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BIBLIOGRAFIA
HEYSEL |
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"Via Filadelfia: una
storia, una curva"
di Beppe Franzo
Per
me e molti altri, davanti al numero civico 88 di via
Filadelfia, ci siamo dati appuntamento per lunghi anni
quando la nostra squadra del cuore giocava in casa.
Questo libro narra, in forma autobiografica, l’arco di
tempo da fine anni Settanta ai primi anni Novanta del
secolo scorso, da me vissuto tra i gruppi ultras della
tifoseria juventina. Per i protagonisti di allora,
spesso identici tra loro al di là di bandiere e
stendardi, ideologie politiche, differenti posizioni
sociali, potrà essere un salto a ritroso nel tempo. Per
ricordare, per riflettere, per stilare le dovute
considerazioni e conclusioni. Un’esperienza che odi o
ami, ma di cui ti ricorderai. Per sempre.
Mi è stato chiesto "per chi hai scritto il libro
?" (a tal proposito, chi volesse fare delle domande in
merito le pubblichi pure nel Gruppo, in modo che le
risposte saranno visibili a tutti). Rispondo dicendo che
l’ho scritto per me e per quelli che insieme a me hanno
vissuto quei momenti; per i più giovani che spesso in
curva, birreria o altri posti, ogni tanto chiedono di
raccontare della Generazione Ultras degli anni ’70-’80.
Spero che possa aiutarli a comprendere, a "capirci".
Senza vena di retorica, l’ho scritto anche per quelli
che a volte ricordo con nostalgia e che non sono più con
noi. L’ho apposto nella dedica ad inizio libro: "Dedico
questo libro a quanti affollano le gradinate del cielo,
in particolare: Beppe Rossi, Claudio Ardito, Roberto
Balducci, Marco Brocchi, Antonio del Ponente, i fratelli
Candela, Mario Onorato, i 39 Angeli dell’Heysel, mio
padre". La seconda domanda è una risposta indiretta ai
tanti che mi chiedono "Io ci sono, mi hai menzionato ?"
Nel testo sono omessi nomi e cognomi, chi c’era allora,
leggendo il testo e ritornando indietro con la memoria,
saprà che è lui il personaggio descritto. Spero possa piacervi o quanto meno di non
deludervi troppo. Scrivere un testo, un romanzo del
genere non è facile: occorre cercare di ovviare alle
banalità, eludere la retorica. Il linguaggio è a volte
grezzo: ho voluto fedelmente riprodurre il gergo del
mio/nostro mondo. Grazie per la comprensione.
Fonte:
Via
Filadelfia 88 © Novantico Editrice 2011
Fotografie:
Novantico Editrice
© Beppe Franzo ©
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VIA FILADELFIA 88
Appunti dell'autore alla seconda edizione
di Beppe Franzo
Le
più rosee previsioni sono state abbondantemente
superate, sia in termini di vendite che di consensi. Non
credevo che un romanzo sugli ultras degli anni Ottanta
potesse riscuotere così tanto interesse, partecipazione,
nostalgia. La cosa più commovente è stata però il
riabbracciare vecchi amici di gradinata di cui avevo
negli anni perso i contatti, vederci cambiati nei
lineamenti, conoscere i figli che spesso condividono
identiche passioni e interessi. Le presentazioni sono
state accolte con entusiasmo, con partecipazione,
incontrando persone che spesso conoscevano meglio del
protagonista quegli avvenimenti e decorsi storici
narrati nel testo. La cosa ancor più stupefacente è
dovuta al fatto che molti di loro in quegli anni non
erano ancora nati o erano per lo più in fasce. Motivo
questo che fa comprendere come il fenomeno ultras stia
divenendo storicizzato, con i pro e i contro che ne
derivano e con la conseguente prospettiva che ne deriva,
di un’interpretazione fittizia e di parte. L’altro
aspetto che mi ha incuriosito è stato il gioco
enigmistico nato dalla lettura del libro, con una sorta
di "indovina chi" tendente a risalire alla paternità dei
dialoghi. Spesso differenti personaggi si sono
identificati nel protagonista del capitolo, in un "uno,
nessuno, centomila" pirandelliano che trova comunanza
nei ragazzi di allora per modi d’essere e d’agire. Il
dialogo e i botta e risposta, verbali o mediatici
attraverso il web con ultras di altre tifoserie,
confrontandosi su passato e presente, ha arricchito le
mie conoscenze, ampliato degli orizzonti spesso
appiattiti da usi e consuetudini. "Vecchi ragazzi", al
tempo dell’accadimento dei fatti della narrazione
politicamente agli antipodi dell’autore, hanno
apprezzato il mio sincero tentativo di descrivere il
"modus vivendi" di un ragazzo di destra che ho cercato
di narrare con assoluta sincerità e totale assenza di
"miticizzazioni". Queste nuove conoscenze saranno da me
ricordate come incontri simpatici a conferma che le
gradinate di uno stadio sono luogo interclassista, spazi
estemporanei a-politici, dove la convivenza di ragazzi
di matrice politica avversa avviene nel nome di un
intimo sentire sprigionato dal tifo per la propria
squadra di calcio. Tra le critiche, evidenzio quella più
vera, scaturita da chi non è riuscito a capire se da
parte mia ci sono rimpianti, pentimenti oppure totale
condivisione del passato. La critica e l’esaltazione, a
seconda dei momenti, di certi episodi s’intersecano,
dando forse a qualcuno l’idea di una visione
confusionaria da parte del narratore. Non è così, almeno
a mio avviso. Ho voluto "psicoanalizzarmi", facendo
emergere il mio vero "essere ultras". Deformando
considerazioni o eventi, miticizzando un certo passato o
rigettandolo per compiacere la platea e i lettori, avrei
"mistificato" il mio sentire. Lo rifaresti, mi ha
chiesto qualcuno ? Sì, senza ombra di dubbio, se potessi
ritornare a quei tempi e alla mia metrica di
ragionamento di allora; eviterei errori o eluderei
alcuni atti se (ri)analizzassi il passato con gli occhi
del presente. Pentimenti ? Nessuno. L’aggiunta di nuovo
materiale fotografico inedito, è doveroso omaggio ai
protagonisti di quegli anni e di quelle avventure.
Fonte:
Via
Filadelfia 88 © Novantico Editrice 2013
Fotografie:
Novantico Editrice
© Beppe Franzo ©
Icona: Itcleanpng.com ©
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Per il 20 dicembre il
Gruppo Nucleo organizza cena-evento
"Per non dimenticare
Heysel"
Attesi Tacconi e
Briaschi. Sarà presentato anche il libro "Via Filadelfia
88" di Beppe Franzo.
Sono
da poco terminati i lavori per la copertura del
monumento eretto a Reggio Emilia in memoria delle 39
vittime della follia hooligans nella notte della finale
di Coppa Campioni fra Juventus-Liverpool il 29 maggio
1985. La copertura del monumento, progettato dallo
scultore fiammingo Gido Vanlessen, è stata realizzata
grazie all’impegno del Comitato "Per non dimenticare
Heysel" di Reggio Emilia che ha interamente anticipato
le somme necessarie ai lavori. Per questo il Nucleo
1985, che si chiama così proprio in omaggio a un
percorso comune iniziato dai fondatori del gruppo nella
notte dell’Heysel, ha deciso di organizzare la cena
evento del 20 dicembre 2013. In questo momento storico
particolare, oltre che parlare di crisi economica,
politica e culturale riteniamo sia importante dare
risalto a progetti in cui "piccoli eroi" cercano di fare
del bene in vario modo possibile. Da sempre ci piacciono
le persone che si mettono in discussione e che
preferiscono esserci piuttosto che mancare ad un
appuntamento importante. Il 20 dicembre 2013 non sarà
solamente una cena , ma la dimostrazione a noi stessi ed
agli altri che siamo un popolo vero. Non mancare perché
contiamo anche su di te.
Il Direttivo del Nucleo 1985
Fonte:
Tuttojuve.com © 3 dicembre 2013
Fotografia: Nucleo
1985
©
Icona: Itcleanpng.com ©
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Via Filadelfia 88
di Stefania Camilla
Caretto
Cari
amici bianconeri, sono giorni e giorni che i media,
alcuni in veste più di avvoltoi che di cronisti, si
stanno occupando di un caso ridicolo: la querelle tra
l’Uefa e la società Juventus riguardante uno stendardo,
quello del gruppo denominato "Via Filadelfia 88". Per
spiegare l’accaduto e mettere fine una volta per tutte
alla questione, Beppe Franzo, autore del libro Via
Filadelfia 88 (alla sua terza ristampa), mi ha
gentilmente offerto la sua versione dei fatti, con la
precisione e le serietà che lo contraddistinguono.
Perché "Via Filadelfia
88" ?
"Via Filadelfia 88 è il titolo
di un romanzo che tratta la mia esperienza tra gli
ultras bianconeri, da fine anni Settanta ai primi anni
Novanta. Di sfondo al racconto, l’evolversi dei gruppi
con le varie unificazioni e scissioni: da Fighters,
Indians e Gbn alla fugace esperienza dei Black & White
Supporters, quindi Arancia Meccanica che si tramuta poi
in Drughi e la scissione di Vecchia Guardia. Sull’onda
della pubblicazione del libro, nasce il gruppo Facebook
omonimo, a cui sono iscritti tanti vecchi "giovani" di
allora, con molti dei quali si è dato vita ad iniziative
specifiche quali gli aiuti per il piccolo Daniele, la
battaglia per la Sala della Memoria nel Juventus Museum
e altro ancora. Buona parte di noi, ancora soliti a
frequentare le gradinate, assistono insieme alla partita
portando appresso la pezza che ci identifica: quella via
e numero civico davanti al quale per molti anni ci
trovavamo in attesa della partita. Un nome e un numero
che sono nel dna di noi vecchi ultras bianconeri".
Cos’è successo, nello
specifico, tra la Juventus e l’Uefa ?
"Tra la Juve e l’Uefa
succedono spesso tante cose e la problematica dell’88
rientra tra i vari "inconvenienti" sollevati dall’Uefa,
cui la società bianconera ha dovuto dare una risposta.
Nello specifico, per quanto mi è stato riferito, gli
osservatori Uefa hanno identificato uno stendardo che, a
loro dire, era tacciabile di neonazismo. Occorre
spiegare, per quanti a digiuno sull’argomento, il
significato del numero 88, prescindendo dalla Cabala o
dalla Smorfia napoletana che associa il numero al
caciocavallo. Proibito in Germania ogni forma di saluto
nazista, il suddetto numero entrò in uso tra gli skin
neonazi che identificavano con esso l’ottava lettera
dell’alfabeto, la H. L’88 riconduce pertanto alla doppia
H (HH), lettere iniziali del saluto proibito "Heil
Hitler". Da allora, grazie ad una vera e propria psicosi
che si è tramutata in fobia, in special modo da parte
della comunità ebraica, ha generato il sospetto ogni
volta che il numero è apparso, sia pure nelle più
disparate forme e pubbliche manifestazioni. La Juve ha
fatto presente ai soloni dell’Uefa che non tutti i
giardini, le piazze e le vie metropolitane cui è
spettato il civico 88, sono ricettacoli di neonazisti.
Per difendersi però dall’accusa e far decadere l’ammenda
cui sarebbe presumibilmente incorsa la Società (anche se
sui quotidiani e siti web in questi giorni ho appreso
addirittura di una possibile chiusura della Curva Sud),
è stato prodotto, come prova a sostegno, il mio libro,
sotto il cui numero incriminato compare il sottotitolo
che ne spiega il contenuto: "Una Storia, una Curva". La
Juve ne è uscita vincente, con buona pace dell’Uefa e
dei suoi osservatori, pronti a tramutarsi in indefessi
"cacciatori di pezze", ma ciechi dinanzi ai veri
problemi di ordine pubblico, come quelli verificatisi
nella partita coi turchi, per colpa di questi ultimi".
Dopo tutte le
polemiche di quest’ultimo periodo, tra striscioni,
stendardi, numeri civici e discriminazioni di varia
natura, come vedi il futuro del tifo in Italia ?
"Ora più che mai vado in curva
"Solo per la Maglia". Il tifo ? Il tifo è morto
subissato dalle imposizioni della Federazione, dalle
assurde e farraginose regole dell’ Uefa, dalla logica
che ha tramutato i club calcistici in società quotate in
borsa. Lo spontaneismo da gradinata è stato surclassato
dallo sventolio delle bandierine, sicuramente
folkloristiche ma standardizzate e banali. Il tifoso è
prigioniero di cavilli burocratici e giuridici come la
Tessera del tifoso, è vincolato a partecipare all’evento
in orari abnormi. È spogliato di ogni diritto perché il
calcio moderno ha "ucciso" il tifoso sostituendolo con
lo spettatore-pagante. Il futuro sarà la partita vista
da seduti, con il posto ben identificato, come avviene
nei vari settori dello stadio, tolta la Curva Sud:
l’ultimo baluardo del tifo. Tra vent’anni, le
generazioni a venire guarderanno le vecchie foto degli
ultras anni 80 e quando qualcuno parlerà loro di tifo,
penseranno a quello epidemico o petecchiale".
Lo spirito descritto
nel tuo libro Via Filadelfia 88 esiste ancora ?
"Non esiste più perché sono
cambiati gli attori dello spettacolo. Non esiste più
perché è cambiata la mentalità. Non esiste più perché,
come detto prima, il tifo è altra cosa. Sono cambiate le
generazioni, è mutato il concetto di gruppo ultras, è
limitata al tempo stesso la possibilità di espressione,
di movimento, di socializzare attraverso il "fare
gruppo". Ma inutile piangere sulle ceneri, occorre
guardare al futuro nella speranza di cogliere nuove
forme aggregative, e non lo dico a me stesso, ma alle
nuove generazioni. Per noi, giovani di allora, lo stadio
era un’alternativa perché si socializzava, si viveva con
gente che la pensava come te. La curva di allora, almeno
la Filadelfia che ho vissuto come esperienza diretta,
può essere definito forse come uno dei pochi spazi
interclassisti dell’epoca e, in un mondo giovanile
allora alquanto politicizzato, come uno dei pochi punti
di convivenza (quasi) pacifica tra giovani con idee
politiche differenti, uniti dall’incredibile: la fede
calcistica".
Credo di non avere altro da
aggiungere. Ciò che Beppe ci ha descritto è la perfetta
fotografia del nostro tempo. Le psicosi legate ai
fantasmi del passato, la reclusione del tifoso in una
sorta di prigione dorata costituita da divieti e da pop
corn, da seggiolini sempre più comodi e da coreografie
imposte da sponsor o dalla dea televisione: questo è il
nostro mondo. Un mondo nel quale, giocoforza, siamo
stati inquadrati come tanti soldatini. Grazie di cuore a
Beppe per la disponibilità. E grazie a tutti voi,
ragazzi di Via Filadelfia 88, per aver mantenuto vivo il
ricordo di ciò che eravamo. Un saluto a tutti voi, cari
amici bianconeri. Fino alla fine forza Juventus !
Fonte:
Signorainrosa.com
©
17 ottobre 2013
Fotografia:
Novantico Editrice ©
Icona: Itcleanpng.com ©
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Due parole con… Beppe
Franzo
di Stefania Camilla Carretto
La storia della Juventus è come un film, interminabile
ed intenso, nel quale ogni emozione viene vissuta, da
milioni di persone, con ardore ed entusiasmo. Gioie e
dolori, vittorie e sconfitte. Costellata di personaggi
speciali, siano essi calciatori, dirigenti o presidenti,
la storia bianconera annovera, tra le sue fila, anche
altri importanti protagonisti: i tifosi, vere e proprie
anime di questa gloriosa società calcistica. E, per me,
juventina da sempre, è stato un piacere conoscere ed
intervistare un tifoso bianconero DOC come Beppe Franzo.
Per chi non lo conoscesse, Beppe è stato uno dei
fondatori degli Indians, storico gruppo organizzato
degli anni ’80. E’ anche autore di molte pubblicazioni,
tra cui "Via Filadelfia 88. Una storia, una curva" (Novantico
Editrice, 2011), libro che non può mancare nella casa di
ogni juventino ! Ti ringrazio, caro Beppe, per la
pazienza, la disponibilità e la precisione
nell’argomentare le risposte. E grazie di cuore
all’amico Pierluigi, in arte Piertattoo, che tra un
tatuaggio su di me e uno su di te, ci ha fatto
conoscere.
Allora, Beppe:
cominciamo ? Gli ultras criticano il calcio moderno
(campionato spezzatino, tessera del tifoso, ecc.). Tu
che hai vissuto il mondo del tifo organizzato negli anni
80, come la pensi ?
"Ti rispondo, innanzitutto,
con una citazione, che ho ripreso nel mio libro. "La
televisione, invece, è un nemico per i tifosi. Ormai la
filosofia delle grandi società è di relegare la
fruizione del calcio al piccolo schermo. Si trasmettono
un numero incredibile di partite e così ci si allontana
sempre di più dai campi di gioco. Sono più alti i
proventi che giungono con i soldi degli sponsor che non
quelli che arrivano dai tifosi. Il guaio è che
progressivamente si perdono il mito della bandiera, il
senso di appartenenza ad un gruppo, la condivisione di
gioie e amarezze con la squadra del cuore…". (Intervista
a Pietro Rava, Giocavamo, senza numero: la Juventus che
eravamo noi, Mario Parodi, Editrice Tirrenia Stampatori,
1999) La televisione comanda, le società accettano. Una
volta le partite si giocavano tutte alla stessa ora, di
domenica pomeriggio. Adesso, invece, si gioca il sabato,
la domenica, alle 18, alle 12.30, alle 15, alle 20.45.
Insomma, per esempio, chi ha un’attività è obbligato a
chiudere presto se vuole andare allo stadio il sabato
alle 18. E se si hanno dei figli, diventa complicato
andare a vedere la partita alle 12.30 di domenica.
Oltretutto, i costi degli abbonamenti, proprio per le
difficoltà logistiche che vengono imposte, dovrebbero
diminuire anziché aumentare ! Ai presidenti -
proprietari delle squadre, evidentemente, importa poco
degli spettatori allo stadio: meglio un tifoso da
salotto che uno qualsiasi sugli spalti. Per quanto
riguarda la tessera del tifoso, il discorso è complesso,
ma sì, sono contro questa schedatura continua delle
nostre vite. Siamo osservati continuamente da una sorta
di Grande Fratello, proprio come nel libro 1984 di
George Orwell. Se sei abbonato, ai tornelli dello stadio
appare il tuo nome, e di certo i dati vanno a finire in
un database che registra l’effettiva presenza. Allo
stadio, poi, ci sono telecamere che possono
identificarti. Se vuoi seguire la squadra in trasferta
devi fornire i tuoi dati. In più la tessera del tifoso,
se attivata, diventa anche una carta di credito pre-pagata.
Il mondo del calcio è sempre più controllato dal
business. Mammona ha preso il sopravvento".
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La curva e il mondo
ultras come specchio della società. Negli anni ‘70 - ‘80
molti giovani si interessavano di politica e,
altrettanti, erano attivisti. La curva, all’epoca, era
spesso espressione della politica extraparlamentare. Si
pensi alle Brigate Rossonere, fondate, tra gli altri,
dal leader di Autonomia Operaia, Toni Negri. La curva
era un po’ come un megafono per chi "non aveva voce",
per chi non comandava. Attualmente, invece, i giovani
seguono meno la politica e sono immersi in una società
nella quale ciò che conta è il denaro, l’aspetto
puramente economico del mondo. Il netto cambiamento
della società ha inciso e, se sì, quanto sul mondo
ultras ?
"Il cambiamento sociale e
politico ha certamente influito sul mondo ultras. Per
quanto riguarda il contesto politico, sono morte le
frange più estremiste extraparlamentari e sono venute
meno le estremizzazioni del concetto politico e la netta
divergenza tra sinistra e destra. Spesso si trovano
partiti di destra che affermano concetti tipici della
sinistra, o partiti di sinistra che scimmiottano
politiche sociali di destra. Ciò non accade solo in
Italia, ma in tutta Europa. Si sta andando verso
un’uniformità di pensiero europeo e globale, che
proviene da quella scuola con matrici liberiste, che
parte dagli Stati Uniti e che si basa su una visione
prettamente economicista e liberista del mondo. Essa
porta, quindi, ad un livellamento di valori, ad
un’uniformità nella società e in questo, per assurdo,
sposa le tesi della sinistra marxista. I gruppi ultras
ne hanno risentito per tutta una serie di motivi ben
evidenti. Innanzitutto possiamo osservare come sia
entrata, nelle curve, una logica di pensiero finalizzata
anche all’ottica consumistica. Dico "anche" perché con
la mia risposta non voglio fare del mondo ultras un
tutt’unico. Ci sono gruppi ben differenti che hanno
posizioni contrapposte. Non si può fare dell’ultras
un’unica figura e con questa identificarne il pensiero,
gli usi comuni, il modus vivendi. Sicuramente la logica
consumistica è entrata nelle curve, mentre è venuta
meno, per tutta una serie di misure repressive, lo
spontaneismo che era tipico dei giovani che animavano il
panorama delle curve. Tramite filtraggi imposti si è
standardizzata la logica del tifo: bandieroni con
identiche dimensioni, trasferte identiche per modelli,
per mezzi con cui viaggiare, per orari. Questo ha creato
una standardizzazione del fenomeno ultrà ed è venuta a
mancare la logica immaginifica del contesto e della
mentalità che trascinava quel mondo, sia a destra che a
sinistra. Se la sinistra extraparlamentare si basava sul
motto "L’immaginazione al potere", la destra
extraparlamentare si contrapponeva al doppiopetto e
manganello di Almirante, per andare a ricercare spazi di
identità sociali diversi: entrambe le realtà vivevano di
emblemi, simboli, immagini forti che si ritrovavano
nelle curve. La bandiera con la croce celtica da una
parte, quella con Ernesto "Che" Guevara dall’altra.
Simboli differenti ma pur sempre simboli che davano
un’esatta connotazione di quello che poteva essere il
vivere comune. Una parte si fondava sulla logica
contenuta nel libro del TAZ di Hakim Bey e che prenderà
poi piede con i centri sociali. L’altra, invece, basava
la sua esistenza sulla logica del comunitarismo, della
concezione di comunità intesa come insieme di principi,
di valori, di uomini, ricca di simbologia forte e ben
presente. Come diceva Mircea Eliade, nel testo Mito e
Realtà, certi simboli, utilizzati nel contesto della
curva, come il canto dell’inno nazionale o lo sventolio
di una bandiera, sono emblemi che fanno parte di una
tradizione ben precisa, di qualcosa di ben radicato
all’interno della società, anche se inconsciamente
portati avanti da giovani che non sanno neanche cosa
significhino. Sicuramente il mondo ultras è mutato. Non
dico che sia peggio o meglio ma è cambiato".
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Tu eri presente il 29
maggio 1985, allo stadio Heysel di Bruxelles. Come vivi
i continui cori contro quei 39 morti ? Gli inglesi non
ce l’avevano con gli juventini in quanto tali, ma in
quanto italiani. Avrebbe potuto esserci chiunque nel
famigerato settore Z. Perché nessuno lo capisce ?
"Innanzitutto, praticamente
tutti ti chiedono cos’è successo a Bruxelles, segno che
nonostante i molti libri scritti e le trasmissioni
sull’argomento, ciò che successe non è ancora così
evidente e chiaro. In realtà alcuni compresero
l’identificazione tra juventini e italiani. La prima
partita, dopo la tragedia, fu Milan - Juve di Coppa
Italia. Un gruppo di tifosi rossoneri (forse i Commandos
Tigre) ci accerchiarono per parlarci, per capire. Prima
della partita, portarono uno striscione in campo in
segno di solidarietà per i caduti dell’Heysel. Ci furono
anche molti ultrà del Toro che ci aspettarono al ritorno
da Bruxelles, per cercare di capire cos’era successo e
dimostrare la loro solidarietà. Per quanto riguarda i
cori e gli striscioni, è chiaro che molti li utilizzano
per attaccare la Juve e la propria tifoseria. In
sostanza, lo fanno per darci addosso… E’ triste,
comunque, che ancora oggi molti non abbiano capito che
poteva esserci qualsiasi altra squadra italiana, lì, e
sarebbe successa la stessa identica cosa. L’odio, come
hai sottolineato tu, era radicato nei confronti dei
tifosi in quanto italiani, non in quanto juventini. In
Italia i peggiori di tutti sono i viola: hanno cercato
in maniera subdola di fare il gemellaggio coi tifosi del
Liverpool, a distanza di anni dalla tragedia
dell’Heysel. Un atto ignobile da parte loro".
Allora, Beppe: finora abbiamo parlato del calcio
moderno, del mondo ultras come specchio della società e
della tragedia dell’Heysel. Di domande da farti ne avrei
tantissime, ma, prima di tutto, vorrei chiederti questo:
alla luce degli ultimi attriti, come sono i rapporti tra
ultras e società Juventus ? E com’erano negli anni 80 ?
"La Juventus è continuamente
sotto i riflettori: essendo una delle società più
importanti d’Italia, se non la più importante, è da
sempre oggetto di attacchi di ogni genere, anche i più
improbabili. Per attaccarla ogni mezzo sembra lecito. La
questione inerente i rapporti società - ultras non è
propria di questi ultimi anni: è una costante la ricerca
di relazioni "proibite" e di connubi incestuosi tra
questi soggetti. La Juventus, almeno sul piano formale,
ha sempre cercato di mantenere le distanze. Tuttavia, la
logica dei tesserati all’interno dei gruppi ultras non
si può disconoscere: sicuramente se ci sono 3000
tesserati all’interno del gruppo, un rapporto, anche
solo di fidelizzazione, tra società e ultras esiste. Per
il resto, la Juventus ha cercato e cerca di limitare ciò
che fuoriesce dal semplice rapporto tra venditore e
acquirente del biglietto da stadio. La Juventus è una
società sabauda: la sua mentalità è tipica di un certo
retaggio del mondo piemontese, quello della chiusura,
quasi della ghettizzazione. Si è sempre agito in questo
contesto "sabaudo". Nell’ultimo periodo c’è stata una
virata di tendenza importante con lo stadio di
proprietà; stadio che si vuole far diventare modello per
le altre società italiane. Per questo, la Juventus sta
cercando di limare il più possibile il contesto ultras
all’interno del suo impianto, non ottenendo, a mio
avviso, le collaborazioni sperate. Pensando alle ultime
contestazioni, è ovvio che se la Federazione avesse
imposto il divieto, d’accordo con la Questura, di far
entrare i bandieroni di certe dimensioni, avrebbe dato
una grossa mano alla Juventus, che avrebbe potuto
prendere quella decisione come pretesto per impedire
agli ultras di introdurre nello stadio i bandieroni
stessi. La società avrebbe potuto scaricare la colpa
sulla Federcalcio. Invece si è trovata a dover optare
per una scelta frontale. Vedere gli spalti vuoti durante
la partita contro lo Shakhtar, in Champions League, ha
dimostrato la fragilità e l’incompetenza di buona parte
dell’entourage dirigenziale bianconero. Sono stati
commessi errori eclatanti".
Torniamo un attimo al
rapporto tra mondo ultras e politica. In base alla tua
esperienza, in che modo la politica entrava in curva,
negli anni ‘80 ?
"Alcuni studi sociologici hanno cercato, anche in modo
un po’ subdolo, di far passare messaggi diversi rispetto
a quello che era il contesto abitudinario. Molti di loro
vedevano le curve come un qualcosa di funzionale alla
politica extraparlamentare. In pratica identificavano la
logica del movimento extraparlamentare in quella di
coloro che andavano in curva a reclutare le persone. La
curva, infatti, era considerata terreno fertile. E’ vero
che questo è avvenuto, ma non era la logica imperante.
Lo dimostra una piazza come Roma, dove, da un lato,
c’era il mondo dei coatti e dall’altro il mondo dei
militanti politici extraparlamentari. Due mondi spesso
agli antipodi. I militanti consideravano gli altri dei
reietti che andavano allo stadio ad utilizzare simboli
impropri. Il mondo dell’ultrà, invece, concepiva, ad
esempio, il militante di destra come un topo da
biblioteca, più avvezzo a consultare i libri che non a
fare della militanza un qualche cosa di attivo. In una
piazza come Torino, invece, il mondo extraparlamentare
di destra è sempre stato presente, anche se non molto
sviluppato in termini numerici. Spesso succedeva che
coloro che facevano parte dei gruppi giovanili di allora
(Fronte della Gioventù, Vento del Nord) si ritrovassero
a far parte anche dei gruppi da stadio. Essi animavano
da una parte gli Indians e dall’altra i Granata Korps.
Noi eravamo un gruppo di giovani che viveva la propria
sfera esistenziale sette giorni insieme. Eravamo una
comunità sotto tutti i punti di vista. Facevamo
politica, ci trovavamo per andare a bere, vivevamo
determinati momenti in simbiosi e la domenica, tutti
insieme, andavamo sulle gradinate dello stadio a vivere
questa dimensione dell’essere ultras. E’ anche vero che
non tutti quelli che facevano parte del gruppo
comunitario politico venivano allo stadio. Se ne
aggiungevano altri, anche con precedente esperienza in
gruppi extraparlamentari di sinistra. Quindi seppur la
matrice identificativa del gruppo era decisamente
schierata a destra, per simbologie e per slogan, ciò non
toglie che ne facessero parte anche tanti ragazzi di
sinistra. La dimensione che prevaleva era quello
dell’amore verso la squadra. Da questo punto di vista,
la curva può essere considerata l’unico spazio
socialmente vissuto da "classi sociali" differenti. E’
forse l’unico spazio eterogeneo".
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Essere
ultras in un periodo in cui i calciatori vendono le
partite. Incitare, cantare, spendere soldi per le
trasferte e poi scoprire che i propri idoli scommettono
sulle loro partite… Non ci si sente un po’ presi in giro
?
"Sicuramente, da Calciopoli in poi, niente è più come
prima. Se da un lato scopri che c’è chi si vende le
partite, dall’altro ti rendi conto che chi è stato
punito ingiustamente, come la Juventus, si trova a
combattere contro un sistema che, pur dimostrando la sua
totale estraneità a determinati fatti, la continua a
condannare. E’ un po’ come picchiare contro un muro.
Questo, per tutta una serie di ragioni ben differenti,
legittima ampiamente la logica dell’odio eterno al
calcio moderno. E’ la sintesi del concetto di una certa
mentalità che viene racchiusa nell’osteggiare e nel
considerare del tutto arbitrarie e insulse la tessera
del tifoso, la diffida, l’imposizione di determinati
sistemi, ad esempio il dover assistere seduti alle
partite (come accade in Inghilterra). Questo crea una
diversità sugli spalti e non solo. Anche sul campo si
sta modificando il gioco del calcio con una serie di
regole nuove che niente hanno a che vedere con lo
spirito originario. La palla dentro o fuori c’è sempre
stata, ma mettere i campanellini per sapere se la palla
è entrata interamente o no significa falsare il bello
del mondo del calcio, ossia la discussione post partita,
a prescindere dalla supremazia evidente di una squadra
rispetto all’altra. Tutto questo insieme di fattori sta
creando un distacco tra quelli che hanno vissuto il
calcio in un certo modo e quelli che lo stanno vivendo
oggi. E’ un vero e proprio ricambio generazionale tra i
"vecchi" che non amano questo calcio e i "nuovi" più
frutto di una logica "pubblicistica". Ne è un esempio la
polemica tra i pinguini e gli ultras".
Non ti sembra che ci siano personaggi che si nascondono
dietro al tifo organizzato per commettere atti vandalici
che col calcio hanno poco a che fare ? Quelli che hanno
distrutto il settore ospiti dello Juventus Stadium, per
esempio. Oppure è colpa di tutte le polemiche che
precedono le partite ?
"Esistono due dimensioni del
concepire il mondo ultras. Negli anni ’80 c’erano gruppi
che non approvavano il concetto di lama, mentre c’erano
quelli che le lame le usavano ampiamente,
anche all’interno della stessa tifoseria. In curva c’è
di tutto. Quando si pensa all’anello più duro della
catena, che è la tifoseria ultras, già si fa un’enorme
cernita all’interno della curva stessa. Chi fa parte di
quel mondo ha una concezione decisamente improntata ad
una logica, passami il termine, guerriera. Facendo
un’ulteriore differenziazione, si possono trovare coloro
che ragionano secondo una logica ultras pura, ossia
quella di affrontare il nemico in modo frontale, oppure
coloro che, per tutta una serie di ragioni e di cose che
animano queste ragioni, ad esempio la cocaina o l’alcol,
tramutano l’evento in qualcosa di nichilistico.
Ovviamente questo fa sì che si verifichino dei
cortocircuiti che niente hanno a che vedere con la
partita e con la stessa logica ultrà. Lo scontro
dovrebbe essere un mondo parallelo che non coinvolge le
famiglie. Purtroppo già negli anni ’80 succedeva che
venissero coinvolte persone che niente c’entravano col
contesto dello scontro. Succedeva allora, succede
adesso".
Ed eccoci arrivati, cari amici, alla fine di questa
lunga, interessante e coinvolgente intervista ad un
personaggio di spessore per i colori bianconeri come
Beppe Franzo. La mia intenzione era quella di
raccontare, tramite le sue parole, uno spaccato del
mondo che popola la curva bianconera. Spero di esserci
riuscita e di avervi, nel contempo, offerto alcuni
spunti di riflessione. Grazie ancora a Beppe per la
gentile disponibilità e al nostro amico, nonché
tatuatore di fiducia, Piertattoo per averci presentato.
E come sempre… Fino alla fine forza Juventus !
Fonte:
Signorainrosa.com © 10 gennaio 2013 ©
5 dicembre 2012
Fotografie: Signorainrosa.com
© Beppe Franzo
© Nucleo 1985 © GETTY IMAGES
© (Not for commercial use)
Icona: Itcleanpng.com ©
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