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ARTICOLI 1-5 APRILE 2005
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1-5 APRILE 2005
ARTICOLI STAMPA e WEB 
1-3.04.2005

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ARTICOLI STAMPA e WEB 4.04.2005

I tifosi dell'Heysel ripartono da "memoria e amicizia"

29 Maggio 1985 ore 19.20 L'Heysel è l'inferno

Liverpool-Juve, le scuse dell'hooligan 20 anni dopo l'Heysel

L'hooligan pentito è venuto a chiedere scusa

ARTICOLI STAMPA e WEB 5.04.2005

Heysel, ex hooligan incontra padre della vittima

"E' il ricordo più brutto della mia carriera"

Così l'Inghilterra inventò lo stadio formato-famiglia

L'Heysel è una ferita che si riapre

Ma io voglio un'amichevole per le vittime

Un minuto di silenzio per le vittime

"Ci dispiace, non camminerete mai soli"

L’Heysel vent’anni (amari) dopo

Grobbelaar: "Platini era un'altra cosa"

Platini e Rush portano la bandiera con i nomi dei 39 morti

Qua la mano e vinca il migliore

La strage dell'Heysel è sempre qui gli Inglesi cercano il perdono

Quelle famiglie inermi contro il branco di lupi

Il cuore oltre l’Heysel 

I tifosi dell'Heysel ripartono da "memoria e amicizia"

di Filippo Maria Ricci

Nel pomeriggio un'amichevole. Prima della gara uno striscione con le due parole di pace attraverserà il campo. Il padre di una vittima: "Sono solo gesti formali. Meglio una partita per beneficenza". A condurre la marcia da una curva all'altra sarà l'ex capitano dei Reds Phil Neal.

LONDRA - Memoria e amicizia. Quella di martedì sera ad Anfield per gli inglesi non è una partita come le altre. E non solo per i tifosi del Liverpool. Da quando l'urna di Nyon ha accoppiato Liverpool e Juventus per i quarti di finale della Champions League la memoria della tragedia dell'Heysel si è come materializzata e nessuno si è tirato indietro, anche se non è semplice mostrare equilibrio di fronte a una tragedia tanto grande. Qui c'è ancora chi racconta quella giornata come un "pomeriggio in cui 39 persone persero la vita per il crollo di un muretto". Ma fortunatamente per la maggioranza di tifosi, giornalisti e addetti ai lavori la sfida di domani sera sarà l'occasione ideale per ricordare le vittime e onorare la loro memoria. La partita di vent’anni fa ha mutato il corso del calcio inglese, espulso dall'Europa per cinque stagioni (sei per il Liverpool) e costretto a venire a patti con un problema, quello degli hooligans, che era enorme e che oggi per tanti versi può definirsi sconfitto. Cosa non altrettanto certa in Italia. Il Liverpool, in accordo con la Juventus, ha deciso di puntare sulle parole "memoria" e "amicizia" per segnare il primo incontro con il club bianconero dalla serata dell'Heysel. Uno striscione con le due parole e i nomi di battesimo delle 39 vittime sarà portato prima della gara dal Kop, la famigerata curva dei tifosi dei Reds, al settore occupato dai tifosi juventini. A condurre il drappello sarà Phil Neal, il capitano del Liverpool all'Heysel. Durante il minuto di silenzio che sarà osservato prima del fischio d'inizio, il Kop creerà con dei cartoncini un mosaico con la parola "amicizia", il simbolo del Liverpool e i colori delle due squadre. Tutti i tifosi ospiti riceveranno l'ormai classico braccialetto di gomma con i colori rosso-bianco-nero e la parola "amicizia" in italiano e in inglese, e una brochure di quattro pagine scritta in italiano incentrata sull'amicizia tra le due tifoserie. All'interno ci sarà un messaggio di Ian Rush, simbolico ex delle due squadre, ritratto sia in maglia rossa che in maglia bianconera, e sul retro un messaggio che recita: "We are sorry. You' ll never walk alone". Le scuse, e le parole di solidarietà che danno il titolo al celebre inno del Liverpool. Anche il programma della partita è stato completamente ridisegnato: in copertina il logo scelto nell'occasione per rappresentare il concetto di amicizia. Sul retro, al posto delle usuali liste dei giocatori, lo striscione "Memoria e Amicizia" che attraverserà il campo prima della gara. Domani pomeriggio ci sarà anche un'amichevole tra rappresentative di tifosi. Cosa che non ha convinto, insieme a tutto il resto del programma commemorativo, Otello Lorentini, il presidente dell'associazione creata dai parenti delle vittime. Lorentini all'Heysel perse un figlio di trent’anni, un dottore che morì nel tentativo disperato di salvare altre vite: "L'amichevole è per i tifosi vivi, ma i nostri cari sono morti, ha detto Lorentini. E per vent’anni Liverpool e Juventus hanno mantenuto un incomprensibile silenzio, come se volessero rimuovere quanto accaduto. Ora, visto che sono stati costretti a ritrovarsi, e non per scelta ma in una competizione altamente remunerativa, hanno pensato a una serie di gesti che a me paiono puramente formali. Mi farà piacere, ha proseguito Lorentini, vedere il nome di mio figlio Roberto sullo striscione che andrà da una curva all'altra, ma l'unico gesto veramente significativo sarebbe quello di organizzare un'amichevole tra le due squadre senza alcuno scopo di lucro, azzerando il fattore economico dell'incontro donando tutti i proventi in beneficenza, a gente povera o malata. Ho mandato una richiesta in tal senso all'ambasciata inglese a Roma e alla Juventus: si potrebbe giocare quest'estate, magari ad Arezzo, la città dove è stata fondata la nostra associazione. E in parallelo si potrebbe organizzare un convegno sulla violenza nello sport. Il Liverpool non ci ha ancora risposto". Da Anfield hanno fatto sapere che la lettera di Lorentini è arrivata, e che è stata passata al direttore generale Rick Parry. Ieri tutti i giornali domenicali inglesi hanno dato ampio spazio al ricordo dell'Heysel, e il supplemento sportivo mensile dell'Observer, settimanale politico londinese, al ricordo ha dedicato 18 pagine raccogliendo le memorie di persone che erano a Bruxelles vent’anni fa, in campo o in tribuna. Da Paolo Rossi, a Zibì Boniek, dal portiere del Liverpool Bruce Grobbelaar a Marco Tardelli, passando per tifosi, fotografi, giornalisti. Peccato che Phil Neal, l'ex capitano che martedì condurrà il ricordo organizzato dal Liverpool, si sia rifiutato di rispondere alle domande del giornalista, chiedendo di essere pagato.

4 aprile 2005

Fonte: Il Corriere della Sera

ARTICOLI STAMPA e WEB 4.04.2005 

29 Maggio 1985 ore 19.20 L'Heysel è un inferno

di Giancarlo Galavotti

Manca poco più di un'ora a Juve-Liverpool, finale di coppa Campioni. Un gruppo di tifosi del Liverpool comincia la guerriglia. Il settore Z della curva nord è un campo di battaglia. Le forze dell'ordine entrano in azione con ritardo. Gli italiani scappano: chi corre verso la recinzione che separa la curva Z dal campo (e così trova la salvezza) e chi preme contro il muretto di recinzione che crolla. Sono circa duemila i tifosi inglesi impazziti e ubriachi che scatenano l'inferno. I morti sono 39 (32 italiani), i feriti circa 400. Alle 21.39 le due squadre scendono in campo. Vince 1-0 la Juve, gol di Platini su calcio di rigore. I FATTI - La designazione dello stadio Heysel da parte dell'Uefa fu aspramente criticata da entrambi i club: la struttura era fatiscente, priva di adeguate uscite di sicurezza e di corridoi di soccorso. Il campo di gioco e le tribune erano malcurati, assi di legno erano sparse per terra, i muretti divisori erano vecchi e fragili e da essi si staccavano pezzi di calcinacci, le tribune di cemento sgretolate. Lo scarico dei servizi igienici colava dai muri, contribuendo a renderli ancora più fragili. I tifosi bianconeri erano migliaia: buona parte proveniva dai club organizzati e venne fatta sistemare nella tribuna N, nella curva opposta a quella riservata ai tifosi inglesi; molti altri tifosi, sganciati dal tifo organizzato, padri di famiglia con bambini e sostenitori tutt'altro che "accesi", comprarono i biglietti al di fuori dei circuiti ufficiali e si ritrovarono nella tribuna Z, con due reti metalliche a separarli dalla curva dei più accesi tifosi del Liverpool. Circa un'ora prima della partita, i tifosi inglesi cominciarono a spingersi verso il settore Z. Gli inglesi sostennero la tesi di un lancio di pietre proveniente dal settore dei tifosi italiani per giustificare la loro spinta violentissima che divelse in pochi secondi le reti di protezione. In realtà il lancio di pietre non avvenne mai, al contrario la carica degli hooligans fu preceduta da razzi sparati sui bianconeri e da una fitta sassaiola. I tifosi juventini, impauriti, nella totale assenza delle forze dell'ordine belghe, completamente colte di sorpresa dall'azione degli inglesi, si ammassarono contro il muro opposto alla curva dei sostenitori del Liverpool. Alcuni, disperati, si lanciarono dall'alto nel vuoto, altri cercarono di scavalcare ed entrare nel settore adiacente; alcuni di essi finirono sugli spunzoni delle recinzioni. Il muro su cui erano ammassati i bianconeri crollò per il troppo peso, moltissime persone vennero travolte, schiacciate e calpestate nella corsa verso una via d'uscita, per molti rappresentata da un varco aperto verso il campo da gioco. Dall'altra parte dello stadio i tifosi juventini del settore N e tutti gli altri sportivi accorsi allo stadio sentirono le voci dello speaker, dei capitani delle due squadre che invitavano alla calma e in pochi capirono quello che stava realmente accadendo. Gli scampati alla tragedia si rivolsero ai giornalisti in tribuna stampa perché telefonassero in Italia, per rassicurare i familiari. I morti furono 39, dei quali 32 italiani, 4 belgi, 2 francesi e 1 irlandese. Centinaia i feriti. Si decise di giocare ugualmente la partita: la decisione fu presa dalle forze dell'ordine belghe, per evitare ulteriori tensioni. L'incontro fu disputato in un'atmosfera surreale, con le notizie che si susseguivano ed i giocatori stessi ignari di che proporzione avesse assunto la tragedia. Nel 2000 lo stadio Heysel fu raso al suolo e ricostruito con un nuovo nome: Stadio Re Baldovino. Al suo interno una targa commemorativa ricorda la tragedia del 29 maggio 1985. I parenti delle vittime hanno fondato un Comitato. In occasione del ventesimo anniversario della strage (29 maggio 2005) hanno presenziato alla cerimonia di inaugurazione del monumento di commemorazione delle vittime a Bruxelles, presieduta dal sindaco della capitale belga. Negli stessi giorni le squadre giovanili di Juventus e Liverpool si sono affrontate allo stadio Comunale di Arezzo (città di Giuseppina Conti e di Roberto Lorentini, due delle vittime; il padre di Lorentini, Otello, è tra l'altro il fondatore del suddetto Comitato) in un match amichevole (NdR: questa partita in realtà sarà disputata in ottobre nello stesso anno)

4 aprile 2005

Fonte: La Gazzetta dello Sport

ARTICOLI STAMPA e WEB 4.04.2005 

Liverpool-Juve, le scuse dell'hooligan 20 anni dopo l'Heysel

di Francesco Caremani

Domani "reds" e bianconeri di fronte per i quarti di Champions.

Terry Wilson, è lui l'ex hooligan, sempre tifoso del Liverpool, sceso sino ad Arezzo per chiedere scusa a Otello Lorentini, per il figlio Roberto e per le altre 38 vittime dell'Heysel. Si sono incontrati sabato pomeriggio all'AC Hotel, dove l'ha portato Jean-Philippe Leclaire, giornalista de L'Equipe, che li ha messi in contatto. Un incontro registrato e fotografato che diventerà giornalismo ed è già storia, perché è la prima volta che accade e perché nessuno, tantomeno Otello, si sarebbe aspettato una cosa del genere alla vigilia di Liverpool-Juventus, quarto di finale di Champions League. Terry è venuto "To say sorry" e lo ripete all'infinito, quasi per convincere e per convincersi di quello che sta facendo, a nome suo e di tante altre persone di Liverpool, con cui ha parlato prima di partire per l'Italia. Occhi azzurri, capelli biondi, sguardo imbarazzato, camicia d'ordinanza. Otello si è fatto accompagnare da Andrea, primogenito di Roberto, anche lui ha uno sguardo diverso dal solito, meno disteso e meno sicuro, si aggrappa ai ricordi, sempre lucidissimi, e al dolore, sempre forte, per la perdita dell'unico figlio. Si percepisce un po' di tensione, ed è Otello ha spezzare il ghiaccio: "Io non sono ancora pronto a perdonare, ma non odio nessuno". Andrea e Jean-Philippe traducono, Otello e Terry parlano, si guardano. Il primo inizialmente ascolta, il secondo spiega la sua versione dei fatti, all'epoca aveva 19 anni. E' la versione inglese dei fatti, la versione assolutoria, la versione che vuol rendere meno amara una vergogna nazionale. Ma Otello prende carta e penna e non gli dà scampo, disegna, spiega, rimette le cose a posto, come dovrebbero essere sempre state. La versione vera è una sola, quella di Otello, quella dell'Associazione delle vittime, sancita da un processo vittorioso e raccontata nell'unico libro scritto in tutti questi anni. Terry annuisce e ripete "To say sorry". Otello ha capito lo sforzo e gli dice "Non perdonerò mai chi non chiede scusa, a te, forse domani, forse un giorno, ti perdonerò". Terry sarà all'Anfield Road martedì sera per assistere a Liverpool-Juventus e ha anche un altro incarico, deve chiedere cosa Otello vorrebbe veder scritto in un vessillo che la Kop isserà prima del match: "I nomi delle vittime, solo quello", sussurra ad Andrea che deve tradurre. Comunque ha ancora tempo per pensarci, si risentiranno. Non dimenticando l'idea dell'amichevole da giocare ad Arezzo tra Juventus e Liverpool. Terry ha un amico in società e farà di tutto per perorare la causa, anche lui capisce che la volontà di Otello è quella di mettere un punto all'Heysel e lo vuol fare ad Arezzo, dove nacque l'Associazione e dove si piangono, ancora oggi, due vittime. Tutti hanno capito che si tratta di due momenti diversi, da una parte il quarto di Champions, dall'altra l'amichevole, magari precampionato. E' con questo spirito che tutti possono guardare alla sfida di domani tra due squadre che si ritrovano sul campo a venti anni dalla tragedia di Bruxelles. Quello sarà un match vero, agonistico, giocato tra ragazzi che all'epoca avevano 10-15 primavere. Da una parte Fabio Capello dall'altra Rafa Benitez, nel mezzo una partita di calcio che avrà una cornice carica d'emozione, un'emozione forte e lontana, forte perché mai esternata prima, lontana perché quasi nessuno dei protagonisti di allora sarà presente. "You'll never walk alone", non camminerete mai soli, dice un vecchio coro dei tifosi del Liverpool, forse lo canteranno per le vittime che, scherzi del destino, hanno camminato sole, per vent'anni nel limbo della memoria collettiva.

4 aprile 2005

Fonte: L'Unità

ARTICOLI STAMPA e WEB 4.04.2005 

di Giulia Zonca

Uno dei giovani che 20 anni fa provocarono gli scontri mortali incontra Otello Lorentini, Presidente dell'Associazione Vittime dell'Heysel. "Il rimorso per quei morti bastava. Poi è nato il bisogno di incontrare questa persona".

NESSUNO ha mai chiesto scusa, 20 anni e niente che somigliasse a del vero rammarico per 39 vite perse. L'Heysel, non è stato né dimenticato, né ricordato, è stato messo via con vergogna e imbarazzo. Un giornalista francese dell'Equipe, Jean-Philippe Leclaire, ha messo insieme un libro che esce in questi giorni, più racconto che inchiesta, su quella notte del 1985. Raccogliendo brandelli di ricordi ha incontrato Terry Wilson, un ex hooligan che in quel massacro stava innegabilmente dalla parte dei cattivi. A stabilirlo è stato un tribunale, Wilson è stato condannato a 5 anni, era uno dei 14 "tifosi" del Liverpool ritenuti colpevoli sui 26 arrestati. Ha scontato solo 9 mesi, ma la sua vita è cambiata, stravolta dal senso di colpa. Ora ha 38 anni, ha i capelli biondi corti e l'aria di uno che non è riuscito a crescere sereno. A guardarlo è difficile dargli un'età, come se il tempo si fosse solo accumulato senza essere vissuto e la sua faccia fosse rimasta molto simile a quella da adolescente che aveva quella notte. La faccia di uno che non è mai riuscito ad andare oltre i suoi errori. Dice che solo Dio lo ha aiutato a gestire quel peso sulla coscienza, dice che non riesce nemmeno a descrivere quello che ha fatto, ma grazie a un cacciatore di memorie ha trovato il modo di chiedere scusa. Sabato è partito per l'Italia e ieri ha incontrato Otello Lorentini, presidente dell'associazione vittime dell'Heysel e padre di Roberto, morto nel settore Z mentre cercava di prestare soccorso a un ragazzo che non riusciva a respirare. Leclaire ha chiesto a Lorentini se era in grado di perdonare e lui ha risposto: "Nessuno mi ha mai chiesto perdono". Ieri Terry Wilson ci ha provato. Se lo abbia ricevuto è un'altra questione. Lorentini non vuole parlarne: "Pazzesco, in 20 anni non mi ha mai cercato nessuno e ora provate a spremermi anche emozioni che non sono ancora in grado di definire. E tutto perché c'è una partita di Champions League. No, per ora è un fatto privato. Questo ragazzo è venuto qui e gli ho parlato, ma è qualcosa di troppo forte perché io possa raccontarlo subito. E' stata una conversazione intensa e io ho bisogno di qualche giorno per elaborarla". Wilson, dopo due decenni, ha capito quello che il senso di colpa non poteva spiegargli: "Queste persone stanno ancora soffrendo, in un modo che non mi sarei mai potuto immaginare, quando mi hanno raccontato la storia di Lorentini mi sono reso conto di come quella tragedia fosse ancora viva", lo confessa al sito del Liverpool dove spiega perché ha deciso di affrontare un viaggio a ritroso che lo avrebbe riportato davanti a ciò che ha provato a rimuovere per tutto questo tempo. "Non ho cercato di dare un nome e una storia a quei morti, il numero mi bastava, era un rimorso fin troppo grande da portarsi dietro. Quando qualcun altro mi ha costretto a guardare dentro una vita vera, ho sentito il bisogno di incontrare questa persona. So che per quante scuse io possa chiedere non servirà a molto, ma muovermi, andare a casa Lorentini mi sembrava un modo di avvicinarci alla riconciliazione, a un senso di pace che fino a qui non abbiamo davvero cercato. Non abbiamo neppure pensato fosse possibile". Non è un destino singolo, i tifosi del Liverpool presenti in quello stadio, ma anche chi non c'era e che ha dovuto gestire quell'imbarazzo, quel senso di responsabilità non diretta, non ha mai fatto i conti con l'Heysel. Da qualsiasi parte si arrivi ad Anfield si è investiti dal ricordo di Hillsborough (lo stadio di Sheffield dove nel 1989 morirono 96 tifosi del Liverpool schiacciati dalla folla che era più del doppio della capienza limite). C'è un memorial, un braciere sempre acceso, un monumento di marmo con il nome di chi perse la vita in quel disastro ed è impossibile non sbattere contro uno di questi simboli. Le tracce dell'Heysel sono confinate nel museo del club e solo in questi giorni gli inglesi, che hanno scacciato i violenti ma non i fantasmi, provano a tirarle fuori.

4 aprile 2005

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA e WEB 4.04.2005 

Heysel, ex hooligan incontra padre della vittima

AREZZO - Vent'anni dopo, l'ex hooligan tifoso del Liverpool, Terry Wilson, ha chiesto perdono per quello che ha fatto al padre e al figlio di una delle vittime dell'Heysel, Otello e Andrea Lorentini. Molto scossi per l'incontro, i due non sono parsi ancora pronti a perdonare per la perdita di Roberto, 33 anni, quella tragica sera. E' stato il quotidiano francese L'Equipe a organizzare, ad Arezzo, l'incontro fra i familiari della vittima e l'ex hooligan che fu condannato a cinque anni di carcere anche se ha scontato soltanto 10 mesi in tutto. Terry Wilson, 38 anni, nel viaggio aereo, aveva persino imparato a dire in italiano "Sono qui per chiedere perdono". Poi, di fronte a Otello (81 anni) e Andrea (23), ha ripetuto soltanto "I'm sorry, I'm sorry, I'm so sorry...". Con traduzione simultanea del giovane Andrea. Otello chiede al nipote di dire in inglese a Terry: "Ho visto i tuoi amici tirare fuori oggetti dalle tasche dei morti". "Vi chiedo ancora perdono - ripete Terry - ammetto di aver dato pugni, calci, che hanno indirettamente provocato la morte di vostro figlio e di altre vittime. Ma l'ho capito soltanto qualche ora dopo, sul traghetto di ritorno, quando le televisioni a bordo hanno mostrato le immagini dei cadaveri. Allo stadio non ho visto nemmeno un corpo. Dopo le cariche sono tornato nel settore Y riservato agli inglesi, e ho aspettato l'inizio della partita. E' orribile a dirsi, ma eravamo anche impazienti, non avevamo capito l'ampiezza della catastrofe".

5 aprile 2005 

Fonte: Quotidiano Nazionale

ARTICOLI STAMPA e WEB 5.04.2005 

"E' il ricordo più brutto della mia carriera"

di R.S.

Heysel 20 anni dopo. Sembra trascorsa un’eternità eppure il ricordo di questi istanti drammatici, così tremendamente surreali e fuori da ogni logica umana sono però, anche se a distanza di tempo, ancora ben scalfiti nella memoria di chi quelle ore interminabili le ha vissute in prima persona allo stadio di Bruxelles, oppure le ha vissute davanti al piccolo teleschermo tremendamente in ansia per le sorti dei propri familiari. Quel 29 maggio 1985 una semplice partita di calcio tra Liverpool e Juventus si trasformò dunque in una tragedia in cui persero la vita ben 39 persone, quasi tutte italiane. Ma l’appuntamento con la storia è destinato dunque a ripetersi. Vent’anni dopo quella maledetta finale di Coppa Campioni vinta per 1 a 0 dai bianconeri con un gol su rigore realizzato da Platini (fischiato per un fallo al limite dell’area su Boniek), i destini di Juventus e Liverpool tornano così ad incrociarsi questa sera per i quarti di finale di Champions League. E così si torna automaticamente a riflettere su un dramma che ha segnato letteralmente il calcio, oltre a segnare per sempre la vita dei protagonisti. Tra questi c’era anche Massimo Bonini, sammarinese classe 1959, che quella sera di fine maggio era in campo con la maglia della Vecchia Signora. Oggi Bonini ha 46 anni ed è diventato tra l’altro papà per la prima volta di suo figlio Arturo lo scorso venerdì, ma quegli istanti di morte sono per lui indimenticabili. Vorrei non pensarci - confida l’ex calciatore - ma quella tragedia è legata al trionfo più importante di tutti gli anni in cui ho giocato a calcio, è inevitabile che ogni tanto mi venga ricordato. Spero che l’incontro tra Juventus e Liverpool sia una partita di calcio. La Coppa che abbiamo alzato nel 1985 è come se non l’avessimo mai vinta. Come si può far festa con 39 morti sugli spalti ? Fu assurdo, allucinante, è il ricordo più brutto della mia carriera e mi auguro di cuore che un episodio del genere non si verifichi mai più. Una tragedia di una tale portata, quella che si consumò sugli spalti dello stadio di Heysel, che non subito fu compresa. Esattamente compresi quello che stava accadendo quando tornai in albergo, vedendo le immagini in televisione, fu agghiacciante. La partita però pur nella tragedia si disputò regolarmente. Giocai quella gara per vincere esattamente come i miei compagni e i miei avversari. Alla fine esultai insieme ai tifosi della curva anche loro all’oscuro di tutto. Le vere vittime non furono gli ultras, ma le famiglie che erano andate allo stadio con i bambini e rimasero travolte dalla massa degli Hooligans ubriachi. E per non dimenticare le 39 vittime di quel 29 maggio saranno attivate alcune iniziative. Sarà distribuita ai tifosi della Juve una brochure con un messaggio di Ian Rush, unico giocatore ad aver militato in entrambe le squadre. A tutti poi sarà regalato un braccialetto dell’amicizia. Nella curva del Liverpool comparirà anche la scritta "Amicizia" a caratteri cubitali.

5 aprile 2005 

Fonte: La Tribuna Sammarinese

ARTICOLI STAMPA e WEB 5.04.2005 

Il cambiamento

Così l'Inghilterra inventò lo stadio formato-famiglia

di Luca Valdiserri

Dopo le tragedie di Bruxelles e di Sheffield il governo decise di riformare il football: impianti sicuri, drastico piano anti-hooligans.

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI. LIVERPOOL - Oggi non lo diranno, perché sarà il giorno della memoria e dell'amicizia, compresa una partita tra tifosi di Liverpool e Juve, all'ora di pranzo. Però in Inghilterra l'hanno detto, scritto e continuano a pensarlo: 1) la tragedia dell'Heysel, il 29 maggio 1985, che costò la vita a 39 tifosi juventini, non fu solo colpa degli hooligans; 2) dopo la tragedia dell'Hillsborough, 4 anni dopo, nella quale morirono 96 sostenitori del Liverpool, l'Inghilterra ha cambiato il suo modo di vivere il football per non dover piangere mai più una disgrazia simile. Kenny Dalglish, campione scozzese del Liverpool che vinse tutto, nella sua autobiografia ha trovato un alibi un po' troppo comodo: "I nostri tifosi furono attaccati per le strade di Roma un anno prima, nella finale che si giocò all'Olimpico. I loro pullman furono presi a pietrate e la polizia li protesse ben poco. Un anno dopo, a Bruxelles, i semi del caos diedero i loro frutti". Il ricordo di Antero da Silva Resende, ex membro del Comitato esecutivo dell'Uefa, è agghiacciante: "Qualcuno venne ad avvisarmi: c'erano problemi nel settore occupato dai tifosi del Liverpool, confinante con quello degli juventini. Lo dissi a un poliziotto belga e lui cercò di mettersi in contatto con i suoi colleghi con un walkie-talkie. Senza riuscirci. Come fu scoperto dopo, in quel walkie-talkie le batterie non funzionavano". Il bando a tempo indeterminato delle squadre inglesi dalle competizioni internazionali (passarono 5 anni, 6 per il Liverpool), la tragedia di Sheffield nel 1989 e la terribile nomea che gli hooligans avevano esportato portarono il governo inglese a un deciso intervento sul football. Fu commissionata a Justice Taylor, membro della Camera dei Lord, una ricerca sulle cause e sulle soluzioni. Il cosiddetto Taylor Report Act portò alla trasformazione degli stadi da "fans oriented a family oriented". Misure di sicurezza (tra le quali l'abbattimento delle barriere architettoniche), videocamere, sfruttamento anche commerciale degli impianti, numerazione dei posti: queste le linee guida. E i soldi per rinnovare il "parco stadi" ? Il governo Major stabilì la riduzione del 2,5% annuo, per 5 anni, della tassazione statale sui giochi a scommesse: ne uscirono 100 milioni di sterline (più altri 100 con la proroga del decreto fino al 2000) per gli impianti sportivi. La gestione del denaro raccolto fu affidata al Football Trust. Nel settennio 1990-1997 sono stati spesi quasi 500 milioni di sterline per la ristrutturazione degli stadi inglesi e scozzesi. Nel luglio 2000, la direzione è passata al Football Stadia Improvement Fund, che ha stanziato altri 65 milioni di sterline in 4 anni. Il denaro è erogato come finanziamenti a tasso zero, da rimborsare in 3 o 5 anni. Un'attenzione che investe tutta la società, per combattere la violenza con la pratica sportiva. La Football Foundation ha finanziato 1172 progetti dilettantistici e studenteschi per 288 milioni di sterline e ne sta valutando altri 282 per 96 milioni. Questo è il miglior ricordo delle vittime dell'Heysel e di Sheffield.

5 aprile 2005 

Fonte: Il Corriere della Sera

ARTICOLI STAMPA e WEB 5.04.2005 

L'Heysel è una ferita che si riapre

di Paolo Forcolin e Enrica Speroni

Tacconi: "Sapevamo che c'erano morti". Boniperti: "Si giocò soltanto per evitare altre vittime".

Saranno vent' anni, a maggio. Ma il ricordo di quella sera è più vivo che mai. Non ombre indistinte, amnesie offuscate dagli anni. No, graffiti tracciati sul granito, incancellabili. Chi c'era, all'Heysel, quella sera del 29 maggio '85 non potrà mai dimenticare. Soprattutto non potrà farlo chi, in quella tiepida sera belga, era tra i protagonisti. Stefano Tacconi era il portiere titolare della Juve, allora. Un titolare ritrovato, se vogliamo, perché Trap lo aveva "segato" di brutto all'indomani del derby d'andata (18 novembre '84). Poi, il 5 maggio, trasferta di Napoli, Trap lo richiamò. E Tacconi si riprese il posto, a pochi giorni, in pratica, dalla finale di coppa Campioni, ancora col Liverpool. A tanti anni di distanza, e a poche ore dalla nuova sfida con i Red Devils, quella sfida lontana e tragica fa ancora, inevitabilmente, parlare di sé. Una domanda, in particolare, suscita ancora contrasti: sapevano che cosa era successo i giocatori della Juve ? Sapevano che il settore Z era diventato un immane mattatoio, che tanti tifosi italiani (32 morti sui 39 totali) erano stati massacrati dalla furia degli hooligan ? La voce di Stefano è forte e chiara, nessun tentennamento: "Sapevamo. Lo sapevo io, lo sapevano tutti. Non il numero delle vittime, questo no. Ma sapevamo che era successo qualcosa di gravissimo, che c'erano stati dei morti. Lo capimmo subito: da quando, negli spogliatoi dove stavamo preparandoci alla partita, cominciammo a veder arrivare i nostri tifosi. Feriti, in stato di choc, tremanti di paura e di freddo. Molti sanguinavano, erano con i vestiti a pezzi, senza scarpe. Il povero dottor La Neve si adoperava per prestare le prime cure, soccorrere chi aveva più bisogno. Chi arrivava da noi era sconvolto. E raccontava di quanto era successo fuori, la carica degli inglesi, il muro che non aveva retto, la gente calpestata. La parola "morti", al plurale, rimbalzava di frequente. Certo, nessuno poteva conoscere l'entità della tragedia: ma dalle loro parole capimmo, tutti, che era successo qualcosa di terribile. So che qualcuno continua a dire di non aver saputo praticamente nulla: non voglio sapere perché, non mi interessa. Ma sarebbe bastato sentire i racconti dei feriti". Sergio Brio era lì, nello spogliatoio. Conferma la versione di Stefano tranne che in un particolare: "Vero, c'era tanta gente terrorizzata, ferita. Ricordo che demmo loro scarpe, k-way, tute, tutto il materiale non indispensabile. Quanto ai morti, io ricordo solo che si parlava, al singolare, di una persona probabilmente deceduta". Riattacca Tacconi: "La Juve non avrebbe voluto giocare. Boniperti e Morini lo dissero chiaro e tondo all'Uefa. Ma, poi, arrivò un generale belga, funzionario del ministero degli Interni. Disse a Boniperti che si sarebbe dovuto assumere la responsabilità di eventuali altri incidenti, perché l'ordine pubblico non era governabile. E fu così che accettammo di giocare. A scanso di equivoci, fu partita vera, anche se noi, a mio parere, giocammo il peggior match dell'anno. Quanto al rigore, l'arbitro non poteva vedere il luogo esatto del fallo su Boniek (fuori area, ndr) e il guardalinee non si prese la responsabilità di fargli cambiare idea. Errore arbitrale, insomma, non regalo o compensazione per quanto era successo. Alla fine, molti criticarono il giro con la Coppa in mano. Io non uscii, molti compagni sì. Ma ricordo che il giro ci fu richiesto espressamente dai tifosi. Il Liverpool ? Io ebbi l'impressione che avessero preso quanto accaduto con molta minor partecipazione, rispetto a noi. Magari erano più abituati alle violenze degli hooligan, magari, più semplicemente, cercarono di approfittare della nostra condizione psicologica per vincere la coppa. Non ci riuscirono". Vent' anni dopo la parola Heysel accende in Giampiero Boniperti ricordi nitidi e una rabbia difficile da reprimere. "Sono stato in Parlamento a Bruxelles per 5 anni e non ho mai più voluto passare davanti a quello stadio. Ancora oggi, confesso, non sono sereno quando penso al capo della Gendarmeria della città, perché non posso dimenticare che c'era un poliziotto, uno solo, in quel settore maledetto a tenere a bada i tifosi inglesi. Eppure la pericolosità degli hooligan era sotto gli occhi di tutti. La sera prima della partita, mia moglie che alloggiava in un hotel del centro mi telefonò sconvolta in ritiro: "Piero, qui sta succedendo un finimondo, ci sono inglesi ubriachi che stanno spaccando tutto, ci sono vetri ovunque, vetrine infrante...". E il mattino dopo, durante il sopralluogo allo stadio, non riuscivo a capacitarmi di quel che vedevo: l'Heysel sembrava un cantiere, all'esterno c'era addirittura una catasta di legna, proprio dietro le gradinate dove si è poi consumata la tragedia. Ricordo tutto di quel giorno, io conoscevo l'entità del disastro perché nella pancia dello stadio dove mi trovavo c'era la tv, ma chi stava sugli spalti in altri settori, lontani dal Y e dallo Z, e gli stessi giocatori che naturalmente non ignoravano l'accaduto - i capitani Scirea e Neal lessero un messaggio via radio - non avevano la consapevolezza dell'enormità di quel stava capitando. Proprio la necessità di evitare una guerra ci indusse a scendere in campo. Io non volevo giocare e non voleva giocare il presidente del Liverpool: ma il capo della Gendarmeria e il rappresentante dell'Uefa, su ordine del ministro degli Interni belga, ci spiegarono che disputare la partita avrebbe evitato l'esplodere di ulteriore violenze. E si giocò. E fu partita vera. Ma io quei morti li ho visti e me li ricordo tutti. E non voglio dimenticarli. Perché credo che ricordare è l'unico modo per evitare che tragedie simili si ripetano. Per questo nella vecchia sede bianconera di piazza Crimea feci posare un cippo con le parole di Giovanni Arpino: "Qui ricordiamo le 39 vittime di Bruxelles il 29 maggio 1985 trucidate da brutale violenza. Quando onore, lealtà, rispetto cedono alla follia, è tradita ogni disciplina sportiva. Alla nostra memoria il compito di tenerla viva". 29 MAGGIO 1985 IL SETTORE "Z" DIVENTA UN INFERNO - 29 maggio 1985, ore 19.20: l'Heysel è un inferno. Manca poco più di un'ora a Juventus-Liverpool, finale di Coppa dei Campioni, un gruppo di tifosi del Liverpool comincia la guerriglia. FUGA - Una banale rete metallica separava gli inglesi ammucchiati dalle gradinate del settore "Z", era sorvegliata da normali poliziotti; i reparti celeri erano tutti fuori dallo stadio e avevano l'ordine di restarci fino a 10 minuti prima del calcio d'inizio per prevenire incidenti tra le tifoserie in arrivo. IN RITARDO - Le forze dell'ordine entrarono in azione in ritardo. Gli italiani scappavano: chi correva verso la recinzione che separava la curva "Z" dal campo (e trovò la salvezza) e chi premeva contro il muretto di recinzione, che crollò. Il muretto all'esterno del settore "Z" del fatiscente Heysel non era all'altezza, come il resto dello stadio, ma non era stato costruito per resistere alla disperazione di centinaia di persone terrorizzate dai tifosi del Liverpool. Circa 2.000 tifosi inglesi impazziti e ubriachi scatenarono l'inferno. MORTI - I morti furono 39 (32 italiani), i feriti circa 400. Alle 21.39 le squadre scesero in campo. Vinse la Juve 1-0, con gol di Michel Platini su calcio di rigore.

5 aprile 2005 

Fonte: La Gazzetta dello Sport

ARTICOLI STAMPA e WEB 5.04.2005 

Ma io voglio un'amichevole per le vittime

di Maurizio Crosetti

LIVERPOOL - Il signor Otello Lorentini ha passato vent' anni a battersi e un pomeriggio a rispondere al telefono. "Sono distrutto". All'Heysel perse il figlio Roberto, medico, che poteva salvarsi e invece tornò indietro per aiutare gli altri e morì. "Ho sentito della partita tra i tifosi, dei braccialetti e dello striscione. Un vecchio di ottant' anni può dire parolacce ? Sì ? Allora vi rispondo che sono cazzate. Della partita non m' importa nulla e non la guarderò, io voglio organizzare un'amichevole tra Juventus e Liverpool entro la fine dell'anno, per celebrare i vent' anni di Bruxelles. Lo voglio fare per i morti, non per i vivi, per i morti e non per i tifosi, è chiaro ?" Come presidente dell'associazione dei parenti delle vittime, Lorentini è andato a sbattere contro vent' anni di silenzio. "Mai riuscito a parlare con nessuno della Juve o del Liverpool, la verità sembra far paura a tutti. Adesso mi dicono che in Inghilterra si sta considerando la nostra proposta, ho ricevuto una lettera, vedremo. Ho appena incontrato un hooligan pentito, è venuto a trovarmi ad Arezzo dall'Inghilterra, si chiama Terry Wilson. Mi ha detto di essersi fatto la prigione e di avere picchiato, quella sera, senza però uccidere nessuno. L'ho corretto, dicendogli che se aveva buttato giù la rete, allora era stata colpa anche sua. Ha risposto sì, ha chiesto perdono e io gli ho detto che non sono ancora pronto a perdonare. Ma almeno lui ha chiesto scusa e mi è sembrato sincero, a differenza di altri, anche se io non odio nessuno". Vent' anni senza un figlio che quando morì ne aveva due, piccoli. "Così, perdendo Roberto, di figli ne ho avuti in cambio tre invece che uno: i miei nipoti e mia nuora. Li ho allevati meglio che ho potuto, oggi Andrea ha 23 anni e si è appena laureato, mentre Stefano ne ha 21 e va all'Università. Senza di loro non sarei mai arrivato ai miei ottant' anni, dove avrei trovato la forza ? I ragazzi sono cresciuti serenamente, io ci ho messo passione". 

5 aprile 2005  

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI STAMPA e WEB 5.04.2005 

Un minuto di silenzio per le vittime

di Giancarlo Galavotti

LIVERPOOL - (g.c.g.) Ci sarà il minuto di silenzio per le vittime dell'Heysel. La Uefa ha acconsentito, alla fine, alla richiesta di Liverpool e Juve. Non è stato facile, fanno capire i dirigenti di Anfield. La Uefa, condannata dalla Cassazione belga nel ' 91 come corresponsabile della strage di Bruxelles, si è mostrata restia ad avallare le iniziative alla memoria. Il Liverpool e la città di Liverpool non si tirano indietro. A tutti i tifosi juventini sarà offerto un bracciale rosso, bianco e nero, i colori delle due squadre, con la scritta "Friendship-Amicizia". Prima del calcio d'inizio una processione partirà dal Kop, la tribuna del tifo Red, con uno striscione: "In memoria e in amicizia" con i nomi delle 39 vittime. La processione arriverà davanti al settore dei tifosi juventini. Il Liverpool ha prodotto anche sciarpe congiunte, metà rosse e metà bianconere, per commemorare la partita. Presenti anche ex giocatori del Liverpool, guidati dal capitano della squadra finalista nel 1985, Phil Neal.

5 aprile 2005

Fonte: La Gazzetta dello Sport

ARTICOLI STAMPA e WEB 5.04.2005 

Gli ultras del Liverpool tendono la mano organizzando un’accoglienza di riguardo per gli ospiti

"Ci dispiace, non camminerete mai soli"

di Lapo Novellini

LIVERPOOL - La quinta volta in 40 anni. Juventus e Liverpool, pur avendo bacheche ricche di cop­pe e trofei di ogni genere, non si sono incontrate molte volte, nella storia delle competizioni internazionali. L’ultima volta accadde il 29 maggio del 1985 e la partita lasciò il posto a una immane tragedia. Stasera le due tifoserie dovranno dimostrare soprattutto che è giusto non dimenticare e commemorare le vittime, ma anche che i figli possono essere migliori dei padri. Possiamo affermare, riprendendo le parole di Jeremy Butler dell’agenzia Reuter che i kop di oggi non sono più quella massa di delinquenti che devastava l’Europa negli anni Ottanta. Ad Anfield stasera sono previste numerose manifestazioni di solidarietà tra le due tifoserie. Gli ultrà del Liverpool esporranno in curva uno striscione con la scritta "in memoria e in amicizia". La squadra di casa distribuirà a tutti i tifosi della Juve una brochure di benvenuto con un messaggio di Ian Rush, l’unico giocatore che ha militato in entrambe le formazioni. L’incipit è "We are sorry, you will never walk alone" (Ci dispiace, non camminerete mai da soli), mutuato dalla scritta che campeggia all’entrata di Anfield. A tutti i presenti sarà regalato un braccialetto, con un messaggio molto chiaro: friendship, amicizia. Sarà il simbolo del legame che unisce le due società nel ricordo delle vittime. Lo stesso braccialetto sarà indossato anche dai calciatori delle due squadre. Prima del calcio d’inizio, Ian Rush e Michel Platini esporranno a centrocampo uno striscione con i nomi delle 39 vittime: affinché nessuno dimentichi quello che capitò in quella incredibile notte di Bruxelles. Rappresentanti delle due tifoserie giocheranno nel pomeriggio un’amichevole alla Liverpool Academy, nelle vicinanze della città. Alle 19.45 locali (le 20.45 in Italia) la partita. Quando l’arbitro belga Frank De Bleeckere fischierà l’avvio, in un attimo tutti i pensieri, i ricordi e le voci del passato lasceranno il posto ad un incontro di calcio di alta intensità agonistica e tecnica. La parola passerà ai calciatori e ai due allenatori, Rafael Benitez e Fabio Capello, tecnici che spesso vanno oltre i limiti del campo per ergersi a esempio per i giocatori e i tifosi. Discorso che vale anche per il capitano bianconero, Alessandro Del Piero, che sarà ad Anfield per la terza volta in carriera: nelle altre due circostanze vestiva la maglia della nazionale, stavolta avrà una partecipazione emotiva sicuramente più intensa. L’auspicio dei tifosi della Juve è che sfoci in una prestazione all’altezza dei suoi giorni migliori.

5 aprile 2005

Fonte: L’Unità

ARTICOLI STAMPA e WEB 5.04.2005 

L’Heysel vent’anni (amari) dopo

di Oliviero Beha

Caro Direttore, i giornali di domani saranno ovviamente pieni di numeri e valutazioni sulle elezioni amministrative di ieri e oggi, che potrebbe condizionare l'immediato futuro del paese. La sera, per i quarti di Champion's League, ci sarà Liverpool-Juventus, e c'è da scommettere che comunque sia andata nelle urne in parecchi, ricomposti, si sistemeranno davanti alla tv. A pagamento. A maggio saranno vent'anni da un'altra, famigerata Liverpool-Juve, finale di Coppa Campioni a Bruxelles, allo stadio Heysel. Lo stadio della strage, dei 39 morti, della carneficina per il crollo di un comparto, della partita giocata lo stesso tra le ambulanze per "dichiarati motivi di ordine pubblico" e vinta (vinta ?) dalla Juventus che ne conserva il Trofeo in bacheca. Insieme al ricordo dei morti e di una serata tragica, allora in tv in chiaro irradiata dalla Rai in Eurovisione, e quindi visibile da tutti. Se la Juventus restituisse quella Coppa come se la partita non fosse stata giocata, non ridarebbe la vita ai morti ma insomma credo che sarebbe un bel gesto, un momento di memoria quasi fisica. Comunque è proprio di memoria che vorrei parlare qui, e di confronti. Le ricorrenze, gli anniversari, i compleanni servono a misurare il tempo e a dargli valore. O valori. All'epoca dell'Heysel si disse, con una formula che riaffiora periodicamente per tutto o quasi, che per il calcio quella sera aveva significato "la perdita dell'innocenza", che una tragedia simile non si sarebbe dovuta più ripetere, che era l'occasione per una riflessione su che cosa il calcio fosse diventato. A metà degli anni '80. Facciamola oggi, allora, questa riflessione, misuriamo il tempo che è passato e il modo in cui è passato, chiediamoci oggi se il discorso sul calcio valga quello sulla società italiana tutta e quali siano eventualmente i nessi tra i due discorsi. Un po' come se ragionassimo in pubblico dei novant'anni di Pietro Ingrao, di che cosa rappresentano, di che cosa rappresenta lui, della sua pasta umana, culturale, politica (credo che gli aggettivi siano disposti in un ordine accettabile, in caso contrario scombinateli…), della differenza con i contemporanei. Sempre di valore, o valori, si tratta, e di senso della realtà. Torniamo a quel 1985, a quella finale maledetta, all'Italia di allora, all'Italia di Craxi, di un po' di Spadolini, della staffetta Pertini-Cossiga, naturalmente sempre di molto Andreotti, di Natta, di Berlusconi "solo" imprenditore di grande successo edil-televisivo. All'Italia di "Quelli della notte" in tv, dell'edonismo reganiano, dei postumi ahimè in fretta dimenticati dell'austerity berlingueriana. E a Platini. Che è successo da allora al calcio ? Si è semplicemente evoluto, è "passato al digitale", "l'offerta si è di molto arricchita", non c'è quasi serata senza calcio in tv ? È vero, questa è una lettura corretta. Ve ne propongo anche un'altra. In vent'anni il calcio è stato emotivamente devitalizzato, imbarbarito nei rapporti da stadio, gonfiato economicamente come un tacchino, sradicato nella sua genuinità giovanile, messo all'incanto fuori dal campo, in tv e nel set paratelevisivo che ha fagocitato la società italiana, alias reality Italia. Emotivamente è stato devitalizzato perché reso merce fino a livelli impensabili di sfruttamento, "come se" si trattasse di qualunque altro prodotto. La specificità passionale è ridotta a variabile dipendente quando non addirittura fastidiosa. Se ne è polverizzata l'autenticità e la "supplenza" culturale (in mancanza d'altro…) in chiave di appartenenza, supplenza che per decenni aveva avuto un ruolo sia pure simulato di "pace sociale", di interclassismo da curva o da tribuna. "Reato" commesso, questo, da parte dei padroni di un calcio di vapore, senza un minimo di consapevolezza per gli effetti collaterali. I rapporti da stadio si sono imbarbariti, aiutati per la scesa dai mezzi di comunicazione e da certa tv e certa radio in particolare, così che gli incidenti sono una costante che non dipende più da una tribuna che crolla. Anzi, il ricordo dell'Heysel da noi (in Inghilterra come sappiamo da allora gli hooligans sono "migliorati") serve a poco più che a consolarsi quando c'è soltanto un morto o due da coltello o caduta da spalti. Si dice: a Bruxelles andò molto peggio. Il tacchino del calcio scoppia, e la bancarotta, gli spalma-debiti, gli aggiustamenti fiscali, la commistione tremenda calcio-borsa in cui due opacità hanno steso una cortina fumogena che copre la squallida realtà, ci dicono banalmente la stessa cosa: pagano sempre i tifosi (oppure pensate che le azioni di una squadra siano equiparate per il tifoso-azionista a quelle, che so, dell'Eni ?). Per lo sradicamento giovanile, per la morte della "gratuità" ludica con relative conseguenze anti-pedagogiche, invito a girare per campi. Sul fatto che il calcio si sia diffuso come un virus mondano senza valori se non l'apparenza, la fama, il denaro, nella realtà televisiva che ci soffoca, beh, aspetto contrordini. Il mito è Totti, e non è certo colpa sua. Ma allora di chi è colpa se la società italiana del 2005, quella che va a votare per le Regionali in questo clima disastrato, è pressoché perfettamente rappresentata da questo quadro calcistico ? Di chi è colpa se rimpiangiamo in vita, la più lunga possibile, persone della qualità di Ingrao in alto come in basso, se confrontando l'Italia di venti anni fa con questa il primo, forte, non facilmente estirpabile pensiero è che siamo andati indietro, che culturalmente stiamo pagando un prezzo altissimo, che politicamente facciamo fatica a ritrovarci in una partita giocata sempre peggio, con norme berlusconiane in evoluzione, con l'arbitro/gli arbitri in palese "sudditanza" non solo psicologica, le tribune a rischio, il gioco latitante, la qualità "tecnica" dei giocatori, e degli spettatori, moralmente assai regredita ? Sembrava un punto di non ritorno, l'Heysel, per un calcio differente, che fosse occasione di investimento emotivo, e quindi sociale, culturale, in definitiva politico più maturo, e foriero di miglioramenti. Per percepire se è andata proprio così, nel calcio reale e figurato, e metafora del resto, misuriamo insieme questi venti anni italiani, guardandoci attorno per vedere se oltre la politica figli e nipoti di Ingrao ci fanno davvero ben sperare e ci caricano di sensazioni positive come ancora invece succede con un appassionato signore di 90 anni.

5 aprile 2005

Fonte: Olivierobeha.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 5.04.2005 

L'EX AVVERSARIO

Grobbelaar: "Platini era un'altra cosa"

di Filippo Maria Ricci

Il portiere dei Reds anni '80: "I bianconeri oggi perdono, ma andranno in semifinale".

LONDRA - Questa sera Bruce Grobbelaar sarà davanti al televisore. A Città del Capo, in Sudafrica. Il Paese dove è nato 47 anni fa, dove risiede e allena. In marzo è stato licenziato dagli Umtata Buch Bucks, cinque mesi dopo che i Manning Rangers avevano fatto la stessa cosa. Due esoneri in una stagione non hanno fatto perdere lo spirito all'ex portiere, 13 anni e 627 partite con il Liverpool. Titoli a profusione e due finali di Coppa dei Campioni. Una chiusa con una danza da clown che fece perdere la testa a Graziani; l'altra con una visita al pullman della Juve per chiedere scusa. "La prima a Roma, una serata magica. Per la città, per lo stadio, per i cori delle tifoserie, per il modo fortunato in cui abbiamo portato a casa la coppa. La seconda, a Bruxelles, un disastro. Prima, durante e dopo. E quando dico dopo mi riferisco a tutti questi vent'anni. Mi è capitato di tornare all'Heysel, che ha cambiato nome. In ricordo di quella tragica serata c'è una targa sul muro. Nient'altro. Dentro, nonostante ci sia una specie di storia dello stadio, nemmeno una riga sui fatti di quella sera. E anche i club avrebbero potuto muoversi prima, organizzare un'amichevole magari anche ogni anno per sostenere le famiglie delle vittime, e non aspettare un sorteggio". Oggi è una serata particolare... "Spero che i tifosi e gli organizzatori abbiano compreso il significato di questa partita. Bisogna ricordare, onorare, pregare per le vittime. Rispettare persone che magari potevano essere in tribuna ad Anfield stasera e non ci sono più". In questi 20 anni, le squadre inglesi, che prima dominavano in Europa, hanno vinto la Champions League una sola volta, nel '99. "La squalifica di cinque anni dopo l'Heysel ha tagliato le gambe al calcio inglese. In Europa i club sono andati avanti, in Inghilterra no. E ora recuperare terreno è meno facile di un tempo". Il suo era un altro Liverpool. "Sì, anche se era un'altra epoca. Al Liverpool di oggi mi sembra manchi un po' di carattere. Bravi giocatori, ma noi avevamo qualcosa in più. Gente come Barnes o Dalglish, per capirsi. E quel portiere un po' matto che voleva fermare il mondo". E la Juventus ? "Discorso simile. Forse sono diventato nostalgico, ma caratteri come Platini e Boniek alla Juve non se ne trovano". In campo che gara si aspetta ? "Liverpool aggressivo, Juve in attesa. I bianconeri hanno più esperienza e cercheranno di sfruttarla". Pronostico ? "Due a zero per il Liverpool ad Anfield, ma la Juve finisce per passare il turno, magari ai rigori".

5 aprile 2005 

Fonte: Il Corriere della Sera

ARTICOLI STAMPA e WEB 5.04.2005 

Platini e Rush portano la bandiera con i nomi dei 39 morti

di Fabio Vergnano

Gli ex hooligan accolgono gli ultrà bianconeri con la scritta "amicizia". il sindaco Roderick crede nel gemellaggio.

Questa volta sarà un festa. Vent'anni dopo tutti hanno voglia di dimenticare di tendere la mano agli "amici italiani". Il ricordo ha il colore del sangue delle 39 vittime dell'Heysel, rosso come la maglia del Liverpool che oggi chiede scusa. Ieri pomeriggio sulla torre di Radio City è salito anche il sindaco Frank Roderick per un primo gemellaggio con gli ospiti. Oggi, assicura il numero uno della città, chi arriverà sulle rive del Mersey troverà soltanto amicizia e ospitalità. Lui sarà il primo a portare il saluto di Liverpool ai tifosi che alle 12 atterreranno all'aeroporto John Lennon. Con il console italiano Nunzia Bertali accoglierà i due voli charter che arriveranno da Malpensa. Quelli che troverà sono i supporter più a rischio, ovvero gli ultrà che nei giorni scorsi si sono rifiutati di mandare messaggi distensivi. La Digos torinese ha spedito in Inghilterra tre dirigenti dall'occhio vigile, loro conoscono uno per uno gli appartenenti ai gruppuscoli più esagitati e aiuteranno la polizia locale. Ma nessuno vuole prendere in considerazione la possibilità che la festa diventi rissa. Spiega il console Bertali: "Sono quindici giorni che lavorano per fare sì che gli italiani si sentano come a casa. Per la città ci saranno decine di volontari con la scritta "Benvenuti" sulla maglietta pronti ad aiutare chiunque abbia bisogno e nel centro la stessa scritta sarà riportata su tabelloni luminosi". Saranno duemila i tifosi bianconeri. A quelli in arrivo con due charter si aggiungeranno coloro che hanno scelto il viaggio individuale e i residenti nel Regno Unito. Proprio i rappresentanti dello Juventus club Londra prenderanno parte alla sfida calcistica che il Liverpool ha voluto fosse giocata all'Accademy, nel centro sportivo giovanile del club anziché in un parco cittadino. L'ha organizzata Richard Buxton un lungagnone sottile come un grissino e con il viso pieno di brufoli che nel 1985 era ancora appiccicato al seno materno. Anche lui fa parte dei Kop, i Drughi di quassù, ma ha l'aria di un giocherellone che non lancerebbe neppure una fialetta puzzolente. Ad Anfield, tempio dei Reds, si terrà poi il clou delle celebrazioni. Saranno distribuite sciarpe metà rosse e metà bianconere con al centro due mani che si stringono, mentre braccialetti con la scritta "friendship" saranno al polso di giocatori e spettatori. Prima del minuto di raccoglimento e prima che venga esposta una scritta "Amicizia" grande quanto una gradinata, Platini e Rush porteranno a centrocampo un bandierone con i nomi dei 39 morti di Bruxelles. Ci sarà anche Phil Neal in tribuna, il capitano di allora, che non ha capito fino in fondo lo spirito della giornata. A un giornalista del quotidiano "Observer" che gli ha chiesto un'intervista ha risposto: "Va bene, ma quanto mi date ? Guadagni soltanto tu, non voglio contribuire al pagamento del mutuo di casa tua". Quindi gli Animals, con qualche eccezione, non abitano più qui. Lo devono capire anche i ragazzi della Scirea, molti dei quali all'Heysel non c'erano, che hanno come motto "Amici di nessuno". Les Lawson, segretario dell'organizzazione che riunisce il grosso dei fans della squadra di Benitez, spiega: "I tifosi sono cambiati in Inghilterra, il problema hooligans è risolto. Le violenze di vent'anni fa furono così terribili che molta gente non ha più voluto entrare in uno stadio. Vorrei dire agli amici bianconeri che neppure noi abbiamo dimenticato e che comprendiamo il loro stato d'animo. Nel 1989 morirono 96 dei nostri calpestati dalla folla durante una semifinale di FA CUP con il Nottingham. I tifosi dei Reds hanno anche vinto il trofeo Fair Play dell'Uefa e questo significa che tutto è mutato". Nell'opuscolo che verrà distribuito in lingua italiana fra l'altro c'è scritto: "Non camminerete mai soli".

5 aprile 2005 

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA e WEB 5.04.2005 

Qua la mano e vinca il migliore

di Roberto Beccantini

Era ora che Liverpool-Juventus tornasse a essere, semplicemente, la grande partita che una tragedia si portò via. Sono passati vent'anni, e il destino ci offre l'opportunità di trasformare una ferita aperta, che Boniperti non seppe chiudere, in un inno all'amicizia ritrovata, come sottolineato a più riprese da Michel Platini. Nell'impossibilità di attenuare il dolore dei parenti delle vittime, non ci resta altro: e non è poco. Dalle mattanze dell'Heysel e di Hillsborough, gli inglesi trovarono la forza per ripulire i propri stadi. Noi, viceversa, abbiamo fatto le cose a metà, disperdendo il messaggio, drammaticamente enorme, della lezione. This is Anfield. Questo è Anfield. Sta scritto sopra la porta che da sul campo. Verrebbe da dire: lasciate ogni speranza o voi che entrate. Invece no. Il Liverpool non è più, da tempo, "quel" Liverpool; la Juventus, al contrario, è sempre la Juventus. Il primo ruggito di Anfield ce lo consegnò a domicilio la televisione, quarant'anni fa: Liverpool-Inter, immagini rigorosamente in bianco e nero. Ci sono arene che hanno un'anima, e quella dei reds ce l'ha di sicuro. Se il fattore ambiente è diventato un valore aggiunto, lo dobbiamo in larga parte alla tradizione britannica. Da solo, però, non basta. Lo sa Benitez, se lo augura Capello. Al Liverpool mancano fior di titolari, la Juve è ferma dal 19 marzo e recupera Nedved: quale e quanto, lo impareremo strada facendo. La sfida si profila aspra, molto girerà attorno a Gerrard ed Emerson. Il meglio di sé, il Liverpool tende a fornirlo dalla cintola in su; la Juve, dalla cintola in giù. Gli obiettivi plausibili ricalcano le esigenze manifeste: non prendere gol, realizzarne almeno uno. Prepariamoci a una serata di canti struggenti e ruvidi tackle. Sono partite, queste, che tutti i ragazzi sognano di giocare. Chi c'è, non sprechi l'occasione: penso a Del Piero, a quel sinistro precipizio che lo inghiotte, inesorabile, ogni volta che la contesa sale di livello. Non è escluso che la tensione del risultato condizioni la qualità dello spettacolo. Liverpool-Juventus trascende l'aspetto squisitamente tattico e tecnico. Nel suo "bagaglio" si nascondono troppi ricordi, troppi lutti. E la retorica, almeno in questo caso, non c'entra niente. Siamo così pigri e distratti che ci voleva un sorteggio, banale e casuale come tutti i frullar di palline, per risvegliare la nostra memoria. You'll never walk alone, non camminerete mai soli. E' l'inno dei tifosi del Liverpool. Qua la mano - a nome di tutti, spero - e vinca il migliore.

5 aprile 2005 

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA e WEB 5.04.2005 

La strage dell'Heysel è sempre qui gli inglesi cercano il perdono

di Maurizio Crosetti

LIVERPOOL - Bambini con un pallone, questo erano. Del Piero aveva undici anni, Trezeguet otto, Buffon sette, Ibrahimovic quattro. "Eravamo a casa di amici, davanti alla tivù, io e la mia famiglia. Poi accadde quella cosa e mio padre capì al volo. Allora mi disse di andare in cortile a giocare a calcio". Alessandro Del Piero sa che adesso si tratterebbe di fare lo stesso, anche se è cambiato il cortile. "Ci serve una vera partita, e che sia vera più di ogni altra, così che l'Heysel rimanga un brutto ricordo e un capitolo da chiudere". Mica facile. E chissà se poi è giusto. Superare, ricordare, onorare, chiudere il conto, ognuno in queste ore sta scegliendo il verbo che più gli piace, ma sempre di infinito presente si tratta. "Io quella sera facevo il telecronista, e Juve-Liverpool me la ricordo bene" dice Fabio Capello. Sa quanto fosse difficile trovare le parole giuste per raccontare l'impossibile, e anche oggi non è facilissimo: "Ma io mi sento onorato di essere l'allenatore della Juventus che ritrova il Liverpool. Bisogna ricordare nella sportività quel dramma, perché appunto rimanga solo un triste ricordo. Giocare la partita è l'unica soluzione". Se non si è parenti delle vittime, o testimoni oculari di quella notte spaventosa, vent'anni sembrano un tempo enorme. Per farlo diventare ancora più lungo e remoto, per provare finalmente a superarlo o liquidarlo, Liverpool e Juventus si sono buttate sull'oggettistica. C'è il braccialetto di gomma a tre colori, bianco, nero e rosso, sulla scia di una moda umanitaria cavalcata alla grande dagli sponsor. Stasera verrà consegnato a tutti i tifosi (duemila gli italiani), anche se ai polsi degli inglesi - vent'anni fa - sarebbero state meglio un paio di manette invece del cerchietto buonista. C'è la borsa-regalo per i giornalisti, con altre cose che provano a scrivere la parola "fine" sotto l'ultima pagina della storia: la sciarpa con due mani che si stringono, metà juventina e metà rossa, la maglietta con le scritte "amicizia e memoria" e il motto "non camminerai mai da solo", l'opuscolo firmato da Ian Rush, doppio ex come doppia è la maglia che indossa nel fotomontaggio, un po' Juve e un po' Liverpool, e sul retro due parole scritte in grande: "Ci dispiace". Si dice anche quando si versa il latte, o quando si pesta il piede del vicino in autobus. Ne abbiamo ammazzati trentanove, scusate, ci dispiace. "Può essere una sera difficilissima, a livello psicologico" ammette Del Piero. "Se andiamo in campo con i ricordi e la tristezza, e con la morte del Papa nel cuore, ecco, tutto questo può bloccarci. Se invece proviamo a pensare solo alla partita, io dico che ce la facciamo". Emozioni, rimozioni, il confine è sempre incerto, più sottile di una riga a matita. Ma se il calendario della Champions League ha inventato questa scocciatura di anniversario, nel ventennale tondo tondo, bisogna almeno provare a non far finta di niente. E quelle che Otello Lorentini, presidente dei parenti delle vittime, chiama senza giri di parole "cazzate", diventano oggi il calendario commemorativo di una tragedia. Ore 13, partitella amichevole tra tifosi inglesi e italiani sul campo dell'Academy, di fianco allo stadio Anfield Road, e chi è senza pietra scagli il primo peccato. Ore 19, sfilata sul prato di Anfield con lo striscione con i nomi dei morti: lo porteranno Neal (il capitano dei Reds nell'85) e Michel Platini, da una curva all'altra, mentre il settore più cattivo del Liverpool, quello che fece germogliare il peggio degli hooligans, il famigerato Kop, formerà un mosaico agitando tessere per comporre la parola amicizia. Ancora da definire il programma per la gara di ritorno, anche se qualche gruppo estremo del tifo bianconero un'ideuzza ce l'ha. "City says benvenuti Juventus" balbetta in italo-inglese un titolo del giornale Liverpool Echo, anche lui orientato verso qualche ora di bontà da spalmare su vent'anni di ipocrisia e silenzio. Poi l'arbitro (un Belga !) fischia, e il primo che mena fa solo del sano agonismo, perché il calcio non è mica uno sport per signorine, e se un giocatore del Liverpool finisce a terra si canterà "devi morire", perbacco. Sarebbe stato meglio evitare per altri cinquant'anni, magari per sempre, ma le palline di un sorteggio non l'hanno permesso. E allora bisogna rispondere alle domande con un certo fastidio, come ieri ha fatto Rafa Benitez, allenatore dei rossi: "Dell'Heysel si è parlato tanto, tantissimo, e comunque questa è solo una partita di calcio". Beato lui che ci crede, forse perché quella volta non c'era. Non c'erano neanche i gentili addetti dello stadio che offrono tè e biscotti prima della conferenza stampa, e tengono aperte le porte per farti passare, ed è tutto un inchino e un sorriso. Sorridere, aspettare, giocare, chiedere scusa, dimenticare. Ma a volte il passato continua all'infinito.

5 aprile 2005 

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI STAMPA e WEB 5.04.2005 

Quelle famiglie inermi contro il branco di lupi

La parola hooligan la imparammo quella sera del 1985. Ma non erano solo "teppisti" quegli uomini secchi a torso nudo e la pancia gonfia di birra, dai visi rossi e gli occhi piccoli e acuti: erano lupi, agili e veloci a colpire nei vicoli di Bruxelles prima e nella curva Z dell'Heysel nel pomeriggio. Quella distesa di cemento era piena di gente tranquilla, il loro bel pollaio da spennare. La strage dell'Heysel fu un'orgia di sangue: colpì gente normale, persone che erano arrivate a Bruxelles con le borse per il maglione e i panini, operai con i propri figli partiti dal Piemonte o dalla Toscana che si erano regalati la finale di Coppa dei Campioni, anziani da sempre con la passionaccia per la Juve, gente che non aveva mai tirato un pugno in uno stadio, al massimo fischiato e tirato improperi contro l'arbitro. Morirono proprio per questo, perché una persona normale davanti ai lupi fugge. Furono colpiti, bersagliati e quando gli hooligans sfondarono quell'assurda e ridicola rete finirono con lo schiacciarsi, calpestarsi, soffocarsi, uccidersi. Se avessero reagito, se avessero affrontato i coltelli degli hooligans, questa è l'incredibile verità, forse sarebbe finita diversamente. "Babbo reggi le borse, io prendo il bimbo", morirono così. Abbiamo visto tante e tante volte in tv la strage dell'Heysel da dentro lo stadio, meno da fuori. Nelle foto inedite in alto c'è tutta l'allucinazione di quella sera: i cadaveri erano gettati dove capitava, tutti chiedevano aiuto, non si riusciva nemmeno a capire chi era ancora vivo e chi no, si dava una mano a chi urlava. E per farlo bisognava scavalcare qualcuno coperto dalla bandiera bianconera: erano le uniche lenzuola disponibili. Chi ha visto quelle cose e sentito quelle frasi, ha brividi di diffidenza quando sente parlare di stadi civili e senza barriere, quando sente dire che gli hooligans non esistono più, imparato a camminare rapido e con gli occhi dietro la nuca quando si va alla partita. (f.bo.)

5 aprile 2005 

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI STAMPA e WEB 5.04.2005 

Il cuore oltre l’Heysel

di Alessandro Giuli e di Marco Palombi

Stasera Liverpool contro Juventus, una partita caricata a molla per vent’anni.

"Ladies and gentlemen: the hooligans". Scritto in caratteri rossoneri su uno striscione di carta bianco, è il benvenuto riservato da una curva nemica ai tifosi della Juventus giunti in trasferta per assistere a una partita del campionato di calcio italiano 1986-87. Sono trascorsi pochi mesi dall’inferno dell’Heysel: 39 morti di cui 36 bianconeri ammazzati per soffocamento e violenze non ancora del tutto chiarite in una sera primaverile dentro lo stadio di Bruxelles. Era il 29 maggio 1985, finale di Coppa dei Campioni: Juventus contro Liverpool. Altri nemici avevano mostrato più tempismo perché già il 31 maggio alcuni muri delle periferie italiane erano imbrattati con scritte dalla firma e dal contenuto non equivocabile: "Minime dall’estero: Bruxelles –36". Oppure "Juve 1 Liverpool 36". Altri tifosi di altre curve d’Italia intonarono cori o coniarono slogan simili. In Italia, la Juventus è la squadra di calcio con il più alto numero di scudetti in bacheca e più tifosi al seguito.  Quelli che non tifano Juve generalmente la odiano senza riserve e a volte senza pietà. Preso uno a uno, adesso, è difficile trovare un anti juventino che sottoscriverebbe certe scelleratezze. Ma fino a ieri nelle curve ostili ai cosiddetti "gobbi" era ancora molto in voga una filastrocca tetra costruita sulla musica d’una canzone di Vasco Rossi: "Cosa succede, cosa succede a Bruxelles / son trentanove, sì, i morti dell’Heysel / guarda lì guarda là che cimitero / guarda lì guarda là è tutto bianconero". Ladies and gentlemen: Juventus-Liverpool. Quarti di finale di Champions League. Questa sera, in casa dei Reds, a vent’anni dall’Heysel. Le due società di calcio sono amiche. I tifosi inglesi si preparano a commemorare la strage del 1985 innalzando stendardi con i colori dei loro avversari, striscioni di benvenuto. Addirittura l’organizzazione d’una partita di calcio tra rappresentanze di supporter rivali. Segnali di pace che in verità si ripetono da due decenni. I Reds sono cambiati, assicurano. Estirpato ogni residuo di teppismo perfino dalla curva Kop dell’Anfield Road, la terrazza degli ultras così chiamata in ricordo dell’omonima collinetta sudafricana per conquistare la quale nel 1909, durante la guerra contro i boeri, l’esercito inglese sacrificò un reggimento composto da centinaia dei suoi migliori soldati di Liverpool. Dopo l’Heysel il calcio inglese è cambiato. Le squadre d’oltremanica si sono prese cinque anni di squalifica e il governo di Margaret Thatcher ha preteso di sradicare il male. Nell’86 è stata approvata la prima legge sul calcio - il "Public Order Act" - a cui sono seguiti altri sette pacchetti legislativi anti-hooligans. L’ultimo è dell’agosto 2000, nato all’indomani delle violenze elargite dagli inglesi agli Europei in Belgio e Olanda: il "Football (Disorder) Act" grazie al quale la polizia può togliere il passaporto a un sospetto hooligan prima di una gara internazionale. Nell’86 la polizia ha preso a tappezzare di telecamere stadi e dintorni, identificando i violenti, pubblicandone le foto sui giornali e, soprattutto, mettendoli in galera per lunghi periodi quando venivano arrestati. Ha funzionato: da anni l’Inghilterra guida la classifica delle presenze allo stadio per la massima serie. Gli impianti britannici in questi anni sono stati pieni ben oltre il 90 per cento della loro capienza, per un quinto di donne.

AL BAR DEI FIGHTERS, SILENZIO - Al bar dei Fighters, il Black&White di Torino, nei giorni scorsi nessuno ha voluto parlare con i giornalisti. Il gruppo storico degli ultras juventini ha riunito appositamente il suo direttivo per discutere delle troppe richieste d’interviste, testimonianze, rivelazioni reclamate dalla stampa. Niente. Non si fidano. Adesso sono quasi tutti a Liverpool. Quasi perché molti di loro, con altri ultras di altri gruppi della ex curva Filadelfia, oggi chiamata Scirea, sono stati diffidati per via degli scontri con i tifosi del Parma scoppiati al Tardini qualche mese fa. I più grandi la memoria dei Reds e di quella notte dell’85 non l’hanno persa. Ma rievocarla pubblicamente neanche a pensarci. L’anagrafe dice che anche a Torino le cose sono cambiate. La maggior parte dei bianconeri giovani e la parte influente dei veterani non coltiva desideri di vendetta. Meno che mai a Liverpool dove anche volendo far casino nulla è più possibile per via della supremazia scientifica della polizia britannica. Tutti sanno però che a Torino, nella gara di ritorno, può essere diverso. Non sarà impossibile arrivare a contatto con i Reds. Anche con quelli oggi addomesticati e non violenti, se è vero che per forza di cose fra loro si nasconderà qualcuno presente a Bruxelles quella maledetta sera di vent’anni fa. Ciò che i gruppi organizzati bianconeri non espongono in pubblico è argomento di dibattito nei cosiddetti "muri" dei loro siti internet. Spazi aperti in cui si mescolano ricordi e timori e rancori. In una di queste improvvisate curve telematiche c’è uno che si firma Buong1980 e scrive: "Sono fermamente contrario a ogni forma di violenza gratuita, ma è anche vero che questa forma di reazione, primitiva quanto si vuole, fa parte dell’essere umano. La verità è che tanti di noi sono caricati a molla e da troppo tempo aspettano questa partita per gridare in faccia agli orridi rossi una rabbia che non si è mai sopita. Pensate forse che da Liverpool scenderanno agnellini con il capo cosparso di cenere ? Perché non vi fate un giro sulle rive del Mersey ? Entrate nei pub dove si ritrovano e sentirete che si stanno preparando per quello che reputano un gran divertimento". Gianluca70 aggiunge su un altro muro: "Sputate in faccia a chi vi parla di pacificazione, di gemellaggio, di perdono. Voi perdonereste chi ha ucciso in modo vigliacco vostro padre o vostra sorella ? Se la risposta è sì, mi chiedo che cazzo di uomini, prima che tifosi, siete ! Solo la Juve". Un Gennaro replica: "Io non ricordo per quanto tempo ho avuto gli incubi nei mesi successivi all’Heysel. Sono per la non violenza ma spero che non facciano nessuna provocazione altrimenti molta gente tranquilla come me potrebbe trasformarsi. Forza Juve". Un anonimo aggiunge: "Scusate ma come cazzo fate a dire che gli inglesi che verranno a Torino non sono gli stessi che erano a Bruxelles ? Io vent’anni fa c’ero. Non vedo perché non debbano esserci anche loro". Gli ultras confessano fra di loro d’aver ricevuto qualche richiesta da parte di colleghi "turisti della violenza". Parlano di "messaggi da parte di ultras italiani che, a titolo personale, hanno espresso il desiderio di essere a Torino quando si giocherà il ritorno".

L’ARTE DI CONQUISTARE, CARICANDO - Vent’anni fa a Liverpool era un’altra storia. La stessa memoria scolorita dei Beatles, le stesse fabbriche di oggi, il cielo scuro, il porto sul fiume Mersey, i quartieri degradati della working class e le Trade Union piegate dalla donna che un giorno metterà sotto il tacco anche gli hooligans, Margaret Thatcher. Nel bacino industriale d’Inghilterra, tra Liverpool e Manchester, in quegli anni la precarizzazione del lavoro imposta dal governo conservatore non aveva ancora prodotto l’economia più dinamica d’Europa. Aveva semmai inaugurato nuove povertà e rinnovato vecchie incazzature. Ma ad allietare i pomeriggi sul fiume Mersey c’erano i calciatori e i racconti delle battaglie ingaggiate dai tifosi con gli altri hooligans inglesi o in giro per il continente. Perché allora, siamo nei promettenti anni 80, i Reds dominavano in patria e all’estero, sui campi di gioco e sugli spalti. Da poco tempo, poi, nelle curve degli stadi britannici aveva trovato casa un ribellismo pazzoide devoto al "take the end", ovvero l’arte di conquistare caricando in massa il settore occupato dalla tifoseria avversaria. Non si trattava di battaglie d’avanguardia, ma di scontri rugbistici in cui essenziali erano i centimetri di terra che si riuscivano a strappare al nemico e i danni inflitti a corpi e tribune. Non mancavano neanche i coltelli: alcuni tifosi londinesi del Chelsea erano famosi per condurre assalti armati coi bisturi, altri dell’Everton, noti come "gli sfregiatori", non si recavano mai allo stadio senza avere in tasca le lame Stanley. Gli hooligans del Liverpool non passavano per delinquenti troppo raffinati. Forti del gran numero di supporter in mezzo ai quali potevano mescolarsi durante le trasferte, quando non era in questione lo scontro con gli avversari per lo più si dedicavano al teppismo spicciolo, praticato se possibile da sbronzi. Vetrine sfasciate, negozi saccheggiati e negozianti malmenati. Il 6 marzo 1985, a Vienna per l’andata dei quarti di Coppa campioni, avevano svaligiato due gioiellerie, una in periferia l’altra in pieno centro. Bottino: 270 milioni di vecchie lire.

LO STADIO INSOPPORTABILMENTE OBSOLETO - La Juventus arrivò alla finale di Bruxelles rilassata quanto i suoi tifosi, dopo sette giorni di ritiro vicino al lago di Ginevra, in uno dei quali a giocatori e dirigenti capitò pure d’essere trasportati in torpedone fino alla residenza dei Savoia per stringere uno alla volta la manina bianchissima di un ragazzino in giacca blu col colletto alla coreana e i capelli biondi pettinati da una parte: Emanuele Filiberto (ci guadagnarono una foto autografata dell’allora esule principino). L’appuntamento con la prima Coppa dei campioni della storia bianconera era per le 20.30 di quel mercoledì 29 maggio. L’Heysel, un tempo giudicato assai bello, nell’85 era insopportabilmente obsoleto: capace di 60 mila spettatori, tribune e distinti completamente coperti al contrario delle due curve in terra battuta con gradini sorretti da pietre malferme che costringevano gli spettatori a stare in piedi. Intorno al prato, la pista d’atletica. Lo stadio di Bruxelles era alla sua quarta finale: nella prima, quella del 1958, gli spettatori avevano visto per la prima volta proiettati sul terreno i riflessi notturni di diamante provenienti dall’Atomium, la struttura a palle d’acciaio creata per l’Esposizione universale. Franco è un imprenditore torinese di 42 anni. Vent’anni fa, ragazzino, partì per Bruxelles con suo padre e alcuni amici in pullman, in tasca il biglietto del settore riservato al tifo organizzato bianconero. "La giornata era stata piacevole. Arrivati in mattinata, abbiamo girovagato per ore nel parco accanto all’Heysel. Tra italiani e inglesi non c’erano problemi, si familiarizzava. Ma quando i belgi aprirono lo stadio, saranno state le 17, cominciarono i problemi. La calca iniziale si creò lungo una rete metallica da pollaio antistante i due soli e minuscoli cancelli dai quali i poliziotti pretendevano di far passare uno alla volta migliaia di tifosi della Juve. La rete crollò presto mentre i cavalli della gendarmeria, imbizzarriti, scalciavano in mezzo alla folla e provocavano i primi feriti trasportati in ospedale con la mandibola fratturata". Franco è stato tra i primi bianconeri a entrare, "sconcertato dal fatto che i tifosi del Liverpool fossero già per la gran parte nella curva opposta alla nostra, come se nessuno li avesse messi in fila e perquisiti". Nel settore contiguo a quello occupato dai Reds, il settore Zeta, cominciavano ad affluire i sostenitori della Juventus partiti da Torino senza biglietto. Quelli che il biglietto l’avevano acquistato direttamente allo stadio, magari dai bagarini. Tifosi comunissimi, che sarebbero entrati a sedere dove capitava, lontano dagli ultras bianconeri, in mezzo a chiunque. Per vedere la partita. Così hanno fatto.

ARTICOLI CORRELATI - Che cosa resta dell'Heysel, trent'anni dopo. Prima del viaggio per Bruxelles i tifosi perbene del Liverpool, la maggioranza, avevano nominato alcuni delegati speciali che collaborassero con la polizia belga per isolare i teppisti. Un tifoso buono ogni 50 che partisse con gli altri e s’aggirasse poi per la città con abiti color arancione e la scritta "steward" sulla schiena. Nella notte tra il 27 e il 28 maggio i primi insuccessi: gli hooligans del Liverpool in viaggio per l’Heysel aggrediscono, picchiano e derubano un abitante di Ostenda, nel Langesraat. Episodi minuti di delinquenza si moltiplicano a Bruxelles quando la massa dei tifosi inglesi occupa la Grand-Place e lì stabilisce il proprio accampamento. Il 29 maggio al centro di Bruxelles va in scena un mondo diverso da quello sereno visto nel parco accanto all’Heysel. In pieno centro della città, nel primo pomeriggio, ore 15 e 40, c’è un inglese che agonizza in terra. Accoltellato, morirà in ospedale ventiquattr’ore dopo. E’ successo che in questo quartier generale messo su dai britannici nella Grand-Place sono transitati gli autobus italiani diretti allo stadio. Dall’accampamento dei Reds sono volati insulti e bottiglie di birra contro i bus degli Juve Club, quelli delle famiglie, dei tifosi normali. Fin qui solo paura. Con gli ultras bianconeri non è andata così. Loro hanno fermato l’autobus, sono scesi, hanno picchiato. Qualcuno ha tirato fuori i coltelli. Nel frattempo ci si scontrava vicino alla Gare du Nord, nei pressi del quartiere a luci rosse e per le vie intorno al centro. Qualche hooligans ha trovato pure il tempo per la tradizionale rapina alla gioielleria, quella in rue au Beurre. E dire che nonostante qualche incidente episodico a Torino durante gli Europei del 1980, la curva juventina si era spesso distinta per un atteggiamento filo-inglese. In quel periodo uno dei capi dei Fighters, con la fissa del tifo british, aveva tentato di trasformare la Filadelfia in una sorta di stand da squadra britannica: niente coreografie straccione né tamburi, solo cori e battimani. Per di più, con quelli del Liverpool gli juventini erano quasi amici. Il 16 maggio dell’84, a Basilea, in occasione della finale vittoriosa di Coppa delle coppe, i tifosi di Torino avevano dedicato l’ultimo coro, si dice il più imponente, ai Reds che un paio di settimane dopo sarebbero andati a giocarsi la Coppa dei campioni a Roma contro l’odiata (dai bianconeri) Roma di Dino Viola. Si sa come finì: il Liverpool vinse ai rigori, i tifosi inglesi le presero in tutti i modi, coi sassi e coi coltelli e, prima e dopo la partita, per le vie della capitale fu caccia al suddito di Sua Maestà. Uno lo beccarono da solo vicino a un pub del centro e lo accoltellarono più volte: uscì dall’ospedale solo dopo qualche settimana passata tra la vita e la morte. Gli inglesi giurarono vendetta. E un assaggio di vendetta qualcuno se l’aspettava già nel gennaio dell’85, quando Juventus e Liverpool si sono incontrate a Torino per la Supercoppa europea: gara secca, 2 a 0 per gli italiani (doppio Boniek). Ma sugli spalti e fuori dal Comunale nulla o quasi di spiacevole.

GLI ASSALTI, CINQUE - Il mattatoio di Bruxelles apre intorno alle 19. I poliziotti belgi che hanno appena abbandonato i cancelli dello stadio si schierano nel prato, attorno al campo ce ne sono altri 60. A far da muro nel settore Z, tra hooligans e tifosi bianconeri, una decina di agenti che si dissolveranno all’inizio del casino. Nel tramonto di Bruxelles il cielo è arancione e le maglie rosse dei tifosi inglesi pronti all’assalto paiono il veloce crepitio di un legno secco dentro un falò. La prima ondata, violentissima e allo stesso tempo armonica, sembra quasi portata dal vento: annunciati da un paio di fumogeni, nell’aria adesso volano bottiglie, bastoni, spranghe di ferro e qualche mattone. Gli assalti, cinque, si susseguono con cadenza ipnotica dal settore Y allo Z, dal punto più lontano a quello più vicino alla tribuna centrale, spandendosi come una "ola" allucinata. Gli incursori, secondo i testimoni, non sono più d’un centinaio: pochi i veri membri della Kop, che se ne stanno acquartierati in un settore a qualche decina di metri. Sono quasi tutti hooligans della nazionale inglese, di Liverpool ma anche di Londra e Newcastle. Qualche skinheads, forse. La Pravda, citando testimoni oculari, scriverà di neofascisti del National Front che guidano l’attacco. Questi dirigono con esperienza, gli altri seguono senza metodo, ebbri d’alcol e di rabbia, eccitati dalla cedevolezza degli juventini, non ultras appunto, tifosi dell’ultimo minuto, cani sciolti, padri e figli insieme, come i Casula che stanno per finire stesi l’uno accanto all’altro sul piazzale dello stadio. Si va avanti così già da qualche minuto: carica dei reds, breve ritirata, la polizia inerme.  Bianconeri in fuga. Quelli che cercano la fuga addossati al muretto alla base del settore Z sono troppi. Il muretto crolla e loro cadono per 15 metri, altri continuano a correre e altri ne cadono. Altri ancora continuano a fuggire e si calpestano l’un l’altro prima che a passeggiare sulla testa dei caduti siano gli hooligans. Molti si mettono in salvo e racconteranno. Quelli rimasti a terra finiscono soffocati, schiacciati o carne straziata dalla rete di recinzione in ferro. Allo stadio arriva la macchina dell’avvocato Agnelli. Con lui ci sono Henry Kissinger e Jacques Delors. Gli dicono quello che è successo. Se ne va. Suo figlio Edoardo invece sta in mezzo al prato, stordito a guardare i cadaveri, il volto senza espressione. Lo caccia via il presidente della squadra, Giampiero Boniperti, urlandogli di togliersi dalle palle, di andarsene negli spogliatoi. Il primo ferito entra nell’infermeria dello stadio alle 19 e 17: ha la maglia numero 9 di Paolo Rossi e un taglio profondo sopra l’occhio destro. Dopo 13 minuti nei sotterranei di spazio non ce n’è più. Morti e feriti stanno stesi appena fuori dall’impianto, davanti alle tribune D e F: i medici usano le transenne come barelle, improvvisano tracheotomie (e sui segni nella gola delle vittime sta per nascere la leggenda dei tifosi juventini sgozzati dagli hooligans con le bottiglie rotte o con rasoi). Tra le prime salme a essere portate via quelle di due bambini, poi due adulti con la gola aperta.  Moriranno pure due francesi: Jacques François, quarantacinquenne impiegato delle poste nella regione di Lille, e Claude Robert, di 27 anni, ferroviere della Loira.

"UNA SITUAZIONE PARADOSSALE" - Dall’altra parte dello stadio, nel settore degli ultras della Juve, i Fighters e quelli della Gioventù bianconera si buttano in campo sorvegliati da una schiera di poliziotti a cavallo. "C’era questa situazione paradossale", ricorda l’imprenditore Franco: "C’è stato un momento in cui i nostri tentavano di far capire ai poliziotti che bisognava guardare quel che succedeva dall’altra parte e quelli non si voltavano nemmeno. La verità è che, per la polizia, eravamo noi, gli italiani, i delinquenti da reprimere". Tra gli juventini ancora sono pochi a sapere che cos’è successo (Franco lo scoprirà una volta risalito sul pullman), ma qualcuno dalla Z riesce a raggiungere gli ultras e riferisce. Scatta la reazione. I Fighters e gli altri invadono cercando lo scontro, ne fanno le spese i tifosi inglesi che si trovano tra loro e i gruppi organizzati del Liverpool. Alcune foto ritraggono una decina di ultras bianconeri, spranghe in mano, a due metri dalle reti di recinzione. Ma la Kop, che aveva solo assistito al massacro, rifiuta di scontrarsi e ignora platealmente le provocazioni. Nemmeno quando gli juventini espongono uno striscione con su scritto "Reds animals" (a dimostrazione che la tentazione di misurarsi con i maestri britannici l’hanno avuta eccome). E’ a questo punto che Umberto Salussoglia, studente torinese di 22 anni, tira fuori la sua scacciacani ed esplode qualche colpo in direzione dei tifosi inglesi (lo arresteranno grazie a un filmato della Itv). Intanto i Fighters arretrano sotto la carica della polizia a cavallo belga. Passa un’ora e la voce irriconoscibile di Gaetano Scirea, il capitano, annuncia che la partita si giocherà "per consentire alle forze dell’ordine di organizzare l’evacuazione del terreno". Quando inizia la gara, alle 21 e 41, c’è sangue intorno al campo e sulla pista di atletica e poliziotti a cavallo che roteano i manganelli e una fila di agenti che separa le due tifoserie nel settore Z, irriconoscibile come dopo un attentato. In sala stampa i giornalisti chiamano a casa le famiglie dei sopravvissuti per tranquillizzarle. Sugli spalti c’è Gianni Brera: "Poiché si gioca, mi tocca guardare". "Quando al circo muore il trapezista, entrano i clown" (Michel Platini).

PER LA CRONACA - C’è chi come Boniperti dice che fu una partita vera. Per la cronaca la Juve segnò al 57° su un rigore inesistente fischiato dall’arbitro svizzero Daina: Zibi Boniek fu atterrato nettamente fuori area. Segnò Platini e il risultato non si mosse più. Il 29 maggio 1985 la Juventus vinse la sua prima Coppa dei campioni, giocatori e buona parte del pubblico esultarono ignari dei fatti. All’aeroporto di Torino, il giorno dopo, Sergio Brio scese dall’aereo sventolando il trofeo, ma per gli ultras bianconeri niente è stato vinto nella notte dell’Heysel: semplicemente non è un successo nulla di cui ci si possa vantare. La prima occasione di vendetta per gli juventini capitò ai Mondiali del ’90 in Italia. Gli inglesi furono aggrediti ovunque li avessero confinati gli organizzatori: in Sardegna (dove le sezioni locali di ultras bianconeri hanno un certo peso), a Bologna e, infine, a Torino. Gli hooligans erano accampati al parco del Valentino, uno spazio verde abbastanza centrale. Nonostante lo schieramento notevole di forze dell’ordine, un centinaio di ultras - in parte anche torinisti, caso eccezionale - attaccarono le tende degli inglesi con le molotov in piena notte, inseguirono quelli che scappavano e i più lenti finirono accoltellati. Da allora in poi è stata sempre dura per i tifosi inglesi che si sono trovati a passare da Torino, una delle poche città al mondo in cui perfino i tifosi del Manchester, se vogliono farsi una passeggiata, nascondono sciarpe, magliette e bandiere e fanno i turisti. Ma non c’è soltanto Torino nella geografia della vendetta in bianconero: anche nelle più recenti partite giocate dal Liverpool contro la Roma, gli ultras bianconeri della capitale hanno organizzato la caccia all’inglese per i pub del centro.  C’è un ultimo evento fondamentale nell’elaborazione del lutto juventina: prima della semifinale di Coppa d’Inghilterra del 1989 a Sheffield, dopo una carica, oltre 90 tifosi del Liverpool muoiono schiacciati contro le recinzioni che impediscono al pubblico l’accesso al campo. Quelle recinzioni imposte per legge dalla Thatcher proprio dopo i fatti dell’Heysel. A molti juventini è sembrata una vendetta divina, sintetizzata in uno striscione apparso giorni dopo in curva Filadelfia: "Caduti di Bruxelles, Sheffield vi ha reso giustizia".

"NON ME LA SCORDERÒ MAI" - Dice ancora Franco: "Io ricordo ancora oggi benissimo quella serata, non me la scorderò mai. Mi ricordo piazza Castello piena al ritorno. Se la partita di stasera mi provoca particolari emozioni ? Direi di no. Può essere però un’occasione buona per riparlare di quella notte lì". Nel forum telematico degli ultras juventini è stato da poco scoperto un deficiente italiano che istiga alla violenza firmandosi LFC (Liverpool Football Club).  Scriveva cose incommentabili tipo "We will kill you. We killed you and we will do it again".  Cose sempre incommentabili e sgangherate tipo "Heysel 1985: 39 italians dead halleluyah !  We are animals and we will fucking kill you again. We’re gonna take no prisoners". Ad accorgersi che si trattava di un demente, nella migliore delle ipotesi, sono stati anche quelli del Liverpool. Che hanno corretto in un inglese credibile e traducibile così: "Non vogliamo altri guai, vogliamo che venga giocata una partita corretta e nel giusto spirito. Vi accoglieremo cordialmente all’Anfield e vi preghiamo di fare lo stesso con noi a Torino. Onoreremo coloro che persero la vita vent’anni fa. E vi elimineremo lealmente dalla Champions".

5 Aprile 2005

Fonte: Ilfoglio.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 5.04.2005 

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