I
tifosi dell'Heysel ripartono da "memoria e amicizia"
di Filippo Maria Ricci
Nel pomeriggio un'amichevole.
Prima della gara uno striscione con le due parole di pace
attraverserà il campo. Il padre di una vittima: "Sono solo gesti
formali. Meglio una partita per beneficenza". A condurre la
marcia da una curva all'altra sarà l'ex capitano dei Reds Phil
Neal.
LONDRA - Memoria e amicizia. Quella di
martedì sera ad Anfield per gli inglesi non è una partita come
le altre. E non solo per i tifosi del Liverpool. Da quando
l'urna di Nyon ha accoppiato Liverpool e Juventus per i quarti
di finale della Champions League la memoria della tragedia
dell'Heysel si è come materializzata e nessuno si è tirato
indietro, anche se non è semplice mostrare equilibrio di fronte
a una tragedia tanto grande. Qui c'è ancora chi racconta quella
giornata come un "pomeriggio in cui 39 persone persero la vita
per il crollo di un muretto". Ma fortunatamente per la
maggioranza di tifosi, giornalisti e addetti ai lavori la sfida
di domani sera sarà l'occasione ideale per ricordare le vittime
e onorare la loro memoria. La partita di vent’anni fa ha mutato
il corso del calcio inglese, espulso dall'Europa per cinque
stagioni (sei per il Liverpool) e costretto a venire a patti con
un problema, quello degli hooligans, che era enorme e che oggi
per tanti versi può definirsi sconfitto. Cosa non altrettanto
certa in Italia. Il Liverpool, in accordo con la Juventus, ha
deciso di puntare sulle parole "memoria" e "amicizia" per
segnare il primo incontro con il club bianconero dalla serata
dell'Heysel. Uno striscione con le due parole e i nomi di
battesimo delle 39 vittime sarà portato prima della gara dal
Kop, la famigerata curva dei tifosi dei Reds, al settore
occupato dai tifosi juventini. A condurre il drappello sarà Phil
Neal, il capitano del Liverpool all'Heysel. Durante il minuto di
silenzio che sarà osservato prima del fischio d'inizio, il Kop
creerà con dei cartoncini un mosaico con la parola "amicizia",
il simbolo del Liverpool e i colori delle due squadre. Tutti i
tifosi ospiti riceveranno l'ormai classico braccialetto di gomma
con i colori rosso-bianco-nero e la parola "amicizia" in
italiano e in inglese, e una brochure di quattro pagine scritta
in italiano incentrata sull'amicizia tra le due tifoserie.
All'interno ci sarà un messaggio di Ian Rush, simbolico ex delle
due squadre, ritratto sia in maglia rossa che in maglia
bianconera, e sul retro un messaggio che recita: "We are sorry.
You' ll never walk alone". Le scuse, e le parole di solidarietà
che danno il titolo al celebre inno del Liverpool. Anche il
programma della partita è stato completamente ridisegnato: in
copertina il logo scelto nell'occasione per rappresentare il
concetto di amicizia. Sul retro, al posto delle usuali liste dei
giocatori, lo striscione "Memoria e Amicizia" che attraverserà
il campo prima della gara. Domani pomeriggio ci sarà anche
un'amichevole tra rappresentative di tifosi. Cosa che non ha
convinto, insieme a tutto il resto del programma commemorativo,
Otello Lorentini, il presidente dell'associazione creata dai
parenti delle vittime. Lorentini all'Heysel perse un figlio di
trent’anni, un dottore che morì nel tentativo disperato di
salvare altre vite: "L'amichevole è per i tifosi vivi, ma i
nostri cari sono morti, ha detto Lorentini. E per vent’anni
Liverpool e Juventus hanno mantenuto un incomprensibile
silenzio, come se volessero rimuovere quanto accaduto. Ora,
visto che sono stati costretti a ritrovarsi, e non per scelta ma
in una competizione altamente remunerativa, hanno pensato a una
serie di gesti che a me paiono puramente formali. Mi farà
piacere, ha proseguito Lorentini, vedere il nome di mio figlio
Roberto sullo striscione che andrà da una curva all'altra, ma
l'unico gesto veramente significativo sarebbe quello di
organizzare un'amichevole tra le due squadre senza alcuno scopo
di lucro, azzerando il fattore economico dell'incontro donando
tutti i proventi in beneficenza, a gente povera o malata. Ho
mandato una richiesta in tal senso all'ambasciata inglese a Roma
e alla Juventus: si potrebbe giocare quest'estate, magari ad
Arezzo, la città dove è stata fondata la nostra associazione. E
in parallelo si potrebbe organizzare un convegno sulla violenza
nello sport. Il Liverpool non ci ha ancora risposto". Da Anfield
hanno fatto sapere che la lettera di Lorentini è arrivata, e che
è stata passata al direttore generale Rick Parry. Ieri tutti i
giornali domenicali inglesi hanno dato ampio spazio al ricordo
dell'Heysel, e il supplemento sportivo mensile dell'Observer,
settimanale politico londinese, al ricordo ha dedicato 18 pagine
raccogliendo le memorie di persone che erano a Bruxelles
vent’anni fa, in campo o in tribuna. Da Paolo Rossi, a Zibì
Boniek, dal portiere del Liverpool Bruce Grobbelaar a Marco
Tardelli, passando per tifosi, fotografi, giornalisti. Peccato
che Phil Neal, l'ex capitano che martedì condurrà il ricordo
organizzato dal Liverpool, si sia rifiutato di rispondere alle
domande del giornalista, chiedendo di essere pagato.
4 aprile 2005
Fonte: Il Corriere della Sera
ARTICOLI STAMPA e WEB
4.04.2005
29
Maggio 1985 ore 19.20 L'Heysel è un inferno
di Giancarlo Galavotti
Manca poco più di un'ora a
Juve-Liverpool, finale di coppa Campioni. Un gruppo di tifosi
del Liverpool comincia la guerriglia. Il settore Z della curva
nord è un campo di battaglia. Le forze dell'ordine entrano in
azione con ritardo. Gli italiani scappano: chi corre verso la
recinzione che separa la curva Z dal campo (e così trova la
salvezza) e chi preme contro il muretto di recinzione che
crolla. Sono circa duemila i tifosi inglesi impazziti e ubriachi
che scatenano l'inferno. I morti sono 39 (32 italiani), i feriti
circa 400. Alle 21.39 le due squadre scendono in campo. Vince
1-0 la Juve, gol di Platini su calcio di rigore. I FATTI - La
designazione dello stadio Heysel da parte dell'Uefa fu
aspramente criticata da entrambi i club: la struttura era
fatiscente, priva di adeguate uscite di sicurezza e di corridoi
di soccorso. Il campo di gioco e le tribune erano malcurati,
assi di legno erano sparse per terra, i muretti divisori erano
vecchi e fragili e da essi si staccavano pezzi di calcinacci, le
tribune di cemento sgretolate. Lo scarico dei servizi igienici
colava dai muri, contribuendo a renderli ancora più fragili. I
tifosi bianconeri erano migliaia: buona parte proveniva dai club
organizzati e venne fatta sistemare nella tribuna N, nella curva
opposta a quella riservata ai tifosi inglesi; molti altri
tifosi, sganciati dal tifo organizzato, padri di famiglia con
bambini e sostenitori tutt'altro che "accesi", comprarono i
biglietti al di fuori dei circuiti ufficiali e si ritrovarono
nella tribuna Z, con due reti metalliche a separarli dalla curva
dei più accesi tifosi del Liverpool. Circa un'ora prima della
partita, i tifosi inglesi cominciarono a spingersi verso il
settore Z. Gli inglesi sostennero la tesi di un lancio di pietre
proveniente dal settore dei tifosi italiani per giustificare la
loro spinta violentissima che divelse in pochi secondi le reti
di protezione. In realtà il lancio di pietre non avvenne mai, al
contrario la carica degli hooligans fu preceduta da razzi
sparati sui bianconeri e da una fitta sassaiola. I tifosi
juventini, impauriti, nella totale assenza delle forze
dell'ordine belghe, completamente colte di sorpresa dall'azione
degli inglesi, si ammassarono contro il muro opposto alla curva
dei sostenitori del Liverpool. Alcuni, disperati, si lanciarono
dall'alto nel vuoto, altri cercarono di scavalcare ed entrare
nel settore adiacente; alcuni di essi finirono sugli spunzoni
delle recinzioni. Il muro su cui erano ammassati i bianconeri
crollò per il troppo peso, moltissime persone vennero travolte,
schiacciate e calpestate nella corsa verso una via d'uscita, per
molti rappresentata da un varco aperto verso il campo da gioco.
Dall'altra parte dello stadio i tifosi juventini del settore N e
tutti gli altri sportivi accorsi allo stadio sentirono le voci
dello speaker, dei capitani delle due squadre che invitavano
alla calma e in pochi capirono quello che stava realmente
accadendo. Gli scampati alla tragedia si rivolsero ai
giornalisti in tribuna stampa perché telefonassero in Italia,
per rassicurare i familiari. I morti furono 39, dei quali 32
italiani, 4 belgi, 2 francesi e 1 irlandese. Centinaia i feriti.
Si decise di giocare ugualmente la partita: la decisione fu
presa dalle forze dell'ordine belghe, per evitare ulteriori
tensioni. L'incontro fu disputato in un'atmosfera surreale, con
le notizie che si susseguivano ed i giocatori stessi ignari di
che proporzione avesse assunto la tragedia. Nel 2000 lo stadio
Heysel fu raso al suolo e ricostruito con un nuovo nome: Stadio
Re Baldovino. Al suo interno una targa commemorativa ricorda la
tragedia del 29 maggio 1985. I parenti delle vittime hanno
fondato un Comitato. In occasione del ventesimo anniversario
della strage (29 maggio 2005) hanno presenziato alla cerimonia
di inaugurazione del monumento di commemorazione delle vittime a
Bruxelles, presieduta dal sindaco della capitale belga. Negli
stessi giorni le squadre giovanili di Juventus e Liverpool si
sono affrontate allo stadio Comunale di Arezzo (città di
Giuseppina Conti e di Roberto Lorentini, due delle vittime; il
padre di Lorentini, Otello, è tra l'altro il fondatore del
suddetto Comitato) in un match amichevole (NdR: questa partita
in realtà sarà disputata in ottobre nello stesso anno)
4 aprile 2005
Fonte: La Gazzetta dello Sport
ARTICOLI STAMPA e WEB
4.04.2005
Liverpool-Juve, le scuse dell'hooligan 20 anni dopo l'Heysel
di Francesco Caremani
Domani "reds" e bianconeri di
fronte per i quarti di Champions.
Terry Wilson, è lui l'ex hooligan,
sempre tifoso del Liverpool, sceso sino ad Arezzo per chiedere
scusa a Otello Lorentini, per il figlio Roberto e per le altre
38 vittime dell'Heysel. Si sono incontrati sabato pomeriggio
all'AC Hotel, dove l'ha portato Jean-Philippe Leclaire,
giornalista de L'Equipe, che li ha messi in contatto. Un
incontro registrato e fotografato che diventerà giornalismo ed è
già storia, perché è la prima volta che accade e perché nessuno,
tantomeno Otello, si sarebbe aspettato una cosa del genere alla
vigilia di Liverpool-Juventus, quarto di finale di Champions
League. Terry è venuto "To say sorry" e lo ripete all'infinito,
quasi per convincere e per convincersi di quello che sta
facendo, a nome suo e di tante altre persone di Liverpool, con
cui ha parlato prima di partire per l'Italia. Occhi azzurri,
capelli biondi, sguardo imbarazzato, camicia d'ordinanza. Otello
si è fatto accompagnare da Andrea, primogenito di Roberto, anche
lui ha uno sguardo diverso dal solito, meno disteso e meno
sicuro, si aggrappa ai ricordi, sempre lucidissimi, e al dolore,
sempre forte, per la perdita dell'unico figlio. Si percepisce un
po' di tensione, ed è Otello ha spezzare il ghiaccio: "Io non
sono ancora pronto a perdonare, ma non odio nessuno". Andrea e
Jean-Philippe traducono, Otello e Terry parlano, si guardano. Il
primo inizialmente ascolta, il secondo spiega la sua versione
dei fatti, all'epoca aveva 19 anni. E' la versione inglese dei
fatti, la versione assolutoria, la versione che vuol rendere
meno amara una vergogna nazionale. Ma Otello prende carta e
penna e non gli dà scampo, disegna, spiega, rimette le cose a
posto, come dovrebbero essere sempre state. La versione vera è
una sola, quella di Otello, quella dell'Associazione delle
vittime, sancita da un processo vittorioso e raccontata
nell'unico libro scritto in tutti questi anni. Terry annuisce e
ripete "To say sorry". Otello ha capito lo sforzo e gli dice
"Non perdonerò mai chi non chiede scusa, a te, forse domani,
forse un giorno, ti perdonerò". Terry sarà all'Anfield Road
martedì sera per assistere a Liverpool-Juventus e ha anche un
altro incarico, deve chiedere cosa Otello vorrebbe veder scritto
in un vessillo che la Kop isserà prima del match: "I nomi delle
vittime, solo quello", sussurra ad Andrea che deve tradurre.
Comunque ha ancora tempo per pensarci, si risentiranno. Non
dimenticando l'idea dell'amichevole da giocare ad Arezzo tra
Juventus e Liverpool. Terry ha un amico in società e farà di
tutto per perorare la causa, anche lui capisce che la volontà di
Otello è quella di mettere un punto all'Heysel e lo vuol fare ad
Arezzo, dove nacque l'Associazione e dove si piangono, ancora
oggi, due vittime. Tutti hanno capito che si tratta di due
momenti diversi, da una parte il quarto di Champions, dall'altra
l'amichevole, magari precampionato. E' con questo spirito che
tutti possono guardare alla sfida di domani tra due squadre che
si ritrovano sul campo a venti anni dalla tragedia di Bruxelles.
Quello sarà un match vero, agonistico, giocato tra ragazzi che
all'epoca avevano 10-15 primavere. Da una parte Fabio Capello
dall'altra Rafa Benitez, nel mezzo una partita di calcio che
avrà una cornice carica d'emozione, un'emozione forte e lontana,
forte perché mai esternata prima, lontana perché quasi nessuno
dei protagonisti di allora sarà presente. "You'll never walk
alone", non camminerete mai soli, dice un vecchio coro dei
tifosi del Liverpool, forse lo canteranno per le vittime che,
scherzi del destino, hanno camminato sole, per vent'anni nel
limbo della memoria collettiva.
4 aprile 2005
Fonte: L'Unità
ARTICOLI STAMPA e WEB
4.04.2005
di Giulia Zonca
Uno dei giovani che 20 anni fa
provocarono gli scontri mortali incontra Otello Lorentini,
Presidente dell'Associazione Vittime dell'Heysel. "Il rimorso
per quei morti bastava. Poi è nato il bisogno di incontrare
questa persona".
NESSUNO ha mai chiesto scusa, 20 anni e
niente che somigliasse a del vero rammarico per 39 vite perse.
L'Heysel, non è stato né dimenticato, né ricordato, è stato
messo via con vergogna e imbarazzo. Un giornalista francese
dell'Equipe, Jean-Philippe Leclaire, ha messo insieme un libro
che esce in questi giorni, più racconto che inchiesta, su quella
notte del 1985. Raccogliendo brandelli di ricordi ha incontrato
Terry Wilson, un ex hooligan che in quel massacro stava
innegabilmente dalla parte dei cattivi. A stabilirlo è stato un
tribunale, Wilson è stato condannato a 5 anni, era uno dei 14
"tifosi" del Liverpool ritenuti colpevoli sui 26 arrestati. Ha
scontato solo 9 mesi, ma la sua vita è cambiata, stravolta dal
senso di colpa. Ora ha 38 anni, ha i capelli biondi corti e
l'aria di uno che non è riuscito a crescere sereno. A guardarlo
è difficile dargli un'età, come se il tempo si fosse solo
accumulato senza essere vissuto e la sua faccia fosse rimasta
molto simile a quella da adolescente che aveva quella notte. La
faccia di uno che non è mai riuscito ad andare oltre i suoi
errori. Dice che solo Dio lo ha aiutato a gestire quel peso
sulla coscienza, dice che non riesce nemmeno a descrivere quello
che ha fatto, ma grazie a un cacciatore di memorie ha trovato il
modo di chiedere scusa. Sabato è partito per l'Italia e ieri ha
incontrato Otello Lorentini, presidente dell'associazione
vittime dell'Heysel e padre di Roberto, morto nel settore Z
mentre cercava di prestare soccorso a un ragazzo che non
riusciva a respirare. Leclaire ha chiesto a Lorentini se era in
grado di perdonare e lui ha risposto: "Nessuno mi ha mai chiesto
perdono". Ieri Terry Wilson ci ha provato. Se lo abbia ricevuto
è un'altra questione. Lorentini non vuole parlarne: "Pazzesco,
in 20 anni non mi ha mai cercato nessuno e ora provate a
spremermi anche emozioni che non sono ancora in grado di
definire. E tutto perché c'è una partita di Champions League.
No, per ora è un fatto privato. Questo ragazzo è venuto qui e
gli ho parlato, ma è qualcosa di troppo forte perché io possa
raccontarlo subito. E' stata una conversazione intensa e io ho
bisogno di qualche giorno per elaborarla". Wilson, dopo due
decenni, ha capito quello che il senso di colpa non poteva
spiegargli: "Queste persone stanno ancora soffrendo, in un modo
che non mi sarei mai potuto immaginare, quando mi hanno
raccontato la storia di Lorentini mi sono reso conto di come
quella tragedia fosse ancora viva", lo confessa al sito del
Liverpool dove spiega perché ha deciso di affrontare un viaggio
a ritroso che lo avrebbe riportato davanti a ciò che ha provato
a rimuovere per tutto questo tempo. "Non ho cercato di dare un
nome e una storia a quei morti, il numero mi bastava, era un
rimorso fin troppo grande da portarsi dietro. Quando qualcun
altro mi ha costretto a guardare dentro una vita vera, ho
sentito il bisogno di incontrare questa persona. So che per
quante scuse io possa chiedere non servirà a molto, ma muovermi,
andare a casa Lorentini mi sembrava un modo di avvicinarci alla
riconciliazione, a un senso di pace che fino a qui non abbiamo
davvero cercato. Non abbiamo neppure pensato fosse possibile".
Non è un destino singolo, i tifosi del Liverpool presenti in
quello stadio, ma anche chi non c'era e che ha dovuto gestire
quell'imbarazzo, quel senso di responsabilità non diretta, non
ha mai fatto i conti con l'Heysel. Da qualsiasi parte si arrivi
ad Anfield si è investiti dal ricordo di Hillsborough (lo stadio
di Sheffield dove nel 1989 morirono 96 tifosi del Liverpool
schiacciati dalla folla che era più del doppio della capienza
limite). C'è un memorial, un braciere sempre acceso, un
monumento di marmo con il nome di chi perse la vita in quel
disastro ed è impossibile non sbattere contro uno di questi
simboli. Le tracce dell'Heysel sono confinate nel museo del club
e solo in questi giorni gli inglesi, che hanno scacciato i
violenti ma non i fantasmi, provano a tirarle fuori.
4 aprile 2005
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA e WEB
4.04.2005
Heysel, ex hooligan incontra padre della vittima
AREZZO - Vent'anni dopo, l'ex hooligan
tifoso del Liverpool, Terry Wilson, ha chiesto perdono per
quello che ha fatto al padre e al figlio di una delle vittime
dell'Heysel, Otello e Andrea Lorentini. Molto scossi per
l'incontro, i due non sono parsi ancora pronti a perdonare per
la perdita di Roberto, 33 anni, quella tragica sera. E' stato il
quotidiano francese L'Equipe a organizzare, ad Arezzo,
l'incontro fra i familiari della vittima e l'ex hooligan che fu
condannato a cinque anni di carcere anche se ha scontato
soltanto 10 mesi in tutto. Terry Wilson, 38 anni, nel viaggio
aereo, aveva persino imparato a dire in italiano "Sono qui per
chiedere perdono". Poi, di fronte a Otello (81 anni) e Andrea
(23), ha ripetuto soltanto "I'm sorry, I'm sorry, I'm so
sorry...". Con traduzione simultanea del giovane Andrea. Otello
chiede al nipote di dire in inglese a Terry: "Ho visto i tuoi
amici tirare fuori oggetti dalle tasche dei morti". "Vi chiedo
ancora perdono - ripete Terry - ammetto di aver dato pugni,
calci, che hanno indirettamente provocato la morte di vostro
figlio e di altre vittime. Ma l'ho capito soltanto qualche ora
dopo, sul traghetto di ritorno, quando le televisioni a bordo
hanno mostrato le immagini dei cadaveri. Allo stadio non ho
visto nemmeno un corpo. Dopo le cariche sono tornato nel settore
Y riservato agli inglesi, e ho aspettato l'inizio della partita.
E' orribile a dirsi, ma eravamo anche impazienti, non avevamo
capito l'ampiezza della catastrofe".
5
aprile 2005
Fonte: Quotidiano Nazionale
ARTICOLI STAMPA e WEB 5.04.2005
"E' il
ricordo più brutto della mia carriera"
di R.S.
Heysel 20 anni dopo. Sembra trascorsa
un’eternità eppure il ricordo di questi istanti drammatici, così
tremendamente surreali e fuori da ogni logica umana sono però,
anche se a distanza di tempo, ancora ben scalfiti nella memoria
di chi quelle ore interminabili le ha vissute in prima persona
allo stadio di Bruxelles, oppure le ha vissute davanti al
piccolo teleschermo tremendamente in ansia per le sorti dei
propri familiari. Quel 29 maggio 1985 una semplice partita di
calcio tra Liverpool e Juventus si trasformò dunque in una
tragedia in cui persero la vita ben 39 persone, quasi tutte
italiane. Ma l’appuntamento con la storia è destinato dunque a
ripetersi. Vent’anni dopo quella maledetta finale di Coppa
Campioni vinta per 1 a 0 dai bianconeri con un gol su rigore
realizzato da Platini (fischiato per un fallo al limite
dell’area su Boniek), i destini di Juventus e Liverpool tornano
così ad incrociarsi questa sera per i quarti di finale di
Champions League. E così si torna automaticamente a riflettere
su un dramma che ha segnato letteralmente il calcio, oltre a
segnare per sempre la vita dei protagonisti. Tra questi c’era
anche Massimo Bonini, sammarinese classe 1959, che quella sera
di fine maggio era in campo con la maglia della Vecchia Signora.
Oggi Bonini ha 46 anni ed è diventato tra l’altro papà per la
prima volta di suo figlio Arturo lo scorso venerdì, ma quegli
istanti di morte sono per lui indimenticabili. Vorrei non
pensarci - confida l’ex calciatore - ma quella tragedia è legata
al trionfo più importante di tutti gli anni in cui ho giocato a
calcio, è inevitabile che ogni tanto mi venga ricordato. Spero
che l’incontro tra Juventus e Liverpool sia una partita di
calcio. La Coppa che abbiamo alzato nel 1985 è come se non
l’avessimo mai vinta. Come si può far festa con 39 morti sugli
spalti ? Fu assurdo, allucinante, è il ricordo più brutto della
mia carriera e mi auguro di cuore che un episodio del genere non
si verifichi mai più. Una tragedia di una tale portata, quella
che si consumò sugli spalti dello stadio di Heysel, che non
subito fu compresa. Esattamente compresi quello che stava
accadendo quando tornai in albergo, vedendo le immagini in
televisione, fu agghiacciante. La partita però pur nella
tragedia si disputò regolarmente. Giocai quella gara per vincere
esattamente come i miei compagni e i miei avversari. Alla fine
esultai insieme ai tifosi della curva anche loro all’oscuro di
tutto. Le vere vittime non furono gli ultras, ma le famiglie che
erano andate allo stadio con i bambini e rimasero travolte dalla
massa degli Hooligans ubriachi. E per non dimenticare le 39
vittime di quel 29 maggio saranno attivate alcune iniziative.
Sarà distribuita ai tifosi della Juve una brochure con un
messaggio di Ian Rush, unico giocatore ad aver militato in
entrambe le squadre. A tutti poi sarà regalato un braccialetto
dell’amicizia. Nella curva del Liverpool comparirà anche la
scritta "Amicizia" a caratteri cubitali.
5
aprile 2005
Fonte: La Tribuna Sammarinese
ARTICOLI STAMPA e WEB 5.04.2005
Il
cambiamento
Così l'Inghilterra inventò lo
stadio formato-famiglia
di Luca Valdiserri
Dopo le tragedie di Bruxelles e
di Sheffield il governo decise di riformare il football:
impianti sicuri, drastico piano anti-hooligans.
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI. LIVERPOOL -
Oggi non lo diranno, perché sarà il giorno della memoria e
dell'amicizia, compresa una partita tra tifosi di Liverpool e
Juve, all'ora di pranzo. Però in Inghilterra l'hanno detto,
scritto e continuano a pensarlo: 1) la tragedia dell'Heysel, il
29 maggio 1985, che costò la vita a 39 tifosi juventini, non fu
solo colpa degli hooligans; 2) dopo la tragedia
dell'Hillsborough, 4 anni dopo, nella quale morirono 96
sostenitori del Liverpool, l'Inghilterra ha cambiato il suo modo
di vivere il football per non dover piangere mai più una
disgrazia simile. Kenny Dalglish, campione scozzese del
Liverpool che vinse tutto, nella sua autobiografia ha trovato un
alibi un po' troppo comodo: "I nostri tifosi furono attaccati
per le strade di Roma un anno prima, nella finale che si giocò
all'Olimpico. I loro pullman furono presi a pietrate e la
polizia li protesse ben poco. Un anno dopo, a Bruxelles, i semi
del caos diedero i loro frutti". Il ricordo di Antero da Silva
Resende, ex membro del Comitato esecutivo dell'Uefa, è
agghiacciante: "Qualcuno venne ad avvisarmi: c'erano problemi
nel settore occupato dai tifosi del Liverpool, confinante con
quello degli juventini. Lo dissi a un poliziotto belga e lui
cercò di mettersi in contatto con i suoi colleghi con un
walkie-talkie. Senza riuscirci. Come fu scoperto dopo, in quel
walkie-talkie le batterie non funzionavano". Il bando a tempo
indeterminato delle squadre inglesi dalle competizioni
internazionali (passarono 5 anni, 6 per il Liverpool), la
tragedia di Sheffield nel 1989 e la terribile nomea che gli
hooligans avevano esportato portarono il governo inglese a un
deciso intervento sul football. Fu commissionata a Justice
Taylor, membro della Camera dei Lord, una ricerca sulle cause e
sulle soluzioni. Il cosiddetto Taylor Report Act portò alla
trasformazione degli stadi da "fans oriented a family oriented".
Misure di sicurezza (tra le quali l'abbattimento delle barriere
architettoniche), videocamere, sfruttamento anche commerciale
degli impianti, numerazione dei posti: queste le linee guida. E
i soldi per rinnovare il "parco stadi" ? Il governo Major
stabilì la riduzione del 2,5% annuo, per 5 anni, della
tassazione statale sui giochi a scommesse: ne uscirono 100
milioni di sterline (più altri 100 con la proroga del decreto
fino al 2000) per gli impianti sportivi. La gestione del denaro
raccolto fu affidata al Football Trust. Nel settennio 1990-1997
sono stati spesi quasi 500 milioni di sterline per la
ristrutturazione degli stadi inglesi e scozzesi. Nel luglio
2000, la direzione è passata al Football Stadia Improvement
Fund, che ha stanziato altri 65 milioni di sterline in 4 anni.
Il denaro è erogato come finanziamenti a tasso zero, da
rimborsare in 3 o 5 anni. Un'attenzione che investe tutta la
società, per combattere la violenza con la pratica sportiva. La
Football Foundation ha finanziato 1172 progetti dilettantistici
e studenteschi per 288 milioni di sterline e ne sta valutando
altri 282 per 96 milioni. Questo è il miglior ricordo delle
vittime dell'Heysel e di Sheffield.
5
aprile 2005
Fonte: Il Corriere della Sera
ARTICOLI STAMPA e WEB 5.04.2005
L'Heysel è una
ferita che si riapre
di Paolo Forcolin e Enrica
Speroni
Tacconi: "Sapevamo che c'erano
morti". Boniperti: "Si giocò soltanto per evitare altre
vittime".
Saranno vent' anni, a maggio. Ma il
ricordo di quella sera è più vivo che mai. Non ombre indistinte,
amnesie offuscate dagli anni. No, graffiti tracciati sul
granito, incancellabili. Chi c'era, all'Heysel, quella sera del
29 maggio '85 non potrà mai dimenticare. Soprattutto non potrà
farlo chi, in quella tiepida sera belga, era tra i protagonisti.
Stefano Tacconi era il portiere titolare della Juve, allora. Un
titolare ritrovato, se vogliamo, perché Trap lo aveva "segato"
di brutto all'indomani del derby d'andata (18 novembre '84).
Poi, il 5 maggio, trasferta di Napoli, Trap lo richiamò. E
Tacconi si riprese il posto, a pochi giorni, in pratica, dalla
finale di coppa Campioni, ancora col Liverpool. A tanti anni di
distanza, e a poche ore dalla nuova sfida con i Red Devils,
quella sfida lontana e tragica fa ancora, inevitabilmente,
parlare di sé. Una domanda, in particolare, suscita ancora
contrasti: sapevano che cosa era successo i giocatori della Juve
? Sapevano che il settore Z era diventato un immane mattatoio,
che tanti tifosi italiani (32 morti sui 39 totali) erano stati
massacrati dalla furia degli hooligan ? La voce di Stefano è
forte e chiara, nessun tentennamento: "Sapevamo. Lo sapevo io,
lo sapevano tutti. Non il numero delle vittime, questo no. Ma
sapevamo che era successo qualcosa di gravissimo, che c'erano
stati dei morti. Lo capimmo subito: da quando, negli spogliatoi
dove stavamo preparandoci alla partita, cominciammo a veder
arrivare i nostri tifosi. Feriti, in stato di choc, tremanti di
paura e di freddo. Molti sanguinavano, erano con i vestiti a
pezzi, senza scarpe. Il povero dottor La Neve si adoperava per
prestare le prime cure, soccorrere chi aveva più bisogno. Chi
arrivava da noi era sconvolto. E raccontava di quanto era
successo fuori, la carica degli inglesi, il muro che non aveva
retto, la gente calpestata. La parola "morti", al plurale,
rimbalzava di frequente. Certo, nessuno poteva conoscere
l'entità della tragedia: ma dalle loro parole capimmo, tutti,
che era successo qualcosa di terribile. So che qualcuno continua
a dire di non aver saputo praticamente nulla: non voglio sapere
perché, non mi interessa. Ma sarebbe bastato sentire i racconti
dei feriti". Sergio Brio era lì, nello spogliatoio. Conferma la
versione di Stefano tranne che in un particolare: "Vero, c'era
tanta gente terrorizzata, ferita. Ricordo che demmo loro scarpe,
k-way, tute, tutto il materiale non indispensabile. Quanto ai
morti, io ricordo solo che si parlava, al singolare, di una
persona probabilmente deceduta". Riattacca Tacconi: "La Juve non
avrebbe voluto giocare. Boniperti e Morini lo dissero chiaro e
tondo all'Uefa. Ma, poi, arrivò un generale belga, funzionario
del ministero degli Interni. Disse a Boniperti che si sarebbe
dovuto assumere la responsabilità di eventuali altri incidenti,
perché l'ordine pubblico non era governabile. E fu così che
accettammo di giocare. A scanso di equivoci, fu partita vera,
anche se noi, a mio parere, giocammo il peggior match dell'anno.
Quanto al rigore, l'arbitro non poteva vedere il luogo esatto
del fallo su Boniek (fuori area, ndr) e il guardalinee non si
prese la responsabilità di fargli cambiare idea. Errore
arbitrale, insomma, non regalo o compensazione per quanto era
successo. Alla fine, molti criticarono il giro con la Coppa in
mano. Io non uscii, molti compagni sì. Ma ricordo che il giro ci
fu richiesto espressamente dai tifosi. Il Liverpool ? Io ebbi
l'impressione che avessero preso quanto accaduto con molta minor
partecipazione, rispetto a noi. Magari erano più abituati alle
violenze degli hooligan, magari, più semplicemente, cercarono di
approfittare della nostra condizione psicologica per vincere la
coppa. Non ci riuscirono". Vent' anni dopo la parola Heysel
accende in Giampiero Boniperti ricordi nitidi e una rabbia
difficile da reprimere. "Sono stato in Parlamento a Bruxelles
per 5 anni e non ho mai più voluto passare davanti a quello
stadio. Ancora oggi, confesso, non sono sereno quando penso al
capo della Gendarmeria della città, perché non posso dimenticare
che c'era un poliziotto, uno solo, in quel settore maledetto a
tenere a bada i tifosi inglesi. Eppure la pericolosità degli
hooligan era sotto gli occhi di tutti. La sera prima della
partita, mia moglie che alloggiava in un hotel del centro mi
telefonò sconvolta in ritiro: "Piero, qui sta succedendo un
finimondo, ci sono inglesi ubriachi che stanno spaccando tutto,
ci sono vetri ovunque, vetrine infrante...". E il mattino dopo,
durante il sopralluogo allo stadio, non riuscivo a capacitarmi
di quel che vedevo: l'Heysel sembrava un cantiere, all'esterno
c'era addirittura una catasta di legna, proprio dietro le
gradinate dove si è poi consumata la tragedia. Ricordo tutto di
quel giorno, io conoscevo l'entità del disastro perché nella
pancia dello stadio dove mi trovavo c'era la tv, ma chi stava
sugli spalti in altri settori, lontani dal Y e dallo Z, e gli
stessi giocatori che naturalmente non ignoravano l'accaduto - i
capitani Scirea e Neal lessero un messaggio via radio - non
avevano la consapevolezza dell'enormità di quel stava capitando.
Proprio la necessità di evitare una guerra ci indusse a scendere
in campo. Io non volevo giocare e non voleva giocare il
presidente del Liverpool: ma il capo della Gendarmeria e il
rappresentante dell'Uefa, su ordine del ministro degli Interni
belga, ci spiegarono che disputare la partita avrebbe evitato
l'esplodere di ulteriore violenze. E si giocò. E fu partita
vera. Ma io quei morti li ho visti e me li ricordo tutti. E non
voglio dimenticarli. Perché credo che ricordare è l'unico modo
per evitare che tragedie simili si ripetano. Per questo nella
vecchia sede bianconera di piazza Crimea feci posare un cippo
con le parole di Giovanni Arpino: "Qui ricordiamo le 39 vittime
di Bruxelles il 29 maggio 1985 trucidate da brutale violenza.
Quando onore, lealtà, rispetto cedono alla follia, è tradita
ogni disciplina sportiva. Alla nostra memoria il compito di
tenerla viva". 29 MAGGIO 1985 IL SETTORE "Z" DIVENTA UN INFERNO
- 29 maggio 1985, ore 19.20: l'Heysel è un inferno. Manca poco
più di un'ora a Juventus-Liverpool, finale di Coppa dei
Campioni, un gruppo di tifosi del Liverpool comincia la
guerriglia. FUGA - Una banale rete metallica separava gli
inglesi ammucchiati dalle gradinate del settore "Z", era
sorvegliata da normali poliziotti; i reparti celeri erano tutti
fuori dallo stadio e avevano l'ordine di restarci fino a 10
minuti prima del calcio d'inizio per prevenire incidenti tra le
tifoserie in arrivo. IN RITARDO - Le forze dell'ordine entrarono
in azione in ritardo. Gli italiani scappavano: chi correva verso
la recinzione che separava la curva "Z" dal campo (e trovò la
salvezza) e chi premeva contro il muretto di recinzione, che
crollò. Il muretto all'esterno del settore "Z" del fatiscente
Heysel non era all'altezza, come il resto dello stadio, ma non
era stato costruito per resistere alla disperazione di centinaia
di persone terrorizzate dai tifosi del Liverpool. Circa 2.000
tifosi inglesi impazziti e ubriachi scatenarono l'inferno. MORTI
- I morti furono 39 (32 italiani), i feriti circa 400. Alle
21.39 le squadre scesero in campo. Vinse la Juve 1-0, con gol di
Michel Platini su calcio di rigore.
5
aprile 2005
Fonte: La Gazzetta dello Sport
ARTICOLI STAMPA e WEB 5.04.2005
Ma io voglio
un'amichevole per le vittime
di Maurizio Crosetti
LIVERPOOL -
Il signor Otello Lorentini ha passato vent' anni a battersi e un
pomeriggio a rispondere al telefono. "Sono distrutto".
All'Heysel perse il figlio Roberto, medico, che poteva salvarsi
e invece tornò indietro per aiutare gli altri e morì. "Ho
sentito della partita tra i tifosi, dei braccialetti e dello
striscione. Un vecchio di ottant' anni può dire parolacce ? Sì ?
Allora vi rispondo che sono cazzate. Della partita non m'
importa nulla e non la guarderò, io voglio organizzare
un'amichevole tra Juventus e Liverpool entro la fine dell'anno,
per celebrare i vent' anni di Bruxelles. Lo voglio fare per i
morti, non per i vivi, per i morti e non per i tifosi, è chiaro
?" Come presidente dell'associazione dei parenti delle vittime,
Lorentini è andato a sbattere contro vent' anni di silenzio.
"Mai riuscito a parlare con nessuno della Juve o del Liverpool,
la verità sembra far paura a tutti. Adesso mi dicono che in
Inghilterra si sta considerando la nostra proposta, ho ricevuto
una lettera, vedremo. Ho appena incontrato un hooligan pentito,
è venuto a trovarmi ad Arezzo dall'Inghilterra, si chiama Terry
Wilson. Mi ha detto di essersi fatto la prigione e di avere
picchiato, quella sera, senza però uccidere nessuno. L'ho
corretto, dicendogli che se aveva buttato giù la rete, allora
era stata colpa anche sua. Ha risposto sì, ha chiesto perdono e
io gli ho detto che non sono ancora pronto a perdonare. Ma
almeno lui ha chiesto scusa e mi è sembrato sincero, a
differenza di altri, anche se io non odio nessuno". Vent' anni
senza un figlio che quando morì ne aveva due, piccoli. "Così,
perdendo Roberto, di figli ne ho avuti in cambio tre invece che
uno: i miei nipoti e mia nuora. Li ho allevati meglio che ho
potuto, oggi Andrea ha 23 anni e si è appena laureato, mentre
Stefano ne ha 21 e va all'Università. Senza di loro non sarei
mai arrivato ai miei ottant' anni, dove avrei trovato la forza ?
I ragazzi sono cresciuti serenamente, io ci ho messo passione".
5
aprile 2005
Fonte: La Repubblica
ARTICOLI STAMPA e WEB 5.04.2005
Un minuto di
silenzio per le vittime
di Giancarlo Galavotti
LIVERPOOL - (g.c.g.) Ci sarà il minuto
di silenzio per le vittime dell'Heysel. La Uefa ha acconsentito,
alla fine, alla richiesta di Liverpool e Juve. Non è stato
facile, fanno capire i dirigenti di Anfield. La Uefa, condannata
dalla Cassazione belga nel ' 91 come corresponsabile della
strage di Bruxelles, si è mostrata restia ad avallare le
iniziative alla memoria. Il Liverpool e la città di Liverpool
non si tirano indietro. A tutti i tifosi juventini sarà offerto
un bracciale rosso, bianco e nero, i colori delle due squadre,
con la scritta "Friendship-Amicizia". Prima del calcio d'inizio
una processione partirà dal Kop, la tribuna del tifo Red, con
uno striscione: "In memoria e in amicizia" con i nomi delle 39
vittime. La processione arriverà davanti al settore dei tifosi
juventini. Il Liverpool ha prodotto anche sciarpe congiunte,
metà rosse e metà bianconere, per commemorare la partita.
Presenti anche ex giocatori del Liverpool, guidati dal capitano
della squadra finalista nel 1985, Phil Neal.
5 aprile 2005
Fonte: La Gazzetta dello Sport
ARTICOLI STAMPA e WEB 5.04.2005
Gli ultras del Liverpool tendono la mano organizzando
un’accoglienza di riguardo per gli ospiti
"Ci dispiace, non camminerete
mai soli"
di Lapo Novellini
LIVERPOOL - La quinta volta in 40 anni.
Juventus e Liverpool, pur avendo bacheche ricche di coppe e
trofei di ogni genere, non si sono incontrate molte volte, nella
storia delle competizioni internazionali. L’ultima volta accadde
il 29 maggio del 1985 e la partita lasciò il posto a una immane
tragedia. Stasera le due tifoserie dovranno dimostrare
soprattutto che è giusto non dimenticare e commemorare le
vittime, ma anche che i figli possono essere migliori dei padri.
Possiamo affermare, riprendendo le parole di Jeremy Butler
dell’agenzia Reuter che i kop di oggi non sono più quella massa
di delinquenti che devastava l’Europa negli anni Ottanta. Ad
Anfield stasera sono previste numerose manifestazioni di
solidarietà tra le due tifoserie. Gli ultrà del Liverpool
esporranno in curva uno striscione con la scritta "in memoria e
in amicizia". La squadra di casa distribuirà a tutti i tifosi
della Juve una brochure di benvenuto con un messaggio di Ian
Rush, l’unico giocatore che ha militato in entrambe le
formazioni. L’incipit è "We are sorry, you will never walk
alone" (Ci dispiace, non camminerete mai da soli), mutuato dalla
scritta che campeggia all’entrata di Anfield. A tutti i presenti
sarà regalato un braccialetto, con un messaggio molto chiaro:
friendship, amicizia. Sarà il simbolo del legame che unisce le
due società nel ricordo delle vittime. Lo stesso braccialetto
sarà indossato anche dai calciatori delle due squadre. Prima del
calcio d’inizio, Ian Rush e Michel Platini esporranno a
centrocampo uno striscione con i nomi delle 39 vittime: affinché
nessuno dimentichi quello che capitò in quella incredibile notte
di Bruxelles. Rappresentanti delle due tifoserie giocheranno nel
pomeriggio un’amichevole alla Liverpool Academy, nelle vicinanze
della città. Alle 19.45 locali (le 20.45 in Italia) la partita.
Quando l’arbitro belga Frank De Bleeckere fischierà l’avvio, in
un attimo tutti i pensieri, i ricordi e le voci del passato
lasceranno il posto ad un incontro di calcio di alta intensità
agonistica e tecnica. La parola passerà ai calciatori e ai due
allenatori, Rafael Benitez e Fabio Capello, tecnici che spesso
vanno oltre i limiti del campo per ergersi a esempio per i
giocatori e i tifosi. Discorso che vale anche per il capitano
bianconero, Alessandro Del Piero, che sarà ad Anfield per la
terza volta in carriera: nelle altre due circostanze vestiva la
maglia della nazionale, stavolta avrà una partecipazione emotiva
sicuramente più intensa. L’auspicio dei tifosi della Juve è che
sfoci in una prestazione all’altezza dei suoi giorni migliori.
5 aprile 2005
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA e WEB 5.04.2005
L’Heysel vent’anni
(amari) dopo
di Oliviero Beha
Caro Direttore, i giornali di domani
saranno ovviamente pieni di numeri e valutazioni sulle elezioni
amministrative di ieri e oggi, che potrebbe condizionare
l'immediato futuro del paese. La sera, per i quarti di
Champion's League, ci sarà Liverpool-Juventus, e c'è da
scommettere che comunque sia andata nelle urne in parecchi,
ricomposti, si sistemeranno davanti alla tv. A pagamento. A
maggio saranno vent'anni da un'altra, famigerata Liverpool-Juve,
finale di Coppa Campioni a Bruxelles, allo stadio Heysel. Lo
stadio della strage, dei 39 morti, della carneficina per il
crollo di un comparto, della partita giocata lo stesso tra le
ambulanze per "dichiarati motivi di ordine pubblico" e vinta
(vinta ?) dalla Juventus che ne conserva il Trofeo in bacheca.
Insieme al ricordo dei morti e di una serata tragica, allora in
tv in chiaro irradiata dalla Rai in Eurovisione, e quindi
visibile da tutti. Se la Juventus restituisse quella Coppa come
se la partita non fosse stata giocata, non ridarebbe la vita ai
morti ma insomma credo che sarebbe un bel gesto, un momento di
memoria quasi fisica. Comunque è proprio di memoria che vorrei
parlare qui, e di confronti. Le ricorrenze, gli anniversari, i
compleanni servono a misurare il tempo e a dargli valore. O
valori. All'epoca dell'Heysel si disse, con una formula che
riaffiora periodicamente per tutto o quasi, che per il calcio
quella sera aveva significato "la perdita dell'innocenza", che
una tragedia simile non si sarebbe dovuta più ripetere, che era
l'occasione per una riflessione su che cosa il calcio fosse
diventato. A metà degli anni '80. Facciamola oggi, allora,
questa riflessione, misuriamo il tempo che è passato e il modo
in cui è passato, chiediamoci oggi se il discorso sul calcio
valga quello sulla società italiana tutta e quali siano
eventualmente i nessi tra i due discorsi. Un po' come se
ragionassimo in pubblico dei novant'anni di Pietro Ingrao, di
che cosa rappresentano, di che cosa rappresenta lui, della sua
pasta umana, culturale, politica (credo che gli aggettivi siano
disposti in un ordine accettabile, in caso contrario
scombinateli…), della differenza con i contemporanei. Sempre di
valore, o valori, si tratta, e di senso della realtà. Torniamo a
quel 1985, a quella finale maledetta, all'Italia di allora,
all'Italia di Craxi, di un po' di Spadolini, della staffetta
Pertini-Cossiga, naturalmente sempre di molto Andreotti, di
Natta, di Berlusconi "solo" imprenditore di grande successo
edil-televisivo. All'Italia di "Quelli della notte" in tv,
dell'edonismo reganiano, dei postumi ahimè in fretta dimenticati
dell'austerity berlingueriana. E a Platini. Che è successo da
allora al calcio ? Si è semplicemente evoluto, è "passato al
digitale", "l'offerta si è di molto arricchita", non c'è quasi
serata senza calcio in tv ? È vero, questa è una lettura
corretta. Ve ne propongo anche un'altra. In vent'anni il calcio
è stato emotivamente devitalizzato, imbarbarito nei rapporti da
stadio, gonfiato economicamente come un tacchino, sradicato
nella sua genuinità giovanile, messo all'incanto fuori dal
campo, in tv e nel set paratelevisivo che ha fagocitato la
società italiana, alias reality Italia. Emotivamente è stato
devitalizzato perché reso merce fino a livelli impensabili di
sfruttamento, "come se" si trattasse di qualunque altro
prodotto. La specificità passionale è ridotta a variabile
dipendente quando non addirittura fastidiosa. Se ne è
polverizzata l'autenticità e la "supplenza" culturale (in
mancanza d'altro…) in chiave di appartenenza, supplenza che per
decenni aveva avuto un ruolo sia pure simulato di "pace
sociale", di interclassismo da curva o da tribuna. "Reato"
commesso, questo, da parte dei padroni di un calcio di vapore,
senza un minimo di consapevolezza per gli effetti collaterali. I
rapporti da stadio si sono imbarbariti, aiutati per la scesa dai
mezzi di comunicazione e da certa tv e certa radio in
particolare, così che gli incidenti sono una costante che non
dipende più da una tribuna che crolla. Anzi, il ricordo
dell'Heysel da noi (in Inghilterra come sappiamo da allora gli
hooligans sono "migliorati") serve a poco più che a consolarsi
quando c'è soltanto un morto o due da coltello o caduta da
spalti. Si dice: a Bruxelles andò molto peggio. Il tacchino del
calcio scoppia, e la bancarotta, gli spalma-debiti, gli
aggiustamenti fiscali, la commistione tremenda calcio-borsa in
cui due opacità hanno steso una cortina fumogena che copre la
squallida realtà, ci dicono banalmente la stessa cosa: pagano
sempre i tifosi (oppure pensate che le azioni di una squadra
siano equiparate per il tifoso-azionista a quelle, che so,
dell'Eni ?). Per lo sradicamento giovanile, per la morte della
"gratuità" ludica con relative conseguenze anti-pedagogiche,
invito a girare per campi. Sul fatto che il calcio si sia
diffuso come un virus mondano senza valori se non l'apparenza,
la fama, il denaro, nella realtà televisiva che ci soffoca, beh,
aspetto contrordini. Il mito è Totti, e non è certo colpa sua.
Ma allora di chi è colpa se la società italiana del 2005, quella
che va a votare per le Regionali in questo clima disastrato, è
pressoché perfettamente rappresentata da questo quadro
calcistico ? Di chi è colpa se rimpiangiamo in vita, la più
lunga possibile, persone della qualità di Ingrao in alto come in
basso, se confrontando l'Italia di venti anni fa con questa il
primo, forte, non facilmente estirpabile pensiero è che siamo
andati indietro, che culturalmente stiamo pagando un prezzo
altissimo, che politicamente facciamo fatica a ritrovarci in una
partita giocata sempre peggio, con norme berlusconiane in
evoluzione, con l'arbitro/gli arbitri in palese "sudditanza" non
solo psicologica, le tribune a rischio, il gioco latitante, la
qualità "tecnica" dei giocatori, e degli spettatori, moralmente
assai regredita ? Sembrava un punto di non ritorno, l'Heysel,
per un calcio differente, che fosse occasione di investimento
emotivo, e quindi sociale, culturale, in definitiva politico più
maturo, e foriero di miglioramenti. Per percepire se è andata
proprio così, nel calcio reale e figurato, e metafora del resto,
misuriamo insieme questi venti anni italiani, guardandoci
attorno per vedere se oltre la politica figli e nipoti di Ingrao
ci fanno davvero ben sperare e ci caricano di sensazioni
positive come ancora invece succede con un appassionato signore
di 90 anni.
5 aprile 2005
Fonte: Olivierobeha.it
ARTICOLI STAMPA e WEB 5.04.2005
L'EX
AVVERSARIO
Grobbelaar: "Platini era
un'altra cosa"
di Filippo Maria Ricci
Il portiere dei Reds anni '80:
"I bianconeri oggi perdono, ma andranno in semifinale".
LONDRA - Questa sera Bruce Grobbelaar
sarà davanti al televisore. A Città del Capo, in Sudafrica. Il
Paese dove è nato 47 anni fa, dove risiede e allena. In marzo è
stato licenziato dagli Umtata Buch Bucks, cinque mesi dopo che i
Manning Rangers avevano fatto la stessa cosa. Due esoneri in una
stagione non hanno fatto perdere lo spirito all'ex portiere, 13
anni e 627 partite con il Liverpool. Titoli a profusione e due
finali di Coppa dei Campioni. Una chiusa con una danza da clown
che fece perdere la testa a Graziani; l'altra con una visita al
pullman della Juve per chiedere scusa. "La prima a Roma, una
serata magica. Per la città, per lo stadio, per i cori delle
tifoserie, per il modo fortunato in cui abbiamo portato a casa
la coppa. La seconda, a Bruxelles, un disastro. Prima, durante e
dopo. E quando dico dopo mi riferisco a tutti questi vent'anni.
Mi è capitato di tornare all'Heysel, che ha cambiato nome. In
ricordo di quella tragica serata c'è una targa sul muro.
Nient'altro. Dentro, nonostante ci sia una specie di storia
dello stadio, nemmeno una riga sui fatti di quella sera. E anche
i club avrebbero potuto muoversi prima, organizzare
un'amichevole magari anche ogni anno per sostenere le famiglie
delle vittime, e non aspettare un sorteggio". Oggi è una serata
particolare... "Spero che i tifosi e gli organizzatori abbiano
compreso il significato di questa partita. Bisogna ricordare,
onorare, pregare per le vittime. Rispettare persone che magari
potevano essere in tribuna ad Anfield stasera e non ci sono
più". In questi 20 anni, le squadre inglesi, che prima
dominavano in Europa, hanno vinto la Champions League una sola
volta, nel '99. "La squalifica di cinque anni dopo l'Heysel ha
tagliato le gambe al calcio inglese. In Europa i club sono
andati avanti, in Inghilterra no. E ora recuperare terreno è
meno facile di un tempo". Il suo era un altro Liverpool. "Sì,
anche se era un'altra epoca. Al Liverpool di oggi mi sembra
manchi un po' di carattere. Bravi giocatori, ma noi avevamo
qualcosa in più. Gente come Barnes o Dalglish, per capirsi. E
quel portiere un po' matto che voleva fermare il mondo". E la
Juventus ? "Discorso simile. Forse sono diventato nostalgico, ma
caratteri come Platini e Boniek alla Juve non se ne trovano". In
campo che gara si aspetta ? "Liverpool aggressivo, Juve in
attesa. I bianconeri hanno più esperienza e cercheranno di
sfruttarla". Pronostico ? "Due a zero per il Liverpool ad
Anfield, ma la Juve finisce per passare il turno, magari ai
rigori".
5
aprile 2005
Fonte: Il Corriere della Sera
ARTICOLI STAMPA e WEB 5.04.2005
Platini e Rush portano la bandiera con i nomi dei 39 morti
di Fabio Vergnano
Gli ex hooligan accolgono gli
ultrà bianconeri con la scritta "amicizia". il sindaco Roderick
crede nel gemellaggio.
Questa volta sarà un festa. Vent'anni
dopo tutti hanno voglia di dimenticare di tendere la mano agli
"amici italiani". Il ricordo ha il colore del sangue delle 39
vittime dell'Heysel, rosso come la maglia del Liverpool che oggi
chiede scusa. Ieri pomeriggio sulla torre di Radio City è salito
anche il sindaco Frank Roderick per un primo gemellaggio con gli
ospiti. Oggi, assicura il numero uno della città, chi arriverà
sulle rive del Mersey troverà soltanto amicizia e ospitalità.
Lui sarà il primo a portare il saluto di Liverpool ai tifosi che
alle 12 atterreranno all'aeroporto John Lennon. Con il console
italiano Nunzia Bertali accoglierà i due voli charter che
arriveranno da Malpensa. Quelli che troverà sono i supporter più
a rischio, ovvero gli ultrà che nei giorni scorsi si sono
rifiutati di mandare messaggi distensivi. La Digos torinese ha
spedito in Inghilterra tre dirigenti dall'occhio vigile, loro
conoscono uno per uno gli appartenenti ai gruppuscoli più
esagitati e aiuteranno la polizia locale. Ma nessuno vuole
prendere in considerazione la possibilità che la festa diventi
rissa. Spiega il console Bertali: "Sono quindici giorni che
lavorano per fare sì che gli italiani si sentano come a casa.
Per la città ci saranno decine di volontari con la scritta
"Benvenuti" sulla maglietta pronti ad aiutare chiunque abbia
bisogno e nel centro la stessa scritta sarà riportata su
tabelloni luminosi". Saranno duemila i tifosi bianconeri. A
quelli in arrivo con due charter si aggiungeranno coloro che
hanno scelto il viaggio individuale e i residenti nel Regno
Unito. Proprio i rappresentanti dello Juventus club Londra
prenderanno parte alla sfida calcistica che il Liverpool ha
voluto fosse giocata all'Accademy, nel centro sportivo giovanile
del club anziché in un parco cittadino. L'ha organizzata Richard
Buxton un lungagnone sottile come un grissino e con il viso
pieno di brufoli che nel 1985 era ancora appiccicato al seno
materno. Anche lui fa parte dei Kop, i Drughi di quassù, ma ha
l'aria di un giocherellone che non lancerebbe neppure una
fialetta puzzolente. Ad Anfield, tempio dei Reds, si terrà poi
il clou delle celebrazioni. Saranno distribuite sciarpe metà
rosse e metà bianconere con al centro due mani che si stringono,
mentre braccialetti con la scritta "friendship" saranno al polso
di giocatori e spettatori. Prima del minuto di raccoglimento e
prima che venga esposta una scritta "Amicizia" grande quanto una
gradinata, Platini e Rush porteranno a centrocampo un bandierone
con i nomi dei 39 morti di Bruxelles. Ci sarà anche Phil Neal in
tribuna, il capitano di allora, che non ha capito fino in fondo
lo spirito della giornata. A un giornalista del quotidiano
"Observer" che gli ha chiesto un'intervista ha risposto: "Va
bene, ma quanto mi date ? Guadagni soltanto tu, non voglio
contribuire al pagamento del mutuo di casa tua". Quindi gli
Animals, con qualche eccezione, non abitano più qui. Lo devono
capire anche i ragazzi della Scirea, molti dei quali all'Heysel
non c'erano, che hanno come motto "Amici di nessuno". Les
Lawson, segretario dell'organizzazione che riunisce il grosso
dei fans della squadra di Benitez, spiega: "I tifosi sono
cambiati in Inghilterra, il problema hooligans è risolto. Le
violenze di vent'anni fa furono così terribili che molta gente
non ha più voluto entrare in uno stadio. Vorrei dire agli amici
bianconeri che neppure noi abbiamo dimenticato e che
comprendiamo il loro stato d'animo. Nel 1989 morirono 96 dei
nostri calpestati dalla folla durante una semifinale di FA CUP
con il Nottingham. I tifosi dei Reds hanno anche vinto il trofeo
Fair Play dell'Uefa e questo significa che tutto è mutato".
Nell'opuscolo che verrà distribuito in lingua italiana fra
l'altro c'è scritto: "Non camminerete mai soli".
5
aprile 2005
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA e WEB 5.04.2005
Qua la mano
e vinca il migliore
di Roberto Beccantini
Era ora che Liverpool-Juventus tornasse
a essere, semplicemente, la grande partita che una tragedia si
portò via. Sono passati vent'anni, e il destino ci offre
l'opportunità di trasformare una ferita aperta, che Boniperti
non seppe chiudere, in un inno all'amicizia ritrovata, come
sottolineato a più riprese da Michel Platini. Nell'impossibilità
di attenuare il dolore dei parenti delle vittime, non ci resta
altro: e non è poco. Dalle mattanze dell'Heysel e di
Hillsborough, gli inglesi trovarono la forza per ripulire i
propri stadi. Noi, viceversa, abbiamo fatto le cose a metà,
disperdendo il messaggio, drammaticamente enorme, della lezione.
This is Anfield. Questo è Anfield. Sta scritto sopra la porta
che da sul campo. Verrebbe da dire: lasciate ogni speranza o voi
che entrate. Invece no. Il Liverpool non è più, da tempo, "quel"
Liverpool; la Juventus, al contrario, è sempre la Juventus. Il
primo ruggito di Anfield ce lo consegnò a domicilio la
televisione, quarant'anni fa: Liverpool-Inter, immagini
rigorosamente in bianco e nero. Ci sono arene che hanno
un'anima, e quella dei reds ce l'ha di sicuro. Se il fattore
ambiente è diventato un valore aggiunto, lo dobbiamo in larga
parte alla tradizione britannica. Da solo, però, non basta. Lo
sa Benitez, se lo augura Capello. Al Liverpool mancano fior di
titolari, la Juve è ferma dal 19 marzo e recupera Nedved: quale
e quanto, lo impareremo strada facendo. La sfida si profila
aspra, molto girerà attorno a Gerrard ed Emerson. Il meglio di
sé, il Liverpool tende a fornirlo dalla cintola in su; la Juve,
dalla cintola in giù. Gli obiettivi plausibili ricalcano le
esigenze manifeste: non prendere gol, realizzarne almeno uno.
Prepariamoci a una serata di canti struggenti e ruvidi tackle.
Sono partite, queste, che tutti i ragazzi sognano di giocare.
Chi c'è, non sprechi l'occasione: penso a Del Piero, a quel
sinistro precipizio che lo inghiotte, inesorabile, ogni volta
che la contesa sale di livello. Non è escluso che la tensione
del risultato condizioni la qualità dello spettacolo.
Liverpool-Juventus trascende l'aspetto squisitamente tattico e
tecnico. Nel suo "bagaglio" si nascondono troppi ricordi, troppi
lutti. E la retorica, almeno in questo caso, non c'entra niente.
Siamo così pigri e distratti che ci voleva un sorteggio, banale
e casuale come tutti i frullar di palline, per risvegliare la
nostra memoria. You'll never walk alone, non camminerete mai
soli. E' l'inno dei tifosi del Liverpool. Qua la mano - a nome
di tutti, spero - e vinca il migliore.
5
aprile 2005
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA e WEB 5.04.2005
La strage dell'Heysel è sempre qui gli inglesi cercano il
perdono
di Maurizio Crosetti
LIVERPOOL - Bambini con un pallone,
questo erano. Del Piero aveva undici anni, Trezeguet otto,
Buffon sette, Ibrahimovic quattro. "Eravamo a casa di amici,
davanti alla tivù, io e la mia famiglia. Poi accadde quella cosa
e mio padre capì al volo. Allora mi disse di andare in cortile a
giocare a calcio". Alessandro Del Piero sa che adesso si
tratterebbe di fare lo stesso, anche se è cambiato il cortile.
"Ci serve una vera partita, e che sia vera più di ogni altra,
così che l'Heysel rimanga un brutto ricordo e un capitolo da
chiudere". Mica facile. E chissà se poi è giusto. Superare,
ricordare, onorare, chiudere il conto, ognuno in queste ore sta
scegliendo il verbo che più gli piace, ma sempre di infinito
presente si tratta. "Io quella sera facevo il telecronista, e
Juve-Liverpool me la ricordo bene" dice Fabio Capello. Sa quanto
fosse difficile trovare le parole giuste per raccontare
l'impossibile, e anche oggi non è facilissimo: "Ma io mi sento
onorato di essere l'allenatore della Juventus che ritrova il
Liverpool. Bisogna ricordare nella sportività quel dramma,
perché appunto rimanga solo un triste ricordo. Giocare la
partita è l'unica soluzione". Se non si è parenti delle vittime,
o testimoni oculari di quella notte spaventosa, vent'anni
sembrano un tempo enorme. Per farlo diventare ancora più lungo e
remoto, per provare finalmente a superarlo o liquidarlo,
Liverpool e Juventus si sono buttate sull'oggettistica. C'è il
braccialetto di gomma a tre colori, bianco, nero e rosso, sulla
scia di una moda umanitaria cavalcata alla grande dagli sponsor.
Stasera verrà consegnato a tutti i tifosi (duemila gli
italiani), anche se ai polsi degli inglesi - vent'anni fa -
sarebbero state meglio un paio di manette invece del cerchietto
buonista. C'è la borsa-regalo per i giornalisti, con altre cose
che provano a scrivere la parola "fine" sotto l'ultima pagina
della storia: la sciarpa con due mani che si stringono, metà
juventina e metà rossa, la maglietta con le scritte "amicizia e
memoria" e il motto "non camminerai mai da solo", l'opuscolo
firmato da Ian Rush, doppio ex come doppia è la maglia che
indossa nel fotomontaggio, un po' Juve e un po' Liverpool, e sul
retro due parole scritte in grande: "Ci dispiace". Si dice anche
quando si versa il latte, o quando si pesta il piede del vicino
in autobus. Ne abbiamo ammazzati trentanove, scusate, ci
dispiace. "Può essere una sera difficilissima, a livello
psicologico" ammette Del Piero. "Se andiamo in campo con i
ricordi e la tristezza, e con la morte del Papa nel cuore, ecco,
tutto questo può bloccarci. Se invece proviamo a pensare solo
alla partita, io dico che ce la facciamo". Emozioni, rimozioni,
il confine è sempre incerto, più sottile di una riga a matita.
Ma se il calendario della Champions League ha inventato questa
scocciatura di anniversario, nel ventennale tondo tondo, bisogna
almeno provare a non far finta di niente. E quelle che Otello
Lorentini, presidente dei parenti delle vittime, chiama senza
giri di parole "cazzate", diventano oggi il calendario
commemorativo di una tragedia. Ore 13, partitella amichevole tra
tifosi inglesi e italiani sul campo dell'Academy, di fianco allo
stadio Anfield Road, e chi è senza pietra scagli il primo
peccato. Ore 19, sfilata sul prato di Anfield con lo striscione
con i nomi dei morti: lo porteranno Neal (il capitano dei Reds
nell'85) e Michel Platini, da una curva all'altra, mentre il
settore più cattivo del Liverpool, quello che fece germogliare
il peggio degli hooligans, il famigerato Kop, formerà un mosaico
agitando tessere per comporre la parola amicizia. Ancora da
definire il programma per la gara di ritorno, anche se qualche
gruppo estremo del tifo bianconero un'ideuzza ce l'ha. "City
says benvenuti Juventus" balbetta in italo-inglese un titolo del
giornale Liverpool Echo, anche lui orientato verso qualche ora
di bontà da spalmare su vent'anni di ipocrisia e silenzio. Poi
l'arbitro (un Belga !) fischia, e il primo che mena fa solo del
sano agonismo, perché il calcio non è mica uno sport per
signorine, e se un giocatore del Liverpool finisce a terra si
canterà "devi morire", perbacco. Sarebbe stato meglio evitare
per altri cinquant'anni, magari per sempre, ma le palline di un
sorteggio non l'hanno permesso. E allora bisogna rispondere alle
domande con un certo fastidio, come ieri ha fatto Rafa Benitez,
allenatore dei rossi: "Dell'Heysel si è parlato tanto,
tantissimo, e comunque questa è solo una partita di calcio".
Beato lui che ci crede, forse perché quella volta non c'era. Non
c'erano neanche i gentili addetti dello stadio che offrono tè e
biscotti prima della conferenza stampa, e tengono aperte le
porte per farti passare, ed è tutto un inchino e un sorriso.
Sorridere, aspettare, giocare, chiedere scusa, dimenticare. Ma a
volte il passato continua all'infinito.
5
aprile 2005
Fonte: La Repubblica
ARTICOLI STAMPA e WEB 5.04.2005
Quelle
famiglie inermi contro il branco di lupi
La parola hooligan la imparammo quella
sera del 1985. Ma non erano solo "teppisti" quegli uomini secchi
a torso nudo e la pancia gonfia di birra, dai visi rossi e gli
occhi piccoli e acuti: erano lupi, agili e veloci a colpire nei
vicoli di Bruxelles prima e nella curva Z dell'Heysel nel
pomeriggio. Quella distesa di cemento era piena di gente
tranquilla, il loro bel pollaio da spennare. La strage
dell'Heysel fu un'orgia di sangue: colpì gente normale, persone
che erano arrivate a Bruxelles con le borse per il maglione e i
panini, operai con i propri figli partiti dal Piemonte o dalla
Toscana che si erano regalati la finale di Coppa dei Campioni,
anziani da sempre con la passionaccia per la Juve, gente che non
aveva mai tirato un pugno in uno stadio, al massimo fischiato e
tirato improperi contro l'arbitro. Morirono proprio per questo,
perché una persona normale davanti ai lupi fugge. Furono
colpiti, bersagliati e quando gli hooligans sfondarono
quell'assurda e ridicola rete finirono con lo schiacciarsi,
calpestarsi, soffocarsi, uccidersi. Se avessero reagito, se
avessero affrontato i coltelli degli hooligans, questa è
l'incredibile verità, forse sarebbe finita diversamente. "Babbo
reggi le borse, io prendo il bimbo", morirono così. Abbiamo
visto tante e tante volte in tv la strage dell'Heysel da dentro
lo stadio, meno da fuori. Nelle foto inedite in alto c'è tutta
l'allucinazione di quella sera: i cadaveri erano gettati dove
capitava, tutti chiedevano aiuto, non si riusciva nemmeno a
capire chi era ancora vivo e chi no, si dava una mano a chi
urlava. E per farlo bisognava scavalcare qualcuno coperto dalla
bandiera bianconera: erano le uniche lenzuola disponibili. Chi
ha visto quelle cose e sentito quelle frasi, ha brividi di
diffidenza quando sente parlare di stadi civili e senza
barriere, quando sente dire che gli hooligans non esistono più,
imparato a camminare rapido e con gli occhi dietro la nuca
quando si va alla partita. (f.bo.)
5
aprile 2005
Fonte: La Repubblica
ARTICOLI STAMPA e WEB 5.04.2005
Il cuore oltre l’Heysel
di Alessandro Giuli e di Marco
Palombi
Stasera Liverpool contro
Juventus, una partita caricata a molla per vent’anni.
"Ladies and
gentlemen: the hooligans". Scritto in caratteri rossoneri su uno
striscione di carta bianco, è il benvenuto riservato da una
curva nemica ai tifosi della Juventus giunti in trasferta per
assistere a una partita del campionato di calcio italiano
1986-87. Sono trascorsi pochi mesi dall’inferno dell’Heysel: 39
morti di cui 36 bianconeri ammazzati per soffocamento e violenze
non ancora del tutto chiarite in una sera primaverile dentro lo
stadio di Bruxelles. Era il 29 maggio 1985, finale di Coppa dei
Campioni: Juventus contro Liverpool. Altri nemici avevano
mostrato più tempismo perché già il 31 maggio alcuni muri delle
periferie italiane erano imbrattati con scritte dalla firma e
dal contenuto non equivocabile: "Minime dall’estero: Bruxelles
–36". Oppure "Juve 1 Liverpool 36". Altri tifosi di altre curve
d’Italia intonarono cori o coniarono slogan simili. In Italia,
la Juventus è la squadra di calcio con il più alto numero di
scudetti in bacheca e più tifosi al seguito.
Quelli che non tifano Juve
generalmente la odiano senza riserve e a volte senza pietà.
Preso uno a uno, adesso, è difficile trovare un anti juventino
che sottoscriverebbe certe scelleratezze. Ma fino a ieri nelle
curve ostili ai cosiddetti "gobbi" era ancora molto in voga una
filastrocca tetra costruita sulla musica d’una canzone di Vasco
Rossi: "Cosa succede, cosa succede a Bruxelles / son trentanove,
sì, i morti dell’Heysel / guarda lì guarda là che cimitero /
guarda lì guarda là è tutto bianconero". Ladies and gentlemen:
Juventus-Liverpool. Quarti di finale di Champions League. Questa
sera, in casa dei Reds, a vent’anni dall’Heysel. Le due società
di calcio sono amiche. I tifosi inglesi si preparano a
commemorare la strage del 1985 innalzando stendardi con i colori
dei loro avversari, striscioni di benvenuto. Addirittura
l’organizzazione d’una partita di calcio tra rappresentanze di
supporter rivali. Segnali di pace che in verità si ripetono da
due decenni. I Reds sono cambiati, assicurano. Estirpato ogni
residuo di teppismo perfino dalla curva Kop dell’Anfield Road,
la terrazza degli ultras così chiamata in ricordo dell’omonima
collinetta sudafricana per conquistare la quale nel 1909,
durante la guerra contro i boeri, l’esercito inglese sacrificò
un reggimento composto da centinaia dei suoi migliori soldati di
Liverpool. Dopo l’Heysel il calcio inglese è cambiato. Le
squadre d’oltremanica si sono prese cinque anni di squalifica e
il governo di Margaret Thatcher ha preteso di sradicare il male.
Nell’86 è stata approvata la prima legge sul calcio - il "Public
Order Act" - a cui sono seguiti altri sette pacchetti
legislativi anti-hooligans. L’ultimo è dell’agosto 2000, nato
all’indomani delle violenze elargite dagli inglesi agli Europei
in Belgio e Olanda: il "Football (Disorder) Act" grazie al quale
la polizia può togliere il passaporto a un sospetto hooligan
prima di una gara internazionale. Nell’86 la polizia ha preso a
tappezzare di telecamere stadi e dintorni, identificando i
violenti, pubblicandone le foto sui giornali e, soprattutto,
mettendoli in galera per lunghi periodi quando venivano
arrestati. Ha funzionato: da anni l’Inghilterra guida la
classifica delle presenze allo stadio per la massima serie. Gli
impianti britannici in questi anni sono stati pieni ben oltre il
90 per cento della loro capienza, per un quinto di donne.
AL BAR DEI FIGHTERS, SILENZIO
- Al bar dei Fighters, il Black&White di Torino, nei giorni
scorsi nessuno ha voluto parlare con i giornalisti. Il gruppo
storico degli ultras juventini ha riunito appositamente il suo
direttivo per discutere delle troppe richieste d’interviste,
testimonianze, rivelazioni reclamate dalla stampa. Niente. Non
si fidano. Adesso sono quasi tutti a Liverpool. Quasi perché
molti di loro, con altri ultras di altri gruppi della ex curva
Filadelfia, oggi chiamata Scirea, sono stati diffidati per via
degli scontri con i tifosi del Parma scoppiati al Tardini
qualche mese fa. I più grandi la memoria dei Reds e di quella
notte dell’85 non l’hanno persa. Ma rievocarla pubblicamente
neanche a pensarci. L’anagrafe dice che anche a Torino le cose
sono cambiate. La maggior parte dei bianconeri giovani e la
parte influente dei veterani non coltiva desideri di vendetta.
Meno che mai a Liverpool dove anche volendo far casino nulla è
più possibile per via della supremazia scientifica della polizia
britannica. Tutti sanno però che a Torino, nella gara di
ritorno, può essere diverso. Non sarà impossibile arrivare a
contatto con i Reds. Anche con quelli oggi addomesticati e non
violenti, se è vero che per forza di cose fra loro si nasconderà
qualcuno presente a Bruxelles quella maledetta sera di vent’anni
fa. Ciò che i gruppi organizzati bianconeri non espongono in
pubblico è argomento di dibattito nei cosiddetti "muri" dei loro
siti internet. Spazi aperti in cui si mescolano ricordi e timori
e rancori. In una di queste improvvisate curve telematiche c’è
uno che si firma Buong1980 e scrive: "Sono fermamente contrario
a ogni forma di violenza gratuita, ma è anche vero che questa
forma di reazione, primitiva quanto si vuole, fa parte
dell’essere umano. La verità è che tanti di noi sono caricati a
molla e da troppo tempo aspettano questa partita per gridare in
faccia agli orridi rossi una rabbia che non si è mai sopita.
Pensate forse che da Liverpool scenderanno agnellini con il capo
cosparso di cenere ? Perché non vi fate un giro sulle rive del
Mersey ? Entrate nei pub dove si ritrovano e sentirete che si
stanno preparando per quello che reputano un gran divertimento".
Gianluca70 aggiunge su un altro muro: "Sputate in faccia a chi
vi parla di pacificazione, di gemellaggio, di perdono. Voi
perdonereste chi ha ucciso in modo vigliacco vostro padre o
vostra sorella ? Se la risposta è sì, mi chiedo che cazzo di
uomini, prima che tifosi, siete ! Solo la Juve". Un Gennaro
replica: "Io non ricordo per quanto tempo ho avuto gli incubi
nei mesi successivi all’Heysel. Sono per la non violenza ma
spero che non facciano nessuna provocazione altrimenti molta
gente tranquilla come me potrebbe trasformarsi. Forza Juve". Un
anonimo aggiunge: "Scusate ma come cazzo fate a dire che gli
inglesi che verranno a Torino non sono gli stessi che erano a
Bruxelles ? Io vent’anni fa c’ero. Non vedo perché non debbano
esserci anche loro". Gli ultras confessano fra di loro d’aver
ricevuto qualche richiesta da parte di colleghi "turisti della
violenza". Parlano di "messaggi da parte di ultras italiani che,
a titolo personale, hanno espresso il desiderio di essere a
Torino quando si giocherà il ritorno".
L’ARTE DI CONQUISTARE,
CARICANDO - Vent’anni fa a Liverpool era un’altra
storia. La stessa memoria scolorita dei Beatles, le stesse
fabbriche di oggi, il cielo scuro, il porto sul fiume Mersey, i
quartieri degradati della working class e le Trade Union piegate
dalla donna che un giorno metterà sotto il tacco anche gli
hooligans, Margaret Thatcher. Nel bacino industriale
d’Inghilterra, tra Liverpool e Manchester, in quegli anni la
precarizzazione del lavoro imposta dal governo conservatore non
aveva ancora prodotto l’economia più dinamica d’Europa. Aveva
semmai inaugurato nuove povertà e rinnovato vecchie incazzature.
Ma ad allietare i pomeriggi sul fiume Mersey c’erano i
calciatori e i racconti delle battaglie ingaggiate dai tifosi
con gli altri hooligans inglesi o in giro per il continente.
Perché allora, siamo nei promettenti anni 80, i Reds dominavano
in patria e all’estero, sui campi di gioco e sugli spalti. Da
poco tempo, poi, nelle curve degli stadi britannici aveva
trovato casa un ribellismo pazzoide devoto al "take the end",
ovvero l’arte di conquistare caricando in massa il settore
occupato dalla tifoseria avversaria. Non si trattava di
battaglie d’avanguardia, ma di scontri rugbistici in cui
essenziali erano i centimetri di terra che si riuscivano a
strappare al nemico e i danni inflitti a corpi e tribune. Non
mancavano neanche i coltelli: alcuni tifosi londinesi del
Chelsea erano famosi per condurre assalti armati coi bisturi,
altri dell’Everton, noti come "gli sfregiatori", non si recavano
mai allo stadio senza avere in tasca le lame Stanley. Gli
hooligans del Liverpool non passavano per delinquenti troppo
raffinati. Forti del gran numero di supporter in mezzo ai quali
potevano mescolarsi durante le trasferte, quando non era in
questione lo scontro con gli avversari per lo più si dedicavano
al teppismo spicciolo, praticato se possibile da sbronzi.
Vetrine sfasciate, negozi saccheggiati e negozianti malmenati.
Il 6 marzo 1985, a Vienna per l’andata dei quarti di Coppa
campioni, avevano svaligiato due gioiellerie, una in periferia
l’altra in pieno centro. Bottino: 270 milioni di vecchie lire.
LO STADIO INSOPPORTABILMENTE
OBSOLETO - La Juventus arrivò alla finale di Bruxelles
rilassata quanto i suoi tifosi, dopo sette giorni di ritiro
vicino al lago di Ginevra, in uno dei quali a giocatori e
dirigenti capitò pure d’essere trasportati in torpedone fino
alla residenza dei Savoia per stringere uno alla volta la manina
bianchissima di un ragazzino in giacca blu col colletto alla
coreana e i capelli biondi pettinati da una parte: Emanuele
Filiberto (ci guadagnarono una foto autografata dell’allora
esule principino). L’appuntamento con la prima Coppa dei
campioni della storia bianconera era per le 20.30 di quel
mercoledì 29 maggio. L’Heysel, un tempo giudicato assai bello,
nell’85 era insopportabilmente obsoleto: capace di 60 mila
spettatori, tribune e distinti completamente coperti al
contrario delle due curve in terra battuta con gradini sorretti
da pietre malferme che costringevano gli spettatori a stare in
piedi. Intorno al prato, la pista d’atletica. Lo stadio di
Bruxelles era alla sua quarta finale: nella prima, quella del
1958, gli spettatori avevano visto per la prima volta proiettati
sul terreno i riflessi notturni di diamante provenienti
dall’Atomium, la struttura a palle d’acciaio creata per
l’Esposizione universale. Franco è un imprenditore torinese di
42 anni. Vent’anni fa, ragazzino, partì per Bruxelles con suo
padre e alcuni amici in pullman, in tasca il biglietto del
settore riservato al tifo organizzato bianconero. "La giornata
era stata piacevole. Arrivati in mattinata, abbiamo girovagato
per ore nel parco accanto all’Heysel. Tra italiani e inglesi non
c’erano problemi, si familiarizzava. Ma quando i belgi aprirono
lo stadio, saranno state le 17, cominciarono i problemi. La
calca iniziale si creò lungo una rete metallica da pollaio
antistante i due soli e minuscoli cancelli dai quali i
poliziotti pretendevano di far passare uno alla volta migliaia
di tifosi della Juve. La rete crollò presto mentre i cavalli
della gendarmeria, imbizzarriti, scalciavano in mezzo alla folla
e provocavano i primi feriti trasportati in ospedale con la
mandibola fratturata". Franco è stato tra i primi bianconeri a
entrare, "sconcertato dal fatto che i tifosi del Liverpool
fossero già per la gran parte nella curva opposta alla nostra,
come se nessuno li avesse messi in fila e perquisiti". Nel
settore contiguo a quello occupato dai Reds, il settore Zeta,
cominciavano ad affluire i sostenitori della Juventus partiti da
Torino senza biglietto. Quelli che il biglietto l’avevano
acquistato direttamente allo stadio, magari dai bagarini. Tifosi
comunissimi, che sarebbero entrati a sedere dove capitava,
lontano dagli ultras bianconeri, in mezzo a chiunque. Per vedere
la partita. Così hanno fatto.
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Che cosa resta dell'Heysel, trent'anni dopo. Prima del viaggio
per Bruxelles i tifosi perbene del Liverpool, la maggioranza,
avevano nominato alcuni delegati speciali che collaborassero con
la polizia belga per isolare i teppisti. Un tifoso buono ogni 50
che partisse con gli altri e s’aggirasse poi per la città con
abiti color arancione e la scritta "steward" sulla schiena.
Nella notte tra il 27 e il 28 maggio i primi insuccessi: gli
hooligans del Liverpool in viaggio per l’Heysel aggrediscono,
picchiano e derubano un abitante di Ostenda, nel Langesraat.
Episodi minuti di delinquenza si moltiplicano a Bruxelles quando
la massa dei tifosi inglesi occupa la Grand-Place e lì
stabilisce il proprio accampamento. Il 29 maggio al centro di
Bruxelles va in scena un mondo diverso da quello sereno visto
nel parco accanto all’Heysel. In pieno centro della città, nel
primo pomeriggio, ore 15 e 40, c’è un inglese che agonizza in
terra. Accoltellato, morirà in ospedale ventiquattr’ore dopo. E’
successo che in questo quartier generale messo su dai britannici
nella Grand-Place sono transitati gli autobus italiani diretti
allo stadio. Dall’accampamento dei Reds sono volati insulti e
bottiglie di birra contro i bus degli Juve Club, quelli delle
famiglie, dei tifosi normali. Fin qui solo paura. Con gli ultras
bianconeri non è andata così. Loro hanno fermato l’autobus, sono
scesi, hanno picchiato. Qualcuno ha tirato fuori i coltelli. Nel
frattempo ci si scontrava vicino alla Gare du Nord, nei pressi
del quartiere a luci rosse e per le vie intorno al centro.
Qualche hooligans ha trovato pure il tempo per la tradizionale
rapina alla gioielleria, quella in rue au Beurre. E dire che
nonostante qualche incidente episodico a Torino durante gli
Europei del 1980, la curva juventina si era spesso distinta per
un atteggiamento filo-inglese. In quel periodo uno dei capi dei
Fighters, con la fissa del tifo british, aveva tentato di
trasformare la Filadelfia in una sorta di stand da squadra
britannica: niente coreografie straccione né tamburi, solo cori
e battimani. Per di più, con quelli del Liverpool gli juventini
erano quasi amici. Il 16 maggio dell’84, a Basilea, in occasione
della finale vittoriosa di Coppa delle coppe, i tifosi di Torino
avevano dedicato l’ultimo coro, si dice il più imponente, ai
Reds che un paio di settimane dopo sarebbero andati a giocarsi
la Coppa dei campioni a Roma contro l’odiata (dai bianconeri)
Roma di Dino Viola. Si sa come finì: il Liverpool vinse ai
rigori, i tifosi inglesi le presero in tutti i modi, coi sassi e
coi coltelli e, prima e dopo la partita, per le vie della
capitale fu caccia al suddito di Sua Maestà. Uno lo beccarono da
solo vicino a un pub del centro e lo accoltellarono più volte:
uscì dall’ospedale solo dopo qualche settimana passata tra la
vita e la morte. Gli inglesi giurarono vendetta. E un assaggio
di vendetta qualcuno se l’aspettava già nel gennaio dell’85,
quando Juventus e Liverpool si sono incontrate a Torino per la
Supercoppa europea: gara secca, 2 a 0 per gli italiani (doppio
Boniek). Ma sugli spalti e fuori dal Comunale nulla o quasi di
spiacevole.
GLI
ASSALTI, CINQUE - Il mattatoio di Bruxelles apre
intorno alle 19. I poliziotti belgi che hanno appena abbandonato
i cancelli dello stadio si schierano nel prato, attorno al campo
ce ne sono altri 60. A far da muro nel settore Z, tra hooligans
e tifosi bianconeri, una decina di agenti che si dissolveranno
all’inizio del casino. Nel tramonto di Bruxelles il cielo è
arancione e le maglie rosse dei tifosi inglesi pronti
all’assalto paiono il veloce crepitio di un legno secco dentro
un falò. La prima ondata, violentissima e allo stesso tempo
armonica, sembra quasi portata dal vento: annunciati da un paio
di fumogeni, nell’aria adesso volano bottiglie, bastoni,
spranghe di ferro e qualche mattone. Gli assalti, cinque, si
susseguono con cadenza ipnotica dal settore Y allo Z, dal punto
più lontano a quello più vicino alla tribuna centrale,
spandendosi come una "ola" allucinata. Gli incursori, secondo i
testimoni, non sono più d’un centinaio: pochi i veri membri
della Kop, che se ne stanno acquartierati in un settore a
qualche decina di metri. Sono quasi tutti hooligans della
nazionale inglese, di Liverpool ma anche di Londra e Newcastle.
Qualche skinheads, forse. La Pravda, citando testimoni oculari,
scriverà di neofascisti del National Front che guidano
l’attacco. Questi dirigono con esperienza, gli altri seguono
senza metodo, ebbri d’alcol e di rabbia, eccitati dalla
cedevolezza degli juventini, non ultras appunto, tifosi
dell’ultimo minuto, cani sciolti, padri e figli insieme, come i
Casula che stanno per finire stesi l’uno accanto all’altro sul
piazzale dello stadio. Si va avanti così già da qualche minuto:
carica dei reds, breve ritirata, la polizia inerme.
Bianconeri in fuga. Quelli che
cercano la fuga addossati al muretto alla base del settore Z
sono troppi. Il muretto crolla e loro cadono per 15 metri, altri
continuano a correre e altri ne cadono. Altri ancora continuano
a fuggire e si calpestano l’un l’altro prima che a passeggiare
sulla testa dei caduti siano gli hooligans. Molti si mettono in
salvo e racconteranno. Quelli rimasti a terra finiscono
soffocati, schiacciati o carne straziata dalla rete di
recinzione in ferro. Allo stadio arriva la macchina
dell’avvocato Agnelli. Con lui ci sono Henry Kissinger e Jacques
Delors. Gli dicono quello che è successo. Se ne va. Suo figlio
Edoardo invece sta in mezzo al prato, stordito a guardare i
cadaveri, il volto senza espressione. Lo caccia via il
presidente della squadra, Giampiero Boniperti, urlandogli di
togliersi dalle palle, di andarsene negli spogliatoi. Il primo
ferito entra nell’infermeria dello stadio alle 19 e 17: ha la
maglia numero 9 di Paolo Rossi e un taglio profondo sopra
l’occhio destro. Dopo 13 minuti nei sotterranei di spazio non ce
n’è più. Morti e feriti stanno stesi appena fuori dall’impianto,
davanti alle tribune D e F: i medici usano le transenne come
barelle, improvvisano tracheotomie (e sui segni nella gola delle
vittime sta per nascere la leggenda dei tifosi juventini
sgozzati dagli hooligans con le bottiglie rotte o con rasoi).
Tra le prime salme a essere portate via quelle di due bambini,
poi due adulti con la gola aperta.
Moriranno pure due francesi:
Jacques François, quarantacinquenne impiegato delle poste nella
regione di Lille, e Claude Robert, di 27 anni, ferroviere della
Loira.
"UNA SITUAZIONE PARADOSSALE"
- Dall’altra parte dello stadio, nel settore degli ultras della
Juve, i Fighters e quelli della Gioventù bianconera si buttano
in campo sorvegliati da una schiera di poliziotti a cavallo.
"C’era questa situazione paradossale", ricorda l’imprenditore
Franco: "C’è stato un momento in cui i nostri tentavano di far
capire ai poliziotti che bisognava guardare quel che succedeva
dall’altra parte e quelli non si voltavano nemmeno. La verità è
che, per la polizia, eravamo noi, gli italiani, i delinquenti da
reprimere". Tra gli juventini ancora sono pochi a sapere che
cos’è successo (Franco lo scoprirà una volta risalito sul
pullman), ma qualcuno dalla Z riesce a raggiungere gli ultras e
riferisce. Scatta la reazione. I Fighters e gli altri invadono
cercando lo scontro, ne fanno le spese i tifosi inglesi che si
trovano tra loro e i gruppi organizzati del Liverpool. Alcune
foto ritraggono una decina di ultras bianconeri, spranghe in
mano, a due metri dalle reti di recinzione. Ma la Kop, che aveva
solo assistito al massacro, rifiuta di scontrarsi e ignora
platealmente le provocazioni. Nemmeno quando gli juventini
espongono uno striscione con su scritto "Reds animals" (a
dimostrazione che la tentazione di misurarsi con i maestri
britannici l’hanno avuta eccome). E’ a questo punto che Umberto
Salussoglia, studente torinese di 22 anni, tira fuori la sua
scacciacani ed esplode qualche colpo in direzione dei tifosi
inglesi (lo arresteranno grazie a un filmato della Itv). Intanto
i Fighters arretrano sotto la carica della polizia a cavallo
belga. Passa un’ora e la voce irriconoscibile di Gaetano Scirea,
il capitano, annuncia che la partita si giocherà "per consentire
alle forze dell’ordine di organizzare l’evacuazione del
terreno". Quando inizia la gara, alle 21 e 41, c’è sangue
intorno al campo e sulla pista di atletica e poliziotti a
cavallo che roteano i manganelli e una fila di agenti che separa
le due tifoserie nel settore Z, irriconoscibile come dopo un
attentato. In sala stampa i giornalisti chiamano a casa le
famiglie dei sopravvissuti per tranquillizzarle. Sugli spalti
c’è Gianni Brera: "Poiché si gioca, mi tocca guardare". "Quando
al circo muore il trapezista, entrano i clown" (Michel Platini).
PER
LA CRONACA - C’è chi come Boniperti dice che fu una
partita vera. Per la cronaca la Juve segnò al 57° su un rigore
inesistente fischiato dall’arbitro svizzero Daina: Zibi Boniek
fu atterrato nettamente fuori area. Segnò Platini e il risultato
non si mosse più. Il 29 maggio 1985 la Juventus vinse la sua
prima Coppa dei campioni, giocatori e buona parte del pubblico
esultarono ignari dei fatti. All’aeroporto di Torino, il giorno
dopo, Sergio Brio scese dall’aereo sventolando il trofeo, ma per
gli ultras bianconeri niente è stato vinto nella notte
dell’Heysel: semplicemente non è un successo nulla di cui ci si
possa vantare. La prima occasione di vendetta per gli juventini
capitò ai Mondiali del ’90 in Italia. Gli inglesi furono
aggrediti ovunque li avessero confinati gli organizzatori: in
Sardegna (dove le sezioni locali di ultras bianconeri hanno un
certo peso), a Bologna e, infine, a Torino. Gli hooligans erano
accampati al parco del Valentino, uno spazio verde abbastanza
centrale. Nonostante lo schieramento notevole di forze
dell’ordine, un centinaio di ultras - in parte anche torinisti,
caso eccezionale - attaccarono le tende degli inglesi con le
molotov in piena notte, inseguirono quelli che scappavano e i
più lenti finirono accoltellati. Da allora in poi è stata sempre
dura per i tifosi inglesi che si sono trovati a passare da
Torino, una delle poche città al mondo in cui perfino i tifosi
del Manchester, se vogliono farsi una passeggiata, nascondono
sciarpe, magliette e bandiere e fanno i turisti. Ma non c’è
soltanto Torino nella geografia della vendetta in bianconero:
anche nelle più recenti partite giocate dal Liverpool contro la
Roma, gli ultras bianconeri della capitale hanno organizzato la
caccia all’inglese per i pub del centro.
C’è un ultimo evento
fondamentale nell’elaborazione del lutto juventina: prima della
semifinale di Coppa d’Inghilterra del 1989 a Sheffield, dopo una
carica, oltre 90 tifosi del Liverpool muoiono schiacciati contro
le recinzioni che impediscono al pubblico l’accesso al campo.
Quelle recinzioni imposte per legge dalla Thatcher proprio dopo
i fatti dell’Heysel. A molti juventini è sembrata una vendetta
divina, sintetizzata in uno striscione apparso giorni dopo in
curva Filadelfia: "Caduti di Bruxelles, Sheffield vi ha reso
giustizia".
"NON
ME LA SCORDERÒ MAI" - Dice ancora Franco: "Io ricordo
ancora oggi benissimo quella serata, non me la scorderò mai. Mi
ricordo piazza Castello piena al ritorno. Se la partita di
stasera mi provoca particolari emozioni ? Direi di no. Può
essere però un’occasione buona per riparlare di quella notte
lì". Nel forum telematico degli ultras juventini è stato da poco
scoperto un deficiente italiano che istiga alla violenza
firmandosi LFC (Liverpool Football Club).
Scriveva cose incommentabili
tipo "We will kill you. We killed you and we will do it again".
Cose sempre incommentabili e
sgangherate tipo "Heysel 1985: 39 italians dead halleluyah !
We are animals and we will
fucking kill you again. We’re gonna take no prisoners". Ad
accorgersi che si trattava di un demente, nella migliore delle
ipotesi, sono stati anche quelli del Liverpool. Che hanno
corretto in un inglese credibile e traducibile così: "Non
vogliamo altri guai, vogliamo che venga giocata una partita
corretta e nel giusto spirito. Vi accoglieremo cordialmente
all’Anfield e vi preghiamo di fare lo stesso con noi a Torino.
Onoreremo coloro che persero la vita vent’anni fa. E vi
elimineremo lealmente dalla Champions".
5 Aprile 2005
Fonte: Ilfoglio.it
ARTICOLI STAMPA e WEB 5.04.2005
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