29/5/1985: quando
crollarono i sogni di un bambino
di Emiliano Lemma
Del 29 maggio del 1985 ricordo
quasi tutto. Nitidamente, nonostante siano passati 29
anni e nonostante io, allora, di anni ne avrei compiuti
appena 10 pochi giorni dopo. Ricordo l’entusiasmo per la
finale di Coppa dei Campioni che mi aveva reso difficile
anche solo il provare a restare attento a scuola, in una
di quelle noiose ma serene giornate che portano alla
fine dell’anno scolastico. Ricordo le conversazioni con
gli amici in cui ci si divideva tra juventini,
anti-juventini che però avrebbero tifato per la Juve e
quelli che desideravano la vittoria del Liverpool.
Ricordo soprattutto la sera. Abitavamo ancora in quella
piccola casa alla periferia di Torino. Un divano, la
televisione sintonizzata su Rai 1 fin dall’ora di cena,
mio fratello più piccolo che giocava al computer
nell’altra stanza. Un giochino stupido, di quelli che io
odiavo perché non si moriva mai. Vite infinite, gioco
infinito, noia infinita. Ma a lui piaceva e ci giocava,
incurante di tutto. E quella musichetta maledetta… Poi
venne l’ora in cui doveva iniziare la partita. Qui
parlerò solo di ciò che ricordo io, senza attingere a
fonti documentate. Non è questo che conta. C’era
qualcosa che non andava ma non capivamo. Poi le immagini
di qualche scontro tra tifosi. Ma era una cosa quasi
normale, a quei tempi (e non solo). Non c’era la
consapevolezza di quel che stava accadendo. E quindi
noi, io, mio padre e mia madre, eravamo solo impazienti
perché la partita non cominciava. C’era la voce di
Pizzul che cercava di raccontare cosa stava succedendo.
Ma non erano gli anni di internet, di twitter e dei
cellulari e quindi le notizie arrivavano frammentate
anche a lui. Poi c’erano quelle immagini confuse, di
persone che entravano in campo. Per me significava
soltanto: ecco, così è difficile che si giochi. Tutto
cambiò, nella mia percezione di bimbo, quando Pizzul
disse: "mi confermano che ci sono dei morti". Così,
secca, brutale. O almeno così la ricordo io. Ho i
brividi ancora a parlarne. Mia madre sembrava la più
colpita. Poi ricordo che le notizie a proposito dei
morti continuavano. E c’era quella maledetta musichetta
che dal Commodore 64 si propagava in tutta la casa. Dai
condomini attorno, un silenzio surreale. Poi soltanto il
ricordo di Gaetano Scirea che rivolgeva l’appello ai
tifosi. In casa si discuteva. Sarà giusto giocare ? Non
ricordo cosa ci dicemmo. La partita cominciò. La Juve
vinse. Il giorno successivo compresi ciò che era
accaduto. Compresi che per una partita di calcio si
poteva morire. Seppi che c’era un bambino della mia età,
Andrea Casula, che era morto. Aveva 11 anni. Potevo
essere io. Mi fa schifo quella Coppa. Ma è la nostra
Coppa. Quando qualcuno, non tifosi della Juve, osa
parlare di quella Coppa mi viene voglia di insultarlo.
Sì, perché parlare di coppa insanguinata, di Boniek che
si tuffa, di Platini che esulta è da coglioni. E’ la
nostra tragedia. Solo noi abbiamo diritto di parlarne.
C’è chi sostiene che dovremmo restituirla. Io no. Per me
deve restare là, a futura memoria e per ricordare quei
39 angeli. Non ho mai più voluto guardare quelle
immagini. Voglio usare solo i miei ricordi. Non voglio
leggere nulla di quella sera. Ricordo tutto,
perfettamente, a modo mio, con gli occhi di un bambino
che pensava che il calcio fosse gioia, lacrime e
sofferenze sportive, che dopo una sconfitta ci sarebbe
stata una vittoria. Ma per quella sera non ci sarà mai
giustizia, mai una rivincita.
Fonte:
Faziosi.it
© 29 maggio 2014
Fotografie:
Paris Match
© Emiliano Lemma
© Rodolfo Lollini
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L’Heysel e la memoria
perduta
Ricordo l'Heysel
di Ermenegildo
Loffredo
Avevo scritto questo pezzo per l'intervento odierno a
Reggio Emilia, il contesto e l'emotività che ha
coinvolto tutti gli oratori mi hanno consigliato di non
leggerlo e di andare a braccio. Mi riprometto di
scrivere qualcosa nei prossimi giorni per raccontarvi
l'evento, pubblichiamo il pezzo per esternare anche da
queste pagine quello che in parte abbiamo condiviso in
un luogo che richiama al rispetto. Oggi cade
l'anniversario della notte dell'Heysel, Giù le mani
dalla Juve ha partecipato alla commemorazione che ogni
anno organizza il Comitato Per Non Dimenticare Heysel di
Reggio Emilia, questo il nostro intervento: Cari amici
sportivi, innanzitutto a nome di tutta l’Associazione
Giù le mani dalla Juve un ringraziamento a Iuliana, a
Rossano e a tutte le persone che prendendosi cura di
questo Monumento tengono saldo il ricordo dei fatti
dell’Heysel. Come avrete notato, mi sono rivolto agli
sportivi e non solo agli juventini, lo faccio perché il
ricordo della tragedia dell’Heysel, associato al
rispetto, deve essere patrimonio di tutte le donne e di
tutti gli uomini che vivono il calcio come passione
sportiva nei vari momenti della propria vita. I
sentimenti di stima naturale per Iuliana si sono da
subito amplificati quando ha iniziato a raccontarmi di
come amici di altre fedi calcistiche danno una mano al
mantenimento del Monumento davanti al quale ci
ritroviamo. Un esempio concreto che i significati di
rispetto e amicizia che rappresenta non siano solo per
tifosi juventini. Voglio condividere con voi una
riflessione di qualche tempo fa: la tragica notte
dell’Heysel è il mio ricordo juventino più risalente nel
tempo. Vero, più antico è il ricordo della vittoria del
mondiale di Spagna, ma quella serata del 1985 è il primo
momento dell’ideale album a tinte bianconere. Avevo
dieci anni, rammento che la partita fu posticipata per
gli incidenti, ricordo che per una parte di quella
serata i miei genitori mi impedirono di guardare la
televisione, mi permisero poi di guardare la partita, ma
subito dopo mi mandarono a letto. Avevo dieci anni e non
tutto mi era chiaro in quel momento. Solo la mattina
successiva, prima di andare a scuola, seppi dei tifosi
che erano morti. Un ragazzino di dieci anni non poteva
comprendere quello che era accaduto. Quel ragazzino di
dieci anni non immaginava neanche di odiare altri tifosi
per una sciocca questione di tifo. Oggi il ragazzino di
allora non può che sostenere in modo convinto la
missione che hanno assunto gli amici del Comitato Per
Non Dimenticare Heysel di Reggio Emilia: coltivare il
rispetto tra le persone che frequentano lo sport
mantenendo il ricordo dei trentanove tifosi volati in
cielo la sera del 29 maggio 1985. Più trentanove.
Rispetto !
Fonte:
Giulemanidallajuve.com
© 29 maggio 2022
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L’Heysel e la memoria
perduta
di Rodolfo Lollini
Martedì scorso, di buon’ora,
sessione di running a Bruxelles, anche se, vista la mia
velocità, sarebbe meglio parlare di jogging. Era presto,
molto presto, considerato che la riunione di lavoro
iniziava alle 8.30 e quindi, calcolando l’oretta di
corsa, il tempo di prepararsi e gli spostamenti, la
sveglia aveva suonato quando fuori era ancora buio. Sono
solito frequentare questa bella città, sede generale
della società per cui lavoro e abitualmente dormo in
un'altra zona per poi correre al Park de Bruxelles, di
fronte al Palazzo Reale. E’ frequentatissimo dai runners
a tutte le ore, forse perché più centrale. Stavolta
invece mi era toccato spostarmi più verso nord ed ero
finito in un hotel vicino alla zona dell’Expo. Quindi
avevo deciso di sgambettare in solitudine nel parco
dell’Atomium. La monumentale rappresentazione dell’atomo
di carbonio, oltre 100 metri d’altezza, è sempre un bel
vedere, se poi si è dei chimici, lo è ancora di più.
Inizio e conclusione del tour erano presso lo Stadio
intitolato a Re Baldovino. Questo impianto è stato
ricostruito non molto tempo fa, anche se le cose non
sono state fatte bene, visto che non risponde ai
requisiti imposti dall’UEFA per le partite di calcio.
Insomma serve giusto per qualche meeting di atletica,
come il bellissimo Van Damme, recentemente commentato
dal collega Annoscia, ma è chiaro che uno stadio così
grande non può vivere una sera all’anno. Andrebbe
riabbattuto e ricostruito una seconda volta. Ma non è
per questo che ve ne voglio parlare. Il vero motivo è
che una volta si chiamava Heysel. All’andata le porte
erano chiuse, mentre al ritorno c'è un cancello
spalancato e riesco ad entrare per arrivare fino al vero
obiettivo del giro, ovvero fermarmi qualche minuto in
raccoglimento sotto la targa che ricorda quei 39,
uomini, donne, bambini. Morti nel 1985, rei soltanto di
essere andati a tifare per la loro squadra del cuore.
L’effetto che mi fa la lapide non è molto bello. Lì in
alto, le scritte quasi illeggibili, non un bel ricordo.
All’uscita trovo un "gendarme" che mi ammonisce,
dicendomi che non potevo entrare… Peccato che quando ero
passato dal medesimo ingresso pochi minuti prima,
nessuno mi avesse detto nulla. Passano gli anni ma la
gestione di questo impianto lascia sempre a desiderare.
Che quei poveretti riposino in pace. Una prece.
Fonte:
Podisti.net
© 13 settembre 2012
Fotografie: GETTY IMAGES
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