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ARTICOLI GENNAIO-MARZO 2005
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GENNAIO-MARZO 2005
ARTICOLI STAMPA e WEB GENNAIO-FEBBRAIO 2005

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ARTICOLI STAMPA e WEB MARZO 2005

Heysel, quella ferita aperta

Lettera a Matteo Marani

Riecco Juve-Liverpool con il dolore nel cuore

Rush davanti alla curva Z "Così il calcio scomparirà"

"Dopo la tragedia, l'indifferenza di tutti"

"Gli inglesi hanno imparato la lezione"

Così all'Heysel esplose la furia hooligan

La notte maledetta del calcio tra follia, sangue...

Quell'incubo chiamato Heysel

L’Italia ricorda ancora la sua tragedia

Liverpool, quei bravi tifosi che hanno rimosso l'Heysel

Ci costrinsero a giocare, ma era uno stadio assurdo

Heysel, quella ferita aperta

Liverpool-Juventus di Champions League vent'anni dopo Bruxelles.

di Aldo Peinetti

In tanti affrontarono la trasferta della finale: il ricordo di uno scampato Liverpool-Juventus. Il sorteggio di Champions League a Ginevra propone un abbinamento che richiama il ricordo di una tragedia, la strage dell'Heysel, avvenuta vent'anni or sono. Dopo due decenni esatti, la sera del 29 maggio 1985 resta una dolorosa pagina aperta. Non si chiama più Coppa dei campioni ma Champions League, il mondo del calcio e soprattutto quanto gli sta attorno è molto cambiato da quella vergognosa notte in cui morirono 39 persone. Anche dal Pinerolese si mossero in tanti, 400 o forse più, alla volta di Bruxelles: "Ricordo un esodo di persone che volevano vivere una festa. Il calcio come comunicazione, lo sport come aggregazione, vennero schiacciati dal peso di un lutto reso ancor più lacerante dall'impunità dei responsabili. Nessuno ha pagato veramente, commenta Enrico Pollo, allora 24enne, partito da Bibiana per la capitale belga in compagnia di cinque amici. Le testimonianze raccolte nei giorni dopo la tragedia ed il ricordo di queste ore fotografano la trascuratezza della Polizia, l'inadeguatezza dello stadio, la violenza inscenata dagli hooligan sotto gli effetti dell'alcool. Fuori dall'Heysel fu aggredito e ferito gravemente al capo Carlo Duchene, accompagnato dall'amico Ivo Taverna, anch'egli pinerolese. "Mi sono chiesto più volte cosa sarebbe successo se non si fosse giocato e penso che la disputa del match sia stata una scelta obbligata, dettata da ragioni di ordine pubblico. Ci fu una pesante sottovalutazione dal punto di vista della sicurezza, mentre sul piano sportivo quella Coppa rappresenta una memoria scomoda per la Juve e per tutto il mondo del calcio, continua Pollo, che era ospite del settore Z, dove avvenne la strage. Attualmente responsabile di progetti comunitari nei Paesi dell'Est è tornato a visitare l'Heysel durante gli anni trascorsi al Parlamento europeo: "Ho ripensato a quando solo per caso io e i miei amici riuscimmo a raggiungere la pista senza venir travolti e uccisi dalla calca. Gli spalti col porfido, le divisioni ridicole ed il muretto poi crollato me li porto negli occhi. Il prossimo Liverpool-Juve ? Vinca il fair play e vengano devoluti gli incassi ai familiari delle vittime".

Marzo 2005

Fonte: Ecodelchisone.it

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Lettera a Matteo Marani

Caro Direttore,

finalmente, nel ventennale dell’Heysel, Juventus e Liverpool si ritrovano. Credo che una grande giornata di sport sia la cosa più bella per ricordare quella tragedia. Io c’ero, e sono stato pure a Liverpool pochi anni fa. Ho visto giocare i reds all’Anfield Road, ho respirato il clima del loro stadio-mito, ho incontrato il popolo dei "rossi". Ci sono bandiere della Juventus cucite insieme alle loro nella Kop, ci sono stemmi bianconeri sui loro giubbotti. Non sono trofei di guerra da ultras, ma il segno di un particolarissimo "gemellaggio", come fosse un risarcimento morale, se così possiamo chiamarlo. Come se volessero dirci: lo sappiamo, stiamo ancora espiando. Ricordo il pudore e l’imbarazzo del mio vicino di posto, durante Liverpool - West Ham, quando gli dissi che tifavo Juve e che "I was in Brussels...". Gli hooligans. I teppisti. La feccia. I supporters britannici in generale, additati al pubblico ludibrio. Una alluvione di luoghi comuni superficiali e ingiusti. E tonnellate di demagogia. Questo fu detto e scritto vent’anni fa. Ma io ricordo le lacrime di Fagan e dei suoi ragazzi, in cattedrale, nella messa per i caduti. E la "giustizia" dell’UEFA ? Una giustizia pusillanime, vigliacca. Con una lunghissima coda di paglia dimostrata persino 15 anni dopo, agli Europei del 2000, quando i parrucconi del Comitato Organizzatore osteggiarono qualsiasi commemorazione proposta dalla nazionale italiana davanti alla lapide nel nuovo stadio "Re Baldovino". Poi Antonio Conte e Paolo Maldini andarono ugualmente a deporre dei fiori. Vorrei dire agli juventini che si recheranno sulla Mersey per la gara d’andata: partite tranquilli, nessuno vi aggredirà. Visitate il museo dentro lo stadio, andate agli "Shankly gates" dove c’è la lapide che ricorda le 96 vittime dell’Hillsborough, ascoltate "You’ll never walk alone" che verrà cantato a squarciagola, prima del fischio d’inizio, da 44000 innamorati del football. Sarà una festa. La ringrazio per l’attenzione concessami, mi auguro vivamente che questa mia testimonianza possa trovare spazio sul Tuttosport.

Nel rinnovarLe tutta la mia stima, Le porgo i miei cordiali saluti.

Andrea Danubi

19 marzo 2005

Fonte: Guerin Sportivo

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Vent'anni fa la tragedia dell'Heysel con 39 morti

Riecco Juve-Liverpool con il dolore nel cuore

Capello: "Ci sarà un pensiero per quelle vittime"

di Roberto Perrone

La storia la conosciamo tutti. E' la cronaca che ci sfugge. Liverpool-Juventus vent'anni prima. Mercoledì 29 maggio 1985, a Bruxelles, in una serata molto calda, che rese bollenti le teste degli inglesi e anche l'asfalto del circuito di Spa-Francorchamps: il Gran premio, previsto per il weekend successivo, venne annullato. Si consumò la tragedia della curva Z dello stadio Heysel: una carica degli hooligans provocò la fuga dei sostenitori della Juventus, gente normale, famiglie, non ultrà professionisti. Qualcuno aveva mischiato, criminalmente, le due tifoserie: agenti di viaggio, capi tifosi, autorità belghe, dirigenti Uefa, polizia (ce n'era pochissima nella curva Z). Trentanove esseri umani (32 erano italiani) persero la vita: nessuno in conseguenza di ferite inferte dai loro assalitori, ma tutti schiacciati dal tentativo di fuga, in uno stadio vecchio, senza uscite sufficienti, senza controllo. La partita si giocò comunque e divenne una farsa. I giocatori della Juventus fecero addirittura il giro d'onore con la Coppa, poi dissero che non li avevano informati, che era per calmare la gente. Forse è vero, forse no.  Liverpool-Juventus, 20 anni dopo: il regalo del sorteggio dei quarti di Champions League. Primo incrocio da allora. I bianconeri di ora sono tutti contenti di aver pescato i Reds (Del Piero e Capello l'avevano previsto), quelli di ieri parlano di "ferite ancora aperte" (P. Rossi), ma col tono di chi sta raccontando una storia. Nick Parry amministratore delegato del Liverpool, pensa di organizzare "qualcosa": "Quella tragedia è molto presente nella memoria dei nostri tifosi, dobbiamo sfruttare la partita per cercare di dimenticare". Fabio Capello ha detto la cosa più sincera: "Ci sarà un pensiero per le vittime". Uno, poi lo show deve proseguire. L'Équipe, il giorno dopo la strage, fece il più bel titolo della mazzetta: "Le football assassiné". Bello, ma ingenuo: da allora il football l'hanno ucciso in mille altri modi. L'Osservatore Romano scrisse il più bel commento: "L'uomo è stato tremendamente offeso anche dopo che i tanti Caino sparsi sulle gradinate lo avevano ammazzato. Per calmare i Caino non si è rispettato il sangue degli Abele: si è giocato mentre i morti erano ancora lì scomposti nella violenza appena subita. Si è tifato, si è gioito in una giornata in cui tutti e tutto sono stati sconfitti" (dal libro di Caremani). L'Heysel commuove, ma poi prevale l'interesse di parte. Anche chi chiede alla Juve la restituzione della Coppa, salvo rare eccezioni, se si trovasse nella stessa situazione, se la terrebbe stretta. Francesco Caremani, giornalista di Arezzo, ha scritto un libro irrinunciabile, (La verità sull'Heysel, Libri di Sport). Tutti l'hanno apprezzato per la raccolta di documenti e testimonianze, ma quando s'è azzardato ad affrontare il tema della restituzione della Coppa con un difficile equilibrismo si vogliono ricordare i 39 morti, ma anche accreditare come sportivamente ineccepibile quello che accadde dopo. Per quelli che pensano che prima c'era lo stile Juve e adesso non c'è più, ecco la testimonianza di Otello Lorentini, presidente dell'associazione italiana delle vittime: "Giampiero Boniperti, tre giorni dopo la strage, disse che si doveva mettere una pietra sopra l'accaduto. La Juve voleva stendere un velo sui fatti dell'Heysel". "Questa società non c'entra nulla, con l'altra" si è sentito rispondere qualche settimana fa un giornalista straniero che aveva telefonato alla sede della Juve cercando recapiti dei parenti delle vittime. Dell'Heysel se ne farebbe a meno, ma per la scocciatura. Alla fine, comunque, tutti arrivano dal signor Otello, 80 anni, che quella notte ha perso suo figlio Roberto, giovane medico, padre di due figli, insignito della medaglia d'argento al valor civile: poteva salvarsi, si fermò a prestare soccorso e venne travolto. Proprio ieri Otello Lorentini ha proposto un'amichevole tra Liverpool e Juventus ad Arezzo a giugno, una specie di festa del perdono. Dopo questo sorteggio le possibilità stanno a zero, ma lui va avanti lo stesso. Come fa da vent'anni. Ora è a Bruxelles a girare un documentario per Sky. Però non guarderà la nuova Liverpool-Juventus, nemmeno in tv. La cronaca fa male. L'Heysel chiuse per 11 mesi. Lo riaprirono il 23 aprile 1986 (Belgio-Bulgaria). Cambiarono nome alla curva Z: Settore Z, poi Curva Nord, poi Settore Nord 1. Infine buttarono giù lo stadio e ne fecero un altro, intitolato a Re Baldovino. Il 14 giugno 2000, in occasione di Belgio-Italia agli Europei, Dino Zoff, con una delegazione azzurra, depose un mazzo di fiori davanti alla lapide che ricorda la strage: l'altoparlante dello stadio sparava musica rock. Una certa distrazione resta caratteristica dei Belgi. Tre gradi di giudizio cercarono di attribuire le responsabilità. Risultato: condannati 13 hooligans (cinque anni con la condizionale), il capitano della gendarmeria Johan Mahieu (tre mesi con la condizionale), il presidente della Federcalcio belga Albert Roosens (sei mesi con la condizionale), il segretario generale dell'Uefa Hans Bangerter (tre mesi con la condizionale e 30 mila franchi, 500 euro di multa). Neanche sfiorati i principali responsabili, il presidente dell'Uefa, il sindaco di Bruxelles, il ministro degli Interni belga. Però almeno la sentenza ha fatto giurisprudenza: prima l'Uefa arrivava, incassava (l'83 per cento in quel caso) e spariva: ora è ritenuta responsabile degli eventi col proprio marchio. Infatti sta più attenta. Il 29 maggio del 1985 la riunione (c'è nei verbali del processo) si tenne in un ristorante nei pressi della Grand Place. Fuori gli hooligans s'inciuccavano e razziavano i negozi; dentro, gli organizzatori pasteggiavano a frutti di mare e vino bianco. Adesso ci sono dei briefing che non si vedono neanche al Pentagono. Adesso, a Liverpool-Juventus, non succederà nulla. La storia ha già dato. E' la cronaca che ci perseguita. PAOLO ROSSI : "Fu una serata infausta. E' una ferita ancor aperta, ma quella notte è servita di lezione a tutto il calcio". MICHEL PLATINI: "Sarò in tribuna a Liverpool e a Torino per rendere omaggio ai tifosi. Andrò a dire che il calcio è un gioco di festa e gioia".

19 marzo 2005 

Fonte: Il Corriere della Sera

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L'attaccante sarebbe passato alla Juve due anni dopo

Rush davanti alla curva Z "Così il calcio scomparirà"

di Bruno Bernardi

Odore di morte. Lo sentivo, intenso, trasudare da quelle gradinate trasformate in cimitero. Davanti ai miei occhi la tragedia che si era consumata qualche ora prima nella curva Z dell'Heysel, ormai popolata solo da migliaia di scarpe, cappellini, brandelli di bandiere bianconere e altri oggetti lasciati nella fuga da chi era riuscito a salvare la pelle. Ero sceso sulla pista atletica dalla tribuna stampa, dove qualche poliziotto proteggeva i colleghi che stavano finendo di dettare i servizi ai giornali. Stavo nei pressi della rete metallica abbattuta da mani disperate. Nel silenzio irreale, sentii dei passi. Era il gallese Ian Rush, il re dei bomber del Liverpool, che non poteva sapere che sarebbe diventato bianconero due stagioni dopo. I suoi occhi azzurri brillarono alla luce dei fari. Non credo fosse commozione. Fissò il desolante spettacolo e sibilò a denti stretti, stirando appena i baffetti: "Terribile, davvero spaventoso. Che tristezza. Perché è successo ?". Allora, gli indicai quella fetta di curva che aveva ospitato l'orda inglese. Lui annuì, poi si girò verso la curva opposta, quella juventina e mormorò: "Anche loro non sono immuni da colpe. La violenza è generale. Deve finire perché il calcio possa sopravvivere. In campo, io mi batto sempre lealmente perché trionfi lo sport non per provocare pubblico e avversari. Gioco a football, non a catch. La partita con la Juve ? Quale partita ?". Con i capelli umidi di doccia, Rush prese coscienza di come la barbarie umana possa avere conseguenze luttuose. Vent'anni dopo, la ferita è ancora aperta.

19 marzo 2005 

Fonte: La Stampa

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"Dopo la tragedia, l'indifferenza di tutti"

di Marco Ansaldo

L'inutile processo durò sei anni e mezzo. Otello Lorentini perse il figlio e ancora oggi lotta perché nessuno dimentichi. I parenti delle vittime: pochi soldi per scaricarsi le coscienze e nessun aiuto concreto.

Da quel fatto impararono solo gli inglesi. La Thatcher prese dalle morti dell'Heysel il coraggio di imporre quanto nessun governo italiano ha voluto fare contro la violenza nel calcio: così loro oggi hanno gli stadi sicuri mentre da noi rimane la paura di portare alla partita i propri bambini". Otello Lorentini ha 80 anni e il 29 maggio 1985 all'Heysel perse il figlio. Roberto era un medico. Quel giorno il postino aveva recapitato a casa sua la raccomandata con cui lo avvisavano dell'assunzione all'ospedale di Arezzo. Ma, a sera, Roberto Lorentini giaceva cadavere nella Morgue di Bruxelles, ucciso dalla folla che lo calpestava mentre, da medico, praticava la respirazione bocca a bocca a un bambino travolto e in fin di vita. Per quel gesto gli hanno riconosciuto la medaglia d'argento al valor civile, non quella d'oro, però, perché altrimenti avrebbero dovuto concedere un vitalizio alla famiglia. E' una piccineria tra le tante che hanno accompagnato i sopravvissuti. Com'è la storia di Carla, caduta in coma mentre suo padre moriva nella calca. La assunsero come cassiera in un supermercato. Compariva sui giornali, era una pubblicità buona, anzi buonista. Qualche mese dopo, svanito l'effetto Heysel, la licenziarono. "Sono stati anni di lotta - racconta il signor Otello, che diventò il presidente e l'anima dell'Associazione tra i parenti delle vittime dell'Heysel. Chiedevamo giustizia ma la nostra era una voce scomoda. Noi, le famiglie di 32 vittime, andavamo contro istituzioni intoccabili: l'Uefa, il governo belga, la polizia di Bruxelles. Aiuti ? Dallo Stato poco, dalla Juventus ancora meno. Davamo fastidio alle loro coscienze, ci sgusciavano via". Si è perso il conto delle volte in cui Lorentini si scontrò con Boniperti. "Quelle morti si sono ripercosse sui vivi - racconta Francesco Caremani, l'autore del documentatissimo "Le verità sull'Heysel, cronaca di una tragedia annunciata". Alcune famiglie sono andate in rovina. Di sensibilità, dopo l'impatto iniziale, se ne vide poca. Nei parenti delle vittime è rimasta quella frase detta dalla Juve dopo la conquista della Coppa Intercontinentale, "abbiamo messo una pietra sopra all'Heysel". Otello rispose che l'unica pietra stava sulla tomba di suo figlio. La lotta per ottenere giustizia è stata lunga. Sono serviti tre gradi di giudizio, dopo la prima sentenza che assolveva tutti, tranne 14 hooligans condannati a tre anni, di cui la metà condonati e che non trascorsero in galera un giorno in più di quelli successivi all'arresto. Dopo sei anni e mezzo, nell'ottobre '91, grazie all'ostinazione di Lorentini e di un avvocato italo-belga, Daniel Vedovatto, furono condannati anche gli uomini delle istituzioni. Pochi e a poco. Nove mesi al capo della polizia, il capitano Mahieu, 6 mesi al presidente della federazione belga, Roosens, 3 mesi e 30 mila franchi al segretario Uefa, Bangerter. Tutti liberi con la condizionale. Gli intoccabili veri se la cavarono senza tracce sulla fedina penale. "Non ci importava vedere la gente in galera - racconta Lorentini - ma il riconoscimento di una responsabilità perché nel futuro le cose non fossero fatte con tanta leggerezza". E i risarcimenti ? Qualcosa è arrivato. Somme spesso ridicole. Quindici milioni di lire da dividere tra i famigliari di Giusy Conti, pure lei aretina, fino a mezzo miliardo a chi aveva perso un padre o un marito con un alto livello di reddito perché pure di fronte alla morte non siamo tutti uguali. Dallo Stato belga arrivarono rimborsi vergognosi: mille, duemila lire. Otello Lorentini continua la sua lotta. Ha fondato un comitato, insieme alla famiglia Conti, per diffondere nelle scuole e tra i giovani il concetto di antiviolenza nello sport. In questi giorni è a Bruxelles con i nipoti, i figli di Roberto, per registrare uno speciale per Sky e ha già inviato alla Uefa, alla Juve e al Liverpool la richiesta per organizzare ai primi di giugno, ad Arezzo, la partita della memoria a 20 anni dall'Heysel. Scommettiamo che aspetterà a lungo una risposta ?

19 marzo 2005 

Fonte: La Stampa

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"Gli inglesi hanno imparato la lezione"

di Roberto Beccantini

Platini: ai tifosi dico non cercate vendette.

MICHEL Platini, quel rigore, quella corsa, quell'esultanza: pentito ? "Non è proprio il caso di riaprire la ferita dell'Heysel. Immagino quale possa essere stato l'impatto del sorteggio sulla memoria di chi perse un figlio, un parente, semplicemente un amico. Però...". Però ? "Credo che sia arrivato il momento di voltare pagina, tutti insieme. Facciamo in modo che Liverpool-Juventus sia una festa, come avrebbe dovuto esserlo il giorno della tragedia. Io che c'ero, sarò sia ad Anfield che al Delle Alpi. Mi rivolgerò alle società e ai loro tifosi: quale miglior occasione per riportare la pace nel calcio ?". Viceversa, c'è chi medita di vendicarsi. "La parola "vendetta" è orribile. Un termine così violento e disgustoso, va espulso dal vocabolario dello sport. Non bisogna cadere nelle trappole di pochi. Lo so, è la prima volta che Juve e Liverpool si affrontano dopo la strage: e allora ? Sarà una doppia sfida spettacolare ed emozionante, quanto basta per iniziare una nuova storia senza cancellare la vecchia". Senza cancellare la vecchia: è servita come lezione, almeno ? "Agli inglesi, di sicuro. I 39 morti di Bruxelles e i 96 di Hillsborough (1989: Liverpool-Nottingham, semifinale di coppa) li spinsero a cambiare radicalmente registro. Leggi severe, stadi sicuri: il fenomeno hooligans è stato ridotto in termini drastici, tanto che ormai sopravvive solo in occasione delle trasferte in continente dei club e della Nazionale". In Italia, invece ? "In Italia, e pure in Francia, non ci siamo ancora. Le partite sono bombe a orologeria, c'è troppa incultura, troppa violenza". Rimedi ? "Buttare giù le barriere negli stadi. Il tifoso non deve sentirsi un animale in gabbia. Sono proprio le gabbie, le catene a scatenare gli istinti più bestiali. Responsabilizzare la gente, il primo passo non può essere che questo".

19 marzo 2005 

Fonte: La Stampa

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Gli assalti inglesi fecero crollare un muro: 39 morti

Così all'Heysel esplose la furia hooligan

di Piero Bianco

Uno stadio inadeguato scelto dall'Uefa, i biglietti "sbagliati", la ferocia dei teppisti ubriachi, la polizia belga incapace di contenerli.

Dopo due ore di attesa, la porticina sul retro si spalancò all'improvviso. E la folla silenziosa finalmente fu ammessa: uno stanzone spoglio, altra interminabile attesa. Proteste, lacrime. Non può essere ameno un ospedale militare adibito a obitorio. Ma quella gente pretendeva almeno rispetto, non lo ebbe. Chi cercava il figlio, chi un amico, la moglie, il padre, il fratello. Una folla di disperati, reduci da una notte di vagabondaggio per tutta Bruxelles, ospedale dopo ospedale, con il cuore in gola, nella speranza di sentirsi dire: "Sì, è ricoverato qui". E ricevendo sempre un no. Un viaggio del dolore tra l'ospedale di Jette e quello francese, il Saint-Pierre, la clinica Saint-Jean. Il caos era totale, nessuno regalava identità certe, soltanto il passaparola dei superstiti guidava quelle penose ricerche. Quando l'ultima speranza era caduta, i parenti delle 39 vittime dell'Heysel (2 rimasero a lungo senza nome, 32 gli italiani) erano stati dirottati all'obitorio. Per il triste rito del riconoscimento. La scena che videro lì, a meno di ventiquattro ore dall'inferno, rese ancor più insopportabile la tragedia. Eravamo là con loro quando nel pomeriggio del 30 maggio 1985 re Baldovino e la regina Fabiola entrarono nello stanzone per abbracciare, una ad una, quelle facce sconvolte, per stringere quelle mani che tremavano di rabbia. "Mi dispiace, scusateci, faremo di tutto per aiutarvi". Di tutto ? Baldovino evase i doveri istituzionali senza andare oltre, sebbene i suoi occhi riflettessero un dolore autentico e non la recita di un copione. Rimase mezz'ora a consolare gli inconsolabili, poi appena il re se ne andò si spalancò la porta sull'orrore. Entrate, sceglietevi pure il vostro morto. I corpi erano allineati sul pavimento, buttati lì senza pietà, con malagrazia. Ancora sporchi e insanguinati, come erano stati raccolti la sera prima nello stadio maledetto. Esplose furibonda l'ira dei parenti: una vergogna, un insulto. Solo il giorno dopo infermieri pietosi misero una pezza pietosa. Prima dell'autopsia e del mesto rientro in patria delle salme, con un aereo militare. Mentre i feriti, visitati tre giorni dopo da Platini e da alcuni dirigenti juventini, continuavano a domandarsi perché fosse successo. Già, perché ? Chi non c'era e ha soltanto sentito parlare dell'Heysel, fatica a capire. Chi ha visto, non può dimenticare, anche vent'anni dopo. Quel film dell'orrore ha un prologo, l'assalto degli hooligans ai pacifici tifosi bianconeri nella Grand Place, cuore di Bruxelles. Sono le 12 e le eleganti vetrine del centro vanno in frantumi, i seggiolini dei dehors volano in aria. Gli inglesi sono già ubriachi fradici. La polizia li disperde, li sottovaluta, si dirigono allo stadio. Alle 18.15, due ore prima del fischio d'inizio, l'Heysel, fatiscente e inadeguato a una finale di Coppa Campioni, è già stracolmo. Nella curva "Z" dovrebbero esserci solo belgi, a fare da cuscinetto tra le due fazioni. Invece i biglietti sono finiti anche a molti Juventini. Gli hooligans sono a pochi metri, separati da pochi agenti. Mezz'ora dopo comincia il viaggio all'inferno. Lanci di sassi ai rivali, un razzo che esplode, l'onda barbarica ondeggia minacciosa. Poi, il finimondo. Centinaia di altri hooligans, senza biglietti, premono dall'esterno per entrare. Sono le 19.22. Alle 19.24 il secondo assalto: irrompono in un settore già strapieno. Crolla il muro di sostegno, la folla è travolta dai calcinacci, schiacciata dalla furia dei teppisti, sempre più eccitati. Chi cerca riparo verso il campo viene respinto dalla stupidità dei 120 poliziotti di servizio, che non percepiscono i contorni della tragedia. Sembra una guerra. Feriti in cerca di soccorso negli spogliatoi, dispersi che cercano parenti e amici. I primi morti. Il caos totale. La Croce Rossa allestisce una tenda davanti alla tribuna centrale e le salme vengono raggruppate proprio lì. Arriva Gianni Agnelli e intuisce che non sarà una serata di sport: non scende nemmeno dalla sua limousine, se ne va. Il figlio Edoardo è dentro, negli spogliatoi, dove i giocatori della Juve già sanno, dicono a Trapattoni e Boniperti che non giocheranno. Tutti d'accordo, ma il capo della polizia Mahieu e il sindaco di Bruxelles Brouhon ordinano di scendere in campo "per evitare una guerra civile". Scirea, il capitano, legge un messaggio alla folla: "Amici, restate calmi, giocheremo per voi". La partita comincia alle 21.43. Davanti alla tv, in Italia, c'è Sandro Pertini, con milioni di tifosi. Molti in ansia per i parenti partiti per il Belgio convinti di vivere una festa. Fuori, si contano i morti. Quaranta ambulanze e decine di taxi fanno la spola con gli ospedali per trasportare i feriti. Non c'è gioia, solo disperazione. Questo è stato l'Heysel maledetto.

19 marzo 2005 

Fonte: La Stampa

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La notte maledetta del calcio tra follia, sangue e disperazione

di Maurizio Crosetti

TORINO - Dopo vent' anni, in testa restano frammenti. La ragazzina sulla transenna usata come barella, con lo sbuffo rosso sulle labbra: una bambola immobile frantumata dentro.  L'uomo con la pancia enorme, sdraiato sulla schiena, e il rianimatore che quasi si arrampicava su di lui per pompargli il massaggio cardiaco, però scivolava, non ci riusciva, tutto era fretta e impaccio e assurda morte. Il ragazzo al quale fecero una tracheotomia inutile, nel piazzale davanti allo stadio dove intanto avevano allineato i primi cadaveri, e tutti cercavano tutti e nessuno trovava nessuno. Il fragore, le urla, i movimenti di massa, si inciampava, si scivolava. Il silenzio assoluto scese solo verso mezzanotte, quando Bruxelles apparve come una città disabitata. Oppure i gendarmi a cavallo, assurdi, una giostra comica nella tragedia, andavano avanti e indietro roteando i manganelli nell'aria, gridando cose fiamminghe. E i salvati, quelli che chiedevano ai giornalisti di chiamare casa per loro, e porgevano bigliettini con i numeri di telefono, dica a mia madre che sono vivo, per piacere, spieghi a mio padre che sono salvo, e allora facemmo proprio così: una telefonata al giornale e un'altra in qualche palazzo sconosciuto nella notte italiana, lontanissima, per rassicurare, per non riuscire a rispondere alla domanda impossibile: perché ? E le sciarpe bianconere a terra e sul prato, le bandiere strappate, le scarpe, una piccola di bambino, i resti della vita che fino a un'ora prima c'era, era lì in curva e cantava nel "settore Z", poi aveva ceduto in uno schianto. Una rete da pollaio divideva gli italiani dagli inglesi, c'era un tramonto rosso pazzesco, erano rosse anche le maglie degli hooligans che tiravano sassi e bastoni contro gli juventini (c'era un cantiere aperto dietro la curva, niente di più facile che rifornirsi e poi lanciare), gli italiani indietreggiano, gli inglesi insistono, incoraggiati, avanti. Dalla tribuna si capiva e non si capiva, c'era quest' onda umana, un movimento progressivo verso sinistra. Finché il muro crollò. E sotto il muro le persone, e ancora persone sopra le prime, addosso, schiacciando polmoni e bocche spalancate. "Ci sono morti, tanti, corriamo". La notizia arrivò dopo cinque, dieci minuti. Andammo fuori, sul piazzale. Gli uomini della Croce Rossa avevano larghi mantelli. Non c'erano barelle, non c'era niente, solo i gendarmi a cavallo. Arrivò l'auto dell'avvocato Agnelli, gli dissero cos'era successo, l'auto ripartì, guidava lui. Avevano messo le persone sopra i pezzi di transenna e le rovesciavano a terra, quasi tutte già morte. Pochi medici si affannavano. Uno di loro, un italiano a Bruxelles per la partita, Roberto Lorentini, poteva salvarsi e invece tornò indietro per aiutare e finì soffocato. Suo padre Otello è il presidente dei parenti delle vittime. Dice: "Da vent'anni non vedo una partita, dunque non vedrò neanche Liverpool-Juve, da vent' anni aspetto che qualcuno della Juventus si faccia vivo". Tornammo in tribuna per scrivere, per dettare al volo gli articoli e per chiamare in Italia i numeri dei bigliettini. Non c'erano cellulari, vent' anni fa. L'altoparlante diffuse una voce pacata e tremula, quella di Gaetano Scirea: "Restate calmi, giochiamo per voi". Sapeva dei morti, lui già segnato dal destino, come loro in fondo. Si giocò per evitare altri scontri. "Ma fu tutto, tranne che una partita di calcio" dice oggi Zibì Boniek. Uno a zero con un rigore che non c'era, tirato da Platini. Il giorno dopo, il francese avrebbe detto: "E' triste, però è la legge dello spettacolo e si doveva giocare. Quando al circo cade il trapezista, lo portano via ed entrano i clown". Il giorno prima, anche lui aveva fatto il giro d'onore con la Coppa dei Campioni in mano, aveva molto sorriso sotto la curva, difficile decidere chi fossero davvero i pagliacci. "E' stata una vittoria legittima" commentò Boniperti che ora aggiunge faticosamente: "Per favore, non fatemi ricordare". Il presidente era andato all'obitorio, aveva visto le trentanove bare in fila, trentadue italiane. "La ferita è aperta e non potrà chiudersi mai", racconta invece Paolo Rossi. Dopo vent' anni, la memoria è qualcosa che brucia e non dà risposte, non dà spiegazioni, proprio come quella sera all'Heysel. Un giornalista che ne aveva viste tante, uscì dallo stadio in lacrime. "Non potrà mai più essere come prima, lo capisci ?", diceva al giovane collega che invece pensava a una bambola con la bocca rossa.

19 marzo 2005 

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI STAMPA e WEB MARZO 2005 

Quell'incubo chiamato Heysel

di Giancarlo Galavotti

LONDRA (Ing) - "Trentanove tifosi della Juventus persero la vita la sera del 29 maggio 1985 per il crollo di un muretto allo stadio Heysel di Bruxelles". L'inviato della Bbc Radio al sorteggio a Nyon va con la corrente. Forse dell'Heysel ha letto solo la versione ufficiale del sito web del Liverpool FC. "Dopo un intenso lancio di oggetti contro il settore dei Red, alcuni tifosi del Liverpool si sono lanciati contro i tifosi italiani. E' scoppiato il caos, i tifosi della Juve sono scappati, ma un muro che gli bloccava la fuga è crollato travolgendoli". Vent' anni dopo i fatti sono confusi e appannati, nell'Inghilterra che si prepara al primo Liverpool-Juve da quella "tragedy", temendo che i tifosi bianconeri covino ancora un rabbioso risentimento. "Come reagiranno i fan a Torino ?". Me lo chiede in diretta l'intervistatore di Bbc Radio, che almeno mi concede di replicare al suo collega che non si può raccontare la notte dei 39 morti ammazzati, dei 400 e passa feriti, come se tutto sia dipeso da un muretto instabile. Il muretto all'esterno del settore "Z" del fatiscente Heysel non era all'altezza, come tutto il resto dello stadio. Ma non era stato costruito per resistere alla disperazione di centinaia di persone terrorizzate. Terrorizzate dai tifosi del Liverpool. C'ero anch' io, quella sera, in tribuna stampa, un'ora abbondante prima del calcio d'inizio, fissato per le 20.15. Guardavo la massa in maglia rossa stipata all'inverosimile nell'altra metà della curva contigua al settore "Z". Una banale rete metallica separava gli inglesi ammucchiati dalle gradinate quasi disabitate, un'ora prima del calcio d'inizio, dello "Z". Una rete metallica sorvegliata da normali poliziotti. I reparti celeri erano tutti fuori dallo stadio, secondo il piano. Secondo i dirigenti delle forze dell'ordine belghe, dovevano restare fuori fino a 10 minuti prima del calcio d'inizio, per prevenire incidenti tra le tifoserie che arrivavano allo stadio. Solo dopo le 20 si sarebbero trasferiti sulle gradinate, per controllare la folla durante la partita. Alle 19 i settori inglesi dell'Heysel già straripavano, ma nessun dirigente di polizia ha avuto l'intuito, il coraggio, di cambiare gli ordini. Abituato agli stadi inglesi di quegli anni, guardavo angosciato la massa Red agitarsi e ribollire, e raccontavo ai colleghi accanto a me quello che prevedevo sarebbe successo. Il settore "Z" era mezzo vuoto, perché nei piani Uefa doveva essere un settore neutro, riservato al pubblico belga. In Belgio la comunità italiana è vastissima, e per molti italo-belgi fu semplice acquistare biglietti "Z". Anche per i bagarini belgi. Che li passarono ad agenzie e a clienti pronti a pagare prezzi gonfiati. Nel settore "Z" non c'erano gli ultrà bianconeri, collocati invece nella curva opposta, dietro l'altra porta, ma gente e famiglie normali. I pochi poliziotti scapparono come pecore quando gli inglesi caricarono, abbattendo la rete, e scapparono cercando salvezza gli italiani e gli altri europei. Davanti, in fondo ai gradini, la barriera metallica. Di fianco, alla destra, il muretto. Schiacciati contro la barriera, dalle ondate che fuggivano all'assalto degli hooligan, con qualche poliziotto testardo che cercava di impedire l'ingresso in campo ai disperati. Schiacciati contro il muretto. Che poco dopo crollò. Finalmente gli inglesi si fermarono, ma era troppo tardi: 39 morti (32 italiani) brutalmente soffocati nella ressa, oltre 400 feriti, sparsi sul campo, tra soccorsi improvvisati e lo strazio di parenti e amici. La partita si giocò alle 21.39. Le autorità belghe avevano bisogno di tempo per organizzare il controllo dell'uscita delle due tifoserie. Per evitare altri incidenti, giocare fu necessario. Al 12' della ripresa l'arbitro Daina fischiò un rigore per il fallo di Gillespie su Boniek. Un metro fuori dall'area. Platini segnò e celebrò. Anche alla fine, uscendo con altri bianconeri sul campo per mostrare la Coppa ai tifosi. "Fu tutto tranne che una partita vera - dice adesso Boniek. Donai il mio premio ai parenti delle vittime. Ma la voglia di vincere in quel momento era grande". Platini sarà in tribuna a Liverpool e al Delle Alpi. "Per rendere omaggio ai tifosi delle due squadre. Gli dirò che il calcio, com'è diventato, non mi piace: dev'essere una gioco, una festa". Un gioco, una festa come in Inghilterra, dopo 20 anni di guerra totale agli hooligan. I 39 dell'Heysel non sono morti invano, almeno per il calcio inglese.

19 marzo 2005 

Fonte: La Gazzetta dello Sport

ARTICOLI STAMPA e WEB MARZO 2005 

Venti anni dopo i morti dell’Heysel

L’Italia ricorda ancora la sua tragedia

di Massimo Solani

Quello che gli uomini non sono mai riusciti a rimettere insieme lo hanno fatto le urne di Nyon della Uefa e Liverpool-Juventus, vent’anni dopo, è "solo" il primo quarto di finale della Champions League. Il prossimo 5 aprile, due decenni dopo la tragedia dell’Heysel in cui morirono 39 persone (32 tifosi italiani), "Reds" e bianconeri si ritroveranno di fronte per la prima volta dopo la finale che regalò alla Juventus la sua prima, terribile, Coppa dei Campioni. Un accoppiamento che è un incredibile "tiro mancino" del destino e che quasi lascia in secondo piano le considerazioni relative all’ennesimo atto di una sfida infinita fra Italia-Inghilterra in Champions League. "Ho già parlato con i dirigenti del Liverpool - spiegava ieri nella sede della Uefa Romy Gai, responsabile commerciale e marketing della Juve. La partita d’andata in Inghilterra sarà l’occasione per un ricordo di quella tragedia e un omaggio a ricordo delle vittime: e sarà soprattutto una giornata di sport, per guardare avanti con serenità e onorare nel miglior modo una giornata che di sport non fu". A Bruxelles, quel 29 maggio 1985, c’era anche Fabio Capello che ai tempi era commentatore televisivo per Tele-Montecarlo. Vide coi suoi occhi gli incidenti, il crollo del muro del settore Z che travolse decine di tifosi italiani. E i cadaveri. Logico che anche per lui questo accoppiamento sia qualcosa di più rispetto a qualsiasi altra partita. "In questa circostanza occorrerà ricordare l’Heysel - ha commentato il tecnico bianconero. Ricordare a tutti che il calcio è solo quello che si gioca in campo, con gagliardia, ma non violenza. E fare in modo che non succeda mai più quella tragedia". Di fronte, fra tre settimane, Capello si troverà una squadra che nella Champions League ripone le ultime speranze stagionali: quinta in Premier League e distante 30 punti dal Chelsea in campionato, battuta dai "blues" nella finale della Carling Cup e uscita presto anche dalla Fa Cup, la squadra di Rafael "Rafe" Benitez (tecnico spagnolo approdato all’Anfield Road dopo tre stagioni al Valencia) agli ottavi ha eliminato brillantemente il Bayer Leverkusen con un doppio 3-1 dimostrando di essere squadra temibilissima. "Ho visto di recente il Liverpool - ha spiegato ieri Capello - è una squadra forte fisicamente e molto bene organizzata, sarà molto difficile. Giocare ad Anfield la prima non so se sarà un vantaggio, so solo che sarà molto difficile per le condizioni ambientali". Di certo, davanti alla tv il 5 aprile non ci sarà Otello Lorentini, fondatore e presidente dell’ Associazione fra le famiglie delle vittime dell’Heysel. "No, non guarderò alla Tv la partita - ha spiegato Lorentini, che a Bruxelles perse il figlio Roberto. Del resto, da venti anni, non ho più visto una partita alla televisione, solo qualche spezzone per far compagnia ai miei nipoti". E anche nel suo caso, il destino ha voluto tirare uno scherzo incredibile: non più tardi di due giorni fa, infatti, l’Associazione di cui è presidente aveva lanciato la proposta che Liverpool e Juventus giocassero una partita ad Arezzo, sua città natale, per "scrivere la parola fine a venti anni di imbarazzi, reticenze, colpevoli silenzi e diffidenze nei confronti di chi ha lottato duramente per avere giustizia". Le urne di Nyon lo hanno battuto sul tempo.

19 marzo 2005

Fonte: L’Unità

ARTICOLI STAMPA e WEB MARZO 2005 

Liverpool, quei bravi tifosi che hanno rimosso l'Heysel

di Maurizio Crosetti

LIVERPOOL - Chissà se chi ha fuso nel ferro questa scritta sopra la cancellata dello stadio, "You' ll never walk alone", non camminerete mai soli, pensava che sono i cattivi ricordi a non farci mai camminare soli. I rimorsi, le colpe, i maledetti fantasmi di ieri. Da vent' anni, chiunque passeggi qui intorno non cammina solo. E' la tana delle belve, "Anfield Road", la vecchia casa degli hooligans. Partirono da qui, vent' anni fa, per ammazzare gli juventini a Bruxelles e per morire un po' anche loro, durante e dopo. Tra cinque giorni, arriva la Juve. Ma è come se ci fosse sempre stata. "Ora abbiamo i tifosi più corretti d'Inghilterra" dice il presidente David Moores, dunque i meno cattivi al mondo. "Rispettiamo il ricordo dei morti e confidiamo nella forza e nella lealtà dei vivi, nessun dubbio su questo". E se la memoria ha il colore del sangue, rosso come le maglie del Liverpool, il presente è questa sfilza di cartelli appesi a ogni ingresso di Anfield. Sono disegnate le cose che non si possono portare sulle gradinate, con una croce: bicchieri, bottiglie, lattine, fumogeni, petardi, bandiere, coltelli, chiavi, martelli, ombrelli, macchine fotografiche, videocamere, stereo. Un altro poster, scritto a caratteri piccoli e fitti come un contratto, elenca i diciotto articoli del regolamento dello stadio. "Così nessuno potrà dire che non lo sapeva" racconta Sed Poynton, responsabile della sicurezza e manager di Anfield. "I razzi possono uccidere, e siamo stati noi i primi a vietarli. Ora sono proibiti in tutta l'Inghilterra. Lavoriamo in grande collaborazione con la Merseyside Police, e chi sgarra finisce in gabbia". Come in quasi tutti gli stadi inglesi, privatizzati e rifatti grazie al "Football Trust", il fondo pubblico per la ristrutturazione, anche ad Anfield Road esistono le celle di sicurezza: chi viene arrestato, va subito lì dentro. E una partita dal vivo non la vede più tanto facilmente. "Se sei incensurato e la polizia ti ferma, prendi un anno di squalifica. Se invece sei recidivo, la squalifica è a vita: per sempre. E avete idea di cosa significhi per un vero tifoso dover stare per sempre lontano dallo stadio ?". Dopo Bruxelles, tutti gli inglesi conobbero questa pena per cinque anni. Dopo, qualcosa cambiò, anche se le condanne individuali per l'Heysel furono davvero miti: cinque anni con la condizionale a tredici ultrà, risarcimenti ridicoli alle famiglie delle vittime. Per non dover camminare in eterno insieme alla colpa, i dirigenti del Liverpool hanno scelto l'impegno sociale e forse il buonismo, magari un po' troppo esibito. "Abbiamo un progetto contro il razzismo, un altro contro la violenza, abbiamo appena organizzato una partita benefica tra vecchie glorie per le vittime dello tsunami, c'erano anche Grobbelaar e Keegan" elenca Rick Parry, il general manager, senza trascurare la "Liverpool Disables Supporters Association", l'ente che garantisce i diritti dei disabili allo stadio, nel quale intervengono a turno tutti i calciatori. D'accordo, ma l'Heysel ? "Una grande, una terribile, una colossale fatalità" risponde il presidente Moores. Soltanto ? Parrebbe di sì. Per camminare soli, e lasciare un po' di rimorsi a casa, la vecchia rimozione funziona sempre. Perciò è meglio non cercare qualche ricordo di Bruxelles intorno allo stadio, dove gli ingressi sembrano mausolei alla memoria ma non a quella dell'Heysel. C'è la lapide con i novantasei nomi delle vittime di Sheffield, 15 aprile '89, novantasei tifosi schiacciati contro le cancellate prima della semifinale di FA CUP contro il Nottingham Forrest: la candela accesa, i garofani bianchi e rossi, qualche foto, frasi scritte a mano e lasciate lì. C'è la statua di Bill Shankly, leggendario allenatore del Liverpool dal '59 al '74 (a lui è dedicato anche un cancello), con il piedistallo in marmo sponsorizzato dalla birra Carlsberg. C'è un sacco di morte in poche centinaia di metri, però non c'è l'Heysel. "Avevamo avvertito l'Uefa che lo stadio di Bruxelles era inadeguato e pericoloso, io stesso inviai un rapporto scritto che venne ignorato" racconta Peter Robinson, che nell'85 era vicepresidente esecutivo dei "reds". "Sembra un incubo, invece è un'orribile storia vera che abbiamo vissuto". E anche rivissuto, forse con qualche distrazione: come nel sito Internet del Liverpool, dove si parla di "diciotto anni fa" anziché di venti, e dove si insiste sulle responsabilità dell'Uefa: "Chiedemmo settori separati per i tifosi, ma la vendita dei biglietti in Belgio creò un'area mista e il contatto fu inevitabile". La versione ufficiale insiste sul muretto crollato, sulla "rete da pollaio" nel settore Z, parla di un "lancio di sassi da parte italiana", dunque gli hooligans avrebbero risposto a una provocazione, circostanza falsa perché furono loro ad attaccare. Si dice che un anno prima, nella finale dell'Olimpico contro la Roma vinta ai rigori, i tifosi del Liverpool furono presi a sassate dagli italiani. "Un giorno da non dimenticare mai" è il titolo dello scritto, anche se gli inglesi lo ricordano un po' alla loro maniera. "Ma vedrete che stavolta sarà una sfida esemplare" dice ancora il presidente Moores, "all'insegna del nostro motto delle tre "f": fair, firm e friendly", cioè "corretto, sicuro e amichevole". Come dovrebbe essere diventato il tifoso del Liverpool, il pronipote delle belve. Non ci credono tanto gli ultrà juventini, che promettono vendetta per la gara di ritorno (13 aprile) con un inquietante tam tam su internet: loro vorrebbero un giorno della memoria il 29 maggio allo stadio Delle Alpi, per l'ultima di campionato contro il Cagliari che cade proprio nel ventennale, ma la società bianconera non è d'accordo e preferisce una breve cerimonia a Liverpool, martedì. "Festeggiare in casa di chi ci ha massacrati, questo è inaccettabile" rispondono gli ultrà, e la questura torinese è in allarme. Invece nel covo del "Kop", l'ala più calda del tifo inglese, all'Albert Pub di Anfield, l'atmosfera è paciosa. "L'Heysel è stato una disgrazia, ora noi vogliamo solo eliminare la Juventus nel massimo della correttezza e andremo a Torino tranquilli" dice il gestore, Ted, mentre riempie un ciclopico boccale schiumante. Appesi ai muri e al soffitto, trofei e simulacri di ogni sorta, berretti e bandiere, maglie e sciarpe, targhe e caricature, persino foto di matrimonio, però non cercate neppure qui un segno di Bruxelles: mai esistita. Semmai altri segnali resistono, purché innocui e senza dolore, come l'antica scritta sui mattoni rossi della "Christ Church": "Dio salva", sotto la quale una mano burlona aggiunse a caratteri incerti "ma Rush segna sulla respinta". Sta lì da vent' anni, al contrario dell'Heysel che è sbiadito molto in fretta perché qualcuno riuscisse a camminare un po' più solo, anche se poi non è mica vero.

31 marzo 2005 

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI STAMPA e WEB MARZO 2005 

Ci costrinsero a giocare, ma era uno stadio assurdo

di Maurizio Crosetti

LIVERPOOL - Phil Neal nell'85 era il capitano dei "reds": "Per prima cosa, voglio dire che il 13 aprile sarò a Torino per porgere le mie condoglianze a tutte le famiglie che all'Heysel persero qualche persona cara. Ci costrinsero a giocare, ricordo quando io e Scirea leggemmo il messaggio diffuso dagli altoparlanti, dicendo "state calmi, giochiamo per voi". Vent' anni dopo, credo che invece avremmo fatto meglio a tornarcene subito indietro e andare diritti a casa. Fino a quella sera, avevo pensato che il calcio fosse solo uno sport, un gioco: avevo torto. Ricordo l'ultimo allenamento all'Heysel, il giorno prima della finale: vedemmo quelle barriere ridicole, che anche un bambino di dieci anni avrebbe potuto scavalcare, e ci stupimmo che l'Uefa avesse scelto un impianto del genere per una gara così importante. Era un cantiere aperto, c'erano calcinacci dappertutto. Fu una partita surreale, nessuno protestava con l'arbitro, non sapevamo con esattezza quanti morti ci fossero, eravamo fantasmi e a un certo punto guardai Platini: mi rispose alzando le spalle. Credo che anche a lui, di quella partita non importasse più niente". (m. cr.)

31 marzo 2005

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI STAMPA e WEB MARZO 2005 

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