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ARTICOLI GENNAIO-28 MAGGIO 2010
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GENNAIO-28 MAGGIO 2010
ARTICOLI STAMPA e WEB GENNAIO-MARZO 2010

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ARTICOLI STAMPA e WEB APRILE 2010

"Caro Trap ci teniamo la coppa"

ARTICOLI STAMPA e WEB 1-28 MAGGIO 2010

Una strage dimenticata

Anche Platini sabato a Torino

Si ricordano i 25 anni dell'Heysel

Il Liverpool ricorda le vittime di Bruxelles

Siamo ancora prigionieri dell'Heysel

La memoria prigioniera dell'Heysel

Heysel, un orrendo monumento all'inciviltà...

Torino ricorda la tragedia dell’Heysel, una via in memoria

Commemorazione a Bruxelles

In memoria delle vittime dell'Heysel

29 maggio 1985, la tragedia

Mai più quella follia

Heysel la notte del massacro

La vecchia Juve non molla

"Caro Trap ci teniamo la coppa"

di Domenico Latagliata

Torino - Il Trap ha gettato il sasso nello stagno. Ma nessuno ha apprezzato davvero. Venticinque anni dopo, parlare della tragedia dello stadio Heysel nella cornice del Chiambretti Night e affermare che "sotto l'aspetto etico e umano, l'ipotesi di restituire la Coppa può anche essere presa in considerazione" non piace a chi ha vissuto davvero quel giorno lì. Un giorno maledetto, lo sanno tutti: 29 maggio 1985, 39 morti per una partita di calcio. Assurdo, ma vero. Juventus e Liverpool giocarono lo stesso: i bianconeri vinsero 1-0 con un rigore di Platini, oggi presidente Uefa, per un fallo commesso su Boniek ai limiti dell'area. La squadra quasi al completo festeggiò sul campo, quando forse non tutto era ancora chiaro ma molto già si sapeva: le polemiche si sprecarono e sono andate avanti per anni. Oggi il dibattito potrebbe riaccendersi proprio sulla scia delle parole di Trapattoni, all'epoca allenatore della Juventus. "Dissi ai commissari di campo che erano matti a farci scendere in campo - ha spiegato a Chiambretti l'attuale CT dell'Irlanda. E' una macchia che rimane, anche se la partita fu comunque vera. Forse però oggi si potrebbe prendere in considerazione la possibilità di restituire il trofeo". "Quella Coppa rappresenta un momento particolarmente drammatico per tutto il calcio - è invece il parere di Roberto Bettega, oggi vicedirettore generale della Juventus che, da calciatore, ha inseguito per tutta la carriera la vittoria della coppa Campioni senza mai riuscire a centrarla. Conservarla non significa soltanto celebrare il valore sportivo della squadra che la vinse, ma soprattutto ricordare le vittime di quella tragedia e alimentare un'idea di calcio diversa". Analogo il parere di Platini: "La partita fu giocata. Gli inglesi la volevano vincere, noi pure: ci furono anche momenti aspri di gioco e la coppa è finita a chi ha meritato la vittoria. Il resto, purtroppo, è una tragedia che non si può e non si deve dimenticare". Per la serie: caro Trap, pensiamo ad altro. "Dopo tutti questi anni, anche il mister comincia a invecchiare - dice Stefano Tacconi, portiere titolare di quella Juventus. Ci sono tante altre cose di cui parlare per provare a migliorare il calcio". "È tutto ormai molto lontano nei tempi, la strage c'è stata e non la si potrà mai dimenticare - spiega Paolo Rossi. Si può fare di tutto, ma la storia e gli episodi restano: morti compresi. Se uno ricorda l'Heysel, lo fa per la tragedia che c'è stata e per nessun altro motivo. Nessuno di noi si è mai vantato di avere vinto quella Coppa: è stato tutto troppo devastante per essere ricordato come un trionfo. Dopo di che, riconsegnare oggi quel trofeo sarebbe un gesto simbolico e nulla più". Senza peli sulla lingua, come di consueto, Zibì Boniek: "Non mi sono mai vantato di quella vittoria e non ho mai incassato una lira del premio che la società ci aveva garantito, devolvendo tutto alle famiglie che sono uscite distrutte da quella serata. Per me si tratta di una coppa non vinta ed è un peccato che sia andata così perché, dopo avere già battuto il Liverpool nella Supercoppa europea, avremmo avuto la meglio sul campo anche quella sera. La proposta di Trapattoni, dopo tanto tempo, è fuori luogo: restituire la coppa oggi non sta né in cielo né in terra. Piuttosto, non si sarebbe dovuto festeggiare nulla a fine partita e infatti io me ne tornai negli spogliatoi senza nemmeno toccare il trofeo. Se oggi si volesse dare un segnale concreto, chi ha incassato i soldi del premio li potrebbe devolvere con gli interessi alle associazioni che ricordano la tragedia". "Non capisco le parole di Trapattoni - commenta Sergio Brio. Il rispetto per la sofferenza delle famiglie è assoluto e non va mai dimenticato che trentanove persone hanno perso la vita: però fu proprio il Trap a dirci che la partita sarebbe stata valida e che i disordini avevano provocato un solo morto. A distanza di tanti anni non vedo perché lanciarsi in affermazioni del genere. Io e i miei compagni siamo stati vicini come abbiamo potuto a chi ha sofferto, ma sportivamente abbiamo giocato e vinto come ci era stato chiesto da più parti. Si è trattato indubbiamente del giorno più triste ma anche più bello della mia carriera, visto che uno sogna fin da bambino di vincere la coppa Campioni". La proposta del Trap, insomma, non piace. La Coppa rimarrà dov'è e la Juventus si prepara a ricordare le 39 vittime non solo il prossimo 29 maggio: nello stadio che sta sorgendo al posto del Delle Alpi, ci sarà infatti un luogo per ricordare la giornata più assurda di tutta la storia del calcio.

1 aprile 2010

Fonte: Ilgiornale.it

ARTICOLI STAMPA e WEB APRILE 2010  

29 maggio 1985. Nello stadio Heysel di Bruxelles si scrive una delle pagine più nere dello sport. Poco prima della finale di Coppa dei campioni tra Juventus e Liverpool si scatena l'inferno. Circa un'ora prima della partita, alcuni facinorosi del Liverpool cominciano a spingersi verso il settore Z, dove si trovavano gli italiani che si erano organizzati autonomamente- mentre quelli arrivati con i club erano stati collocati nella curva N opposta a quella riservata ai tifosi inglesi. Dal blocco dei "reds" si staccano prima alcuni hooligans che cominciano ad attaccare gli juventini, poi tutti in massa cercando il take an end ("prendi la curva") e sfondando le inadeguate reti divisorie. La spinta diventa più forte, gli inglesi invadono il settore occupato dagli italiani, che spaventati tentano di abbandonare di corsa le gradinate. Nella grande calca alcuni subiscono lo scontro con gli inglesi, alcuni si lanciano nel vuoto per evitare di rimanere intrappolati, altri tentano di scavalcare ed entrare nel settore adiacente, altri rimangono schiacciati contro le recinzioni. I rari poliziotti che arrivano non riescono a sedare i tumulti, ma raccolgono solo i primi feriti. Intanto gli attacchi dei guerriglieri inglesi continuano e la folla italiana si accalca in uno spazio angusto e all'improvviso per il troppo peso il parapetto cede: molte persone sono travolte, schiacciate e calpestate nella corsa verso una via d'uscita. Il conto finale sarà di 39 morti e 600 feriti. Fra questi anche un reggiano: il giovane fotografo Claudio Zavaroni, l'ultima vittima italiana che fu identificata. LE TESTIMONIANZE. Fra le prime testimonianze reggiane che compaiono sulla Gazzetta di Reggio del 31 maggio, c'è quella di Ianni Giaroli, già titolare del Condor, di rientro in aereo dalla partita all'Heysel, dove aveva trovato un posto a sinistra della "gradinata della morte" che racconta: "Uno schifo, una vergogna, un vero e proprio assassinio di massa, cui purtroppo, io e altri abbiamo assistito impotenti... Che sarebbe finita in tragedia l'ho capito quando i tifosi hanno sparato i primi bengala in mezzo ai bianconeri, che erano stati sistemati proprio a fianco loro ma che se ne erano stati buoni il più lontano possibile.  Gli inglesi - continua Giaroli - poi hanno cominciato ad attaccare prima una trentina, poi tutti assieme e saranno stati un migliaio. I tifosi italiani sono stati spinti verso il basso, poi quel tonfo sordo.  Il muro che è crollato, e la gente che veniva spinta verso il vuoto e precipitava.  Ma la cosa più vergognosa è accaduta subito dopo il disastro, quando sulla gradinata non sono rimasti che i cadaveri degli italiani, con i tifosi inglesi che saltavano di gioia in mezzo ai corpi per festeggiare la loro orribile vittoria". Dall'altra parte dello stadio i tifosi juventini del settore N e tutti gli altri sportivi accorsi allo stadio sentirono le voci dello speaker e dei capitani delle due squadre che invitavano alla calma e in pochi si resero conto di quello che stava realmente accadendo.  "Solo poco prima delle 22 ci siamo resi conto di quanto era realmente accaduto, abbiamo capito che la carica dei "reds" aveva causato decine di feriti - racconta Alberto Camuncoli, allora diciottenne, in un'intervista al ritorno da Bruxelles. "Noi per fortuna eravamo giusto dalla parte opposta - continua la diciannovenne Cristina Serrao - non abbiamo visto tutto anche perché avevamo il sole negli occhi".  Sempre nelle stesse pagine del quotidiano locale si legge l'accusa di un altro tifoso reggiano in trasferta a Bruxelles, Romano Zampinetti: "Non è possibile organizzare una finale di una Coppa dei campioni in uno stadio vecchio, piccolo, e con solo una decina di poliziotti a controllare quei maledetti teppisti inglesi". Altre testimonianze sottolineano come gli inglesi fin dal primo pomeriggio girassero ubriachi per la città e agli ingressi dello stadio non avessero subito alcun controllo riuscendo a portare all'interno casse di birra. 

20 maggio 2010  

Fonte: Reporter.it

ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 2010  

Anche Platini sabato a Torino

TORINO - Sabato, per la commemorazione dei 39 angeli caduti all’anniversario di quella tragedia, è atteso anche Michel Platini.  Il presidente dell’Uefa ha detto a Madrid alla vigilia della finale di Champions che non mancherà.  E con lui ci saranno i compagni bianconeri di quella Juve che sollevò la Coppa Campioni al cielo con la morte nel cuore.  La Juve per sabato ha predisposto una commemorazione, in mattinata (ore 10), nel cortile della sede dove c’è il cippo che ricorda i caduti: vi parteciperanno i parenti delle vittime, i dirigenti e i giocatori di allora.  La messa successiva verrà celebrata invece alla Gran Madre.  Parteciperanno anche i giocatori di oggi e le giovanili.  CON I FAN - I tifosi, inoltre, hanno allestito questo programma. Sabato: ore 11, a Torino, celebrazione della messa in suffragio delle vittime dell’Heysel, nella cappella della chiesa di Santa Rita, nell'omonima piazza; dalle ore 12,30 alle 14: ritrovo e raduno dei partecipanti in piazzale Caio Mario, davanti allo stabilimento della Fiat Mirafiori; ore 14: inizio della manifestazione con il ricordo dell’Heysel e alcuni interventi sulla Juventus e su calciopoli; ore 16: inizio della marcia pacifica verso la sede della Juventus in, corso Galileo Ferraris.  A LIVERPOOL - In ricordo delle vittime dell’Heysel, anche Liverpool ha in programma una celebrazione ufficiale alla quale parteciperanno Sergio Brio, Gianluca Pessotto e Phil Neal. Domani - il giorno prescelto - verrà posta una targa davanti all’Anfield’s Centenary Stand. Una delegazione verrà anche a Torino sabato: tra questi l’ad Christian Purslow e il responsabile delle finanze Philip Nash.

25 maggio 2010 

Fonte: Tuttosport.com

ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 2010  

Sfilata juventina

Si ricordano i 25 anni dell'Heysel

A Venticinque anni dalla tragedia dell'Heysel, dove morirono schiacciati dalla folla 39 tifosi juventini, i supporters bianconeri organizzano sabato una giornata della memoria: il programma ancora in via di definizione prevede la celebrazione eucaristica nella chiesa di Santa Rita (ore 11, poi dalle 14 ritrovo davanti piazzale Caio Mario e alle 16 sfilata verso la sede della Juve in corso Galileo Ferraris. Si raccoglieranno firme per chiedere al Comune di mantenere fede ad una delibera già approvata nel 2009 per intitolare una via ai morti dell'Heysel.

26 maggio 2010 

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 2010  

Il Liverpool ricorda le vittime di Bruxelles

Come farà la Juventus nella giornata di sabato, anche il Liverpool ha ricordato le vittime dell’Heysel. Ieri ad Anfield Road è stata organizzata una cerimonia di commemorazione durante la quale è stata scoperta una targa che resterà all’interno dello stadio per ricordare per sempre i 39 morti della tragedia che si consumò in occasione della finale di Coppa dei Campioni del 1985. Presenti i dirigenti del Liverpool e alcuni giocatori della squadra di allora, Kenny Dalglish, Sammy Lee e il capitano Phil Neal. Per la Juventus hanno partecipato Gianluca Pessotto, in rappresentanza della società, e Sergio Brio, che il 29 maggio 1985 era in campo. E' stato proprio quest’ultimo a raccontare le emozioni provate nel corso della cerimonia: "E' stata bellissima e toccante. I dirigenti del Liverpool hanno dimostrato di tenerci in modo particolare. E' sempre difficile parlare di quanto accadde quella sera, anche a distanza di anni, ed è importante che anche il Liverpool, come la Juventus, voglia continuare a commemorare le vittime, che resteranno sempre nel ricordo di tutti noi".

27 maggio 2010

Fonte: Juventus.com

ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 2010  

Siamo ancora prigionieri dell'Heysel

di Roberto Beccantini

TORINO - Sabato saranno venticinque anni. La tragedia dell’Heysel è come l’ombra: ci fugge e ci insegue da un quarto di secolo. Trentanove tifosi morti calpestati per Juventus-Liverpool, una partita di calcio: ecco l’enormità della "notizia", in assoluto e, soprattutto, in relazione al fato e al fatto, ai lutti e al movente che li seminò. Gli inglesi, loro, capirono subito la lezione e adeguarono i provvedimenti legislativi all’esigenza di cambiare il modo di vivere "lo" stadio e "nello" stadio. Noi no, noi siamo rimasti prigionieri dell’ipocrisia e del labirinto. Domani a Ginevra si assegnano gli Europei del 2016 e l’Italia rischia di perdere contro Francia e Turchia, non solo o non tanto perché il presidente dell’Uefa è il francese Michel Platini, in campo a Bruxelles quel mercoledì maledetto, ma perché i nostri colossei sono diventati potenziali Heysel nelle strutture, sempre più giurassiche, e nella civiltà sportiva degli abitanti, sempre più selvaggi. Sprecata l’occasione di Italia ‘90, quando ci abbuffammo di cemento ed edificammo stadi esagerati, la furia onnivora della televisione ha contribuito a svuotarne l’anima (e poi le tribune: non viceversa). L’Heysel rappresenta un’eredità che troppo spesso abbiamo abbandonato ai familiari delle vittime, se non, addirittura, ai guizzi degli archivisti. Ci siamo rimpinzati di slogan - modello inglese, tolleranza zero - e, ammesso che sia un segno del progresso, si muore meno sulle gradinate e di più negli autogrill; "il calcio in mano agli ultrà", pronunciato da Fabio Capello in tempi non sospetti, rimane la summa del "disordine nuovo", fra caccia al razzismo e razzisti a caccia. Con qualche agente, sullo sfondo, di grilletto facile e manganello sbrigativo. Non che all’estero siano tutti chierichetti, ma da noi si vive in uno stato di estrema e perenne emergenza: nel penultimo turno del campionato scorso, Genoa - Milan è stata disputata a porte chiuse per la paura che un fatto di sangue risalente a quindici anni prima potesse servire, ancora, da miccia per implacabili e odiose vendette. La morte dell’ispettore Raciti (2 febbraio 2007) portò a una mobilitazione generale, con impegni solenni dei politici. La montagna della "rivoluzione culturale" ha partorito tre topolini: i tornelli, i biglietti nominativi e la tessera del tifoso alla quale Daniele De Rossi ha replicato con la tessera del poliziotto. La via italiana alle pari schedature: non proprio il massimo, nei giorni della memoria.

27 maggio 2010 

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 2010  

La memoria prigioniera dell’Heysel

di Francesco Caremani

Un monumento, tre targhe, un cippo, piazzali intitolati non possono riempire il vuoto di 25 anni, tra silenzi e meschinità d’ogni genere, di 39 tifosi morti (32 italiani) prima di una finale di Coppa dei Campioni. Era il 29 maggio dell’85, era Juventus-Liverpool. Una strage che ha insegnato poco o niente al calcio europeo, italiano in particolare, senza dimenticare che ogni volta che si ripete quell’assurda violenza da stadio i familiari delle vittime di Bruxelles sentono acuirsi il dolore che non è mai passato e mai passerà, nutrito dal vuoto di chi non c’è più. E' mancato il magistero, è mancata la memoria, quella della Juventus, quella delle istituzioni politiche e sportive, in entrambi i casi sia italiane che europee. Altrimenti oggi tutti saprebbero del faticoso processo dell’Associazione dei familiari, avrebbero conosciuto la forza di Otello Lorentini, fondatore e presidente, che all’Heysel ha perso il figlio Roberto, così come Daniel Vedovatto, il giovane avvocato italo belga che da solo si è battuto contro i migliori principi del Foro inglesi ed europei, che difendevano gli hooligans e l’Uefa. "Il clima era chiaramente ostile", dice Paolo Ammirati, avvocato aretino dell’Associazione. Lo stesso Daniel Vedovatto non ha avuto vita facile nelle prime fasi del dibattimento. "Quando abbiamo ottenuto, grazie all’opera di Lorentini, la condanna dell’Uefa - ricorda Vedovatto - nessuno ne ha parlato e questa è stata un’ingiustizia. Ce ne sono state tante in questa vicenda, ma questa Otello non se la meritava". Alla fine pochi hooligans sono stati individuati e condannati, a pagare restano Roosens, presidente della Federcalcio belga, Mahieu, capitano della gendarmeria e Bangerter, segretario generale dell’Uefa: "Non era facile convincere la Corte a condannare l’Uefa, organismo potente che gestiva da padrone il calcio europeo", replica Vedovatto. Una sentenza, quasi sconosciuta, che ha fatto giurisprudenza e che ha condannato il massimo organismo calcistico europeo alla corresponsabilità degli eventi che organizza, da qui maggiore sicurezza per tutti e stadi per le finali scelti secondo determinate caratteristiche, perché l’Associazione dei familiari delle vittime non ha combattuto solo per avere giustizia, ma perché un altro Heysel non accadesse più. Dopo tanti altri lutti e dopo tanto silenzio, 25 anni dopo, anche la Juventus ha deciso di ricordare le vittime di Bruxelles. Ha invitato, per domani, tutti i familiari a Torino per una messa alla quale, pare, saranno presenti anche Zibì Boniek, che di quella sera non ha mai voluto parlare, e Michel Platini, il "clown che entrò in campo dopo l’acrobata" e che oggi, scherzi del destino, è Presidente Uefa. Non tutti andranno, alcuni per riguardo a chi la memoria l’ha rispettata ogni 29 di maggio, altri perché impossibilitati, quasi tutti però intimamente soddisfatti dell’iniziativa. In questi ultimi giorni sono arrivate le scuse televisive di Marco Tardelli e Andrea Agnelli, neo presidente bianconero, ha scritto una lettera a Otello Lorentini. E' un primo piccolo passo verso la memoria. Ma, oggi come ieri, non c’è poesia nel ripercorrere lo Spoon River dell’Heysel.

28 maggio 2010

Fonte: Avvenire.it

ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 2010  

Heysel, un orrendo monumento all'inciviltà da tenere in vita

di Stefano Benzi

Sono già passati venticinque anni: lo ricordo bene perché cominciai a lavorare proprio quell'anno lì, nel 1985. Anche se quello di cui mi occupavo non erano certo la Coppa dei Campioni e nemmeno la Serie A. Ricordo la voce di Bruno Pizzul rotta dall'emozione e forse dal pianto, nel disperato tentativo di fare chiarezza su quanto ancora non solo non si sapeva, ma nemmeno si capiva: "Scusate... Non vorrei farlo ma devo... Devo dirlo. Ci sono delle vittime". Mi risuonano così, più o meno, nella memoria le parole di Pizzul. Fino a quel momento la regia internazionale aveva inquadrato poco o nulla di quello che stava accadendo: immagini lontane, non molto nitide. Si percepiva solo un gran clima di confusione, e di paura. Da quel momento, da quando Pizzul pronunciò quelle parole, cambiò tutto. Non era più una partita di calcio, non era più la finale di Coppa dei Campioni: la tv si era trasformata in un catalizzatore di emozioni, di rabbia e di angoscia. Stavo rivivendo la stessa sensazione di quando, qualche anno prima, un bimbo era caduto in un pozzo al Vermicino, a Roma: si chiamava Alfredino Rampi. E tutta l'Italia aveva disperatamente seguito in televisione la cronaca dei soccorsi, sperando nel lieto fine, che non ci fu. Non sempre la televisione può portare il lieto fine: non è fiction, non è reality-show, è realtà. E quella sera la realtà dimostrò quanto l'uomo può diventare brutale, scellerato, bestiale: anche se si tratta solo di una partita di calcio. C'era un odio viscerale tra inglesi e italiani per tanti motivi stupidi. I tifosi del Liverpool, che in Inghilterra erano considerati i più violenti e aggressivi, volevano vendicarsi degli incidenti e degli accoltellamenti subiti a Roma l'anno prima, quando vinsero la finale di Coppa dei Campioni contro la Roma ai rigori. Ma soprattutto c'era una disorganizzazione assoluta: vergognosa. Lo stadio prescelto era un cesso, glorioso ma fatiscente, privo di qualsiasi controllo e per nulla sicuro. I tifosi inglesi, che entrarono per primi, accolsero i tifosi della Juve con lancio di calcinacci, pezzi di ferro e lattine di birra. Ma tutto l'accesso alle tribune fu confuso, disordinato e per nulla adeguato all'importanza e ai rischi di una partita del genere. Si sono scritti libri, tesi di laurea, intere documentazioni su quello che è accaduto quella notte, nel tentativo di trovare un colpevole: di espiare una colpa. La verità è che ancora oggi sarebbe più opportuno trovare un sentimento di pentimento o di perdono, da una parte e dall'altra. Ed è difficile: così come è difficile ancora oggi capire che cosa sia successo. C'è chi parla di provocazioni, chi di aggressioni, chi di una disorganizzazione assoluta. L'alcool, tanti i tifosi inglesi ubriachi fin dal pomeriggio, l'inadeguatezza della struttura, la totale incapacità della polizia belga nel governare una folla impazzita, la carenza nei soccorsi... L'Heysel è un monumento funebre all'inciviltà: un monumento che purtroppo verrà demolito. Ma come ci ricordiamo degli orrori che il genere umano ha saputo provocare, forse sarebbe utile ricordarsi anche di quello che è accaduto a Bruxelles. E tenerne in vita l'orrore. Morirono 39 persone, 32 italiani; alcuni schiacciati, altri travolti, altri soffocati. Uno di quei ragazzi, un medico di 31 anni che si chiamava Roberto Lorentini, morì travolto mentre stava cercando di rianimare un ragazzo che era rimasto schiacciato nella calca. Credo sia difficile per chiunque esprimersi su un argomento così difficile: è una ferita ancora aperta, e che forse non si rimarginerà mai. Le squadre inglesi vennero escluse da qualsiasi competizione per cinque anni; gli hooligans arrestati furono solo venticinque, undici gli assolti, quattordici i condannati con una pena massima di cinque anni di reclusione. La Uefa, le cui colpe nella scelta della sede e nell'organizzazione della partita erano evidentissime, corse ai ripari quando fu troppo tardi. Tante cose si sono sapute solo più tardi, anche molto tempo dopo: si seppe che i giocatori erano stati tenuti all'oscuro di quanto era realmente accaduto e che erano stati quasi costretti a giocare, sotto la minaccia di pesanti sanzioni, per evitare disordini ancora più gravi. I tifosi inglesi che rientrarono in patria il giorno dopo, appresero delle 39 vittime, imbarcandosi al porto di Ostenda: alcuni di loro tornarono indietro. Altri tornano nei pressi dell'Heysel ogni anno... "per chiedere scusa, perché se oggi sono un uomo migliore lo devo al sacrificio di persone che mi hanno dimostrato che cosa potevo diventare se continuavo a essere quello che ero" scrive Ian Gilmour, uno dei tifosi dei reds che si trovò coinvolto negli scontri e che oggi si occupa di recuperare dalla dipendenza giovani già condannati all'alcolismo. Persone come Tony Evans, allora tifoso in trasferta, ora responsabile delle pagine sportive del Times che in questi giorni in una lunga intervista, lascia spazio a un ricordo amaro e colmo di sensi di colpa: "I tifosi dell'Everton ci dedicano uno sfottò che dice che trentanove italiani non possono avere torto. E' un modo per dire che l'Heysel è colpa di noi del Liverpool. E hanno ragione. Il torto era nostro, anche mio". Oggi ci si fa la solita domanda: si doveva giocare ? Non si doveva giocare ? Forse davvero la Juve avrebbe dovuto lasciare quella coppa negli spogliatoi, sotterrarla insieme alle sue vittime. Venticinque anni sono tanti, ma più ancora del dolore è grande lo sconcerto, l'incoscienza di fronte a quello che una folla impazzita è in grado di provocare. La Juve sta costruendo il suo nuovo stadio: capisco che quelle 39 anime stridono con il ricordo della prima Coppa dei Campioni, conquistata in quel modo. E che sia più lenitivo dimenticare piuttosto che ricordare. Perché il ricordo fa male: ma credo che il ricordo di quanto accaduto debba essere forte, e vivo. Perché ancora oggi, troppo spesso, andiamo drammaticamente vicino a quegli eccessi, e ci avviciniamo agli eventi sportivi esaltando il nostro lato più bestiale. D'altronde che il calcio dovesse cambiare lo si capì in quel preciso istante: anche se di vittime isolate e di stragi assurde ce ne sono state tante altre, come quella di Hillsborough che colpì proprio la tifoseria del Liverpool: 96 morti e 200 feriti. Avevano venduto troppi biglietti e la polizia fece aprire un cancello non presidiato. Il calcio doveva cambiare, e in effetti è cambiato: in qualche caso troppo lentamente, in altri in modo troppo macchinoso. Ma è sicuramente cambiato lasciandoci meno gioia, meno divertimento e soprattutto meno spensieratezza. Dal 29 maggio di venticinque anni fa il calcio non è più lo stesso, e non solo per le tante vittime di allora ma anche per quella sensazione che ci pervade, ogni volta che entriamo in uno stadio. Il senso di insicurezza che ci fa pensare... "E se succede qualcosa...?

28 maggio 2010

Fonte: Eurosport.yahoo.com

ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 2010  

Torino ricorda la tragedia dell’Heysel, una via in memoria

di Timothy Ormezzano

Per non dimenticare. Domani ricorre il venticinquennale della tragedia dell’Heysel. In quella maledetta sera del 1985 a Bruxelles morirono trentanove tifosi, "colpevoli" di trovarsi nel momento sbagliato nel punto sbagliato di uno stadio sbagliato, fatiscente, tanto da sbriciolarsi sotto le cariche degli hooligans inglesi. Le parole di Antonio Cabrini, uno dei protagonisti di quella tragica finale di Coppa dei Campioni tra la Juve ed il Liverpool: "Commemoriamo una tragedia come quella dell’Heysel perché non si ripetano più certi errori. E’ stato fatto molto in tema di sicurezza degli stadi e di gestione dei grandi eventi, ma non ancora abbastanza". Cabrini sarà presente alla messa in suffragio di domani alla chiesa della Gran Madre, al fianco dei parenti delle vittime e di tanti ex compagni di squadra, a cominciare dall’attuale presidente dell’Uefa, Michel Platini. "Sento spesso ripetere - aggiunge Cabrini - che quella finale non andava giocata, ma se non fossimo scesi in campo sarebbe scoppiata la guerra. Noi giocatori, comunque, sapevamo poco o nulla della gravità di quel che era accaduto. C’erano tante voci incontrollate". Adesso, però, si guarda avanti. I sostenitori juventini domani marceranno in ricordo dei caduti dell’Heysel. Sarà l’occasione per chiedere ufficialmente alle autorità comunali l’intestazione di una strada per i 39 caduti a Bruxelles e al club l’istallazione di una targa commemorativa nel nuovo stadio che sorge sulle ceneri del Delle Alpi. Un atto dovuto, secondo il popolo bianconero. Da sottolineare che gli innamorati del Torino hanno in Superga il luogo della memoria, una lapide sulla quale piangere e ricordare. "E’ giusto che ci sia una via o un monumento dedicato a quel tragico evento, come hanno recentemente fatto ad Anfield, lo stadio di Liverpool. Servirà soprattutto a rammentare a tutti quello che non dovrà mai più succedere per una partita di calcio".

28 maggio 2010 

Fonte: Leggo

ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 2010  

Commemorazione a Bruxelles

Nel giorno del 25esimo anniversario della tragedia dell’Heysel, anche la città di Bruxelles commemora le 39 vittime. Il sindaco di Bruxelles Freddy Thielemans, informa una nota del comune, ricorderà la tragedia con un discorso, prima di osservare un minuto di silenzio in memoria delle 39 vittime. Per l'occasione, le porte dello stadio resteranno aperte per tutti coloro che vorranno raccogliersi davanti allo spazio 1985, luogo della memoria realizzato nel 2005. Il pubblico, dalle 11 del mattino, potrà visitare anche il monumento commemorativo della tragedia allo stadio ribattezzato "Re Baldovino", mentre sarà diffuso il reportage Requiem for a Cup Final.

28 maggio 2010

Fonte: Juventus.com

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In memoria delle vittime dell'Heysel

Sabato 29 maggio è il venticinquesimo anniversario della tragedia dell’Heysel. Nel 1985, nella serata in cui i bianconeri vinsero la loro prima Coppa dei Campioni, persero tragicamente la vita 39 persone allo stadio Heysel di Bruxelles. Un dolore incancellabile, un ricordo sempre vivo nel cuore degli juventini. Proprio sabato 29 maggio la Juventus ha organizzato una commemorazione alla quale parteciperanno, oltre agli attuali vertici societari e la squadra di oggi, le autorità calcistiche italiane e internazionali, una rappresentanza del Liverpool, alcuni giocatori della squadra che scese in campo quella sera e i famigliari delle vittime. La prima parte della commemorazione sarà nella sede della Juventus, poi la funzione alla chiesa Gran Madre di Dio di Torino. E in questi giorni sono molte le cerimonie in memoria della tragedia dell’Heysel: sempre sabato, ad Arezzo, si giocherà la finale del 14° trofeo giovanile intitolato a Roberto Lorentini, scomparso a Bruxelles, a Reggio Emilia, il comitato "Per non dimenticare Heysel" ha organizzato una commemorazione, mentre a Rutigliano, in provincia di Bari, sarà intitolata una via alle vittime di quella drammatica sera. A Liverpool invece sono state ricordate mercoledì 26 maggio. Ad Anfield è stata posta una targa ricordo nel corso di una cerimonia alla quale hanno preso parte i dirigenti del Liverpool, alcuni ex giocatori di allora come Kenny Dalglish, Sammy Lee e il capitano Phil Neal e, per la Juventus, Gianluca Pessotto e Sergio Brio. Inoltre il 3 giugno, in occasione dell’amichevole pre-mondiale Italia-Messico, in programma a Bruxelles, verranno ricordate le vittime della tragedia.

28 maggio 2010

Fonte: Juventus.com

ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 2010  

29 maggio 1985, la tragedia

Bruxelles, 29 maggio 1985. Doveva essere una partita fantastica, di quelle destinate a rimanere nella storia del calcio. Pochi mesi prima, la Juventus aveva ospitato il Liverpool a Torino, in occasione della finale di Supercoppa Europea. In una gelida serata, i bianconeri avevano vinto 2-0 ed era stato uno straordinario momento di sport e di lealtà, con i giocatori della Juve che ricevettero il trofeo indossando la maglia degli avversari. In Belgio, la sfida è la finale di Coppa dei Campioni. Si annuncia un match spettacolare, invece sarà un lungo tunnel dell’orrore che cancellerà totalmente la gioia per la conquista del titolo di campione d’Europa per club. Prima del fischio d’inizio, in uno stadio che presenta problemi notevoli dal punto di vista strutturale, gli hooligans inglesi assaltano i pacifici sostenitori della Juventus situati nel settore Z. È una strage, con 39 vittime e oltre 600 feriti. Si vedono scene di follia senza precedenti, nessuno si capacita che uno stadio di calcio possa diventare il teatro di una guerra dichiarata contro gente pacifica, venuta solo per partecipare a una festa in compagnia di amici e familiari. L’UEFA decide che si deve disputare la partita, onde evitare che la situazione degeneri ulteriormente. Le notizie sono confuse, si parla di feriti e di un morto, le due squadre sono costrette a scendere in campo e onorano l’impegno con serietà. La Juventus vince 1-0, ma conta poco: chi vede in Italia la partita in tv è al corrente di quanto è successo, conosce le proporzioni della strage. Ecco il ricordo di Michel Platini, fissato nella sua autobiografia "La mia vita come una partita di calcio": "All’Heysel le curve X, Y e Z hanno un soprannome: sono chiamate i parchi bestiame. Perché sono i posti meno cari e gli spettatori, ammassati, rimangono in piedi. Parchi bestiame. Alle 19.30, quarantacinque minuti prima del previsto fischio d’inizio, comincia la carneficina. Nella tribuna cuscinetto, l’esplosione di violenza è pari alla leggerezza degli organizzatori. I tifosi del Liverpool si gettano sul tramezzo che separa le tribune Y e Z. Lo rovesciano e i primi scontri avvengono nella parte alta della tribuna dei nostri tifosi. I reds attaccano i bianconeri. Il panico è tale che il pigia pigia verso il basso si trasforma in catastrofe. Il seguito non è che dramma, tragedia. Con il suo corteo di vittime innocenti, con la faccia livida di quei martiri, bambini e adulti, donne e uomini, l’Heysel rimarrà impresso in tutte le memorie come un simbolo. Quello del calcio, uno sport pieno di nobiltà e di dignità che un pugno di teppisti ubriachi di birra e di violenza, attratti più da una guerra fra tifosi che dallo scontro leale fra due squadre, non ha esitato a profanare con gli oltraggi e il sangue versato".

28 maggio 2010

Fonte: Juventus.com

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L’Heysel rappresenta un vero e proprio spartiacque nelle politiche della sicurezza degli stadi. Non che i problemi siano stati tutti risolti, come hanno dimostrato tanti episodi successivi, ma quel che è certo è che la strage belga obbligò l’UEFA e il governo inglese a una correzione di rotta, dopo avere assistito in maniera impassibile per troppe stagioni all’emergere e al consolidarsi del fenomeno degli hooligans. Le squadre della federazione inglese vennero squalificate e per cinque anni s’impedì loro la partecipazione alle coppe europee. Il Liverpool ebbe una pena supplementare di tre anni, ridotta poi a uno, dopo un altro evento luttuoso terribile: il 15 aprile del 1989,  allo stadio di Hillsborough, morirono 96 persone schiacciate dai propri compagni. Ancora una volta, le inefficienze di un impianto furono la causa di un affollamento esagerato che non consentì vie di fuga a tanti tifosi. In occasione dei Mondiali del 1990, Italia e Inghilterra giocarono la finale di consolazione a Bari. Gli atleti e i tifosi sugli spalti celebrarono la partita con molto fair-play, unendosi in un abbraccio collettivo per cercare di cancellare le tensioni precedenti che, a Torino, sede di alcune gare della Nazionale inglese, avevano visto riemergere il pericolo di incidenti. Dal 2000, all'interno dello stadio Heysel, una targa commemorativa ricorda la tragedia e in occasione del Campionato Europeo di calcio svoltosi in Belgio, prima dell'incontro tra l’Italia e i padroni di casa, il giocatore della Juventus e dell'Italia Antonio Conte ha deposto una mazzo di fiori nei pressi del settore Z, a ricordo della tragedia. Con lui, anche gli altri giocatori della Nazionale italiana sono entrati in campo con un fiore nella mano sinistra. Negli stessi giorni, le squadre giovanili di Juventus e Liverpool hanno giocato una partita allo stadio Comunale di Arezzo (città di due delle vittime). Il 29 maggio 2005, è stata presentata nel nuovo stadio Heysel, rinominato Re Baldovino, una meridiana comprendente una pietra con i colori della bandiera italiana e di quella belga. Nella Champions League 2004-2005, a vent’anni di distanza, Juventus e Liverpool si sono ritrovate per la prima volta di fronte nei quarti di finale. Le due società si sono impegnate a ricostruire un rapporto di amicizia, con una serie d’iniziative che hanno visto i giocatori dell’epoca partecipare in prima fila.

28 maggio 2010

Fonte: Juventus.com

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VARESE

Heysel, la notte prima del massacro

di Luigi D. C.

Il ricordo di un varesino che il 29 maggio 1985 si trovava a Bruxelles per assistere alla partita tra Juve e Liverpool. I segnali di ciò che sarebbe accaduto allo stadio non erano mancati. Ecco il suo racconto.

"Il 29 maggio 1985 ero a Bruxelles, all’Heysel. Sono uno dei tanti che è tornato a casa sano e salvo, anche se ancora non riesco ad accettare che si possa non tornare a casa dopo essere andati a vedere una partita di calcio. Quel giorno ha fatto come da spartiacque, c’è un pre e un post Heysel. Ricordo le discussioni da bar accese e sanguigne, le "liti" con amici che avevano altri colori nel cuore. Dopo quel mercoledì non sono più riuscito ad arrabbiarmi per un evidente rigore negato, per un gol in netto fuorigioco. Certo, di sicuro non servivano 39 vittime per capire, ma finché discuti e vedi le cose in televisione, tutto sembra irreale, finto. Poi ti trovi in mezzo al dramma, e la prospettiva cambia. Sono arrivato a Bruxelles martedì mattina. La città era quieta e paciosa, come noi ci immaginiamo siano le città belghe, chissà perché. Mi sembrava strano che quelle persone non sentissero la tensione, non si rendessero conto che il giorno dopo la Juve avrebbe alzato la sua prima coppa dei Campioni. Perché era ovvio che sarebbe andata così, come lo era stato anche tutte le altre volte che poi avevano vinto gli altri. Ma questa era la volta buona, i campioni del mondo più Platini e Boniek ci avrebbero fatto finalmente gioire. E poi io ero lì, finalmente. Dopo tante finali di coppa di basket, per la prima volta vedevo la mia Juve giocarsi la coppa che ci mancava tanto. Tutti noi Italiani avevamo lo stesso sguardo febbrile, tutti volevano la stessa cosa, tutti avevano lo stesso sogno. Nel primo pomeriggio, in centro è cominciato un po’ di movimento: gruppi di Juventini, al solito caciaroni e invadenti, giravano per le strade sotto l’occhio perplesso e un po’ scocciato dei Belgi, ai quali continuava a non interessare nulla della partita. I primi tifosi inglesi facevano sorridere. Gruppi di persone che cantavano a squarciagola. I sacchetti del supermercato traboccanti di lattine di birra facevano folklore. Erano questi i terribili hooligans ? La battuta più ricorrente era "Se li ha messi in riga la polizia italiana l’anno scorso a Roma, figurati qui !". A conforto e supporto di questa idea gli articoli dei giornali che, quasi disinteressandosi dell’evento sportivo, mettevano in risalto l’accurato servizio di sicurezza predisposto dai Belgi. Che le cose non stessero così ce ne siamo accorti già la sera. Mi trovavo nella Grand Place, il centro storico della città, ero seduto a un tavolino in  mezzo ad altri Italiani. Dall’altra parte della piazza un gruppo di Inglesi, seduti e sdraiati per terra continuava a fare quello che stava facendo dal mattino: beveva e cantava. Voci e birre sembravano inesauribili e a noi tutto questo continuava a far sorridere. Il gruppo degli Inglesi si infoltiva, il rumore cresceva ma tra noi e loro c’era tutto un mondo di distanza. Come ad un segnale, però, ai canti si sostituirono cori contro di noi, i "fucking italians". Qualcuno cominciò ad uscire dal gruppo per gridarci qualcosa di suo, di personale. I primi di noi cominciarono ad allarmarsi e a cercare di allontanarsi ma, come nutriti dalla nostra paura, gli Inglesi si lanciarono in un vero e proprio assalto, con lancio di lattine piene ad altezza d’uomo. Mi sono riparato dietro una colonna e ho visto l’inseguimento da lì dietro. Qualcuno degli Inglesi mi ha visto, ma evidentemente era più divertente correre in gruppo rincorrendo gli altri Italiani terrorizzati. La voglia di Juve, della finale, della coppa, vinse facilmente su quell’avvertimento serale per cui il giorno dopo mi sono avviato allo stadio. L’Heysel era ed è in periferia e per arrivarci si prendeva un treno. Nel mio vagone c’erano molti Inglesi. La cosa stranissima è che molti di loro erano travestiti, uno da frate, un altro da gobbo. C’erano un pagliaccio e anche un guerriero vikingo. La cosa che accumunava tutti era l’odore. Non solo alcool o sudore, era una cosa molto più pesante, più profonda, un odore che veniva da lontano. Il gobbo, ironia della sorte visto che anche noi Juventini lo siamo, pretendeva che bevessi dalla sua lattina in segno di amicizia. Non so come sia riuscito a non farlo, anche se per il resto del tragitto le battute sull’Italiano che non beveva hanno accompagnato il rumore del treno. E finalmente lo stadio ! Sono arrivato molto presto, ho avuto tempo di vedere il cordone di polizia a cavallo ordinato circondare le tribune, ma ben presto con le urla dei tifosi, i cavalli si sono innervositi e hanno iniziato ad impennarsi scalciando. Questo ha creato panico tra le persone e io, approfittando di un varco mi sono buttato verso l’entrata senza che il mio biglietto venisse toccato da qualcuno. Il minuscolo settore dei tifosi del Liverpool si è ben presto riempito a dismisura. Gli Inglesi erano separati dagli Juventini da una rete custodita da 5 agenti, uno ogni 5/6 file di gradoni. Una partita di ragazzi ha acceso ancor più gli animi, visto che una squadra aveva la maglietta rossa. Ad un certo punto, come un vaso troppo pieno che trabocca, la rete divisoria è sparita, i poliziotti anche e una marea rossa ha invaso il resto della curva. Dalla nostra parte, a 120 metri di distanza (ero in uno dei tre settori riservati al tifo organizzato bianconero - nelle immagini il mio biglietto), non ci siamo accorti di quanto grave fosse la situazione, si pensava che gli Italiani stessero uscendo da qualche porta laterale. Noi volevamo la partita, speravamo che tutto finisse in fretta, che gli hooligans tornassero al loro posto e le squadre potessero scendere in campo. Vicino a me un signore aveva una radiolina che ad un certo punto ha iniziato a dare notizie sullo stadio. Davvero sulle prime si faticava a credere che ci fosse veramente un morto tra i nostri tifosi. Quando qualcuno delle prime file è riuscito ad entrare in campo, in barba alla sbandierata sicurezza, tornando con notizie tragiche, tutti noi abbiamo pensato a come uscire vivi da quella situazione ma la sicurezza aveva avuto ordine di tenere la gente dentro lo stadio per poter predisporre vie d’uscita sicure. Penso, anzi spero, che la partita sia stata giocata solo per quello. Quel che è successo da lì in poi lo ricordano tutti, anche solo per averlo visto alla televisione. Quello che nessuno ha visto è stata la conta dei presenti all’uscita dallo stadio. Due ragazzi di Como su una Renault 4 mi hanno riportato in centro ma, passando nel parcheggio pullman, sentivamo nomi chiamati che non rispondevano e disperazione, terrore nei volti di quanti, col foglio in mano non riuscivano a trovare le persone che cercavano. A 25 anni di distanza il ricordo è ancora ben vivo e con esso il rammarico che tutte quelle vite sprecate non siano servite a nulla".

28 maggio 2010

Fonte: Varesenews.it

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