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ARTICOLI 1985 (Riviste Sportive)
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ARTICOLI STAMPA (Guerin Sportivo - Hurrà Juventus - Master)
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GIUGNO 1985

ARTICOLI STAMPA "Guerin Sportivo" GIUGNO 1985

Olocausto

La partita della morte

I giorni dell'ira e del dolore

La calata dei barbari

Una vittoria, un incubo

Perdonateci

Da Liverpool: pochi assassini contro una città e una squadra

Orrori e lacrime da non scordare

La Juve ha gioito ? È nella logica

L'ora del dilettante

Arancia meccanica

Inglesi cancellati dal calcio

ARTICOLI STAMPA "Hurrà Juventus" GIUGNO 1985

Hanno scritto in tanti

Vincere diventò un dovere

Il dovere di giocare la partita la cosa più pulita e più morale

Dopo Bruxelles ecco l'Italia del blabla e chi finisce sotto accusa ? La Juventus

Quando vincere è un dovere doloroso ma luminoso

ARTICOLI STAMPA "Master" GIUGNO 1985

Animals (Dossier Heysel)

BRUXELLES  29 MAGGIO / LA COPPA INSANGUINATA

Un gruppo di criminali di Liverpool ha tramutato in tragedia la finalissima fra i "reds" e la Juve bruciando decine di vite sull'altare dello sport.

OLOCAUSTO

di Italo Cucci

La strage dell'Heysel deve insegnare molto anche al calcio italiano. Le responsabilità degli Inglesi, dell'UEFA, degli organizzatori e della polizia del Belgio. È giusta la punizione dei club inglesi innocenti ? La Coppa deve restare a Torino: con l'impegno di rivincerla subito.

I giorni che passano sembrano allontanarci dalla tragedia di Bruxelles, ma gli occhi e il cuore la trattengono, rifiutando d'accostarsi ancora al calcio, allo sport che ha rallegrato tanti anni della nostra vita. Il compiacimento tante volte esternato d'essere testimoni d'un mondo diverso, negato alle quotidiane amarezze dell'esistenza, forse infantile perché legato a un gioco dato più agli innocenti entusiasmi che alle passioni bestiali, quella sorta d'orgoglio che ci ha nutrito negli anni s'è spento nell'allucinante serata dell'Heysel quando abbiamo ritrovato orrori e lacrime dimenticati e il senso d'inutilità del nostro sogno. Non vi dirò - altri lo faranno - lo sgomento di quelle lunghe ore d'assedio in uno stadio in cui s'era aperta una voragine d'inferno; non mi dilungherò sulle visioni atroci offertesi ai miei occhi quando ho intuito che dalla massa terrificata del settore Z doveva essersi librata la morte e sono andato a cercarla fra corpi smembrati e feriti, fra volti spentisi in una maschera di paura, fra le lacrime mute o disperate dei sopravvissuti che invocavano vita per gli amici o i parenti massacrati. Le ore trascorse da quella sera non hanno lenito il dolore ma attenuato l'ira e l'odio.

Ho odiato con tutte le mie forze l'orda selvaggia di Liverpool, quei lupi ubriachi che si sono gettati con furia sanguinaria sugli agnelli indifesi del maledetto settore Z, tutta gente tranquilla, estranea alle ben note risse del calcio, desiderosa solo di vivere qualche ora di svago. Ho odiato l'imbelle, impotente e arrogante polizia belga che, incapace di prevedere il pericolo costituito dai "reds", s'è disfatta nel caos ai primi incidenti, ha voltato vilmente le spalle agli "animals" scatenati, è risultata pressoché nulla nell'opera di soccorso, ha esibito una grinta da operetta nel tentativo di riprendere il presidio del campo, ha dovuto chiedere infine ai calciatori della Juve e del Liverpool l'agghiacciante esibizione dell'Heysel per evitare una più grande carneficina. Voglio dire a chi non c'era e tuttavia ha straparlato, ha sentenziato, ha criticato sciorinando accenti demagogici e imbecilli: tacete, voi che non c'eravate, voi che non avete vissuto quelle ore di paura, voi che non potevate capire quale rabbia omicida stesse montando fra le migliaia di italiani confinati nella curva juventina, gente che avrebbe certo spazzato via dall'Heysel, dai suoi dintorni, i "reds" vigliacchi, aggiungendo strage a strage. E invece, grazie a Platini e a Grobbelaar, a Cabrini e a Wark, a tutti quei ragazzi che sono scesi sul tappeto sconsacrato dell'Heysel, la paura s'è spenta, altre ansie - magari incoscienti - si sono accese, e nuovi sorrisi - ancorché folli - sono tornati sui volti della gente. E alla fine, quasi per miracolo, come esorcizzati dallo stesso nostro odio, gli "animals" sono scomparsi. Mentre la Juve improvvisava un macabro trionfo essi venivano rigettati verso la Manica, verso una sicurezza che forse non meritavano e che comunque oggi ci fa sentire più sereni. Perché l'ira selvaggia ch'era anche in noi, l'odio ch'era pronto ad esplodere in gesti inconsulti hanno lasciato il posto al ragionamento. Non alla rassegnazione, ma all'umana compostezza che vuole preghiere per i morti e per i vivi, e respinge la vendetta anche se non è subito disposta al perdono.

Noi vogliamo soprattutto capire, e quello che non possiamo cogliere dalla bestialità di quel branco di liverpudiani ubriachi dobbiamo cercarlo in noi stessi. Quelli sono criminali incalliti, tristemente noti in Inghilterra e in Europa; noi siamo vittime non del tutto innocenti, colpevoli comunque di avere accettato il confronto con fanatici notori, illusi di poter chiudere una sfida con novanta minuti di gioco. Le vittime innocenti sono soltanto quelle che da qualche giorno giacciono sotto terra dove le ha accompagnate lo strazio dei famigliari e degli amici. Noi abbiamo ancora qualcosa da dire, qualche esame di coscienza da fare, qualche angolo dell'anima da ripulire dalle scorie lasciate dalla lunga abitudine alla violenza, dall'illusoria speranza in un calcio migliore, Illusoria perché lo abbiamo veduto crescere nell'infamia di un tifo assurdo, volgare, demente, dato sempre più a una ritualità funesta, fatta di teschi e di insegne terribili, di slogan criminali, di invettive disumane, di cerimonie al limite della follia, le stesse che fanno imbrattare i muri con frasi che recano scherno ai morti dell'Heysel ed esaltano oggi Bruxelles contro quei fanatici juventini che ieri esaltavano Superga. Per questo, fermi in una calma mortale, vorremmo che all'improvviso sparissero dai nostri stadi le insegne di un tifo folle, paranoico; e non ci accontentiamo di sognarlo: lo pretendiamo da quei dirigenti che, negli anni, come apprendista stregoni, hanno lasciato che la follia si scatenasse fino a risultare impotenti al momento di imbrigliarla, soggiogarla. Lo pretendiamo dalla Federazione, dalla Lega, dalle società che, tutte, oggi, devono adottare i morti di Bruxelles e rendergli omaggio mutando d'acchito la tendenza allo scontro fisico dei rispettivi tifosi, riconducendoli al rispetto se non all'amore per questo sport che sentiamo profondamente nostro non per l'agonismo o l'aspra rivalità che produce, ma per il senso di felicità che sapeva trasmettere insieme all'ammirazione e a quella sorta di innocente idolatria per i campioni che ci faceva essere tutti ragazzi anche se coi capelli imbiancati dal tempo.

Esaminando noi stessi, finiremo per essere utili anche agli altri, in particolare a quegli inglesi che oggi sono sopraffatti dalla vergogna e credono di poter curare il morbo che dilania la loro vita sportiva serrandosi in un angolo, negandosi l'Europa e le antiche sfide che hanno fatto grande il calcio. Certo, comprendiamo lo spirito che ha partorito l’autopunizione della federcalcio inglese; ma non crediamo sia giusto gioire come di una vendetta subito ottenuta: temiamo anzi sia solo motivo di vanto per quelle decine o centinaia di criminali di Liverpool che oggi possono andare fieri d'un altro risultato: sono riusciti a mettere in ginocchio la fiera Inghilterra madre del football; se ben conosciamo quella gentaglia, oggi può menar vanto di avere vinto la sfida di Bruxelles perché nelle loro menti bacate trova più significato una strage di "nemici" che un gol preso. Avere negato al calcio inglese il contatto con l'altra Europa è come aver assegnato a quei fanatici una medaglia. Il calcio, che si è dato leggi secondo le quali si è ben governato in circa un secolo di vita, attraverso queste leggi doveva punire soltanto il Liverpool oggettivamente responsabile dei suoi "animals"; il ritiro del "passaporto" all'Everton e agli altri club riporta indietro non solo tutta l'Europa calcistica ma anche quel grande paese sognato che doveva sorgere sull'abbattimento dei confini e dei nazionalismi e crescere nell'idea partorita dalla pace conquistata nel 1945. Vedete quanto può portare lontano una partita di calcio: non per mero idealismo ma per amore di una sicura fratellanza fra i popoli. Le lacrime dei ragazzi di Fagan nella cattedrale di Liverpool sono vere come quelle che noi abbiamo versato per le vittime dell'Heysel.

Mi sento anche di respingere - a mente fredda - il ruolo di giudice assegnatosi dall'UEFA. Se la mano omicida è stata quella degli "animals" di Liverpool, la mente idiota che ha favorito il massacro è senza dubbio quella dell'ente calcistico europeo affidatosi alla federazione belga senza pretendere il controllo della sua organizzazione, apparsa colpevole fin dalla lontana vigilia, quando ha saputo interpretare soltanto un ruolo burocratico, mancando d'intelligenza e di ogni forma di prudenza. Mentre il signor Millichip, presidente della federazione inglese, comunicava la dura decisione di ritirare le proprie squadre dalle competizioni europee, l'intero gruppo dirigente dell'UEFA doveva dimettersi, imitato dalle autorità calcistiche e dai responsabili dell'ordine pubblico del Belgio. Tutti costoro - ripeto - sono più colpevoli della strage di Bruxelles di quanto lo sia il calcio inglese.

In Italia questo doveva essere preteso, dai governanti del calcio come da quelli del Palazzo: si è invece preferito moraleggiare sul piccolo e stupido trionfo improvvisato all’Heysel dai giocatori della Juve, sicuramente stravolti dalla terribile vicenda di cui erano stati testimoni: o sulle ancora più stupide feste dei tifosi di casa nostra, che peraltro conosciamo da sempre e siamo pronti a strumentalizzare quando con caroselli o altre dimostrazioni di fanatismo "celebrano" le glorie patrie. In molte altre occasioni - lascio a ciascuno intendere quali - migliaia di italiani dimostrano immaturità e stupidità. Il calcio, ahinoi, ne ha allevati tanti, spesso con la complicità di quei potenti che dalla stupidità attingono forza. Piuttosto che rivolgersi ai veri colpevoli della strage pretendendo giustizia per i poveri morti di una triste giornata di maggio, si è preferito infierire sul trofeo ch'essi stessi erano andati a cogliere nello stadio di Bruxelles. Resti pure, quella Coppa dei Campioni, tra i trofei della Juventus: certo non le darà nuova gloria o felicità, speriamo invece che le dia l'energia, la determinazione sportiva, di riconquistarla fra un anno: solo una Coppa cosi, più vera, potrà essere dedicata al piccolo Andrea Casula e agli altri trentuno italiani che non sono più tornati dallo stadio di Bruxelles e sono stati portati sul freddo marmo di un obitorio coperti di bandiere e di sciarpe bianconere. Oggi piangiamo per loro. Ma non rinneghiamo la passione per il calcio e sogniamo il giorno in cui potremo tornare a sorridere.

4 giugno 1985

Fonte: Guerin Sportivo n° 23

ARTICOLI STAMPA "GUERIN SPORTIVO" GIUGNO 1985  

La partita della morte

di Marino Bartoletti

BRUXELLES - Nel derby del dolore anche la Juventus ha ora le sue stimmate di sangue. Maggio 1949, Superga: il cielo si abbatte sul Grande Torino e lo rapisce ai suoi tifosi e al mondo. Maggio 1985, Bruxelles: la follia omicida di una barbara orda di inglesi e la criminale inefficienza della polizia belga macchiano coi colori della tragedia quello che doveva e poteva essere il giorno più radioso della storia bianconera. E questa volta, a ruoli invertiti, è la squadra - anche la squadra - a piangere chi non c'è più. Mai un sogno era stato così stregato: mai una vittoria così dolorosa. Se, prima di Bruxelles, la Coppa dei Campioni, rappresentava per la Juve e per chi la ama la speranza più bella e più corteggiata: ora, quella stessa Coppa, quella stessa speranza realizzata, si sono trasformate in una maledizione. La Juventus voleva, inseguiva e meritava una gioia: ha ottenuto una gioia oscurata da trentotto croci. Una "gioia" che, per assurdo, la angoscerà e la perseguiterà per tutta la vita.

Da che parte si comincia a raccontare una tragedia ? Dalla piacevole – e, a posteriori, assurda - ansia di una vigilia ? Dalla già avvertibile, piccola angoscia che pochi attimi prima dell'esplosione della follia ti fa capire che non stai vivendo un giorno come gli altri ? Dai cinque, lunghi eterni, agghiaccianti minuti in cui la strage si consuma sotto il tuo sguardo e fa sentire colpevole la tua impotenza ? Dal brivido che ti spinge a lasciare il tuo posto e a correre fuori dallo stadio col cuore in gola per esorcizzare una visione di morte che invece apparirà puntualissima ai tuoi occhi ? Dal sangue di un uomo sventrato che è la prima cosa che vedi appena girato l'angolo di quello che dovrebbe essere un tempio della pace ? Dagli occhi lividi e fuori dalle orbite di una donna che fissa senza sguardo il cielo prima che una bandiera bianconera diventi il suo sudario ? Dal pianto di un bambino di nove anni che urla "papà papà" aggrappato ad una barella che sembra una croce ? Dalla paura, sì dalla paura che ti ricaccia sui tuoi passi e ti obbliga a "fare il giornalista" e a correre di nuovo in tribuna a raccontare quello che hai visto e che credi di aver sognato ? Dallo sgomento che ti attacca il ventre e il cervello mentre ti aggrappi ad un telefono per raccontare cose che non tutti sono tenuti a credere o a capire ? Dal dovere "professionale" che ti impone lucidità e buon senso, ma che poi ti spinge addirittura sul campo per vedere in faccia gente scampata alla morte o atleti che, sulla porta degli spogliatoi, ti interrogano con gli occhi sbarrati dall'incredulità ? Da una partita di calcio che si svolge davanti a te come una macabra rappresentazione in play back ? Da una Coppa levata al cielo come il calice dell'Offertorio ? Dal pianto di chi incontri nella notte che non trova più il fratello, l'amico, il compagno di viaggio, e che ti si aggrappa alle braccia finendo solo col far sentire ancor più grande la tua inutilità ? Dalla compagnia di pensieri che lassù, sullo stesso aereo che credevi di aver preso per vivere un'avventura di gioia, ti martellano la mente nel groviglio dei "perché" ? Dall'incredulità di chi interroga quando arrivi, dal dolore che trovi e che tu hai ormai quasi consumato, dallo sbigottimento che la moviola dei ricordi ti distilla goccia su goccia, momento su momento ? Dunque - allora da che parte si comincia a raccontare una tragedia se nemmeno tu hai capito "quando" l'hai vissuta di più ?

IL SETTORE Z. Stadio Heysel, ore 19 di mercoledì 29 maggio. Manca poco più d'un’ora all'inizio della partita. Gli spalti non sono ancora gemiti, anche perché gli inglesi che "filtrano" gli spettatori sono incredibilmente pochi. Anzi, "stupidamente" pochi: perché servono solo come ottuse strozzature e non - caso mai - come utili posti di controllo. I tifosi italiani, in una proporzione di sei a uno rispetto agli inglesi, entrano nella quasi totalità allegri e festaioli ovviamente inermi. I fans del Liverpool sfilano aggressivi e spocchiosi con cartoni interi - ripetiamo: cartoni interi - di bottiglie di birra sotto le braccia, molti sono ormai ubriachi fradici. I settori già stipati sono l'intera curva Sud (alla destra della tribuna centrale, quella - diciamo del tifo bianconero organizzato) e i due terzi della curva Nord, ovvero i settori "X" e "Y" interamente occupati dai tifosi inglesi. II tragico settore "Z" non è ancora pienissimo: è comunque, riservato agli italiani per l'esattezza alla parte più "mite" della nostra spedizione, ovvero ai gruppi di avventizi del tifo che hanno unito l'occasione della finale alla possibilità di effettuare un'escursione turistica. Ci sono molti nuclei o mini-nuclei famigliari, oltre a qualche italiano in Belgio e ai pochi stranieri presenti. Alcuni spettatori spaventati tentano di barattare (come in preda ad un presentimento) i loro biglietti per non correre il rischio di dover stare vicino agli inglesi. "Ho con me i miei due figli - ci aveva detto poco prima, un signore di Novara - non mi va di pagare 600 franchi per farmeli ammazzare". Nel suo gruppo, quello della "Squirrel Viaggi" di Milano, alla fine della disgrazia ci saranno due morti. Quella mattina, Piero Dardanello, direttore di "Tuttosport", aveva scritto in prima pagina sul suo giornale: "... stasera la grande sfida avrà una cornice certamente inadeguata all'importanza dell'avvenimento... Ciò va a disapprovazione dei dirigenti UEFA, i quali dimostrano di avere una miopia per la quale servirebbero lenti capaci di sopperire a qualsiasi deficienza di diottrie. Essi, infatti, non sono stati capaci di guardare molto al di là del loro naso burocratico...". E Dardanello, parlando di "miopia", ancora non poteva sapere a quali conseguenze avrebbe portato la cecità dei responsabili dell'ordine pubblico. L' "HEYSEL" ha quasi 69 anni e li dimostra tutti. È l'unico impianto in cui in occasione di una finale di Coppa (prima del tragico Juve-Liverpool) già c'era scappato il morto. Le sue recinzioni sono gabbie da polli, i suoi mattoni sono come dei "Lego" friabili asportabili a piacere (e, dunque, potenziali proiettili), i suoi muri sono fragili staccionate. Che "resa" avrebbe avuto, si chiedevano tutti gli uomini di buon senso presenti a Bruxelles, all'impatto con le orde uligane ? Possibile che la polizia o chi per essa non se ne fosse preoccupata ? Possibile che gli agenti - abituati a fare i prepotenti e i duri tutt'al più con i militanti pacifisti della zona - non presagissero il livello di rischio ? Possibile che le scene non ancora preoccupanti, ma già ammonitrici - dei supporters britannici sulla "Grand' Place" non avesse ispirato loro altro sentimento se non la spocchia, l'eccessiva sicurezza e addirittura il sarcasmo ? Possibile che non avessero compreso la disparità di intenti delle due tifoserie ? ORE 19,08. Il settore "Z" ancora non è completamente occupato. Sono vuoti parecchi posti nella zona di confine fra le due tifoserie. O, ancora più verosimilmente, gli italiani si sono già "stretti" verso destra per lasciare almeno uno spazio-cuscinetto fra loro e gli inglesi. Questi ultimi danno ormai da tempo segni di nervosismo, ma sui gradoni non c'è nemmeno un poliziotto: una decina al massimo vigilano (?) al di qua della rete, dentro al campo. I tifosi del Liverpool, ubriachi e impazienti, effettuano una prima provocazione verbale verso gli italiani. Sembra uno scherzo al quale i tifosi juventini rispondono con allegria. L'"arrendevolezza" dei nostri, invece di smontare gli "animals", li aizza. Alle parole fanno seguito i primi lanci di bastoni e bottiglie: la reazione arrabbiata e indignata ma non attiva degli juventini si trasforma per gli inglesi - in un segnale di attacco. La rete da polli crolla alla prima spinta e lascia passare un'avanguardia di commandos. Gli italiani si ritirano. "Hanno paura", dico a Italo Cucci che è vicino a me, senza pensare a quanti rimorsi mi avrebbe poi procurato quella stupida considerazione. Certo: hanno paura. E arretrano, arretrano ancora mentre le orde delle belve avanzano a folate senza che nessuno le fermi. "Ora la polizia interverrà brutalmente", penso e forse dico ad alta voce. In effetti cinque agenti con caschi e manganelli appaiono sui gradoni. Ma sono stuzzicadenti nell'Oceano. È il colpo di grazia per i nostri poveri tifosi che già terrorizzati, già colpiti da spranghe e bottiglie spezzate, già spinti giù dai loro posti, vengono presi dal panico. In pochi secondi nello spazio che potrebbe contenere mille persone si accatastano in seimila. Ed è la fine. Crolla il muro che dà sull'esterno (e forse, per assurdo, è una valvola di sfogo che salva la vita a qualcuno), ma soprattutto si abbatte la recinzione che dà verso lo stadio. Chi non muore calpestato o asfissiato, muore strangolato, squarciato o sventrato contro i montanti d'acciaio o sotto il reticolato. La polizia, ormai abbrutita e inebetita a sua volta dal panico, prende a manganellate i tifosi che hanno realizzato che la loro salvezza può essere solo la fuga verso il terreno di gioco. A questi tifosi vengono opposte le spinte, le percosse e le transenne che poi serviranno da macabre portantine. Non sono neanche le 19 e 15. A un'ora esatta dall'inizio della "partita del secolo" la "tragedia del secolo" è consumata.

Dal groviglio escono le prime barelle: corpi inerti, disarticolati. I giocatori, già concentrati e ormai in partita vedono arrivare i primi feriti (ma non i più gravi, in quanto estratti dalla parte superiore del "mucchio"). Avverto subito la sensazione della tragedia: certo, non il clima da strage che poi tutti vivremo. Mentre scendo di corsa verso l'uscita faccio in tempo a scorgere i primi tifosi "superstiti" che, stravolti, laceri e in lacrime, si avventano verso la tribuna d'onore cercando di raccontare con frasi quasi sconnesse ciò che hanno appena vissuto. Matarrese e Baretti scendono verso di loro e li abbracciano increduli, consolandoli con grande umanità per un "qualcosa" che hanno intuito essere terribile ma che non possono ancora aver focalizzato: i due esponenti della Lega si precipitano a loro volta verso la segreteria per coordinare assieme al Ministro De Michelis un'"azione" d'emergenza. Trovano solo interlocutori altezzosi o non ci viene un sinonimo più aderente - rincoglioniti. De Michelis rischia l'arresto. Baretti si improvvisa questore. Lo, uscendo, incrocio De Mita che sta entrando: vorrei dirgli ciò che ho già visto, ma mi viene - chissà perché - lo scrupolo di aver avuto impressioni abnormi. Il tempo di fare cinquanta metri fuori dallo stadio, verso destra e l'abnormità, l'orrore, la pena - insomma - la portata della tragedia mi appare sotto gli occhi.

È difficile, credetemi, trasmettere le impressioni di quei momenti. Sono "foto" che resteranno per sempre dentro di me e di cui non potrò mai fare o fornire la copia a nessuno. Le immagini, comunque sono quelle mandate in Italia dall'operatore della RAI Isoardi e che tutti avete visto. La mia sfortuna - diciamo cosi - è di averle vissute "dal vivo" e senza sapere (come sarebbe poi accaduto a chi ha guardato i telegiornali conoscendo già la portata dei fatti) che lo "spettacolo" sarebbe stato così agghiacciante, così assurdo, cosi apocalittico. Ho visto morire quattro o cinque persone, ne ho viste agonizzarne a decine, ho visto l'incredulità di chi stringeva mani inerti, ho visto la commovente improvvisazione di chi cercava di rendersi utile, ho visto un medico italiano bestemmiare ed urlare "è impossibile che qui non ci sia un altro dottore ?", ho visto una donna con una maglia bianca comprimere con le mani il ventre squarciato del suo uomo, ho visto la "ragazza dai calzoni verdi" che con l'immagine incredibilmente serena del suo viso ormai spento sarebbe arrivata in tutte le nostre case, ho visto un padre con la testa calva reggere in braccio un ragazzo sicuramente morto, con la bocca segnata da un filo di sangue, ho visto un omone con la barba spirare fra le braccia di un volontario della croce rossa disperato ed estenuato da un inutile massaggio cardiaco, ho visto un cane fare la guardia a un cadavere come se fosse quello del suo padrone. Ho visto il sangue venire verso di me dalla curva della morte come un piccolo torrente: simile a quelli d'acqua piovana che scorrono vicino ai marciapiedi nelle giornate di temporale. Ho visto anche poliziotti - colleghi di quelli che avevo maledetto - tentare commoventi e impossibili respirazioni artificiali. Ho visto ragazzi sfregiati con la testa insanguinata e ne ho provato pena: senza sapere di aver davanti dei privilegiati. Ovvero dei vivi.

Ho visto un uomo disperato che mi ha urlato: "Ho calpestato e forse dato il colpo di grazia a due persone. Ma se salvavo loro morivo io. Sono un assassino ? Mi dica la verità: sono un assassino ?". Un altro mi ha tirato per un braccio riconoscendomi e mi ha detto con la faccia sporca di sangue: "Mi sono salvato a bottigliate in faccia: cioè andavo contro gli inglesi che infierivano su di noi piuttosto che arretrare verso il macello". Ho visto un giovane e bravo collega al suo primo servizio importante, Maurizio Crosetti, sconvolto da quello cui aveva assistito: ma non mi sono certo sentito più forte di lui. Ho visto un altro collega siciliano, capitato per caso nella curva della tragedia, invocare inascoltato l'aiuto di una pattuglia di polizia che forse credeva ancora di essere al cinema. Ho visto un uomo di Arezzo con una borsa piena di giocattoli in mano: erano di un amico che glieli aveva "affidati un momento" che invece avrebbe ritrovato all'obitorio. Ho sentito cento storie di orrore, cento testimonianze agghiaccianti, cento racconti di disperazione. Cucci se n'e accorto ed è sceso a sua volta, con la macchina fotografica in mano - quasi ad avvicendarmi in una via crucis che sarebbe durata per tutta la notte.

Verso le 20 e 30, approfittando del caos più totale in cui lo stadio era precipitato, sono entrato negli spogliatoi assieme a Marco Bernardini di "Tuttosport": e, da lì, sono risalito verso il campo, sperimentando - questa volta - una sensazione nuova. Mescolati a gente spaventata e ad ultras rabbiosi, sbalorditi dal nuovo, inaudito spiegamento di polizia, incuriositi dalla grottesca esibizione di gendarmi a cavallo (più simili personaggi circensi che a tutori dell'ordine) se ne stavano sulla porta degli spogliatoi quasi tutti i giocatori del Juventus. Sapevano e non sapevano: cercavano di interpretare l'accaduto attraverso le concitate testimonianze di chi passava nei paraggi. Dal loro punto di osservazione, fra l’altro, non potevano avere l'esatta percezione di ciò che era accaduto nel tragico settore "Z". Alcuni, comunque, avevano gli occhi umidi e interrogavano il vostro cronista, loro vecchio amico, e si incuriosivano alle sue verità reticenti. Guardavano gli amici e i parenti che stavano in tribuna proprio sopra di loro e si parlavano con gli sguardi e coi gesti. Bonini scuoteva la testa quasi in lacrime. Tardelli taceva, Caricola invitava gli amici ad andarsene. Tacconi si affidava alla testimonia dei tifosi. Cabrini guarda col viso serio e intimidito, Brio confrontava le verità appena apprese con quello gli era stato raccontato. Briaschi sembrava soffrire. Trapattoni entrava ed usciva dal tunnel come un leone del circo spaventato dai riflettori. "Marino, per favore, dai un colpo di telefono a mia figlia che sarà a casa in pensiero". Probabilmente sapeva più degli altri, ma si sforzava – in un supremo sforzo di grande professionalità di mantenere, calma,  lucidità e freschezza. Prandelli, Limido, Bodini in tuta e Koetting in borghese facevano la spola più frequente fra l'esterno e gli spogliatoi. "Non giocate ragazzi, non giocate", urlavano i tifosi. Loro i giocatori, allargavano le braccia. Sicuramente, pur cercando di mantenere la concentrazione, a tutto pensavano, in quel momento, ma non ad una partita di calcio. Pietro Giuliano abbassava gli occhi: "Là in curva c'è anche mio figlio: speriamo bene". Alle nove e un quarto Gaetano Scirea saliva in cabina radio per leggere un messaggio: "Giochiamo la partita "solo" per permettere alle forze dell'ordine di organizzarsi. Non rispondete alle provocazioni. Giochiamo per voi". Venti minuti dopo la partita.

Che cos’è stata quella che si è svolta sotto i nostri occhi ? Una partita di calcio? Un’azione di polizia ? Un omaggio alla tragedia ? Una rappresentazione a metà fra l'autentico e a metà fra il "pratico" ? Non lo sapremo mai. L'abbiamo vista, certo, abbiamo persino annotato le azioni, le parate, le occasioni come si dovrebbe fare in tutte le tribune stampa del mondo. Ma fra noi e il campo c'era un diaframma quasi opaco: sporco di sangue e segnato non tanto dal dolore quanto in quel momento - dallo stordimento. Un appunto sul taccuino e un pensiero altrove: una nota e un momento di mestizia, uno scarabocchio e un attimo di abbandono. La penna scriveva, la mente scappava di qua e di là in un aggroviglio di realtà e di flashback. "Che cosa volete che sia una partita di calcio - aveva detto l'ex legionario Grobbelaar - per uno come me che ha visto la morte in faccia ?". Già: che c'entra il calcio con la morte ? Ventesimo: tiro di Walsh, para Tacconi. Appena fuori dalle mura dello stadio l'Atomium, monumento alla civiltà e al progresso: ma che c'entrano la civiltà e il progresso con le barbarie appena viste ? Trentacinquesimo, ancora una grande parata di Tacconi su tiro di Whelan. "Mi dica: sono un assassino ? Mi risponda la prego !". Dodicesimo della ripresa: rigore su Boniek, segna Platini. Che buffo: in quella stessa porta era finito quattro anni prima un gol di Brio che forse avrebbe garantito la finale a spese delI'Anderlecht. L'arbitro annullò e in molti - noi compresi - ci si indignò. Che rabbia, che vergogna, che tragedia per un gol annullato così ! Rabbia, vergogna, tragedia: ma quando mai impareremo ad usare le parole giuste al momento giusto ? Quant’è costata questa Coppa ? Quanto "vale" questa Coppa ? Che cosa significa questa Coppa ? Che cosa ricorderemo, fra trent'anni, di questa finale di Coppa ? "Io - ha detto Giampiero Boniperti - tornerò ogni tanto ad osservarla nella vetrinetta, ma credo che mi apparirà soltanto l’immagine di uno dei tanti morti che ho visto all'obitorio. L'immagine di un ragazzo di dieci anni, con un fazzoletto bianconero attorno al collo". Quel ragazzo si chiamava Andrea Casula: credeva di essere andato a Bruxelles per vedere una partita di calcio. Aveva torto ?

4 giugno 1985

Fonte: Guerin Sportivo n° 23

ARTICOLI STAMPA "GUERIN SPORTIVO" GIUGNO 1985  

I giorni dell'ira e del dolore

di Paolo Facchinetti

Questo è il diario che riassume le dichiarazioni di sdegno, le manifestazioni di solidarietà, i propositi per il futuro scaturiti a caldo nei giorni immediatamente successivi il massacro di Bruxelles. Tutto il mondo ha reagito con sdegno e con sgomento davanti ai fatti del 29 maggio. Tutto il mondo ha assunto un impegno di civiltà. Auguriamoci che ciò che è stato detto non venga dissolto dal tempo.

INGHILTERRA - L'autocritica è stata immediata. La mattina del 30 maggio il "Daily Post" di Liverpool titola a tutta pagina: "La notte della vergogna". Il premier Margareth Thatcher subito riconduce al proprio Paese l'orribile responsabilità della strage e lascia intuire drastici provvedimenti. Il 31 maggio la "Football Association" annuncia che tutte le squadre inglesi impegnate nelle coppe europee nella stagione 1985-'86 rinunceranno agli impegni. Il provvedimento riguarda: Everton (Coppa Campioni), Manchester U. (Coppa delle Coppe), Norwich, Liverpool, Tottenham e Southampton (Coppa Uefa). Estranee al provvedimento restano per ora la Nazionale inglese e altre 8 squadre britanniche designate a disputare coppe: Aberdeen (Scozia), Linfield (Irlanda del Nord) in Coppa Campioni; Bangor City (Galles), Celtic (Scozia) e Glentoran (Irlanda del Nord) in Coppa Coppe; Glasgow Rangers, Dundee U., St. Mirren (Scozia) e Coleirane (Irlanda del Nord) in Coppa Uefa. È giunto il momento per il calcio inglese di sistemare tutti i suoi problemi", afferma il comunicato della Federcalcio inglese. Il provvedimento trova in disaccordo la Lega inglese e qualche società (soprattutto l'Everton) ma viene ritenuto troppo morbido dal ministro dello sport inglese Neil MacFerlane il quale annuncia che premerà sulla Federcalcio per "estendere il provvedimento fino al 1988". Su ciò si mostra d'accordo Margaret Thatcher che dice: "Vi sono stati così tanti morti e così tanti feriti come risultato delle azioni di nostri cittadini, che sono necessarie decisioni e provvedimenti fermi". Tra le misure che il governo inglese sta per adottare ve ne sono di molto drastiche: chiusura delle rivendite di bevande alcoliche; carta di identità speciale per chi intende assistere ad una partita, rilasciata all'inizio del campionato; proibire di seguire la propria squadra in trasferta: i tifosi andranno nello stadio "di casa" vuoto dove assisteranno su uno schermo gigante alla partita teletrasmessa.

IL DIVIETO - Intanto molti Paesi hanno già individualmente preso provvedimenti contro il calcio inglese. Il governo belga ha detto che le squadre di calcio britanniche non potranno più giocare in Belgio fino a nuovo ordine. In Germania è stata abolita l'amichevole Amburgo-Liverpool del 3 agosto. Il Principato di Monaco ha rinunciato ad organizzare la "supercoppa" d'Europa che avrebbe dovuto vedere di fronte Juventus ed Everton mentre in Francia è stata annullata l'amichevole tra il Charenton e gli inglesi del Whistable Town.

LA PSICOSI - La violenza genera violenza, è sempre stato detto. E anche i fatti di Bruxelles sono stati presi a pretesto per azioni inqualificabili di teppismo. A Rimini il 30 maggio alcuni pullman di turisti inglesi vengono danneggiati così come a Levante la vettura di due coniugi inglesi in vacanza. Il 31 maggio a Milano viene lanciata una bottiglia incendiaria contro la sede del "Centro studi Cambridge", a Roma compaiono scritte inneggianti ai tifosi del Liverpool e a Bolzano alcuni ragazzini picchiano selvaggiamente un loro compagno di scuola (13 anni) colpevole solo di avere una mamma inglese. L'operato dei tifosi del Liverpool suscita l'ammirazione di un gruppo di teppisti tifosi di Dortmund mentre due "animali" intervistati dal "Sunday People" pubblicamente si vantano delle loro gesta criminose. SOLIDARIETÀ - Se questi sono pericolosissimi episodi di bestialità, non mancano in tutto il mondo i gesti di solidarietà verso chi è stato colpito dalla tragedia. Gli Usa come lo Zimbawe, la Germania come la Francia e l'Ecuador inviano messaggi al Presidente della Repubblica italiana e richiamano il mondo a sentimenti di civiltà. A Liverpool presenti molti calciatori. l'1 giugno viene celebrata una messa in suffragio delle vittime di Bruxelles. Presenti circa 2000 tifosi della squadra inglese. Molti scoppiano in lacrime durante la cerimonia. I nazionali inglesi, che giovedì 6 giocano a Città del Messico un'amichevole con l'Italia, alla vigilia dell'incontro si recano in visita agli azzurri per esprimere loro solidarietà e per scusarsi a nome di tutti i loro connazionali.

POLEMICHE - Il Belgio responsabile per la sua parte della tragedia di Bruxelles, alle misere giustificazioni portate per l'inefficienza dell'organizzazione aggiunge un'altra dimostrazione di incapacità venerdì 31 maggio: con incredibile leggerezza lo speaker della Tv belga annuncia che il risultato della partita era stato combinato: ciò in base alla dichiarazione di un pompiere che aveva frainteso quanto detto nel vertice svoltosi per decidere se giocare o meno. Il giorno dopo, quando già la Juve, l'arbitro e lo stesso Liverpool avevano smentito l'incredibile menzogna, la Tv belga frettolosamente ritratta tutto. In tema di polemiche, da registrare anche quella relativa alla telecronaca di Bruno Pizzul, accusato subito da alcune parti di essersi troppo immedesimato nella partita giocata dopo i fatti luttuosi. In proposito il Comitato di Redazione della Rai di Milano emette un comunicato in cui esprime solidarietà al collega oltre e con cui respinge come ingiustificate ("ci sono le registrazioni") le accuse. Altra polemica, quella relativa ai caroselli dei tifosi juventini a Torino e al comportamento dei giocatori della Juve in campo. Accusati di aver gioito dopo la vittoria e di aver ignorato ciò che era successo sulle gradinate, i bianconeri replicano di aver giocato "con la morte nel cuore" e di averlo fatto per imposizione. "Speriamo", si dice in un comunicato firmato in Messico da Cabrini, Rossi, Tardelli e Scirea, "che nessuno ci chieda più, mai più, una cosa del genere". Questo mentre Platini e Tacconi ritornano a Bruxelles in visita ai sostenitori juventini ancora ricoverati in ospedale.

IL MASSACRO - Il bilancio provvisorio (per parecchi feriti c'è ancora la prognosi riservata) di Bruxelles è di 38 vittime. 31 delle quali di nazionalità italiana. Tutte ancora da accertare le cause della morte. Un giornalista inglese di "The Mail", il 31 maggio dice di aver visto un tifoso del Liverpool sparare almeno un colpo di pistola contro un gruppo di Juventini. La polizia sta prendendo in seria considerazione la sua testimonianza. Un altro ragazzo armato di una pistola (una lanciarazzi) intanto viene assicurato alla giustizia: è un italiano, torinese, 22 anni, studente, in stato di arresto a Bruxelles per minacce a mano armata. Tra i fatti da accertare relativi alla strage del 29 maggio, vi è quello relativo all'assicurazione. Un articolo del regolamento delle Coppe europee prevede che la Federazione organizzatrice debba inviare un mese prima della finale, una comunicazione alI’UEFA con tutti i dettagli relativi all'assicurazione dei possessori dei biglietti. Sui biglietti era invece scritto che il Comitato organizzatore declinava ogni responsabilità per eventuali incidenti.

PREVENZIONE - La tragedia di Bruxelles ha messo in allarme tutto il mondo e in modo particolare l'Italia. Il 31 maggio il presidente del Consiglio Craxi dice che "I problemi dell'ordinato svolgimento delle manifestazioni sportive e della prevenzione verso ogni predisposizione di azioni violente saranno ulteriormente approfonditi per un rafforzamento delle misure di controllo, di prevenzione e di sicurezza". Lunedì il ministro dell'Interno Scalfaro si è incontrato col presidente del Coni Carraro per studiare azioni preventive più efficaci. Nei prossimi giorni i ministri dello sport di Olanda, Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna e Belgio si incontreranno per accelerare il varo di iniziative comuni tese a prevenire episodi di violenza nella prospettiva della convocazione a Dublino, il 25 o 26 giugno, del gruppo di lavoro specializzato in seno al Consiglio d'Europa.

4 giugno 1985

Fonte: Guerin Sportivo n° 23

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OLOCAUSTO / A BRUXELLES CON I "REDS ANIMALS"

Li abbiamo seguiti fin da Ostenda e Bruges: hanno seminato caos e paura prima di darsi alle folli sbornie della Grand'Place.

La calata dei barbari

di Alfio Tofanelli

BRUXELLES – È stata delinquenza pura. II calcio non c’entra niente, tantomeno la rivalità fra Juventus e Liverpool o fra italiani ed inglesi. Non c'entra neppure il tifo. I teppisti di Liverpool avevano organizzato tutto, programmato il massacro. È stato fin troppo facile capirlo, dopo aver vissuto i due giorni della vigilia nella capitale belga, con tutto quello che le "bande" dei "reds" hanno combinato in ogni angolo della capitale e non solo in essa.

INVASIONE - Ho visto le orde calare da Ostenda, nella mattinata della partita. Ero andato a Bruges, per documentarmi, per capire cosa avevano in mente questi scellerati. Bruges era tappa obbligata sull'itinerario Inghilterra-Dover-Ostenda-Bruxelles. I "reds" vi giungevano in massa verso le 11. La città subiva un duro assalto. Saccheggiati i negozi di birra ed alimentari, messi a soqquadro quelli dei tipici merletti. Senza esplosione di violenza, per la verità, ma con disgustoso crescendo di volgarità. di strafottenza, di cialtroneria. Da Bruges a Bruxelles l'autostrada corre veloce fra campi verdi e parentesi boscose. Tre i "grill" su questo tratto. In ognuno una girandola di sporcizia, ubriacature, urlacci osceni. Ero in auto con l'allenatore Riccomini, salito in Belgio per completare un suo personale studio sul calcio inglese (dieci giorni prima aveva assistito, a Wembley, alla finale di Coppa d'Inghilterra. Al nostro fianco le consorti: la finale di Coppa dei Campioni aveva il fascino dell'impegno professionale da sposare ad una frizzante gita turistico-culturale in chiave fiamminga. Avvicinandoci a Bruxelles per l'ora di pranzo e per preparare l'avvio allo Stadio di Heysel, giudicammo che le consorti avrebbero fatto meglio a rimanere in albergo: Mai decisione è stata più indovinata: per loro l'Agenzia di viaggio alla quale ci eravamo rivolti per avere due biglietti d'accesso allo stadio aveva spedito proprio i tagliandi della zona "Z", quella della tragedia.

PROLOGO - Il convincimento che avrebbe potuto succedere qualcosa di grave all'Heysel mi era venuto fin dalla sera precedente quando nella Grand'Place tre o quattrocento scatenati con sciarpe giallorosse ed ubriachi di birra, fra canti osceni e grida selvagge, avevano infranto le vetrine di numerosi bar che si affacciano sul "salotto buono" di Bruxelles. Il tutto senza la minima provocazione da parte di chicchessia e col beneplacito della pavida ed intimorita polizia belga che si era limitata a guardare, passivamente. Lo scempio della Grand'Place continuava poi nella mattinata successiva, quella della gara, tanto che nelle prime ore del pomeriggio, trovandoci a passare da lì per iniziare la marcia di avvicinamento allo stadio, osservammo lo spettacolo indecoroso del terreno coperto da ogni genere di sporcizia e detriti e la desolazione dei negozi vuoti con saracinesche abbassate e porte ermeticamente chiuse.

STADIO - Alle 17, attorno all'Heysel i "reds" si erano accampati impigrendosi al sole come lucertole. Quasi tutti a petto nudo, alcuni addirittura scoperti totalmente per consumare oscenità inenarrabili. Minimo denominatore comune la birra, in lattine o in bottiglie. Ho provato ad entrare dall'accesso "W", quello che si apriva sulla curva destinata ai tifosi inglesi: evanescenti i controlli di sicurezza, molti coloro che entravano senza esibire tagliandi, scarsissima l'assistenza della forza pubblica agli inservienti destinati agli ingressi. Va rilevato, fra l'altro, che tale disservizio era esageratamente evidente: basta pensare che per accedere alla tribuna di fronte a quella destinata alla stampa era sufficiente "allungare" una mancia di 20/30 franchi belgi (cinque-seimila lire) per far chiudere un occhio alle "maschere" disposte a trasformare in ingressi-tribuna i tagliandi curva. Nel giro perlustrativo attorno alto stadio dalla parte inglese fui molto colpito da un omaccione alto e grosso, barba e capelli rossicci, voce tonante. Sembrava avere grande ascendente su un numeroso gruppo di giovinastri che ridevano alle sue grida gutturali rafforzate da gesti ritmati ed incalzanti. Dalle cronache che poi ho letto all'indomani del massacro, ho ritenuto di ravvisarlo con quel personaggio che molti tifosi hanno indicato come il capo della banda dei teppisti che ha dato inizio all'aggressione.

AGGRESSIONI - Uscito dall’ingresso "W" per avviarmi verso la tribuna stampa fui costretto a tener d'occhio un paio di tifosi con sciarpe rosse e gialle che tentavano di entrare nella zona "2" scalando il muro di cinta a fianco della tribuna centrale (quello del crollo). I due riuscirono a farcela, beffandosi dei poliziotti che li stavano inseguendo e che issarono bandiera bianca non appena i giovani riuscirono a prender terra dall'altra parte della palizzata. Questa mancanza di nerbo della polizia, peraltro in numero molto scarso (nessun agente, per esempio, era a proteggere i pullman delle due squadre allorché giunsero davanti allo Stadio preceduti solo da un'auto di gendarmi a sirene spiegate per fendere la folla), era la cosa che più colpiva nel prepartita vissuto esternamente. Quello che poi è accaduto dentro appartiene a quanto hanno visto e sofferto tutti.

4 giugno 1985

Fonte: Guerin Sportivo n° 23

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La partita / Il record finito nel sangue

Cabrini, Scirea e Tardelli sono i tre alfieri juventini che hanno vinto tutto ciò che c'era da vincere al mondo. Ma come gioirne oggi ?

Una vittoria, un incubo

di Ivan Zazzaroni

BRUXELLES - Quest'ultima Coppacampioni è un'orrenda miscela calcio-violenza-sangue-onore-vergogna-disoccupazione-emancipazione-morte-droga-tradimento-birra-incapacità-demagogia. Non è spettacolo, se non quello della morte allo stadio. Non è vittoria, non è gioia autentica ma lacrime, lacrime versate per i caduti di un conflitto assurdo. Qualcuno ha detto che il successo è la miglior vendetta. Non sempre, non in un caso del genere. Ne sanno qualcosa Tardelli, Scirea e Cabrini, alfieri di una squadra ma anche di una selezione nazionale - destinata a produrre vittorie, gente che oggi può davvero dire di aver vinto tutto: Coppa del mondo, campionato,  Coppacampioni, Coppacoppe, Coppa Uefa, Coppa Italia, Supercoppa, Mundialito per club. Nemmeno intimamente i tre possono ripensare con soddisfazione al traguardo tagliato, ora che hanno l'esatta percezione di ciò che è accaduto in una serata che resterà per sempre impressa nella loro memoria. "Preferiamo non fare commenti tecnici a una partita giocata soprattutto per gravi motivi di sicurezza, e poi questi commenti tecnici suonerebbero assurdi data l'ampiezza della tragedia - hanno scritto, insieme a Rossi, in una lettera consegnata alla stampa straniera - Non volevano giocare per rispetto dei nostri compatrioti mani. Ce lo hanno imposto... Non sapevano cosa fare alla fine della partita: onorare le vittime, dirigerci verso il luogo del disastro e magari eccitare ulteriormente gli animi, oppure recitare sino in fondo la nostra parte, perché dopo tutto credevamo il pubblico ignaro della tragedia. L'abbiamo fatto con la morte nel cuore e ora speriamo che nessuno ci chieda più una cosa del genere. Mai più. L'unico nostro pensiero è per i morti, i nostri feriti, le famiglie delle vittime, la loro angoscia. il loro dolore, i loro problemi...".

UMILIAZIONE - Il pensiero di Antonio, Gaetano, Marco e di tutti noi va ai morti non alla Coppa delI'Heysel. Va anche a quella partita subita: un ossessivo, umiliante confronto con i cadaveri del settore Z e con la gente che da casa seguiva attonita le agghiaccianti immagini tivù. Un incontro di calcio che ai più ha ricordato quello da grande schermo giocato in un campo di concentramento nazista unicamente per tenere calmi i rivoltosi e che si scioglieva in un drammatico (e anche spettacolare) finale. Altre immagini, altri ricordi, altri pensieri si accavallano a pochi giorni da quella orgia di sangue che, alla 19 e 15, era ancora e soltanto il dodicesimo rendez-vous della Juve con la Coppa più agognata. Torna alla mente quel biglietto che doveva offrire il divertimento totale e che, invece, ha portato la morte.

ACCHIAPPATUTTO - Questa tristissima storia non è che il frammento dai risvolti più drammatici del romanzo calcistico scritto da Tardelli, Cabrini e Scirea. Nessuno prima d'ora aveva prodotta un'opera sportiva così suggestiva, opera della quale tentiamo una riduzione. Stagione 1977-'78, arriva a Torino Giovanni Trapattoni. La Juve tutta italiana di Scirea, Tardelli e Cabrini riserva di lusso che ha appena vinto Coppa Uefa (battendo nell'ordine Manchester City, Manchester United, Shaktior, Magdeburgo, Aek e Atletico Bilbao in finale) e campionato a quota record (51 punti), affronta per l'ottava volta l'avventura della Coppa dei Campioni. Supera i ciprioti dell'Omonia, gli irlandesi del Glentoran, gli olandesi dell'Ajax, ma si blocca a Bruges per la rete messa a segno da Van der Eycken al 117', un minuto dopo l'espulsione di Gentile (un episodio discusso). E la squadra di Zoff, Cuccureddu, Gentile, Furino, Morini, Scirea, Causio, Tardelli, Fanna, Benetti, Bettega, Boninsegna, Virdis e Cabrini. La Juve ci riprova '78-'79, uscendo al primo turno perché domata dai Glasgow Rangers e nell'81-82 quando lo stop si registra al secondo turno, a Bruxelles contro l'Anderlecht, dopo che i bianconeri hanno avuto ragione del Celtic (0-1 e 2-0). 1982 è l'anno del Mundial di Spagna: dell'insuperabile difesa di Scirea e Cabrini e della pazza corsa di Tardelli dopo il gol al Bernabeu. L'83, invece consegna la Coppacoppe al termine di una spavalda e vittoriosa campagna durante la quale cadono una dopo l'altra Lechia Varsavia, Paris S. Germain, Haka, Manchester United e Porto a Basilea. Scirea, Cabrini e Tardelli sono sempre presenti, così come lo erano - o lo saranno in occasione dei trionfi in campionato dell'81 e dell'82, Coppitalia del '79, e del 83 - se vogliamo considerar manifestazione semiufficiale - del Mundialito '83. Al completamento dei botti manca dunque la Coppa Campioni, quel trofeo che nemmeno ad Atene, contro i tedeschi dell'Amburgo, Zoff, Gentile, Cabrini, Bonini, Brio, Scirea, Bettega, Tardelli, Rossi, Platini e Boniek riescono a conquistare. Il dodicesimo assalto è quello buono (si fa per dire). Nell'ordine vengono superati il Tampere, Grasshoppers, lo Sparta Praga, il Bordeaux, il Liverpool. Con Tacconi, Favero, Bonini, Brio, Briaschi, Rossi, Platini Boniek sono sempre Scirea, Cabrini e Tardelli.

VINCITUTTO - Al di là delle spiegazioni tecnico-tattiche dei loro successi, restano i ruoli di protagonisti recitati dal libero, dal terzino e centrocampista della Juventus e della Nazionale. Restano il loro temperamento, la loro esuberanza atletica e psicologica. Restano tre fior di campioni.

4 giugno 1985

Fonte: Guerin Sportivo n° 23

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Neal scrive a Scirea e agli italiani

Perdonateci

Caro Scirea, sono un calciatore professionista. Come te. Non sono un politico. o un diplomatico, o un uomo di legge. Non so scrivere quei discorsi pieni di delicate parole che esprimono il dolore ufficiale e la tristezza di una nazione e in questo caso di una organizzazione come il Liverpool Football Club. Sono soltanto un uomo comune. Posso assicurarti che ho pianto spesso da quando sono tornato da Bruxelles. Mia moglie e la mia famiglia possono dirti che persona triste e sconsolata sia diventato in quest'ultima settimana. Ho perfino pensato di ritirarmi dal calcio e di non avere più nulla a che fare con questo sport. Molti di noi lo hanno fatto. Mi sono troppo divertito in tanti anni di attività per poter stare ora fermo a guardare il calcio inglese che finisce nella spazzatura. Ho lottato e cacciato e spinto e avuto da dire con Franco Causio nel nome della Coppa del Mondo. Gli ho stretto la mano, ci siamo abbracciati e scambiati le maglie. La sua l'ho portata ai miei amici italiani che vivono a Liverpool. Non sono più così sicuro che lo spirito col quale abbiamo giocato quella partita bellissima possa sopravvivere, resistere al comportamento di una minoranza di spostati che hanno distrutto la nostra grande notte allo stadio Heysel. Noi due eravamo nello stesso box, abbiamo usato lo stesso microfono per invocare la calma, per pregare che la nostra partita e il nostro calcio avessero un futuro. Oggi sono solo e chiedo a te e agli italiani dl perdonare, di avere pazienza, mentre noi lavoriamo per salvare il nome del calcio, qui in Inghilterra. Phil Neal

4 giugno 1985

Fonte: Guerin Sportivo n° 23

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Da Liverpool: pochi assassini contro una città e una squadra

di Clive Tyldesley

LIVERPOOL - Il rigore consesso dall'arbitro svizzero Daina avrebbe potuto essere, per gli anni a venire, uno splendido argomento di conversazione calcistica, il punto di partenza di un inesauribile dibattito. Invece nulla. "Due minuti dopo il fischio finale ho pensato di mandare al diavolo tutto. Ho creduto che mi sarei sentito meglio senza il mio impiego. Poi mi sono reso conto che così facendo gliel'avrei data vinta" : Roy Evans, secondo allenatore del club di Anfield Road, fra l'altro nativo di Liverpool, è uno dei pochi che hanno reagito.

REAZIONE - Quando il caso sarà chiuso, le prove esaminate, verrà certificato che lo stadio Heysel altro non è che una struttura cadente valida unicamente per l'atletica; che l'Uefa e la Federazione Calcio del Belgio non sono state in grado di garantire la sistemazione dei tifosi nello stadio e di giustificare i tentativi di segregazione, peraltro patetici, effettuati: che la polizia e le forze di sicurezza si sono dimostrate ingenue e disorganizzate. Ma non sentirete giungere scuse dalla città di Liverpool. Anche se le vittime dell'Heysel non sono che il risultato dell'attacco assassino portato da un gruppo ristretto di nostri connazionali. Liverpool cercherà solo di ricostruire quella parte del calcio nazionale perduta fra i detriti del settore Z. Le autorità sportive internazionali hanno preso le loro decisioni. Ma hanno semplicemente isolato il malessere, l'orrore di quella terribile notte. La punizione non è una cura. Il bando del calcio inglese era inevitabile e doloroso. Non serve che a dare un po’ di respiro ai legislatori e a riordinare le idee in vista della prossima invasione di vandali in Europa. I Glasgow Rangers furono cacciati dall'Europa esattamente 23 anni fa. La notte del Liverpool segna il decimo anniversario della tumultuosa finale di Coppa campioni a Parigi che costò due anni di sospensione al Leeds United. L'espulsione non è un rimedio nuovo. E certamente non risolve nulla.

DIVIETO - Non si era mai deciso prima d'ora, che i supporters inglesi non avrebbero potuto entrare in Europa per un po' di tempo almeno. Il rischio ora è grande. Il Liverpool è stato pronto a togliersi di mezzo nel rispetto degli altri sentimenti che pervadono il continente. Ma denigrare il gioco di club come il Manchester United, il Tottenham, l'Everton mi sembra che non risulterà produttivo. Le lacrime che hanno bagnato il volto di Sammy Lee durante la messa celebrata nella cattedrale di Liverpool erano tanto sincere quanto quelle degli italiani di Torino. La rabbia espressa di Phil Neal al microfono dello stadio Heysel era autentica. E molti di noi hanno capito quanto indifeso fosse Joe Fagan quando a un intervistatore ha dichiarato: Mi sento responsabile, e tuttavia non riesco a capire come possono verificarsi fatti così terribili". Kevin Keegan, sentendo la cronaca della tragedia, ha invece commentato: "Spesso la gente mi ha parlato dei vandali nel calcio, ma ha sempre sostenuto che a Liverpool questa gente non c'era. Ora capisco di essermi sbagliato". Noi credevamo di essere differenti. Immaginavamo che l'orgoglio e l’humor che hanno prodotto musicisti, politici e attori fossero talmente forti da evitare infiltrazioni di elementi dannosi. Così, quando Bruce Grobbelaar ha capito che Liverpool era responsabile di ciò che era accaduto a Bruxelles, ha pensato seriamente al ritiro: "Devo valutare seriamente il mio futuro di calciatore professionista dopo ciò che è accaduto", ha detto il portiere di Anfield. "lo non gioco a calcio soltanto per denaro o perché è l'unica cosa che sappia fare nella vita. Gioco al calcio perché mi diverto. Ma questo non è sport. E lo sono certo di non valer far parte di una società così malata".

INCOLPEVOLI - Grobbelaar, Fagan, Neal, Lee: non sono quelli che hanno terrorizzato i vostri fratelli, figli, padri. Sono quegli uomini che voi e i vostri cari siete andati a vedere a Bruxelles. Devono essere demonizzati loro e Robson, Hoddle, Gray ? Dobbiamo noi richiamare a casa Francis e Hateley ? Potranno avere influenze negative ? Lo stadio Heysel è un posto nel quale abbiamo vissuto sei ore di angoscia. Tutti noi che eravamo presenti abbiamo centinaia di storie da raccontare, storie tristissime, orribili. Ma io non dimenticherò mai il momento di speranza datomi dalle due squadre quando sono entrate in campo. Nei prossimi mesi una delegazione di Liverpool visiterà Torino per manifestare il sentimento di vergogna della cittadinanza e di devastazione che ha colpito la nostra Città, lasciata nel silenzio. Liverpool è uscita sconfitta dallo stadio Heysel, ma chiede di poter avere una sua chance di riscatto. È la sola, grande speranza che tutti noi nutriamo in questo momento. Clive Tyldesley (Radio City/Liverpool)

4 giugno 1985

Fonte: Guerin Sportivo n° 23

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COPPA DEI CAMPIONI

Orrori e lacrime da non scordare

di Italo Cucci

Dai dirigenti Uefa alla polizia belga, la lista dei responsabili non può essere confinata alla sola feroce, violenza dei tifosi inglesi. Una cosa però è certa: la partita andava giocata per evitare che a una strage se ne aggiungesse un'altra.

I giorni che passano sembrano allontanarci dalla tragedia di Bruxelles, ma gli occhi e il cuore la trattengono, rifiutandosi di accostarsi ancora al calcio, allo sport che ha rallegrato tanti anni della nostra vita. Il compiacimento tante volte esternato d'essere testimoni d'un mondo diverso, negato alle quotidiane amarezze dell’esistenza, forse infantile perché legato a un gioco dato più agli innocenti entusiasmi che alle passioni bestiali, quella sorta d'orgoglio che ci ha nutrito negli anni s'è spento nell' allucinante serata dell'Heysel quando abbiamo ritrovato orrori e lacrime dimenticati e il senso d'inutilità del nostro sogno. Non vi dirò - altri lo faranno - lo sgomento di quelle lunghe ore d'assedio in uno stadio in cui s'era aperta una voragine d'inferno; non mi dilungherò sulle visioni atroci offertesi ai miei occhi quando ho intuito che dalla massa terrificante del settore Z doveva essersi librata la morte e sono andata a cercarla fra corpi smembrati e feriti, fra volti spentisi in una maschera di paura, fra le lacrime mute o disperate dei sopravvissuti che invocavano vita per gli amici o i parenti massacrati. Le ore trascorse da quella sera non hanno lenito il dolore, ma attenuato l'ira e l'odio. Ho odiato con tutte le mie forze l'orda selvaggia di Liverpool, quei lupi ubriachi che si sono gettati con furia sanguinaria sugli agnelli indifesi del maledetto settore Z, tutta gente tranquilla, estranea alle ben note risse del calcio, desiderosa solo di vivere qualche ora di svago. Ho odiato l'imbelle, impotente e arrogante polizia belga che, incapace di prevedere il pericolo costituito dai "Reds", s'è disfatta nel caos ai primi incidenti, ha voltato vilmente le spalle agli "animals" scatenati, è risultata pressoché nulla nell'opera di soccorso, ha esibito una grinta da operetta nel tentativo di riprendere il presidio del campo, ha dovuto chiedere infine ai calciatori della Juve e del Liverpool l'agghiacciante esibizione dell'Heysel per evitare una più grande carneficina. Voglio dire a chi non c'era e tuttavia ha straparlato, ha sentenziato, ha criticato sciorinando accenti demagogici e imbecilli: tacete, voi che non c'eravate, voi che non avete vissuto quelle ore di paura, voi che non potevate capire quale rabbia omicida stesse montando fra le migliaia di italiani confinati nella curva juventina, gente che avrebbe certo spazzato via dall'Heysel, dai suoi dintorni, i "Reds" vigliacchi, aggiungendo strage a strage. E invece, grazie a Platini e a Grobbelaar, a Cabrini e a Wark, a tutti quei ragazzi che sono scesi sul tappeto sconsacrato dell'Heysel, la paura s'è spenta, altre ansie - magari incoscienti - si sono accese, e nuovi sorrisi - ancorché folli - sono tornati sui volti della gente. E alla fine, quasi per miracolo, come esorcizzati dallo stesso nostro odio, gli "animals" sono scomparsi. Mentre la Juve improvvisava un macabro trionfo, essi venivano rigettati verso la Manica, verso una sicurezza che forse non meritavano e che comunque oggi ci fa sentire più sereni. Perché l'ira selvaggia ch'era anche in noi, l'odio ch'era pronto a esplodere in gesti inconsulti ha lasciato il posto al ragionamento. Non alla rassegnazione, ma all'umana compostezza che vuole preghiere per i morti e per i vivi, e respinge la vendetta anche se non è subito disposta al perdono. Noi vogliamo soprattutto capire, e quello che non possiamo cogliere dalla bestialità di quel branco di liverpudiani ubriachi dobbiamo cercarlo in noi stessi. Quelli sono criminali incalliti, tristemente noti in Inghilterra e in Europa; noi siamo vittime non del tutto innocenti, colpevoli comunque di avere accettato il confronto con fanatici notori, illusi di poter chiudere una sfida con novanta minuti di gioco. Le vittime innocenti sono soltanto quelle che da qualche giorno giacciono sotto terra dove le ha accompagnate lo strazio dei famigliari e degli amici. Noi abbiamo ancora qualcosa da dire, qualche esame di coscienza da fare, qualche angolo dell'anima da ripulire dalle scorie lasciate dalla lunga abitudine alla violenza, dall' illusoria speranza in un calcio migliore, illusoria perché lo abbiamo veduto crescere nell'infamia di un tifo assurdo, volgare, demente, dato sempre più a una ritualità funesta, fatta di teschi e di insegne terribili, di slogan criminali, di invettive disumane, di cerimonie al limite della follia, le stesse che fanno imbrattare i muri con frasi che recano scherno ai morti dell' Heysel ed esaltano oggi Bruxelles contro quei fanatici juventini che ieri esaltavano Superga. Per questo, fermi in una calma mortale, vorremmo che all'improvviso sparissero dai nostri stadi le insegne di un tifo folle, paranoico; e non ci accontentiamo di sognarlo: lo pretendiamo da quei dirigenti che, negli anni, come apprendisti stregoni, hanno lasciato che la follia si scatenasse fino a risultare impotenti al momento di imbrigliarla, soggiogarla. Lo pretendiamo dalla Federazione, dalla Lega, dalle società che, tutte, oggi, devono adottare i morti di Bruxelles e rendergli omaggio mutando d'acchito la tendenza allo scontro fisico dei rispettivi tifosi, riconducendoli al rispetto se non all' amore per questo sport che sentiamo profondamente nostro non per l'agonismo o l'aspra rivalità che produce, ma per il senso di felicità che sapeva trasmettere insieme all'ammirazione e a quella sorta di innocente idolatria per i campioni che ci faceva essere tutti ragazzi anche se coi capelli imbiancati dal tempo. Esaminando noi stessi, finiremo per essere utili anche agli altri, in particolare a quegli inglesi che oggi sono sopraffatti dalla vergogna e credono di poter curare il morbo che dilania la loro vita sportiva serrandosi in un angolo, negandosi l'Europa e le antiche sfide che hanno fatto grande il calcio. Certo, comprendiamo lo spirito che ha partorito l'autopunizione della Federcalcio inglese; ma non crediamo sia giusto gioire come di una vendetta subito ottenuta: temiamo anzi sia solo motivo di vanto per quelle decine o centinaia di criminali di Liverpool che oggi possono andare fieri d'un altro risultato: sono riusciti a mettere in ginocchio la fiera Inghilterra madre del football; se ben conosciamo quella gentaglia, oggi può menar vanto di avere vinto la sfida di Bruxelles perché nelle loro menti bacate trova più significato una strage di "nemici" che un gol preso. Avere negato al calcio inglese il contatto con l'altra Europa è come aver assegnato a quei fanatici una medaglia. Il calcio, che si è dato leggi secondo le quali si è ben governato in circa un secolo di vita, attraverso queste leggi doveva punire soltanto il Liverpool, oggettivamente responsabile dei suoi "animals"; il ritiro del "passaporto" all'Everton e agli altri club riporta indietro non solo tutta l'Europa calcistica, ma anche quel grande Paese sognato che doveva sorgere sull'abbattimento dei confini e dei nazionalismi e crescere nell'idea partorita dalla pace conquistata nel 1945. Vedete quanto può portare lontano una partita di calcio: non per mero idealismo, ma per amore di una sicura fratellanza fra i popoli. Le lacrime dei ragazzi di Fagan nella cattedrale di Liverpool sono vere come quelle che noi abbiamo versato per le vittime dell’Heysel. Mi sento anche di respingere - a mente fredda - il ruolo di giudice assegnatosi dall'UEFA. Se la mano omicida è stata quella degli "animals" di Liverpool, la mente idiota che ha favorito il massacro è senza dubbio quella dell'ente calcistico europeo, affidatosi alla federazione belga senza pretendere il controllo della sua organizzazione, apparsa colpevole fin dalla lontana vigilia, quando ha saputo interpretare soltanto un ruolo burocratico, mancando d'intelligenza e di ogni forma di prudenza. Mentre il signor Millichip, presidente della federazione inglese, comunicava la dura decisione di ritirare le proprie squadre dalle competizioni europee, l'intero gruppo dirigente dell'UEFA doveva dimettersi, imitato dalle autorità calcistiche e dai responsabili dell'ordine pubblico del Belgio. Tutti costoro - ripeto - sono più colpevoli della strage di Bruxelles di quanto lo sia il calcio inglese. In Italia questo doveva essere preteso, dai governanti del calcio come da quelli del Palazzo; si è invece preferito moraleggiare sul piccolo e stupido trionfo improvvisato all'Heysel dai giocatori della Juve, sicuramente stravolti dalla terribile vicenda di cui erano stati testimoni; o sulle ancora più stupide feste dei tifosi di casa nostra, che peraltro conosciamo da sempre e siamo pronti a strumentalizzare quando con caroselli o altre dimostrazioni di fanatismo "celebrano" le glorie patrie. In molte altre occasioni - lascio a ciascuno intendere quali - migliaia di italiani dimostrano immaturità e stupidità. Il calcio, ahinoi, ne ha allevati tanti, spesso con la complicità di quei potenti che dalla stupidità attingono forza. Piuttosto che rivolgersi ai veri colpevoli della strage pretendendo giustizia per i poveri morti di una triste giornata di maggio, si è preferito infierire sul trofeo ch'essi stessi erano andati a cogliere nello stadio di Bruxelles. Resti pure, quella Coppa dei Campioni, tra i trofei della Juventus: certo non le darà nuova gloria o felicità, speriamo invece che le dia l'energia, la determinazione sportiva di riconquistarla fra un anno: solo una Coppa così, più vera, potrà essere dedicata al piccolo Andrea Casula e agli altri trentuno italiani che non sono più tornati dallo stadio di Bruxelles e sono stati portati sul freddo marmo di un obitorio coperti di bandiere e di sciarpe bianconere. Oggi piangiamo per loro. Ma non rinneghiamo la passione per il calcio e sogniamo il giorno in cui potremo tornare a sorridere.

4 giugno 1985

Fonte: Guerin Sportivo n° 23

ARTICOLI STAMPA "GUERIN SPORTIVO" GIUGNO 1985  

Da Desmond Morris la risposta ad un imbarazzante quesito

La Juve ha gioito ? È nella logica

Che si sia giocato dopo il massacro è stato giustificato con motivi di ordine pubblico. Che si sia gioito dopo la vittoria, da parte della Juve e dei suoi sostenitori, è stato giudicato da tutti incomprensibile e inaccettabile. Eppure ciò che è successo a Bruxelles non è inedito ed è già stato motivato, se non giustificato, da Desmond Morris, filosofo e etologo inglese, studioso dei comportamenti umani e animali, che in proposito ha scritto un volume "La tribù del calcio", edito da Mondadori nel 1982. Aprile 1902. Scozia-Inghilterra all’ lbrox Park di Glasgow; appena iniziato il gioco, crolla una tribuna: 25 morti e 321 feriti; sgombrato il campo, si riprende a giocare con entusiasmo. Marzo 1946, Bolton-Stoke a Bolton; dopo 12' di gioco crolla un muro: 33 morti e 550 feriti; dopo mezz’ora ricomincia la partita fra il tripudio della folla. Maggio 1964. Perù-Argentina a Lima; per un goal annullato al Perù, rissa gigantesca e 301 morti. La sera stessa una folla immensa marcia verso il palazzo presidenziale per chiedere giustizia: cioè, che sia convalidato il gol peruviano ! "La tragedia e la morte" -spiega Morris - "non sono sufficienti a tenere lontano dal gioco gli uomini della tribù del calcio". Alla radice di tutto ciò c'è la suggestione di un rito (la partita) la cui celebrazione riporta attori e spettatori a comportamenti istintivi e primordiali. Il "gol" - afferma Morris – "è la conquista della preda, il momento culminante della vita della tribù ed è goduto senza inibizioni". Cosi come il trofeo (la Coppa) che giunge al termine di una "lunga stagione di caccia". L'esaltazione che ne consegue - dice Morris – "deriva da un'ondata di energia liberatoria. incontenibile". Che ciò sia vero lo conferma Stanley Mattews che, riferendosi alla strage di Bolton nel 1946, afferma: "Posso essere accusato di insensibilità quando dico che Il nostro pensiero era unicamente rivolto al gioco, ma è la verità. Dopo pochi minuti che eravamo rientrati in campo avevamo già dimenticato che coloro che poco prima ci applaudivano ora erano morti". Gli abbracci dei giocatori della Juve, i caroselli dei loro sostenitori rientrano in questa aberrante "logica" dei comportamenti. Il calcio, purtroppo, è anche questo.

4 giugno 1985

Fonte: Guerin Sportivo n° 23

ARTICOLI STAMPA "GUERIN SPORTIVO" GIUGNO 1985  

Dopo l'orrore, qualunquismo, demagogia, retorica inutile

L'ora del dilettante

di Enzo Rossi

Una settimana è passata. L'eco della tragedia di Bruxelles si è affievolita, com’è fatale che sia, anche se certi fatti, certe immagini, non potranno mai essere dimenticate. Hanno parlato in tanti, vorrei dire in troppi, come se fosse un obbligo sdegnarsi verso destra, o verso sinistra, o comunque in una qualche direzione. C'è toccato difenderci non soltanto dall'orrore, ma anche dal qualunquismo, dalla demagogia, dalla retorica fine a sé stessa, dai Ferrarotti di turno. All'illustre sociologo è stato addirittura commissionato un editoriale del "Messaggero". E da quelle colonne egli ci ha fatto sapere di aver previsto tutto, alla maniera di Cassandra, in un libro di cui ha tenuto a precisare il titolo e tra parentesi l'editore (e chissà che un refuso non gli abbia cancellato il prezzo). Scrive Ferrarotti che una buona parte della colpa ricade sui giornali, rei di enfatizzare oltre misura gli eventi sportivi. Che gli assassini di Bruxelles siano inglesi e che la stampa sportiva britannica sia nota per presentare una partita in dieci righe, spesso senza tabellino, conta poco per l'illustre sociologo che come tutti i cittadini democratici ha il diritto di opinione. Si è letto di tutto. Nello stesso giorno. nella stessa prima pagina, il più diffuso quotidiano politico italiano, il "Corriere della Sera", ha da una parte elogiato i "ragazzi della Juve che hanno accettato di giocare la maledetta finale e dall'altra li ha accusati di cinismo per non aver opposto un fermo rifiuto all'imposizione dell'Uefa. Da Mosca, dove si trovava per ragioni connesse al suo mandato, l'onorevole Craxi s'adoperava perché Juve-Liverpool non si giocasse, confermando di essere uno dei pochi capaci di essere presenti cattivi sempre e in ogni luogo. Da Roma il presidente dell'UISP, una delle tante pittoresche sigle del nostro Paese, sfruttava tutta la sua ben nota autorità per chiedere le dimissioni del presidente dell'Uefa e immaginatevi l'imbarazzo di Jaques Georges di fronte a una simile levata di scudi. Se la sono presa perfino con il povero Pizzul, accusato di aver chiuso la telecronaca con un "buona sera", e con la Rai, colpevole di non aver oscurato la teletrasmissione della partita come è accaduto in Germania, sia ad Est che ad Ovest di Berlino. Era importante sparare comunque su qualcuno o su qualcosa, non bastava un bersaglio e due erano troppo pochi. Piangiamo quelle povere vittime alle quali gli innumerevoli esercizi dialettici non potranno mai restituire la vita. Perché ci si indigna soltanto a ondate ? Ci chiediamo, per esempio, quale sarebbe stata la reazione dell'opinione pubblica se gli incidenti di Bruxelles si fossero ridotti all'accoltellamento del tifoso inglese nel pomeriggio della partita: quaranta righe e tutto sarebbe finito lì. Nei nostri stadi c'è stato un morto anni fa all'Olimpico: Paparelli fu ucciso da un razzo. Seguirono immancabili sdegno e tavole rotonde: vennero banditi striscioni che oggi ricompaiono regolarmente ovunque perché l'idiozia non ha bandiera e quelli che imbrattano i muri a Roma e a Torino con scritte vergognose non sono diversi dai teppisti di Liverpool. Appena sono arrivato allo stadio Heysel, prima del massacro, ho detto ad un collega: questi belgi sono pazzi, come possono mettere tanto vicini tifosi della Juve e del Liverpool ?

Per le barzellette i francesi usano i belgi al posto dei carabinieri: ascoltando le parole del ministro degli interni belga, si son capite le ragioni. Il giorno prima ero stato sulla Grand' Place che pullulava di inglesi già abbondantemente affogati nell'alcool. Un gendarme li guardava sorridendo. A un certo punto s'è voltato di scatto e s'è messo a fischiare bloccando un'auto di sostenitori della Juventus che hanno dovuto pagare una salatissima contravvenzione: suonando il clacson avevano infranto una precisa norma del codice della strada e, penso, disturbato il sonno di Re Baldovino. C'erano, dalla parte juventina del nefasto settore Z, padri di famiglia, figli, sorelle, consorti. Dall'altra parte, la teppaglia organizzata del Liverpool ha avuto buon gioco in una fatale circostanza. Il panico dei "nemici" esaltava la loro furia selvaggia; avessero trovato i loro omologhi, che so, gli ultras, avremmo assistito a una delle tante scazzottate. Perché quel tipo di teppaglia fa anche parte purtroppo del nostro patrimonio. È vero, gli inglesi sono recidivi, i loro vandalismi sono noti. le loro scorribande temute. Ma proprio per questo stupisce l'inefficienza dei belgi, che pure avevano già ospitato tante finali di Coppa e dagli stessi inglesi erano rimasti scottati. Ha ragione Carraro quando sostiene che la tragedia poteva essere evitata. La stessa reazione di Sordillo e Matarrese m’è apparsa composta, civile, lontana da ogni forma di inutile esasperazione. Bisogna educare la gente ma non si può pensare, nemmeno per un momento, di rinunciare alla prevenzione: assassini e ladri sono sempre esistiti e non si combattono a parole, ma con i fatti. Prendiamo atto anche del comportamento delle autorità inglesi che si sono addossate responsabilità e vergogna a tamburo battente, decidendo rapidamente l'esclusione dalle Coppe delle proprie squadre. Noi avremmo fatto altrettanto ?

4 giugno 1985

Fonte: Guerin Sportivo n° 23

ARTICOLI STAMPA "GUERIN SPORTIVO" GIUGNO 1985  

Gli inglesi e lo sport, dal "fair-play" agli "animals"

Arancia meccanica

di Gianni de Felice

Bruxelles è lontana. Dall'angoscia, sedimentata dai giorni, affiorano alcuni pensieri. Possono servire forse per qualche utile medicazione. Abituati a flagellarci, scopriamo per doloroso confronto di essere bravi. L'anno scorso era più difficile organizzare la finale di Coppa dei Campioni, perché una finalista, la Roma, giocava in casa, l'altra era il Liverpool, con le sue orde tristemente famose. La Federcalcio in penuria di uomini, perché una buona parte delle sue esigue forze risultava impegnata con la spedizione azzurra negli Stati Uniti. Ma nulla fu trascurato, tutto venne previsto. Carabinieri, polizia, vigili urbani seguirono il lavoro organizzativo fin dal suo nascere, assimilando i problemi che l'evento poneva e ponendosi tempestivamente in guardia da ogni possibile insidia. Furono studiati percorso e parcheggi speciali per i pullman inglesi. Fu predisposta la perquisizione individuale di tutti i tifosi. Cineoperatori di carabinieri e polizia puntavano minacciosamente sulla folla lunghi teleobiettivi, capaci di riconoscere un volto da duecento metri. I biglietti della tribuna Tevere e della tribuna numerata per i settori confinanti con la curva nord, riservata agli inglesi, furono destinati a tifosi di paesi neutrali. E quando da Liverpool vennero restituite alcune migliaia di biglietti invenduti, mentre a Roma si piangeva o si pagavano cifre da capogiro per averne uno, la Federcalcio tenne segreta la notizia e preferì rinunciare a una parte di incasso, piuttosto che mandare tifosi italiani nel recinto dei bufali d'oltre Manica. Alcuni incidenti isolati si verificarono nella notte, dopo la partita e fuori dello stadio. Ma nell'Olimpico, controllato da centinaia di volontari radiocollegati al comando di Gilberto Viti, allora manager della Roma, non volò una mosca.

Lo sport affratella. Oggi c'è chi sghignazza a questo vecchio e retorico luogo comune. Non sarei così cinico. Non è un luogo comune, né è vecchio, né tantomeno è idoneo. Lo sport affratellerebbe ancora, se però fosse rimasto sport. In realtà non lo è più, è diventato un'altra cosa: affare, spettacolo, industria, politica. E lo è diventato con il complice silenzio di tutti noi, pronti ad accoglierne la degenerazione come ineluttabile adeguamento al costume dei tempi. Le Olimpiadi, diventate un baraccone pubblicitario, si stanno aprendo ai professionisti e tutti tacciono, anzi lo trovano giusto: ai massimi livelli dicono si gareggia soltanto facendo sport a tempo pieno, senza lavorare, e dunque vivendo di sport. Non uno al mondo che abbia detto meglio un record di meno, ma lasciamo ai Giochi il fascino del dilettantismo integrale. In Italia, rispettabili imprenditori comprano e vendono società calcistiche per le quali non hanno mai fatto il tifo: non una voce si leva contro questo insulto alla tradizione e alla passione dei tifosi veri, si dice anzi che bisogna ufficializzare i profitti che molte società calcistiche già assicurano ufficiosamente ai loro padroni. E ancora sport questo ?

Di una finale di Coppa dei Campioni il pubblico conosce la facciata: i bandieroni, i bengala, il boato della folla, i volti disfatti e felici dei vincitori, l’argentea anfora offerta al Cielo come un calice da consacrare. Ma abbiamo mai guardato nel retrobottega ? Vi girano miliardi di contratti televisivi e pubblicitari, si sarebbe scatenata un'orgia di controversie legali, se a Bruxelles non si fosse giocato, con i satelliti televisivi già affittati, con i collegamenti intercontinentali già pagati, con i cartelloni già convenientemente esposti all'occhio delle telecamere. Lo sport affratella, ma gli affari non possono fare concessioni alla pietà: si gioca anche con i morti per terra. Con quelli televisivi e pubblicitari, nel retrobottega delle coppe calcistiche girano anche i miliardi di colossali traffici turistici. Agenzie di viaggio piccole e grandi si buttano su pullman e aerei e sugli stocks dei biglietti, pagandoli a qualsiasi prezzo. Speculatori irresponsabili e senza scrupoli sfruttano entusiasmi e passioni. Chi ha venduto ai tifosi italiani i biglietti del settore Z dell’Heysel volutamente riservato al pubblico neutrale belga ? Come sono arrivati a Torino a Milano a Firenze biglietti destinati a Liegi e ad Anversa ? Chissà se le tante inchieste promesse chiariranno questo non trascurabile particolare. Il bagarinaggio vero non è quello del poverocristo che vende il biglietto davanti allo stadio: è un business che avviene a livello, molto più alto. Ma tutti fingono, anche in Italia, di non accorgersene. Dunque un equivoco sullo sport. Ma c'è, forse, anche un equivoco sugli inglesi. Li crediamo da sempre maestri di "fair-play": in realtà si sono limitati ad esportare la parola. Me ne ricordo quando ripenso a un vecchio collega del "Dailv Express" conosciuto alcuni anni fa, "distinto", elegante, impeccabile apparentemente gentleman, in realtà un ignobile fomentatore di odio e di rancore per tutto ciò che non fosse britannico. Le bande alcoolizzate del Liverpool sono il prodotto di una decadenza cominciata almeno un secolo. Da ricchi, gli inglesi potevano consentirsi il lusso dei poliziotti disarmati e campi di calcio senta recinzioni. Oggi, certi vezzi appaiono semplicemente grotteschi. La cultura dell’aggregazione di massa, esempio di civismo di una volta, è degenerata, riempiendo le antiche forme di contenuti sempre peggiori. I celebri "sit-in" in Trafalgar Square, capeggiati dal filosofo Bentrand Russell si scontrarono negli anni '50 con l'inquietante fenomeno dei teddy boys. Il fanatismo musicale favorì, poi, con le bolge di Woodstock e di Wight, la diffusione di alcool e droga fra i giovani. Il fanatismo calcistico ha infine moltiplicato negli stadi i giovinastri descritti non casualmente in una città della provincia inglese da Stanley Kubrik con "Arancia meccanica". Quell’agghiacciante film di violenza gratuita e selvaggia ci fece rabbrividire quasi quindici anni fa. Che cosa fingiamo ipocritamente di scoprire oggi, dopo i imiti di Bruxelles ?

4 giugno 1985

Fonte: Guerin Sportivo n° 23

ARTICOLI STAMPA "GUERIN SPORTIVO" GIUGNO 1985  

L'Uefa ha deciso

Inglesi cancellati dal calcio

Le squadre di club inglesi sono escluse a tempo indeterminato dalle competizioni europee. Per quanto riguarda il Liverpool saranno assunte sanzioni particolari dopo che la commissione disciplinare avrà esaminato tutti i documenti relativi alla tragedia di Bruxelles. Eventuali provvedimenti relativi alla nazionale inglese verranno assunti in un secondo tempo. Queste in sintesi le decisioni, scaturite domenica 2 giugno a Basilea dalla seduta straordinaria del comitato esecutivo dell'Uefa riunitosi per esaminare i fatti inerenti la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool del 29 maggio scorso. Nel comunicare i provvedimenti, il presidente dell'Uefa Jacques Georges ha detto che "d’ora innanzi tutti gli incidenti, anche i più piccoli, saranno colpiti con sanzioni". Il prossimo 4 luglio a Ginevra ci sarà il sorteggio relativo agli accoppiamenti del primo turno delle Coppe Europee. Nel tabellone non figureranno dunque l'Everton (Coppa dei Campioni), il Manchester United (Coppa delle Coppe), Liverpool, Norwick, Tottenham e Southampton (Coppa Uefa). Questi sei posti "vacanti" saranno occupati da squadre dell'Urss, della Francia, dell'Olanda e della Cecoslovacchia. Tornando ai provvedimenti dell'Uefa, c'è da rilevare che in generale sono stati accolti favorevolmente negli ambienti inglesi. "Penso che sia una decisione molto responsabile", ha detto il presidente del Liverpool Smith. Dick Wragg, dirigente della Federcalcio inglese, ha così commentato: "E giusto, dobbiamo finirla una volta per tutte con i teppisti anche se ciò dovesse durare dieci anni".

4 giugno 1985

Fonte: Guerin Sportivo n° 23

ARTICOLI STAMPA "GUERIN SPORTIVO" GIUGNO 1985  

Hanno scritto in tanti

Nei giorni successivi all'incontro di Bruxelles, sono arrivati in Società centinaia di telegrammi, lettere, cartoline e biglietti di congratulazioni per la conquista della Coppa dei Campioni, contemporaneamente all'esecrazione per la spaventosa tragedia consumatasi allo Stadio Heysel. La JUVENTUS F.C. risponderà a tutti, e per intanto ci ha passato alcuni telegrammi inviati da Società e allenatori i cui nomi pubblichiamo qui di seguito:

E.P.S. IRACLIO CRETA/GRECIA - GIOVANNI PINZANI PRESIDENTE EMPOLI CALCIO - PIER PAOLO MARINO CALCIO NAPOLI - ITALO ALLODI - CORRADO FERLAINO PRESIDENTE CALCIO NAPOLI - PAOLO BOREA CALCIO SAMPDORIA - TEODOSIO ZOTTA PRESIDENTE SETTORE TECNICO COVERCIANO FIORENTINA CALCIO - GIANCARLO DE SISTI - DR. FINO FINI SETTORE TECNICO FIGC - PAOLO MANTOVANI SAMPDORIA - GIUSEPPE FARINA PRESIDENTE MILAN CALCIO - RINO MARCHESI - CESENA CALCIO - LUCIANO NIZZOLA - CALCIO BARI - DIRIGENTI CALCIATORI TECNICI SPORTIVA REGGINA - TARCISIO BURGNICH - LIONELLO MANFREDONIA - SPARTACO GHINI PRESIDENTE PERUGIA CALCIO - FAUSTO MOI - MARISA MASALA VICE PRESIDENTE CAGLIARI CALCIO - FAUSTO MOI PRESIDENTE CAGLIARI CALCIO - LUIGI RIVA - ANDREA ARRICA - GIUSEPPE PALMA A.C. VIETRI RAITO - VERONA CALCIO S.P.A. - GIORGIO CHINAGLIA CALCIO LAZIO - DINO VIOLA - FRANCO JURLANO - PISTOIESE CALCIO - ERNESTO CERESINI - BENITO GATTEI PRESIDENTE CALCIO COMO - VADO FBC VADO LIGURE - PASTURENTI - DARIO AMOROSO ASSESSORE SPORT ALESSANO/LECCE - ALESSANDO D'AGOSTINI - BARDIGOTTA - ARRIGO GATTAI VICE PRESIDENTE CONI - RENZO FOSSATI - LUCIANO MOGGI - VINCENZO MATARRESE PRESIDENTE CALCIO BARI - MOSCONI ALFREDO DIRETTORE SPORTIVO OSPITALETTO - MONCALIERI CALCIO - CALCIO PRATO - EUGENIO BERSELLINI - ROMEO ANCONETANI PRESIDENTE PISA S.C. - SOCIETÀ SPORTIVA LIBERTAS GENOVA SESTRI PONENTE - CUCINE BERLONI BASKET TORINO - SOCCER JAPAN TOKIO - JOZEF PALAMI VICE PRESIDENTE RABA ETO - ANDREAS ZAFIROPOULOS PRESIDENTE AEK F.C. ATHENS S.A. - GEORGE J. VARDINOYANNIS PRESIDENTE OF PANATHINAIKOS FOOTBALL CLUB - KEMALULUSU PRESIDENTE RUKISH FA FUTBOLSPORT - ATHLETIC CLUB BILBAO - PRESIDENTE HAMBURGER SPORTVEREIN E.V. - TONY SACHIAVELLO PRESIDENTE MELBOURNE AUSTRALIA - FERNANDEZ TRIGO GERENTE REAL MADRID - P.J. O'DRISCOLL SECRETARY FA IRELAND - F.C. PAOKS.A. SALONIKO GREECE - F.C. LARISSA GREECE - GABRIEL ROJAS PRESIDENTE SEVILLA FUTBOL CLUB - DINAMO ZAGREB IL PRESIDENTE IVO VRHOVEC - HEINRICH ROETHLISBERGER PRESIDENTE CENTRALE ET EDGAR OBERTUEFER SEGRETARIO GENERALE ASSOCIAZIONE SVIZZERA DI FOOTBALL - JACQUES GEORGES PRESIDENT DE L'U.E.F.A. - HANS BANGERTER SECRETAIRE GENERAL DE L'U.E.F.A. - F.C. RIJEKA FIUME - MILAN TOSIC PARTIZANSKA JUGOSLAVIA - CLIVE TOYE - JOHN SMITH LIVERPOOL FOOTBALL CLUB - FERNANDO MARTINS PRESIDENT SPORT LISBOA E BENFICA - PRESIDENTE DE LA F.A.F.I. DOMAHR - DR. DOMINGOS GOMES FUTEBOL CLUBE PORTO e molti altri.

Giugno 1985

Fonte: Hurrà Juventus N° 6

ARTICOLI STAMPA "HURRA' JUVENTUS" GIUGNO 1985  

Come è stata vissuta la tragedia dell'Heysel

Vincere diventò un dovere

di Giglio Panza

Questo è l'articolo più difficile e più sofferto che scrivo dopo oltre mezzo secolo di professione. Risulterà disadorno, forse disarticolato: ma sarà sincero, privo di concessioni alla retorica e alla demagogia. Non sono minimamente condizionato dal fatto che la Juventus abbia affidato a me, in piena libertà, la trattazione della più tragica vicenda della sua storia sportivamente gloriosa. Prima della finale di Bruxelles, la Juventus aveva giocato in Coppa dei Campioni 66 partite e io le avevo viste tutte. Un primato che qualche volta ostentavo anche con un po' di civetteria; e che allo Stadio Heysel si è concluso nell'angoscia, nella disperazione. Fra questi morti c'erano volti conosciuti, uomini che potevano essere miei figli e giovani che m'era caro considerare come miei nipoti. Gente che voleva bene alla Juventus e che con sacrificio aveva voluto esserle vicino. Qualcuno c'era anche nel '73 a Belgrado, molti erano presenti due anni fa ad Atene; l'amarezza di quelle sconfitte non li aveva prostrati ma spronati a sostenere la squadra nel terzo tentativo. Per migliaia di famiglie italiane la Juve fa parte del ceppo originario. Talvolta mi sorprendo nel constatare la profondità di questo amore; ma poi, sotto sotto, invidio la gioia fanciullesca che questi tifosi provano nelle ore liete e la loro fiera malinconia dei momenti tristi. Da anni, su questa rivista, ho un colloquio con i tifosi juventini di tutte le regioni d'Italia: ho imparato a conoscerli, a capirli; ho ricevuto più io da loro che essi dalle mie risposte, dal punto di vista umano. Sono certo che comprenderanno perché in questa circostanza le loro lettere rimangono inevase. È proprio il rapporto con i fedelissimi di "Hurrà Juventus" che ha reso, continua a rendere, più coerente la mia sofferenza per un dramma che si è verificato solo per la scellerata negligenza del servizio d'ordine belga e la colpevole trascuratezza dell'Unione Europea. Nessuno meglio dei dirigenti calcistici conosceva i tifosi inglesi, già protagonisti di tanti incidenti un po' ovunque: possibile che ignorassero che i biglietti del tragico settore "Z", attiguo a quelli occupati dagli "hooligans", erano stati venduti a italiani ? E, sapendolo, perché non hanno sollecitato il Capo della Polizia a predisporre un robusto cordone protettivo fra gli inermi italiani e gli scatenati britannici ? Sono domande che continuiamo a farci, sono accuse che lanciamo sapendo che non avranno seguito. Sono soprattutto sfoghi per stemperare il dolore, la rabbia, anche il rimorso d'essere stati testimoni inerti d'una carneficina. Poi, dal giorno successivo al dramma, è cominciata la macabra esibizione dei commentatori politici, intellettuali, sociologi e neuropsichiatri. Ognuno con sue "illuminate" spiegazioni, per lo più demagogiche e spocchiose. Molti non sono riusciti a nascondere, neppure di fronte a una tragedia di tali proporzioni, la bassezza del loro tifo anti-juventino. Si può comprendere che una squadra con tanti amici abbia anche tanti inviperiti nemici: ma diventa intollerabile che costoro tentino addirittura di colpevolizzare chi, con alto senso di responsabilità e civile coraggio, ha cercato di evitare che le fiamme divampassero. Non so quale conforto possa arrecare la mia testimonianza sul comportamento civile, umano e sportivo che la Juventus, società e squadra, ha tenuto nella drammatica serata e nei giorni seguenti. I giocatori che rischiando d'essere soffocati sono andati a placare i tifosi assiepati nella curva opposta a quella della morte affinché non si lanciassero a ingigantire le proporzioni del disastro. I giocatori che con la morte nel cuore hanno accettato di giocare affinché la tregua della partita consentisse salvataggi e bloccasse le violenze. La incredibile coraggiosa serenità con la quale questi giocatori della Juventus si sono battuti, consci che in quel momento lottavano anche per uomini e donne che non c'erano più, che il bene supremo della vita avevano sacrificato per seguirli nella speranza di vederli vincere. La Juventus ha vinto e il fatto che, su suggerimento degli organizzatori, sia per un momento arrivata a mostrare la Coppa alla sua gente, è stato malevolmente additato come una prova di insensibilità. La Juventus è stata poi perentoriamente invitata a respingere la Coppa, con argomentazioni d'una imbecillità superiore all'immaginabile. Per fortuna, la Juventus è una Società che nel calcio conserva il tradizionale buon senso dei vecchi piemontesi. Ha fatto e sta facendo molto per alleviare moralmente e materialmente le conseguenze luttuose e le sofferenze di chi porta nella carne i segni della violenza. Lo fa con pudore di chi non vuole ostentare; ma la sua posizione è esattamente quella che doveva essere. È vero che questa Coppa è macchiata di sangue innocente; ma la Juventus che la rincorreva da 27 anni l'ha vinta a testa alta: prima di superare i grandi avversari del Liverpool, ha vinto l'orrore per la tragedia che s'era consumata quasi sotto i suoi occhi. Perché mai doveva essere respinta, questa Coppa vinta forse proprio per gli stimoli derivanti dal dovere di onorare la propria gente ? Un filosofo inglese, studioso dei costumi, Desmond Morris, ha scritto: "La tragedia e la morte non sono sufficienti a tenere lontano dal gioco gli uomini della tribù del calcio". C'è qualcosa di vero, nella cinica formulazione dell'intellettuale britannico: ma allo stadio di Heysel, Scirea e i suoi compagni non erano una tribù bensì giovani uomini più consci di compiere un dovere che di tentare a tutti i costi una conquista. Il tempo rimargina tutte le ferite, ma la sera del 29 maggio 1985 non può, non deve, essere dimenticata. È avvenuto un massacro che deve ammonire le nostre coscienze, impegnandole a operare al fine di tagliare la violenza fin dalle radici. Che senso avrebbe mai la nostra fraterna solidarietà con le vittime e con le loro famiglie se non ci batteremo affinché gli assassini restino fuori dagli stadi ? Sono certo che in quest'opera di rigenerazione dei valori autenticamente sportivi, la Juventus farà la sua parte. Come l'ha fatta nelle tragiche ore di Bruxelles.

Giugno 1985

Fonte: Hurrà Juventus N° 6

ARTICOLI STAMPA "HURRA' JUVENTUS" GIUGNO 1985  

Il dovere di giocare la partita la cosa più pulita e più morale

di Giorgio di Rienzo e Gianni Romeo

"I morti della tragedia di Bruxelles sono stati seppelliti; le inchieste sull'accertamento delle responsabilità di quella tragedia sono state avviate: la televisione e i giornali da domani passeranno ad altro e il furore dei commenti con tutta probabilità si smorzerà, pian piano, da una parte, in una serie magari mortificante di pettegolezzi e, dall'altra, in una sostituzione magari maliziosa d'immagini. Chi non ha vissuto dall'interno dello stadio, nella sua confusione complessa ma reale, ciò che è accaduto mercoledì scorso, ha giudicato scandaloso il via dato alla partita, mentre fuori del campo si contavano i morti. Molti commentatori hanno deprecato i gesti di giubilo (in realtà ben contenuti) dei giocatori juventini alla fine di una partita, che è stata definita (per lo più da chi non vi ha assistito) una "partita finta". Un giornale ha chiesto a chiare lettere, come "segnale ben preciso" di una "riparazione verso i morti, i grandi dimenticati della tragedia" di Bruxelles, la restituzione della coppa dei campioni da parte della società bianconera. Anche queste belle e sagge parole fanno parte soltanto del grande spettacolo. Nella realtà dei fatti, chi si trovava nello stadio "Heysel", non nel conforto di una tribuna d'onore o di una tribuna stampa, ed ha vissuto fra la gente, con paura e dolore (senza poterne neppure percepire le reali conseguenze) il clima di violenza e di tensione delle ore lunghissime precedenti la partita, ha capito benissimo, anche soltanto per istinto, quanto fosse necessario che i giocatori scendessero in campo. E va dato atto a questi giocatori (a tutti, bianconeri italiani e rossi inglesi), va dato atto, senza falsi pudori intellettualistici, di aver voluto e saputo condurre una partita di calcio "vera", un incontro sportivo responsabilmente corretto; come va riconosciuto il vero coraggio di uomini di aver portato fino in fondo (al di là dei sentimenti personali) questo incontro, anche con il gesto dovuto, necessario (in una partita che doveva essere "vera") del giubilo per una vittoria, Come dell'accettazione sportiva di una sconfitta. Anzi, mi par proprio di poter dire che quella partita, in quel clima, dopo quella giornata, sia stata tra le poche cose moralmente pulite, tra i pochi segni di dignità umana, di tutta questa settimana infuriata. Restituire la coppa da parte della Juventus allora significherebbe tutt'altro che una "riparazione" verso i morti di Bruxelles. Avrebbe il valore soltanto di un "bel gesto" inutile, anzi dannoso, diventerebbe il rituale grottesco di un pubblico esorcismo liberatorio, per cancellare, subito, nel conforto di una deamicisiana (fittizia) bontà, una realtà che si ha molta fretta di dimenticare, per far passare a ciascuno, attraverso il transfert di una buona azione spettacolare, la tentazione (certamente rischiosa) di riflettere davvero". (Giorgio De Rienzo, Il Corriere della Sera)

"L'immagine dell'ondata tumultuosa di teppismo che ha schiacciato quei poveri italiani della curva "zeta" di Bruxelles è stata riproposta in questi giorni dalla tivù tante volte, almeno quante sono state le occasioni di dibattito sull'argomento. La crudeltà del filmato, anche a distanza di una settimana, ha continuato a parlare meglio di tanti oratori; chi si attendeva una parola di speranza sul futuro dello sport, sulle radici della violenza, si è trovato il più delle volte ad ascoltare discorsi fragili, vuoti. È bene restituire la coppa oppure no, era il caso che i giocatori facessero il giro d'onore o no ? È come se, il giorno in cui è colata a picco una nave, si andasse a discutere se su una scialuppa era meglio ospitare questo o quello, invece di provare a capire perché la nave è affondata. Anche un senatore (Ossicini al "Processo del lunedì") ha contribuito ad alimentare una confusione che ha spostato i termini del problema non giovando a nessuno. Ci ha telefonato un lettore ponendoci una domanda che pari pari giriamo al senatore Ossicini e eventualmente ad altri: se dopo la tragedia olimpica di Monaco 1972 è stato riconosciuto pieno valore alle medaglie conquistate dagli atleti, non inquinate da un evento di natura politica, perché la coppa di Bruxelles dovrebbe essere macchiata da un fatto che è essenzialmente sociale ?" (Gianni Romeo, La Stampa)

Giugno 1985

Fonte: Hurrà Juventus N° 6

ARTICOLI STAMPA "HURRA' JUVENTUS" GIUGNO 1985  

Dopo Bruxelles ecco l'Italia del blabla

e chi finisce sotto accusa ? La Juventus

di Gian Maria Gazzaniga

Sabato notte, milioni di persone hanno probabilmente seguito, in tivvù, un memorabile dibattito sulla strage di Bruxelles. Il dibattito, diffuso da "Speciale Tg1" e diretto da un moderatore che sembrava arrivato dalla luna, si è risolto in una nuova, lampante dimostrazione di quanto andiamo sostenendo da lunga pezza circa l'insopportabile, demagogica abitudine di informare il prossimo da parte dei mass media: uno spaccato emblematico di certa Italia, con la fregola delle tavole rotonde, incessantemente portata a disseminare frasi logore o pastorali apocalittiche come noccioline, piangendosi addosso. Cioè, invariabili inviti, tra l'accorato e il perentorio, a giganteschi esami collettivi di coscienza in nome della cultura e della civiltà oltraggiata. A nostro avviso, e per una volta che teppismo barbaro e selvaggio riguarda altre nazioni, dietro a siffatto ruotar di pavoni, accompagnato assiduamente da un'autocritica copiosa, si nasconde forse un vizietto di tipo masochistico, ma il popolo, imbottito di paroloni, generalmente non afferra l'idea patologica oppure interpreta i messaggi tirando democraticamente sassate alla fazione avversa: più facile la seconda ipotesi della prima. Sabato notte, per gradire, abbiamo sentito, tra l'altro, che questo non è più sport, che gli stadi insanguinati sono il segno rabbrividente di una civiltà sopraffatta dalla violenza, e che quindi il calcio, concepito attraverso riti tribali, balenio, di coltelli, spranghe e fanatismi aberranti, dovrebbe essere abolito. Intanto, per cominciare, non mostriamo questa coppa; meglio, facciamo finta che sia stata un'amichevole. Ci sta bene tutto, compresa l'accusa ai dirigenti responsabili del calcio italiano, sicuramente colpevoli di aver promosso e incoraggiato indecorosi stravolgimenti popolari attorno ad un faraonico baraccone, salvo una cosa: quasi sembrava, raccogliendo filippiche sdegnate e sottilmente in sintonia con altri stemmi palionari, che sul banco d'accusa non sedessero soprattutto quell'orda assassina di Liverpool, l'inetta Gendarmeria belga o i parrucconi dell'Uefa. Era la Juventus, insieme alle reazioni spropositate, offensive di alcuni giocatori festanti e di tifosi senza anima e senza cuore per i morti di Bruxelles. E questo (immagini di gladiatori insensibili e di plebe bruta, da una parte sola), se ce lo consentite, non ci sta bene. Sono anni che scriviamo contro le parrocchie del tifo strumentalizzato, le faide e gli stravolgimenti di massa, innescati sistematicamente dai mass media, ma guardate cosa devono sentire oggi gli italiani dagli uomini colti e lodevolmente impegnati a difendere il buon vivere civile: una fiumana di blabla, in chiave di storia, di costume nazionale e di tessuto sociale, intesa a dimostrare, tra scivolate fatali verso la suggestione dei ludi antichi, che la partita non era da giocare; che stupide e inqualificabili sono unicamente le reazioni fanatiche o xenofobe di certi italiani. Sul resto, esempio su chi ha scatenato orrore e morte, sulle responsabilità gravissime della polizia belga e dell'Uefa, oggi terribilmente implacabile; sulla vera faccia dell'altra Italia che imbratta i muri di scritte indegne e continua a discutere solo per un rigore dato e non dato, sostenendo che la partita non dovrebbe essere considerata ufficiale (si capisce, mica tocca ai propri eroi); sugli italiani che hanno vergognosamente manifestato il loro macabro disappunto per il numero dei morti, augurandosi ulteriori carneficine, poco o niente. Interessavano maggiormente i discorsi di cui sopra in quanto così vanno le cose nel nostro Bel Paese, sia per il calcio che per altri fatti più importanti della vita nazionale: arringhe, interventi di moralisti, secondo vezzo irrinunciabile di pistolotti e angolazioni di comodo, più riflessioni amare e sotto intesi consensi per gli inglesi, che hanno fatto tanti morti però, riconosciamolo, hanno pure avuto il coraggio civile di autoeliminarsi dalle coppe europee. Secondo noi, dibattiti così servono solo a buttare benzina sul fuoco, comunque tra poco dimenticheremo tutto; anzi, nessun problema, qualora un giorno anche nei nostri stadi dovesse scorrere nuovamente il sangue, come già accaduto: un esercito di autoflagellanti e di fustigatori, in nome della civiltà calpestata, è già qui, pronto a scattare. Il giorno dopo... (Gian Maria Gazzaniga, Il Giorno)

Giugno 1985

Fonte: Hurrà Juventus N° 6

ARTICOLI STAMPA "HURRA' JUVENTUS" GIUGNO 1985  

Caminiti racconta...

Quando vincere è un dovere doloroso ma luminoso

di Vladimiro Caminiti

Avrò sempre negli occhi lo sfregio di quella curva inzeppata di scarpe, stracci, camicette imbrattate di sangue, giornali, indumenti, calze; lo stadio Heisel non avrebbe dovuto essere teatro della finale della Coppa Campioni, ma al di là di questo la squadra di Trapattoni è stata grande. Che il coronamento di un traguardo inseguito per trent'anni dovesse arrivare in una sì agghiacciante situazione, chi avrebbe mai potuto prevederlo ? Anche noi giornalisti dovremo ricominciare a percorrere le strade antiche del giornalismo che educa, ammonisce, castiga. Il calcio giocato non c'entra con gli assassini dello stadio. La Juve si è rivelata più grande del male con la sua professionalità intessuta di senso del dovere e di autentico amore per il calcio - Dal Giro d’Italia a Bruxelles rivivendo momenti ed emozioni del campionato.

Bruxelles. Avrò negli occhi per sempre lo sfregio di quella curva inzeppata di scarpe, stracci, camicette imbrattate di sangue, giornali, indumenti, calze. Lo stadio Heisel non avrebbe dovuto essere scelto a teatro di una finale di Coppa Campioni, ma al di là di questo la violenza come violenza, la follia come follia, alimentate dall'alcool, chiamano in causa le istituzioni non soltanto sportive. Che il coronamento di un traguardo inseguito per trent'anni dovesse arrivare in una sì agghiacciante situazione, chi avrebbe mai potuto prevederlo ? I giocatori bianconeri hanno disputato contro il fortissimo Liverpool una partita leggendaria. Le due squadre non c'entrano con gli assassini dello stadio. Loro giocarono la partita, ritrovando in campo una totale consapevolezza. Ci fu Tacconi prodigioso, anche come eleganza di gesto, imbattibile nella giornata, alcune sue parate non dimenticheremo, esse restituiscono un campione al nostro calcio. E il calcio nostro ha bisogno più che mai di grandi portieri. Ma fu tutta la squadra vera protagonista, il respiro del suo contropiede impedì al Liverpool di concatenare logicamente il suo gioco. La ragnatela dei rossi fu annullata dal movimento più brioso, più estroso, dei bianconeri. Tutti grandi. Il Rossi redivivo, l'incredibile Briaschi, il superbo Brio. E Cabrini e Favero e Bonini e capitan Scirea e l'indomabile Tardelli. E Boniek, l'uomo della notte. E ora ? Ora penso a come s'iniziava per me quest'avventura. Appresi all'ultimo istante, si può dire, che sarei andato al Giro d'Italia. E dal Giro sarei volato a Bruxelles, con la Juventus. E ho quindi da raccontare il ritorno a cose che credevo di avere archiviato, cinque Giri d'Italia e due Tour, quando mio padre moriva a Padova ed io arrivavo stanco morto a Parigi, all'alba degli anni settanta; la riscoperta d'un paese che solo la Juve e il Giro d'Italia trattengono dal disunirsi definitivamente. Oggi come ai tempi di Bottecchia detto Botescià e di Coppi. Bottecchia detto Botescià dai francesi, Coppi detto monsieur Coppì perché era un signore, mentre Botescià era un povero cristo che pedalava per sfamarsi, ma era sempre affamato. Pedalava senza un centesimo in tasca, nel sembiante stesso di muratore che non si staccava mai da lui come la sua seconda pelle naturale e bestemmiava e pedalava con l'ultimo fiato o l'ultimo grugnito. La sua pedalata sapeva di privazioni e di patimenti, ma soprattutto di fame, fame atavica, secolare, plurisecolare, da riempire. E che non si riempiva mai. E fece una fine terribile, quanto stupida, centrato dal sasso di un contadino che era andato a inquietare, rubandogli le mele sotto il naso. Bottecchia era un ladro ? Un ladro di mele è solo un disgraziato. Rubava per fame, la fame implacata, incessante, disperata di un morto di fame. E Coppi ?

La pedalata di Coppi

Coppi era un signore anche quando sbandava in bicicletta per quelle sue improvvise e rituali crisi da fame. Fame da cittadino del mondo, fame istruita, possessiva e scavante, ma che non impediva a Coppi di addentare la pagnotta senza avventarsi, col suo sempiterno stile. Lui che doveva scoprire la vita un po' tardi, che ragazzo di salumaio aveva pedalato subito trovando sotto le sue gambe le ali per volare, amava la bicicletta, essa era la sua fata Morgana. Lo faceva piangere, ma anche ridere inebriato. Era femmina la sua bicicletta e lui la dominava. Con fermezza e con dolcezza, nasceva la pedalata di Coppi mai più eguagliata, un minuetto di eleganze assortite, un volo senza ali visibili, la pedalata di un impareggiabile artista. Non nego, dopo una stagione intensa di emozioni calcistiche, che le mie prime tappe in questo Giro del ritorno, le consumai pensando spesso la finale di Bruxelles. Come sarebbe andata a finire ? È maturo, è sacrosanto, mi dicevo: la Juve vinca finalmente quanto le spetta. Ma... Io ho seguito la Juve tutto l'anno, sono arrivato a Bruxelles attraverso tappe di lavoro dietro la squadra, ricordo ancora la sconfitta di Bordeaux vissuta in cronaca diretta, quella sofferenza di campioni generosi ma provati alla distanza. Una partita sola è sempre un terno al lotto, mi dicevo. E pensavo alla Roma castigata dallo stesso Liverpool dopo tanti sogni... Ma mi ripigliava poi una certa fiducia, pensando alle qualità della Juve operaia così tanto trascurata dai celebri oroscopi e che invece è la base di ogni squadra vera. Il suo cuore, la sua grinta, la sua validità. Certi giocatori per me sono emblematici di un costume e ricoprono un ruolo basilare nelle forme e soprattutto nello stile di una società.

Cantastorie e notturna

Non bisogna dimenticare questi umili, tra i quali doverosamente si inserisce Luciano Bodini. Non bisogna dimenticare i cinque mesi da titolare che Bodini ha offerto agli equilibri ed alla serenità della squadra. Io ho ripudiato Bodini ? Qualcuno ha notato delle discrepanze tra quanto in quei giorni del passaggio di maglia tra Bodini e Tacconi, si era a Napoli, scrivevo su Tuttosport e quanto ho scritto sul Guerino. Nessun ritardo. Io collaboro da anni al Guerino. E credo di avere sempre dato anche a quella testata tutto me stesso. Ho le sviste ricorrenti come sostiene nelle sue lettere a Piero Dardanello un lettoruncolo di Sanremo; ma chi non sbaglia scagli la prima pietra. Quanto a Bodini, fui preso controtempo da quell'improvvisa risoluzione tecnica trapattoniana. Trap è legato ai corazzieri. La pensa come Italo Pietra. Non perdona a Bodini quei quattro centimetri in meno. Ma non mi rimangio in questa sede quanto ho scritto sul Guerino e cioè che sono i giocatori come Bodini portatori di valori ormai trascurati, ma determinanti. Bodini coi suoi comportamenti juventini riconcilia con il gioco del calcio. Per qualcuno io sono un cantastorie. Io sono come sono. Piero Dardanello sostiene che niuno fa la partita notturna come me. E può avere ragione, ma che ne so io. Io ce la metto sempre tutta. Ai giovani che mi scrivono raccomando di leggere. Nessuno nasce perfetto, i geni non esistono, esistono gli artigiani. Sono un artigiano della penna, avrò sempre un cuore.

L'appassionato Gianni Minà

Ma proprio al Giro d'Italia, saltabeccando come un ossesso, maledicendo per certe levatacce il giorno in cui son nato, mi consolavo riguardando alcuni miei appunti sulla Juve, che presto usciranno in un libro. Dico articoli particolarmente riusciti a parer mio. Ed anche per una maggiore sobrietà nell'esporre, per meno fronzoli e meno voglia di sparare frasi roboanti, ammesso che mai l'abbia avuta e non fosse invece connaturata al mio spirito ed al fuoco dei miei vent'anni. La Juventus ora è attaccata da ogni parte in nome di certi principi che non si rispetterebbero più; lo stesso Tardelli ha lamentato in una sua intervista che i dirigenti non legano più coi calciatori. Ma vorrei che i calciatori non si illudessero troppo a proposito del loro stesso mestiere, credendo ad esempio a certi avvocati e non a Matarrese. Faccio un esempio. Ero a Napoli, tra i vulcanici amici napoletani. Rivedevo Oliva, il pugile più forte d'Italia. Antonio Corbo aveva chiamato alla ribalta quel collega appassionato di Gianni Minà. Il tema era la "fuga" di Maradona in Argentina. Essa era giustificata ? Oppure avrebbe dovuto aspettare la fine del campionato ? Io dissi due cose: la prima sulla "fuga" che era ingiustificata; la seconda sulla società che aveva lasciato sbagliare Maradona. Un avvocato campaniano con tanto di codici sotto braccio insorse gridando che Maradona era stato offeso nella sua dignità di uomo. La solita demagogia sui diritti dei calciatori. Saltò su Angelillo, che era con la pallida e graziosa moglie Bianca, ricordando che i calciatori hanno anche dei doveri. L'Associazione Italiana Calciatori ormai interviene su tutto, e su tutto vuol far valere i diritti dei calciatori. Così la mitomania cresce, la demagogia impazza, il Napule non è più il Napule ma è Maradona, ogni follia pur che Maradona sia contento, sia felice, sia sazio. Ora Ferlaino manda avanti Allodi e Marino, lui sempre nascosto, tra le quinte, a vedere cosa succede. Lo si può imbattere a tarda notte, dopo che si è visto anche lui la tra missione di Corbo a Teleoggi, in compagnia della sua bella moglie, al ristorante "Sacrestia". Palermo e Napule per me sono seconde solo alla Juve. Ma forse non camperò abbastanza per vederle premiate come meriterebbe la sua gente. Come meriterebbe la gente di Napoli specialmente, che è sportiva sul serio, forse perché in possesso della chiave con cui aprire ogni porta, della qualità che fa sopportare ogni peso: l'ironia.

Sergio Brio e Carlo Parola

Proprio nella partita di Napoli si ebbe un rientro fondamentale: quello di Brio. Io considero Brio il calciatore più infrangibile della storia del calcio. L'ho paragonato ad un bastione del famoso ponte di Brooklyn, voglio dire l'infrangibilità della tempra di questo lavoratore specializzato, o come dice lui, di questo operaio. Che ha preparato questa sfida a Rush attraverso mesi e mesi, senza mai mollare, senza mai vacillare. L'ultimo infortunio è stato di una perfidia senza pari. Brio è stato colpito al naso. Oggi il suo naso è appallottolato, comincia a somigliare a quello di Carlo Parola. Nel naso un campione plebeo porta i segni dei colpi presi. La verità è che Brio il trampoliere rischia nelle mischie addensate sotto la porta della Juventus. Egli è il perno di tutto il meccanismo difensivo. Non ha la gioventù e la corsa di Vierchowod, non ha la classe elegante di Collovati, ma ha qualcosa di più di questi due nella sua natura di calciatore operaio votato anche al rischio, al sacrificio. Ecco perché non si rompe mai. Il segreto di Brio è il segreto di Pulcinella. Voglio dire che Brio si affida al lavoro per durare e resistere col suo fisico massiccio. Non sono alto 1.94 ma 1.89, garantisce. Va bene, ma è sempre un po' trampoliere. Come farà a marcare Galderisi ? Rava mi ha raccontato le sue pene per fermare un Frossi. E allora ? Brio mi racconta le sue nei mesi in cui non gioca, il suo amore rissoso, pignolo, assolutista per la professione. E me lo dice con parole bellissime, con parole documento: "Io ce la metto tutta, io non mi arrendo mai. Questa partita con Ian Rush ho cominciato a prepararla già col naso rotto. Un duello difficile, lo so. Rush è il più forte del mondo. Ma con me nessuno si diverte perché io non mi diverto. In campo non conosco nessuno e menerei anche mio padre. E lei sa quanto mio padre è importante, mio padre Carmelo poi, era parrucchiere, con sua moglie Paola, ora non lavorano più, mi vengono a trovare, sono stati con me, a casa, a farmi compagnia, nel periodo che mia moglie è rimasta a Pistoia per rimettersi dal secondo parto". Ogni parola per questo leccese è pietra. Questo leccese è la fine del mondo applicato ai costumi frivoli di oggi con la sua serietà pugliese. Brio è la roccaforte degli ideali del calcio. Chi dice che la maglia non conta più niente, non ha profumo, non ha fascino, non è niente, venga da Brio. Chi dice che il calciatore è un vanesio, vada a vedere Brio in allenamento. Non molla mai. È sempre in testa. Si allena come un ragazzino. È un ragazzino cresciuto. Mi sono portato al Giro d'Italia questi pensieri sparsi, contando anche i giorni che mi separavano dalla trasferta di Bruxelles.

Giugno 1985

Fonte: Hurrà Juventus N° 6

ARTICOLI STAMPA "HURRA' JUVENTUS" GIUGNO 1985  

Animals (Dossier Heysel)

di Paolo Facchinetti

Sembra lontana la terrificante notte del 29 maggio, ma il mondo è ancora sotto choc. Ci si interroga, sgomenti, sulle cause di quel massacro che rimarrà per sempre non solo nella storia nel calcio ma anche nella memoria dell'intera umanità, pure abituata a incomprensibili manifestazioni di follia distruttiva. Juve-Liverpool, finale di Coppa dei Campioni, si è trasformata in una carneficina (39 morti) a causa di una esplosione di violenza da parte di un gruppo di teppisti. Non violenza "irrazionale", come l'hanno definita gli esperti di psicologia delle masse, bensì razionalissima e prevedibile perché di "marca" britannica. Dicendo ciò non temiamo di essere tacciati di anglofobia: gli inglesi per primi e con molta onestà hanno riconosciuto l'inequivocabile matrice dei fatti. Il Daily Post di Liverpool ha definito quella di Bruxelles come "la notte della vergogna". Di vergogna nazionale ha parlato anche il premier Margaret Thatcher. "Animali, ecco cosa sono: animali !", era stato il commento unanime di quanti nel mondo, esasperati, si erano trovati concordi nel pronunciare un verdetto immediato: fuori gli inglesi dal calcio. Adesso che la tensione emozionale si è un po' allentata cedendo il passo a riflessioni più ponderate, si cercano più a fondo le ragioni della follia di Bruxelles. Un dato di fatto è evidente: la violenza calcistica esiste in tutto il mondo, ma quella di stampo britannico da tempo ha assunto caratteristiche di sistematicità. E dunque occorre risalire alle sue radici non solo per estirparle ma anche per impedire che attecchiscano in altri terreni, per imitazione. Le riflessioni in proposito ci portano a due punti di riferimento: uno storico, l'altro socioeconomico. La Gran Bretagna nel secolo scorso è stata il centro del più grande impero che il mondo abbia mai conosciuto; contemporaneamente ha prodotto molto di ciò che oggi caratterizza la nostra era: una lingua universale, la società industriale, il liberalismo economico. E anche lo sport. Ciò ha portato, nel tempo, i britannici a covare pericolosi complessi di superiorità e dunque a privarli di senso di autocritica. Il che li ha fatti trovare impreparati, o increduli, davanti a una realtà che si è affacciata con l'inizio del ventesimo secolo: il declino della supremazia mondiale della loro patria. Da molto tempo l'isola sta vivendo una forma acuta di decadenza a tutti i livelli (economico, demo-grafico, morale) e da troppo poco tempo si è decisa a uscire da quello "splendido isolamento" che aveva contribuito a costruire miti come quello del fair play o del self control.

Oggi il tasso di disoccupazione è uno dei più preoccupanti, il regresso della produzione è allarmante. Se a ciò si aggiungono i profondi contrasti sociali, le tensioni religiose, le battaglie con l'Ira e anche la recente guerra condotta con l'Argentina per le Falkland, diviene facile capire quanto sia divenuta esplosiva la situazione e come soprattutto in questo momento storico particolare sia facile la proliferazione di "animali" e l'esasperazione di barbarie, che comunque da tempo hanno caratterizzato la storia del football britannico. Il tifo calcistico improntato alla violenza altro non è se non la logica conseguenza di tutto ciò, oltre che del permissivismo suicida delle autorità preposte all'ordine. Gli hooligans, i teppisti degli stadi, oggi sono tutti "cittadini", figli della rivoluzione industriale, esasperati dai problemi della nazione oltre che dalla ripetitività frustrante del loro vivere quotidiano. Adesso sono sulle cronache gli "animali" di Liverpool perché questa, fra tutte le città, è la più colpita dal processo di decomposizione inglese; ma a Londra come a Birmingham, a Manchester come a Leeds, esistono da tempo orde di giovani che nella violenza hanno trovato un loro motivo di essere: gli inni, l'abbigliamento, le strategie di conquista del "territorio" nemico, le qualifiche di headbangers (spaccatesta) o di nutters (svitati) appartengono alla loro protesta sociale come elementi rituali che servono a contraddistinguerli dalla massa. La conquista di uno stadio, la devastazione di una città assumono in loro un significato esistenziale. Il terribile mito della violenza britannica prende corpo a cominciare dal 1920. Sono i tifosi del Birmingham a scatenarsi per primi e a divulgare modelli di aggressività. Negli anni '30 si distinguono quelli del Glasgow e poi quelli del Leycester, passati alla cronaca come demolitori di treni. Dal dopoguerra in poi l'elenco delle violenze britanniche (quindi inglesi, gallesi, scozzesi) fa registrare un crescendo impressionante, anche perché caratterizzato dall'introduzione di un tipo particolare di sollecitazione: l'alcol (soprattutto birra). Subito nel 1946 si registra una prima grande tragedia: una gigantesca rissa fra opposti supporters del Bolton e dello Stoke City provoca 33 morti e 500 feriti. Nel 1962 è ancora Bolton teatro di una inquietante strage: 25 morti e 550 feriti a causa di incidenti esplosi prima e durante un incontro fra Scozia ed Inghilterra. Nel 1971 a Glasgow le cifre di un massacro inorridiscono il mondo: durante il derby Celtic-Rangers esplode una rissa tra cattolici e protestanti delle due opposte fazioni al termine della quale si contano ben 66 morti. Appena un anno dopo la violenza inglese diventa merce da esportazione: a Barcellona in occasione della finale di Coppa delle Coppe fra Dinamo Mosca e Glasgow Rangers i teppisti scozzesi provocano tali tumulti che l'Uefa esclude per un anno la squadra dei Rangers dalle competizioni europee. Dopo la Spagna è l'Olanda a conoscere da vicino la violenza degli "animali" d'oltremanica: 1974, Rotterdam, finale di Coppa Uefa tra Feyenoord e Tottenham, 250 feriti. Ancora un anno e la violenza inglese sconvolge la Francia: Parigi è devastata dai tifosi del Leeds sconfitti dal Bayern nella finale di Coppa dei Campioni; l'Uefa sospende la squadra inglese per quattro stagioni. Ancora in Francia, nel 1977: questa volta è St. Etienne a toccare con mano la barbarie dei sostenitori del Manchester United in occasione di un incontro di Coppa delle Coppe.

Nel 1980 Torino è invasa da orde di tifosi inglesi per Italia-Inghilterra: gli incidenti sugli spalti sono talmente clamorosi da indurre l'Uefa a multare l'Inghilterra di 20 milioni. Dopo l'Italia, nel 1981 è la volta della Svizzera: a Basilea in un incontro valido per le qualificazioni mondiali i sostenitori inglesi provocano danni per 150 milioni di lire e 17 feriti. Nel 1982 è la volta del Belgio: durante la semifinale di Coppa dei Campioni con l'Anderlecht, i tifosi dell'Aston Villa invadono il campo e provocano tali sconvolgimenti da costringere l'Uefa a far giocare a porte chiuse l'incontro interno con i turchi del Besiktas nella successiva stagione. Nel 1982 ancora la Spagna di scena: i tifosi del Manchester United ingaggiano una battaglia contro la polizia di Valencia e distruggono lo stadio. Anche la Danimarca nello stesso anno subisce la presenza inglese in occasione di un incontro con la Nazionale inglese: gli arrestati fra i tifosi d'oltremanica sono 41. Nel 1983 c'è un replay allucinante di Feyenoord-Tottenham a Rotterdam: le risse scatenate dai tifosi inglesi provocano 30 feriti. Anche il vicino Lussemburgo è sconvolto poche settimane dopo: 250 milioni di danni causati dalle intemperanze inglesi per Lussemburgo-Inghilterra. Assommano invece a un miliardo e mezzo di lire i danni causati a Parigi nel 1984 dai vandali inglesi prima, durante e dopo Francia-Inghilterra. E siamo ormai a questo maledetto 1985: una rissa fra tifosi del Luton e del Millwall provoca 41 feriti; incidenti durante Sheffield e Leeds causano 6 feriti gravi e 74 arresti; un ferito grave e nove arresti è invece il bilancio di Hibernians-Aberdeen; Manchester City-Notts County conta 100 milioni di danni e 15 arresti; un morto, 100 feriti e 125 arresti caratterizzano Birmingham-Leeds; 80 sono gli arrestati a Glasgow per Scozia-Inghilterra, 90 i "fermati" ad Helsinki per Finlandia-Inghilterra. È di poche settimane fa l'allucinante rogo di Bradford dove a causa di un petardo acceso da un tifoso di-vampa un incendio che divora le tribune in legno e provoca una cinquantina di morti. E adesso, il massacro di Bruxelles. La Gran Bretagna è rimasta sgomenta davanti alla barbarie dei propri figli e si è fermata a meditare con una decisione che le fa onore: prima ancora dei provvedimenti dell'Uefa, si è autoesclusa dal calcio. Auguriamoci che tutti recepiscano il significato di questo stop e che il sacrificio di Bruxelles non sia avvenuto invano.

Giugno 1985

Fonte: MASTER (Rivista Mensile di calcio - Anno 4 - Num. 32)

ARTICOLI STAMPA "MASTER" GIUGNO 1985  


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