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ARTICOLI 2 GIUGNO 1985
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ARTICOLI STAMPA 2.06.1985
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2.06.1985
ARTICOLI STAMPA 2.06.1985

Platini Morini e Tacconi in visita ai feriti. Il Belgio saluta i morti

I parenti non potranno avere subito le salme: c’è l’autopsia

Nonostante tutto, hanno atteso che si giocasse

Il governo belga insiste "Noi non abbiamo colpe"

E al rientro lacrime e tricolori

Platini e Tacconi visitano i feriti

Solo Soldati grida: "Brava Juve

La procura chiede nuove autopsie

Tutti sani e salvi i biellesi. "Il Belgio non ci vedrà più"

E' fuori pericolo la donna di Finale

L'Uefa querelerà la tv belga

A Roma e a Milano con tre aerei le ultime spoglie degli Juventini

"Non seppellite quei morti" Roma ordina nuove autopsie

Platini e Tacconi tornano in Belgio "Vogliamo star soli con i feriti"

Si ammettono i primi errori

Martedì processo ai tifosi arrestati

Caccia all'uomo dopo la partita

Italia-Messico con il groppo in gola

Mano tesa verso gli inglesi

Danneggiato nella notte pullman di turisti inglesi


"Impotenti davanti alla tragedia"

Il racconto degli Juventini novaresi "Impotenti davanti alla tragedia"

Platini Morini e Tacconi in visita ai feriti. Il Belgio saluta i morti

di Paolo Soldini

La cerimonia funebre a Bruxelles - Paola di Liegi a lungo a colloquio con i familiari delle vittime - Lo strazio, il dolore, alcuni colti da malore - Tre C-130 per le bare - Cinque tifosi ancora in gravi condizioni.

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE. BRUXELLES - Venticinque bare allineate nel buio di un hangar, all'aeroporto militare di Bruxelles. Una è avvolta nella bandiera belga, in due sono composti i corpi delle vittime francesi, le altre sono degli italiani. Ventuno salme che tra poco verranno caricate su tre C-130 che aspettano fuori, sulla pista illuminata dal sole di una insolita mattinata calda, quasi da estate mediterranea. Nove bare erano partite venerdì sera. I morti della follia di Heysel tornano in Italia, ma questo non è l’atto finale della tragedia. Negli ospedali restano i feriti, e per cinque si teme ancora il peggio. Dei tre che erano in sala di rianimazione due sono usciti dal coma, il terzo no. Mentre qui si aspetta la partenza delle salme per l'Italia, poco lontano, all'aeroporto civile, sbarcano Michel Platini, Stefano Tacconi e Francesco Morini. I due giocatori e il dirigente della Juventus sono venuti per visitare i feriti in ospedale. Altri loro compagni saranno all’aeroporto di Milano ad accogliere i parenti delle vittime. "E il minimo che potessimo fare per i tifosi che ci seguono dappertutto e stavolta hanno pagato in modo così amaro la loro passione. Ci sentiamo un po’ colpevoli anche noi", dice Platini. Più tardi, negli ospedali di Vilvoordt e di Jette, si intratterranno con alcuni dei feriti più leggeri. Urbano Antico, il francese Edouard Redziock, Gabriele Brandimarte. Ci sarà un po’ di animazione, qualche episodio dì nervosismo, ma la visita degli Juventini porterà anche un po’ di conforto, specie al piccolo Matteo Favaretto, 11 anni, immobilizzato con un braccio rotto. E’ a Vilvoordt con il padre Egidio. Un fratello e la madre, anche loro feriti, sono stati dimessi solo poche ore prima. Qualcuno chiede a Platini se sia stato giusto giocare la partita. "Quando al circo muore un trapezista, scendono in pista i clowns". Beh, forse l’esempio non è calzante, ma insomma, crediamo di aver fatto bene. Il match è stato corretto, l’arbitro bravo". Il risultato era stato già deciso prima ? "Stupidaggini", risponde Morini. Nessun commento, invece, sulle responsabilità delle autorità belghe. Ma proprio quest’ultimo è il capitolo che brucia di più. L'inchiesta ufficiale è ai primi passi, ma ormai sui giornali, alla televisione, tra la gente il coro è unanime: colpe ce ne sono state, e gravissime; qualcuno deve pagare. Se ne coglie il segno anche qui all’aeroporto militare. A proteggere l’arrivo del primo ministro Martens e degli uomini del suo governo c’è un fitto schieramento di polizia e gli agenti si irrigidiscono quando alla soglia dell’hangar si affacciano il ministro degli Interni e il borgomastro di Bruxelles. A Charles-Ferdinand Nothomb e Hervé Brouhon si rimproverano errori e imprevidenze, ma forse soprattutto il cinismo con cui hanno cercato di difendersi nelle ore successive alla tragedia. Ce ne è in abbondanza per giustificare le dimissioni, ma loro resistono. Intanto si è appreso che l’11 giugno si svolgerà ad Amsterdam una riunione dei ministri dello sport dei paesi europei. Il Belgio è stato tra i primi paesi a dare la propria adesione. Per tutta la cerimonia funebre di ieri, a dominare è stato il silenzio, rotto alla fine dal pianto disperato di un uomo e dai singhiozzi e le invocazioni che si propagano per la sala quando giunge il momento di lasciare il passaggio ai militari che porteranno le bare agli aerei. Prima Martens ha pronunciato un breve discorso, in fiammingo, in francese, in inglese e infine in un italiano sgraziato. Le condoglianze, il rincrescimento, l’impegno a cercare "misure supplementari" per evitare che simili eventi si ripetano: poche frasi banali. Un gesuita. Luigi Parisi, ha indicato le ragioni del conforto religioso. E mentre un pianoforte e un organo diffondevano le note del canto dell’addio, i principi Paola e Alberto di Liegi si sono avvicinati alle file dei parenti. Lei è d’origine italiana: ha parlato a lungo con alcuni, ne ha abbracciato altri in silenzio. I rappresentanti del governo e della polizia erano in un angolo, rigidi, accanto agli ambasciatori britannico, francese e italiano. Susanna Agnelli, presente a nome del governo italiano, si è fermata a parlare con un gruppetto di giornalisti. Ricorda che Craxi è stato molto duro sulla decisione di far giocare comunque la partita. La Juventus dovrebbe rinunciare alla Coppa ? "Ma no, che senso avrebbe ? Che la dedichino invece alle vittime di Heysel". Il capannello si scioglie da solo quando tra la gente si fanno largo due infermieri che sorreggono un uomo che grida disperato. Poi arrivano una donna e una bambina bionda: "Dov’è Rocco". "Lo hanno portato fuori". La scena ha fatto precipitare le emozioni. Due persone colte da malore vengono portate via in barella. Il pianto si propaga mentre un piccolo corteo esce nel sole per raggiungere la palazzina del centro di assistenza dove i familiari aspetteranno il momento di imbarcarsi. E’ qui, prima e dopo la cerimonia nell’hangar, che i cronisti raccolgono mozziconi di storie tutte tristemente simili. Si avvicina un giornalista britannico; "Cosa provate verso gli inglesi ?". "Che domanda fa ? - risponde il genero - lei che cosa proverebbe al posto nostro?". Il cognato, pacato, aggiunge: "Ma sì, lo sappiamo, non tutti sono così…". I familiari di Giovanni e Andrea Casùla, padre e figlio morti insieme, stanno in un angolo e pochi hanno il coraggio di avvicinarli. Rocco Ragnanese, fratello di Antonio, racconta commosso della solidarietà che i parenti delle vittime hanno trovato da parte di famiglie italiane residenti qui e belghe. Vorrebbe parlare alla cerimonia, per ringraziare tutti, ma gli dicono che non sarà possibile. Una nota stonata, e non l’unica d'una mattinata in cui il personale della Croce Rossa e gli assistenti sociali fanno di tutto rendere l'ambiente il più possibile umano: quando è il momento di scendere verso l’hangar, l'ascensore è riservato alle "autorità" e i familiari vengono indirizzati alle scale. "C’è gente che non capirà mai...", mormora un assistente sociale belga e ha un gesto di stizza all'indirizzo dei notabili sull’ascensore.

2 giugno 1985

Fonte: L’Unità

ARTICOLI STAMPA 2.06.1985 

ROMA - Non potranno essere immediatamente messe a disposizione dei familiari le salme dei nostri connazionali che stanno rientrando da Bruxelles. Con un fonogramma urgente inviato a tutte le procure delle altre città italiane, la Procura della Repubblica di Roma, infatti, ha chiesto che, prima di concedere il nulla osta alla sepoltura, sia compiuta l’autopsia su ogni cadavere al rientro nelle città d’origine. I relativi rapporti dovranno poi essere trasmessi all'ufficio del pubblico ministero, Alfredo Rossini, al quale è stata affidata l’inchiesta giudiziaria sugli incidenti di Bruxelles. Il magistrato romano, attraverso la Questura di Roma, ha ordinato, inoltre, a tutte le questure d’Italia di raccogliere le testimonianze dei cittadini italiani presenti allo stadio belga la sera di mercoledì. Il dott. Rossini ha poi chiesto, tramite l'Interpool, al procuratore di Bruxelles che gli siano trasmesse le copie di tutti gli atti del procedimento in corso da parte della magistratura belga.

2 giugno 1985

Fonte: L’Unità

ARTICOLI STAMPA 2.06.1985 

di Eugenio Manca

Ma che cosa è stato più orribile, la strage o il dopo ? Che cosa è più agghiacciante, la morte o il disprezzo della morte ? Tiriamola fuori apertamente, interamente, la domanda che ciascuno di noi si porta dentro fin dall’inizio, e che con troppe reticenze è stata affacciata: è stata "soltanto" la fine - assurda, inconcepibile, ferocissima - di quaranta innocenti sugli spalti di uno stadio nel cuore della civilissima Europa ciò che ha fatto rabbrividire ? O non anche l'attesa (che i cronisti hanno descritto civile, paziente, tollerante, persino dolente) della grande folla assiepata, della folla in attesa che lo spettacolo - nonostante tutto - potesse cominciare, che il gioco - nonostante tutto - celebrasse il suo trionfo ? Non parliamo qui dei teppisti, degli esagitati, degli ubriachi, di quella fauna ebete e rissosa che - l'abbiamo visto - roteava spranghe e bastoni, lanciava mattoni e bottiglie. Innalzava i simboli della morte, si copriva il volto con sciarpe e fazzoletti di vario colore. No. Parliamo degli altri, della folla dei sobri, degli "sportivi", della gente per bene, italiani e inglesi e belgi e d'ogni altra possibile nazionalità. Quella folla - che ancora i cronisti ci hanno descritto come composta e amareggiata - sapeva ciò che era accaduto perché era appena accaduto sotto i suoi occhi: aveva visto gli scontri, udiva il sibilo incessante delle ambulanze, ascoltava gli appelli diffusi dagli altoparlanti, respirava il fumo dei falò accesi sulle gradinate, riusciva persino a sentire le grida dei feriti; quella folla sapeva che una tragedia si stava consumando, forse non ne poteva valutare l'entità, ma avvertiva - non poteva non avvertire - che qualcosa di terribile in quello stadio stava accadendo. I telecronisti, quasi per consolarci, ci hanno comunicato questa loro impressione, hanno persino notato che molti tifosi avevano riposto striscioni e bandiere in segno di lutto. Ebbene se è così, che cosa ha impedito che quella folla - né teppisti, né ubriachi, né esagitati, ma gente per bene che nessuna responsabilità aveva per gli incidenti - facesse l'unica cosa decente che si dovesse fare in una circostanza simile, e cioè abbandonasse in silenzio le gradinate di quello stadio improvvisamente trasformato in mattatoio ? Perché la folla che pure aveva capito, che pure aveva abbassato la voce, che pure aveva riavvolto striscioni e bandiere, è rimasta al suo posto come a voler svolgere fino in fondo il suo ruolo, a reclamare cinicamente un diritto che nulla, neppure quella assurda carneficina, doveva mettere in discussione ? Qualcuno, che era sugli spalti, mette in campo ragioni che avranno avuto un peso: un diffuso senso di smarrimento e di impotenza; la paura fisica di disperdersi, di isolarsi fuori dello stadio; un bisogno - questo soprattutto - di rimuovere immediatamente la tragedia restando là, ripristinando attraverso la propria presenza la ragione originaria di quell'incontro, che era una ragione di pace e non di guerra, di vita e non di morte. Riflessioni forse sincere ma fragili di fronte ad un dato di fatto che non dà scampo: proprio l'abisso di violenza e di morte che si era aperto sotto gli occhi di tutti non cambiava ogni cosa, non mutava la scena, non aveva trasformato intimamente, radicalmente, il senso di quel raduno ? Si è preferita invece l'inerzia, l'assurda finzione di una inesistente normalità. Si è trovata scandalosa, da parte di molti, l'inerzia delle autorità. Giustissimo. Si è trovata inaccettabile anche la decisione di far svolgere ugualmente l'incontro per tema di altri e forse più gravi incidenti. Sarà giusto anche questo. Ma davvero è così difficile intuire che non ci sarebbe stato bisogno di una tale decisione se spontaneamente quella gente per bene, composta, civile, se ne fosse andata, se avesse trovato insopportabile l'idea di restare là un minuto di più ? E invece i morti si allineavano uno dopo l'altro sotto la tribuna d'onore, e sopra la gente per bene, vincendo gli ultimi imbarazzi, riprendeva a sventolare gli striscioni, esplodeva negli applausi. Incitava i suoi campioni in calzoncini i quali, frastornati all'inizio, avevano pure essi ritrovato la grinta, tanto che i vincitori alla fine potevano persino concedersi e concedere un giro d'onore. E intanto, davanti alle immagini di questo livido trionfo che dilagava anche per le strade di alcune città Italiane, sui teleschermi passavano in sovrapposizione i numeri telefonici degli ospedali e degli obitori. Con l'agghiacciante elenco dei morti, un avvertimento tremendo scavalca le cancellate di quello stadio di Bruxelles, un segnale atroce ci giunge: di irrazionalità, di dimissione dalle responsabilità individuali, di sfida alla ragione, di smarrimento dei valori elementari su cui poggia la costruzione civile. Non tutte le folle sono eguali, e proprio le folle hanno saputo impartire lezioni indimenticabili di umanità, di modernità, di solidarietà. Lo abbiamo visto in Italia, e pure in tempi recentissimi. Ma quella di Heysel è una folla che fa paura. Davvero ha trovato dentro di sé ragioni che giustificassero l'inerzia ? E quali sono queste ragioni ? Come ha potuto accettarle ? Sono davvero ineluttabili ? È un fastidioso accidente la morte di chi ti sta accanto ? E altrove che devi volgere lo sguardo ? E avevano ragione di far finta di nulla quei tredici distinti signori della metropolitana di Parigi, mentre quattro energumeni stupravano una ragazza ? Un morto nell'ascensore di un ospedale, che sale e scende per tre giorni abbandonato su una sedia a rotelle senza che nessuno se ne accorga, deve divenire elemento abituale della nostra quotidianità ? È importante che si cerchi, tutti insieme, una risposta a queste domande. Importante per l'oggi e il domani. Bisogna farsene una ragione, capire, sapere. Certo, da che è accaduto in quello stadio è allucinante, ma persino il momento della strage ha una sua logica per quanto feroce, una sua dinamica per quanto raccapricciante: una turba di ubriachi che assalta, una folla che preme, le strutture materiali che cedono, le vittime. Non giustifica né allevia alcuna responsabilità, ma ha un senso il fatto che gli assalitori fossero in preda all'alcool, incapaci di controllare le proprie azioni. In definitiva, quella era una situazione che doveva e poteva essere prevenuta e controllata dai gendarmi del servizi d'ordine (che non sia avvenuto è atroce, dovrà essere spiegato, i responsabili dovranno essere cercati e puniti). Ma - chiediamocelo crudamente - quale servizio d'ordine (di confessori ? di moralisti ? di sociologi ? di filosofi ? di maestri del pensiero ?) dovrà mai essere attivato verso quella folla di 50.000, o di 45.000 o di 40.000 persone per bene che nello stadio di una capitale, nel cuore della civilissima Europa, ha imposto il suo cinico diritto allo spettacolo, infastidita appena dalla moria di chi stava là accanto ?

2 giugno 1985

Fonte: L’Unità

ARTICOLI STAMPA 2.06.1985 

Mentre la magistratura cerca nei filmati televisivi i volti degli assassini

Il governo belga insiste "Noi non abbiamo colpe"

di Paolo Soldini

Lo strazio dei parenti all’obitorio - Valanghe di telefonate in Tv chiedono le dimissioni del ministro degli interni - Trovati dei bossoli allo stadio - Una Tv belga denuncia: "La vittoria della Juventus è stata decisa nell’intervallo a tavolino".

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE. BRUXELLES - Il bilancio è definitivo: la follia di Heysel è costata la vita a trentotto innocenti. Trentuno italiani, quattro belgi, due francesi, un inglese. Gli ultimi due corpi straziati sono stati identificati ieri mattina, quello di un Francese e quello di un italiano, Claudio Zavaroni. Poche ore prima i familiari giunti dall'Italia avevano riconosciuto Barbara Lusci, Domenico Ragazzi e Giuseppina Conti, 17 anni, arrivata da Arezzo con il padre Antonio, che è ancora ricoverato all’ospedale "Saint Jean". Ieri sera un primo gruppo si è imbarcato su due aerei dell’Aeronautica militare, che hanno riportato in Italia nove salme. Nel dolore di queste ore una debole nota di conforto è giunta dagli ospedali. Dei sessanta feriti ancora ricoverati (quarantadue italiani), una decina sono in condizioni gravi ma continuano a migliorare. Le condizioni dei tre ricoverati in sala di rianimazione sono restate stazionarie per tutto ieri. Altre salme partiranno stamane, dopo una cerimonia religiosa nella chiesa di Melbroek. Altri ancora domani e forse dopo. La magistratura belga, infatti, ha disposto l'autopsia su tutti i corpi delle vittime. Giudici e polizia ritengono che sarà molto arduo identificare qualcuno che abbia materialmente partecipato alle fasi cruciali degli incidenti, anche se dispongono del materiale copioso delle registrazioni televisive. In particolare si cercherà di verificare le denunce, venute da più parti e dallo stesso presidente della squadra inglese, secondo cui mercoledì a Heysel c’era un forte gruppo organizzato del "National Front", un’organizzazione parafascista britannica, e che proprio da questo sarebbero stati deliberatamente scatenati gli incidenti. La gendarmeria belga avrebbe raccolto testimonianze sulla presenza di estremisti di destra organizzati, sia tra la tifoseria inglese che tra quella italiana. Dentro lo stadio sono state trovate varie armi improprie ed anche diversi bossoli, pare di una lanciarazzi. Ma le indagini dovranno affrontare anche un altro capitolo: le responsabilità degli organizzatori dell’incontro e delle autorità preposte all’ordine pubblico. Man mano che passano le ore, il quadro delle leggerezze e degli errori commessi dagli uni e dalle altre si fa più preciso e impressionante. In una trasmissione in diretta alla tv, l'altra sera, è arrivata una valanga di telefonate in cui si chiedevano le dimissioni immediate del ministro degli Interni Charles Ferdinand Nothomb, del borgomastro di Bruxelles Hervé Brouhon, da cui dipende la polizia, e del capo della polizia stessa, che non si era neppure presentato alla tv e che ieri è arrivato a dichiarare che "una partita di calcio è una questione del tutto privata, in cui dal punto di vista giuridico la polizia non deve intervenire". I giornali, ieri mattina, rincaravano la dose, ribattendo punto per punto la debole autodifesa di Nothomb e Brouhon. Sempre ieri, comunque, in una riunione straordinaria del consiglio dei ministri che ha formalizzato la decisione, presa già giovedì, di non autorizzare più in Belgio partite con la partecipazione di clubs inglesi, il primo ministro Wilfried Martens ha difeso l’operato di Nothomb. Le accuse che vengono rivolte alla polizia e alla gendarmeria sono pesantissime. Il servizio d’ordine era stato predisposto soltanto per prima e dopo la partita, come se gli incidenti potessero verificarsi solo fuori dello stadio. Nessuno ha fatto rispettare l'ordinanza secondo cui non si potevano vendere bevande alcoliche nelle vicinanze dell’impianto sportivo. C’è stato un incredibile lassismo, dopo qualche ora di rigore, nell’accuratezza dei controlli. Poco prima delle 19 la barriera che doveva servire da filtro davanti ai veri e propri varchi dello stadio è stata travolta e nessuno ha pensato di ricostituirla. Soprattutto, ci si è resi conto molto tardi della gravità di quanto stava accadendo e i rinforzi di 220 uomini che (secondo la versione ufficiale) erano nello stadio sono arrivati dopo troppo tempo. Perché arrivassero altri duemila uomini della gendarmeria si è dovuto attendere ben oltre le 21. Molti sono stati richiamati da casa tramite appelli radio, il che fa pensare che non fosse neppure stato dato l’ordine della mobilitazione generale. Ma altrettanto pesanti appaiono le responsabilità dell’Unione calcistica belga e della stessa Uefa. Un gruppo di esperti britannici, francesi e olandesi ha fatto ieri un elenco impressionante delle carenze dello stadio. Le gradinate in cemento offrivano, una volta sgretolate, una quantità illimitata di proiettili da lanciare; i pali di ferro costituivano altrettanti armi improprie. Gli accessi aperti erano stretti, dei lucchetti che chiudevano le più larghe porte a rete non si sa ancora oggi chi avesse le chiavi. E soprattutto: i settori della curva maledetta erano separati da una rete ridicolmente fragile, ed erano assolutamente sguarniti. Nessuno sa ancora dire quanti agenti fossero sul posto. Il loro numero è variato diverse volte, ma pare che in nessun momento siano stati più di dieci, dodici. Qui si giunge nel capitolo più incredibile della vicenda: perché i tifosi del Liverpool e della Juve si trovavano, in quel punto dello stadio, così a contatto ? I dirigenti della Ubc (e anche il borgomastro e il ministro degli Interni, che avrebbero dovuto vigilare sulla sicurezza dell’organizzazione del match) hanno cercato di giustificarsi sostenendo che nel settore "Z", secondo le loro previsioni, avrebbero dovuto trovar posto spettatori belgi, il che avrebbe creato una sorta di cuscinetto tra le tifoserie rivali. I biglietti di quella zona, continuano a ripetere, erano stati tutti venduti in Belgio e - ma la circostanza è smentita da molti testimoni - dietro presentazione di un documento. Una tragica leggerezza: la comunità italiana, qui, è talmente grossa che chiunque doveva essere in grado di prevedere che quei biglietti sarebbero finiti in gran parte in mano a italiani, residenti in Belgio o parenti o amici di residenti. Di belgi ce n’erano, in effetti, nel settore "Z" (4 infatti figurano tra le vittime), ma erano una nettissima minoranza, il quadro delle responsabilità, insomma, è impressionante. E le polemiche stanno montando di tono. I due partiti socialisti e i comunisti hanno chiesto un immediato dibattito parlamentare e la nomina di una commissione d’inchiesta, ma anche da settori della maggioranza, oltre che praticamente da tutta la stampa, vengono critiche molto pesanti. Oggetto della polemica non sono solo la polizia e le autorità di governo, ma anche i dirigenti del calcio, ai quali si rimprovera la decisione di aver fatto svolgere ugualmente la partita. Una decisione "indecente", l'ha definita il presidente dei socialisti valloni Spitaels, sostenendo che si doveva trovare il modo - e il coraggio - di non farla giocare. La televisione francofona belga "Rtbf", ha affermato ieri citando "fonti sicurissime", ma non dicendo quali siano, che "il risultato della finale della Coppa tra la Juve e il Liverpool è stata decisa a tavolino". L’esito della partita - secondo la tv belga - sarebbe stato deciso in una riunione cui avrebbe partecipato anche l’arbitro svizzero.

2 giugno 1985

Fonte: L’Unità

ARTICOLI STAMPA 2.06.1985 

E al rientro lacrime e tricolori

MILANO - (C.B.). "Mario, Mario", grida aggrappandosi al feretro uno dei quattro fratelli di Mario Spanu, 41 anni, caduto allo stadio Heysel di Bruxelles. "Non è vero", sussurra tra i singhiozzi un altro parente; poi si accascia sul cemento della pista. I barellieri lo caricano su una ambulanza. "Mario, Mario" urla ancora il fratello di Spanu agitando un fazzoletto bianco mentre la bara avvolta in un drappo tricolore si allontana sul carro funebre messo a disposizione dal Ministero degli Interni. Alle 13.45, novanta minuti di ritardo sul previsto, atterra sulla pista militare di Linate il primo dei due Hercules C 130 della 46^ Aerobrigata Pisa che trasportano le vittime di Bruxelles. Una lunga rullata, poi il quadrimotore si ferma sul piazzale: dal portellone posteriore già aperto si intravede la prima delle otto bare sistemate a bordo. E' quella di Domenico Ragazzi, 43 anni, muratore. A Ludriano, 800 abitanti nella provincia Bresciana, allenava la squadra di calcio dell'oratorio. Celibe, lascia sette sorelle e due fratelli. Dal paese son venuti in sessanta ad attenderlo: hanno portato la bandiera con lo stemma, nessuno avrà il coraggio di aprirla. Un ufficiale dell'Aeronautica chiama i parenti del secondo feretro mentre lo trasportano fuori dalla carlinga. Una dopo l'altra, Don Mario, cappellano della 1^ Regione Aerea, benedice le bare di Gianfranco Sarto (27 anni, di Rovigo), Mario Spanu (di Novara), Amedeo Spolaore (55 anni, Bassano del Grappa), Mario Ronchi (43 anni, Bassano), Antonio Ragnanese (29 anni, Brugherio) e Sergio Mazzino (38 anni, Cogorno). Nella carlinga rimane il corpo di Dionisio Fabbro (51 anni, Udine) che riparte per Ronchi dei Legionari. Accanto all'aereo il Prefetto di Milano, Enzo Vicari. Antonio Ragnanese, dentista, lascia la moglie Carla ed un figlio di 6 anni, Pierluca. Uno dei tre fratelli, Ciro, era al suo fianco quando è iniziata la tragedia. Il dolore è troppo forte per la moglie, una sorella ed un altro fratello: si lasciano cadere, con l'ultimo grido strozzato in gola. E' un accorrere di ambulanze: la gente grida, i militari fanno barriera al di là delle transenne. Alle 14.04 atterra il secondo Hercules con a bordo altre otto bare. Inizia l'appello che strazia l'aria di gemiti: Tarcisio Salvi (45 anni, Brescia), Francesco Galli (25 anni, Calcio), Claudio Zavaroni (29 anni, Reggio Emilia), Barbara Lusci (58 anni, Genova), Domenico Russo (26 anni, Moncalieri) e Giovacchino Landini (50 anni, Torino). Nella carlinga, destinazione Pisa, i feretri di Bruno Balli (50 anni, Prato) e Giuseppina Conti (16 anni, Arezzo). Francesco Galli (ultimo di 11 fratelli) giocava come mediano nell'Amatori Kais di Calcio, nel bergamasco: era sulla curva Z con altri tre amici, poi è sceso più in basso perché, piccolo di statura, vedeva a fatica il campo. Gli altri si sono salvati. Sono tornati in Italia con la sua Mercedes di seconda mano. Domenico Russo, elettricista, lascia la moglie Tiziana incinta di 7 mesi: la madre lo ha riconosciuto cadere e scomparire sotto gli altri durante la ripresa televisiva, o almeno ne è convinta. Il lento succedersi dei carri funebri si confonde nel carosello delle ambulanze. Per i funerali bisognerà prima attendere l'autopsia disposta dalla Procura romana. L'Hercules C 130 diretto a Roma atterra a Ciampino attorno alle 15. A bordo, con i parenti di una delle vittime e il sottosegretario agli Esteri Susanna Agnelli, sei bare. Subito dopo l'atterraggio il velivolo viene parcheggiato ai bordi della pista accanto a due G 222 dell'Aeronautica militare. Qui ricevono la benedizione del cappellano di Ciampino e l'omaggio di un picchetto di avieri in alta uniforme. Due salme, quelle di Andrea e Giovanni Casula, 44 e 11 anni, padre e figlio, morti abbracciati l'uno all'altro, rimangono nella stiva dell'aereo da trasporto e ripartono poco dopo per Cagliari. Le altre quattro, avvolte nel Tricolore sono scaricate e subito ricaricate sui G 222 in attesa. Due bare, quelle di Roberto Guarini, un ragazzo di 21 anni il cui padre è rimasto ferito, e quella di Benito Pistolato, 50 anni, titolare di un negozio di bigiotteria a Bari decollano pochi minuti dopo per il capoluogo pugliese; quella di Luciano Papaluca, residente a Milano ma originario della provincia di Reggio Calabria, e di Eugenio Gagliano, 35 anni, partono sull'altro G 222 dirette a Lamezia Terme e Catania.

2 giugno 1985

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI STAMPA 2.06.1985 

Platini e Tacconi visitano i feriti

BRUXELLES - I giocatori della Juventus Michel Platini e Stefano Tacconi, accompagnati dal direttore sportivo Francesco Morini, ieri hanno visitato ventidue degli italiani ancora ricoverati negli ospedali di Bruxelles. Per i dodici più gravi i medici non hanno concesso l'autorizzazione. Delle persone rimaste ferite mercoledì nello stadio Heysel cinque sono in coma negli ospedali Saint Pierre, Uvb, Saint Jean, Saint Luc e Franois. La prognosi è riservata anche per quattro che si trovano all'ospedale Erasme. Intorno alla tragedia un altro mistero: Marco Manfredi, 41 anni, di Moncalieri risulta ancora disperso. Era allo stadio con un amico che, al momento dell'attacco dei tifosi del Liverpool, l'ha perso di vista. I familiari di Manfredi, arrivati a Bruxelles, hanno invano girato per tutti gli ospedali.

2 giugno 1985

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI STAMPA 2.06.1985 

Solo Soldati grida: "Brava Juve"

di Franco Recanatesi

ROMA - C' era una volta, par di capire da certe cronache e da certi commenti sulla tragica partita di Bruxelles, il sussiegoso, signorile, impenetrabile stile Juventus. Una società e una squadra che si erano distinte da sempre per alcune diversità rispetto agli altri club di calcio: lontana dalle bufere e dalle polemiche di cui il mondo del pallone si nutre, mai dichiarazioni men che corrette, sportività come parola d' ordine. Che cosa è successo a Bruxelles ? E’ successo, a detta di taluni osservatori, che anche lo stile - Juventus è stato travolto dalla tragedia. In molti hanno provato imbarazzo o insofferenza nell'assistere al festoso giro di campo degli atleti torinesi. E all'immagine di Brio che sorridente brandiva la Coppa in cima alla scaletta dell'aereo che aveva riportato la squadra a Torino. E alle parole di Gianni Agnelli prima e di Giampiero Boniperti poi: "La Coppa è vinta", "un successo che aspettavamo da anni". Si può gioire per una vittoria conquistata in così tragica occasione ? Ed è stata una vera vittoria ? Ecco la prima risposta. Appartiene a Mario Soldati, scrittore ma prima di tutto, come egli stesso ha più volte sottolineato, tifoso juventino. Scalfito lo stile Juventus ? Neanche per sogno, afferma Soldati. "La Juve si è comportata in maniera perfetta. Chi condanna il tripudio dei giocatori sul campo dell'Heysel, dimentica forse che loro non potevano conoscere l'esatta dimensione del dramma. E non sa che, una volta in campo, una squadra che abbia orgoglio e carattere gioca con animo, dimentica ogni condizionamento esterno, pensa a battere l'avversario e basta". Soldati, non le sembra di esagerare ? No, a lui non sembra. Anzi, aggiunge: "Io sono un crociano, mi piace distinguere. Da una parte c'è l'orrore per quei morti, dall'altra c'è l'evento sportivo. Non mi vergogno a dirle di aver gioito per quella vittoria. Erano anni che noi Juventini l'aspettavamo". Anche se ottenuta malgrado o in coincidenza di quelle atrocità ? "Caro mio, la vita è un'atrocità". Non deflette il super-Juventino Soldati, dalle sue convinzioni. Le pressioni esercitate da più parti, affinché la società torinese restituisca il trofeo in segno di lutto, addirittura lo irritano: "Sarebbe come punire la Juventus. E' assurdo. Bisognerebbe piuttosto ricompensarla per le condizioni in cui ha saputo ottenerla". Italo Calvino non professa fede juventina, ma per il calcio nutre una discreta passione. Ha assistito all'intera telecronaca da Bruxelles, ricavandone impressioni diametralmente opposte a quelle di Soldati. Ammette: "Da principio anch'io ho provato una naturale soddisfazione per lo smacco sportivo - almeno quello - subito dai tifosi del Liverpool. La gioiosa scorribanda dei giocatori per il campo, però, mi è sembrata inopportuna. Di fronte ad una tragedia di quella portata, ciò è risultato disumano". Calvino avrebbe preferito che la partita non si giocasse affatto. "Capisco che l'evacuazione dello stadio costituiva un grosso problema, eppure le squadre avrebbero dovuto rifiutarsi di giocare. Con quale animo, con quali forze hanno potuto farlo ?". E adesso, Calvino, come si può rimediare ? "Ormai è andata com'è andata. Rifare la partita ? Restituire la Coppa ? No, non sono molto sensibile a questi simbolismi". Un altro letterato, Luigi Malerba, non ce l'ha fatta a seguire fino in fondo quello "spettacolo agghiacciante". Dopo le notizie della carneficina, dice, ha visto soltanto qualche spezzone di partita. "Ancora oggi non mi piace parlarne. L'insieme, dalla furia omicida dei tifosi del Liverpool al giro di campo dei giocatori juventini, mi fa orrore". Dalla letteratura alla politica, l'analisi sullo stile-Juve cambia poco: a Bruxelles s'è intaccato, della patina di "diversità" son rimaste deboli tracce. A manifestare la propria delusione son tutti juventini di antica fede. Come il vice presidente del Consiglio ed ex calciatore Arnaldo Forlani ("Ho riportato un'impressione pietosa"). Come il dirigente del Pci Walter Veltroni: "In me è rimasta molta amarezza, ho sperato fino in fondo che la partita non fosse valida. Ma la cosa che più mi ha addolorato è stato il festoso carosello di automobili per le strade di Torino. Clacson, grida e inni di gioia sotto le finestre di decine di persone attanagliate dall'angoscia". Il rimprovero di Sergio Segre, piemontese, parlamentare europeo, è secco e tagliente: "Al posto dei giocatori bianconeri, sarei stato più torinese e asciutto di fronte al dramma. Quella specie di balletto finale dovevano proprio risparmiarcelo".

2 giugno 1985

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI STAMPA 2.06.1985 

di Franco Scottoni

ROMA - Tornano i morti della strage allo stadio di Bruxelles ma la Procura di Roma ordina che le salme siano sepolte soltanto dopo nuove autopsie. Allo strazio dei familiari per la tragica scomparsa dei loro cari si aggiunge così un'altra appendice dolorosa. Il provvedimento della magistratura romana ha determinato spiacevoli episodi in particolare per le salme giunte venerdì sera. In alcuni casi sono stati rinviati i funerali e inoltre sono state addirittura prelevate le salme in mentre ancora giacevano nella camera ardente. Ancora scene drammatiche ma la macchina della giustizia ha le sue esigenze che spesso passano sopra i sentimenti degli uomini. Il pm Alfredo Rossini, il magistrato cui è stata affidata l'inchiesta giudiziaria italiana sui tragici fatti accaduti allo stadio Heysel di Bruxelles, con un fonogramma urgente inviato a tutte le Procure delle città italiane interessate ha ordinato che vengano eseguite le nuove autopsie. Il provvedimento è stato preso per accertare le cause della morte dei 31 cittadini italiani periti nella tribuna "Z", prima dell'inizio della partita. Il giudice ha preso anche altri provvedimenti: ha ordinato a tutte le questure di raccogliere le testimonianze dei cittadini italiani presenti allo stadio mercoledì sera allo scopo di chiarire le varie fasi degli incidenti. Tramite l'Interpol, il pm Rossini ha chiesto ai magistrati di Bruxelles che gli siano trasmesse le copie di tutti gli atti del procedimento in corso da parte delle autorità belghe. Il magistrato ha infine sollecitato il ministro di Grazia e giustizia ad inoltrare alla procura romana la richiesta del dicastero, indispensabile perché possa essere formalizzata l'indagine giudiziaria in quanto i fatti si sono verificati all'estero. Sempre al fine di fare la maggior luce possibile sui tragici avvenimenti sono stati chiesti ai responsabili della Rai-Tv, i filmati e le registrazioni degli incidenti avvenuti prima e dopo la partita. L'inchiesta giudiziaria romana che si svolge parallelamente a quella belga assume una grande importanza in quanto potrebbe accertare non solo le responsabilità penali dei tifosi del Liverpool ma anche quelle degli organizzatori della partita di calcio e delle forze di polizia preposte all'ordine pubblico nello stadio "Heysel". In questo quadro sono necessarie le autopsie che serviranno ad accertare se le cause della morte siano dovute a colpi di arma da fuoco, a ferite da coltelli, a soffocamento nella fuga precipitosa, al crollo del muro di cinta o ad altre cause ancora. Numerose testimonianze di cittadini italiani presenti nel settore "Z" dello stadio belga sono state già pubblicate sui giornali; ora dovranno essere ripetute in un atto giudiziario da parte delle autorità di polizia. Anche le testimonianze dei feriti e dei contusi dovranno essere raccolte per stabilire la verità dei fatti e l'entità dei danni subiti. E' auspicabile che l'inchiesta giudiziaria belga e quella che si accinge a sviluppare il pm Alfredo Rossini vengano poi riunite per procedere contro i diversi responsabili della strage. Ieri si sono svolti nelle varie città di residenza i funerali per tre delle quattro vittime toscane, mentre a Pontecorvo una grande folla ha assistito alla cerimonia per il giovane Loris Messore e a Francavilla al Mare sono state celebrate le esequie di Rocco Acerra, 24 anni portalettere, e del cognato Nino Cerullo, 25 anni, seguite da un migliaio di persone. Ma in obbedienza all'ordinanza del magistrato le salme non sono state sepolte. Resteranno nelle camere mortuarie a disposizione dei medici legali che dovranno effettuare le opportune analisi. Almeno un centinaio di tifosi abruzzesi che hanno assistito all'assalto dei supporters di Liverpool, al crollo del muro e alla morte dei due corregionali saranno ascoltati dalle autorità di polizia nelle prossime ore. A Cagliari, le autopsie dei corpi di Giovanni Casula, direttore generale della Cosmin Spa, e del figlio Andrea di 11 anni, morti abbracciati nell'inferno dello stadio "Heysel", saranno effettuate domani. Il procuratore capo di Roma, Marco Boschi, è intervenuto a proposito della necessità di compiere le autopsie. Il dirigente della Procura ha dichiarato che "gli accertamenti medico-legali possono risolversi in rapide ispezioni purché sia possibile chiarire le cause della morte". "Nessuno vuole aggiungere altri problemi" ha detto il dottor Boschi, "ai tanti che già angustiano i familiari delle vittime, ma è nostro dovere evitare che in futuro si debba ricorrere, cosa ancora più dolorosa, alla riesumazione delle salme". Domani il ministro degli Interni, Oscar Luigi Scalfaro e il presidente del Coni, Franco Carraro, si incontreranno al Viminale per discutere i problemi della violenza negli stadi e della sicurezza degli impianti sportivi in occasione di manifestazioni agonistiche di grande rilievo con massiccia affluenza di pubblico.

2 giugno 1985

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI STAMPA 2.06.1985 

Ieri sono rientrati in città anche gli ultimi gruppi di tifosi

Tutti sani e salvi i biellesi

"Il Belgio non ci vedrà più"

di Roberto Eynard

Due feriti leggeri, qualche contuso - Altre drammatiche testimonianze su Bruxelles.

BIELLA - Si calcola che fossero oltre trecento i tifosi biellesi e valsesiani all'"Heysel" , lo "stadio maledetto". Da Biella, Cossato, Coggiola, Borgosesia, Bornate di Serravalle, in Jumbo, auto, pullman, treno, tra lunedì e mercoledì mattina sono partite decine di comitive di sostenitori bianconeri, con meta Bruxelles, per quella che doveva essere una giornata di grande festa. Ma se il viaggio di andata è stato gioioso, con le bandiere e gli stendardi al vento, il ritorno è stato quanto di più mesto si possa immaginare: due feriti leggeri, Gianni Barberis e Angelo Stoppa, medicati in ospedale e subito dimessi, qualche contuso (fra gli altri Giuseppe Platini e Walter Perincioli del club "Amici della Juve" di Borgosesia, Giovanni Alesinba, Marco Pinotto, Bruno Giansetti, Mauro e Cadetto Menaldo, Roberto Verdola e Marco Zanetto di Torrazzo, Mario Botto e Ugo Ravella di Biella) sono miracolosamente scampati alla "curva della morte" , ma tanti altri portano, anche se non visivamente, il segno del dramma dell'Heysel. Dice Roberto Grisolito, presidente dello Juve Club di Borgosesia: "Ero nella curva dei tifosi bianconeri, e anche se ho visto le cariche dei teppisti inglesi, la gente che fuggiva, non ho minimamente pensato ad una tragedia di queste proporzioni. Poi all'una di notte, alla stazione, dove il nostro gruppo doveva riunirsi in attesa di prendere il treno per rientrare in Italia, ho scoperto che cos'era successo. Alcuni nostri soci avevano acquistato i biglietti del settore Z: in quel momento all'appello mancavano dodici persone. Ho passato un'ora terribile, poi ad uno ad uno sono arrivati tutti. Il servizio d'ordine è stato inesistente: mai più organizzeremo una trasferta in Belgio". Enrico Ramella, ventenne biellese, ha tentato per due ore di telefonare a casa. Racconta: "Ero disperato: sapevo che i miei genitori erano davanti alla tv. Volevo avvisarli che non mi era successo nulla. Ma i bar erano chiusi per paura di atti di vandalismo, le cabine pubbliche devastate dagli inglesi. Sono finito alla Gran Place: sembrava un campo di battaglia. Un passante mi ha detto di rivolgermi a Catherine, un'anziana donna che abita a poca distanza. Ho suonato il campanello di casa sua: Catherine mi ha accolto con gli occhi assonnati: ha capito la mia angoscia e grazie a lei, nel cuore della notte, ho potuto rassicurare i miei familiari. Per molti appassionati l'"Heysel" ha rappresentato l'ultimo viaggio all'estero per seguire un incontro di calcio. Dice Carlo Bianco: "Mai più tornerò in Belgio. Dentro di me sta sempre più aumentando la rabbia per quanto successo. Questa tragedia poteva essere evitata. Ma la polizia ha considerato la calata di 14 mila teppisti inglesi allo stesso modo di una gita scolastica".

2 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA 2.06.1985 

E' fuori pericolo la donna di Finale

In ospedale una delegazione juventina con Platini e Tacconi - Il racconto del marito Scalise: "Non si riusciva assolutamente a capire cosa stava succedendo" - Un incubo.

FINALE LIGURE - Laura Bianchi è stata dichiarata ufficialmente fuori pericolo e i sanitari dell'ospedale Jette di Bruxelles scioglieranno quanto prima la prognosi. La bella notizia si è propagata rapidamente a Finale Ligure dove ovunque si è tirato un sospiro di sollievo. Già nella giornata di venerdì Laura Bianchi aveva reagito positivamente ad alcuni stimoli e aveva aperto anche gli occhi. Ieri mattina, invece, ha riconosciuto il marito, Giorgio Bianchi, 33 anni, idraulico di Finale Ligure, e pronunciata qualche parola. "Non ha più bisogno della tenda d'ossigeno - ci ha detto al telefono il marito, che ha potuto parlarle, - intorno a mezzogiorno ha persino ricevuto una delegazione juventina che era venuta a trovarla e la cosa le ha fatto grande piacere". La delegazione era formata da Michel Platini, Stefano Tacconi e dal d.s. della società bianconera Francesco Morini che hanno poi visitato anche gli altri feriti. Il marito di Laura Bianchi, 27 anni, madre di due bambini Alessandro di 9 e Matteo di 2 anni e mezzo, ci ha confermato che nelle ore immediatamente successive al suo ricovero, i sanitari le hanno praticato un intervento chirurgico allo stomaco per assicurarsi che non ci fossero lesioni interne. L'uomo ha raccontato quei terribili momenti: "Quando è iniziato il fuggi fuggi generale me l'hanno letteralmente strappata di mano. Per un po' ero riuscito a stringerla a me proteggendole la testa, mentre ci pioveva addosso di tutto. Poi mi sono ritrovato una ventina di metri più in là. Sono riuscito a resistere in quella posizione nonostante la calca per non allontanarmi troppo dal punto dov'era caduta Laura". Ha proseguito: "Alla prima pausa sono ritornato e l'ho trovata semisepolta. Le ho praticato subito una sommaria respirazione artificiale perché era semi-soffocata, sino a quando non ha cominciato a dare qualche segno di vita, poi, aiutato da uno spettatore, sono riuscito a portarla sul campo e a trovare un'ambulanza. E' stata una cosa allucinante e spaventosa e sono contento che Laura di quei momenti non ricordi più nulla. Ora attendo solo che i medici sciolgano la prognosi e ritornare a casa". Giorgio Bianchi rimarrà accanto alla moglie sino a quando non sarà possibile il trasporto in Italia. a. d.

SAVONA - Aldo Scalise, il savonese scampato per miracolo alla strage di Bruxelles (era nel settore Z, insieme ai tifosi del Juventus Club) è rientrato ieri notte a casa. Ancora sotto choc, ancora negli occhi le immagini agghiaccianti dello stadio Heysel. E il suo non è un racconto di uno dei tanti scampati: il suo è rimasto immortalato dai fotografi della Reuter, fra gli juventini schiacciati dalla folla terrorizzata dai supporters del Liverpool. Ora, a freddo, rievoca quei momenti. "Non si riusciva assolutamente a capire cosa stava succedendo: la gente spingeva, urlava, molti erano esanimi al suolo. Non ho capito la gravità della situazione. Da lontano, anche se erano pochi metri, vedevo persone a terra, che venivano caricate su barelle e portate via. Ero gomito a gomito con gli inglesi quando la pressione improvvisamente si è allentata e mi ha permesso di mettermi in salvo. La paura è venuta dopo, ripensando ai pericoli corsi. Mi sono venuti in mente i bambini, mia moglie. Un racconto preciso, quasi uguale a quello di tanti feriti e scampati alla furia devastatrice dei teppisti. Aldo Scalise conferma della confusione irresponsabile che ha regnato a lungo nello stadio, dopo gli incidenti. "Nessuno sapeva esattamente cosa era accaduto in realtà. Sugli spalti si cantava, si facevano cori, si aspettava con ansia l'inizio della partita. Solo all'uscita, ci siamo resi conto della tragedia. Quelle persone a terra, intraviste nella calca, insanguinate, erano le vittime !". Anche il dopo partita è stato allucinante. Ogni cabina telefonica veniva presa d'assalto dagli italiani e dagli inglesi. Molti erano sconvolti, le risse sono proseguite fuori dal campo di calcio, nonostante il fittissimo cordone di poliziotti e soldati finalmente accorsi in numero rilevante. In casa Scalise, la moglie e i bambini erano atterriti. Finalmente la telefonata del capofamiglia che ha posto fine all'inquietudine. Ora Bruxelles è solo un incubo da dimenticare in fretta. m. nu.

2 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA 2.06.1985 

Oggi il comitato esecutivo si riunisce a Basilea: pene severe ?

L'Uefa querelerà la tv belga

In seguito alle accuse di "combine" - Secca smentita anche dal Liverpool.

Oggi a Basilea il Comitato esecutivo dell'Uefa si riunirà per esaminare i fatti di Bruxelles. La riunione, straordinaria, anticipa esattamente di un mese quella prevista per il 2 luglio. Evidentemente i responsabili del calcio europeo (sarà assente, come noto, il presidente della Federcalcio Sordillo) intendono intervenire a caldo nella delicata e grave questione impartendo punizioni esemplari che servano ad impedire il ripetersi di serate come quella dello stadio Heysel. Frattanto l'Uefa ha annunciato l'intenzione di querelare la televisione belga di lingua francese per le affermazioni di un commentatore su un'ipotetica combine, concordata prima dell'incontro, per far vincere alla Juventus la finale di Coppa Campioni. L'Uefa "smentisce formalmente" l'informazione della tv belga e "intenterà una procedura giudiziaria, contro gli istigatori di dichiarazioni così scandalose". Il segretario generale dell'Uefa, Hans Bargenter, ha detto: "è una storia incredibile, assolutamente ridicola. Dovremmo fare immediatamente un'inchiesta per scoprire chi si è potuto permettere di fare queste dichiarazioni". Dall'Inghilterra si apprende che il Liverpool ha respinto con sdegno le affermazioni della tv belga. "Respingiamo categoricamente questa assurda accusa - ha dichiarato Peter Robinson, general manager del Liverpool, - si tratta di un'affermazione assolutamente ridicola. E' impensabile che una cosa del genere possa essere stata concordata". Si è registrata intanto ieri la prima rinuncia di una compagine inglese ad una manifestazione europea. Gli allievi dell'Everton, iscritti al torneo Internazionale "Grossi-Morera" di Viterbo che avrà inizio mercoledì, avevano chiesto agli organizzatori il 1° benestare per la loro partecipazione pur dopo i fatti di Bruxelles. Avuta risposta affermativa da Viterbo, il club di Liverpool ha dovuto annunciare il forfait in seguito alla decisione adottata dal governo e dalla federazione calcio britannici.

2 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA 2.06.1985 

Attese dai parenti, le bare subito trasportate ai luoghi di origine

A Roma e a Milano con tre aerei le ultime spoglie degli juventini

ROMA - Ancora scene di dolore all'aeroporto di Ciampino dove poco dopo le 15 sono giunte le ultime sei salme dei tifosi juventini vittime della violenza nello stadio Heysel. Dopo i voli speciali dell'Aeronautica militare di giovedì sera e i due giunti nel primo pomeriggio a Milano, si è completato cosi il trasferimento dalla capitale belga di tutti e 31 gli Italiani che hanno trovato la morte nel tragico mercoledì di Bruxelles. Per questi ultimi sei morti Ciampino è stata solo una tappa intermedia: il tempo di far trasferire quattro bare e alcuni parenti che le hanno accompagnate dall'Hercules G-130 su due G-222 sempre della 46^ aerobrigata di Pisa, che hanno poi proseguito il triste viaggio uno per Bari, l'altro per Lamezia Terme e poi Catania. Sono invece rimaste a bordo del C-130 la salma di Andrea Casula, il ragazzo di undici anni "pulcino" del Cagliari e quella del padre Giovanni, che lo stesso aereo ha poi riportato a Cagliari. Una cerimonia breve ma carica di dolore. Dal C-130, fermatosi davanti alla palazzina del 31° stormo sono scesi dapprima i quattro familiari delle vittime. Quindi è stata la volta delle bare, tutte avvolte in una bandiera tricolore. Davanti a un picchetto rimasto sull'attenti per la durata della cerimonia, sei avieri hanno traslato le salme, ad una ad una dal C-130 sui due velivoli in attesa. Su uno del G-222 sono state deposte le salme di Benito Pistolato, 50 anni di Bari, e di Alberto Guarini 21 anni di Mesagne (Brindisi); sull'altro quelle di Luciano Rocco Papaluca, 38 anni, di Grotteria (Reggio Calabria) e di Eugenio Gagliano 35 anni.

MILANO - Due Hercules C130 della 46' aerobrigata hanno riportato in Italia 16 salme di vittime della tragedia allo stadio Heysel di Bruxelles. Negli aerei da trasporto le bare allineate erano coperte dalla bandiera italiana. La prima salma consegnata alla famiglia è stata quella di Domenico Ragazzi, muratore di 43 anni, di Roccafranca, una frazione di Landriano, in provincia di Brescia. Sono venute circa 60 persone dal suo paese per riportarlo a casa. Ragazzi non era sposato. E' stata poi la volta di Antonio Ragnanese, di 29 anni, dentista. Originario di San Severo (Foggia) abitava a Brugherio (Milano). Era sposato e lascia il figlio Pierluca di sei anni. Sul primo dei due aerei giunti a Milano c'erano anche i corpi di Gianfranco Sarto, 27 anni, di Rovigo; Mario Spanu, 41 anni, di Novara; Amedeo Spolaore di 55 anni e Mario Antonio Ronchi di 43, entrambi di Bassano del Grappa (Vicenza); Sergio Mazzino, 38 anni di Cogorno (Genova). Un'ottava bara, quella con le spoglie di Dionisio Fabbro, 51 anni, è rimasta sul velivolo che l'ha portata a Ronchi dei Legionari (Udine). Altre otto bare sono arrivate con il secondo "Hercules". Di queste, quelle con Bruno Balli, 50 anni di Prato (Firenze) e con Giuseppina Conti, 16 anni, di Arezzo, sono state portate a Pisa. Sono stati invece caricati sui carri funebri Francesco Galli, 25 anni, di Calcio (Bergamo); Gioacchino Landini, 50 anni, di Torino; Domenico Russo, Barbara Lusci 58 anni di Genova; Claudio Zavaroni, 29 anni di Reggio Emilia, e Tarcisio Salvi di 45 anni di Borgosatelli (Brescia).

2 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA 2.06.1985 

Sconcertante decisione del pm per le vittime di Bruxelles

"Non seppellite quei morti"

Roma ordina nuove autopsie

di Giuseppe Zaccaria

ROMA - Dopo la ferocia degli "hooligans" inglesi e l'inettitudine della polizia belga, le vittime di Bruxelles dovranno subire anche il formalismo della magistratura italiana. I morti non possono essere sepolti: un fonogramma diffuso ieri in tutta Italia dalla procura di Roma ordina che siano sottoposti a nuovi "accertamenti autoptici". I funerali, le cerimonie si possono svolgere, ma le famiglie riavranno definitivamente i loro cari solo dopo che le bare saranno state riaperte, i corpi nuovamente esaminati. Le autopsie già compiute all'estero, evidentemente, per i giudici romani non sono sufficienti. L'iniziativa si deve al sostituto procuratore Alfredo Rossini, titolare dell'inchiesta sulla tragedia dello stadio di Heysel e che, da Roma, dovrebbe riuscire in un compito che la stessa magistratura belga considera arduo: identificare i responsabili del massacro; farli raggiungere a Liverpool o dove altro si trovino; chiederne l'estradizione; provare le singole responsabilità e processarli. Ieri mattina, il dottor Rossini ha inviato fonogrammi alle "questure di mezza Italia: prima, l'ordine di rintracciare ed ascoltare tutti i testimoni di quei tragici avvenimenti. Poi, quello di impedire la tumulazione delle vittime prima del nuovo "esame". In qualche caso, l'ordine è giunto quando i funerali già si stavano svolgendo. E' accaduto a Pontecorvo, in provincia di Frosinone, dove 10 mila persone circondavano la bara di Loris Messore; a Casette, un piccolo centro in provincia di Rieti, dove il feretro di Gianni Mastroiaco era stato portato fino al campo sportivo; a Ponsacco, in provincia di Pisa, per le esequie di Roberto Lorentini. (N.D.R. Giancarlo Gonnelli, Roberto Lorentini era di Arezzo). A Francavilla a Mare, nel pressi di Chieti, Rocco Acerra e Nino Cerullo, partiti assieme per Bruxelles, riportati assieme su un "DC-9" dell'Aeronautica militare, assieme sono stati deposti dopo i funerali in una stanza del cimitero. Nel loro caso, se non altro, il medico legale è stato comprensivo: il nuovo "esame" a tarda sera era già compiuto. Situazioni analoghe si sono ripetute in ogni parte d'Italia: alla partecipazione della gente, al dolore del parenti si è intrecciata l'incredulità, a tratti lo sdegno. Le autorità di Bruxelles avevano creduto, e questa volta senza colpa, che con le autopsie svolte alla "morgue" dell'ospedale militare i corpi potessero essere avviati alla sepoltura, le casse di zinco sigillate. Non è stato così: a Cagliari il sostituto procuratore Walter Bastione, ricevuto il fonogramma del suo collega romano, ha disposto che i corpi di Giovanni Casula, 44 anni, e del figlio Andrea, di undici, morti abbracciati su una gradinata dello stadio, vengano "esaminati" lunedì prossimo. Altre vittime di quel pomeriggio di follia attendono ancora di sapere quando, e dove, potranno essere sepolte. Ma tutto questo era davvero necessario, opportuno ? Sul piano formale, la decisione del giudice romano è certamente inattaccabile: è stata aperta un'inchiesta, si indaga sull'ipotesi di strage, conoscere le ragioni della morte di ognuno appare indispensabile. Ma per questo, non erano già a disposizione i referti dei medici di Bruxelles, che peraltro il giudice romano ha richiesto, insieme con le registrazioni televisive degli scontri ? Quasi tutte le vittime hanno cessato di vivere per soffocamento o per schiacciamento della cassa toracica: quale utilità può avere, allora, un rapido, frettoloso "esame esterno", compiuto da medici legali italiani ? La convenzione europea in materia di assistenza giudiziaria offriva già alla procura di Roma tutti i mezzi per proseguire la sua inchiesta.

2 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA 2.06.1985 

I giocatori bianconeri in ospedale dai tifosi ancora ricoverati

Platini e Tacconi tornano in Belgio

"Vogliamo star soli con i feriti"

DAL NOSTRO INVIATO. BRUXELLES - "Siamo venuti per salutare gente che ha fatto sacrifici per vederci l'altra sera, e ha rischiato la vita", ha detto ieri Francesco Morini, direttore sportivo della Juventus. Era con Michel Platini e Stefano Tacconi a Zaventem, l'aeroporto di Bruxelles. Erano partiti da Milano alle 10,30 ed era quasi mezzogiorno. Si sono tentate domande a Platini, ma è stato secco: "Non contate su di me. Non intendo parlare". Uomo di solito molto disponibile, era nero, irritato, sembrava avercela con il mondo. Colleghi della televisione che avevano volato assieme hanno detto che nel viaggio era sempre stato cupo e taciturno. In auto all'ambasciata dove il medico, Vincenzo Costigliela, ha combinato il programma della visita. Ha scartato l'ospedale Saint-Pierre e il Saint-Lue perché "abbiamo ancora casi gravi". Qualche caso grave, e non sono quindi ammesse visite, anche all'Erasme, restavano tre o quattro ospedali e cliniche. "Cominciamo da Vilvoorde, dove ne abbiamo quattro in buone condizioni", ha detto il medico. Verso Vilvoorde, dunque, paesone sulla strada di Anversa. Morini è amareggiato perché non erano stati informati della cerimonia funebre delle 10. "L'avessimo saputo, saremmo arrivati prima. Anche a piedi saremmo venuti". Dice che questa visita è stata decisa la sera di venerdì. "7 giocatori in rappresentanza della squadra, io della società. Il dottor La Neve e altri giocatori andranno a Milano per l'arrivo delle salme". Che clima c'è nella società, nella squadra ? "Dolore, orrore e rabbia. Rabbia per l'imprevidenza e l'inefficienza della polizia. Eppure qui a Bruxelles, in tutto il Belgio, il teppismo inglese lo conoscono bene. E' recente il ricordo di Anderlecht-Tottenham, quando gli inglesi ubriachi hanno messo a ferro e fuoco la città, e c'è stato un morto". Si domanda a Tacconi perché la società ha scelto lui e Platini per questa visita. "Forse perché Platini ha segnato il gol e io ne ho evitato qualcuno". C'era sua moglie allo stadio mercoledì sera. Tacconi conosceva uno dei morti, Franco Martelli, un giovane di 22 anni che era socio del "Tacconi Club Ponte Felicino Perugia". E' l'una passata quando comincia la visita all'ospedale di Vilvoorde. Si va da Urbano Antico, padovano di 29 anni, che ha due costole rotte. Da Gabriele Brandimarte, 48 anni, di Pescara, anch'egli con fratture. Da un francese con il petto fasciato e la faccia pestata. Tutti sorpresi, emozionati, felici della visita. La visita più lunga nella camera dove sono Matteo Favaretto di 11 anni e il padre Egidio, venuti da Venezia Lido. Un bel ragazzino dall'aria sveglia, con un braccio ingessato e al volto una ferita da poco. Suo padre è stato operato per la rottura del tendine d'Achille. Matteo vede entrare Platini, Tacconi, Morini ed è elettrizzato. "Quando lo racconterò, non mi crederanno". Chiede l'autografo sull'ingessatura. Finita la visita a Vilvoorde. "Torniamo ?", domanda il dott. Costigliela. "No, ancora. Andiamo in altri ospedali. Abbiamo tempo tutto il giorno, l'aereo parte stasera dopo le nove", dice Platini. Però chiede che da adesso non ci siano più giornalisti, fotografi, televisioni. Nessuno obietta, è giusto così. Ma prima, due domande: che cosa dicono delle critiche perché si è giocato dopo la tragedia, e della notizia della televisione belga secondo la quale la partita era truccata ? Risposte irritate, durissime, di Morini, di Platini, di Tacconi. Riassumiamo. Molti di quelli che parlano e scrivono all'Heysel non c'erano, non hanno visto, non sanno. Juventus e Liverpool sono stati costretti a giocare per evitare il peggio, perché polizia ed esercito avessero tempo di prendere posizione. "Ci vuole un po' di rispetto per ventidue professionisti e un arbitro costretti a portare avanti una partita in una serata così tragica; Le voci sulla partita truccata ? "Fesserie. Peggio, infamie", dice Platini, adesso tornato nervoso, nerissimo. Tacconi: "Milioni di persone hanno visto la partita. Loro possono dire se era un incontro truccato".

2 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA 2.06.1985 

Si ammettono i primi errori

L'inchiesta sulla strage: le uscite di sicurezza dello stadio erano bloccate.

DAL NOSTRO INVIATO. BRUXELLES - Collegamenti che non hanno funzionato, valutazioni approssimative, informazioni arrivate in ritardo. La polemica sulle misure di sicurezza nello stadio di Heysel continua a crescere e qualcuno, anche a livello ufficiale, comincia ad ammettere i suoi errori. Il comandante della gendarmeria belga, generale Bernaert, ha detto che nei settori della curva riservata ai tifosi del Liverpool si trovavano trenta agenti in borghese, con radio ricetrasmittenti. Il loro compito era quello di segnalare i possibili incidenti, di chiamare rinforzi in caso di necessità. Da quei walkie-talkie l'allarme è partito alle 19,10: dodici minuti prima che la banda di hooligans sfondasse la rete che li separava dalla gradinata "Z", dagli italiani. Troppo tardi perché dall'esterno, dove erano schierati quattrocento uomini della gendarmeria, fosse coordinato un intervento utile. Eppure il lancio di bottiglie, mattoni, razzi era cominciato almeno un'ora prima. Ma il generale Bernaert è stato categorico: "L'ultimo rapporto, alle 19, descriveva una situazione ancora sotto controllo, non faceva prevedere quello che è poi successo". Altre accuse di disorganizzazione sono venute da parte dei vigili del fuoco, il corpo che si è dimostrato più pronto e preparato anche se è arrivato soltanto dopo il massacro, nella fase del soccorsi. Il colonnello Van Gompel, che comanda i reparti di Bruxelles, ha rivelato che né lui né suoi ufficiali erano stati invitati alle riunioni che borgomastro, gendarmeria e polizia aveva tenuto prima della partita per decidere il piano di sicurezza. "Non é stato fatto alcun sopralluogo nello stadio", ha detto Van Gompel. Il risultato: almeno dieci uscite di sicurezza erano bloccate con catene chiuse da lucchetti di cui nessuno ha più trovato le chiavi. Anche nel settore "Z" tre cancellate metalliche erano praticamente inservibili e si sono trasformate in una trappola mortale. I vigili del fuoco hanno dovuto spezzare le catene con le cesoie per far passare i soccorsi. E, prima della fine della partita (quando finalmente tutte le uscite sono state controllate) la stessa operazione è stata compiuta alle porte 8, 9, 10 e 11 della tribuna "N" , a quelle 3 e 4 del settore "M" ed anche alle uscite "U" e "V" della seconda tribuna coperta. Rivelazioni e accuse che l'inchiesta giudiziaria del tribunale di Bruxelles dovrà controllare e valutare. Ieri, prima giornata di un weekend che ha svuotato anche il Palazzo di Giustizia, una sola novità dalle indagini. I bossoli trovati dalla polizia scientifica nello stadio di Heysel sono 31: tutti di cartucce a salve. Sono state trovate anche sei munizioni inesplose, sempre dello stesso tipo, marca "Fiocchi", calibro 8. e. s.

2 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA 2.06.1985 

Martedì processo ai tifosi arrestati

BRUXELLES - Sono 16 i fermati dalla polizia e dalla gendarmeria di Bruxelles nella drammatica giornata di mercoledì. Il processo, per tutti, si terrà martedì prossimo. La signora Coppieters Wallant, giudice istruttore, ha reso noti i nomi degli arrestati e le motivazioni. Undici inglesi (nove di Liverpool), un arabo residente a Bruxelles e quattro italiani: i torinesi Umberto Salussoglia (22 anni, è il giovane con la pistola lanciarazzi ripreso in televisione: è accusato di minaccia a mano armata), Carlo B. (17 anni, essendo un minore non ne è stato reso noto il cognome), Claudio Ardito (25 anni) di Fiano e Franco Spedicato (25) di Lecce. Per gli italiani l'imputazione è di resistenza alla forza pubblica. Saranno probabilmente rilasciati. Altri due italiani sono stati inoltre arrestati per reati che non avrebbero attinenza con la tragedia dello stadio: sono Savino Muggio, 24 anni, di Torino, accusato di furto, e Franco Calabrese, 21 anni, nato a Urgnano (Bergamo). Più gravi le accuse agli inglesi, tutti fermati dalla gendarmeria. Di uno non si conosce il nome, è ricoverato in stato confusionale. Tutti gli altri inglesi sono stati fermati in città, oppure attorno o dentro all'Heysel ma prima dei tragici incidenti. George Davis (33 anni) e John Awork (30), nati a Liverpool ma residenti a Wilburg e Londra, per aver preso a pugni e calci un belga davanti un bar. John Michael (19) di Liverpool per aver colpito un agente dopo aver derubato un venditore ambulante, David Benton (18) di Liverpool per aver cercato di strappare la pistola ad un poliziotto e Steve Connolly (25) di Liverpool.

2 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA 2.06.1985 

Nuovi, drammatici particolari sul tragico mercoledì allo stadio di Bruxelles

Caccia all'uomo dopo la partita

Morente un tifoso della Juventus

di Giuliana Mongelli

E' un parrucchiere di Pinerolo, colpito da un teppista inglese con un pugno di ferro - L'aggressione a oltre due chilometri dallo stadio, mentre con un amico (pure ferito) stava salendo in auto - La moglie al suo capezzale.

"Avesse visto che faccia ! Quell'energumeno aveva il viso stravolto di chi ha fatto il pieno d'alcol. Quando i poliziotti lo hanno preso e me lo hanno portato davanti perché lo riconoscessi, rideva, ci sbeffeggiava...". Ivo Taverna, 45 anni, rappresentante, ha ancora negli occhi quella caccia all'uomo che si è scatenata dopo il tragico mercoledì di Bruxelles: lui e l'amico sono stati aggrediti dagli inglesi a sangue freddo, a partita finita, quando, oramai lontani dallo stadio, si accingevano a rincasare. L'amico, Carlo Duchene, 34 anni, è in fin di vita in un ospedale di Bruxelles. Ivo Taverna e Carlo Duchene erano partiti insieme martedì mattina, con l'Audi di Taverna, da Pinerolo, dove abitano. Si conoscono da anni. Un'amicizia che si rinfocola ai grossi appuntamenti calcistici: entrambi sono tifosi bianconeri (Taverna ha anche giocato con i "ragazzi" della Juve) e, insieme, hanno spesso seguito la squadra del cuore (e la Nazionale) nelle trasferte. Taverna: "Abbiamo dormito in albergo. Il giorno dopo siamo andati ad attendere conoscenti ai pullman in arrivo da Pinerolo. Non avevamo biglietti, ne abbiamo acquistati due della tribuna davanti allo stadio, a prezzo di bagarinaggio". I due amici hanno visto la partita tranquillamente: "Non sapevamo dei morti. Abbiamo visto delle scaramucce, si è sentito parlare vagamente di feriti. Parevano cose da poco, non avevamo le dimensioni della tragedia". Sono usciti in fretta "per evitare la confusione della folla". Hanno raggiunto l'auto, parcheggiata a un paio di chilometri dallo stadio: "Avevamo gente davanti e dietro. C'erano molti poliziotti, a differenza di quando siamo entrati". Taverna era preoccupato per la macchina: "Mi sono avvicinato alla parte anteriore per controllare che non ci fossero bolli. Carlo, dall'altra parte dell'auto, aspettava che io gli aprissi". Un urlo. Taverna si volta e vede un tifoso inglese per un attimo addosso all'amico: "Aveva qualcosa in mano, forse un pugno di ferro, e con quello l'ha colpito alla testa. Carlo ha tentato di ripararsi con una mano, ma l'energumeno ha sferrato un altro colpo che gli ha spappolato le dita. Carlo è crollato a terra privo di sensi. Intanto, dalla penombra sono arrivati altri due inglesi che mi hanno preso a pugni. Ho reagito, gridato. Sono accorsi altri tifosi italiani e i poliziotti. I tre sono scappati. Gli agenti sono riusciti a prendere quello che aveva massacrato Carlo". Una testimonianza importante quella di Taverna, che dimostra un particolare inedito e agghiacciante del dopo partita: la caccia all'uomo nelle vie di Bruxelles. Ivo Taverna ha accompagnato l'amico in ospedale: "Ho aspettato nei corridoi. Mi hanno fatto attendere tutta la notte. Solo al mattino mi hanno detto che era stato trasferito in un altro nosocomio. Ho capito a quel punto che era grave". La madre: "Avevo lasciato a mio figlio e mia nuora il mio negozio di parrucchiera in via Saluzzo a Pinerolo. Loro abitano poco lontano, in via (Omissis). Ora la casa è vuota: la moglie Ivette è a Bruxelles. La loro bambina Claudia di 11 anni la tengo io. Prima di partire Carlo aveva promesso che non avrebbe più seguito le trasferte. Diceva che ora, con il negozio, sentiva il peso di nuove responsabilità".

2 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA 2.06.1985 

NAZIONALE

 In panchina i quattro giocatori della Juventus e il pensiero di tutti alla tragedia di Bruxelles

Italia-Messico con il groppo in gola

di Bruno Perucca

La trappola dell'Heysel. Colpevoli gli hooligans, ma l'Uefa non può nascondersi.

DAL NOSTRO INVIATO. BRUXELLES - Lo sport, preso atto del ritiro delle squadre inglesi dalle Coppe del prossimo anno e respinta (anche dal Liverpool, e sdegnosamente) l'assurda voce di un accordo fra le squadre sul risultato di mercoledì scorso, non può rifiutare le proprie responsabilità, che non sono poche. L'Uefa si è associata sin troppo volentieri alla tesi belga secondo la quale tutte le colpe, proprio tutte, sono dei teppisti di Liverpool (da non far diventare, comunque, specchio di una città economicamente dissestata ma sicuramente civile). Le colpe degli hooligans sono documentate, ma la loro furia era nota (l'aveva già provata sulla propria pelle Bruxelles, nelle ore di vigilia). Esistono, altrettanto documentabili, le responsabilità di chi li ha posti nelle condizioni di rendere mortale la loro furia. Abbiamo assistito (unico giornalista non belga) ad una conferenza presso la Federazione calcistica in rue Gulmard 14, nella quale il presidente Louis Wouters ha tentato di spiegare le difficoltà di dislocamento della forza pubblica sulle gradinate dell'Heysel. Per decenza, o per paura, non è stato ricordato che l'anno prima precauzioni di emergenza erano state comunque prese per Anderlecht-Tottenham. Ma alla fine di tutto è emerso chiaramente che lo stadio non offre le indispensabili minime norme di sicurezza. Inaugurato nel 1930 con i mondiali di ciclismo, allargato nel '79 con l'aggiunta di 9 mila posti, aperto all'atletica con la pista in tartan al posto di quella in cemento, il vecchio Heysel ha due "curve" che sono altrettante trappole. Gli accessi, e quindi le uscite, delle due zone sono esclusivamente sul bordo superiore. Chi entra lì dentro e scende sino alla recinzione del campo di gioco, se lo stadio è affollato non ha più vie d'uscita. Le grate divisorie dei settori sono più o meno paraventi di carta (si è visto come hanno ceduto alla prima spinta degli hooligans). Se almeno fossero state così inconsistenti le reti che proteggono pista e terreno: i poveretti in fuga affannosa non sarebbero stati schiacciati nel tentativo affannoso di trovare un varco. I settori di curva non prevedono i "corridoi" che dovrebbero essere tenuti liberi dall'alto in basso in direzione delle entrate-uscite (anche per consentire il movimento della forza pubblica). Altri particolari rendono pericoloso l'Heysel, ma bastano le curve-trappola, dove hanno trovato la morte le vittime della furia dei teppisti, per dire con chiarezza che quello stadio doveva essere considerato assolutamente inadatto per una partita che si sapeva rischiosa (per le caratteristiche già dimostrate di una parte dei tifosi). Le colpe della Federazione belga, che ha proposto la sede della finale di Coppa Campioni, sono pari a quelle dell'Uefa, per inefficienza o condiscendenza della commissione di controllo e vigilanza. Mettere al bando le squadre inglesi e soprattutto il Liverpool è provvedimento logico (non basterà il ritiro volontario), ma non può servire da scarico di responsabilità precise. La Federazione europea ha una chiara parte di colpa nel massacro dell'Heysel. Le finali di Coppa, almeno queste, richiedono stadi capaci di offrire la massima sicurezza, adeguati servizi d'ordine, un minimo di assistenza medica. Oggi a Basilea i "santoni" dell'Uefa si riuniscono per discutere, presumibilmente, la loro situazione nei confronti dei calcio inglese alla luce della sua auto-esclusione dai tornei continentali della prossima stagione. Invece vorremmo sapere perché l'Heysel con tanta leggerezza è stato ritenuto "abile" per Juventus-Liverpool.

2 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA 2.06.1985 

Giovedì all'Azteca il cerimoniale troverà le due nazionali unite nel lutto

Mano tesa verso gli inglesi

Visita della delegazione britannica agli azzurri - Tardelli per Bruxelles nega i sospetti: "Abbiamo giocato per vincere".

DAL NOSTRO INVIATO. CITTA' DEL MESSICO - Italiani e inglesi, ieri sera, si sono incontrati e insieme hanno condannato, anzi manifestato tutto il loro disprezzo per la cieca violenza di Bruxelles. La delegazione britannica al completo, guidata dal capo comitiva Wragg e comprendente anche il tecnico Bobby Robson, è arrivata nel ritiro azzurro alle 18.10. Ad accogliere gli inglesi c'erano Borgogno e De Gaudio. Bearzot, ancora a letto con la febbre, si è intrattenuto con Robson una decina di minuti, mentre le due delegazioni hanno discusso per oltre un'ora. Al termine è stato rilasciato un comunicato nel quale, fra l'altro, si legge che gli inglesi "hanno espresso il loro profondo rammarico per i tragici e vergognosi incidenti di Bruxelles". I dirigenti di entrambe le federazioni "hanno confermato che le relazioni di amicizia sempre esistite non possono e non saranno alterate dagli eventi che sono stati stigmatizzati dall'intero mondo sportivo... E hanno espresso la speranza che la prossima partita fra Italia e Inghilterra serva a significare la continuazione di questo spirito di colleganza sportiva". Nel corso della riunione sono stati anche decisi alcuni particolari. Le squadre giocheranno con il lutto al braccio ed osserveranno un minuto di raccoglimento. Le bandiere saranno a mezz'asta, i giocatori entreranno in campo a uomini alternati, un inglese, un italiano, ed i capitani porteranno la bandiera del Paese avversario. Il minuto di raccoglimento verrà osservato anche oggi. Mentre la delegazione inglese porgeva ufficialmente le sue scuse, Tardelli, Rossi, Scirea e Cabrini rispondevano alle domande dei giornalisti che chiedevano spiegazioni e giudizi su tre punti: 1) l'auto esclusione degli inglesi dalle Coppe; 2) la notizia data alla tv belga secondo la quale il risultato della partita sarebbe stato concordato; 3) la dichiarazione dell'arbitro Daina, il quale avrebbe ammesso che non considerava l'incontro valido per la Coppa. "Tardelli sull'autopunizione inglese: "Decisione sbagliata, non è giusto che vengano puniti senza colpa i giocatori e le società. Si devono punire i teppisti". Rossi: "I giocatori non sono responsabili, ma le società in qualche modo dovevano pagare". Scirea: "Se si sono esclusi da soli, si vede che si sentivano in colpa". Cabrini: "Mi spiace per i giocatori, ma esiste una regola che va rispettata: quella della responsabilità oggettiva". Ancora Tardelli sulla partita che sarebbe stata concordata: "Non ci hanno detto nulla, non ho visto negli spogliatoi dirigenti Uefa, io ho giocato per vincere, ma pensando ai morti con la morte nel cuore". Rossi: "è una insinuazione che non merita alcun commento". Scirea: "Stupidaggini". Cabrini: "Lo nego nella maniera più assoluta. Ci hanno ordinato di giocare, certo, ma non per dare tempo alle forse dell'ordine di applicare i loro tardivi piani di sicurezza. Noi abbiamo giocato per vincere". Sulle dichiarazioni dell'arbitro. Tardelli: "Se per lui non contava il risultato, e dunque ci ha dato il rigore, allora doveva punire allo stesso modo il fallo di Bonini. Rossi: "Quello che dice l'arbitro non mi interessa. Io so che per noi era una partita vera". Scirea: "La Juventus non voleva giocare, ma una volta in campo ha giocato per la Coppa". ce.

2 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA 2.06.1985 

Diano: sostava in viale Torino, nella zona degli hotel

Danneggiato nella notte pullman di turisti inglesi

DIANO MARINA - Un pullman inglese danneggiato a Diano Marina: è accaduto nella notte fra giovedì e venerdì. A dare particolare risalto alla notizia, qualche ora più tardi, è stato uno dei più noti quotidiani nazionali britannici. Dell'episodio si sono interessati pure i notiziari radiofonici italiani. I danni ammontano a diversi milioni di lire: un pneumatico è stato tagliato, un vetro laterale infranto e, all'interno, una decina di sedili sono stati danneggiati. Sino a giovedì sera il mezzo era in perfette condizioni, ed è stato usato per una gita nell'entroterra dianese. Per buona parte della permanenza a Diano e la stessa notte dell'incursione vandalica, il bus è rimasto parcheggiato in viale Torino, zona Sant'Anna, nei pressi di una lunga catena di hotel. La località, sufficientemente illuminata, si trova a pochi passi dall'Aurelia e dal litorale. L'episodio è stato coperto dal massimo riserbo. Sono trapelati soltanto pochi particolari. E' certo comunque che è stata presentata una denuncia contro ignoti ai carabinieri di Diano Marina che hanno aperto un'inchiesta. La corriera ha trasportato in Riviera una comitiva inglese, che si è suddivisa poi in diversi hotel di Diano e San Bartolomeo al Mare. Fra questi l'Albergo Lido di S. Anna. Spiegano alla direzione: "Avevamo pensato che potesse accadere qualcosa del genere e la mattina successiva alla tragedia di Bruxelles siamo andati a controllare il pullman. Tutto sembrava in ordine. I vandali hanno preso di mira la corriera la notte seguente, poche ore prima della partenza del gruppo di turisti". f. d.

2 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA 2.06.1985 

Il racconto degli Juventini novaresi

"Impotenti davanti alla tragedia"

Trasportata a Novara la salma del novarese morto a Bruxelles. E' stato riaperto il bar di via Omar sede della tifoseria bianconera.

NOVARA - Il "baretto" di via Omar, in pieno centro cittadino, è uno dei più frequentati punti d'incontro dei tifosi juventini. Non c'è un angolo del locale nel quale non ci sia una foto di questo o quel giocatore bianconero o un gagliardetto con i colori della "vecchia signora". Il titolare, Alberto Visconti, è uno dei "capi" novaresi della tifoseria e riveste la carica di segretario del Club Juventus. E' stato lui uno degli organizzatori più attivi della "spedizione" novarese a Bruxelles patrocinata dal sodalizio dei tifosi. E' partito con moglie, figlio e cognata chiudendo il bar per alcuni giorni, tanto la maggior parte della sua clientela era partita con lui per assistere alla finale della Coppa dei Campioni, la gara che purtroppo doveva trasformarsi in tragedia. Ieri alla riapertura del "baretto" c'era una gran folla di amici e conoscenti. Tutti volevano sapere da Alberto Visconti i particolari dell'accaduto. Il segretario del club Juventus non ha risparmiato critiche all'operato della gendarmeria belga che alla vigilia della gara e anche nelle ore precedenti il match, ha lasciato fare agli inglesi quello che volevano. "Entravano nei bar, dove era vietato vendere bevande alcooliche, con delle cassette di birra. Si sedevano ai tavoli e si ubriacavano senza ritegno. Se qualche proprietario dei locali si azzardava ad invitarli ad andarsene quelli non solo rimanevano dov'erano ma con le bottiglie vuote usate come proiettili spaccavano vetrine, specchi, mandavano in frantumi ogni cosa. Quando sono scoppiati i tumulti Visconti si trovava, assieme alla maggior parte del novaresi, nella curva opposta. "Abbiamo subito capito che c'era una tragedia in atto. Assistevamo impotenti e ci faceva rabbia vedere la maggior parte della gendarmeria presente rimanere dalla nostra parte, a controllare un gruppetto di tifosi bianconeri scalmanati, mentre dall'altro lato del campo la gente moriva". Alberto Visconti dice che si recherà a Torino nei prossimi giorni per chiedere ai responsabili della Juventus un intervento a carico di quel club del quale facevano parte le decine di facinorosi, visti anche in TV, autori di atti vandalici. "Noi Juventini ci vergogniamo di questa gente che, se pure non ha fatto le cose atroci dei tifosi inglesi, si è messa in mostra nel peggiore dei modi". M.S.

2 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA 2.06.1985 

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