Il ricordo di chi era
bambino
di Cabezon
E'
molto triste che a ricordarli spesso siamo solamente noi
ultra trentacinquenni. Ma il silenzio dei media è
assordante, come quello della società, che è sempre
stata deficitaria. Mi auguro che nel nuovo stadio ci sia
un posto riservato al loro ricordo: non bisogna mai
dimenticare, mai. Invece, se chiedi ad un bimbo (anche
juventino) cosa accadde in quella finale, la risposta è
"Si vinse la prima Coppa Campioni". E' triste, vi giuro.
Voglio raccontarvi come vissi quel giorno, avevo 10
anni. Ve lo racconto, perché, anche se non ci siamo mai
visti di persona, vi considero amici. Amici di un sogno
che fa fatica a tornare, ma che è sempre lì... A
ricordarci che "la Juve siamo noi". Lo ricordo come
fosse ieri: mi ero preparato per tutto il pomeriggio per
vedere quella finale. Perché il mio papà (grande
juventino, che ora magari potrà parlare direttamente con
quegli angeli), mi aveva detto che "E' la finale giusta,
la squadra è forte, c'è Platini, e poi c'è il bello di
notte, che si esalta in queste sfide". E aveva
amabilmente detto a mia madre (una volta tutti questi
televisori, e soprattutto internet, non c'erano): "Cara,
questa sera io e Silvio non vogliamo essere disturbati:
si entra nella storia". E poi c'erano i miei zii che
avevano, per "fortuna", trovato il biglietto... Ed ogni
volta che loro andavano allo stadio la Juve vinceva.
Insomma, sensazioni positive. Ci mettiamo sul divano,
luce soffusa, nulla si deve intromettere in quel
rituale: noi e la Juve, come se potessimo anche noi dare
un calcio a quel pallone, maledetto in Europa. Insomma,
ci si collega... Ma non vedo gioia nel mio papà, e
quando io, bimbo, faccio un po' di casino, mi dice
perentorio: "Oh, si sta zitti: devo sentire". Mai avevo
visto quell'espressione, eppure gioca la Juve: ci si
dovrebbe divertire. Poi cominciano ad arrivare
telefonate: "Gli zii stanno bene" sento dire, e non
capisco. Vedo che la partita non inizia, ma non si
inquadrano i giocatori, ricordo un tizio seminudo, e il
silenzio tombale. Non ricordo le parole, ma il tono di
Pizzul mi ha fatto paura. Poi inizia la partita: si
segna ed esulto, solo io... Poi guardo mio papà, che sta
fermo come se non gli fregasse nulla, e alla mia domanda
risponde: "Oggi la Juve non ha vinto: oggi è morto il
calcio, sotto tutti i punti di vista". Ancora oggi
ricordo quella sera, e anche se spero che nessun altro
bimbo o persona adulta debba assistere a quel "The show
must go on", mi fa male vedere che molti dimenticano,
soprattutto chi sarebbe deputato a non farlo accadere.
Fonte:
Lastampa.it (Forum)
© 29 Maggio 2010
Fotografie: GETTY IMAGES
© (Not for commercial use)
© Avvenire.it
© RAI © Corriere.it
© Riccardo Cardellicchio
© Daniela Civico
© Roberto Cortivo
©
Icone: It.vecteezy.com
© Pngegg.com ©
Audio: Rai (Bruno Pizzul)
©
|
La perdita
dell'innocenza
di Alberto Calandriello
Oggi
è mercoledì, un mercoledì di 24 anni fa. Un mercoledì
che un ragazzino di 13 anni aspetta da un anno, da
quando, l’anno prima la sua squadra del cuore aveva
perso la finale di coppa dei campioni ad Atene contro
l’Amburgo. Il papà del ragazzino sa che per suo figlio
questa è una giornata speciale, gli ha regalato un
pallone, su cui lui ha subito scritto la data: 29 maggio
1985. Quel ragazzino, ovvio, sono io, che all’epoca
vivevo di calcio, mangiavo calcio, studiavo calcio,
sognavo calcio. E sto mercoledì la Juve può prendersi la
rivincita per la beffa dell’anno prima, quando perse
contro l’Amburgo che fece mezzo tiro in porta, da 560
metri. Aspetto sta partita con l’ansia tipica di chi ha
una sola unica grande passione: la Juventus. Mio papà
arriva alla solita ora, come da tradizione ha preso il
giorno dopo come giorno libero, sia per menarla nel caso
andasse bene, sia per evitare di farsela menare nel caso
andasse male. E non è che mio padre sia meno teso di me,
l’anno prima ad Atene stava per andare, poi non erano
saltati fuori i biglietti. Questa volta i biglietti
c’erano, lui li aveva bloccati. Poi aveva cambiato idea,
perché la finale sarebbe stata contro una squadra
inglese. Siamo a tavola presto quando inizia il Tg delle
19.30. Ma per me è ancora presto per capire. Al Tg
parlano della partita, ovvio cosa c’è di più importante
nel mondo oggi ?, anzi no, parlano di incidenti, parlano
di gente che si è fatta male. Parlano che forse la
partita non si giocherà. No no, dai, voglio dire si
saranno pestati, come al solito, gli inglesi è un
periodo che vanno fuori e fan del casino. Ma la partita
SI DEVE GIOCARE. Non scherziamo. Guardo mio padre, lui
forse ha capito che per parlarne in tv e dire che la
partita è in forse, c’è qualcosa di più che la solita
scazzottata. E forse ha già capito che per lui da quel
giorno il calcio non sarà più la stessa cosa. Fatto sta
che ci mettiamo lì davanti alla tv, ora che sono adulto
certi momenti mi ricordano le dirette tv delle stragi,
dell’11 settembre, con rispetto parlando e fatti i
debiti paragoni. Sei lì, sai che è scoppiata una merda,
ma grossa, ma non riesci o non vuoi capire fino in
fondo, però non riesci a staccare gli occhi dalla tv.
E
alla tv fanno vedere che c’è gente sul campo, cazzo fate
lì spostatevi che devono giocare, c’è la Juve in finale
di coppa campioni, c’è Platini, Zoffgentilecabrini
(NdR: Zoff e
Gentile non giocavano più nella Juventus nel 1985),
c’è la cosa che all’epoca mi interessa di più al mondo,
ANDATE VIA ! E poi arrivano i due momenti che più
nitidamente mi ricordo non solo di quella maledettissima
sera, ma di quegli anni lì. La voce del telecronista che
dice che negli incidenti sono morte 39 persone. Il
telefono di casa che squilla e mio zio che chiede se poi
alla fine mio padre era andato a Bruxelles, che si
ricordava che aveva trovato un biglietto. Per il settore
Z. E lì, anche se forse me ne accorgerò molto più tardi,
perdo la mia innocenza di bambino e mi scontro con tutta
la merda che c’è nel mondo. Perché qualcuno mi deve
spiegare ancora ora che cazzo c’entra la morte col
calcio, con la coppa campioni, con platini, con Zoffgentilecabrini. Perché la telefonata mi fa capire di
botto che MIO PADRE POTEVA ESSERE LI’. Non ho pianto
quella sera, ma mi ricordo benissimo di come dentro di
me ci fosse una parte che voleva far finta di niente,
voleva la sua serata, voleva la finale di coppa
campioni, ed una parte che invece capiva che niente
sarebbe stato più come prima. Ho visto penso 100mila
servizi su quel giorno, letto migliaia di giornali,
guardato centinaia di foto. Il numero del Guerin
Sportivo uscito dopo la strage aveva una foto dove si
vedeva il mio professore di educazione tecnica che
teneva tra le braccia una persona. Non ho mai avuto il
coraggio di chiedergli se fosse svenuta o morta. La
settimana dopo è tornato a scuola e in classe non volava
una mosca. Ancora oggi non riesco a capire, ancora oggi
l’argomento mi disturba e molto. Ancora oggi ho negli
occhi quelle immagini e nel cuore le emozioni di un
ragazzino di 13 anni a cui quel maledettissimo giorno
hanno portato via un pezzo della sua innocenza.
Fonte:
Saladellamemoriaheysel.it
© 29 maggio 2009
Icone: It.vecteezy.com
© Pngegg.com
©
|
I luoghi, le storie:
la tragedia dell’Heysel
di Riccardo Cardellicchio
29
maggio 1985. Dopocena, sera dolce di primavera,
comodamente seduto nella sala del Lux, a Fucecchio, per
vedere sul maxischermo la finale di Coppa dei Campioni
tra la Juventus e il Liverpool, in programma allo stadio
Heysel di Bruxelles. C’è tanta gente. L’attesa diventa
lunga, snervante. Arrivano i primi sospetti. S’intuisce
che è successo qualcosa di grosso, ma non si sa di che
genere. Il telecronista non informa, non fa il suo
mestiere, forse gli hanno detto di non farlo, per una
questione di sicurezza. Le telecamere indugiano su
settori tranquilli. Poi si presentano i due capitani.
Leggono un comunicato. Dicono che, nonostante tutto, si
gioca. Vince la Juventus, ma sono in pochi a esultare.
Più tardi si hanno chiare le dimensioni della tragedia:
trentanove morti - dei quali quattro toscani - e
seicento feriti. Inconcepibile. A trent’anni di
distanza, rileggo un monologo che la fa riemergere dal
pozzo dei ricordi tristi. E’ di Walter Veltroni "Quando
cade l’acrobata, entrano i clown", pubblicato da
Einaudi, cinque anni fa. La sua è una narrazione che si
può definire teatrale: è il monologo di un uomo che, per
assistere alla partita, ha detto una bugia alla sua
donna: "Una sola bugia, la prima. Una bugia piccola e
fatale. Vado a Londra con gli amici, ti avevo detto.
L’addio al celibato, che stupida invenzione". Partito
per assistere a un incontro esaltante, storico, l’uomo
si ritrova immerso in un inferno, doppiamente
inaccettabile, perché avviene in uno stadio, per un
incontro di calcio. Tutto gli torna in mente quando
dovrebbe essere felice: è in una località marina per
festeggiare i dieci anni di matrimonio. "Non ero lontano
per un peccaminoso viaggio da uomini grandi. Ero corso
appresso a me bambino che scappavo, inseguendo una
bambinata. Esserci, col corpo e gli occhi, per qualcosa
desiderato da sempre". Lo stadio è inadeguato, gli animi
surriscaldati, in specie quelli degli inglesi, gran
bevitori di birra. L’avversario diventa il nemico. Va
sconfitto. Annientato. E arriva il sangue. La paura
anche. "Ci stiamo uccidendo tra di noi. Ci calpestiamo,
ci saliamo sopra l’un l’altro. Sento carne flaccida o
ossa fragili sotto i piedi. Corriamo tutti verso destra.
Ma lì c’è il muro. E allora oscilliamo come una immensa
liana. Un’onda triste di migliaia di persone che si
sporgono e si gettano in avanti. Tutto, ma non i loro
coltelli. Tutto ma non le loro bottiglie spezzate". Si
susseguono scene raccapriccianti. "Un mondo senza
parole, solo urla. Un mondo di clown sguaiati. Senza la
meravigliosa leggerezza del volo di un acrobata. Senza
il sogno, arrotolato come una bandiera sconfitta. Senza
anima, senza senso, senza speranza". Da quel giorno, per
me, il calcio sarà un’altra cosa.
Fonte: 0571foto.com
© 12 maggio 2015
Icone: It.vecteezy.com
© Pngegg.com
©
|
Pietà
di Daniela Civico
"Avevo
quasi tre anni quel 29 maggio 1985 e mia Madre quasi
diciannove. Ricordo solo la sua disperazione davanti
alla televisione, mia Madre che piangeva e io che non
capivo. Poi come sempre, quando la vita diventava più
cattiva, Lei mi stringeva a sé, come se io potessi
diventare il suo rifugio e Lei la mia estrema
protezione. Ho solo spicchi di ricordi per quella sera,
le finestre aperte, il divano color ocra, la tv a colori
che mi lascia incantata perché c'è tanta gente che ci si
muove dentro e tanta erba verde... Sono un po' impaurita
perché mia Madre quando mi abbraccia piange e mi bagna
il viso e credo che la "colpa" sia della televisione.
L'ultimo spicchio di ricordo, che poi si è trasformato
nella mia memoria, un'immagine bella e dolorosa di un
corpo inanimato in braccio a un altro che lo stringe
sopra a un prato verde. Molti anni dopo, entrando per la
prima volta a San Pietro, avrei rivisto la stessa scena
di quella sera di un corpo in braccio a un'Altra. E le
lacrime di mia Madre, quei corpi straziati, tutto trovò
la spiegazione in una parola sola, la parola che
Michelangelo Buonarroti aveva dato alla sua scultura, La
Pietà".
Fonte:
Lastampa.it (Forum)
© 29 maggio 2010
Fotografia: GETTY IMAGES
© (Not for commercial use)
Icone: It.vecteezy.com
© Pngegg.com
©
|
"28" Per non
dimenticare !
di Roberto Cortivo
Poteva
essere un giorno come tutti gli altri, ma per tutti i
tifosi bianconeri, poteva diventare un giorno di festa.
Poteva essere un giorno da segnare in una bacheca come
un ricordo per una grande vittoria, una vittoria che
voleva dire, finalmente, una coppa dalle grandi orecchie
entrava nella bacheca della Juventus, quella coppa che
mai fino a quel giorno era riuscita ad accomodarsi nella
sede e nella stanza dei trofei. Nel 1985 stavo svolgendo
il servizio militare a Bari, dieci giorni prima del 29
maggio 1985 mi vennero a chiamare mentre prestavo il mio
turno di guardia, il capoposto portò un mio collega a
sostituirmi perché dovevo andare in segreteria dove
qualcuno mi attendeva al telefono. Risposi al telefono e
dall'altra parte della cornetta mi venne data la notizia
che si poteva andare a Bruxelles a vedere la finale di
Coppa Campioni, c'era la possibilità di avere due
biglietti, rimasi stupefatto per la notizia, ma il mio
primo pensiero fu quello di come potevo fare per poterci
andare. Risposi: "Fammi vedere cosa posso fare" e dopo i
classici saluti andai subito dal mio superiore per
chiedere informazioni. La sua risposta è stata chiara e
semplice, mi disse: "devi presentare tramite il
Comandante della caserma la domanda presso il ministero
della difesa per potere usufruire di un permesso
temporaneo per l'espatrio". Il giorno dopo la prima cosa
che feci fu quella di recuperare il modulo e chiedere un
colloquio col Comandante, dove lo stesso e
fortunatamente per me anche lui un tifoso bianconero
senza nessun problema mi firmò la mia domanda. I giorni
passavano, ma la risposta che tanto attendevo non
arrivava, la solita burocrazia andava più lenta che mai.
Arrivò il giorno della partita e alla mattina arrivò
pure la risposta da parte del ministero, ma oramai era
troppo tardi, con grande delusione accettai la cosa
tanto che onestamente non ci speravo in una risposta
positiva visto che in molti mi dicevano che era
difficile riuscire avere tale permesso e che poche volte
lo concedevano tranne che per casi gravi. Quel giorno il
29 maggio 1985 ero di riposo e con tutti i miei colleghi
ci si preparava per la serata, il luogo scelto per
assistere alla partita era la mensa e grazie al
Comandante che ci fece mettere un televisore e ci diede
il permesso per potere accedere alla stessa mensa fuori
dall'orario di solito in uso.
Preparammo
quella stanza come se fosse un feudo bianconero tutto
era organizzato nei minimi particolari il nostro collega
di servizio allo spaccio fece in modo che non mancassero
birre e bottiglie di vino, doveva essere una grande
festa. L'ora era oramai alle porte presto vedevo la mia
Juventus nell'impresa per conquistare finalmente quella
coppa tanto inseguita e sempre per un nulla mai
raggiunta, ma qualcosa iniziò a far dubitare, un dubbio
che in quel momento non si riusciva spiegare, giravano
voci che era o stava succedendo qualcosa di grave allo
stadio, erano voci confuse, non erano precise fino a che
il tg iniziò a mostrare delle immagini strane da capire
in quel momento, forse. Increduli ci guardavamo in
faccia e il pensiero di tutti noi in quel momento era lo
stesso per tutti, hanno sbagliato immagini, cosa
c’entrano queste stragi, queste atrocità, purtroppo non
erano errori di montaggi o collegamenti, quello che
stavamo assistendo, erano le immagini della nostra
partita, la stessa partita che tutti noi con entusiasmo
eravamo pronti a vedere e da lontano a sostenere, ero
pietrificato non riuscivo a rendermi conto, dentro me
c'era un magone che partiva dal fondo dello stomaco e
che saliva fino a spezzare il cuore, era un dolore
indescrivibile, mi scendevano le lacrime guardando
quelle immagini, vedevo gente che urlava gente con volti
sfigurati dal dolore, gente stesa a terra immobile
calpestata, vedevo solo dolore e sofferenza e allo
stesso momento non vedevo più quello che doveva essere
l'evento della serata. Sono passati 28 anni da quel
giorno, ma quelle immagini sono fotografate dentro la
mia memoria, e molte volte mi chiedo se questa volta la
lentezza della burocrazia mi abbia salvato la vita, non
so dove fosse il settore dei biglietti trovati, sarebbe
una grossa bugia dire potevo esserci pure io in quel
settore maledetto, settore Z. Questo mio racconto, è lo
stesso che porto dentro da 28 anni, questo mio racconto
come tutti i racconti di tutte le persone che come me
hanno vissuto quel giorno è principalmente di tutti
quelli che lo hanno vissuto realmente in quello stadio
piaccia o non piaccia è una parte tragica della storia
Bianconera, e questa tragedia non potrà mai essere
cancellata, quella coppa a distanza di 27 anni sono
andato a vederla da vicino e quando l'ho vista per la
prima volta dal vivo e da vicino ho provato solamente
dolore e tristezza... Quella coppa non è nostra ma di
quei 39 ANGELI che come noi per seguire una fede hanno
pagato con la loro vita. 29 MAGGIO 1985 PER NON
DIMENTICARE MAI.
Fonte:
Saladellamemoriaheysel.it
© 29 maggio 2013
Icone: It.vecteezy.com
© Pngegg.com
©
|
Heysel 1985
di Crazeology
Ogni
tanto ci ripenso a quella sera. Ero un ragazzino davanti
alla tv che aspettava la finale, convintissimo che
avremmo vinto noi. Ricordo di aver passato del tempo
ipnotizzato a riflettere su non so bene che cosa.
Ricordo un fotografo sotto una curva che si prese una
pietra delle dimensioni di un Blackberry sulla testa.
Ricordo che pensai che erano tutti dei gran bastardi che
mi avevano rovinato la serata. Furono costretti a
giocare. Mi ricordo quando vidi partire Boniek, che
correva velocissimo e, pur cadendo fuori dall’area, si
ritrovò abbondantemente dentro. Errore trascurabile
dell'arbitro rispetto a certe cose che si sono viste
negli ultimi anni da circo equestre, sia in Italia che
in Europa. La Juve vinse una coppa regolare, senza
rubare niente a nessuno. Una coppa meritata per come era
andata la stagione, ma che in molti non avevano
festeggiato. Fuori da casa mia passava solo una macchina
ogni tanto con il clacson festante. Si sentiva nell'aria
che c’era un’atmosfera triste. Si vinse, ero un
ragazzino ed ero contento, eppure non ero contento.
Dentro di me c'era un senso di nausea fastidioso e
combattuto. Avevo capito poco di quanto stava accadendo,
ma le sensazioni erano brutte e quelle non mi tradiscono
mai. Ogni tanto mio padre, durante la serata, aveva
cambiato canale. "Perché tanto lui non è della Juve, sai
che gli frega !", pensavo io. "Perché io sono un padre e
certe cose se riesco voglio risparmiartele", pensava
lui. Al mattino dopo poi mi fu molto più chiaro il
perché di quella nausea. Le notizie erano molto più
precise. E poi negli anni ognuno costruisce pian piano
le sue certezze e i suoi valori... E io come tutti. Ogni
tanto mi capita di sentire qualcuno dire che quella
coppa andrebbe restituita, non so bene a chi. Mai
sentita una sciocchezza così grossa. E’ una coppa che è
lì in bacheca, ma ha più valore di tutte le altre coppe
vinte dalla Juventus nelle varie competizioni, perché
rappresenta una sera specifica e un fatto specifico. Il
fatto sportivo che si va ad intersecare con il fatto
umano. Il fatto umano per eccellenza: la morte. Una
strage di esseri umani innocenti. Non è una coppa, è
un’altra cosa. Ha acquisito un significato differente da
quello per cui era stata concepita. E’ un simbolo
importante, perché ricorderà sempre a tutti gli sportivi
che il calcio è, e dovrebbe essere, solo calcio. E' un
monito. Uno sguardo severo di Dio: "pensa a quante cose
belle può fare un essere umano, e quante cose brutte può
fare un essere umano, tutto in una sera solamente". Se
non ci fosse in quella bacheca, nessuno si ricorderebbe
più di quelle 39 persone. Non è la coppa ad essere
sbagliata, sono gli occhi di chi la guarda che
dovrebbero essere diversi. "Non senti che ti chiamo ?
Tutte le lettere scritte sulla sabbia non possono
guarirmi come potrebbe fare la tua mano. Per la mia vita
a venire abbi pietà di me". (Brian May - '39 - Queen-
1975)
Fonte:
Blog.ju29ro.com
© 29 maggio 2011
Fotografie:
Guerin Sportivo © GETTY IMAGES
© (Not for commercial use)
Icone: It.vecteezy.com
© Pngegg.com
©
|
|