Così rintracciai due
genovesi all'Heysel
Alla
soglia dei cinquant'anni - dopo aver girato l'Italia
raccontando dal Tg5 serial killers, alluvioni, fatti di
costume e grandi avvenimenti come quelli legati al G8 di
Genova - ricordo ancora la prima grande vera emozione
regalatami dal giornalismo. E la devo a il Giornale.
Quell'esperienza mi è tornata in mente nei giorni
scorsi, nel vedere negli uffici della redazione genovese
una delle macchine da scrivere - ancora funzionante
anche se ormai quasi mandata in pensione dal computer -
sulle quali lavoravamo noi giovani collaboratori. Era il
30 maggio del 1985, la sera precedente c'era stata la
più tragica delle finali di Coppa dei campioni: quella
fra Juventus e Liverpool allo stadio Heysel di
Bruxelles. Nella grande confusione seguita agli scontri
e al crollo del muro della gradinata c'era una sola
certezza: fra le vittime e i dispersi c'erano anche
diversi genovesi. La redazione de il Giornale guidata da
Massimo Zamorani si mobilitò immediatamente mettendo in
campo tutte le risorse
disponibili. Anche i
collaboratori esterni come me. Mi toccò di andare a
trovare una delle famiglie. Abitavano nei dintorni di
Sestri Ponente. Aprirono la porta con grande
disponibilità e molta disperazione. Secondo le poche
informazioni che arrivavano da Bruxelles i loro cari,
marito e moglie, erano l'uno deceduto e l'altra
dispersa. Avevano una serie di numeri di telefono da
chiamare ma, anche per le difficoltà di lingua, non
c'era verso di avere notizie più precise. Decidemmo di
provare insieme, tentai di parlare in inglese al
centralinista dell'ospedale, ma non ci capimmo. Chiesi
se ci fosse qualcuno che parlava italiano, dicendo il
cognome della coppia che stavamo cercando. Il
centralinista, finalmente, mi passò un uomo che parlava
italiano. Mi spiegai "vorrei aver notizie dei
signori"... Un attimo di silenzio e poi la risposta:
"sono io". Nella confusione il nome di quel signore era
stato inserito nella lista dei morti, ma non era vero:
era solo ferito ! Sopraffatto dall'emozione, mi
affrettai a passargli i parenti che avevo davanti.
Furono momenti di gioia, anche se rimaneva la grande
ombra dell'incertezza sulla sorte della moglie. Sono
passati quasi venticinque anni ed ero molto giovane,
quindi mi scuso con i protagonisti se il ricordo dei
fatti non è preciso ma ricordo perfettamente l'emozione
che ho provato e l'orgoglio di aver contribuito ad
allontanare un dolore. Massimo Zamorani, uno di quei
giornalisti davvero capaci di insegnare il mestiere ai
giovani, mi raccomandò di raccontare bene quel che era
accaduto, dall'incertezza al sollievo, e cercai di
farlo. Qualche mese dopo partii per il servizio
militare, poi andai a lavorare altrove: nelle tv locali,
poi in Mediaset al Tg5, inizialmente a Milano e
finalmente come corrispondente da Genova. Ma di quei
giorni negli uffici di piazza Savonarola, prima, e di
via De Amicis, poi, non posso dimenticare l'entusiasmo
con il quale seguivo le piccole vicende dei consigli di
quartiere ("raccontare una seduta della circoscrizione -
mi spiegava Zamorani - non è diverso dal descrivere una
seduta del parlamento, cambiano gli argomenti ma non il
modo di riportarli"), le serate a cercare notizie
durante i consigli comunali, e la volta - l’unica volta
in vita mia - in cui a sorpresa incontrai per pochi
minuti Indro Montanelli in visita alla redazione. Ma
questa, come direbbe Kipling, è un’altra storia, cioè
un'altra emozione.
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