul che commentò la partita sulla Rai e l'ex portiere juventino Tacconi. Viaggio nella tragedia trent'anni dopo: 39 vittime prima della finale con il Liverpool.

Trent'anni, e sembra ieri. Trent'anni da quella terribile tragedia che sconvolse il mondo del calcio e tutta l'Italia. Lo stadio di Bruxelles diventato sinonimo di sangue, di dolore, di rabbia. Si giocò lo stesso, Juve-Liverpool e i bianconeri vinsero 1-0 la finale di Coppa Campioni. S'intitola così, molto semplicemente "Heysel 29 maggio 1985" e andrà in onda domani su GazzettaTv alle ore 21.35. Un appuntamento da non perdere. Per non dimenticare, per condividere il dolore che molte famiglie non hanno potuto cancellare. L'INFERNO - Uno speciale a 360 gradi, che parlerà di tutto, partendo da una premessa: la mancanza di una memoria condivisa sull'Heysel. GazzettaTv racconterà la tragedia raccontata con le immagini, le voci, le foto, le pagine della Gazzetta dello Sport, i libri e, naturalmente, i protagonisti di quella serata maledetta che è costata la vita di 39 persone (32 italiani) schiacciate mentre cercavano la salvezza. I feriti furono oltre 600. GazzettaTv ricorda le vittime indagando sulle cause che hanno scatenato l'inferno in uno stadio palesemente inadeguato e analizzando l'accaduto da molti punti di vista, non ultimo quello degli inglesi. IMPERSONALE - In studio ci saranno tre testimoni dell'orrore del 29 maggio 1985: Bruno Pizzul (telecronista della partita per la Rai), Stefano Tacconi (che difendeva la porta della Juventus) e Simone Stenti, giornalista e sopravvissuto alla carneficina sugli spalti. Lo speciale prenderà il via nel minuto in cui la partita cominciò trent'anni fa. Pizzul, che decise di commentarla "nel modo più neutro, impersonale e asettico possibile" spiegherà quei terribili momenti, la difficoltà di raccontarli a milioni di italiani. La televisione tedesca si rifiutò invece di trasmettere la partita, quella austriaca scelse di non commentare con una scritta in sovraimpressione che recitava: "Questa che andiamo a trasmettere non è una manifestazione sportiva". "SAPEVAMO" - Tacconi ha detto e ripetuto più di una volta: "In corpo avevo una rabbia incredibile. Io, come i miei compagni, abbiamo giocato soprattutto per quei tifosi. Lo sapevo io, lo sapevano tutti. Non il numero delle vittime, questo no. Ma sapevamo che era successo qualcosa di gravissimo. Lo capimmo subito: da quando, negli spogliatoi cominciammo a vedere arrivare i nostri tifosi". Dopo quasi un'ora e mezzo, alle 21.40 le due squadre entrarono in campo. La Juve consegnò una nota ufficiale: "Accettiamo disciplinatamente, anche se con l'animo pieno di angoscia, la decisione dell'Uefa, comunicata al nostro presidente, di giocare la partita per motivi di ordine pubblico". I capitani, Scirea e Neal, lanciarono ai tifosi un appello straziante: "Mantenete la calma. Non rispondete alle provocazioni". A trent'anni di distanza rabbia e dolore non sono passati. g.lo.

Fonte: Gazzetta dello Sport

ARTICOLI STAMPA e WEB 28 MAGGIO 2015 

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