Heysel, quella ferita
aperta
Liverpool-Juventus di Champions
League vent'anni dopo Bruxelles.
di Aldo Peinetti
In tanti affrontarono la trasferta
della finale: il ricordo di uno scampato Liverpool-Juventus. Il
sorteggio di Champions League a Ginevra propone un abbinamento
che richiama il ricordo di una tragedia, la strage dell'Heysel,
avvenuta vent'anni or sono. Dopo due decenni esatti, la sera del
29 maggio 1985 resta una dolorosa pagina aperta. Non si chiama
più Coppa dei campioni ma Champions League, il mondo del calcio
e soprattutto quanto gli sta attorno è molto cambiato da quella
vergognosa notte in cui morirono 39 persone. Anche dal
Pinerolese si mossero in tanti, 400 o forse più, alla volta di
Bruxelles: "Ricordo un esodo di persone che volevano vivere una
festa. Il calcio come comunicazione, lo sport come aggregazione,
vennero schiacciati dal peso di un lutto reso ancor più
lacerante dall'impunità dei responsabili. Nessuno ha pagato
veramente, commenta Enrico Pollo, allora 24enne, partito da
Bibiana per la capitale belga in compagnia di cinque amici. Le
testimonianze raccolte nei giorni dopo la tragedia ed il ricordo
di queste ore fotografano la trascuratezza della Polizia,
l'inadeguatezza dello stadio, la violenza inscenata dagli
hooligan sotto gli effetti dell'alcool. Fuori dall'Heysel fu
aggredito e ferito gravemente al capo Carlo Duchene,
accompagnato dall'amico Ivo Taverna, anch'egli pinerolese. "Mi
sono chiesto più volte cosa sarebbe successo se non si fosse
giocato e penso che la disputa del match sia stata una scelta
obbligata, dettata da ragioni di ordine pubblico. Ci fu una
pesante sottovalutazione dal punto di vista della sicurezza,
mentre sul piano sportivo quella Coppa rappresenta una memoria
scomoda per la Juve e per tutto il mondo del calcio, continua
Pollo, che era ospite del settore Z, dove avvenne la strage.
Attualmente responsabile di progetti comunitari nei Paesi
dell'Est è tornato a visitare l'Heysel durante gli anni
trascorsi al Parlamento europeo: "Ho ripensato a quando solo per
caso io e i miei amici riuscimmo a raggiungere la pista senza
venir travolti e uccisi dalla calca. Gli spalti col porfido, le
divisioni ridicole ed il muretto poi crollato me li porto negli
occhi. Il prossimo Liverpool-Juve ? Vinca il fair play e vengano
devoluti gli incassi ai familiari delle vittime".
Marzo 2005
Fonte: Ecodelchisone.it
ARTICOLI STAMPA e WEB MARZO
2005
Lettera a Matteo Marani
Caro Direttore,
finalmente, nel ventennale dell’Heysel,
Juventus e Liverpool si ritrovano. Credo che una grande giornata
di sport sia la cosa più bella per ricordare quella tragedia. Io
c’ero, e sono stato pure a Liverpool pochi anni fa. Ho visto
giocare i reds all’Anfield Road, ho respirato il clima del loro
stadio-mito, ho incontrato il popolo dei "rossi". Ci sono
bandiere della Juventus cucite insieme alle loro nella Kop, ci
sono stemmi bianconeri sui loro giubbotti. Non sono trofei di
guerra da ultras, ma il segno di un particolarissimo
"gemellaggio", come fosse un risarcimento morale, se così
possiamo chiamarlo. Come se volessero dirci: lo sappiamo, stiamo
ancora espiando. Ricordo il pudore e l’imbarazzo del mio vicino
di posto, durante Liverpool - West Ham, quando gli dissi che
tifavo Juve e che "I was in Brussels...". Gli hooligans. I
teppisti. La feccia. I supporters britannici in generale,
additati al pubblico ludibrio. Una alluvione di luoghi comuni
superficiali e ingiusti. E tonnellate di demagogia. Questo fu
detto e scritto vent’anni fa. Ma io ricordo le lacrime di Fagan
e dei suoi ragazzi, in cattedrale, nella messa per i caduti. E
la "giustizia" dell’UEFA ? Una giustizia pusillanime, vigliacca.
Con una lunghissima coda di paglia dimostrata persino 15 anni
dopo, agli Europei del 2000, quando i parrucconi del Comitato
Organizzatore osteggiarono qualsiasi commemorazione proposta
dalla nazionale italiana davanti alla lapide nel nuovo stadio
"Re Baldovino". Poi Antonio Conte e Paolo Maldini andarono
ugualmente a deporre dei fiori. Vorrei dire agli juventini che
si recheranno sulla Mersey per la gara d’andata: partite
tranquilli, nessuno vi aggredirà. Visitate il museo dentro lo
stadio, andate agli "Shankly gates" dove c’è la lapide che
ricorda le 96 vittime dell’Hillsborough, ascoltate "You’ll never
walk alone" che verrà cantato a squarciagola, prima del fischio
d’inizio, da 44000 innamorati del football. Sarà una festa. La
ringrazio per l’attenzione concessami, mi auguro vivamente che
questa mia testimonianza possa trovare spazio sul Tuttosport.
Nel rinnovarLe tutta la mia stima, Le
porgo i miei cordiali saluti.
Andrea Danubi
19 marzo 2005
Fonte: Guerin Sportivo
ARTICOLI STAMPA e WEB MARZO
2005
Vent'anni fa la tragedia dell'Heysel con 39 morti
Riecco Juve-Liverpool con il
dolore nel cuore
Capello: "Ci sarà un pensiero
per quelle vittime"
di Roberto Perrone
La storia la
conosciamo tutti. E' la cronaca che ci sfugge.
Liverpool-Juventus vent'anni prima. Mercoledì 29 maggio 1985, a
Bruxelles, in una serata molto calda, che rese bollenti le teste
degli inglesi e anche l'asfalto del circuito di
Spa-Francorchamps: il Gran premio, previsto per il weekend
successivo, venne annullato. Si consumò la tragedia della curva
Z dello stadio Heysel: una carica degli hooligans provocò la
fuga dei sostenitori della Juventus, gente normale, famiglie,
non ultrà professionisti. Qualcuno aveva mischiato,
criminalmente, le due tifoserie: agenti di viaggio, capi tifosi,
autorità belghe, dirigenti Uefa, polizia (ce n'era pochissima
nella curva Z). Trentanove esseri umani (32 erano italiani)
persero la vita: nessuno in conseguenza di ferite inferte dai
loro assalitori, ma tutti schiacciati dal tentativo di fuga, in
uno stadio vecchio, senza uscite sufficienti, senza controllo.
La partita si giocò comunque e divenne una farsa. I giocatori
della Juventus fecero addirittura il giro d'onore con la Coppa,
poi dissero che non li avevano informati, che era per calmare la
gente. Forse è vero, forse no.
Liverpool-Juventus, 20 anni
dopo: il regalo del sorteggio dei quarti di Champions League.
Primo incrocio da allora. I bianconeri di ora sono tutti
contenti di aver pescato i Reds (Del Piero e Capello l'avevano
previsto), quelli di ieri parlano di "ferite ancora aperte" (P.
Rossi), ma col tono di chi sta raccontando una storia. Nick
Parry amministratore delegato del Liverpool, pensa di
organizzare "qualcosa": "Quella tragedia è molto presente nella
memoria dei nostri tifosi, dobbiamo sfruttare la partita per
cercare di dimenticare". Fabio Capello ha detto la cosa più
sincera: "Ci sarà un pensiero per le vittime". Uno, poi lo show
deve proseguire. L'Équipe, il giorno dopo la strage, fece il più
bel titolo della mazzetta: "Le football assassiné". Bello, ma
ingenuo: da allora il football l'hanno ucciso in mille altri
modi. L'Osservatore Romano scrisse il più bel commento: "L'uomo
è stato tremendamente offeso anche dopo che i tanti Caino sparsi
sulle gradinate lo avevano ammazzato. Per calmare i Caino non si
è rispettato il sangue degli Abele: si è giocato mentre i morti
erano ancora lì scomposti nella violenza appena subita. Si è
tifato, si è gioito in una giornata in cui tutti e tutto sono
stati sconfitti" (dal libro di Caremani). L'Heysel commuove, ma
poi prevale l'interesse di parte. Anche chi chiede alla Juve la
restituzione della Coppa, salvo rare eccezioni, se si trovasse
nella stessa situazione, se la terrebbe stretta. Francesco
Caremani, giornalista di Arezzo, ha scritto un libro
irrinunciabile, (La verità sull'Heysel, Libri di Sport). Tutti
l'hanno apprezzato per la raccolta di documenti e testimonianze,
ma quando s'è azzardato ad affrontare il tema della restituzione
della Coppa con un difficile equilibrismo si vogliono ricordare
i 39 morti, ma anche accreditare come sportivamente ineccepibile
quello che accadde dopo. Per quelli che pensano che prima c'era
lo stile Juve e adesso non c'è più, ecco la testimonianza di
Otello Lorentini, presidente dell'associazione italiana delle
vittime: "Giampiero Boniperti, tre giorni dopo la strage, disse
che si doveva mettere una pietra sopra l'accaduto. La Juve
voleva stendere un velo sui fatti dell'Heysel". "Questa società
non c'entra nulla, con l'altra" si è sentito rispondere qualche
settimana fa un giornalista straniero che aveva telefonato alla
sede della Juve cercando recapiti dei parenti delle vittime.
Dell'Heysel se ne farebbe a meno, ma per la scocciatura. Alla
fine, comunque, tutti arrivano dal signor Otello, 80 anni, che
quella notte ha perso suo figlio Roberto, giovane medico, padre
di due figli, insignito della medaglia d'argento al valor
civile: poteva salvarsi, si fermò a prestare soccorso e venne
travolto. Proprio ieri Otello Lorentini ha proposto
un'amichevole tra Liverpool e Juventus ad Arezzo a giugno, una
specie di festa del perdono. Dopo questo sorteggio le
possibilità stanno a zero, ma lui va avanti lo stesso. Come fa
da vent'anni. Ora è a Bruxelles a girare un documentario per
Sky. Però non guarderà la nuova Liverpool-Juventus, nemmeno in
tv. La cronaca fa male. L'Heysel chiuse per 11 mesi. Lo
riaprirono il 23 aprile 1986 (Belgio-Bulgaria). Cambiarono nome
alla curva Z: Settore Z, poi Curva Nord, poi Settore Nord 1.
Infine buttarono giù lo stadio e ne fecero un altro, intitolato
a Re Baldovino. Il 14 giugno 2000, in occasione di Belgio-Italia
agli Europei, Dino Zoff, con una delegazione azzurra, depose un
mazzo di fiori davanti alla lapide che ricorda la strage:
l'altoparlante dello stadio sparava musica rock. Una certa
distrazione resta caratteristica dei Belgi. Tre gradi di
giudizio cercarono di attribuire le responsabilità. Risultato:
condannati 13 hooligans (cinque anni con la condizionale), il
capitano della gendarmeria Johan Mahieu (tre mesi con la
condizionale), il presidente della Federcalcio belga Albert
Roosens (sei mesi con la condizionale), il segretario generale
dell'Uefa Hans Bangerter (tre mesi con la condizionale e 30 mila
franchi, 500 euro di multa). Neanche sfiorati i principali
responsabili, il presidente dell'Uefa, il sindaco di Bruxelles,
il ministro degli Interni belga. Però almeno la sentenza ha
fatto giurisprudenza: prima l'Uefa arrivava, incassava (l'83 per
cento in quel caso) e spariva: ora è ritenuta responsabile degli
eventi col proprio marchio. Infatti sta più attenta. Il 29
maggio del 1985 la riunione (c'è nei verbali del processo) si
tenne in un ristorante nei pressi della Grand Place. Fuori gli
hooligans s'inciuccavano e razziavano i negozi; dentro, gli
organizzatori pasteggiavano a frutti di mare e vino bianco.
Adesso ci sono dei briefing che non si vedono neanche al
Pentagono. Adesso, a Liverpool-Juventus, non succederà nulla. La
storia ha già dato. E' la cronaca che ci perseguita. PAOLO ROSSI
: "Fu una serata infausta. E' una ferita ancor aperta, ma quella
notte è servita di lezione a tutto il calcio". MICHEL PLATINI:
"Sarò in tribuna a Liverpool e a Torino per rendere omaggio ai
tifosi. Andrò a dire che il calcio è un gioco di festa e gioia".
19
marzo 2005
Fonte: Il Corriere della Sera
ARTICOLI STAMPA e WEB MARZO
2005
L'attaccante sarebbe passato alla Juve due anni dopo
Rush davanti alla curva Z "Così il calcio scomparirà"
di Bruno Bernardi
Odore di morte. Lo sentivo, intenso,
trasudare da quelle gradinate trasformate in cimitero. Davanti
ai miei occhi la tragedia che si era consumata qualche ora prima
nella curva Z dell'Heysel, ormai popolata solo da migliaia di
scarpe, cappellini, brandelli di bandiere bianconere e altri
oggetti lasciati nella fuga da chi era riuscito a salvare la
pelle. Ero sceso sulla pista atletica dalla tribuna stampa, dove
qualche poliziotto proteggeva i colleghi che stavano finendo di
dettare i servizi ai giornali. Stavo nei pressi della rete
metallica abbattuta da mani disperate. Nel silenzio irreale,
sentii dei passi. Era il gallese Ian Rush, il re dei bomber del
Liverpool, che non poteva sapere che sarebbe diventato
bianconero due stagioni dopo. I suoi occhi azzurri brillarono
alla luce dei fari. Non credo fosse commozione. Fissò il
desolante spettacolo e sibilò a denti stretti, stirando appena i
baffetti: "Terribile, davvero spaventoso. Che tristezza. Perché
è successo ?". Allora, gli indicai quella fetta di curva che
aveva ospitato l'orda inglese. Lui annuì, poi si girò verso la
curva opposta, quella juventina e mormorò: "Anche loro non sono
immuni da colpe. La violenza è generale. Deve finire perché il
calcio possa sopravvivere. In campo, io mi batto sempre
lealmente perché trionfi lo sport non per provocare pubblico e
avversari. Gioco a football, non a catch. La partita con la Juve
? Quale partita ?". Con i capelli umidi di doccia, Rush prese
coscienza di come la barbarie umana possa avere conseguenze
luttuose. Vent'anni dopo, la ferita è ancora aperta.
19
marzo 2005
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA e WEB MARZO
2005
"Dopo la tragedia, l'indifferenza di tutti"
di Marco Ansaldo
L'inutile processo durò sei
anni e mezzo. Otello Lorentini perse il figlio e ancora oggi
lotta perché nessuno dimentichi. I parenti delle vittime: pochi
soldi per scaricarsi le coscienze e nessun aiuto concreto.
Da quel fatto impararono solo gli
inglesi. La Thatcher prese dalle morti dell'Heysel il coraggio
di imporre quanto nessun governo italiano ha voluto fare contro
la violenza nel calcio: così loro oggi hanno gli stadi sicuri
mentre da noi rimane la paura di portare alla partita i propri
bambini". Otello Lorentini ha 80 anni e il 29 maggio 1985
all'Heysel perse il figlio. Roberto era un medico. Quel giorno
il postino aveva recapitato a casa sua la raccomandata con cui
lo avvisavano dell'assunzione all'ospedale di Arezzo. Ma, a
sera, Roberto Lorentini giaceva cadavere nella Morgue di
Bruxelles, ucciso dalla folla che lo calpestava mentre, da
medico, praticava la respirazione bocca a bocca a un bambino
travolto e in fin di vita. Per quel gesto gli hanno riconosciuto
la medaglia d'argento al valor civile, non quella d'oro, però,
perché altrimenti avrebbero dovuto concedere un vitalizio alla
famiglia. E' una piccineria tra le tante che hanno accompagnato
i sopravvissuti. Com'è la storia di Carla, caduta in coma mentre
suo padre moriva nella calca. La assunsero come cassiera in un
supermercato. Compariva sui giornali, era una pubblicità buona,
anzi buonista. Qualche mese dopo, svanito l'effetto Heysel, la
licenziarono. "Sono stati anni di lotta - racconta il signor
Otello, che diventò il presidente e l'anima dell'Associazione
tra i parenti delle vittime dell'Heysel. Chiedevamo giustizia ma
la nostra era una voce scomoda. Noi, le famiglie di 32 vittime,
andavamo contro istituzioni intoccabili: l'Uefa, il governo
belga, la polizia di Bruxelles. Aiuti ? Dallo Stato poco, dalla
Juventus ancora meno. Davamo fastidio alle loro coscienze, ci
sgusciavano via". Si è perso il conto delle volte in cui
Lorentini si scontrò con Boniperti. "Quelle morti si sono
ripercosse sui vivi - racconta Francesco Caremani, l'autore del
documentatissimo "Le verità sull'Heysel, cronaca di una tragedia
annunciata". Alcune famiglie sono andate in rovina. Di
sensibilità, dopo l'impatto iniziale, se ne vide poca. Nei
parenti delle vittime è rimasta quella frase detta dalla Juve
dopo la conquista della Coppa Intercontinentale, "abbiamo messo
una pietra sopra all'Heysel". Otello rispose che l'unica pietra
stava sulla tomba di suo figlio. La lotta per ottenere giustizia
è stata lunga. Sono serviti tre gradi di giudizio, dopo la prima
sentenza che assolveva tutti, tranne 14 hooligans condannati a
tre anni, di cui la metà condonati e che non trascorsero in
galera un giorno in più di quelli successivi all'arresto. Dopo
sei anni e mezzo, nell'ottobre '91, grazie all'ostinazione di
Lorentini e di un avvocato italo-belga, Daniel Vedovatto, furono
condannati anche gli uomini delle istituzioni. Pochi e a poco.
Nove mesi al capo della polizia, il capitano Mahieu, 6 mesi al
presidente della federazione belga, Roosens, 3 mesi e 30 mila
franchi al segretario Uefa, Bangerter. Tutti liberi con la
condizionale. Gli intoccabili veri se la cavarono senza tracce
sulla fedina penale. "Non ci importava vedere la gente in galera
- racconta Lorentini - ma il riconoscimento di una
responsabilità perché nel futuro le cose non fossero fatte con
tanta leggerezza". E i risarcimenti ? Qualcosa è arrivato. Somme
spesso ridicole. Quindici milioni di lire da dividere tra i
famigliari di Giusy Conti, pure lei aretina, fino a mezzo
miliardo a chi aveva perso un padre o un marito con un alto
livello di reddito perché pure di fronte alla morte non siamo
tutti uguali. Dallo Stato belga arrivarono rimborsi vergognosi:
mille, duemila lire. Otello Lorentini continua la sua lotta. Ha
fondato un comitato, insieme alla famiglia Conti, per diffondere
nelle scuole e tra i giovani il concetto di antiviolenza nello
sport. In questi giorni è a Bruxelles con i nipoti, i figli di
Roberto, per registrare uno speciale per Sky e ha già inviato
alla Uefa, alla Juve e al Liverpool la richiesta per organizzare
ai primi di giugno, ad Arezzo, la partita della memoria a 20
anni dall'Heysel. Scommettiamo che aspetterà a lungo una
risposta ?
19
marzo 2005
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA e WEB MARZO
2005
"Gli inglesi
hanno imparato la lezione"
di Roberto Beccantini
Platini: ai tifosi dico non
cercate vendette.
MICHEL Platini, quel rigore, quella
corsa, quell'esultanza: pentito ? "Non è proprio il caso di
riaprire la ferita dell'Heysel. Immagino quale possa essere
stato l'impatto del sorteggio sulla memoria di chi perse un
figlio, un parente, semplicemente un amico. Però...". Però ?
"Credo che sia arrivato il momento di voltare pagina, tutti
insieme. Facciamo in modo che Liverpool-Juventus sia una festa,
come avrebbe dovuto esserlo il giorno della tragedia. Io che
c'ero, sarò sia ad Anfield che al Delle Alpi. Mi rivolgerò alle
società e ai loro tifosi: quale miglior occasione per riportare
la pace nel calcio ?". Viceversa, c'è chi medita di vendicarsi.
"La parola "vendetta" è orribile. Un termine così violento e
disgustoso, va espulso dal vocabolario dello sport. Non bisogna
cadere nelle trappole di pochi. Lo so, è la prima volta che Juve
e Liverpool si affrontano dopo la strage: e allora ? Sarà una
doppia sfida spettacolare ed emozionante, quanto basta per
iniziare una nuova storia senza cancellare la vecchia". Senza
cancellare la vecchia: è servita come lezione, almeno ? "Agli
inglesi, di sicuro. I 39 morti di Bruxelles e i 96 di
Hillsborough (1989: Liverpool-Nottingham, semifinale di coppa)
li spinsero a cambiare radicalmente registro. Leggi severe,
stadi sicuri: il fenomeno hooligans è stato ridotto in termini
drastici, tanto che ormai sopravvive solo in occasione delle
trasferte in continente dei club e della Nazionale". In Italia,
invece ? "In Italia, e pure in Francia, non ci siamo ancora. Le
partite sono bombe a orologeria, c'è troppa incultura, troppa
violenza". Rimedi ? "Buttare giù le barriere negli stadi. Il
tifoso non deve sentirsi un animale in gabbia. Sono proprio le
gabbie, le catene a scatenare gli istinti più bestiali.
Responsabilizzare la gente, il primo passo non può essere che
questo".
19
marzo 2005
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA e WEB MARZO
2005
Gli assalti inglesi fecero crollare un muro: 39 morti
Così all'Heysel esplose la
furia hooligan
di Piero Bianco
Uno stadio inadeguato scelto
dall'Uefa, i biglietti "sbagliati", la ferocia dei teppisti
ubriachi, la polizia belga incapace di contenerli.
Dopo due ore di attesa, la porticina
sul retro si spalancò all'improvviso. E la folla silenziosa
finalmente fu ammessa: uno stanzone spoglio, altra interminabile
attesa. Proteste, lacrime. Non può essere ameno un ospedale
militare adibito a obitorio. Ma quella gente pretendeva almeno
rispetto, non lo ebbe. Chi cercava il figlio, chi un amico, la
moglie, il padre, il fratello. Una folla di disperati, reduci da
una notte di vagabondaggio per tutta Bruxelles, ospedale dopo
ospedale, con il cuore in gola, nella speranza di sentirsi dire:
"Sì, è ricoverato qui". E ricevendo sempre un no. Un viaggio del
dolore tra l'ospedale di Jette e quello francese, il
Saint-Pierre, la clinica Saint-Jean. Il caos era totale, nessuno
regalava identità certe, soltanto il passaparola dei superstiti
guidava quelle penose ricerche. Quando l'ultima speranza era
caduta, i parenti delle 39 vittime dell'Heysel (2 rimasero a
lungo senza nome, 32 gli italiani) erano stati dirottati
all'obitorio. Per il triste rito del riconoscimento. La scena
che videro lì, a meno di ventiquattro ore dall'inferno, rese
ancor più insopportabile la tragedia. Eravamo là con loro quando
nel pomeriggio del 30 maggio 1985 re Baldovino e la regina
Fabiola entrarono nello stanzone per abbracciare, una ad una,
quelle facce sconvolte, per stringere quelle mani che tremavano
di rabbia. "Mi dispiace, scusateci, faremo di tutto per
aiutarvi". Di tutto ? Baldovino evase i doveri istituzionali
senza andare oltre, sebbene i suoi occhi riflettessero un dolore
autentico e non la recita di un copione. Rimase mezz'ora a
consolare gli inconsolabili, poi appena il re se ne andò si
spalancò la porta sull'orrore. Entrate, sceglietevi pure il
vostro morto. I corpi erano allineati sul pavimento, buttati lì
senza pietà, con malagrazia. Ancora sporchi e insanguinati, come
erano stati raccolti la sera prima nello stadio maledetto.
Esplose furibonda l'ira dei parenti: una vergogna, un insulto.
Solo il giorno dopo infermieri pietosi misero una pezza pietosa.
Prima dell'autopsia e del mesto rientro in patria delle salme,
con un aereo militare. Mentre i feriti, visitati tre giorni dopo
da Platini e da alcuni dirigenti juventini, continuavano a
domandarsi perché fosse successo. Già, perché ? Chi non c'era e
ha soltanto sentito parlare dell'Heysel, fatica a capire. Chi ha
visto, non può dimenticare, anche vent'anni dopo. Quel film
dell'orrore ha un prologo, l'assalto degli hooligans ai pacifici
tifosi bianconeri nella Grand Place, cuore di Bruxelles. Sono le
12 e le eleganti vetrine del centro vanno in frantumi, i
seggiolini dei dehors volano in aria. Gli inglesi sono già
ubriachi fradici. La polizia li disperde, li sottovaluta, si
dirigono allo stadio. Alle 18.15, due ore prima del fischio
d'inizio, l'Heysel, fatiscente e inadeguato a una finale di
Coppa Campioni, è già stracolmo. Nella curva "Z" dovrebbero
esserci solo belgi, a fare da cuscinetto tra le due fazioni.
Invece i biglietti sono finiti anche a molti Juventini. Gli
hooligans sono a pochi metri, separati da pochi agenti. Mezz'ora
dopo comincia il viaggio all'inferno. Lanci di sassi ai rivali,
un razzo che esplode, l'onda barbarica ondeggia minacciosa. Poi,
il finimondo. Centinaia di altri hooligans, senza biglietti,
premono dall'esterno per entrare. Sono le 19.22. Alle 19.24 il
secondo assalto: irrompono in un settore già strapieno. Crolla
il muro di sostegno, la folla è travolta dai calcinacci,
schiacciata dalla furia dei teppisti, sempre più eccitati. Chi
cerca riparo verso il campo viene respinto dalla stupidità dei
120 poliziotti di servizio, che non percepiscono i contorni
della tragedia. Sembra una guerra. Feriti in cerca di soccorso
negli spogliatoi, dispersi che cercano parenti e amici. I primi
morti. Il caos totale. La Croce Rossa allestisce una tenda
davanti alla tribuna centrale e le salme vengono raggruppate
proprio lì. Arriva Gianni Agnelli e intuisce che non sarà una
serata di sport: non scende nemmeno dalla sua limousine, se ne
va. Il figlio Edoardo è dentro, negli spogliatoi, dove i
giocatori della Juve già sanno, dicono a Trapattoni e Boniperti
che non giocheranno. Tutti d'accordo, ma il capo della polizia
Mahieu e il sindaco di Bruxelles Brouhon ordinano di scendere in
campo "per evitare una guerra civile". Scirea, il capitano,
legge un messaggio alla folla: "Amici, restate calmi, giocheremo
per voi". La partita comincia alle 21.43. Davanti alla tv, in
Italia, c'è Sandro Pertini, con milioni di tifosi. Molti in
ansia per i parenti partiti per il Belgio convinti di vivere una
festa. Fuori, si contano i morti. Quaranta ambulanze e decine di
taxi fanno la spola con gli ospedali per trasportare i feriti.
Non c'è gioia, solo disperazione. Questo è stato l'Heysel
maledetto.
19
marzo 2005
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA e WEB MARZO
2005
La notte maledetta del calcio tra follia, sangue e disperazione
di Maurizio Crosetti
TORINO - Dopo vent' anni, in testa
restano frammenti. La ragazzina sulla transenna usata come
barella, con lo sbuffo rosso sulle labbra: una bambola immobile
frantumata dentro. L'uomo con la pancia enorme, sdraiato sulla
schiena, e il rianimatore che quasi si arrampicava su di lui per
pompargli il massaggio cardiaco, però scivolava, non ci
riusciva, tutto era fretta e impaccio e assurda morte. Il
ragazzo al quale fecero una tracheotomia inutile, nel piazzale
davanti allo stadio dove intanto avevano allineato i primi
cadaveri, e tutti cercavano tutti e nessuno trovava nessuno. Il
fragore, le urla, i movimenti di massa, si inciampava, si
scivolava. Il silenzio assoluto scese solo verso mezzanotte,
quando Bruxelles apparve come una città disabitata. Oppure i
gendarmi a cavallo, assurdi, una giostra comica nella tragedia,
andavano avanti e indietro roteando i manganelli nell'aria,
gridando cose fiamminghe. E i salvati, quelli che chiedevano ai
giornalisti di chiamare casa per loro, e porgevano bigliettini
con i numeri di telefono, dica a mia madre che sono vivo, per
piacere, spieghi a mio padre che sono salvo, e allora facemmo
proprio così: una telefonata al giornale e un'altra in qualche
palazzo sconosciuto nella notte italiana, lontanissima, per
rassicurare, per non riuscire a rispondere alla domanda
impossibile: perché ? E le sciarpe bianconere a terra e sul
prato, le bandiere strappate, le scarpe, una piccola di bambino,
i resti della vita che fino a un'ora prima c'era, era lì in
curva e cantava nel "settore Z", poi aveva ceduto in uno
schianto. Una rete da pollaio divideva gli italiani dagli
inglesi, c'era un tramonto rosso pazzesco, erano rosse anche le
maglie degli hooligans che tiravano sassi e bastoni contro gli
juventini (c'era un cantiere aperto dietro la curva, niente di
più facile che rifornirsi e poi lanciare), gli italiani
indietreggiano, gli inglesi insistono, incoraggiati, avanti.
Dalla tribuna si capiva e non si capiva, c'era quest' onda
umana, un movimento progressivo verso sinistra. Finché il muro
crollò. E sotto il muro le persone, e ancora persone sopra le
prime, addosso, schiacciando polmoni e bocche spalancate. "Ci
sono morti, tanti, corriamo". La notizia arrivò dopo cinque,
dieci minuti. Andammo fuori, sul piazzale. Gli uomini della
Croce Rossa avevano larghi mantelli. Non c'erano barelle, non
c'era niente, solo i gendarmi a cavallo. Arrivò l'auto
dell'avvocato Agnelli, gli dissero cos'era successo, l'auto
ripartì, guidava lui. Avevano messo le persone sopra i pezzi di
transenna e le rovesciavano a terra, quasi tutte già morte.
Pochi medici si affannavano. Uno di loro, un italiano a
Bruxelles per la partita, Roberto Lorentini, poteva salvarsi e
invece tornò indietro per aiutare e finì soffocato. Suo padre
Otello è il presidente dei parenti delle vittime. Dice: "Da
vent'anni non vedo una partita, dunque non vedrò neanche
Liverpool-Juve, da vent' anni aspetto che qualcuno della
Juventus si faccia vivo". Tornammo in tribuna per scrivere, per
dettare al volo gli articoli e per chiamare in Italia i numeri
dei bigliettini. Non c'erano cellulari, vent' anni fa.
L'altoparlante diffuse una voce pacata e tremula, quella di
Gaetano Scirea: "Restate calmi, giochiamo per voi". Sapeva dei
morti, lui già segnato dal destino, come loro in fondo. Si giocò
per evitare altri scontri. "Ma fu tutto, tranne che una partita
di calcio" dice oggi Zibì Boniek. Uno a zero con un rigore che
non c'era, tirato da Platini. Il giorno dopo, il francese
avrebbe detto: "E' triste, però è la legge dello spettacolo e si
doveva giocare. Quando al circo cade il trapezista, lo portano
via ed entrano i clown". Il giorno prima, anche lui aveva fatto
il giro d'onore con la Coppa dei Campioni in mano, aveva molto
sorriso sotto la curva, difficile decidere chi fossero davvero i
pagliacci. "E' stata una vittoria legittima" commentò Boniperti
che ora aggiunge faticosamente: "Per favore, non fatemi
ricordare". Il presidente era andato all'obitorio, aveva visto
le trentanove bare in fila, trentadue italiane. "La ferita è
aperta e non potrà chiudersi mai", racconta invece Paolo Rossi.
Dopo vent' anni, la memoria è qualcosa che brucia e non dà
risposte, non dà spiegazioni, proprio come quella sera
all'Heysel. Un giornalista che ne aveva viste tante, uscì dallo
stadio in lacrime. "Non potrà mai più essere come prima, lo
capisci ?", diceva al giovane collega che invece pensava a una
bambola con la bocca rossa.
19
marzo 2005
Fonte: La Repubblica
ARTICOLI STAMPA e WEB MARZO
2005
Quell'incubo chiamato
Heysel
di Giancarlo Galavotti
LONDRA (Ing) - "Trentanove tifosi della
Juventus persero la vita la sera del 29 maggio 1985 per il
crollo di un muretto allo stadio Heysel di Bruxelles". L'inviato
della Bbc Radio al sorteggio a Nyon va con la corrente. Forse
dell'Heysel ha letto solo la versione ufficiale del sito web del
Liverpool FC. "Dopo un intenso lancio di oggetti contro il
settore dei Red, alcuni tifosi del Liverpool si sono lanciati
contro i tifosi italiani. E' scoppiato il caos, i tifosi della
Juve sono scappati, ma un muro che gli bloccava la fuga è
crollato travolgendoli". Vent' anni dopo i fatti sono confusi e
appannati, nell'Inghilterra che si prepara al primo
Liverpool-Juve da quella "tragedy", temendo che i tifosi
bianconeri covino ancora un rabbioso risentimento. "Come
reagiranno i fan a Torino ?". Me lo chiede in diretta
l'intervistatore di Bbc Radio, che almeno mi concede di
replicare al suo collega che non si può raccontare la notte dei
39 morti ammazzati, dei 400 e passa feriti, come se tutto sia
dipeso da un muretto instabile. Il muretto all'esterno del
settore "Z" del fatiscente Heysel non era all'altezza, come
tutto il resto dello stadio. Ma non era stato costruito per
resistere alla disperazione di centinaia di persone
terrorizzate. Terrorizzate dai tifosi del Liverpool. C'ero anch'
io, quella sera, in tribuna stampa, un'ora abbondante prima del
calcio d'inizio, fissato per le 20.15. Guardavo la massa in
maglia rossa stipata all'inverosimile nell'altra metà della
curva contigua al settore "Z". Una banale rete metallica
separava gli inglesi ammucchiati dalle gradinate quasi
disabitate, un'ora prima del calcio d'inizio, dello "Z". Una
rete metallica sorvegliata da normali poliziotti. I reparti
celeri erano tutti fuori dallo stadio, secondo il piano. Secondo
i dirigenti delle forze dell'ordine belghe, dovevano restare
fuori fino a 10 minuti prima del calcio d'inizio, per prevenire
incidenti tra le tifoserie che arrivavano allo stadio. Solo dopo
le 20 si sarebbero trasferiti sulle gradinate, per controllare
la folla durante la partita. Alle 19 i settori inglesi
dell'Heysel già straripavano, ma nessun dirigente di polizia ha
avuto l'intuito, il coraggio, di cambiare gli ordini. Abituato
agli stadi inglesi di quegli anni, guardavo angosciato la massa
Red agitarsi e ribollire, e raccontavo ai colleghi accanto a me
quello che prevedevo sarebbe successo. Il settore "Z" era mezzo
vuoto, perché nei piani Uefa doveva essere un settore neutro,
riservato al pubblico belga. In Belgio la comunità italiana è
vastissima, e per molti italo-belgi fu semplice acquistare
biglietti "Z". Anche per i bagarini belgi. Che li passarono ad
agenzie e a clienti pronti a pagare prezzi gonfiati. Nel settore
"Z" non c'erano gli ultrà bianconeri, collocati invece nella
curva opposta, dietro l'altra porta, ma gente e famiglie
normali. I pochi poliziotti scapparono come pecore quando gli
inglesi caricarono, abbattendo la rete, e scapparono cercando
salvezza gli italiani e gli altri europei. Davanti, in fondo ai
gradini, la barriera metallica. Di fianco, alla destra, il
muretto. Schiacciati contro la barriera, dalle ondate che
fuggivano all'assalto degli hooligan, con qualche poliziotto
testardo che cercava di impedire l'ingresso in campo ai
disperati. Schiacciati contro il muretto. Che poco dopo crollò.
Finalmente gli inglesi si fermarono, ma era troppo tardi: 39
morti (32 italiani) brutalmente soffocati nella ressa, oltre 400
feriti, sparsi sul campo, tra soccorsi improvvisati e lo strazio
di parenti e amici. La partita si giocò alle 21.39. Le autorità
belghe avevano bisogno di tempo per organizzare il controllo
dell'uscita delle due tifoserie. Per evitare altri incidenti,
giocare fu necessario. Al 12' della ripresa l'arbitro Daina
fischiò un rigore per il fallo di Gillespie su Boniek. Un metro
fuori dall'area. Platini segnò e celebrò. Anche alla fine,
uscendo con altri bianconeri sul campo per mostrare la Coppa ai
tifosi. "Fu tutto tranne che una partita vera - dice adesso
Boniek. Donai il mio premio ai parenti delle vittime. Ma la
voglia di vincere in quel momento era grande". Platini sarà in
tribuna a Liverpool e al Delle Alpi. "Per rendere omaggio ai
tifosi delle due squadre. Gli dirò che il calcio, com'è
diventato, non mi piace: dev'essere una gioco, una festa". Un
gioco, una festa come in Inghilterra, dopo 20 anni di guerra
totale agli hooligan. I 39 dell'Heysel non sono morti invano,
almeno per il calcio inglese.
19
marzo 2005
Fonte: La Gazzetta dello Sport
ARTICOLI STAMPA e WEB MARZO
2005
Venti anni dopo
i morti dell’Heysel
L’Italia ricorda ancora la sua
tragedia
di Massimo Solani
Quello che gli uomini non sono mai
riusciti a rimettere insieme lo hanno fatto le urne di Nyon
della Uefa e Liverpool-Juventus, vent’anni dopo, è "solo" il
primo quarto di finale della Champions League. Il prossimo 5
aprile, due decenni dopo la tragedia dell’Heysel in cui morirono
39 persone (32 tifosi italiani), "Reds" e bianconeri si
ritroveranno di fronte per la prima volta dopo la finale che
regalò alla Juventus la sua prima, terribile, Coppa dei
Campioni. Un accoppiamento che è un incredibile "tiro mancino"
del destino e che quasi lascia in secondo piano le
considerazioni relative all’ennesimo atto di una sfida infinita
fra Italia-Inghilterra in Champions League. "Ho già parlato con
i dirigenti del Liverpool - spiegava ieri nella sede della Uefa
Romy Gai, responsabile commerciale e marketing della Juve. La
partita d’andata in Inghilterra sarà l’occasione per un ricordo
di quella tragedia e un omaggio a ricordo delle vittime: e sarà
soprattutto una giornata di sport, per guardare avanti con
serenità e onorare nel miglior modo una giornata che di sport
non fu". A Bruxelles, quel 29 maggio 1985, c’era anche Fabio
Capello che ai tempi era commentatore televisivo per
Tele-Montecarlo. Vide coi suoi occhi gli incidenti, il crollo
del muro del settore Z che travolse decine di tifosi italiani. E
i cadaveri. Logico che anche per lui questo accoppiamento sia
qualcosa di più rispetto a qualsiasi altra partita. "In questa
circostanza occorrerà ricordare l’Heysel - ha commentato il
tecnico bianconero. Ricordare a tutti che il calcio è solo
quello che si gioca in campo, con gagliardia, ma non violenza. E
fare in modo che non succeda mai più quella tragedia". Di
fronte, fra tre settimane, Capello si troverà una squadra che
nella Champions League ripone le ultime speranze stagionali:
quinta in Premier League e distante 30 punti dal Chelsea in
campionato, battuta dai "blues" nella finale della Carling Cup e
uscita presto anche dalla Fa Cup, la squadra di Rafael "Rafe"
Benitez (tecnico spagnolo approdato all’Anfield Road dopo tre
stagioni al Valencia) agli ottavi ha eliminato brillantemente il
Bayer Leverkusen con un doppio 3-1 dimostrando di essere squadra
temibilissima. "Ho visto di recente il Liverpool - ha spiegato
ieri Capello - è una squadra forte fisicamente e molto bene
organizzata, sarà molto difficile. Giocare ad Anfield la prima
non so se sarà un vantaggio, so solo che sarà molto difficile
per le condizioni ambientali". Di certo, davanti alla tv il 5
aprile non ci sarà Otello Lorentini, fondatore e presidente
dell’ Associazione fra le famiglie delle vittime dell’Heysel.
"No, non guarderò alla Tv la partita - ha spiegato Lorentini,
che a Bruxelles perse il figlio Roberto. Del resto, da venti
anni, non ho più visto una partita alla televisione, solo
qualche spezzone per far compagnia ai miei nipoti". E anche nel
suo caso, il destino ha voluto tirare uno scherzo incredibile:
non più tardi di due giorni fa, infatti, l’Associazione di cui è
presidente aveva lanciato la proposta che Liverpool e Juventus
giocassero una partita ad Arezzo, sua città natale, per
"scrivere la parola fine a venti anni di imbarazzi, reticenze,
colpevoli silenzi e diffidenze nei confronti di chi ha lottato
duramente per avere giustizia". Le urne di Nyon lo hanno battuto
sul tempo.
19 marzo 2005
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA e WEB MARZO
2005
Liverpool, quei bravi tifosi che hanno rimosso l'Heysel
di Maurizio Crosetti
LIVERPOOL - Chissà se chi ha fuso nel
ferro questa scritta sopra la cancellata dello stadio, "You' ll
never walk alone", non camminerete mai soli, pensava che sono i
cattivi ricordi a non farci mai camminare soli. I rimorsi, le
colpe, i maledetti fantasmi di ieri. Da vent' anni, chiunque
passeggi qui intorno non cammina solo. E' la tana delle belve,
"Anfield Road", la vecchia casa degli hooligans. Partirono da
qui, vent' anni fa, per ammazzare gli juventini a Bruxelles e
per morire un po' anche loro, durante e dopo. Tra cinque giorni,
arriva la Juve. Ma è come se ci fosse sempre stata. "Ora abbiamo
i tifosi più corretti d'Inghilterra" dice il presidente David
Moores, dunque i meno cattivi al mondo. "Rispettiamo il ricordo
dei morti e confidiamo nella forza e nella lealtà dei vivi,
nessun dubbio su questo". E se la memoria ha il colore del
sangue, rosso come le maglie del Liverpool, il presente è questa
sfilza di cartelli appesi a ogni ingresso di Anfield. Sono
disegnate le cose che non si possono portare sulle gradinate,
con una croce: bicchieri, bottiglie, lattine, fumogeni, petardi,
bandiere, coltelli, chiavi, martelli, ombrelli, macchine
fotografiche, videocamere, stereo. Un altro poster, scritto a
caratteri piccoli e fitti come un contratto, elenca i diciotto
articoli del regolamento dello stadio. "Così nessuno potrà dire
che non lo sapeva" racconta Sed Poynton, responsabile della
sicurezza e manager di Anfield. "I razzi possono uccidere, e
siamo stati noi i primi a vietarli. Ora sono proibiti in tutta
l'Inghilterra. Lavoriamo in grande collaborazione con la
Merseyside Police, e chi sgarra finisce in gabbia". Come in
quasi tutti gli stadi inglesi, privatizzati e rifatti grazie al
"Football Trust", il fondo pubblico per la ristrutturazione,
anche ad Anfield Road esistono le celle di sicurezza: chi viene
arrestato, va subito lì dentro. E una partita dal vivo non la
vede più tanto facilmente. "Se sei incensurato e la polizia ti
ferma, prendi un anno di squalifica. Se invece sei recidivo, la
squalifica è a vita: per sempre. E avete idea di cosa significhi
per un vero tifoso dover stare per sempre lontano dallo stadio
?". Dopo Bruxelles, tutti gli inglesi conobbero questa pena per
cinque anni. Dopo, qualcosa cambiò, anche se le condanne
individuali per l'Heysel furono davvero miti: cinque anni con la
condizionale a tredici ultrà, risarcimenti ridicoli alle
famiglie delle vittime. Per non dover camminare in eterno
insieme alla colpa, i dirigenti del Liverpool hanno scelto
l'impegno sociale e forse il buonismo, magari un po' troppo
esibito. "Abbiamo un progetto contro il razzismo, un altro
contro la violenza, abbiamo appena organizzato una partita
benefica tra vecchie glorie per le vittime dello tsunami,
c'erano anche Grobbelaar e Keegan" elenca Rick Parry, il general
manager, senza trascurare la "Liverpool Disables Supporters
Association", l'ente che garantisce i diritti dei disabili allo
stadio, nel quale intervengono a turno tutti i calciatori.
D'accordo, ma l'Heysel ? "Una grande, una terribile, una
colossale fatalità" risponde il presidente Moores. Soltanto ?
Parrebbe di sì. Per camminare soli, e lasciare un po' di rimorsi
a casa, la vecchia rimozione funziona sempre. Perciò è meglio
non cercare qualche ricordo di Bruxelles intorno allo stadio,
dove gli ingressi sembrano mausolei alla memoria ma non a quella
dell'Heysel. C'è la lapide con i novantasei nomi delle vittime
di Sheffield, 15 aprile '89, novantasei tifosi schiacciati
contro le cancellate prima della semifinale di FA CUP contro il
Nottingham Forrest: la candela accesa, i garofani bianchi e
rossi, qualche foto, frasi scritte a mano e lasciate lì. C'è la
statua di Bill Shankly, leggendario allenatore del Liverpool dal
'59 al '74 (a lui è dedicato anche un cancello), con il
piedistallo in marmo sponsorizzato dalla birra Carlsberg. C'è un
sacco di morte in poche centinaia di metri, però non c'è
l'Heysel. "Avevamo avvertito l'Uefa che lo stadio di Bruxelles
era inadeguato e pericoloso, io stesso inviai un rapporto
scritto che venne ignorato" racconta Peter Robinson, che nell'85
era vicepresidente esecutivo dei "reds". "Sembra un incubo,
invece è un'orribile storia vera che abbiamo vissuto". E anche
rivissuto, forse con qualche distrazione: come nel sito Internet
del Liverpool, dove si parla di "diciotto anni fa" anziché di
venti, e dove si insiste sulle responsabilità dell'Uefa:
"Chiedemmo settori separati per i tifosi, ma la vendita dei
biglietti in Belgio creò un'area mista e il contatto fu
inevitabile". La versione ufficiale insiste sul muretto
crollato, sulla "rete da pollaio" nel settore Z, parla di un
"lancio di sassi da parte italiana", dunque gli hooligans
avrebbero risposto a una provocazione, circostanza falsa perché
furono loro ad attaccare. Si dice che un anno prima, nella
finale dell'Olimpico contro la Roma vinta ai rigori, i tifosi
del Liverpool furono presi a sassate dagli italiani. "Un giorno
da non dimenticare mai" è il titolo dello scritto, anche se gli
inglesi lo ricordano un po' alla loro maniera. "Ma vedrete che
stavolta sarà una sfida esemplare" dice ancora il presidente
Moores, "all'insegna del nostro motto delle tre "f": fair, firm
e friendly", cioè "corretto, sicuro e amichevole". Come dovrebbe
essere diventato il tifoso del Liverpool, il pronipote delle
belve. Non ci credono tanto gli ultrà juventini, che promettono
vendetta per la gara di ritorno (13 aprile) con un inquietante
tam tam su internet: loro vorrebbero un giorno della memoria il
29 maggio allo stadio Delle Alpi, per l'ultima di campionato
contro il Cagliari che cade proprio nel ventennale, ma la
società bianconera non è d'accordo e preferisce una breve
cerimonia a Liverpool, martedì. "Festeggiare in casa di chi ci
ha massacrati, questo è inaccettabile" rispondono gli ultrà, e
la questura torinese è in allarme. Invece nel covo del "Kop",
l'ala più calda del tifo inglese, all'Albert Pub di Anfield,
l'atmosfera è paciosa. "L'Heysel è stato una disgrazia, ora noi
vogliamo solo eliminare la Juventus nel massimo della
correttezza e andremo a Torino tranquilli" dice il gestore, Ted,
mentre riempie un ciclopico boccale schiumante. Appesi ai muri e
al soffitto, trofei e simulacri di ogni sorta, berretti e
bandiere, maglie e sciarpe, targhe e caricature, persino foto di
matrimonio, però non cercate neppure qui un segno di Bruxelles:
mai esistita. Semmai altri segnali resistono, purché innocui e
senza dolore, come l'antica scritta sui mattoni rossi della
"Christ Church": "Dio salva", sotto la quale una mano burlona
aggiunse a caratteri incerti "ma Rush segna sulla respinta". Sta
lì da vent' anni, al contrario dell'Heysel che è sbiadito molto
in fretta perché qualcuno riuscisse a camminare un po' più solo,
anche se poi non è mica vero.
31
marzo 2005
Fonte: La Repubblica
ARTICOLI STAMPA e WEB MARZO
2005
Ci costrinsero a giocare, ma era uno stadio assurdo
di Maurizio Crosetti
LIVERPOOL - Phil Neal nell'85 era il
capitano dei "reds": "Per prima cosa, voglio dire che il 13
aprile sarò a Torino per porgere le mie condoglianze a tutte le
famiglie che all'Heysel persero qualche persona cara. Ci
costrinsero a giocare, ricordo quando io e Scirea leggemmo il
messaggio diffuso dagli altoparlanti, dicendo "state calmi,
giochiamo per voi". Vent' anni dopo, credo che invece avremmo
fatto meglio a tornarcene subito indietro e andare diritti a
casa. Fino a quella sera, avevo pensato che il calcio fosse solo
uno sport, un gioco: avevo torto. Ricordo l'ultimo allenamento
all'Heysel, il giorno prima della finale: vedemmo quelle
barriere ridicole, che anche un bambino di dieci anni avrebbe
potuto scavalcare, e ci stupimmo che l'Uefa avesse scelto un
impianto del genere per una gara così importante. Era un
cantiere aperto, c'erano calcinacci dappertutto. Fu una partita
surreale, nessuno protestava con l'arbitro, non sapevamo con
esattezza quanti morti ci fossero, eravamo fantasmi e a un certo
punto guardai Platini: mi rispose alzando le spalle. Credo che
anche a lui, di quella partita non importasse più niente". (m.
cr.)
31 marzo 2005
Fonte: La Repubblica
ARTICOLI STAMPA e WEB MARZO
2005
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