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Tifoso
F.C. Juventus
(Nel Settore M allo Stadio Heysel il
29.05.1985) |
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Tragedia dell’Heysel: "Io diciottenne
nell’Inferno dello stadio"
di Maurizio Raimondi
Rosso un colore che ha segnato la vita
di Giovanni.
Rosso come quello che è stato il colore di una
zona, quella di Codogno, nella quale Giovanni
vive e lavora. Una zona che ha drammaticamente
segnato la storia dell’Italia contemporanea.
Giovanni è di Casalpusterlengo, uno degli undici
comuni della "zona rossa", costituita dopo il
primo caso di positività al Covid 19 registrato
lo scorso mese di febbraio all’Ospedale di
Codogno.
Rosso come il colore del Liverpool e dei
tifosi inglesi che nella notte dell’Heysel di 35
anni fa furono i protagonisti di una delle
tragedie più dolorose della storia del calcio.
"Stiamo parlando di due situazioni molto
dolorose, ma diverse - spiega - La "zona rossa"
ci ha cambiato la vita, per sempre. Ha coinvolto
tutti. Le restrizioni iniziali sembravano
eccessive, invece con il passare dei giorni si
sono rivelate necessarie. Tanta, troppa gente
non c’è l’ha fatta. Abbiamo vissuto momenti di
grande sconforto e paura. La nostra famiglia non
è stata coinvolta in prima persona, siamo stati
fortunati. Però non possiamo non pensare ai
tanti nostri vicini che hanno vissuto vere e
proprie tragedie. La notte dell’Heysel, invece,
ha cambiato il mio modo di interpretare il
calcio, anche se continuo a seguirlo. Sono
episodi diversi, ma terribili, che ti segnano
per sempre".
Il ricordo del passato serve per
costruire un futuro migliore. Ricordare e
tramandare i fatti alle generazioni future è una
cosa necessaria per evitare il ripetersi di
certi errori. O meglio, orrori, come quello del
29 maggio 1985. Un giorno nel quale si è scritta
una delle pagine più nere della storia del
calcio.
"Doveva essere un’espressione della festa,
invece quello striscione diventò un segnale per
tranquillizzare le nostre famiglie", puntualizza
Giovanni. "Fino alle 20 fu una festa. Poi
improvvisamente iniziammo a notare onde di
persone che si spostavano nella curva opposta
alla nostra e capimmo che stava succedendo
qualcosa di anomalo. Più tardi abbiamo
intravisto qualcuno a terra e il muro crollato.
La distanza ci impediva di capire realmente la
situazione. Nel momento del collegamento della
Rai con l’Italia pensammo di alzare lo
striscione, quello con scritto Casalpusterlengo
per far capire ai nostri famigliari che eravamo
posizionati in una zona diversa rispetto a
quello che stava accadendo. Avevamo i biglietti
nella curva riservata ai tifosi della Juventus,
esattamente nella parte opposta rispetto al
settore Z".
Giovanni aveva sognato a lungo di
assistere a quella finale in programma a
Bruxelles…
"Volevo esserci a tutti i costi. Ricordo i
sacrifici economici fatti per acquistare il
biglietto. Avevo da poco compiuto 18 anni e i
miei genitori non volevano assolutamente che
partissi senza tagliando. Siamo partiti in
pulmino con un gruppo di nove amici, con molti
dei quali eravamo stati l’anno precedente alla
finale di Coppa delle Coppe a Basilea. Fu un
viaggio con qualche imprevisto e in Svizzera
abbiamo avuto anche un problema con la cinghia
di trasmissione. Un camionista si è fermato per
aiutarci e, segno del destino, ci indicò un suo
conoscente di Liegi che aveva dei biglietti per
tre nostri amici che erano partiti dall’Italia
senza tagliando. Siamo arrivati a Bruxelles
direttamente nella zona dello stadio. Nel
pomeriggio abbiamo passato qualche ora nel parco
in fianco all’Heysel. C’erano prevalentemente
Inglesi con i quali, dopo qualche timore
iniziale, riuscimmo anche a stabilire un buon
rapporto. Abbiamo condiviso le nostre bandiere e
qualche cosa da bere: niente lasciava presagire
quello che sarebbe successo poco dopo. Rimasi
impressionato dalla quantità di tifosi inglesi
sprovvisti di biglietto: direi la maggior parte.
Mio fratello minore Alessandro, invece, arrivò a
Bruxelles in treno in compagnia di mio zio, con
un viaggio organizzato da un’agenzia. Loro
avevano i biglietti in tribuna centrale, non
distanti dal settore Z".
Ma cos’è successo, dal vostro punto di
vista, in quella curva ?
"Penso e spero che non ci sia stata
premeditazione da parte degli Inglesi. Quel
settore era troppo piccolo per contenere tutti i
supporter del Liverpool. La nostra sensazione è
che molti tifosi inglesi forzarono l’ingresso e
cercarono di prendere spazio nel settore Z, dove
c’erano famiglie di tifosi italiani. Alcune
persone all’avanzare degli inglesi, molti con
qualche birra di troppo in corpo, iniziarono a
spostarsi velocemente creando una calca di gente
che fece pressione contro il muretto, poi
crollato. Probabilmente ci fu anche qualche
tentativo di reazione e degli scontri. Se ci
fossero stati degli ultras, la situazione poteva
avere un’evoluzione diversa: per certi versi
anche meno tragica. Dalla nostra posizione si
vedeva solo una parte del muro crollato e delle
persone a terra. Nessuno poteva immaginare
l’entità di una tragedia".
Quando scattò l’idea di alzare lo
striscione ?
"Quando capimmo che era partito il collegamento
tv con l’Italia pensammo di far alzare in curva
il nostro passamano. Volevamo far capire a chi
era a casa che non eravamo coinvolti negli
scontri. Non c’erano i telefonini e non potevamo
parlare con le nostre famiglie. Quella grande
bandiera è stato l’unico modo per comunicare con
chi stava in Italia".
Che ricordo avete dello stadio e
dell’organizzazione ?
"Una struttura difficile da immaginare. Alzando
il braccio si poteva toccare il punto più alto
del muro di cinta. Noi entrammo da una porticina
in ferro, larga come una porta di casa. C’era
tanta confusione e non c’era una presenza
massiccia delle forze dell’ordine, come invece
succede oggi, ma solo qualche poliziotto a
cavallo. Ricordo che qualcuno riuscì a
sgretolare alcuni pezzi dei gradoni per lanciare
delle pietre ad alcuni tifosi inglesi che ad un
certo punto si presentarono in pista".
La partita si doveva giocare ?
"Si. Non oso pensare cosa sarebbe successo in
caso contrario. La situazione sarebbe diventata
ingestibile. Qualcuno voleva organizzare delle
spedizioni verso la zona dei tifosi inglesi.
Invece durante i novanta minuti si pensò ad
organizzare il deflusso. Scirea e Cabrini si
presentarono sotto la curva dei tifosi italiani:
invitarono a mantenere la calma, spiegarono che
c’erano stati dei disordini ma che la partita si
sarebbe giocata. Non si parlò di morti. Dalle
parole di alcuni soccorritori della Croce Rossa
si poteva intuire che la situazione era grave.
Nessuno però poteva immaginare un disastro di
quelle proporzioni".
Fu partita vera ?
"Dal nostro punto di osservazione direi di sì.
Dopo i primi minuti, durante i quali l’atmosfera
sembrava surreale, le due squadre si
affrontarono a viso aperto. L’azione di Boniek
si è sviluppata nella metà campo più lontana e
la prospettiva non ci ha permesso di capire i
dettagli. Platini trasformò il rigore. Per noi
fu una partita vera e anche durante la consegna
della Coppa nessuno di noi aveva ancora capito
cosa era successo qualche ora prima".
Quando vi siete resi conto della reale
dimensione dei fatti ?
"Allo stadio mai, non potevamo immaginare una
situazione così grave. Solo il giorno dopo,
giunti all’autogrill in Italia, comprammo i
giornali e capimmo l’entità dei fatti. Qualcosa
di tremendo. Incredibile, siamo rimasti a lungo
senza parole. La sera prima subito dopo la
partita, avevamo avuto la sensazione di
rischiare qualcosa e infatti abbiamo lasciato
Bruxelles in fretta e furia. Avevamo quello
striscione enorme sulle spalle e ad un certo
punto, durante il deflusso, qualcuno segnalò la
presenza di tifosi inglesi. C’era il terrore.
Noi siamo andati dritti verso il nostro pulmino
e ci siamo fermati a dormire sulla via del
ritorno".
Come è nata l’idea di fare lo striscione
e cosa ne è stato poi ?
"Era uno striscione "passamano" enorme che ci
costò alcuni mesi di lavoro. Sullo sfondo bianco
c’erano al centro una Coppa dei Campioni e ai
lati una zebra con gli altri trofei. Nella parte
superiore la scritta "Forza magica Juve". E
nella parte inferiore "Casalpusterlengo è con
te". Dopo la notte dell’Heysel abbiamo aggiunto
una striscia nera con la frase: "29-5-1985
resterete sempre nei nostri cuori". Avevamo
comprato la stoffa qualche mese prima nella zona
di Bergamo. Poi un artista del basso lodigiano
si impegnò a disegnarlo. Tutte le sere per
almeno due mesi ci siamo ritrovati in un
capannone con un gruppo di quindici persone per
dipingerlo. Poi, prima di partire, abbiamo fatto
le prove e qualche foto sulle rive del Po, a
Corte Sant’Andrea. Non avevamo idea delle
dimensioni della curva dello stadio di
Bruxelles. L’anno successivo abbiamo portato
qualche volta lo striscione in Curva Filadelfia
e poi lo abbiamo lasciato allo stadio, in
custodia a tifosi organizzati".
Segui ancora la Juventus ?
"Si, sempre con alcuni amici. Da 35 anni faccio
ininterrottamente l’abbonamento. Oggi in tribuna
ovest. La notte dell’Heysel mi ha segnato, ma io
ho sempre considerato il calcio cercando di
scindere il fenomeno sportivo da episodi di
violenza che purtroppo sono avvenuti. Sono
rimasto sconvolto e ho preferito non
approfondire i fatti di quella notte, ma ho
continuato a seguire il calcio".
Cosa si prova oggi quando qualcuno
rievoca ancora quella notte con striscioni o
cori ?
"Chi lo fa dovrebbe vergognarsi. Penso che molti
ragazzi non sappiano nemmeno il significato di
certi cori o striscioni. Oggi alcune curve sono
frequentate da giovanissimi che nel 1985 forse
non erano neanche nati. In ogni caso tutte le
tifoserie che rievocano episodi in cui ci sono
state delle vittime, di qualsiasi appartenenza,
si dovrebbero vergognare".
20 maggio 2020
Fonte: Malpensa24.it
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