La vecchia Juve non molla
"Caro Trap ci teniamo la coppa"
di Domenico Latagliata
Torino - Il Trap ha gettato il sasso
nello stagno. Ma nessuno ha apprezzato davvero. Venticinque anni
dopo, parlare della tragedia dello stadio Heysel nella cornice
del Chiambretti Night e affermare che "sotto l'aspetto etico e
umano, l'ipotesi di restituire la Coppa può anche essere presa
in considerazione" non piace a chi ha vissuto davvero quel
giorno lì. Un giorno maledetto, lo sanno tutti: 29 maggio 1985,
39 morti per una partita di calcio. Assurdo, ma vero. Juventus e
Liverpool giocarono lo stesso: i bianconeri vinsero 1-0 con un
rigore di Platini, oggi presidente Uefa, per un fallo commesso
su Boniek ai limiti dell'area. La squadra quasi al completo
festeggiò sul campo, quando forse non tutto era ancora chiaro ma
molto già si sapeva: le polemiche si sprecarono e sono andate
avanti per anni. Oggi il dibattito potrebbe riaccendersi proprio
sulla scia delle parole di Trapattoni, all'epoca allenatore
della Juventus. "Dissi ai commissari di campo che erano matti a
farci scendere in campo - ha spiegato a Chiambretti l'attuale CT
dell'Irlanda. E' una macchia che rimane, anche se la partita fu
comunque vera. Forse però oggi si potrebbe prendere in
considerazione la possibilità di restituire il trofeo". "Quella
Coppa rappresenta un momento particolarmente drammatico per
tutto il calcio - è invece il parere di Roberto Bettega, oggi
vicedirettore generale della Juventus che, da calciatore, ha
inseguito per tutta la carriera la vittoria della coppa Campioni
senza mai riuscire a centrarla. Conservarla non significa
soltanto celebrare il valore sportivo della squadra che la
vinse, ma soprattutto ricordare le vittime di quella tragedia e
alimentare un'idea di calcio diversa". Analogo il parere di
Platini: "La partita fu giocata. Gli inglesi la volevano
vincere, noi pure: ci furono anche momenti aspri di gioco e la
coppa è finita a chi ha meritato la vittoria. Il resto,
purtroppo, è una tragedia che non si può e non si deve
dimenticare". Per la serie: caro Trap, pensiamo ad altro. "Dopo
tutti questi anni, anche il mister comincia a invecchiare - dice
Stefano Tacconi, portiere titolare di quella Juventus. Ci sono
tante altre cose di cui parlare per provare a migliorare il
calcio". "È tutto ormai molto lontano nei tempi, la strage c'è
stata e non la si potrà mai dimenticare - spiega Paolo Rossi. Si
può fare di tutto, ma la storia e gli episodi restano: morti
compresi. Se uno ricorda l'Heysel, lo fa per la tragedia che c'è
stata e per nessun altro motivo. Nessuno di noi si è mai vantato
di avere vinto quella Coppa: è stato tutto troppo devastante per
essere ricordato come un trionfo. Dopo di che, riconsegnare oggi
quel trofeo sarebbe un gesto simbolico e nulla più". Senza peli
sulla lingua, come di consueto, Zibì Boniek: "Non mi sono mai
vantato di quella vittoria e non ho mai incassato una lira del
premio che la società ci aveva garantito, devolvendo tutto alle
famiglie che sono uscite distrutte da quella serata. Per me si
tratta di una coppa non vinta ed è un peccato che sia andata
così perché, dopo avere già battuto il Liverpool nella
Supercoppa europea, avremmo avuto la meglio sul campo anche
quella sera. La proposta di Trapattoni, dopo tanto tempo, è
fuori luogo: restituire la coppa oggi non sta né in cielo né in
terra. Piuttosto, non si sarebbe dovuto festeggiare nulla a fine
partita e infatti io me ne tornai negli spogliatoi senza nemmeno
toccare il trofeo. Se oggi si volesse dare un segnale concreto,
chi ha incassato i soldi del premio li potrebbe devolvere con
gli interessi alle associazioni che ricordano la tragedia". "Non
capisco le parole di Trapattoni - commenta Sergio Brio. Il
rispetto per la sofferenza delle famiglie è assoluto e non va
mai dimenticato che trentanove persone hanno perso la vita: però
fu proprio il Trap a dirci che la partita sarebbe stata valida e
che i disordini avevano provocato un solo morto. A distanza di
tanti anni non vedo perché lanciarsi in affermazioni del genere.
Io e i miei compagni siamo stati vicini come abbiamo potuto a
chi ha sofferto, ma sportivamente abbiamo giocato e vinto come
ci era stato chiesto da più parti. Si è trattato indubbiamente
del giorno più triste ma anche più bello della mia carriera,
visto che uno sogna fin da bambino di vincere la coppa
Campioni". La proposta del Trap, insomma, non piace. La Coppa
rimarrà dov'è e la Juventus si prepara a ricordare le 39 vittime
non solo il prossimo 29 maggio: nello stadio che sta sorgendo al
posto del Delle Alpi, ci sarà infatti un luogo per ricordare la
giornata più assurda di tutta la storia del calcio.
1 aprile 2010
Fonte: Ilgiornale.it
ARTICOLI STAMPA e WEB APRILE
2010
29 maggio 1985. Nello stadio Heysel di
Bruxelles si scrive una delle pagine più nere dello sport. Poco
prima della finale di Coppa dei campioni tra Juventus e
Liverpool si scatena l'inferno. Circa un'ora prima della
partita, alcuni facinorosi del Liverpool cominciano a spingersi
verso il settore Z, dove si trovavano gli italiani che si erano
organizzati autonomamente- mentre quelli arrivati con i club
erano stati collocati nella curva N opposta a quella riservata
ai tifosi inglesi. Dal blocco dei "reds" si staccano prima
alcuni hooligans che cominciano ad attaccare gli juventini, poi
tutti in massa cercando il take an end ("prendi la curva") e
sfondando le inadeguate reti divisorie. La spinta diventa più
forte, gli inglesi invadono il settore occupato dagli italiani,
che spaventati tentano di abbandonare di corsa le gradinate.
Nella grande calca alcuni subiscono lo scontro con gli inglesi,
alcuni si lanciano nel vuoto per evitare di rimanere
intrappolati, altri tentano di scavalcare ed entrare nel settore
adiacente, altri rimangono schiacciati contro le recinzioni. I
rari poliziotti che arrivano non riescono a sedare i tumulti, ma
raccolgono solo i primi feriti. Intanto gli attacchi dei
guerriglieri inglesi continuano e la folla italiana si accalca
in uno spazio angusto e all'improvviso per il troppo peso il
parapetto cede: molte persone sono travolte, schiacciate e
calpestate nella corsa verso una via d'uscita. Il conto finale
sarà di 39 morti e 600 feriti. Fra questi anche un reggiano: il
giovane fotografo Claudio Zavaroni, l'ultima vittima italiana
che fu identificata. LE TESTIMONIANZE. Fra le
prime testimonianze reggiane che compaiono sulla Gazzetta di
Reggio del 31 maggio, c'è quella di Ianni Giaroli, già titolare
del Condor, di rientro in aereo dalla partita all'Heysel, dove
aveva trovato un posto a sinistra della "gradinata della morte"
che racconta: "Uno schifo, una vergogna, un vero e proprio
assassinio di massa, cui purtroppo, io e altri abbiamo assistito
impotenti... Che sarebbe finita in tragedia l'ho capito quando i
tifosi hanno sparato i primi bengala in mezzo ai bianconeri, che
erano stati sistemati proprio a fianco loro ma che se ne erano
stati buoni il più lontano possibile.
Gli inglesi - continua
Giaroli - poi hanno cominciato ad attaccare prima una trentina,
poi tutti assieme e saranno stati un migliaio. I tifosi italiani
sono stati spinti verso il basso, poi quel tonfo sordo.
Il muro che è crollato, e la
gente che veniva spinta verso il vuoto e precipitava.
Ma la cosa più vergognosa è
accaduta subito dopo il disastro, quando sulla gradinata non
sono rimasti che i cadaveri degli italiani, con i tifosi inglesi
che saltavano di gioia in mezzo ai corpi per festeggiare la loro
orribile vittoria". Dall'altra parte dello stadio i tifosi
juventini del settore N e tutti gli altri sportivi accorsi allo
stadio sentirono le voci dello speaker e dei capitani delle due
squadre che invitavano alla calma e in pochi si resero conto di
quello che stava realmente accadendo.
"Solo poco prima delle 22 ci
siamo resi conto di quanto era realmente accaduto, abbiamo
capito che la carica dei "reds" aveva causato decine di feriti -
racconta Alberto Camuncoli, allora diciottenne, in un'intervista
al ritorno da Bruxelles. "Noi per fortuna eravamo giusto dalla
parte opposta - continua la diciannovenne Cristina Serrao - non
abbiamo visto tutto anche perché avevamo il sole negli occhi".
Sempre nelle stesse pagine
del quotidiano locale si legge l'accusa di un altro tifoso
reggiano in trasferta a Bruxelles, Romano Zampinetti: "Non è
possibile organizzare una finale di una Coppa dei campioni in
uno stadio vecchio, piccolo, e con solo una decina di poliziotti
a controllare quei maledetti teppisti inglesi". Altre
testimonianze sottolineano come gli inglesi fin dal primo
pomeriggio girassero ubriachi per la città e agli ingressi dello
stadio non avessero subito alcun controllo riuscendo a portare
all'interno casse di birra.
20 maggio
2010
Fonte: Reporter.it
ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO
2010
Anche Platini sabato a Torino
TORINO -
Sabato, per la commemorazione dei 39 angeli caduti
all’anniversario di quella tragedia, è atteso anche Michel
Platini.
Il presidente dell’Uefa ha
detto a Madrid alla vigilia della finale di Champions che non
mancherà.
E con lui ci saranno i
compagni bianconeri di quella Juve che sollevò la Coppa Campioni
al cielo con la morte nel cuore.
La Juve per sabato ha
predisposto una commemorazione, in mattinata (ore 10), nel
cortile della sede dove c’è il cippo che ricorda i caduti: vi
parteciperanno i parenti delle vittime, i dirigenti e i
giocatori di allora.
La messa successiva verrà
celebrata invece alla Gran Madre.
Parteciperanno anche i
giocatori di oggi e le giovanili.
CON I FAN - I tifosi,
inoltre, hanno allestito questo programma. Sabato: ore 11, a
Torino, celebrazione della messa in suffragio delle vittime
dell’Heysel, nella cappella della chiesa di Santa Rita,
nell'omonima piazza; dalle ore 12,30 alle 14: ritrovo e raduno
dei partecipanti in piazzale Caio Mario, davanti allo
stabilimento della Fiat Mirafiori; ore 14: inizio della
manifestazione con il ricordo dell’Heysel e alcuni interventi
sulla Juventus e su calciopoli; ore 16: inizio della marcia
pacifica verso la sede della Juventus in, corso Galileo
Ferraris.
A LIVERPOOL - In ricordo
delle vittime dell’Heysel, anche Liverpool ha in programma una
celebrazione ufficiale alla quale parteciperanno Sergio Brio,
Gianluca Pessotto e Phil Neal. Domani - il giorno prescelto -
verrà posta una targa davanti all’Anfield’s Centenary Stand. Una
delegazione verrà anche a Torino sabato: tra questi l’ad
Christian Purslow e il responsabile delle finanze Philip Nash.
25 maggio
2010
Fonte: Tuttosport.com
ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO
2010
Sfilata juventina
Si ricordano i 25 anni dell'Heysel
A Venticinque anni dalla tragedia
dell'Heysel, dove morirono schiacciati dalla folla 39 tifosi
juventini, i supporters bianconeri organizzano sabato una
giornata della memoria: il programma ancora in via di
definizione prevede la celebrazione eucaristica nella chiesa di
Santa Rita (ore 11, poi dalle 14 ritrovo davanti piazzale Caio
Mario e alle 16 sfilata verso la sede della Juve in corso
Galileo Ferraris. Si raccoglieranno firme per chiedere al Comune
di mantenere fede ad una delibera già approvata nel 2009 per
intitolare una via ai morti dell'Heysel.
26 maggio
2010
Fonte: La
Stampa
ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 2010
Il Liverpool ricorda le vittime di
Bruxelles
Come farà la Juventus nella giornata di
sabato, anche il Liverpool ha ricordato le vittime dell’Heysel.
Ieri ad Anfield Road è stata organizzata una cerimonia di
commemorazione durante la quale è stata scoperta una targa che
resterà all’interno dello stadio per ricordare per sempre i 39
morti della tragedia che si consumò in occasione della finale di
Coppa dei Campioni del 1985. Presenti i dirigenti del Liverpool
e alcuni giocatori della squadra di allora, Kenny Dalglish,
Sammy Lee e il capitano Phil Neal. Per la Juventus hanno partecipato
Gianluca Pessotto, in rappresentanza della società, e Sergio
Brio, che il 29 maggio 1985 era in campo. E' stato proprio
quest’ultimo a raccontare le emozioni provate nel corso della
cerimonia: "E' stata bellissima e toccante. I dirigenti del
Liverpool hanno dimostrato di tenerci in modo particolare. E'
sempre difficile parlare di quanto accadde quella sera, anche a
distanza di anni, ed è importante che anche il Liverpool, come
la Juventus, voglia continuare a commemorare le vittime, che
resteranno sempre nel ricordo di tutti noi".
27 maggio 2010
Fonte: Juventus.com
ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO
2010
Siamo ancora prigionieri dell'Heysel
di Roberto Beccantini
TORINO - Sabato saranno venticinque
anni. La tragedia dell’Heysel è come l’ombra: ci fugge e ci
insegue da un quarto di secolo. Trentanove tifosi morti
calpestati per Juventus-Liverpool, una partita di calcio: ecco
l’enormità della "notizia", in assoluto e, soprattutto, in
relazione al fato e al fatto, ai lutti e al movente che li
seminò. Gli inglesi, loro, capirono subito la lezione e
adeguarono i provvedimenti legislativi all’esigenza di cambiare
il modo di vivere "lo" stadio e "nello" stadio. Noi no, noi
siamo rimasti prigionieri dell’ipocrisia e del labirinto. Domani
a Ginevra si assegnano gli Europei del 2016 e l’Italia rischia
di perdere contro Francia e Turchia, non solo o non tanto perché
il presidente dell’Uefa è il francese Michel Platini, in campo a
Bruxelles quel mercoledì maledetto, ma perché i nostri colossei
sono diventati potenziali Heysel nelle strutture, sempre più
giurassiche, e nella civiltà sportiva degli abitanti, sempre più
selvaggi. Sprecata l’occasione di Italia ‘90, quando ci
abbuffammo di cemento ed edificammo stadi esagerati, la furia
onnivora della televisione ha contribuito a svuotarne l’anima (e
poi le tribune: non viceversa). L’Heysel rappresenta un’eredità
che troppo spesso abbiamo abbandonato ai familiari delle
vittime, se non, addirittura, ai guizzi degli archivisti. Ci
siamo rimpinzati di slogan - modello inglese, tolleranza zero -
e, ammesso che sia un segno del progresso, si muore meno sulle
gradinate e di più negli autogrill; "il calcio in mano agli
ultrà", pronunciato da Fabio Capello in tempi non sospetti,
rimane la summa del "disordine nuovo", fra caccia al razzismo e
razzisti a caccia. Con qualche agente, sullo sfondo, di
grilletto facile e manganello sbrigativo. Non che all’estero
siano tutti chierichetti, ma da noi si vive in uno stato di
estrema e perenne emergenza: nel penultimo turno del campionato
scorso, Genoa - Milan è stata disputata a porte chiuse per la
paura che un fatto di sangue risalente a quindici anni prima
potesse servire, ancora, da miccia per implacabili e odiose
vendette. La morte dell’ispettore Raciti (2 febbraio 2007) portò
a una mobilitazione generale, con impegni solenni dei politici.
La montagna della "rivoluzione culturale" ha partorito tre
topolini: i tornelli, i biglietti nominativi e la tessera del
tifoso alla quale Daniele De Rossi ha replicato con la tessera
del poliziotto. La via italiana alle pari schedature: non
proprio il massimo, nei giorni della memoria.
27 maggio
2010
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO
2010
La memoria prigioniera dell’Heysel
di Francesco Caremani
Un monumento, tre targhe, un cippo,
piazzali intitolati non possono riempire il vuoto di 25 anni,
tra silenzi e meschinità d’ogni genere, di 39 tifosi morti (32
italiani) prima di una finale di Coppa dei Campioni. Era il 29
maggio dell’85, era Juventus-Liverpool. Una strage che ha
insegnato poco o niente al calcio europeo, italiano in
particolare, senza dimenticare che ogni volta che si ripete
quell’assurda violenza da stadio i familiari delle vittime di
Bruxelles sentono acuirsi il dolore che non è mai passato e mai
passerà, nutrito dal vuoto di chi non c’è più. E' mancato il
magistero, è mancata la memoria, quella della Juventus, quella
delle istituzioni politiche e sportive, in entrambi i casi sia
italiane che europee. Altrimenti oggi tutti saprebbero del
faticoso processo dell’Associazione dei familiari, avrebbero
conosciuto la forza di Otello Lorentini, fondatore e presidente,
che all’Heysel ha perso il figlio Roberto, così come Daniel
Vedovatto, il giovane avvocato italo belga che da solo si è
battuto contro i migliori principi del Foro inglesi ed europei,
che difendevano gli hooligans e l’Uefa. "Il clima era
chiaramente ostile", dice Paolo Ammirati, avvocato aretino
dell’Associazione. Lo stesso Daniel Vedovatto non ha avuto vita
facile nelle prime fasi del dibattimento. "Quando abbiamo
ottenuto, grazie all’opera di Lorentini, la condanna dell’Uefa -
ricorda Vedovatto - nessuno ne ha parlato e questa è stata
un’ingiustizia. Ce ne sono state tante in questa vicenda, ma
questa Otello non se la meritava". Alla fine pochi hooligans
sono stati individuati e condannati, a pagare restano Roosens,
presidente della Federcalcio belga, Mahieu, capitano della
gendarmeria e Bangerter, segretario generale dell’Uefa: "Non era
facile convincere la Corte a condannare l’Uefa, organismo
potente che gestiva da padrone il calcio europeo", replica
Vedovatto. Una sentenza, quasi sconosciuta, che ha fatto
giurisprudenza e che ha condannato il massimo organismo
calcistico europeo alla corresponsabilità degli eventi che
organizza, da qui maggiore sicurezza per tutti e stadi per le
finali scelti secondo determinate caratteristiche, perché
l’Associazione dei familiari delle vittime non ha combattuto
solo per avere giustizia, ma perché un altro Heysel non
accadesse più. Dopo tanti altri lutti e dopo tanto silenzio, 25
anni dopo, anche la Juventus ha deciso di ricordare le vittime
di Bruxelles. Ha invitato, per domani, tutti i familiari a
Torino per una messa alla quale, pare, saranno presenti anche
Zibì Boniek, che di quella sera non ha mai voluto parlare, e
Michel Platini, il "clown che entrò in campo dopo l’acrobata" e
che oggi, scherzi del destino, è Presidente Uefa. Non tutti
andranno, alcuni per riguardo a chi la memoria l’ha rispettata
ogni 29 di maggio, altri perché impossibilitati, quasi tutti
però intimamente soddisfatti dell’iniziativa. In questi ultimi
giorni sono arrivate le scuse televisive di Marco Tardelli e
Andrea Agnelli, neo presidente bianconero, ha scritto una
lettera a Otello Lorentini. E' un primo piccolo passo verso la
memoria. Ma, oggi come ieri, non c’è poesia nel ripercorrere lo
Spoon River dell’Heysel.
28 maggio 2010
Fonte: Avvenire.it
ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO
2010
Heysel, un orrendo monumento
all'inciviltà da tenere in vita
di Stefano Benzi
Sono già passati venticinque anni: lo
ricordo bene perché cominciai a lavorare proprio quell'anno lì,
nel 1985. Anche se quello di cui mi occupavo non erano certo la
Coppa dei Campioni e nemmeno la Serie A. Ricordo la voce di
Bruno Pizzul rotta dall'emozione e forse dal pianto, nel
disperato tentativo di fare chiarezza su quanto ancora non solo
non si sapeva, ma nemmeno si capiva: "Scusate... Non vorrei
farlo ma devo... Devo dirlo. Ci sono delle vittime". Mi
risuonano così, più o meno, nella memoria le parole di Pizzul.
Fino a quel momento la regia internazionale aveva inquadrato
poco o nulla di quello che stava accadendo: immagini lontane,
non molto nitide. Si percepiva solo un gran clima di confusione,
e di paura. Da quel momento, da quando Pizzul pronunciò quelle
parole, cambiò tutto. Non era più una partita di calcio, non era
più la finale di Coppa dei Campioni: la tv si era trasformata in
un catalizzatore di emozioni, di rabbia e di angoscia. Stavo
rivivendo la stessa sensazione di quando, qualche anno prima, un
bimbo era caduto in un pozzo al Vermicino, a Roma: si chiamava
Alfredino Rampi. E tutta l'Italia aveva disperatamente seguito
in televisione la cronaca dei soccorsi, sperando nel lieto fine,
che non ci fu. Non sempre la televisione può portare il lieto
fine: non è fiction, non è reality-show, è realtà. E quella sera
la realtà dimostrò quanto l'uomo può diventare brutale,
scellerato, bestiale: anche se si tratta solo di una partita di
calcio. C'era un odio viscerale tra inglesi e italiani per tanti
motivi stupidi. I tifosi del Liverpool, che in Inghilterra erano
considerati i più violenti e aggressivi, volevano vendicarsi
degli incidenti e degli accoltellamenti subiti a Roma l'anno
prima, quando vinsero la finale di Coppa dei Campioni contro la
Roma ai rigori. Ma soprattutto c'era una disorganizzazione
assoluta: vergognosa. Lo stadio prescelto era un cesso, glorioso
ma fatiscente, privo di qualsiasi controllo e per nulla sicuro.
I tifosi inglesi, che entrarono per primi, accolsero i tifosi
della Juve con lancio di calcinacci, pezzi di ferro e lattine di
birra. Ma tutto l'accesso alle tribune fu confuso, disordinato e
per nulla adeguato all'importanza e ai rischi di una partita del
genere. Si sono scritti libri, tesi di laurea, intere
documentazioni su quello che è accaduto quella notte, nel
tentativo di trovare un colpevole: di espiare una colpa. La
verità è che ancora oggi sarebbe più opportuno trovare un
sentimento di pentimento o di perdono, da una parte e
dall'altra. Ed è difficile: così come è difficile ancora oggi
capire che cosa sia successo. C'è chi parla di provocazioni, chi
di aggressioni, chi di una disorganizzazione assoluta. L'alcool,
tanti i tifosi inglesi ubriachi fin dal pomeriggio,
l'inadeguatezza della struttura, la totale incapacità della
polizia belga nel governare una folla impazzita, la carenza nei
soccorsi... L'Heysel è un monumento funebre all'inciviltà: un
monumento che purtroppo verrà demolito. Ma come ci ricordiamo
degli orrori che il genere umano ha saputo provocare, forse
sarebbe utile ricordarsi anche di quello che è accaduto a
Bruxelles. E tenerne in vita l'orrore. Morirono 39 persone, 32
italiani; alcuni schiacciati, altri travolti, altri soffocati.
Uno di quei ragazzi, un medico di 31 anni che si chiamava
Roberto Lorentini, morì travolto mentre stava cercando di
rianimare un ragazzo che era rimasto schiacciato nella calca.
Credo sia difficile per chiunque esprimersi su un argomento così
difficile: è una ferita ancora aperta, e che forse non si
rimarginerà mai. Le squadre inglesi vennero escluse da qualsiasi
competizione per cinque anni; gli hooligans arrestati furono
solo venticinque, undici gli assolti, quattordici i condannati
con una pena massima di cinque anni di reclusione. La Uefa, le
cui colpe nella scelta della sede e nell'organizzazione della
partita erano evidentissime, corse ai ripari quando fu troppo
tardi. Tante cose si sono sapute solo più tardi, anche molto
tempo dopo: si seppe che i giocatori erano stati tenuti
all'oscuro di quanto era realmente accaduto e che erano stati
quasi costretti a giocare, sotto la minaccia di pesanti
sanzioni, per evitare disordini ancora più gravi. I tifosi
inglesi che rientrarono in patria il giorno dopo, appresero
delle 39 vittime, imbarcandosi al porto di Ostenda: alcuni di
loro tornarono indietro. Altri tornano nei pressi dell'Heysel
ogni anno... "per chiedere scusa, perché se oggi sono un uomo
migliore lo devo al sacrificio di persone che mi hanno
dimostrato che cosa potevo diventare se continuavo a essere
quello che ero" scrive Ian Gilmour, uno dei tifosi dei reds che
si trovò coinvolto negli scontri e che oggi si occupa di
recuperare dalla dipendenza giovani già condannati
all'alcolismo. Persone come Tony Evans, allora tifoso in
trasferta, ora responsabile delle pagine sportive del Times che
in questi giorni in una lunga intervista, lascia spazio a un
ricordo amaro e colmo di sensi di colpa: "I tifosi dell'Everton
ci dedicano uno sfottò che dice che trentanove italiani non
possono avere torto. E' un modo per dire che l'Heysel è colpa di
noi del Liverpool. E hanno ragione. Il torto era nostro, anche
mio". Oggi ci si fa la solita domanda: si doveva giocare ? Non
si doveva giocare ? Forse davvero la Juve avrebbe dovuto
lasciare quella coppa negli spogliatoi, sotterrarla insieme alle
sue vittime. Venticinque anni sono tanti, ma più ancora del
dolore è grande lo sconcerto, l'incoscienza di fronte a quello
che una folla impazzita è in grado di provocare. La Juve sta
costruendo il suo nuovo stadio: capisco che quelle 39 anime
stridono con il ricordo della prima Coppa dei Campioni,
conquistata in quel modo. E che sia più lenitivo dimenticare
piuttosto che ricordare. Perché il ricordo fa male: ma credo che
il ricordo di quanto accaduto debba essere forte, e vivo. Perché
ancora oggi, troppo spesso, andiamo drammaticamente vicino a
quegli eccessi, e ci avviciniamo agli eventi sportivi esaltando
il nostro lato più bestiale. D'altronde che il calcio dovesse
cambiare lo si capì in quel preciso istante: anche se di vittime
isolate e di stragi assurde ce ne sono state tante altre, come
quella di Hillsborough che colpì proprio la tifoseria del
Liverpool: 96 morti e 200 feriti. Avevano venduto troppi
biglietti e la polizia fece aprire un cancello non presidiato.
Il calcio doveva cambiare, e in effetti è cambiato: in qualche
caso troppo lentamente, in altri in modo troppo macchinoso. Ma è
sicuramente cambiato lasciandoci meno gioia, meno divertimento e
soprattutto meno spensieratezza. Dal 29 maggio di venticinque
anni fa il calcio non è più lo stesso, e non solo per le tante
vittime di allora ma anche per quella sensazione che ci pervade,
ogni volta che entriamo in uno stadio. Il senso di insicurezza
che ci fa pensare... "E se succede qualcosa...?
28 maggio 2010
Fonte: Eurosport.yahoo.com
ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO
2010
Torino ricorda la tragedia dell’Heysel,
una via in memoria
di Timothy Ormezzano
Per non dimenticare. Domani ricorre il
venticinquennale della tragedia dell’Heysel. In quella maledetta
sera del 1985 a Bruxelles morirono trentanove tifosi,
"colpevoli" di trovarsi nel momento sbagliato nel punto
sbagliato di uno stadio sbagliato, fatiscente, tanto da
sbriciolarsi sotto le cariche degli hooligans inglesi. Le parole
di Antonio Cabrini, uno dei protagonisti di quella tragica
finale di Coppa dei Campioni tra la Juve ed il Liverpool:
"Commemoriamo una tragedia come quella dell’Heysel perché non si
ripetano più certi errori. E’ stato fatto molto in tema di
sicurezza degli stadi e di gestione dei grandi eventi, ma non
ancora abbastanza". Cabrini sarà presente alla messa in
suffragio di domani alla chiesa della Gran Madre, al fianco dei
parenti delle vittime e di tanti ex compagni di squadra, a
cominciare dall’attuale presidente dell’Uefa, Michel Platini.
"Sento spesso ripetere - aggiunge Cabrini - che quella finale
non andava giocata, ma se non fossimo scesi in campo sarebbe
scoppiata la guerra. Noi giocatori, comunque, sapevamo poco o
nulla della gravità di quel che era accaduto. C’erano tante voci
incontrollate". Adesso, però, si guarda avanti. I sostenitori
juventini domani marceranno in ricordo dei caduti dell’Heysel.
Sarà l’occasione per chiedere ufficialmente alle autorità
comunali l’intestazione di una strada per i 39 caduti a
Bruxelles e al club l’istallazione di una targa commemorativa
nel nuovo stadio che sorge sulle ceneri del Delle Alpi. Un atto
dovuto, secondo il popolo bianconero. Da sottolineare che gli
innamorati del Torino hanno in Superga il luogo della memoria,
una lapide sulla quale piangere e ricordare. "E’ giusto che ci
sia una via o un monumento dedicato a quel tragico evento, come
hanno recentemente fatto ad Anfield, lo stadio di Liverpool.
Servirà soprattutto a rammentare a tutti quello che non dovrà
mai più succedere per una partita di calcio".
28 maggio
2010
Fonte: Leggo
ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO
2010
Commemorazione a Bruxelles
Nel giorno del 25esimo anniversario
della tragedia dell’Heysel, anche la città di Bruxelles
commemora le 39 vittime. Il sindaco di Bruxelles Freddy
Thielemans, informa una nota del comune, ricorderà la tragedia
con un discorso, prima di osservare un minuto di silenzio in
memoria delle 39 vittime. Per l'occasione, le porte dello stadio
resteranno aperte per tutti coloro che vorranno raccogliersi
davanti allo spazio 1985, luogo della memoria realizzato nel
2005. Il pubblico, dalle 11 del mattino, potrà visitare anche il
monumento commemorativo della tragedia allo stadio ribattezzato
"Re Baldovino", mentre sarà diffuso il reportage Requiem for a
Cup Final.
28 maggio 2010
Fonte: Juventus.com
ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO
2010
In memoria delle vittime dell'Heysel
Sabato 29 maggio è il venticinquesimo
anniversario della tragedia dell’Heysel. Nel 1985, nella serata
in cui i bianconeri vinsero la loro prima Coppa dei Campioni,
persero tragicamente la vita 39 persone allo stadio Heysel di
Bruxelles. Un dolore incancellabile, un ricordo sempre vivo nel
cuore degli juventini. Proprio sabato 29 maggio la Juventus ha
organizzato una commemorazione alla quale parteciperanno, oltre
agli attuali vertici societari e la squadra di oggi, le autorità
calcistiche italiane e internazionali, una rappresentanza del
Liverpool, alcuni giocatori della squadra che scese in campo
quella sera e i famigliari delle vittime. La prima parte della
commemorazione sarà nella sede della Juventus, poi la funzione
alla chiesa Gran Madre di Dio di Torino. E in questi giorni sono
molte le cerimonie in memoria della tragedia dell’Heysel: sempre
sabato, ad Arezzo, si giocherà la finale del 14° trofeo
giovanile intitolato a Roberto Lorentini, scomparso a Bruxelles,
a Reggio Emilia, il comitato "Per non dimenticare Heysel" ha
organizzato una commemorazione, mentre a Rutigliano, in
provincia di Bari, sarà intitolata una via alle vittime di
quella drammatica sera. A Liverpool invece sono state ricordate
mercoledì 26 maggio. Ad Anfield è stata posta una targa ricordo
nel corso di una cerimonia alla quale hanno preso parte i
dirigenti del Liverpool, alcuni ex giocatori di allora come
Kenny Dalglish, Sammy Lee e il capitano Phil Neal e, per la
Juventus, Gianluca Pessotto e Sergio Brio. Inoltre il 3 giugno,
in occasione dell’amichevole pre-mondiale Italia-Messico, in
programma a Bruxelles, verranno ricordate le vittime della
tragedia.
28 maggio 2010
Fonte: Juventus.com
ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO
2010
29 maggio 1985, la tragedia
Bruxelles, 29 maggio 1985. Doveva
essere una partita fantastica, di quelle destinate a rimanere
nella storia del calcio. Pochi mesi prima, la Juventus aveva
ospitato il Liverpool a Torino, in occasione della finale di
Supercoppa Europea. In una gelida serata, i bianconeri avevano
vinto 2-0 ed era stato uno straordinario momento di sport e di
lealtà, con i giocatori della Juve che ricevettero il trofeo
indossando la maglia degli avversari. In Belgio, la sfida è la
finale di Coppa dei Campioni. Si annuncia un match spettacolare,
invece sarà un lungo tunnel dell’orrore che cancellerà
totalmente la gioia per la conquista del titolo di campione
d’Europa per club. Prima del fischio d’inizio, in uno stadio che
presenta problemi notevoli dal punto di vista strutturale, gli
hooligans inglesi assaltano i pacifici sostenitori della
Juventus situati nel settore Z. È una strage, con 39 vittime e
oltre 600 feriti. Si vedono scene di follia senza precedenti,
nessuno si capacita che uno stadio di calcio possa diventare il
teatro di una guerra dichiarata contro gente pacifica, venuta
solo per partecipare a una festa in compagnia di amici e
familiari.
L’UEFA decide che si deve disputare la
partita, onde evitare che la situazione degeneri ulteriormente.
Le notizie sono confuse, si parla di feriti e di un morto, le
due squadre sono costrette a scendere in campo e onorano
l’impegno con serietà. La Juventus vince 1-0, ma conta poco: chi
vede in Italia la partita in tv è al corrente di quanto è
successo, conosce le proporzioni della strage.
Ecco il ricordo di Michel Platini,
fissato nella sua autobiografia "La mia vita come una partita di
calcio": "All’Heysel le curve X, Y e Z hanno un soprannome: sono
chiamate i parchi bestiame. Perché sono i posti meno cari e gli
spettatori, ammassati, rimangono in piedi. Parchi bestiame. Alle
19.30, quarantacinque minuti prima del previsto fischio
d’inizio, comincia la carneficina. Nella tribuna cuscinetto,
l’esplosione di violenza è pari alla leggerezza degli
organizzatori. I tifosi del Liverpool si gettano sul tramezzo
che separa le tribune Y e Z. Lo rovesciano e i primi scontri
avvengono nella parte alta della tribuna dei nostri tifosi. I
reds attaccano i bianconeri. Il panico è tale che il pigia pigia
verso il basso si trasforma in catastrofe. Il seguito non è che
dramma, tragedia. Con il suo corteo di vittime innocenti, con la
faccia livida di quei martiri, bambini e adulti, donne e uomini,
l’Heysel rimarrà impresso in tutte le memorie come un simbolo.
Quello del calcio, uno sport pieno di nobiltà e di dignità che
un pugno di teppisti ubriachi di birra e di violenza, attratti
più da una guerra fra tifosi che dallo scontro leale fra due
squadre, non ha esitato a profanare con gli oltraggi e il sangue
versato".
28 maggio 2010
Fonte: Juventus.com
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2010
L’Heysel
rappresenta un vero e proprio spartiacque nelle politiche della
sicurezza degli stadi. Non che i problemi siano stati tutti
risolti, come hanno dimostrato tanti episodi successivi, ma quel
che è certo è che la strage belga obbligò l’UEFA e il governo
inglese a una correzione di rotta, dopo avere assistito in
maniera impassibile per troppe stagioni all’emergere e al
consolidarsi del fenomeno degli hooligans. Le squadre della
federazione inglese vennero squalificate e per cinque anni
s’impedì loro la partecipazione alle coppe europee. Il Liverpool
ebbe una pena supplementare di tre anni, ridotta poi a uno, dopo
un altro evento luttuoso terribile: il 15 aprile del 1989,
allo stadio di Hillsborough,
morirono 96 persone schiacciate dai propri compagni. Ancora una
volta, le inefficienze di un impianto furono la causa di un
affollamento esagerato che non consentì vie di fuga a tanti
tifosi. In occasione dei Mondiali del 1990,
Italia e Inghilterra giocarono la finale di consolazione a Bari.
Gli atleti e i tifosi sugli spalti celebrarono la partita con
molto fair-play, unendosi in un abbraccio collettivo per cercare
di cancellare le tensioni precedenti che, a Torino, sede di
alcune gare della Nazionale inglese, avevano visto riemergere il
pericolo di incidenti. Dal 2000, all'interno dello stadio
Heysel, una targa commemorativa ricorda la tragedia e in
occasione del Campionato Europeo di calcio svoltosi in Belgio,
prima dell'incontro tra l’Italia e i padroni di casa, il
giocatore della Juventus e dell'Italia Antonio Conte ha deposto
una mazzo di fiori nei pressi del settore Z, a ricordo della
tragedia. Con lui, anche gli altri giocatori della Nazionale
italiana sono entrati in campo con un fiore nella mano sinistra.
Negli stessi giorni, le squadre giovanili di Juventus e
Liverpool hanno giocato una partita allo stadio Comunale di
Arezzo (città di due delle vittime).
Il 29 maggio 2005, è stata presentata
nel nuovo stadio Heysel, rinominato Re Baldovino, una meridiana
comprendente una pietra con i colori della bandiera italiana e
di quella belga.
Nella Champions League 2004-2005, a
vent’anni di distanza, Juventus e Liverpool si sono ritrovate
per la prima volta di fronte nei quarti di finale. Le due
società si sono impegnate a ricostruire un rapporto di amicizia,
con una serie d’iniziative che hanno visto i giocatori
dell’epoca partecipare in prima fila.
28 maggio 2010
Fonte: Juventus.com
ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO
2010
VARESE
Heysel, la notte prima del
massacro
di Luigi D. C.
Il ricordo di un varesino
che il 29 maggio 1985 si trovava a Bruxelles per assistere
alla partita tra Juve e Liverpool. I segnali di ciò che
sarebbe accaduto allo stadio non erano mancati. Ecco il suo
racconto.
"Il 29 maggio 1985 ero a Bruxelles, all’Heysel.
Sono uno dei tanti che è tornato a casa sano e salvo, anche
se ancora non riesco ad accettare che si possa non tornare a
casa dopo essere andati a vedere una partita di calcio. Quel
giorno ha fatto come da spartiacque, c’è un pre e un post
Heysel. Ricordo le discussioni da bar accese e sanguigne, le
"liti" con amici che avevano altri colori nel cuore. Dopo
quel mercoledì non sono più riuscito ad arrabbiarmi per un
evidente rigore negato, per un gol in netto fuorigioco.
Certo, di sicuro non servivano 39 vittime per capire, ma
finché discuti e vedi le cose in televisione, tutto sembra
irreale, finto. Poi ti trovi in mezzo al dramma, e la
prospettiva cambia. Sono arrivato a Bruxelles martedì
mattina. La città era quieta e paciosa, come noi ci
immaginiamo siano le città belghe, chissà perché. Mi
sembrava strano che quelle persone non sentissero la
tensione, non si rendessero conto che il giorno dopo la Juve
avrebbe alzato la sua prima coppa dei Campioni. Perché era
ovvio che sarebbe andata così, come lo era stato anche tutte
le altre volte che poi avevano vinto gli altri. Ma questa
era la volta buona, i campioni del mondo più Platini e
Boniek ci avrebbero fatto finalmente gioire. E poi io ero
lì, finalmente. Dopo tante finali di coppa di basket, per la
prima volta vedevo la mia Juve giocarsi la coppa che ci
mancava tanto. Tutti noi Italiani avevamo lo stesso sguardo
febbrile, tutti volevano la stessa cosa, tutti avevano lo
stesso sogno. Nel primo pomeriggio, in centro è cominciato
un po’ di movimento: gruppi di Juventini, al solito
caciaroni e invadenti, giravano per le strade sotto l’occhio
perplesso e un po’ scocciato dei Belgi, ai quali continuava
a non interessare nulla della partita. I primi tifosi
inglesi facevano sorridere. Gruppi di persone che cantavano
a squarciagola. I sacchetti del supermercato traboccanti di
lattine di birra facevano folklore. Erano questi i terribili
hooligans ? La battuta più ricorrente era "Se li ha messi in
riga la polizia italiana l’anno scorso a Roma, figurati qui
!". A conforto e supporto di questa idea gli articoli dei
giornali che, quasi disinteressandosi dell’evento sportivo,
mettevano in risalto l’accurato servizio di sicurezza
predisposto dai Belgi. Che le cose non stessero così ce ne
siamo accorti già la sera. Mi trovavo nella Grand Place, il
centro storico della città, ero seduto a un tavolino in
mezzo ad altri Italiani. Dall’altra parte della piazza un
gruppo di Inglesi, seduti e sdraiati per terra continuava a
fare quello che stava facendo dal mattino: beveva e cantava.
Voci e birre sembravano inesauribili e a noi tutto questo
continuava a far sorridere. Il gruppo degli Inglesi si
infoltiva, il rumore cresceva ma tra noi e loro c’era tutto
un mondo di distanza. Come ad un segnale, però, ai canti si
sostituirono cori contro di noi, i "fucking italians".
Qualcuno cominciò ad uscire dal gruppo per gridarci qualcosa
di suo, di personale. I primi di noi cominciarono ad
allarmarsi e a cercare di allontanarsi ma, come nutriti
dalla nostra paura, gli Inglesi si lanciarono in un vero e
proprio assalto, con lancio di lattine piene ad altezza
d’uomo. Mi sono riparato dietro una colonna e ho visto
l’inseguimento da lì dietro. Qualcuno degli Inglesi mi ha
visto, ma evidentemente era più divertente correre in gruppo
rincorrendo gli altri Italiani terrorizzati. La voglia di
Juve, della finale, della coppa, vinse facilmente su
quell’avvertimento serale per cui il giorno dopo mi sono
avviato allo stadio. L’Heysel era ed è in periferia e per
arrivarci si prendeva un treno. Nel mio vagone c’erano molti
Inglesi. La cosa stranissima è che molti di loro erano
travestiti, uno da frate, un altro da gobbo. C’erano un
pagliaccio e anche un guerriero vikingo. La cosa che
accumunava tutti era l’odore. Non solo alcool o sudore, era
una cosa molto più pesante, più profonda, un odore che
veniva da lontano. Il gobbo, ironia della sorte visto che
anche noi Juventini lo siamo, pretendeva che bevessi dalla
sua lattina in segno di amicizia. Non so come sia riuscito a
non farlo, anche se per il resto del tragitto le battute
sull’Italiano che non beveva hanno accompagnato il rumore
del treno. E finalmente lo stadio ! Sono arrivato molto
presto, ho avuto tempo di vedere il cordone di polizia a
cavallo ordinato circondare le tribune, ma ben presto con le
urla dei tifosi, i cavalli si sono innervositi e hanno
iniziato ad impennarsi scalciando. Questo ha creato panico
tra le persone e io, approfittando di un varco mi sono
buttato verso l’entrata senza che il mio biglietto venisse
toccato da qualcuno. Il minuscolo settore dei tifosi del
Liverpool si è ben presto riempito a dismisura. Gli Inglesi
erano separati dagli Juventini da una rete custodita da 5
agenti, uno ogni 5/6 file di gradoni. Una partita di ragazzi
ha acceso ancor più gli animi, visto che una squadra aveva
la maglietta rossa. Ad un certo punto, come un vaso troppo
pieno che trabocca, la rete divisoria è sparita, i
poliziotti anche e una marea rossa ha invaso il resto della
curva. Dalla nostra parte, a 120 metri di distanza (ero in
uno dei tre settori riservati al tifo organizzato bianconero
- nelle immagini il mio biglietto), non ci siamo accorti di
quanto grave fosse la situazione, si pensava che gli
Italiani stessero uscendo da qualche porta laterale. Noi
volevamo la partita, speravamo che tutto finisse in fretta,
che gli hooligans tornassero al loro posto e le squadre
potessero scendere in campo. Vicino a me un signore aveva
una radiolina che ad un certo punto ha iniziato a dare
notizie sullo stadio. Davvero sulle prime si faticava a
credere che ci fosse veramente un morto tra i nostri tifosi.
Quando qualcuno delle prime file è riuscito ad entrare in
campo, in barba alla sbandierata sicurezza, tornando con
notizie tragiche, tutti noi abbiamo pensato a come uscire
vivi da quella situazione ma la sicurezza aveva avuto ordine
di tenere la gente dentro lo stadio per poter predisporre
vie d’uscita sicure. Penso, anzi spero, che la partita sia
stata giocata solo per quello. Quel che è successo da lì in
poi lo ricordano tutti, anche solo per averlo visto alla
televisione. Quello che nessuno ha visto è stata la conta
dei presenti all’uscita dallo stadio. Due ragazzi di Como su
una Renault 4 mi hanno riportato in centro ma, passando nel
parcheggio pullman, sentivamo nomi chiamati che non
rispondevano e disperazione, terrore nei volti di quanti,
col foglio in mano non riuscivano a trovare le persone che
cercavano. A 25 anni di distanza il ricordo è ancora ben
vivo e con esso il rammarico che tutte quelle vite sprecate
non siano servite a nulla".
28 maggio 2010
Fonte: Varesenews.it
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