Figlio di un testimone
dell'Heysel
di Francesco Fabretti
Ciao,
mi chiamo Francesco Fabretti e sono il figlio di Marco
Fabretti, un signore che era presente nella curva
dell'Heysel in quella serata. Sarò sincero io non
conosco bene i reali fatti perché non mi sono mai voluto
documentare su come sono andate realmente le cose. Ogni
volta che ne parlavo con mio padre lui cambiava gli
occhi e diventavano FEROCI. Per questo sono cresciuto
con un senso di terrore verso quella giornata. Ogni
volta che mi si apre un filmato o qualcos'altro
dell'Heysel la prima cosa che mi viene in mente sono gli
occhi di mio padre. Quindi preferisco cambiare
argomento, anche se magari sono da solo davanti un
computer o un televisore. Forse non potrete capirmi,
però io sono nato nel 1987 e inconsciamente ogni volta
che si sente nominare o Liverpool o Hooligans o
quant'altro mette dentro di me terrore. Quindi
preferisco cambiare argomento. C'è una cosa che mi
rattrista molto. Ovvero CONTINUARE a sentire cori
offensivi verso questo episodio. Ovviamente il mio
riferimento va ai tifosi della Fiorentina, ma non solo
quelli. Tenevo a sottolineare una cosa. Per fortuna mio
padre, dopo molteplici difficoltà e tentativi, si è
nuovamente innamorato di questo sport. Mi ha fatto
crescere dentro uno stadio di calcio (siamo di Ancona e
tifiamo la squadra della NOSTRA città oltre che la
Juve). Però mi ha fatto AMARE questo sport. Ti faccio un
esempio. La mattina seguente la semifinale Juventus-Real
Madrid 3-1, quella dell'ammonizione di Nedved, ci siamo
recati a Superga. Senza contare che abbiamo comprato
diverse sciarpe della Juventus. Non perché erano belle,
ma perché spesso e volentieri le scambio con gli
avversari. Quello che vi volevo chiedere, vedendo la
rabbia che prova in ogni occasione che sente o legge
striscioni inneggianti ai morti dell'Heysel, era se
poteva incontrare il nostro Presidente Andrea Agnelli.
Perché lui credo non capisca davvero come si sentono le
persone che hanno vissuto quella immensa tragedia. E
magari RITIRARE la squadra nei campi (come sarà sabato a
Firenze) dove viene inneggiata questa tragedia. Perché
la DIGNITA' viene prima di tutto. E concedere uno
spettacolo di sport davanti a QUELLE persone è una cosa
IRRISPETTOSA nei confronti di chi tanto ha pianto e
continua a piangere per quella tragedia. E sia bene non
sono solo i parenti delle vittime, ma anche dei normali
tifosi della Juventus che hanno visto morire persone,
anche sconosciute, tra le loro braccia. Quindi, vi
ripeto, bisogna RISPETTARE non solo la società JUVENTUS,
ma anche quelle persone che tuttora ci piangono, perché
vi assicuro che sebbene non l’ho mai visto in prima
persona, mio padre ancora PIANGE per quello che è
successo. Dico questo perché la società Juventus
dovrebbe QUANTOMENO organizzare una messa. Perché vi
posso garantire che in caso di una messa annuale a
Torino mio padre salirebbe. Per una messa. Ed invece
neanche quello. Non esiste un luogo di ricordo nel nuovo
stadio. Non si prende una decisa posizione contro
questi. Non si può andare avanti così. Spero che avete
modo di far arrivare questa lettera al nostro
Presidente. Aspetto vostre notizie.
Fonte:
Saladellamemoriaheysel.it
© 14 marzo 2012
Fotografie:
Salavtore Giglio © Avvenire.it
© RAI © Corriere.it
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Audio: Rai (Bruno Pizzul)
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TESTIMONIANZA DI
GIOVANNI IVO FADDA
Ci
sono state vittorie che hanno gonfiato il petto di noi
tifosi e vittorie che ci hanno fatto venire la voglia di
superare lo snobismo con il quale abbiamo festeggiato
molti scudetti; ci sono state vittorie sul filo di lana
e vittorie immeritate; vittorie all’ultimo secondo e
vittorie già scritte: tutte queste fanno parte, con le
sconfitte, della nostra storia. Avevo tredici anni quel
giorno e lo ricordo molto bene perché, davanti al
televisore, ero arrabbiato per il fatto che la partita
sarebbe iniziata con notevole ritardo. Ricordo bene
l’orologio che continuava ad andare avanti e la luce del
sole, piano piano, lasciava la scena a quella dei
lampioni e le immagini cominciavano ad essere sempre
meno sportive. Ricordo di avere detto, a me stesso:
"anche se dovesse iniziare fra due ore… Almeno che vinca
la Juventus"… Ancora oggi sento che quella frase, se pur
detta dal bambino di tredici anni che ero, stona nella
coscienza dell’uomo che sono e me ne faccio una colpa
perché credo che quella frase raccogliesse quello che
noi tutti tifosi Juventini eravamo e volevamo allora:
vincere, senza preoccuparci delle immagini che
cominciavano a farci capire che si stava consumando una
tragedia. Solo dopo qualche ora si ebbe la certezza che
non era più una partita di calcio: ormai però si stava
giocando e noi volevamo vincere quella coppa. Il rigore,
l’esultanza, i festeggiamenti e tutto quello che avrebbe
dovuto essere normale aveva un significato d’orrore e
d’ingordigia non solo sportiva, perché non si poteva
fare finta di niente. Ho letto e visto molto di quella
sera ma per noi tifosi della Juventus Heysel non è il 29
maggio 1985 ma è ancora oggi, giorno dopo giorno, nei
discorsi di chi ne parla e nelle testimonianze di chi lo
ha vissuto, nei giocatori che raccontano e negli
almanacchi che contano due coppe vinte. Ed è per questo
che urlo che quella coppa non la voglio.
Abbiamo
vinto una Coppa dei Campioni e campioni non lo siamo
stati: perché non siamo stati capaci, l’indomani della
partita, di prendere la coppa e, andando all’UEFA, di
restituirla (dico restituirla perché purtroppo l’abbiamo
vinta); e così incapaci lo siamo stati per ventidue anni
e continuiamo ad esserlo ogni giorno che un padre di una
delle persone morte lì in Belgio pensa al figlio con il
quale non può più parlare, lo siamo ogni volta che una
moglie deve spiegare al figlio che suo padre è morto per
guardare una partita di calcio, lo siamo ogni volta che
ci sentiamo di aver vinto due Coppe dei Campioni. Una
Coppa dei Campioni non significava solamente la finale,
era un percorso che iniziava due anni prima e che
arrivava a scegliere le migliori squadre dell’Europa non
ancora devastate da sponsor e televisioni e la Juventus
quella finale l’aveva meritata ampiamente e, forse,
quella coppa l’avrebbe vinta ma non così, non in quel
modo e soprattutto facendo finta di niente. La dirigenza
di oggi può fare qualcosa di concreto: restituire quella
coppa. Quella frase detta da bambino è tornata attuale
perché vent’anni dopo ci siamo cascati di nuovo con
quella smania di vincere: abbiamo accettato passivamente
di vincere in maniera non trasparente e abbiamo voltato
la testa dall’altra parte quando il rigore che ci
regalavano ci sembrava poco onesto ma l’importante era
vincere. Abbiamo accettato i verdetti che ci chiedevano
di aprire gli occhi e abbiamo accettato di andare a
pagare le nostre colpe in serie B, ma ora dobbiamo
accettare di lavarci la coscienza impegnandoci affinché
non ci siano più vittorie poco limpide. Voglio che
tornino quelle vittorie che ci hanno gonfiato il petto e
che ci hanno fatto sentire i più forti giocatori di
pallone nel mondo perché non voglio più piangere per una
vittoria immeritata ma voglio piangere solo quando
rientrando a casa, accendendo la televisione, vedo Marco
Tardelli che immobile ascolta un giornalista dire "E’
morto Gaetano Scirea".
Fonte:
Saladellamemoriaheysel.it
© 21 marzo 2010
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39: la barbarie e
l’idiozia
di Luca Falvo
39
sulle spalle. 39 per riempirsi la bocca di aria
putrescente. 39 come il numero dei morti dell’Heysel. Me
la ricordo quella notte, ero bambino e in tv non
aspettavamo altro. Poi arrivarono le immagini della
violenza, il bilancio dei morti, l’appello dei capitani
e, per finire, la partita: vera e surreale al tempo
stesso con Platini che esulta dopo il goal su un rigore
a dir poco generoso. Adesso che sono cresciuto la
consapevolezza di quelle morti assurde mi fa ribrezzo
come una strage in un mercato iracheno o le bombe della
mafia in via dei Georgofili a Firenze. 39 è un numero
finito, una cifra concreta, la cifra dell’infamia non
solo degli hooligans di allora ma ancor di più dei quei
poveri imbecilli che credono di offendere la Juve e
invece offendono il sentimento dei cari che piangono i
loro morti. Perché quei morti, prima che essere
bianconeri, erano persone innocenti che erano andate a
festeggiare. Persone che volevano solo vedere una
partita. Senza pensare agli idioti teppisti che li
avrebbero spento. L’umana pietà imporrebbe ai codardi
che intonano cori di scherno quantomeno il silenzio. Ma
39 non è la cifra della loro idiozia, no. Per quella non
basta un numero finito e non basterebbe nemmeno una
sanzione. Non c’è pena che basti per chi non ha il cuore
per capirne il senso ma qualche provvedimento sarebbe
ora di prenderlo. Non per la Juve. Per le famiglie di
quelle persone che hanno chiuso gli occhi per sempre
all’Heysel.
Fonte:
Juvemania.it
© 6 dicembre 2010
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Lettera a Francesco
Caremani
di Fabio Jossa Fasano
Gentile
Sig. Caremani, Le scrivo per farle i complimenti per il
libro sulla strage dello stadio Heysel avvenuta il
29.05.1985. Sono di Napoli e oggi ho quasi 42 anni e
quella sera per caso ero anche io presente in quello
stadio maledetto. Premetto di essere tifoso del Napoli e
quindi di conseguenza di non aver molta simpatia per la
Juventus. Ma tutto ciò esclusivamente dal punto di vista
sportivo. Sono venuto a conoscenza del suo libro per
caso leggendo il televideo e subito lo sono andato ad
acquistare. L’ho letto in due giorni e sono rimasto
veramente allucinato da tutto ciò che, anche essendo
stato presente, vi è raccontato. Dal comportamento delle
autorità belghe, dal comportamento degli hooligans, dal
comportamento della Juventus, dal comportamento dei
giocatori della Juventus, dal comportamento del
presidente Boniperti, da quello di Platini e da quello
soprattutto di tutti quelli che hanno festeggiato quella
coppa… Concordo molto sulla necessità, a mio parere, di
restituire quella Coppa, che sarà sempre macchiata dal
sangue di 39 innocenti. Avendo avuto 2 biglietti omaggio
per assistere alla partita LIVERPOOL-JUVENTUS, mio
cugino che oggi ha 10 anni più di me, mi invitò ad
andare con lui. Fortunatamente riuscimmo ad uscire
subito dal settore "Z" e ad entrare in campo e lì fummo
malmenati (avevo 17 anni) dai poliziotti belgi.
Assurdo!!! La gente veniva picchiata, accoltellata,
moriva e i poliziotti ci picchiavano nel campo.
Decidemmo di uscire dallo stadio, ma nessun taxi o
autobus ci considerava fino a quando un ragazzo di
Reggio Emilia, che scappava dal settore "Z", ci caricò
in macchina e ci portò a casa di alcuni suoi amici di
Bruxelles. Ci dettero da bere e mangiare ma lo squallore
fu che ci chiesero la bellezza di 200.000 lire per fare
una telefonata a casa e avvisare i nostri genitori.
Episodio vergognoso. Da quella sera ho avuto incubi per
mesi e mesi e ancora oggi ho paura delle folle e quando
entro in un qualsiasi locale la prima cosa che vado a
vedere è dove si trovano le uscite di sicurezza. Oggi
rarissimamente vado allo stadio e quelle volte che ho
assistito a Napoli - Juventus e ho visto uno striscione
che ricordava la tragedia dell’HEYSEL, mi è venuta una
gran rabbia dentro, che può provare solo chi era
presente quella sera. Gli sfottò nel calcio sono
simpatici ma quando si tocca la vita delle persone non
c’è più nulla da ridere. Non si può morire per una
partita di calcio e ammiro molto il Sig. OTELLO
LORENTINI e la sua battaglia per avere giustizia.
Grandissima persona. Complimenti ancora per il libro e
in bocca al lupo per tutto.
Fabio
Fonte:
Facebook (Pagina di Francesco Caremani)
© 11 Settembre 2010
Fotografie: GETTY IMAGES
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