GRAZIE
di Dario Mangiacasale
Ciao
Domenico, mi sento di darti del "tu" nonostante non ci
conosciamo. Sono Dario, tifoso della Juventus dalla
nascita. Sono nato nel 1984, un anno prima dell'immane
tragedia che, nonostante non è stata vissuta da nessun
mio familiare in prima persona, ha segnato il muovere i
miei primi passi verso il tifo per una squadra di
calcio. Questo perché mio padre, tifoso juventino anche
lui, era davanti alla tv quel 29 maggio 1985, ad
assistere a quella che doveva essere la partita della
definitiva consacrazione della Juventus in campo europeo
e che, invece, fu l'inizio di un incubo. Essendo
calabrese, non avevo la fortuna di poter assistere alle
partite dal vivo della Juventus, anche perché mio padre,
nonostante non fosse presente allo stadio Heysel, ogni
qualvolta gli chiedevo di portarmi allo stadio mi
diceva: "No, è troppo pericoloso !". Me lo ripete ancora
adesso, quando gli dico che seguirò la Juventus in
qualche trasferta. Non ti dico il terrore che ebbe
quando portò me e mio fratello per la prima volta allo
stadio, nel 1991, al Nicola Ceravolo di Catanzaro, per
assistere al Memorial Nicola Ceravolo, partita
Catanzaro-Juventus. Noi eravamo in tribuna ed eravamo
tra i pochi a sfoggiare la bandiera bianconera in un
ambiente a dir poco ostile ai tifosi juventini. Al gol
di Angelo Alessio (la partita finì 0-1), noi esultammo e
dalla curva incominciò a piovere di tutto: lattine,
bastoni, ecc. Ecco, questo è stato il mio primo
approccio a una partita dal vivo in uno stadio di
calcio. Ricordo il terrore negli occhi di mio padre che
ci prese e ci portò via, nonostante la partita non fosse
ancora terminata. Lo vedevo in difficoltà alle domande
che io e mio fratello, da bambini vispi e curiosi, gli
rivolgevamo: perché fanno questo, siamo solo dei bambini
? Perché quando la Juventus gioca in Europa non hai gli
occhi felici, ma malinconici ? Perché arriviamo in
finale di Champions dopo 11 anni dalla tragedia
dell'Heysel e, ancor prima di sapere il risultato, mi
definisci quella Coppa come "maledetta" ? Credo non sia
un caso che la Juventus non abbia mai imposto, durante
una finale europea secca, il proprio predominio
dimostrato nelle fasi eliminatorie (escluse logicamente
quelle perse con Ajax e Amburgo). C'è qualcosa che
"blocca" i nostri giocatori quando scendono in campo per
una finale di Coppa dei Campioni, e credo che a distanza
di anni il peso di quella notte ce lo portiamo ancora
addosso. Forse questo accade perché non si è mai dato il
giusto risalto a quella storia, perché si è sempre
cercato di nasconderla, di dimenticarla. Invece, a ogni
vigilia di una finale, si sarebbe dovuto dire che si
giocava per la memoria, cosicché anziché la paura ci
sarebbe stato un senso di appartenenza e quella carica
in più per portare a casa la vittoria. Di tanto in tanto
mi fermo a pensare a ciò che successe quella tragica
notte a Bruxelles. In questi giorni mi è capitato di
ritornare spesso sul NOSTRO sito (mi piace chiamarla
così la splendida bacheca della memoria che ci hai messo
a disposizione), perché ciò che accadde quella notte
appartiene a tutti noi, è un insegnamento prezioso.
Rivedendo
quelle immagini che ho avuto, per ragione di età, la
fortuna di non vivere in diretta, mi ritornano in mente
i racconti di mio padre, annacquati dal fatto che non
poteva dirci per filo e per segno ciò che accadde
veramente, data la crudeltà degli eventi e data la
nostra tenera età. A distanza di anni, però, capisco
tutto. Capisco quando non mi portò con sé alla
semifinale di U.E.F.A contro il Barcellona, capisco
perché non mi volle con sé alla finale di ritorno di
U.E.F.A. contro il Borussia Dortmund e capisco il perché
ha sempre cercato (a distanza di anni, invano) di
tenermi lontano da quel mondo, da quella zona franca
quale reputo essere il campo di calcio, dove tutti
dimenticano di essere esseri umani ancor prima che
tifosi. Quest'anno dovevo, per la prima volta,
affrontare la trasferta di Firenze, avevo già il
biglietto, ma essendo solo e dovendo affrontare,
all'uscita dello stadio, un pezzo a piedi, ho
rinunciato. La cosa più tragica è proprio questa, e cioè
che a distanza di quasi 30 anni si è ancora nella
situazione di temere una trasferta, di pensarci non una,
ma 1000 volte ad andare in città dove, se scoprono che
sei di una squadra diversa dalla loro, ti va bene se te
la cavi con calci e pugni. Scusami se mi sono dilungato
troppo con le parole, ma è deviazione professionale
essendo io un cantautore nonché collaboratore per il
sito www.tuttojuve.com e realizzatore di una rubrica su
www.obiettivojuve.it. In realtà ti invio questo
messaggio per due motivi. Il primo è per dimostrarti
tutta la mia solidarietà e disponibilità per qualsiasi
necessità, di ogni genere. Il secondo è che, essendo io
un utente di twitter, ho notato che su questo importante
social network non esiste una pagina dedicata ai 39
angeli dell'Heysel. Mi era venuta voglia di farne una,
ma poiché tu sei il baluardo di tale memoria, c'ho
pensato bene e credo che tu sia la persona più adatta a
farlo, quindi il mio non è nient'altro che un monito a
te di realizzarne una e dare il giusto risalto a una
tragedia che va ricordata, non dimenticata. Come ho
scritto sul mio blog, la Juventus ancor prima di
fregiarsi dei trofei vinti, dovrebbe attingere dal
ricordo di chi ha fatto la sua storia donandole la vita.
Mi riferisco ai 39 angeli dell'Heysel, a Gaetano Scirea,
ad Andrea Fortunato, ad Alessandro Ferramosca e a
Riccardo Neri. Io non ho avuto ancora la fortuna di
entrare nel nuovo museo della Juventus e volevo
chiederti come è stata trattata questa storia
all'interno dell'edificio che celebra la storia della
società. Quella Coppa merita un ricordo particolare,
quella Coppa è la più importante; è la più triste, ma
anche la più bella: perché è intrisa d'amore, amore che
dà persino la vita. GRAZIE.
Dario Mangiacasale
Fonte:
Saladellamemoriaheysel.it
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Ricordo solo che a
fine partita piangevo...
di Marco 1970
Sono
passati 22 anni e il peso opprimente di quella notte
irreale ancora è vivido nella mia memoria... Avevo 15
anni e frequentavo il primo superiore, l'anno scolastico
volgeva al termine e di studiare quel giorno proprio non
se ne parlava affatto. Attendevo la partita con la
stessa ansia con cui un innamorato aspetta la propria
donna e in cuor mio ripensavo alla finale di Supercoppa
di quattro mesi prima con il Liverpool, schiacciato e
azzerato dalla doppietta di Boniek a Torino. Vivo
l'attesa spasmodica e penso che non ci sarà un'altra
Atene, quel gol di Magath me lo sono sognato per due
anni, ma oggi ritengo che si potrà festeggiare qui a
Roma la vittoria della coppa, ricordandomi che la Roma
l'anno prima aveva perso la finale proprio con i Reds,
qui all'olimpico... Forse ai romanisti non dispiacerebbe
se qualcuno li vendicasse. E' ora !! Accendo la tv e mi
accorgo dello strano collegamento con lo stadio... Non
riesco a capire cosa sia successo, poi Pizzul spiega per
sommi capi quanto accaduto, ma il senso e le dimensioni
della tragedia ancora non sono definite, nei numeri,
nelle coscienze... Si vedono solo scene convulse
nell'irreale luce calda del tramonto che penetra le
tribune, una parte dello stadio è crollata, si vede
bene, c'è un mucchio di macerie, transenne, polvere,
stracci… Polizia a cavallo che bivacca attorno alla
ressa di gente che si agita, corre ovunque alla ricerca
di spazi aperti, alla ricerca di qualcuno che non trova.
Io lì, impotente dietro ad uno schermo con il vecchio
logo Rai che gioca ai quattro cantoni. Man mano che
passa il tempo e la partita non inizia penso ad una
beffa, ad un tragico scherzo del destino, questa coppa
non è la nostra coppa, quando potremo mai godere di vera
gioia nell'attesa, nell'evento e nel post partita ?? Poi
vedo i capitani che arrivano in tribuna stampa...
Gaetano legge il comunicato, giochiamo per voi... Per un
momento mi sfiora l'idea che in fondo gli incidenti
siano stati sopravvalutati, che non sia morto nessuno,
perché altrimenti che senso avrebbe giocare ? Quindi si
gioca !! Se si "gioca" si vince e se si vince si
gioisce... Le squadre scendono in campo e da qui in poi
il ricordo è cancellato, come un' audiocassetta non mi
permette di ricordare null'altro che il rigore
inesistente fischiatoci a favore, l'esultanza di "le Roy"
e una grande parata di Tacconi sul finale che salva il
risultato e Ian Rush che non sbuccia un pallone
annullato da Brio per novanta minuti. Null'altro !!
Ricordo solo che a fine partita piangevo... Piangevo
come un bambino, ma non era un pianto di gioia...
Prevaleva la rabbia di non aver potuto godere di una
vittoria normale. Oggi penso di essere stato cinico,
spietato, senza anima, in cuor mio volevo che la partita
si giocasse, giustificai l'errore arbitrale del rigore
inesistente con la lontananza dell'arbitro rispetto alla
zona dove fu commesso il fallo su Boniek, volevo
assolutamente vedere i miei giocatori alzare quella
coppa e sentirla mia e mi accorgo, invece, che quella
coppa non è di nessuno. Credo che la Juventus stia
pagando una sorta di maledizione per questa coppa. Sono
convinto che Boniperti avrebbe dovuto opporsi a giocare
la finale, fregandosene altamente dei dirigenti UEFA, di
eventuali sanzioni, ecc... Forse per questo siamo la
squadra che ha perso più finali, forse per questo non
riusciremmo a vincerla neanche se giocassimo in quaranta
contro 11, forse per questo abbiamo perso finali
dominate. Questo mio memoriale, vuole essere una postuma
richiesta di perdono a quelle 39 anime che hanno perso
la vita nella notte di sport più assurda della storia.
Fonte:
Vecchiasignora.com
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Onorare la memoria
di Silvano Martini
Avevo
29 anni all'epoca ed ero, come lo sono adesso, tifoso
della Vecchia Signora. Ero stato a vedere la finale
della Supercoppa Europea a Torino, proprio contro i Reds
del Liverpool, nel gennaio dello stesso anno, il 1985
dove, dopo un viaggio allucinante in mezzo a bufere di
neve, vincemmo la coppa con due goals segnati da Boniek
con un insolito pallone rosso. Attendevo dunque la
finale dell'allora Coppa dei Campioni con un'impazienza
che mi faceva contare i giorni. In quei tempi gestivo un
negozio-edicola assieme ai miei indimenticati genitori,
anche loro tifosi bianconeri ed in negozio erano
frequenti le discussioni calcistiche con juventini e
non. Ricordo che programmammo la trasferta assieme a due
amici, Moreno e Adriano e quest'ultimo si incaricò di
trovare i tagliandi per andare a Bruxelles. Dopo alcuni
giorni, dopo esserci fissati un appuntamento, ovviamente
nel mio negozio-ritrovo, Adriano arrivò trionfale
dicendoci di aver trovato i biglietti per l'agognata
partita ma, alla domanda su quale fosse il settore
destinatoci, la delusione fu grande quando ci rispose:
la curva opposta al tifo organizzato bianconero. Ci
dette garanzie sul fatto che quel settore avrebbe
ospitato i cosiddetti tifosi neutrali, i belgi e qualche
tifoso occasionale italiano, come appunto lo saremmo
stati noi, ma a me e Moreno la cosa non piacque per
nulla. Cavolo, andiamo a vedere la finale e dobbiamo
stare in un settore così, senza il calore del nostro
tifo vicino ? Personalmente dissi che avrei preferito
vederla a casa assieme ai miei genitori che non in un
settore come quello. Anche Moreno storse la bocca e
disse che non sarebbe andato. Adriano ci rassicurò
dicendo che aveva trovato altre persone disposte ad
acquistare i sospirati tagliandi (difficilissimi da
trovare in quei giorni) e che non dovevamo preoccuparci,
visto che lui sarebbe andato comunque assieme a queste
persone.
Ripensai
molto a quel rifiuto e mi chiesi se non avessi così
perso un'occasione unica, quella cioè di aver visto la
mia Juve vincere finalmente la sospirata Coppa. Mio
padre, che aveva seguito la Juventus in ogni dove, era
stato persino a Bilbao nella finale del 1977, dove
avevamo conquistato la prima Coppa internazionale,
quella meravigliosa Coppa Uefa, mi disse che avevo fatto
la scelta giusta, avremmo visto e tifato la finale
assieme. Ricordo che il pomeriggio della partita girai
tutto il giorno con la mia motocicletta per la città,
con un foulard della Juve, in una città generalmente
ostile alla mia squadra, come a voler ostentare una
sicurezza in una vittoria che stavolta non poteva
sfuggirci. Non attesi nemmeno la chiusura del negozio,
incombenza che lasciai ai miei, e corsi a casa per
accendere il televisore, imprecando mentalmente ed
invidiando in quel momento il mio amico Adriano che se
la sarebbe goduta in diretta. Purtroppo le immagini che
apparirono non erano le solite della vigilia di una
grande finale, bensì un De Laurentis parecchio
sbigottito, raccontava di scontri avvenuti dentro lo
stadio e le immagini, con persone insanguinate e ferite
che passavano davanti alle telecamere, confermava che
tutto ciò era realmente avvenuto ed in maniera anche
parecchio grave. Al ritorno dei miei assistemmo tutti e
tre assieme a quella che, nel tempo, è poi diventata una
delle serate, delle telecronache, di un qualcosa che
andava oltre ogni immaginazione. Non starò a fare la
descrizione di quello che oramai sappiamo tragicamente
tutti. Al goal di Platini nessuno di noi esultò (e mio
Padre, ripeto, era un tifoso davvero viscerale forse,
anzi sicuramente, superiore a me). Al termine della
partita ci avviammo a letto, quasi senza nemmeno
riuscire a commentare l'orrore a cui avevamo assistito.
Fortunatamente
il giorno successivo, in negozio, non ci fu
assolutamente nessuno che fece alcun commento
inopportuno, anzi, negli occhi di tutti ricordo che
notai un malcelato disagio, quasi come l'aver timore di
dire anche solo una parola fuori luogo in quella
terribile occasione. L'unica nota stonata nel paese fu
una vergognosa scritta vergata nella notte, proprio sul
muro della palestra che allora frequentavo anch'io.
Ricordo che mi informai e riuscii, tramite amici comuni,
a sapere chi era stato l'artefice di quel gesto infame.
Dissi alle persone che lo conoscevano che sarebbe stato
bene che quella scritta fosse fatta sparire
immediatamente da quel muro e che sarebbero dovuti
essere proprio gli autori del gesto a doverla
cancellare. Così fu. La notte successiva, fu cancellata.
Il mio amico Adriano tornò, ferito, dopo tre giorni ed
andammo, io e Moreno, a trovarlo a casa sua. Era a letto
ed in evidente stato di shock; i suoi pantaloni
insanguinati erano sulla poltrona accanto al letto; era
sangue non suo e lui, in lacrime, ci disse che per
salvarsi aveva dovuto calpestare delle altre persone
riuscendo, magro com'era, a sgattaiolare nella parte
alta della maledetta curva, per lasciarsi cadere nel
vuoto all'esterno. Negli anni ho sempre provato una
sensazione strana dentro di me riguardo a quella
maledetta notte; come se inconsciamente mi incolpassi
per non essere andato, come se avessi "lasciato da solo"
il mio amico e "idealmente" anche le persone rimaste
vittime e ferite. Con il carattere protettivo che avevo
e che ancora ho, sarei sicuramente rimasto a picchiarmi
con gli inglesi, non immagino con quali conseguenze,
però forse avrei potuto fare qualcosa per qualcuno di
loro. Se penso però agli occhi dei miei amati Genitori,
che non ci sono più, se penso al dolore ed alla paura
che avrei generato nei loro cuori, ringrazio il Signore
per aver fatto quella scelta. L'unica cosa che posso e
che possiamo tutti fare, è quella di mantenere viva la
memoria nei confronti delle persone che non ci sono più,
onorandole e pregando per loro e di adoperarci tutti per
far sì che cose come questa non debbano mai più
accadere.
Fonte:
Saladellamemoriaheysel.it
© 30 Maggio 2014
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Trent’anni fa l’Heysel
di Silvio Mia
Il
29 maggio 1985 rimarrà una data ben scolpita nella mente
di tutti, juventini e non, perché la tragedia che si è
materializzata quella sera è stata veramente un dramma
che va oltre ogni immaginazione. Mi ricordo che
nell’Azienda in cui lavoravo c’era molta attesa per
questo incontro. Per una volta non vedevo aggirarsi gufi
o fantasmi anti-juventini e mi sembravano tutti sinceri
e convinti nell’affermare che questa per la Juventus
sarebbe stata la volta buona. D’altra parte a Gennaio,
in una gelida ed innevata notte torinese, i bianconeri
avevano fatto le prove generali battendo al Comunale i
reds di Liverpool per 2 a 0 con un doppietta di Zibì
Boniek, il "bello di notte", copyright Avvocato Agnelli.
Il risultato aveva permesso di mettere in bacheca la
Supercoppa Europea, disputata in qualità di detentori
della Coppa dei Campioni da parte del Liverpool e della
Coppa delle Coppe da parte della Juventus. Nella
stagione precedente, gli inglesi avevano battuto a Roma
in finale i giallorossi padroni di casa dopo i calci di
rigore, mentre la Juventus aveva superato a Basilea 2 a
1 il Porto con le reti di Vignola e Boniek. A conferma
su quanto pensavo della sincerità dei miei colleghi,
venne fatta una mega colletta cui parteciparono tutti,
compresi anche quelli che non si interessavano di
calcio. La colletta serviva
per pagare un pasticcere che in caso di vittoria della
Juventus avrebbe dovuto costruire un torta raffigurante
un campo di calcio, con una Coppa di cioccolato nel
mezzo. Arrivato il fatidico giorno già dal mattino la
tensione e l’adrenalina stavano superando i livelli di
guardia. Con mio fratello, tifoso granata, avevo
programmato la visione dell’incontro a casa di amici
juventini, dove alla faccia della scaramanzia in
frigorifero riposavano in attesa della vittoria una
bottiglia di Champagne ed una torta. Arrivati con
qualche minuto di anticipo, ci siamo sistemati nelle
posizioni strategiche, quelle che portano bene, vestiti
di maglie juventine, con le immancabili sciarpe
bianconere al collo, eravamo in attesa del collegamento.
Appena la Rai si è collegata con lo stadio teatro della
sfida, sentendo la voce del telecronista Bruno Pizzul
che parlava in tono molto sommesso di incidenti che
erano avvenuti e che stavano continuando, abbiamo capito
che qualcosa di grave era successo, anche se non nelle
proporzioni con cui poi si è materializzato. Si pensava
ai soliti scontri tra tifoserie ed a qualche contuso, ma
alla notizia data da Pizzul che sul prato giacevano dei
morti, nei nostri pensieri tutto si poteva pensare meno
che alla disputa della partita. Si pensava ai tifosi
partiti per assistere ad una festa di sport ed alle loro
famiglie sconvolte dalle notizie che stavano arrivando.
Quello che irritava era vedere la Polizia belga che
invece di intervenire, osservava lo scempio che gli
Hooligans stavano continuando a fare, provocando la fuga
dei tifosi italiani, che erano tutti ammassati dato che
per la pressione della spinta delle persone era crollato
un muro. Immagini impressionanti di gente che chiedeva
aiuto schiacciata sotto altre persone, gente priva di
vita adagiata sulle transenne che fungevano da barella e
gente ferita, piangente e spaventata alla ricerca di
soccorsi. La situazione era fuori controllo, il servizio
d’ordine quasi inesistente e dall’altra curva, vedendo,
ma fortunatamente non rendendosi conto dell’effettiva
gravità di quello che era successo, stavano comunque
entrando in campo i tifosi juventini per cercare una
vendetta che se portata a termine, avrebbe provocato una
carneficina. L’ingresso in campo dei giocatori per
cercare di calmare le acque è riuscito in parte ad
evitare un tutti contro tutti veramente pericoloso.
Dalla cabina radio i due capitani, leggevano un avviso
dicendo che la partita si sarebbe disputata, per
permettere lo sgombero dello Stadio senza altri
incidenti. Allucinante quello che era successo e che con
crudeltà d’immagine stavamo vedendo attoniti ed
impotenti davanti alla televisione. Sapremo solo in
seguito lo spaventoso tributo di sangue pagato per un
incontro di calcio, 39 anime innocenti erano state
sacrificate alla follia ed alla violenza umana.
Erano
morti padri di famiglia con i loro figli, gente comune
che nulla aveva da spartire con questi animali ubriachi
che con il loro assurdo comportamento avevano provocato
questa tragedia. Noi con le lacrime agli occhi, smesse
le maglie e tolte le sciarpe siamo tornati a casa, e mi
ricordo che a parte qualche idiota che strombazzava e
festeggiava chissà cosa, attraversando la città abbiamo
potuto notare un rispettoso silenzio verso chi era
volato in maniera tanto assurda, in cielo. L’Heysel non
è successo per caso, per quanto ne so io, i tifosi
inglesi che erano stati a Roma l’anno precedente quando
avevano vinto la Coppa contro la Roma, avevano subito
dei gravi maltrattamenti da parte dei tifosi avversari,
ed infuriati avevano promesso vendetta allorché il
Liverpool avesse giocato contro una squadra italiana,
cosa che non era potuta avvenire a gennaio a Torino per
ovvie ragioni numeriche, ma che puntualmente si è
realizzata in Belgio. Violenza chiama violenza. A
margine, e mi scuso se questa volta mi sono dilungato,
ma l’argomento lo richiedeva, voglio ancora aggiungere
tre pensieri. Il primo è che mi fanno sorridere quelli
che dopo una simile tragedia, disquisiscono, ed è ancora
argomento dei giorni nostri, sul fallo che ha generato
il calcio di rigore decisivo per la Juventus, sull’
esultanza dei giocatori provati e sconvolti dalle scene
che avevano visto, ed obbligati a giocare contro la loro
volontà, sull’esultanza di Platini, dopo aver calciato e
segnato la massima punizione. Si vede chiaramente che la
sua espressione facciale è come uno sberleffo all’aria
di morte che aleggiava nello Stadio, sulla consegna
della Coppa e sull’ opportunità di tenerla o meno,
quando gli argomenti da affrontare sarebbero ben altri.
La seconda, ben più importante è che nessuno ha chiesto
"la testa" di chi ha assegnato una finale di Coppa dei
Campioni ad un impianto così fatiscente, in cui secondo
il mio parere non si sarebbe potuta giocare neppure una
partita amichevole e vorrei sapere se qualcuno
responsabile delle Forze dell’Ordine, ha pagato
l’inefficienza di intervento, la disorganizzazione e i
ritardi dei soccorsi. Inoltre voglio pensare che se
invece di una corda, avessero messo due cordoni di
poliziotti a dividere le due tifoserie, chissà magari le
cose non sarebbero andate in quel modo. La terza
riguarda la mega torta aziendale che avrebbe dovuto
essere consegnata la mattina seguente la partita.
Arrivati sul posto di lavoro, si commentavano con rabbia
e mestizia gli avvenimenti che tutti noi avevamo visto
la sera precedente in televisione. Tutti si pensava che
il pasticcere, visti i tragici accadimenti, avesse
desistito dal preparare il dolce, anche per un senso di
rispetto verso chi aveva perso la vita in quella maniera
assurda. Evidentemente il buon senso non era nelle corde
di questo individuo, che per non perdere un lauto
guadagno, alle ore 11 circa del mattino seguente, come
da accordi in caso di vittoria bianconera, non tenendo
conto di nulla di ciò che era successo, ci ha fatto
recapitare la mega torta, di per sé bellissima, che noi
invece che piena di crema, vedevamo piena di sangue
versato da innocenti. Ovviamente non è stata fatta
nessuna festa, si è tagliato il dolce per non buttarlo
nell’immondizia, ma la mia soddisfazione è stata che
alla fine della giornata, tranne poche persone, nessuno
aveva consumato quella torta insanguinata. Un gesto di
rispetto verso 39 angeli… La partita. Sinceramente a
parte il lancio in profondità a Boniek che scattato in
contropiede si invola verso l’area avversaria provocando
il fallo del difensore avversario, giudicato
dall’arbitro in area, ma che poi si vedrà avvenuto fuori
dalla stessa e dalla trasformazione della massima
punizione da parte di Platini, non ricordo un granché. A
quel punto, dopo quello che era successo, ciò che si
sarebbe materializzato sul rettangolo di gioco non
interessava e non contava più nulla… Juventus-Liverpool
1 a 0…
Fonte:
Ilblogdialessandromagno.it
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