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ARTICOLI 31.05.1985 (ITALIA)
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31.05.1985
ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985

Poveri morti poveri vivi

Con tanta nostalgia di uno sport nobile

Una coppa da restituire

Perché è esplosa la pazzia di massa

Quei giocatori juventini usciti a placare la folla

Incubo in cronaca diretta

"La guerra" allo stadio

"La partita, un atto di cinismo"

"Mio marito in quell'inferno ancora non so nulla"

"Ho visto morire i nostri tifosi"

Parlano i "reduci dell'Heysel"

Incontro con i tifosi a Domodossola sul primo treno che tornava in Italia

La notte d'angoscia in attesa di notizie

Albenga: "Eravamo in quella gradinata"

Diano Marina, davanti alla tv lunga attesa per duecento

Ha raccontato al telefono il dramma di questa foto

Il volto livido della morte in quella curva maledetta

Boniperti: "La partita non l'ho vista"

Così furono venduti i biglietti della morte

Il dolore autentico della città

Agnelli: "Bisogna proibire agli inglesi di assistere a partite..."

Come i reduci di una guerra

L'interminabile notte all'aeroporto di Caselle

L'ultrà pentito: "mai più violenza"

Sottoscrizione 300 milioni dalla Juventus

"La festa alla fine era dedicata ai tifosi"

Brio: "Una gara vera e corretta"

Ora i tifosi sconvolti raccontano il dramma vissuto a Bruxelles

Tornano gli scampati di Bruxelles

"Non avevo i soldi per il biglietto"

Lunga notte di angoscia anche nel Cuneese

Un amaro ritorno dal Belgio

Giovane madre di Finale Ligure ritrovata in coma sotto i cadaveri

"Mio marito e mia figlia hanno bussato. Soltanto allora ho capito..."

"In mezzo ai morti non so come sono salvo"

Lo sgomento negli occhi

Boniperti sconvolto davanti alle salme "odio più che mai gli inglesi"

La lunga notte di Torino

L'Italia sconvolta dall'inutile strage

I tifosi romani raccontano: "Molti hanno capito dopo..."

"Si è agito con cinismo"

Come Reggio ha vissuto la notte della tragedia

Le vittime: gente tranquilla. Il cuoco, la ragazza, l’operaio

Una regione senza notte. L'angoscia, il dolore, la condanna

"Siamo scampati all'inferno"

Carraro: "Giornata amarissima"

Poveri morti poveri vivi

di Indro Montanelli

Ventiquattr'ore non bastano di certo a farci digerire l'orrore delle scene di cui l'altro ieri la televisione ci ha reso testimoni. Ma ci consentono un ragionamento un po' più pacato. Diciamo anzitutto che non è la prima volta che dobbiamo assistere a spettacoli del genere, e con ogni verisimiglianza non sarà l'ultima. Lasciamo il caso estremo della guerra - e non in senso traslato, ma sostanziale - scoppiata per una partita di calcio fra Honduras e Salvador. Ma d'incidenti di sangue sono pieni gli annali di questo sport anche in Europa, specie quando sono di scena gli inglesi. Per quale perversione questo popolo, che inventò il fair play, cioè la regola della lealtà, sia oggi diventato il campione della violenza, non lo so. Ma guardiamoci dal generalizzare e dal chiedere che "Dio stramaledica gli inglesi", come invocava Mario Appelius buonanima negli anni di guerra. L'Inghilterra non sono i forsennati che abbiamo visto all'opera nello stadio di Bruxelles. L'Inghilterra sono la Thatcher, i politici, i commentatori di stampa, radio e televisione, la gente intervistata per strada, che hanno confessato la loro vergogna a una voce, con una sola stecca: quella del ministro dello Sport che con le sue dichiarazioni si è messo sullo stesso piano degli imbestialiti. Comunque, Dio ci guardi ora dai soliti sproloqui e dibattiti dei sociologi sui motivi di "tifo" e sui mezzi d'impedirne gli eccessi. Non ce ne sono, se non nel controllo che ognuno può e deve esercitare su di sé. Non credo infatti che tutta la responsabilità dell’accaduto vada attribuita alle carenze dell'organizzazione. Certo, ce ne sono state. Certo, il servizio d'ordine era inadeguato. Certo, di fronte al tumulto la polizia si è mostrata indecisa, e anche intimidita. Ma è anche vero che nessuno, e meno di tutti i pacifici belgi, poteva immaginare lo scoppio di un simile tornado. E dobbiamo aggiungere che, superato il primo sgomento, le autorità belghe hanno mostrato polso e accortezza esigendo che la partita si svolgesse ugualmente: era l'unico modo per dar tempo alle passioni di sbollire e per assicurare un ordinato deflusso dallo stadio. Cerchiamo dunque di non dare avvio a una delle solite caccie alle streghe. Non è questo che ci chiederebbero, se potessero chiederci qualcosa, i poveri morti di Bruxelles, innocenti vittime di una passione che anch'essi condividevano, come dimostrava la loro presenza su quelle gradinate. La strega non è il "tifo" che dallo sport è inseparabile. E non siamo nemmeno noi, come vogliono i cantautori del "siamo tutti colpevoli" che ieri giornali e radio hanno intitolato. Perché, se di qualcosa siamo colpevoli, è di aver sempre secondato la corruttrice e demagogica tendenza a scaricare l'individuo di ogni responsabilità, rigettandola regolarmente e interamente sulla società. E' la società che ci obbliga a rubare, è la società che ci obbliga ad uccidere. E si capisce che quando si offrono alla gente di questi alibi, c'è sempre qualcuno che ne approfitta. Stamane leggevo su un giornale francese un dotto articolo in cui si spiegava che la furia dei tifosi del Liverpool era dovuta al fatto che, essendo quasi tutti minatori, per un anno erano rimasti senza lavoro a causa dello sciopero: il che gli aveva fatto accumulare la rabbia che poi era scoppiata a Bruxelles. Insomma, senza dirlo, l'articolo induceva alla conclusione che il vero responsabile del massacro era la signora Thatcher. Ecco in che senso siamo tutti colpevoli. Siamo colpevoli di assolvere tutti come vittime innocenti di una società iniqua che, a furia di essere tutti noi, non è nessuno. E' un giuoco a cui non ci stiamo. I responsabili di Bruxelles sappiamo chi sono: sono i delinquenti che abbiamo visto avventarsi, prima che la partita cominciasse, e quindi senza alcuna provocazione, contro i tifosi italiani con sbarre e coltelli di cui erano accorsi armati, con l'evidente intenzione di farne l'uso che ne hanno fatto. Delinquenti, non vittime. La società non c'entra, non c'entrano le miniere. Casomai l'alcol. Ma ne avevano ingerito per delinquere meglio. Speriamo che la polizia li identifichi e li consegni a quella inglese. Della quale possiamo fidarci. Stavolta noi italiani non abbiamo niente da rimproverarci. Avremmo preferito se i giocatori della Juve esultassero meno vistosamente per quella vittoria tappezzata di morti (ma poi ci hanno spiegato che ignoravano l'entità della strage). L'unica umiliazione ce l'hanno procurata le manifestazioni di giubilo che si sono svolte con clacson e fischietti nelle nostre città, dove si sapeva tutto. A quei baldorianti (pochissimi per fortuna), per digerire l'orrore, erano bastati pochi minuti.

31 maggio 1985

Fonte: il Giornale

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

Con tanta nostalgia di uno sport nobile

di Gianni Brera

Povero calcio, di noi povera gente: sport per eccellenza plebeo, proibito per secoli in quanto a praticarlo erano gli umili, troppo spesso confusi con i villani ! Le plebi hanno preso quota nell'ordine politico-sociale delle nazioni e anche i loro gusti hanno finito per imporsi. Giocò a calcio in Italia anche un principe del sangue: e i suoi compagni erano quasi tutti nobili o grandi borghesi. Poi si accorsero che pedatare squalificava, nel Paese guida dello sport moderno e passarono al golf, al tennis, rimanendo pur sempre alla scherma e all'equitazione. I pedatori furono allora di schiatta piccolo-borghese, e belli come poteva essere chi da qualche generazione pappava bistecca. Infine raggiunsero il plus-calore anche i poveri del quarto e quinto stato: e decadde la qualità ma crebbe il numero. Noi italiani siamo a questo punto. Gli inglesi, loro hanno incominciato a cedere un tantino nei confronti della pedata volgare. Decaduta la boria imperiale, bisognava consolarsi dov’era possibile. Il calcio ha preso quota allora anche presso i non indigenti (come da poco in Svezia e Danimarca), ma il relativo benessere del singolo cittadino ha consentito a troppi di spostarsi nelle vesti di pseudo-turisti. Erano spesso i fanatici a imbrancarsi: e tanto più feroci quanto peggiori erano le condizioni economiche del loro quartiere o della loro città. Ora la più decaduta tra le città inglesi è proprio Liverpool. E le sue due squadre eccellono come per una rivalsa che in altri campi non è possibile. I belgi hanno conosciuto l'Everton l'anno scorso e pareva non avessero altro da apprendere sui seguaci del Liverpool. Purtroppo hanno fatto penosissima cista. Il loro Heysel, un tempo onorevolissimo, è ormai insopportabilmente obsoleto. Ha le due curve in terra battuta con gradini sorretti da pietre malferme: in queste curve gli spettatori sono costretti a stare in piedi. Ammassare oggi folte moltitudini sugli spalti di curve senza posti a sedere significa esporsi a rischiose calamità pubbliche. Per loro disgrazia, i belgi hanno ottenuto dalla Uefa l'incarico di organizzare la Coppa Campioni. Sapevano di aver a che fare con orde di inglesi avvinazzati e feroci. Non hanno riflettuto però che gli spiantati liverpooliani non potevano competere con i ricchi juventini di tutta Italia, e che metà della curva destinata agli ospiti albionici sarebbe stata accaparrata - magari a borsa nera - dagli italiani. Così non hanno ritenuto i belgi di dividere più efficacemente i rappresentanti di due popoli l'uno all'altro inviso per troppi differenti destini passati e presenti. Alla tradizionale spocchia degli inglesi, il visibile benessere degli italiani doveva suonare come un'offesa potente, uno sberleffo tragico della sorte: dunque, ai più scalmanati non è parso vero di farla subito fuori. I pochi sparuti poliziotti belgi sono stati travolti. Gli italiani, prima sorpresi, poi atterriti, si sono ristretti fino a soffocarsi. I vecchi spalti interrati dello Heysel sono divenuti orrendo cimitero. Mortificati e stravolti, i belgi hanno taciuto lì per lì la tragedia, hanno chiamato allo Heysel tutta la polizia a disposizione nel regno: non è bastato. La partita, che pareva giocata per tacitare i manigoldi, si è risolta a favore della Juventus, il cui tripudio ha un po' stupito dopo tanti decessi. Gli inglesi di Liverpool sono tornati alle loro tane, alla loro quotidiana mortificazione di patria. Gli italiani, fino a ieri sottovalutati e derisi, hanno meritato la sincera comprensione di tutti. Giorno verrà - non è affatto lontano - che il calcio perderà i suoi satanici sapori di transfert dalla degradazione e dalla miseria. Allora tornerà ad essere per molti quello che è sempre stato: il gioco forse più bello di tutti. Parola di un povero fra i tantissimi poveri di questo mondo.

31 maggio 1985

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

Una coppa da restituire

di Gianni Rocca

Da dove cominciare per comprendere ciò che è accaduto a Bruxelles ? I dati di fatto e le immagini televisive, col loro carico di angoscia e di raccapriccio, si mescolano. Come si fa ad essere lucidi e freddi di fronte alla "morte in diretta" intrecciata con una gara di calcio ? Eppure un'analisi va tentata, uno sforzo per riportarci alla ragione va compiuto. Ed a spingerci alla riflessione c'è la sensazione che sentiamo diffondersi nelle persone civili: difficilmente d'ora in poi - e chissà per quanto tempo - si potrà fare a meno di coniugare il gioco del calcio con l'eccidio dello stadio Heysel. Quel dramma ci ha cambiati. Non potremo più essere quelli di prima. E allora cominciamo. Dai tifosi inglesi, in primo luogo. Violenze negli stadi sono segnalate da ogni parte del mondo, Unione Sovietica compresa. Il "mal sottile" della nostra epoca ha contagiato ogni parte del globo: dalla "civile Europa" ai paesi del Terzo mondo. Ma se nessuno può scagliare la prima pietra, è certo che la tifoseria inglese da molti anni a questa parte ha assunto un triste primato. C'è, in queste ore, chi tenta di criminalizzare un intero popolo, quello britannico, per ciò che è accaduto. La reazione sdegnata del governo di Londra e dei massimi responsabili contro il teppismo sportivo del loro paese comprova la consapevolezza della gravità del fenomeno e la precisa volontà di non coprirlo. Bene, ma che alle parole seguano i fatti. Un paese civile come l'Inghilterra non può restare fermo a generiche recriminazioni. Di fronte al massacro di Bruxelles occorre un segnale ben preciso, una riparazione verso i morti, i grandi dimenticati della tragedia. Si proibisca ai tifosi inglesi, fino a quando non vengano adottate tutte le garanzie necessarie, di seguire le loro squadre all'estero. Ovunque sono stati hanno lasciato una scia di lutti, di vandalismi, di ubriachezze di massa, violente e moleste, uno spettacolo complessivo di inciviltà. La signora Thatcher è conosciuta nel mondo come la "signora di ferro". Ecco, lo dimostri, dispieghi per lo meno la stessa energia con cui ha contrastato lo sciopero dei suoi minatori. Proseguiamo nell'analisi chiamando in causa gli organizzatori di quella che doveva essere una serata sportiva. Quali garanzie hanno richiesto, quali controlli hanno esercitato i dirigenti del calcio europeo per uno spettacolo sul quale pesava tanta e ben conosciuta tensione ? Era Bruxelles la sede adatta ? Era quello stadio sufficientemente capiente ? Quali misure di polizia sono state sollecitate, ben conoscendo i tristi bilanci di precedenti manifestazioni ? O gli uomini che dirigono l'Uefa credono che i loro compiti si esauriscano nei sorteggi ? Non sanno, essi, che cos' è diventata, per la posta in gioco, una finale internazionale di calcio ? Oggi, anche i dirigenti dell'Uefa debbono rispondere di quei morti, i grandi dimenticati della tragedia. Troppo facile, dopo, scaricare ogni colpa sulle autorità belghe. Che indubbiamente esistono, eccome. Chi pagherà a Bruxelles per l'inadeguatezza delle forze di polizia, incapaci e impotenti ? Chi dovrà rispondere della mancata "strategia" nei compiti dell'ordine pubblico, priva addirittura di quell'elementare norma di sicurezza, ormai unanimemente accettata, che impone la divisione "fisica" fra le due schiere di sostenitori ? E’ altamente apprezzabile la visita dei reali del Belgio alle povere salme. Ma perché quel saluto non resti formale e genericamente pietistico, il governo belga punisca chi ha dato prova di così patente incapacità professionale. E veniamo alla tifoseria italiana, duramente brutalizzata e che ha nelle sue file il maggior numero di vittime. La Tv ha dimostrato, in modo inoppugnabile, l'aggressione di massa dei supporters del Liverpool. Ed a loro è giusto che sia ascritta la responsabilità principale. Ma davvero nelle schiere juventine non si annidavano gruppi di teppisti ? L'avvio degli incidenti non è forse avvenuto nel primo pomeriggio a Bruxelles, quando un tifoso della squadra inglese è stato accoltellato a morte da un italiano ? E che dire di quei drappelli di "fans" juventini che prima dell'inizio della gara hanno ripetutamente bersagliato gli agenti di polizia, sfidandoli ad una reazione più che giustificata che, per fortuna, non c'è stata ? Possiamo dimenticare l'austriaco accoltellato a morte a Milano, il tifoso romano ucciso da un razzo, le infinite scene di violenza dentro e fuori i nostri stadi, le carrozze ferroviarie e gli autobus distrutti o saccheggiati dalle turbe dei tifosi italiani in viaggio per la penisola ? Anche da noi il gioco del calcio è diventato, per i miliardi investiti e per gli interessi coinvolti, un detonatore di follie collettive. Possiamo continuare ad attribuire tutte le colpe a sparute minoranze di facinorosi o non dobbiamo invece porci il problema di un fenomeno degenerativo che si sta allargando a macchia d'olio ? A Bruxelles si è giocato per motivi di ordine pubblico - è stato detto - perché si temeva che l'annuncio della sospensione della gara potesse provocare altri lutti, altri scontri. Ma allora, che senso hanno avuto le partecipate telecronache, dopo il gol di Platini, il tripudio finale dei giocatori bianconeri, lo sventolio delle bandiere del club, l'assordante carosello di auto fino a tarda notte a Torino per celebrare il successo ? E tutto ciò mentre migliaia di famiglie impazzite dal dolore cercavano per telefono di aver notizie dei loro cari presenti a Bruxelles. Questo sdoppiamento tra il rispetto per la morte, l'antico e profondo patrimonio di ogni cultura, e la gioia della vittoria non testimonia forse in modo incontrovertibile che la sfida sportiva è ormai di natura guerresca ? E’ contro questa logica che dobbiamo insorgere. A Bruxelles si è giocata una "finta" partita: gli atleti sono stati mandati in campo per evitare altri drammi. Quella Coppa che ieri mattina i calciatori della Juventus agitavano al loro rientro a Torino è macchiata di sangue. Non può essere esposta, senza un moto di raccapriccio, nella bacheche dei trofei di una squadra come la Juventus, che passa per la "signora" del calcio italiano. Anche pubblicazioni recenti hanno accreditato la tesi di uno "stile Juventus", anzi di uno "stile Agnelli". Rifletta il presidente di quel club, così amato e popolare, quale lezione darebbe al mondo sportivo rinunciando al simbolo di una vittoria carica solo di dolore. E quale lezione impartirebbe agli inventori del "fair play" se proponesse di rigiocare la gara, a tempo debito, in diverse condizioni, come prologo ad un modo nuovo di fare football. Se su quelle bare allineate a Bruxelles non c'impegneremo, ciascuno per la sua parte, a trarre partito da ciò che è accaduto, il calcio non avrà vita lunga. Altre violenze, altri lutti lo renderanno sempre più sport inviso, plebeo, incivile. E non resterà che praticarlo a stadi vuoti, davanti ai freddi occhi delle telecamere.

31 maggio 1985

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985   

Perché è esplosa la pazzia di massa

di Luciano Gallino

Supponiamo che un dittatore pazzo voglia distrarsi provocando tra i suoi sudditi l'insorgere di comportamenti collettivi che abbiano come risultato minimo un buon numero di morti. Il procedimento che egli dovrebbe seguire, coadiuvato dai suoi schemi, sarebbe relativamente semplice. Anzitutto egli dovrebbe provvedere a radunare una folla dell'ordine di parecchie migliaia di persone, badando però che essa sia composta da individui che si dividono per il loro aspetto, o il loro comportamento manifesto, o le loro credenze, in due sottogruppi ben distinti. Sarà utile, inoltre, che uno dei due gruppi sappia, o creda, che l'altro è piuttosto violento. Quale passo successivo, egli dovrebbe introdurre tra la folla cosi radunata alcuni elementi di tensione, ad esempio facendola concentrare in uno spazio troppo ristretto per le sue dimensioni, e facendo sì che le persone arrivino al raduno già stanche o eccitate per altri motivi. Mentre predispone codeste condizioni per un massacro, il dittatore in parola avrà cura che gli ordinari mezzi di controllo sociale dei comportamenti deviati, dall'emanazione di divieti all'intervento di uomini armati, siano pressoché assenti in ogni momento del processo che lentamente ma sicuramente prepara l'esplosione finale. A questo punto basterà trovare qualcuno che attivi un evento precipitante anche modesto: uno scambio di insulti o di pugni, l'attacco improvviso di un piccolo gruppo organizzato in direzione della massa disorganizzata, e il risultato seguirà con certezza infallibile. Tra coloro che saranno colpiti direttamente dai più aggressivi, e le vittime dei terribili movimenti d'una folla in preda al panico, il mostruoso regista avrebbe tutti i morti che desiderava. A Bruxelles non vi fu, pare, la regia d'un dittatore pazzo, ma la natura e la concatenazione degli eventi è stata esattamente quella sopra descritta. Come sempre negli sport di squadra, la folla era ovviamente divisa in due campi, ed era compressa in uno stadio assurdamente piccolo. Tutti venivano da lontano, e oltre a essere stanchi erano tesi perché nulla era stato fatto per assicurare che ciascuno avrebbe potuto effettivamente assistere alla partita. I tifosi inglesi sono notoriamente più violenti della media, e gli italiani lo sapevano: quanto basta per predisporre la folla a moti di panico. Le forze di polizia, che da almeno 48 ore avrebbero dovuto energicamente dissuadere chiunque da comportamenti men che pacifici, per formare poi al momento della partita un muro invalicabile tra le due tifoserie, erano penosamente latitanti. Se tutto ciò è vero, ne seguono tre considerazioni. La prima è che il massacro era perfettamente prevedibile, se non nelle sue esatte dimensioni, certo nella sua dinamica e nella sua gravità. La teoria dei comportamenti collettivi insegna infatti da decenni che se si verificano nella sequenza appropriata, combinandosi in modo che ciascun evento rientri nel quadro già delimitato dai precedenti, la probabilità di moti di folla dalle conseguenze estremamente gravi diventa altissima. Questo significa altresì - seconda considerazione - che parlare di follia o di bestialità dei tifosi, o anche solo d'una parte di essi, non solo è tecnicamente inesatto, ma non serve minimamente per trovare il modo che simili orrori non si ripetano. Tutti i tifosi inglesi potrebbero anche venire confinati a vita su qualche gelida isola atlantica, ma si può giurare che, ovunque si riproducessero condizioni analoghe nella successione giusta, eventi analoghi a quelli di Bruxelles si ripeterebbero, pur in presenza di tifosi di nazionalità e di stampo del tutto diverso. Infine la ovvia prevedibilità, la meccanica impeccabile del massacro di Bruxelles indica che le responsabilità sono molto più ampie e distribuite di quanto non si sia detto e scritto finora. Governatore del Brabante, capo della polizia di Bruxelles, sindaco della città, ministro dell'Interno del Belgio dovrebbero a fil di logica finire sotto processo; ma accanto a loro, semmai avvenisse una cosa sì straordinaria, vorremmo vedere anche i dirigenti sportivi che scelsero uno stadio così miseramente inadeguato come contenitore d'uno spettacolo carico di tensione non solo per la sua intrinseca natura, ma perché si svolge ormai sotto gli occhi dell'intero pianeta; i titolari delle agenzie che distribuirono biglietti in numero eccedente i posti disponibili, né seppero porre riparo alle contraffazioni; gli organizzatori dei club di tifosi che si preoccupano più del sostegno fragoroso alla propria squadra che della pelle dei loro organizzati. Gli spettacoli di folla sono diventati troppo complessi, troppo carichi di interessi, troppo numerosi, per lasciarne la preparazione e il controllo a degli incapaci irresponsabili, siano essi in basso o in alto nell'organizzazione delle società moderne.

31 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

Quei giocatori juventini usciti a placare la folla

di Oreste del Buono

Un oceano di parole si è rovesciato sull'orrore di mercoledì sera a Bruxelles. Le colpe del calcio, le colpe dei media, le colpe di tutti. D'accordo, quando capita qualcosa di inammissibile le colpe sono di tutti. O, facciamo, di quasi tutti. Cerchiamo di salvare dall'orrore irradiato dai televisori mercoledì sera almeno un'immagine positiva. E' l'immagine di quei giocatori in maglia bianconera (come Cabrini, Tardelli e altri) usciti a cercar di placare i loro tifosi venuti a Bruxelles da tutte le parti d'Italia. Cercar di placare, ma anche cercar di capire il meccanismo della strage, cercar di piangere insieme. Eppure era un'impresa difficile, un'impresa da far tremare. Anche la calca di sostenitori più devoti può trasformarsi in una trappola, in un rischio per l'atleta troppo amato. Ricordo un Gino Bartali in arrivo finale del Giro d'Italia alla vecchia Arena. Aveva conservato la maglia rosa, e sul prato i suoi facevano ressa. Rallentò con la bicicletta, la faccia triste da italiano aggrottata, e intanto, si contorceva un poco per recuperare il gonfieur. Con quello intendeva proteggersi, e lo fece, dagli eccessi dell'entusiasmo. Non è che all'atleta non faccia piacere avere sostenitori, vorrebbe, però, non lasciarci la pelle e magari non rimetterci neppure le costole. Ebbene, quei calciatori della Juventus sono entrati nel cuore della folla di fede bianconera sapendo a cosa andavano incontro. Strattonati, stretti, tirati da una parte e dall'altra scomparivano e riapparivano, riscomparivano di nuovo e a chi guardava nel piccolo schermo suggerivano il timore di non vederli più. Gli animi di quegli italiani a Bruxelles erano naturalmente esasperati. Bastoni improvvisati da transenne abbattute e divelte fornivano di che mimare contro-minacce e sfide, o semplicemente esprimere rancore e disperazione a quegli inglesi a Bruxelles che non accennavano a recuperare un minimo di lucidità dalle sbronze di birra e violenza, e soprattutto alla polizia belga che aveva permesso la strage. Qualcuno tra i tifosi più giovani era squassato da crisi epilettiche e gli amici, i compagni di spedizione lo dovevano trattenere e cullare come un neonato. La confusione era enorme e, invece di placarsi, pareva acuirsi. Cabrini, Tardelli e gli altri sono uomini, non potevano fare miracoli, non sono riusciti a placare i loro sostenitori. A un certo punto hanno dovuto desistere, ritirarsi, ma comunque, il tentativo, lo avevano compiuto e chissà che non abbia avuto influenza più tardi. Ecco l'immagine positiva dell'altra sera nera che voglio ricordare mentre, ovviamente, si parla solo di chiudere gli stadi, di far disputare le partite senza pubblico oppure di sospendere il gioco del calcio, anzi di abolirlo una volta per tutte. Preferisco ricordare questa immagine invece di quella discutibile del ritorno trionfale a Torino con la coppa. E' un'immagine che dice che ne è passato, del tempo, da quando l'ex calciatore avvocato Campana e gli ancora giocatori Mazzola, Rivera, Bulgarelli fondarono il sindacato dei calciatori cercando di procurare maggiori introiti e maggior diritti non per loro, che guadagnavano già abbastanza, ma per i calciatori meno fortunati delle serie minori. Allora tutti più o meno i giornali sportivi ironizzarono sui milionari, se non addirittura, miliardari, sindacalisti, è passato del tempo. Se allora erano pochi calciatori che riuscivano a parlare nelle interviste, se i più soccombevano alla timidezza, se i più si rassegnavano a una vita gregaria e segregata, pur che gli fosse garantito un compenso superiore a quello che avrebbero potuto ottenere facendo gli operai, i contadini o gli impiegati, ora la categoria si presenta diversa, molto più consapevole e molto più responsabile. E, dunque, se in questi momenti del dopo la strage lasciassimo parlare anche loro, lasciassimo gestire un poco ai calciatori il problema del calcio e la nostra società, del calcio e l'ordine pubblico, del calcio e la violenza ? E’ un'umile proposta, ma mi pare pertinente. Il calcio è la loro vita, e tuttavia spesso, molto spesso, sono loro i primi a esserne vittime. Sarà un discorso confuso, questo, ma è ispirato dalla riluttanza a concedere ancora alla retorica, dal desiderio di sgomberare il campo di gioco almeno dalle chiacchiere più frivole, aberranti e vanitose. Se ho proposto una bestialità, però, come non detto.

31 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

Una ripresa che resterà nella storia della televisione

Incubo in cronaca diretta

di Ugo Buzzolan

L'altra sera il pubblico che si era messo davanti al teleschermo per assistere a un avvenimento sportivo internazionale ha assistito invece a uno dei più allucinanti horror di massa mai comparsi in tv. Che ci fosse un pubblico televisivo immenso lo si sapeva. Non occorrevano le cifre che in questi casi vengono sbandierate dalle statistiche cosiddette di previsione, venti milioni, venticinque o di più, sono circostanze, in cui a guardare la partita si ritrovano anche quelli che di solito non seguono il calcio né sul video né tanto meno dagli spalti degli stadi, e in cui l'eccezionalità della gara con una squadra nazionale in lizza fa sì che interi nuclei famigliari, dal nonno ai bambini, si radunino compatti e festanti come per la finalissima di un quiz o del festival di Sanremo. D'altronde, per rendersi conto dell'entità della platea tv, bastava dare un'occhiata alle strade deserte o mettere piede in un cinema semivuoto. Ora tutto questo pubblico, dapprima perplesso, poi allarmato, infine inorridito, ha visto passare sul suo schermo casalingo una tragedia brutale e incredibile raccontata minuto per minuto in un crescendo di attese sconcertanti e di incertezze di immagini e di commento che si facevano via via sempre più angosciose, e infine con l'urto dell'improvvisa comunicazione ufficiale sulle vittime accolta con incredulità e più tardi confermata da visioni terrificanti (quell'uomo schiacciato sotto la palizzata, che chiedeva aiuto con un groviglio di altri corpi sopra, nessuno lo cancellerà più dalla mente); in mezzo, l'assurdo svolgimento della partita con un intervallo dove s'accavallavano notizie drammatiche, interviste convulse e scariche di pubblicità, (quella è sacra e inviabile, non si tocca) e dove è comparso anche Arbore - ed è stata una voce sensata nel caos - a dire: "No, stasera non andremo in onda". Una cronaca al di là di ogni immaginazione (che è proseguita lungo la giornata di ieri nei Tg, con dettagli raccapriccianti e insistiti, sin troppo, di morti abbandonati sul terreno, di feriti gementi e di pozze di sangue), una cronaca dove gli spettatori allibiti sono stati testimoni delle violenze folli dei tifosi del Liverpool e - documentata di continuo - dell'inerzia della polizia belga con inquadrature di agenti che passeggiavano ai bordi del campo e si guardavano in faccia mentre poco più in là c'era la gente calpestata e stritolata. La ripresa dell'altra sera rimarrà come un capitolo torvo e nero anche nella storia della tv: tre ore di incubo, tre ore di morte in diretta.

31 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

"La guerra" allo stadio

Dieci poliziotti come muro umano per dividere inglesi e italiani ! Soltanto tre medici volontari per 50 mila presenti.

Consumata la tragedia, si istruiscono processi. Naturalmente tardivi. Ma quando la rabbia ha come punto di riferimento uno spaventoso bilancio in vite umane e in feriti come quello che si è costretti a fare in questi giorni, dopo il dramma dell'Heysel Stadium di Bruxelles, c'è davvero da chiedersi se l'organizzazione di spettacoli imponenti e impegnativi come una finale di Coppa del Campioni venga affidata a enti o persone realmente capaci e responsabili. O se al contrario, in omaggio ai principi della equità politica e sportiva, si mandino allo sbaraglio e in luoghi ad altissimo rischio (e in certi casi alla morte) decine di migliaia di persone. E così, nonostante la statistica offrisse seri motivi di preoccupazione, 15 mila tifosi inglesi - noti in tutta Europa per aver devastato stadi e messo in subbuglio città - sono stati messi (ci sarebbe da dire agevolati) nella condizione di dare sfogo alla loro sanguinosa barbarie. Pochi agenti fuori dello stadio, una decina a presidiare l'esile sbarramento in plastica che divideva il settore italiano da quello inglese, e una quindicina ai bordi del prato costituivano, quando i tifosi del Liverpool hanno dato il via ai primi atti di guerriglia, il contingente destinato a presidiare lo stadio e a impedire incidenti. Purtroppo, la forza e la bellicosità dei supporters del Liverpool, i quali nell'alcol hanno trovato una droga dagli effetti devastanti, sono state di gran lunga superiori allo spirito di sacrificio degli agenti preposti al controllo del settore e dimostratisi completamente incapaci di arginare le furiose cariche degli scatenati inglesi. Dal racconto degli scampati che, quando ancora si attendeva l'inizio della partita fra Juventus e Liverpool, si erano rifugiati sconvolti nella tribuna stampa dello stadio di Bruxelles offrendo le prime tremende testimonianze di quanto stava accadendo sulla curva maledetta, abbiamo anche appreso che i pochi agenti piazzati davanti ai supporters inglesi avevano assistito con grande indifferenza alle prime schermaglie, infischiandosene anche di pesanti provocazioni personali e limitandosi a rivolgere ai teppisti, che si stavano scatenando, pacati inviti alla calma. E' chiaro a questo punto che un servizio così delicato era stato demandato a un corpo assolutamente privo di preparazione oltre che fornito di un equipaggiamento non sufficiente in caso di emergenza. Neppure la presenza di pochi cani lupo poteva agire da deterrente in un caso simile. Ma non basta. Gli interventi effettuati con un minimo di energia hanno avuto effetti addirittura controproducenti perché, contrariamente a quanto era stato annunciato nei giorni prima della partita, nel corso dei quali le autorità belghe avevano pomposamente annunciato rigorosi piani di sicurezza, gli addetti all'ordine pubblico non solo non hanno arrestato gli scalmanati ma non hanno neppure allontanato dallo stadio i più facinorosi. Qualcuno dei teppisti, in effetti, è stato prelevato dalle guardie, ma quasi subito è stato restituito ai compagni dopo una semplice ramanzina. "Con il risultato - hanno proseguito i tifosi italiani sconvolti - di farne eroi agli occhi del loro folli compagni che si sentivano di conseguenza tacitamente autorizzati a incrementare le loro criminali scorrerie". Più tardi, quando la tragedia si era praticamente consumata, sul prato erboso sono comparsi venti poliziotti a cavallo, che però si sono limitati a compiere innocue e, data la situazione, quasi ridicole evoluzioni, mantenendosi comunque ben lontani dal vivo dei tumulti. Soltanto più tardi, e cioè poco prima dell'inizio della gara, sono affluiti rinforzi della polizia e dell'esercito, chiamati con disperati appelli radiotelevisivi dalla capitale e dai centri vicini. Purtroppo però a quel punto la presenza degli agenti e dei loro cani lupo era divenuta quasi superflua. Dello stesso, insufficiente livello, l'apparato di pronto soccorso. Nello stadio erano presenti soltanto tre medici volontari della Croce Rossa insieme con alcuni infermieri il cui prodigarsi, viste le proporzioni del disastro, non è certamente bastato a risolvere il problema. Un esempio per tutti: uno spettatore italiano, colto da infarto vicino a noi e aiutato alla meglio da qualche spettatore di buona volontà, è stato visto da un medico soltanto una ventina di minuti dopo l'attacco cardiaco, mentre la barella con la quale è stato portato all'ospedale è giunta dopo altri dieci minuti d'attesa. Ieri pomeriggio si è appreso che lo sventurato è morto. Davanti allo stadio, poco prima che la partita avesse inizio, è atterrato un elicottero della Protezione Civile belga: avrebbe dovuto essere adibito al trasporto in ospedale dei feriti in gravissime condizioni, ma il velivolo è rimasto inoperoso sul piazzale fino a quando l'incontro si era quasi concluso e cioè per oltre un'ora. La spaventosa conseguenza di tanta superficialità e incoscienza è stata che la tendopoli allestita dalla Croce Rossa belga davanti all'ingresso principale dello stadio, è divenuta più che sede di interventi di pronto soccorso, un'appendice dell'obitorio. p. c. a.

31 maggio 1985

Fonte: Stampa Sera

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

"La partita, un atto di cinismo"

ROMA - "Far disputare Juventus-Liverpool è stata una grande prova di cinismo. Se fosse dipeso da me, la partita non avrebbe avuto luogo": il presidente del Consiglio Craxi non ha usato giri di parole commentando con i giornalisti, sull'aereo che li riportava in Italia da Mosca, la tragedia di Bruxelles. "Ho cercato di parlare da Mosca con la Thatcher, poi con il primo ministro belga Martens, infine con qualcuno allo stadio Heysel dove s’era appena compiuto quel fatto orribile: sono solo riuscito a parlare col ministro belga degli Interni, Nothomb, ma quando il match tra Juventus e Liverpool era già cominciato da cinque minuti. Avessi potuto, avrei fatto sospendere la partita. Non ci sono riuscito. Ho detto a Nothomb che l'opinione pubblica mondiale avrebbe deplorato la sua decisione". Craxi ha indicato ragioni di ordine morale al Ministro belga che adduceva invece quelle di ordine pubblico. Il presidente del Consiglio aveva in precedenza saputo da Roma che i dirigenti della Juventus si erano dichiarati in un primo momento contrari alla disputa della partita. Ma ormai era tardi. Di parere diametralmente opposto a quello del capo del governo ieri si è detto il ministro dell'Interno, Scalfaro: "Io stesso ho avuto qualche pressione politica affinché mi adoperassi perché la partita fosse rinviata. Però credo che la decisione di farla disputare, anche se penosa, sia stata la più saggia: è stata presa esclusivamente per motivi di ordine pubblico". Scalfaro, ricordando l'organizzazione italiana di Roma-Liverpool dell'anno scorso, ha criticato l'organizzazione e la designazione di Bruxelles come sede della finale. Sul tema del disastro logistico che ha preparato la tragedia sono fioccate ieri le prese di posizione, le interrogazioni e le interpellanze al Senato e alla Camera che come tutti gli edifici pubblici avevano abbrunato la loro bandiera. Manifestando sdegno, il segretario della Dc De Mita ha condannato la "totale insufficienza e la leggerezza" dell'organizzazione. Poi, parlando degli incidenti, ha detto: "Un teppismo ai limiti del razzismo, una violenza che non trova alcuna giustificazione nei contrasti sportivi". In casa dc, però, c'è anche chi non è d'accordo con Scalfaro. Tre deputati democristiani hanno presentato un'interrogazione per conoscere i motivi che hanno consentito lo svolgimento della finale. I tre sollecitano anche un provvedimento disciplinare contro il telecronista Bruno Pizzul, che ha parlato "di giornata radiosa per il calcio italiano". Nilde Jotti e Francesco Cossiga, presidenti della Camera e del Senato, hanno commemorato in mattinata e nel pomeriggio le vittime della tragica serata. Per tutto il giorno si sono incrociate le telefonate di cordoglio tra Re Baldovino e il presidente Pertini, che ha ricevuto il ministro dei Trasporti e l'ambasciatore belgi al Quirinale, latori di messaggi di cordoglio del governo. Craxi ha ricevuto un telegramma dello stesso tenore da parte del premier belga, Martens. Il Consiglio dei Ministri di oggi si occuperà in apertura della tragedia di Bruxelles. Per il Pci, il presidente dell'Arci, Serri, ha chiesto che sia fissata la data, dopo il referendum, per una discussione del Parlamento sulla "violenza negli stadi", e ha criticato il modo in cui si è comportata la Rai, critica questa che è stata ripresa da diversi altri parlamentari. Democrazia proletaria ha chiesto alla Federcalcio di sospendere il calcio di serie B e C, domenica prossima, in segno di lutto e per favorire la riflessione. Ancora: il ministro socialdemocratico Nicolazzi, reduce da Bruxelles, ha diffuso la sua testimonianza concordando con la necessità di giocare, posizione che era della grande maggioranza dei parlamentari che ieri pomeriggio hanno dibattuto al Senato con il governo gli aspetti della tragedia. "Ma se si è giocato per l'ordine pubblico", ha detto il senatore dc d'Onofrio, "è incredibile che la Juve non abbia poi rinunciato alla Coppa". CON UN TELEGRAMMA AL PRESIDENTE CEI IL PAPA ESPRIME "VIVO ORRORE E CONDANNA" ROMA - Con un telegramma inviato a suo nome dal segretario di Stato, Casaroli, al presidente della Cei, Ballestrero, il pontefice ha espresso il suo "vivo orrore" e la sua condanna, per la tragedia di Bruxelles, provocata da "comportamenti feroci e irrazionali". Giovanni Paolo II auspica che "organizzazioni sportive, autorità competenti e strumenti di comunicazione sociale si adoperino con concorde e tempestivo impegno per creare una visione dello sport che sia veramente al servizio dell'uomo". Un altro telegramma è stato inviato da Casaroli, sempre a nome del papa, all'arcivescovo di Malines-Bruxelles: "Il Santo Padre mi incarica di assicurarvi che egli è profondamente colpito da una simile violenza e dalle sue conseguenze, che egli deplora dal fondo dell'anima.

31 maggio 1985

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

Partiti da Caselle i parenti delle vittime

"Mio marito in quell'inferno ancora non so nulla"

Ciascuna delle ventisei persone partite stamane alle 12 da Caselle dirette a Bruxelles, a bordo di un aereo del 31° stormo dell'Aeronautica Militare, difficilmente potrà dimenticare questo viaggio, come porterà per sempre il segno di quanto avvenuto mercoledì sera nello stadio Heysel: loro non c'erano, ma i loro cari sì, e tutti sono rimasti vittime della furia degli hooligans o schiacciati dalla folla in preda al panico. Non tutti si sono imbarcati con la certezza di aver perduto un parente, ma anche chi sa di trovare il congiunto ancora in vita o addirittura non sa ancora nulla (è il caso della moglie e della cognata di Marco Manfredi di Moncalieri, che risulta "disperso") è partito visibilmente con il cuore pesante. Come Carmine Salamida e Giuseppina Locatelli, i genitori di Laura Salamida, vent'anni spenti dalla violenza assurda dei tifosi inglesi: "Nostra figlia è in coma profondo, non ha più ripreso conoscenza dall'altra sera - dice il padre, mentre la madre singhiozza sommessamente, senza riuscire a parlare. - C'è voluto parecchio per poter sapere qualcosa di lei, sembrava svanita nel nulla, ho dovuto smuovere mari e monti. Quelle bestie ! Praticamente nuda, l'hanno trovata, poverina. Ma non fatemi parlare"... Con i Salamida hanno preso posto sull'aereo, atterrato alle 11,40 a Caselle con già a bordo dieci persone (otto salite a Roma, due a Bari), altri 14 parenti di vittime della strage di Bruxelles. C'erano cinque congiunti di Giovacchino Landini, il titolare cinquantenne della trattoria di via Spotorno 33 alla sua prima "trasferta" al seguito della Juventus: la moglie Carola Bandiera, i figli Monica e Andrea, di 22 e 15 anni, stretti alla madre, che pur disperata ha trovato la forza di parlare con i giornalisti davanti al freddo obiettivo della televisione, rincuorata anche dal fratello Mauro e dal cognato Angelo. E c'erano due fratelli di Domenico Russo, l'elettricista ventiseienne di Moncalieri la cui identità è stata definitivamente accertata ieri pomeriggio: sui volti di Giuseppe e Giambattista Russo le tracce del dolore, ma soprattutto della rabbia di fronte all'incredibile motivo della morte del loro caro. "Avremmo voluto partire subito, ma ci è stato consigliato di aspettare, di non prendere iniziative personali perché ci avrebbero aiutato. Ora andiamo a Bruxelles ma non sappiamo ancora se potremo riportarci indietro i corpi, c'è ancora molta confusione, troppa" - dicono tutti, qualcuno trattenendo a stento imprecazioni contro i responsabili della strage, "che non sono solo quei pazzi inglesi, sia chiaro". Giambattista Russo aggiunge, cupo: "Io di là non mi muovo se non con il corpo di mio fratello". A Torino salgono sull'aereo anche quattro parenti di Barbara Lusci Margiotta, 57 anni, di Domus Nova (Cagliari): Annamaria Margiotta, Maria Rosa Lusci, Francesco Nativo e Giuseppe Pellegatti sono arrivati stamattina da Genova. Non vogliono parlare, restano in disparte chiusi nel loro dolore. Muta per il dolore Wanda De Biase: è la sorella di Loris Messore, 27 anni, torinese di nascita ma da tempo trasferito a Frosinone. Anche per lei la cruda certezza di non poter far altro che fissare per l'ultima volta un viso che non sorriderà più, il viso di un giovane partito martedì, come tanti altri, pieno d'allegria alla prospettiva di assistere alla "supersfida" dei campioni d'Europa. Uguale certezza non hanno invece Rosita e Daniela Binelli, moglie e cognata di Marco Manfredi, 40 anni, fattorino all'ospedale di Moncalieri, dove abita con la famiglia in vicolo (omissis): il suo nome non risulta né fra quelli dei morti né sull'elenco dei feriti, ma il giovane non ha più dato notizia di sé. Il timore dei parenti (la figlia diciottenne Maruska è rimasta ad attendere a casa) è che una delle vittime non ancora identificate sia proprio lui, ma resta viva anche la speranza che sia ancora in vita, seppur in tali condizioni da non poter farsi riconoscere. Marco Manfredi è partito da Torino la sera di martedì, in pullman.

31 maggio 1985

Fonte: Stampa Sera

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

Gli sportivi della città raccontano la tragica serata vissuta nello stadio di Bruxelles.

"Ho visto morire i nostri tifosi"

di Maurizio Alfisi

Lo ha telefonato un biellese alla sorella - I 300 juventini stanno rientrando dal Belgio, pare che fra loro vi sia qualche ferito - Ansia per un gruppo partito da Sala e da Torrazzo - Ore di angoscia nella scorsa notte.

BIELLA - Erano più di 300 i biellesi a Bruxelles per la finale della Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool, e fortunatamente sembra che tra di loro ci sia soltanto qualche ferito leggero. Le notizie che arrivano in città per il momento sono ancora frammentarie, in quanto ieri mattina, dopo la drammatica notte di Bruxelles, erano rientrate solo le avanguardie, una ventina di persone con i voli charter. Il grosso era atteso nella notte o nelle prime ore della giornata. Per i parenti dei tifosi biellesi è stata quindi una giornata lunghissima, interminabile, angosciosa, iniziata alle 20 di mercoledì, quando la televisione ha mostrato le prime immagini degli incidenti allo stadio Heysel. La gente è rimasta come paralizzata davanti al televisore, chiedendosi che cosa fare per sapere qualcosa dei loro cari, mentre molti tifosi rimasti a casa incominciavano a manifestare il loro sdegno per quanto stava accadendo. La prima telefonata in redazione è giunta verso le 21.30. Una voce concitata ha urlato: "La Uefa è una pena". Poi quando sono iniziate a trapelare le notizie sul numero dei morti è stato un susseguirsi di telefonate e anche di prime testimonianze. A Candelo abita Giuseppina Aliprandi, 37 anni, originaria di Tradate in provincia di Varese. Suo fratello Dino, 43 anni, era a Bruxelles con una comitiva di lombardi, su quella maledetta curva "Z", e ha visto morire gli italiani. Racconta la donna, titolare di un notissimo centro di abbigliamento: "Ero ancora in negozio quando sono venuti a chiamarmi, per avvisarmi di quanto stava capitando a Bruxelles. Quando ho visto le immagini alla tv mi sono sentita raggelare. Per fortuna mio fratello Dino ha telefonato verso le 21. Era sotto choc, non era ferito, e voleva tranquillizzarci. Ha detto poche parole, poi ha dovuto riattaccare per lasciare la linea ad altri italiani che dovevano telefonare. Ha richiamato poi verso le 23 e ci ha raccontato qualcosa. Era vicino ad un suo amico di Varese in mezzo ad altri tifosi juventini quando si sono visti piombare addosso la marea dei reds del Liverpool. Erano tutti giovani, ubriachi". Dice ancora la signora Aliprandi: "Mio fratello ci ha raccontato che stavano retrocedendo verso il muro, quando questo ha ceduto e il suo amico è stato travolto. Lui gli è rimasto accanto in mezzo alle vittime fino all'ultimo, poi quando si è reso conto che era morto e che stava rischiando anche lui di fare la stessa fine, è riuscito a farsi largo, a scavalcare la rete di recinzione e a mettersi in salvo in mezzo al campo di gioco". Dino Aliprandi, sconvolto, non ha più seguito la partita, ma ha lasciato lo stadio per andare a vegliare i morti che incominciavano ad essere portati in un'improvvisata camera ardente. Non ha visto la partita nemmeno Piero Mercandino, 27 anni, di Tollegno. Il giovane con un gruppetto di altri biellesi aveva raggiunto Bruxelles con un volo charter, ed è stato quindi uno dei primi a rientrare a Biella. A casa è la madre, Regina Lorenzoni, che risponde al telefono: "Mio figlio è ancora sotto choc, non ha voglia di parlare di quanto ha visto. Neanche a noi ha detto molto. So solo che le cose si stavano mettendo male ed è riuscito a scavalcare il muretto, che poi è crollato, e si è rifugiato all'aeroporto". Marco Debernardi, dirigente della locale squadra della Biellese, era nella tribuna vicina alla curva "Z". Al suo rientro racconta: "Ho girato molti stadi, ma quello che ho visto a Bruxelles mi ha fatto venire la nausea. Questi inglesi era tutto il giorno che imperversavano. Li si vedeva per la strada ubriachi fradici. Avevano già rotto vetrine e scatenato varie zuffe". Prosegue Debernardi: "Allo stadio, quando sono arrivato verso le 18.30, lanciavano lattine di birra piene, pietre. Cose da delinquenti. Verso le 20 ho visto nella tribuna dove c'erano gli italiani e gli inglesi un ondeggiamento pauroso. La gente correva tutta da una parte sotto la carica dei "reds" ed è finita tutta una sopra l'altra. L'agenzia della Dinotours, la società di trasporti che aveva organizzato i viaggi dei club bianconeri, è stata subissata di richieste di informazioni. Dice una delle impiegate, Graziella Gamberini: "Avevamo fuori quattro autobus. Uno, con il nostro titolare Giorgio Piccone, era partito da Cigliano. Gli altri erano di una comitiva di Coggiola in Valsessera, uno dei "fedelissimi bianconeri" e l'ultimo per il Juventus Club di Biella. Stanno rientrando tutti e sembra che non abbiano avuto danni di rilievo". Diversa la situazione in vari centri della Serra. Da Sala e da Torrazzo sono andate via diverse comitive. Di tre giovani, Renzo Bersano, Massimo Cesale Ros e Giorgio Cossavella, che avevano raggiunto Bruxelles con i pullman del club di Torino, ieri sera non c'erano ancora notizie precise. A casa Cossavella dicono: "Abbiamo telefonato invano ai numeri telefonici che indicava la televisione. Ma è stato impossibile ottenere la comunicazione. Le linee dovevano essere state prese d'assalto, ed erano a dir poco intasate. Potete quindi immaginare la nostra ansia, anche se da Torino hanno cercato di tranquillizzarci dicendoci che stavano rientrando tutti sani e salvi. Ma fino a quando non saranno a casa non starò tranquilla". Sta rientrando anche una comitiva di privati composta da Roberto Verdola, Giovanni Atesina, Carletto e Mauro Menaldo, Marco Finotto, Bruno Giansetti, Franck Chiarini e Marco Zanetto. Dice Serena Atesina: "Per me qualcuno di loro è ferito. Abbiamo potuto parlare solo con degli amici a Parigi che sono stati troppo evasivi sulle loro condizioni di salute. Speriamo che tornino presto".

31 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

Erano circa 250 i vercellesi nella tragica serata di Bruxelles

Parlano i "reduci dell'Heysel"

di Daniele Cabras

"Gli inglesi avevano accette, martelli e coltelli" - "C'erano almeno diecimila persone in più rispetto ai posti disponibili" - Due coniugi: "Ce ne siamo andati dallo stadio subito dopo gli incidenti" - "Mai più a una partita con gli inglesi" - Dure critiche al servizio d'ordine della polizia belga - I pullman sono rientrati ieri pomeriggio.

VERCELLI - Per i parenti dei tifosi vercellesi che hanno seguito la Juventus in trasferta (circa 250 persone) quella di mercoledì è stata la notte della paura. Dopo le tragiche immagini apparse alla tv durante le trasmissioni in diretta si sono precipitati al telefono per avere notizie dei loro cari. La prima rassicurante telefonata dal Belgio è giunta al bar del Villaggio Concordia, in via Martiri del Kiwù: l'ha ricevuta Giuseppina Vincenzi che gestisce il locale. Il marito Sergio, autista di uno dei torpedoni che hanno lasciato la città per Bruxelles, le ha detto: "Va tutto bene, non preoccuparti. Tra noi non ci sono morti o feriti". La signora Vincenzi, che aveva i numeri di telefono di chi è partito, ha chiamato i parenti per avvertirli. La tensione si è allentata, ma la preoccupazione è rimasta. Poi l'incubo è finito: il primo a tornare è stato il pullman organizzato dal Bar Borsa, in piazza Zumaglini i tifosi sono stati attorniati dalla gente; si sono formati capannelli di persone ansiose di sapere che cosa era avvenuto nello stadio della morte. E' scattata la molla dello sdegno: tutti hanno accusato il servizio d'ordine, le strutture precarie del campo sportivo, la tifoseria inglese". Bisogna farla finita. Noi dei club juventini siamo disgustati per il comportamento di certi tifosi. Gli italiani ? Certo, alla fine qualcuno dei nostri connazionali ha reagito, ma è stata più che altro la disperazione". Chi parla è Giuseppe Biagioni. Gli è accanto il fratello maggiore, Sergio. La voce si fa rauca, l'espressione del viso tradisce la tensione accumulata nelle ultime ore: "Abbiamo visto gli inglesi attaccarci, brandendo martelli, accette, coltelli. Poi il dramma: la rete metallica sfondata, la gente calpestata dall'orda selvaggia". Tra i vercellesi c'è chi si è rifiutato di vedere tanto orrore. E' il caso dei coniugi Rosso, Bruno e Maria Teresa: "Alle 18 nello stadio si sono verificati i primi episodi di intolleranza, degenerati poi nella strage. Ci siamo guardati e, senza dir altro, ci siamo alzati. A fatica abbiamo lasciato il campo sportivo. E' stata una felice decisione". Massimo Principe deplora l'organizzazione dell'incontro: "I posti disponibili nello stadio sono 50 mila, ma sulle gradinate c'erano almeno 10 mila persone in più: ho sentito voci secondo cui molti biglietti erano falsi". Ieri mattina, in aereo, sono giunti da Bruxelles Giovanni Averone ed Elsa Teco, di Cigliano, che hanno seguito la squadra bianconera con un gruppo formato da una trentina di persone. Il loro racconto è quello degli altri tifosi: "L'assenza delle forze dell'ordine è ingiustificabile: i pochi agenti che presidiavano lo stadio erano incapaci di affrontare la situazione". La paura è finita. Molti tifosi vercellesi giurano: "Non andremo più in uno stadio ad assistere a partite con gli inglesi". A Crescentino la prima chiamata rassicurante è arrivata a Pietro Finotti, uno dei responsabili del Juventus club: "Alle 3 di notte i tifosi che erano partiti con il nostro pullman ci hanno avvertiti che stavano tutti bene e che avrebbero pernottato in un albergo di Lille. Ho subito avvisato tutti i parenti".

31 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

In quattrocento, volti tirati, qualche contuso e ferito

Incontro con i tifosi a Domodossola sul primo treno che tornava in Italia

di Adriano Velli

DOMODOSSOLA - Stazione Internazionale di Domodossola, ore 14.45 di giovedì: arriva sul secondo binario un treno speciale con quattrocento tifosi juventini reduci dall'inferno di Bruxelles. Avrebbe dovuto essere un ritorno festoso per tutti. E' stato invece un viaggio mesto e angoscioso, dopo l’avventura allucinante trascorsa allo stadio Heysel. In tutti gli scompartimenti, facce tirate, gente visibilmente provata dalla tremenda esperienza che ha solo una gran voglia di esprimere la propria rabbia per una tragedia assurda. C'è chi ha visto la morte da vicino. Racconta Renzo Tibiletti che abita in un piccolo centro vicino a Milano: "Ero nella curva della morte. Gli inglesi hanno cominciato a bersagliarci con una fitta sassaiola che è andata avanti per almeno venti minuti senza che nessuno intervenisse. Non c'era l'ombra di un poliziotto. Poi hanno organizzato una vera e propria carica, sfondando la rete di protezione: è successo il finimondo. Mi sono trovato in un groviglio di corpi: sotto di me c'erano alcuni morti, non so neppure come sono riuscito ad alzarmi e a mettermi in salvo". Giovanni Ferdani, di Milano: "Ero appoggiato al parapetto che è crollato sotto la pressione della folla. Quando ha ceduto, qualcuno mi ha afferrato e trascinato via, non so a chi devo la vita". Fabio Tassan, milanese, è uno dei pochi feriti leggeri che viaggiano sul treno. Ha il naso bendato, ferite sulla guancia e sulla fronte. "Mi sono visto precipitare addosso un'orda scatenata, ho perso subito conoscenza, mi sono risvegliato in ospedale". Sul convoglio, organizzato da una nota agenzia milanese, ci sono sportivi di tutti i centri della Lombardia, qualche piemontese, piccoli gruppi di ogni parte d'Italia che si sono aggregati al viaggio. Tutti ci chiedono di parlare della scandalosa inefficienza del servizio d'ordine allo stadio: "La polizia caricava noi perché aveva paura degli inglesi che giravano indisturbati con spranghe di ferro e seminavano il terrore. Alcuni erano addirittura armati. Si sono viste cose inaudite". Aggiunge un tifoso che da anni segue la Juventus nelle gare di Coppa: "Anche a Basilea era caduta una recinzione che separava le opposte tifoserie. Ma la polizia è intervenuta subito ed energicamente, non è successo nulla". Ad attendere il treno dei supporter juventini c'era un commissario della Polfer di Milano con una decina di agenti, oltre a quelli del settore di frontiera". Abbiamo organizzato un servizio di scorta sul tratto italiano - ha detto il funzionario - esclusivamente per garantire ogni forma di assistenza a chi ne avesse bisogno, non certo per questioni di sicurezza". Per gli agenti della polizia ferroviaria, ci sono state subito manifestazioni di simpatia.

31 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

La notte d'angoscia in attesa di notizie

di Liliano Laurenzi

NOVARA - Ecco la cronaca della serata, cosi come è stata vissuta a Novara. Alle 20 le strade appaiono deserte. Tutti sono incollati al televisore. Quando avviene il primo collegamento il dramma è già accaduto e si intuisce tutta la gravità nello scambio di parole che avviene tra Pizzul e il commentatore italiano. Pizzul parla di morti e feriti senza poter quantificare: afferma che non è in grado di effettuare una telecronaca "normale" dopo che lo sport è stato assassinato. Le prime scene mostrano uno squarcio di tribuna completamente devastato e presidiato ancora da un gruppetto di tifosi mascherati in lotta con i poliziotti locali armati di elmetto e scudi protettivi. Da quel momento incomincia l'incubo per circa 300 famiglie novaresi che hanno figli, mariti e parenti sugli spalti dell'Heysel. Le prime telefonate si incrociano. I familiari dei tifosi presenti a Bruxelles vogliono sapere qualcosa, avere qualche informazione che in parte li rassicuri. Platini, Rossi, Tardelli, non interessano più e tutti fanno la "conta" degli amici che si trovano sugli spalti arrossati dal sangue, circa 300 partiti con i pullman organizzati dal "Club Juventus", aerei ed auto private. I bar e i ritrovi sportivi si trasformano via via in centri di angosciosa attesa, mentre sugli schermi televisivi quella che doveva essere la "sfida" per stabilire la squadra campione d'Europa continuava senza interesse anche quando Platini realizza su rigore il gol vincente della serata. Quando l'incontro si conclude in città non mancano i festanti "caroselli": auto e motociclette con i drappi bianconeri per oltre un'ora hanno, bisogna dirlo, rovinato il silenzio della snervante attesa di notizie. Qualcuno grida, a quanti stanno festeggiando, che non è il caso di gioire davanti alle scene che stanno apparendo sui teleschermi. Proprio in quel momento, infatti, vengono mandate in onda le immagini strazianti della mortale carica. Ed a questo punto l'attesa di notizie da parte delle 300 famiglie novaresi si fa ancor più spasmodica. E' stato Peppino Molina, l'ex allenatore del Novara Calcio, verso mezzanotte, a portare la prima negativa esperienza personale: suo figlio Roberto, 32 anni, è tra i feriti. Si trovava in compagnia di tre amici, tutti di Novara tra cui Mario Spanu, quando è stato travolto dall'ondata di corpi degli altri tifosi. Molina è ancora teso e visibilmente toccato da questa brutta esperienza. Agli amici riferisce la breve telefonata fattagli dal figlio. Dice: "Ho perso tre anni di vita in attesa di notizie dopo che una prima telefonata mi aveva avvisato che Roberto si trovava tra i feriti. Quando ho potuto parlare con lui ho appreso che due del gruppo erano dati per scomparsi e vi lascio immaginare quel che ho provato". Altre notizie si accavallano nella notte, quasi tutte per fortuna, non allarmanti. Nello stadio si trova anche il consigliere comunale Bruno Galli, del gruppo comunista, che si salva pur trovandosi nella zona della mischia. Dopo un'attesa di tre ore ha telefonato a casa per rassicurare la moglie. Era fuggito fuori dallo stadio rifugiandosi in un caffè senza più interessarsi della partita. Al telefono ha detto: "Una terribile esperienza che mi ha fatto riflettere su molte cose". Quando ieri mattina le notizie sono state ufficializzate la tensione invece di placarsi è andata aumentando. I primi, rientrati in aereo, aggiungevano molti particolari a quei pochi spezzoni visti in televisione. Il grosso dei tifosi novaresi arriverà però in pullman, senza l'aria festosa che era in programma in caso di vittoria. Le scene avvenute in quell'angolo dello stadio dell'Heysel rimarranno nella loro memoria per sempre, anche se tutti non erano alla prima esperienza in fatto di disordini ed incidenti vari negli stadi calcistici.

31 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

Tante testimonianze del dramma

Albenga: "Eravamo in quella gradinata"

di Giuseppe Morchio

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE ALBENGA - Centinaia di tifosi juventini erano partiti dal ponente savonese diretti a Bruxelles per la finale della Coppa dei Campioni con ogni mezzo: pullman, treno, aereo, auto. Sono rientrati a partire da ieri mattina ancora inorriditi per la terribile esperienza di cui sono stati spettatori e in qualche caso protagonisti. Nessuno ha subito gravi ferite nell'inferno dell'Heysel, ma molti sono contusi e recano i segni della guerriglia divampata sugli spalti. Lo Juventus Alassio aveva organizzato un pullman con 60 posti ed ha raccolto tifosi a Diano Marina, Laigueglia, Alassio, Albenga, Ceriate, Loano. Altri sostenitori bianconeri si sono associati a comitive in partenza da Genova, altri ancora da Torino. Tutti sono riusciti in qualche modo ad avvertire le famiglie di essere salvi, anche quei pochi che hanno avuto la disavventura di essere coinvolti nello scontro coi supporters inglesi. Tra i primi a rientrare a casa da Bruxelles, ieri mattina, verso mezzogiorno, con un volo charter diretto a Genova, Massimo De Martini e Moreno Dentella. Massimo ha raccontato: "Ho subito lievi escoriazioni ad un braccio e ad una mano, sono stato medicato allo stadio. Mi sono trovato nel punto più pericoloso della gradinata, ove è avvenuta la tragedia. La polizia non ci lasciava scendere sul campo, gli inglesi avanzavano con coltelli e cocci di bottiglia. Sono riuscito in qualche modo a fuggire e a raggiungere direttamente l'aeroporto". I familiari di Anton Moreno, di Albenga, uno dei leader del tifo bianconero della zona, hanno detto: "è riuscito a telefonare alle 22.30. Aveva lasciato quasi subito la tribuna". Con una caviglia gonfia è rientrato ieri sera a Laigueglia, dopo il ritorno attraverso Francia e Svizzera, Giampaolo Ceriotti; erano con lui, tra gli altri, Luca Savoini e Francesco Pietrantonio. I genitori di Giampaolo riferiscono: "Eravamo disperati. Per avvertirci hanno però dovuto portarsi in Francia perché le linee telefoniche del Belgio erano bloccate".

31 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

Diano Marina, davanti alla tv lunga attesa per duecento

di Fulvio Damele

NOSTRO SERVIZIO IMPERIA - "Hanno appena telefonato in sede. I nostri stanno tutti bene. Raccontano scene terribili", con queste parole Giuseppe Tarable, presidente dello Juventus club di Diano Marina ha interrotto il pesante silenzio in cui si seguivano le immagini del collegamento diretto. Tra le circa 200 persone che attonite stavano assistendo alla trasmissione nella sala video di Bar Marabotto, quasi tutti avevano un amico o parente a Bruxelles. Un ultimo terribile interrogativo per i tifosi partiti in auto, una domanda rimasta senza risposta per buona parte della nottata. A Diano Marina la tragedia di Bruxelles è stata seguita, drammaticamente, attimo dopo attimo: la sede del Juventus club aveva fatto da centro di coordinamento dell'esodo bianconero in Belgio dei tifosi di Imperia, Andora, Arma di Taggia e in parte di Alassio. Spiega Tarable: "Non sapevamo cosa rispondere alle decine di famigliari e amici che chiedevano notizie. Buona parte dei tifosi che si era appoggiata al nostro club aveva biglietti per i settori M, N, O nella curva riservata alla Juve e opposta a quella degli incidenti, ma c'era anche un'altra certezza: anche fra coloro che viaggiavano sul nostro pullman, chi non aveva trovato i biglietti messi a disposizione dallo Juventus Club, ne aveva acquistato altri nella curva dove si trovavano gli inglesi, in particolare proprio nel settore Z". Da Moulhouse, in Francia, dove la comitiva dello Juventus Club "Dea Diana" si era fermata hanno telefonato in redazione molti tifosi: "Ho visto la morte in faccia, ero a meno di cinque metri da dove è successa la disgrazia". "Sono stato travolto e quando ho provato a rialzarmi mi sono reso conto che a bloccarmi a terra era il corpo di una persona esanime", "Sono caduto, mi è venuto sopra un giovane ferito, mi sono rialzato in un bagno di sangue", "Tutto è iniziato per qualche bandiera: un tifoso inglese è venuto a strapparcele. Nessuno ha reagito e allora hanno dato il via all'assalto", "Non riesco a pensarci: centinaia di persone, giovani donne, bambini, una sull'altra, investiti da lanci d'oggetti d'ogni tipo. Urla disperate, sangue dappertutto". A rimanere leggermente ferito sugli spalti dello "Stade du Heysel" è stato anche un giovane di Costa D'Oneglia, nell'entroterra di Imperia. Si tratta di Luca D'Amore, 21 anni, studente. Racconta la madre Marisa: "Adesso sta bene, gli ho parlato. E' rimasto schiacciato dalla calca. Semisvenuto lo hanno portato all'ospedale e sottoposto ad una lunga serie di esami". Col ragazzo si trovavano lo zio Mimmo Garibaldi, 38 anni ed un amico Marco Berto.

31 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

di Massimo Numa

NOSTRO SERVIZIO. SAVONA - Il terrore di Bruxelles ha coinvolto anche molte famiglie savonesi: tanti erano partiti alla volta dello stadio Heysel per assistere alla partita. Quando le immagini della diretta televisiva hanno mostrato la furia devastatrice degli inglesi, e la morte di decine di spettatori, sono cominciate l'ansia e la paura. Alcuni hanno telefonato alla prefettura, perché le linee messe a disposizione dalla Farnesina erano sempre occupate. Ma neanche i funzionari sono riusciti a calmare madri, padri e mogli degli sportivi ancora in Belgio. Nella notte sono arrivate le prime telefonate degli scampati. Il caso più drammatico è quello di Aldo Scalise, 32, anni, piazzale Moroni, panettiere, sposato e padre di tre figli: Celestina 3 anni, Agostino 11 e Angelo 9. E' riuscito a mettersi in contatto con il padre e il fratello. L'uomo appare nella foto, diffusa ieri dalla Reuter e pubblicata da tutti i quotidiani, del momento più drammatico della tragedia. Dietro di lui la marea di folla sta per precipitare nel vuoto sospinta da una folla. Ha raccontato al padre e al fratello: "Ho visto una decina di cadaveri, una massa informe di corpi sotto di me. Sono salvo per miracolo. La folla spingeva sempre più forte, era impossibile allontanarsi". Il padre, Agostino, è ancora sotto choc, così come il fratello e gli amici che lo hanno riconosciuto ieri mattina, proprio dalla foto comparsa sui giornali. Altre testimonianze. Quella di Paolo Ferro di Millesimo: "Insieme ad un amico, Maurizio Ferrecchi, siamo partiti in auto per Bruxelles. Abbiamo raggiunto di buon'ora lo stadio. Alle 18,15 si è iniziata una partita fra ragazzini. E gli incidenti sono avvenuti proprio allora. Eravamo in un settore vicino a quello della morte. Abbiamo visto gli inglesi lanciare bottiglie, colpire con spranghe, divellere le reti. E la polizia stava a guardare. Quando i tifosi del Liverpool hanno caricato gli italiani, non s'è capito più nulla". Angela Corbellino, moglie di Franco Traverso, ex presidente del Juventus Club Torino, sede di Savona, è rientrata ieri mattina in aereo. Ha ricordi poco nitidi della tragedia. Era in una parte dello stadio risparmiata dagli incidenti. Sintomatica la descrizione delle ore che hanno preceduto i fatti: "Alla mattina, per le vie di Bruxelles, abbiamo incontrato insieme ad altri juventini, i tifosi del Liverpool. Ci sono stati scambi di bandiere e berretti. Erano calmi. Portavano con se cassette di birra, l'unico fatto che mi ha colpito".

31 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

Il drammatico racconto di due tifosi salvi per miracolo

Il volto livido della morte in quella curva maledetta

CUNEO - Erano nella curva maledetta, hanno visto la morte in faccia. Guido Girando e Sergio Nasi, tifosi cuneesi, hanno rischiato la vita nell'inferno dell'Heysel di Bruxelles. Ora sono ricoverati, in osservazione, nel reparto di neurochirurgia 2 dell'ospedale Santa Croce di Cuneo: le loro condizioni, comunque, non sono preoccupanti. Per Guido Giraudo, 25 anni, contitolare della tipografia Saste, di via (omissis), abitante in via (omissis), il referto medico riporta "trauma multiplo al torace e all'addome": guarirà in quindici giorni. Sergio Nasi, anch'egli di 25 anni, abitante a Borgo San Dalmazzo in via (omissis), è ancora in osservazione, ma neppure le sue condizioni preoccupano. Nessuno dei due se la sente di raccontare la brutta avventura, di ricostruire quei terribili momenti, trascorsi in balia di una folla impazzita e inferocita. Ne parla, riferendo ciò che ha sentito dal congiunto, il fratello di Guido Giraudo. Erano partiti nel primo pomeriggio di mercoledì, con un volo speciale, dall'aeroporto di Torino Caselle. Avevano fatto una lunga e snervante coda davanti all'unico ingresso dello stadio di Bruxelles. Poi, finalmente, erano riusciti ad entrare, avevano trovato un posto a ridosso della curva "Z", occupata dai tifosi del Liverpool. Racconta il fratello di Giraudo: "Che l'atmosfera fosse surriscaldata se ne sono accorti quasi subito: gli inglesi insultavano e lanciavano sassi, come dei pazzi". Hanno cercato di allontanarsi dalla fragile rete di protezione che li separava dai "reds" mentre gli inglesi apparivano impazziti, si avventavano contro i tifosi italiani. Sotto la pressione della folla crolla un muro: Sergio Nasi riesce a scavalcarlo in tempo e a mettersi al sicuro, pur riportando delle contusioni; Guido Giraudo, invece, resta imprigionato tra la folla e le macerie, invoca aiuto. "Ci ha detto che lo ha salvato un fotografo, forse un giornalista, non di certo un poliziotto: dei gendarmi belgi non c'era l'ombra" continua il fratello. Soccorso, è stato medicato e fasciato nel campo ospedale allestito all'esterno dello stadio. Poi la corsa all'aeroporto e il ritorno, ieri mattina, a casa, ancora frastornati e increduli di fronte a quanto è successo. P.P.L

31 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

Boniperti: "La partita non l'ho vista"

"Bisogna vietare ai tifosi inglesi di uscire dall'isola". "Organizzazione disastrosa, eppure a Bruxelles c'erano già stati incidenti".

TORINO - "Ho negli occhi i corpi martoriati di padre e figlio, coperti con una bandiera bianconera, una scena straziante, una delle tante, uno spettacolo orrendo, mai vista una cosa simile". Sono parole di Giampiero Boniperti. E' triste. Prima di lasciare Bruxelles, il presidente della Juventus, insieme con il vicepresidente avvocato Chiusano s'era recato in ospedale a trovare i duecento feriti: "Sembrava un campo di battaglia, nessuno dimenticherà questa immane tragedia, il dolore e lo choc sono troppo grandi. Siamo moralmente distrutti. Cosa potevamo fare noi per evitarla ? Da quindici anni, da quando sono presidente, era mai successo nulla del genere". Non ha visto neppure un minuto, della partita, impegnato com'era negli spogliatoi e in tribuna d'onore a far fronte ad una situazione che assumeva proporzioni troppo grandi, con un bilancio di vite umane pesantissimo, che faceva passare in secondo piano tutto il resto. Prima con i giornalisti e poi intervistato da Platini in tv, Boniperti ha affrontato le atrocità della "guerra" di Bruxelles: "Non volevamo giocare per ovvie ragioni - ripete - ma il presidente dell'Uefa, George, ci ha costretto ed abbiamo vinto. Dedichiamo, abbracciandoli, ai nostri tifosi che piangono i loro morti, agli altri che sono costernati, questa Coppa più ambita e, purtroppo, macchiata di sangue". Dopo il messaggio, Boniperti lancia accuse all'organizzazione: "Vanno presi provvedimenti. Dentro e attorno lo stadio Heysel non c'era un adeguato servizio d'ordine, malgrado tutti fossero a conoscenza del tifo turbolento degli inglesi che già due anni fa, in occasione di Anderlecht-Tottenham disputatasi sullo stesso campo, avevano provocato gravi incidenti. Quelli di Liverpool sono i più pazzi, autentici "animals". Sono i principali colpevoli. Per un po' di tempo dovrebbero loro inibire di lasciare l'isola. Per certe competizioni è ormai necessario mobilitare un esercito e giocare magari in Unione Sovietica". In Supercoppa (e forse in Coppa del Campioni) la Juventus dovrà affrontare l'Everton, l'altra squadra di Liverpool neo campione d'Inghilterra e vincitrice della Coppa delle Coppe. Platini dice che a Montecarlo, la sede designata, non vogliono i tifosi d'oltre Manica. Il premier Margaret Thatcher vorrebbe addirittura escludere le squadre inglesi dalle competizioni internazionali. Una questione delicata. Si dovrà, dunque, giocare a porte chiuse ? "E’ presto per porci il problema - risponde Boniperti - ma i teppisti vanno isolati. Se abbiamo giocato a Bruxelles è solo per riparare agli errori monumentali commessi dalla gendarmeria belga". — In uno stadio più grande la tragedia poteva essere evitata ? "Sarebbe accaduta la stessa cosa senza l'ausilio della forza pubblica. C'è stata troppa leggerezza. Solo dopo gli incidenti sono arrivati duemila poliziotti". — Una Coppa tanto attesa, pagata a caro prezzo... "La partita ha avuto storia a sé e la vittoria è molto importante per noi e per i nostri tifosi. L'esultanza finale voleva essere un saluto a quelli venuti sino a Bruxelles e, pur nel dolore, un omaggio al caduti". b. b.

31 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

Così furono venduti i biglietti della morte

di Angelo Conti

Speculazione e bagarinaggio hanno messo in circolazione i biglietti del settore Z.

Cento biglietti del "settore Z" dello stadio Heysel, teatro degli scontri, erano finiti a Torino. Lo aveva spiegato a "La Stampa", non nascondendo le sue preoccupazioni, un bagarino napoletano, in azione martedì davanti alla sede della Juventus, in Galleria San Federico. "Stanno succedendo cose incredibili - aveva raccontato a un cronista - perché saltano fuori biglietti sospetti che noi del mestiere non vogliamo comprare, ma che altri hanno acquistato a cuor leggero. Alcuni sono falsi: basta prenderli in mano e confrontarli con gli originali per scoprire che la carta è diversa. Si corre il rischio a Bruxelles di restare fuori o di entrare in zone sature per l'eccessivo numero di tagliandi venduti". La preoccupazione maggiore veniva dai biglietti del "settore Z": "Da alcuni giorni sono in vendita anche a Torino e sono sicuramente autentici. Personalmente non ne ho comperati perché non voglio bidonare i miei clienti mandandoli a rischiare in un settore affollato dagli inglesi. Il "settore" era stato assegnato al Liverpool, è ben strano che i biglietti siano finiti a Torino: qualcuno deve averne acquistati a Bruxelles e, a cuor leggero, li ha spediti in Italia per rivenderli a prezzi cinque-sei volte superiori. Fra gli acquirenti mi risulta ci siano agenzie di viaggio e addirittura qualche Juventus club". "E’ una testimonianza che ora, a dramma avvenuto, assume un peso schiacciante: Giovacchino Landini aveva acquistato un biglietto del "settore Z" allo Juventus club di via Bogino, pagandolo al prezzo dei bagarini. La tragedia poteva essere evitata proprio vendendo con maggior razionalità i biglietti d'ingresso. Chi ha mandato i tifosi juventini in un settore tanto pericoloso lo deve sapere. Allo Juventus club di via Bogino risposte contraddittorie. Le spiegazioni sul come mai Giovacchino Landini avesse pagato il biglietto 50 mila lire, appaiono vaghe: "I parenti si sono sbagliati. Non abbiamo comprato nulla dai bagarini: ci hanno contattati, ma abbiamo rifiutato. Abbiamo rispedito indietro 250 biglietti falsi. I nostri biglietti arrivano dalla Juve o dalle agenzie". Qualche ammissione: "Gli ultimi cinquanta sono stati venduti a prezzo maggiorato perché le agenzie hanno chiesto più soldi".

31 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

Il dolore autentico della città

di Renato Rizzo

Il giorno dopo la tragedia, è percorsa dalla costernazione. La città, dopo una notte d'ansia, si piega in un silenzio che è composta reazione al dolore e condanna così anche quella parte di se stessa che l'altra sera s'è lasciata andare ad una sbronza d'incoscienza divampata in assurdi festeggiamenti: frange di superficialità e di follia in una notte con migliaia di famiglie in pena, con i telefoni muti e la televisione che portava nelle case le scene d'una strage. Scampoli d'isterismo di giovani e meno giovani a gridare per le vie del centro, illuminato a giorno dai bengala, una gioia grottesca e profana. Nella stessa notte, la gazzarra s'è colorata di fanatismo idiota: ignobili graffiti hanno istoriato i muri dello stadio inneggiando ad un massacro, auspicando altre violenze: "Trentasei sono pochi, morirete tutti", "Dovevate ucciderli tutti. Grazie Reds" gridano parole d'anilina che si sovrappongono ad altre frasi infami o demenziali. La città dice, oggi, che la vera Torino è quell'altra: quella che vive il cordoglio e che non dimentica la tragedia. E lo dice anche con la sua voce ufficiale. Un documento della Giunta comunale chiede, fra l'altro, che siano presto accertate le responsabilità di chi ha organizzato la manifestazione di Bruxelles, e deplora sia l'atteggiamento di chi ha voluto festeggiare "per le vie e le piazze un avvenimento in cui, sul fatto sportivo, doveva prevalere il lutto per la tragedia", sia il comportamento di quanti, "dimostranti totale inciviltà, hanno imbrattato con scritte aberranti i muri dello stadio". E, a nome della Regione, il presidente Viglione condanna "questa cultura della violenza contro la quale dobbiamo lottare e contro la quale non facciamo mai abbastanza". Né rabbia né euforia, ieri, a Caselle e in piazza San Carlo a ricevere i reduci dall'inferno dello stadio Heysel: la tensione di tante ore si è stemperata in abbracci e lacrime. I tifosi hanno trovato ad accoglierli una città che ha partecipato, accorata, al loro dramma d'uomini, non alla piccola gioia d'una serata sportiva annegata nel dolore e nella paura.

31 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

Duro commento sul dramma di Bruxelles

Agnelli: "Bisogna proibire agli inglesi di assistere a partite fuori dal Paese"

TORINO - Una dura dichiarazione sui fatti di Bruxelles è stata rilasciata dal presidente onorario della Juventus Giovanni Agnelli, che mercoledì sera è rientrato in Italia dal Belgio senza aver assistito alla partita. "Se si pensa ad una giornata che era da tanto tempo attesa - ha detto Agnelli - ad un appuntamento sportivo di tanta importanza, alla quantità di tifosi juventini partiti da ogni parte d'Italia, e se si pensa poi alla tragedia che è avvenuta, ai morti, ai lutti nelle famiglie non c'è dubbio sulla distanza che separa tutto questo dallo sport". "Quando si verificano queste tragedie - ha proseguito - si tenta di risalire alle cause che le hanno determinate. La causa fondamentale è questa razza di teppisti che viene da un Paese, l'Inghilterra, a cui pure tanto dobbiamo e come civiltà e come successi sportivi. Una razza di teppisti incorreggibili. Ce lo hanno dimostrato in Gran Bretagna e ce lo hanno riconfermato ogni volta che sono stati all'estero. L'unica cura è proibire agli inglesi di assistere a partite fuori dal loro Paese fino a quando questa violenza non verrà estirpata". Seconda causa - sempre per Agnelli - è l'inadeguatezza della polizia e delle forze dell'ordine del Belgio. "Devo però dire - ha aggiunto il presidente della Fiat - che quando si va allo stadio non vi si va per assistere ad una guerra o guerriglia fra pseudo-tifosi inglesi e la polizia locale; si va per assistere ad uno spettacolo di sport. Quindi, i primi colpevoli, di gran lunga, sono i teppisti inglesi e secondariamente, per negligenza, l'organizzazione belga". "Riflettendo su questa tristissima giornata - ha concluso Agnelli - non posso proprio pensare al risultato sportivo. Posso solo elogiare gli atleti sia del Liverpool che della Juventus che, in queste condizioni, sono riusciti a giocare con lealtà e correttezza, ma soprattutto non posso che pensare alle famiglie delle vittime e ai feriti ed esprimere quanto la Juventus è loro vicina".

31 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

Come i reduci di una guerra

di Marco Neirotti e Giuliana Mongelli

Nelle prime ore di ieri pomeriggio sono arrivate decine di pullman in piazza Castello - Ad accogliere i tifosi, famigliari e amici che avevano trascorso la notte nella disperazione - Il racconto di un avvocato: "Ho visto una ragazza sgozzata e un inglese che calzava scarpe di un morto" - Una giovane: "Continuo a pensare che sono scampata: basta, basta, lasciatemi andare".

Hanno atteso per tutta la notte. Ma i telefoni non squillavano, perché a Bruxelles molte cabine erano state devastate da inglesi ubriachi. Soltanto dalle 5 di ieri sono arrivate voci di parenti: "Sto bene, siamo a Lione, arriveremo nel primo pomeriggio". E dopo ore di angoscia, molta gente a Torino ha finalmente pianto di gioia. A Caselle, dopo i primi cinque voli charter della notte, a mezzogiorno da un Jumbo scendono 400 tifosi. Ad aspettarli giornalisti, fotografi, operatori televisivi e una bufera di domande. Una ragazza: "Continuo a pensare solo che sono una scampata. Per favore, lasciatemi andare". Un uomo al finestrino: "Mai più in uno stadio. O ci andrò col coltello". Un ufficiale dei carabinieri: "Una disorganizzazione folle. Nei due giorni prima della partita, le strade di Bruxelles erano piastrellate di lattine vuote, c'erano risse, rapine. E nessuno ha pensato a prevenire i disordini sugli spalti". Mezzogiorno e qualche minuto, atterra il Caravelle della squadra. Fuori, un breve corridoio di tifosi. Un applauso senza seguito. Nello stesso momento in piazza San Carlo e in piazza Castello, davanti al posteggio di Palazzo Reale, si raccoglie gente che aspetta il ritorno dei parenti. Intrecciarsi di commenti, giornali aperti e richiusi e riaperti, angosce da sfogare. "Mio figlio è andato con gli amici. Quando abbiamo saputo che cosa era successo lì, non ci siamo più staccati dalla tv, cercavamo di sapere. Abbiamo telefonato ai numeri del ministero, ma erano occupati, sono andato di persona all'Ansa, ma non avevano i nomi di morti e feriti. Sono tornato a casa, ad aspettare che lui ci chiamasse. Ha telefonato stamattina: siamo a Basilea, saremo lì alle 15". Ora ha gli occhi lucidi: "A ripensare a questa notte mi torna la pelle d'oca". La folla cresce, cento, duecento persone, poi saranno trecento, anche più. Sono le 14.40 quando dall'arco che divide la piazza dai Giardini Reali appare un pullman: "Eccoli". Ma non accosta. Il lampo di gioia si spegne in borbottii: "Il viaggio è lungo", "Ci sarà traffico". Gente circonda quattro giovani: Luciano Madau, 24 anni, Alessandro Santiano, di 16, Riccardo Bianchi e Giancarlo Longo, di 22. Sono appena arrivati in auto da Bruxelles. Accusano la polizia e l'organizzazione belga: "Entravano tutti, senza strappare il biglietto". Parlano di quelle ore ("Sugli spalti giravano voci confuse, contraddittorie"), ricordano la ricerca di un telefono: "Le cabine erano devastate, apparecchi a pezzi o sradicati. Siamo andati alla gendarmeria, abbiamo chiesto di avvertire che stavamo bene, niente da fare". Sono le 15.10. Un pullman. Ci si accalca. Si gridano nomi. Appaiono volti in cui la stanchezza è amalgamata con lo sgomento. Una donna corre in lacrime: un abbraccio tra i singhiozzi, un assalto di telecamere e macchine fotografiche. Loro neanche le vedono, si abbracciano. Alle 16.20 appare il secondo. Ai finestrini visi di ragazzi, uno ripete: "Sono dei bastardi", ma più che un insulto lo pronuncia come un pianto. Scende una donna: "Non avrete mai idea di quello che hanno fatto". Qualcosa lo raccontava a Caselle, l'avvocato Giacomo Brancadori: "Ero in tribuna, vicino al settore Z. Ho visto gli assalti degli inglesi. Abbiamo cercato d'andarcene, quando siamo scesi dalla tribuna c'erano già i cadaveri a terra. Una ragazza l'hanno sgozzata, la gola aperta da un orecchio all'altro. Siamo corsi all'aeroporto. Un ragazzo aveva una scarpa sola, l'altro piede era ferito, diceva che lui era in quel settore, che sotto choc, senza sapere che cosa faceva, ha preso la scarpa di un morto, una sola, se l'è messa ed è scappato". L'attesa continua. Uno dei tifosi sale su un'auto, parte, qualcuno è sfiorato dalla carrozzeria, volano insulti. Stanno per azzuffarsi, intervengono i vigili urbani, un giovane grida: "Siete come gli inglesi...". Alle 18 arriva il sindaco Cardetti, ascolta i racconti e contesta l'odio indiscriminato: "Generalizzare è pericoloso, inglesi teppisti non vuol dire condanna per tutti gli inglesi". Nell'altalena di attese e arrivi, una donna s'avvicina tra gli spintoni dei cineoperatori a ogni veicolo, guarda chi scende. Quando i pullman ripartono e si formano capannelli, arretra di qualche passo e piange. Due, tre, quattro volte. Per lei la gioia è venuta soltanto a sera.

31 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

Tra i famigliari dei tifosi giunti con i primi voli charter da Bruxelles: si piange di gioia

L'interminabile notte all'aeroporto di Caselle

di Gianni Bisio

Il primo aereo atterra poco dopo mezzanotte, poi altri quattro a distanza di un'ora l'uno dall'altro - La folla in attesa tace, si interroga con gli occhi - Un uomo appena sbarcato si guarda attorno: "Ci sono più agenti qui che allo stadio belga" - Un grido: "Papà" e un disperato abbraccio.

La lunga, ansiosa attesa all'aeroporto di Caselle comincia, ancor prima dell'una di ieri notte, ora in cui era previsto l'arrivo del primo dei 5 charter di tifosi juventini (1268 passeggeri) partiti da Torino. Dapprima una ventina di persone, poi, col passare delle ore trenta, cinquanta, cento. Silenzio, visi tesi, occhi fissi al video che indicano i ritardi (una-due ore), un bisbigliare sommesso, la domanda ripetuta agli agenti, di polizia e ai cronisti: "C'è un elenco dei morti e dei feriti ?". Le drammatiche scene, viste poco prima per tv, hanno creato una tensione palpabile nei familiari dei tifosi torinesi: l'ansia cala lentamente, man mano che, nella notte, giungono gli aerei e le famiglie si riuniscono. Tutto il personale dell'aeroporto (Sagat, Alitalia, forze di polizia) si prodiga per sbrigare i rientri. Poco dopo l'una giunge un aerotaxi con 8 passeggeri (ne erano partiti molti da Torino). Il pilota, com.te Guiducci, della Gitan Air, contribuisce ad allentare la tensione: "Molti non sono andati allo stadio quando hanno visto l'atmosfera di violenza per le strade di Bruxelles". E tutti sperano che fra i "molti" ci siano anche i loro cari. Si viene a sapere che un gruppo di dipendenti della Sagat, partito con l'ultimo aereo alle 13, ha rinunciato alla partita: tutti salvi. Alle 2 giunge in aeroporto un violinista dell'orchestra del Regio, Silvio Gasparella, 25 anni, milanese. Cerca un posto in aereo (e il personale dell'Alitalia glielo trova su un charter che torna vuoto) per andare a Bruxelles: "Ho visto mio padre alla tv cadere a terra, calpestato. Poco dopo ho ricevuto la telefonata di mio fratello dal Belgio: mi ha detto che papà era in ospedale, sotto la tenda a ossigeno. Purtroppo anche mia madre, da casa a Milano, ha visto quelle scene". Il primo charter, un F.28 della Unifly, arriva alle 2.28. Dal varco degli internazionali escono lentamente i 65 passeggeri (bandiere bianconere ripiegate) con gli occhi rossi, e non solo di stanchezza: "C'è anche papà ?", grida una ragazza al fratello che apre la fila. Al "sì, è dietro" scoppia in lacrime. C'è l'assalto ai telefoni dell'aeroporto per rassicurare i parenti: "Da Bruxelles era quasi impossibile comunicare". Incomincia la mitragliata di critiche: "La polizia ha fatto ridere, gli inglesi erano già ubriachi al mattino". Fra i passeggeri c'è il consigliere ex PCI Domenico Russo: racconta del muro crollato, della calca; spiega, mostrando la piantina dello stadio stampata sul biglietto Uefa, che gli incidenti sono limitati al settore Z, dove ci sono stati morti e feriti. La notizia allevia l'ansia della moglie di Rocco Petrosino, 25 anni, pasticciere di Villardora, in trepida attesa: "Lui doveva andare nella tribuna N, lo ricordo bene". Russo non risparmia critiche alla impreparazione della polizia belga: "Ci sono più agenti qui a Caselle che allo stadio". Tra le 4.20 e le 4.33 giungono due B.747 (Kim e Amalia) e un B.737 (Sabena) con 931 passeggeri in tutto: sfilano sotto i fari delle telecamere (ci sono anche i consiglieri comunali Galasso e Albanese) lanciando pesanti accuse ai tifosi del Liverpool ("assassini"), alla polizia belga ("fantocci, incapaci"), agli organizzatori della Uefa ("mascalzoni: lo stadio era un pollaio"). Una signora che per tutta, la sera, sola, ha atteso in silenzio scrutando i volti, orecchiando notizie, di colpo muta espressione: si scioglie in un sorriso di liberazione, poi scoppia in pianto. Ha scorto i suoi cari e fugge via, quasi scortando il marito e il figlio dopo un lungo, convulso abbraccio. E i passeggeri portano notizie tranquillizzanti: "Quelli del "Club primo amore" stanno tutti bene", grida un'anziana signora in maglia bianconera. Lo stesso per il gruppo di Savigliano. Alle 5.15, mentre quasi albeggia, arriva l'ultimo charter della notte.

31 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

L'ultrà pentito: "mai più violenza"

di Guido J. Paglia

Scende dal pullman in piazza Castello, ha lo sguardo annebbiato dalla stanchezza dopo 15 ore di viaggio e due notti insonni. Non c'è nessuno ad attenderlo: come mai ? "Vivo solo a Torino, ho 24 anni, lavoro ai Mercati generali saltuariamente. Il mio vero lavoro è la passione per la Juve, faccio parte dei Fighters, meglio, ne facevo parte, ora sono in crisi". Perché ? "Non vorrei parlarne, ma se insisti e non pubblichi il mio nome te lo dico. Allo stadio di Bruxelles ho visto un ragazzino sui 10-12 anni che stava per essere travolto dalla folla impazzita al momento degli incidenti. Scappava, è caduto, assieme a una donna. Gridava e piangeva, terrorizzato. Sono riuscito ad afferrarlo per un braccio. Questione di pochi attimi, l'ho sollevato, me lo sono preso in braccio. Respirava a fatica, gli dolevano le gambe. Non riusciva a parlare. L'ho mollato soltanto dopo la fine della bolgia. Non l'ho più visto, spero che non sia tra le vittime o tra i feriti". Chiede una sigaretta e da bere. "Capisci perché sono in crisi ? Non ho guardato tutta la partita. Alla fine del primo tempo me ne sono andato. Ho visto delle scene che mi hanno sconvolto. Quel bambino terrorizzato me lo rivedo davanti agli occhi. Ha rischiato di essere maciullato. Che senso ha andare ancora negli stadi quando succedono queste cose ? Chiamami pure un fanatico pentito. Vivevo per il calcio e per la Juve, ora credo che non ne valga la pena". Come sei arrivato a Bruxelles ? "Non ho un lavoro fisso, vivo di espedienti. Il biglietto per la partita in Belgio me lo sono procurato in qualche modo. Come ? Lasciamo perdere. Non sono nato ieri, mi sono arrangiato come altri che conosco. Non perdo una partita della Juve, e quando c'è da menare, meno anch'io. Me ne sono prese tante, dalla polizia e dagli ultras delle altre squadre. Ho rischiato tante volte, avevo intenzione di creare caos anche a Bruxelles, per difesa personale s'intende". Di quale gruppo fai parte ? "Siamo una decina, tutti dei Fighters, ci ritroviamo prima delle partite per organizzarci in caso di incidenti. I tifosi inglesi, lo sapevamo, sono più violenti di noi, soprattutto quando bevono troppo. Ecco perché ci eravamo organizzati per non lasciarci intimorire. Ma questa volta loro avevano coltelli, bottiglie e bastoni. Ci puntavano addosso le pistole lanciarazzi. Senza quella scena del bambino forse mi sarei buttato anch'io nella mischia per difendere i nostri. Ma mi sono accorto che la violenza non paga, negli stadi e fuori. Mi sono dato del pazzo per le mie bravate. Mai più".

31 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

Sottoscrizione 300 milioni dalla Juventus

"Per attestare in modo tangibile la propria solidarietà e partecipazione al dolore delle famiglie delle vittime esprimendo la speranza che simili insensate tragedie non abbiano più a infangare lo sport del calcio" la Juventus ha aperto una sottoscrizione con 200 milioni; altri 100 milioni sono stati elargiti dai tecnici e giocatori della società. Presso la sede della Juventus, Galleria San Federico 54, un apposito ufficio. L'annuncio è stato dato dall'avv. Vittorio Chiusano, vicepresidente della società: "Sono certo - ha detto - che nei prossimi giorni assisteremo a una vera e propria gara di solidarietà a favore dei famigliari delle vittime".

31 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

"La festa alla fine era dedicata ai tifosi"

di Bruno Bernardi

Come i giocatori juventini hanno vissuto una serata d'incubo e di vittoria e una notte insonne - Tacconi: "Dopo la partita la nostra gente voleva toccarci, abbracciarci e prendeva manganellate" - Platini: "Per venti minuti ho giocato come in trance".

TORINO - Nessuno ha dormito tra i giocatori della Juventus nell'ultima notte a Bruxelles. Una notte da incubo. L'assurda tragedia che ha funestato la finale di Coppa Campioni tornava nelle loro menti eccitate dallo stress e dalla partita disputata in un ambiente allucinante, irreale. Come non pensare ai morti ? Come dimenticare le scene di panico, i pianti e le urla degli scampati, le barelle che trasportavano i feriti sotto i loro occhi ? La squadra aveva saputo della strage mentre stava sulla scala, pronta ad entrare in campo per gli esercizi di riscaldamento. C'era molta confusione negli spogliatoi, ma le notizie parlavano già di una decina di cadaveri, poi quindici. Affacciati al sottopassaggio, i bianconeri incontravano tifosi scalzi, con gli indumenti e le carni lacerate nella fuga dalla curva maledetta, che imploravano aiuto, descrivendo l'infernale avventura con frasi smozzicate, dai toni sempre più drammatici. I giocatori provvedevano a rifornirne alcuni di scarpette da ginnastica e magliette. Dentro, negli uffici, Boniperti, il presidente del Liverpool e i dirigenti dell'Uefa erano in riunione per prendere una difficile decisione. Boniperti voleva rinviare la partita: "Anche noi eravamo rassegnati a non giocare, lo ritenevamo impossibile in quelle condizioni" - racconta Stefano Tacconi. Con Boniperti c'era Edoardo Agnelli, figlio del presidente della Fiat, che ha poi seguito l'incontro dalla panchina. La prospettiva di giocare a tutti i costi si faceva poi sempre più concreta e Cabrini, Tardelli, Brio, Favero, Briaschi, Tacconi, Platini ed altri decidevano di andare a parlamentare con la curva bianconera, temendo rappresaglie e una carneficina di proporzioni gigantesche. La rete era già sfondata e se i tifosi fossero venuti a conoscenza piena della realtà avrebbero travolto le forze dell'ordine (in aumento e a cavallo) per vendicare i connazionali. Compariva uno striscione con su scritto "Reds Animals" e veniva subito ritirato. Il numero dei morti era salito ad una trentina, ma ai tifosi della curva risultava fossero quattro: erano inferociti ed abbiamo dovuto raccontare pietose bugie, dicendo che si trattava solo di feriti ricorda Tacconi. In quel momento Boniperti consegnava a Gunther Schneider, delegato ufficiale Uefa, il seguente comunicato con la sua firma in calce: "La Juventus, nella drammatica situazione venutasi a creare per cause sicuramente non imputabili né alla società né ai suoi tifosi ed in conseguenza delle quali si sono verificati decine di morti di nazionalità italiana, ciò nondimeno accetta disciplinatamente, anche se con l'animo pieno d'angoscia, la decisione dell'Uefa comunicata al nostro presidente di giocare la partita per motivi di ordine pubblico. Con le riserve di rito". Dall'altoparlante i capitani Scirea e Neal invitavano il pubblico alla calma. Poi la partita, dopo un'attesa snervante e piena d'orrore. Tacconi sceglieva proprio la porta con alle spalle migliaia di tifosi inglesi, compresi i barbari, ubriachi o drogati, che avevano scatenato la sanguinosa caccia all'uomo: "L'ho fatto istintivamente, ero terrorizzato ma la rabbia m'ha dato la forza per vincere la mia battaglia e per contribuire a conquistare la Coppa. Ho rivisto in tv la registrazione ed è stata, tecnicamente, la più bella finale degli ultimi vent'anni. Un'impresa grandissima. Dentro c'è la voglia di urlare di gioia, ma in gola c'è un nodo che ti strozza. Ho fatto l'alba a pensare a quelle vittime innocenti". Per Michel Platini, che ha deciso su rigore il risultato, i primi venti minuti sono stati un tormento: "Ho esultato dopo il gol, in campo si dimentica tutto. Ero contento. Nel mondo dello spettacolo quando succede qualcosa di brutto si continua". Negli spogliatoi e, più tardi, davanti alla curva della morte, ha ripreso piena coscienza della terribile catastrofe: "Non ho chiuso occhio. Ma giocare è stata la cosa più bella che potesse succedere. L'Uefa ha salvato il calcio mentre le autorità belghe hanno pensato a salvare solo le vetrine dei negozi. Sembrava di essere in guerra. Tutto questo va in fretta nell'oblio, solo in chi ha perso qualcuno, il ricordo resterà indelebile. La nostra resta una vittoria legittima in una gara vera, vibrante, agonisticamente valida che gli inglesi volevano vincere, pur vergognandosi per quelle centinaia di deficienti loro connazionali che sparano nel mucchio, ammazzando gente a casaccio. Il rigore ? Ho visto la tv e dico che non c'era: ma sul campo sembrava fallo in area e anche l'arbitro, da lontano, l'ha visto così. Dite che ho vinto anche il titolo di capocannoniere a pari con lo svedese Nilsson ? Non me ne frega niente". Il ballo davanti alla tribuna d'onore, il mezzo giro di pista senza la coppa, che era stata lasciata di proposito dall'Uefa negli spogliatoi e poi recuperata da Scirea ed esibita per qualche istante, hanno stupito i telespettatori più che il pubblico presente all'Heysel: "L'abbiamo fatto per i nostri tifosi che volevano toccarci, abbracciarci e ricevevano in cambio manganellate - puntualizza Tacconi, eroe senza sorriso - Li abbiamo difesi strattonando i poliziotti che erano diventati un piccolo esercito, troppo tardi".

31 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

"Ma era nostro desiderio non giocare"

Brio: "Una gara vera e corretta"

di Franco Bagolato

TORINO - Aeroporto di Caselle, ore 12.10, Sergio Brio, il gigantesco stopper bianconero, appare per primo dietro il portellone del charter che ha trasportato la squadra da Bruxelles. Solleva la Coppa, abbozza un sorriso, scende la scaletta stringendo il trofeo, ma si vede che la gioia resta soffocata, non è completa. "Non ho dormito - confessa ai primi cronisti che lo attorniano - C'è rimasta questa vittoria ma è stata una sera di angoscia, una partita sofferta. Direi che è stato più difficile battere il pensiero di quanto era accaduto che non gli inglesi sul campo". - Alla fine non avete esagerato negli abbracci, nei festeggiamenti ? "Nessuno può tentare di spiegare perché ci siamo comportati in un certo modo. Nemmeno noi ci capacitiamo. Prima siamo dovuti intervenire per calmare i nostri tifosi sconvolti in curva, eravamo d'accordo con loro nel non giocare. Non ci fregava nulla di perdere a tavolino. Ma polizia e Uefa ci hanno costretti a giocare dicendo che in caso contrario ci saremmo assunti tutta la responsabilità di quanto poteva ancora accadere". "In campo - prosegue Brio - è stata gara vera e corretta. Devo dire che la squadra inglese ha dimostrato grande senso professionale. Non penso che una doppia finale servirebbe da deterrente a certe esplosioni di violenza". Ecco Briaschi: la sua partecipazione alla partita era incerta, è uscito soltanto nel finale: "Dopo il disastro che è successo - sostiene - non avremmo voluto giocare. Ma quando ci hanno invitati a farlo non potevamo, è un discorso difficile ma va fatto, tirarci indietro. Quel che è successo nel rettangolo di gioco tra Juve e Liverpool è rimasto un fatto sportivo. Anche i festeggiamenti finali vanno inquadrati in quell'ambito. Costretti a giocare abbiamo cercato di vincere e ci siamo riusciti. Poi, dopo la doccia, negli spogliatoi, abbiamo ripensato a quanto era avvenuto". Chiude Bonini con un discorso che tenta di ricucire la "frattura" tra pre-partita e partita: "La vittoria, dopo quanto è avvenuto, passa in secondo piano. E' stata una festa rovinata, quella che abbiamo fatto noi a fine partita un tentativo di dimenticare".

31 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

"Eravamo partiti per fare gran festa, abbiamo vissuto ore di terrore"

Ora i tifosi sconvolti raccontano il dramma vissuto a Bruxelles

Poche parole dopo il ritorno - Una notte d'angoscia con notizie frammentarie - Nessun valdostano ferito.

NOSTRO SERVIZIO. AOSTA - "Doveva essere una serata di sport e di gioia, ma è diventata una guerra assurda e luttuosa, dicono Franco Bettinelli, Mario Mazzocco, Franco Nicolotti e Roberto Tiotto, tifosi juventini appena rientrati dalla tragica notte di Bruxelles. Le notizie e le telefonate giunte ieri dal Belgio sono rassicuranti: non risultano vittime o feriti fra i valdostani (alcune centinaia) al seguito della squadra bianconera. Mercoledì notte fra i primi a chiamare è stato Gino Bortoli, capo gabinetto della Presidenza della giunta, grande appassionato delle sorti juventine. La sua permanenza a Bruxelles si è prolungata oltre il previsto per poter raccogliere notizie e rassicurare, attraverso la Regione, i parenti dei tifosi che invano hanno cercato di mettersi in contatto con i loro cari. Molte telefonate sono giunte all'ufficio stampa della Regione, dove confluiscono le notizie dall'Ansa. Preoccupazioni anche in Bassa Valle con chiamate a polizia e carabinieri. Da Verrès e Pont-Saint-Martin erano partiti due pullman delle autocorriere "Vita" di Hòne, con circa cento persone a bordo. Ieri mattina, da Bruxelles, la telefonata del titolare dell'impresa, Sergio Calliera: "Non manca nessuno, state tranquilli". Un terzo pullman della "Vita" era stato noleggiato da un Juve Club di Ivrea, ma anche per questa comitiva non sembrano esistere timori. Negli elenchi dei feriti finora trasmessi non risultano nomi valdostani. Buona parte dei tifosi è già rientrata. Tutti conserveranno immagini indelebili. Da La Thulle Franco e Dante Berthod, Pino Alliod e altri amici raccontano: "Eravamo distanti dal settore nel quale sono accaduti gli incidenti; eppure, a un certo punto, abbiamo temuto il massacro generale". Ad Aosta, provenienti da Ginevra, sono giunti anche coloro che avevano raggiunto la sede della finale in aereo. Uno di questi è Walter Peccolo, dirigente dello Juventus club cittadino, che dice: "A metà del primo tempo volevamo lasciare lo stadio, ma non ci è stato possibile, perché fuori continuava la battaglia dei teppisti. Per ore abbiamo vissuto la tragedia sugli spalti. A fine partita siamo dovuti salire su un treno per sfuggire alla morsa della violenza. Siamo scesi a una piccola stazione, a circa 20 chilometri da Bruxelles. Abbiamo raggiunto l'albergo con mezzi di fortuna". Racconta al telefono la moglie di un tifoso: "Quanta paura davanti alla televisione. Mio marito ha potuto chiamarmi soltanto all'una di notte", Nedo Strazza, 29 anni, residente ad Aosta, ricorda: "A Bruxelles la tensione era già alta molte ore prima dell'inizio della gara. Ho visto bande di teppisti sfasciare vetrine e automobili con folle furore". E' rimasto sveglio tutta la notte Francesco Strada (conosciuto come "Cecchin"), presidente del Juventus Club di Aosta, subissato da telefonate di gente che voleva notizie dei suoi cari. Spiega Cecchin: "Verso l'una e mezzo sono stato informato che non era accaduto nulla ai nostri tifosi e ho potuto tranquillizzare tutti. Ho atteso per anni questa vittoria della Juventus e adesso non posso gioire". Non tutti si sono comportati così. Dopo la partita, un carosello di auto si è riversato nelle strade di Aosta, con un tourbillon che ha soprattutto interessato le vie del centro storico. Gran suonare di clacson, bandiere bianconere fuori dei finestrini. L'euforia sportiva sarebbe stata comprensibile, persino giusta, se non ci fossero state le decine di morti. Questa volta meglio sarebbe stato il silenzio. La vita e lo sport non si possono separare. La manifestazione di tripudio non ha coinvolto tutti, fortunatamente, ma non ha ugualmente fatto onore alla città". Parole di condanna sono venute ieri dal sindaco Bich: "Il cinismo ha prevalso sullo sport, sul dolore, sullo sgomento, sul dramma che si stava vivendo in molte famiglie. Una piccola minoranza di cittadini si è dimostrata insensibile alla tragedia e alla morte. Questa volta non era il caso di fare festa. Sono sorpreso e amareggiato per questa dimostrazione di assoluta insensibilità". Chi aveva seguito per televisione il dramma di Bruxelles non voleva credere a quanto stava accadendo nelle strade di Aosta. Dice Elisa Dini, una tifosa fermatasi ad Aosta perché priva del biglietto per Bruxelles: "Sono scesa in piazza Chanoux per sincerarmi di quanto stava accadendo. Non potevo credere dopo quanto avevo visto allo stadio". C'è anche chi se la prende con i giocatori juventini, che al termine della partita hanno fatto festa sul campo, e dice: "Forse è stato quell'atteggiamento a spingere i tifosi a dimenticare i morti, il dramma delle famiglie rimaste a casa senza notizie". Si cercano le colpe da più parti, anche a sproposito, perché la tragedia è terribile. "In quel settore travolto dai teppisti inglesi non c'erano valdostani, perché noi avevamo comperato il biglietto in Italia. Chi è andato a acquistarlo a Liverpool o all'estero è finito in una zona non destinata ai tifosi juventini. E purtroppo la teppaglia di Liverpool lo ha colpito. Bisognava vederla per le strade sin dal pomeriggio...". Forse ha ragione questo tifoso sconvolto: adesso giura che non si recherà mai più all'estero a vedere una partita di football e se ne va senza dire Il nome. c.g.

31 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

Il racconto di un carrozziere di Canelli che era nella curva "attaccata" dagli inglesi

Tornano gli scampati di Bruxelles

Un astigiano ferito ad una gamba

di Franco Cavagnino

Un giovane impiegato di banca è ricoverato nella capitale belga per una frattura - L'ansia allo Juve club - Secchi d'acqua sui tifosi che hanno sfilato inneggiando alla vittoria - Bandiere a lutto.

ASTI - "Ero a due metri dal muretto che è crollato schiacciando la gente. Una cosa terribile. Un amico che era dietro di me per poco non è caduto. La folla poi ha cominciato a spingere verso il campo ed io sono rimasto travolto, finendo immobilizzato sotto decine di persone, senza possibilità di muovermi. Quando la polizia mi ha estratto consentendomi di fuggire sul campo, ero coperto di sangue, con gli abiti a brandelli. Ho visto accanto a me un uomo, avrà avuto 50 anni, che stava morendo, donne che urlavano, una scena allucinante". E' il drammatico racconto di un tifoso presente mercoledì sera allo stadio di Bruxelles per la finale di Coppa Campioni fra Juventus e Liverpool. Si chiama Bruno Demaria, carrozziere di Canelli. E' stato fra i primi a rientrare in Italia, in aereo, assieme a numerosi amici canellesi, di Cossano, di Vesime, tutti illesi. Anche Asti ha vissuto ore di angoscia mentre sul video scorrevano le tragiche immagini dei mortali scontri sugli spalti dello stadio belga. Poi quando dalla voce del commentatore televisivo sono giunte le prime cifre ufficiose delle vittime e degli oltre duecento feriti, per decine di famiglie s'è iniziata una lunga notte di trepidazione. "Abbiamo trascorso momenti terribili; una telefonata dietro l'altra. Erano parenti, genitori, amici dei tifosi partiti per il Belgio. Ci mancavano notizie, non sapevamo cosa rispondere", così raccontano i titolari del bar Cine dove ha sede lo Juventus Club Asti, che ha organizzato un pullman di una cinquantina di persone. Altri tifosi, trecento in tutto, forse più, erano partiti al seguito dei bianconeri, da Canelli, Nizza, Moncalvo, Grazzano e altri centri, qualcuno, in auto, altri in aereo. Finalmente alle 2 di giovedì mattina, una telefonata rassicurante da parte della comitiva del Juventus Club: "Siamo tutti in viaggio, stiamo bene, arriveremo nel tardo pomeriggio". I primi comunicati, intanto, smentivano i timori di vittime astigiane. Solo un ferito, Walter Giannini, 22 anni di Asti, impiegato all'esattoria comunale, presso la Banca Popolare di Novara, che - uscito dallo stadio con una gamba fratturata - ha vagato per ore sotto choc, prima di essere aiutato e trasportato in ospedale dove è ancora ricoverato. Rientrerà forse il 2 giugno. Mercoledì sera, nel frattempo, in una città deserta e stordita dai fatti, vissuti in diretta davanti ai televisori, grottesca e fuori luogo esplodeva la festa di decine di tifosi. Le vie della città si riempivano dei caroselli delle auto fasciate con i vessilli juventini. Asti ha faticato ad addormentarsi anche per il rumore assordante dei motorini, lanciati in spericolate evoluzioni e gli squilli dei clacson. Un gruppo di tifosi ha dato la scalata al monumento a Vittorio Alfieri sventolando dal piedistallo le bandiere bianconere. Per alcune ore decine di giovani hanno impazzato senza ritegno fra la disapprovazione dei passanti usciti dai bar dove avevano assistito alla trasmissione; in piazza Marconi, una "carovana" di auto è stata fatta segno a lanci di acqua dalle finestre. Immancabili le scritte comparse nella notte: "W Juve" in corso Savona, "Grazie Platini" in corso Dante. Ma anche un sintomatico: "Tifosi Juventini siete la vergogna d'Italia" in corso Torino. In segno di lutto ieri sono comparse le bandiere a mezz'asta sui pubblici edifici e lo spettacolo al politeama "Città Caserma" che doveva tenersi ieri sera è stato posticipato a questa sera, sempre alle 21.

31 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

Incontro con i tifosi astigiani nella notte della tragedia

"Non avevo i soldi per il biglietto"

NOSTRO SERVIZIO. ASTI - Sono le due di notte. Sul piazzale del casello dell'autostrada per Torino un gruppo di auto pavesate di bianconero. Le bandiere con la Coppa dei campioni disegnata al centro circondata dagli scudetti tricolori. Dai finestrini emergono le facce di giovani. Hanno la voce stanca. "Abbiamo vinto la Coppa, la aspettavamo da anni, ma come si fa ad essere felici ?". L'incubo delle immagini della tv trasmesse da Bruxelles è vivo. "Un gruppo di nostri amici del bar è andato alla partita. Ci dovevo essere anch'io - dice un giovane di Costigliole - ma costava troppo. Loro invece hanno fatto due macchine e sotto partiti. Non avevano i biglietti, pensavano di trovarli là. Ho sperato di vederli in televisione ma in tutta quella calca è stato impossibile". La festa tanto voluta, sperata, preparataci è spenta nell'angoscia della tragedia. "Qualche giro della città lo abbiamo fatto lo stesso, ma attorno non c'era gioia e devo dirlo a un certo punto mi sono sentito un po' cretino", ammette Luca, aiuto panettiere che ha chiesto apposta una notte di permesso da poter dedicare tutta alla Juve. "Noi non abbiamo attaccato, la colpa è tutta loro, degli inglesi", spiega Andrea, 19 anni, che non riesce ad allontanarsi dalla logica di "guerra" tra i due fronti opposti, "fatto è - lo zittisce un amico - che ormai si va allo stadio con troppa rabbia dentro. Mio padre mi dice che siamo matti. Lui non ha voluto che andassi a Bruxelles, devo dire che ha avuto ragione". La notte è ormai silenziosa. "Volevamo andare a Torino a festeggiare ma dopo quello che è successo è meglio andare a dormire". In città sull'asfalto sono rimaste alcune scritte: "Grazie Platini", "Juve è fatta". Il tempo le cancellerà, ma l'angoscia è destinata a restare. s. mir.

31 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

Lunga notte di angoscia anche nel Cuneese

Gli ultras autori di disordini e aggressioni

di Pier Paolo Luciano

Si erano diffuse voci, fortunatamente infondate, di tifosi della Granda fra le vittime - Apprensione per i "supporters" di San Rocco Castagnaretta.

CUNEO - La tragedia della finalissima tra Juventus e Liverpool a Bruxelles ha gettato nello sgomento gli ottocento tifosi che hanno affrontato il viaggio dalla Granda fino in Belgio. I più si sono trasferiti con i pullman messi a disposizione dagli Juventus Club della provincia, qualcun altro ha preferito i voli charter dell'ultima ora. Un viaggio che doveva essere un'occasione di festa, di allegria, e clic, invece, si è trasformato in tragedia. "Nessun cuneese ha perso la vita nell'Heysel Stadium né è rimasto seriamente ferito, ma per i parenti, i familiari rimasti a casa, l'angoscia, la paura è stata la stessa di altre migliaia di persone. Quando la televisione ha trasmesso le prime immagini dallo stadio belga per molte persone sono cominciate le lunghe ore dell'attesa, con la speranza come unico conforto. Le telefonate tra parenti e conoscenti si sono accavallate, molti hanno provato a chiamare prima la sede della Juventus, a Torino, poi il centralino d'emergenza del ministero degli Esteri, a Roma, per avere qualche informazione sullo stato di salute dei parenti, sulla situazione. Ma le notizie erano frammentarie e discordanti, mentre la televisione continuava a trasmettere notiziari che parevano bollettini di guerra. "Ho vissuto quattro ore d'inferno", spiega la titolare del bar Cristallo di Alba, sede del club "Gli amici juventini". E aggiunge: "Avevo in quello stadio mio marito e mio figlio, ho temuto che gli fosse successo qualcosa. Poi mi hanno telefonato per tranquillizzarmi. Stavano bene e non avevano capito di preciso cosa fosse successo: erano dalla parte opposta dello stadio, non si sono resi conto della gravità dell'episodio". La ricerca di una notizia confortante, di informazioni sui vari gruppi di tifosi organizzati della Granda, è proseguita per tutta la mattinata di ieri (anche alla redazione del giornale sono arrivate molte telefonate), mentre in città si diffondevano voci, risultate poi del tutto infondate, di morti nella comitiva cuneese. I timori, le apprensioni maggiori erano per i "supporter" dello Juventus club "Dino Zoff" di San Rocco Castagnaretta, una cinquantina di persone raggruppate tra i tifosi di Borgo San Dalmazzo, Cuneo e Savigliano. Erano, secondo alcune testimonianze, i più vicini alla zona degli scontri e anche gli unici che fino ad allora non avevano ancora chiamato per rassicurare le famiglie. Ma proprio quando si temeva il peggio, è arrivata una telefonata al Bar Sprint di corso Giolitti, una delle sedi del club: "Siamo a Lione, stiamo tutti bene. Abbiamo raggiunto le altre comitive di tifosi della provincia, arriveremo a Cuneo nel tardo pomeriggio". I tifosi dello Juventus Club Savigliano (di cui facevano parte pure alcuni tifosi braidesi) hanno invece preferito rinunciare ad assistere alla partita: "Quando si sono resi conto che la polizia non riusciva a sedare la rissa e dei pericoli che si potevano correre, hanno deciso di tornare ai pullman e di rinunciare alla finale", spiegano in casa di Maurizio Mensa, presidente del club bianconero saviglianese. Nessun problema neppure per i venticinque "fans" dello Juventus Club Cuneo (che hanno preferito rimandare il rientro di qualche ora per una tappa a Parigi) e dello Juventus Club di via Roma ad Alba, una cinquantina di persone. Per tutti un ritorno amaro: nessun pensiero alla vittoria della squadra, alla conquista di quel trofeo per molto tempo inseguito. Tutti avevano ancora negli occhi quelle immagini raccapriccianti di una festa trasformata in tragedia.

31 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

Due morti, molti feriti, una notte di paura per la spedizione ligure a Bruxelles

Un amaro ritorno dal Belgio

di Guido Coppini Sanili

Nel tardo pomeriggio di ieri la conferma: la genovese Barbara Lusci, 56 anni, è morta, grave il marito - Un drammatico bollettino da La Spezia a Ventimiglia - Bloccati dai carabinieri alcuni giovani che scorrazzavano a Chiavari.

NOSTRO SERVIZIO. GENOVA - Una striscia a lutto traversa il cartello del "Juventus Club" di piazza Santa Sabina a Genova, nell'atrio di un palazzo patrizio davanti alla Annunziata. E' stato incollato ieri nel tardo pomeriggio, quando si è avuta la conferma della morte nello stadio di Bruxelles di Barbara Lusci, 66 anni, moglie di Pietro Salvatore Margiotta, 54 anni, capo della comitiva che martedì prese il volo per il Belgio, rimasto ferito in modo grave. I coniugi abitavano in via (omissis) a Nervi: superando lo sgomento, si bussa all'alloggio, ma nessuno risponde. Dall'enfasi della vigilia della partita (questo il messaggio del club di piazza Santa Sabina: "Così come i guerrieri andarono alle Crociate, i bianconeri vanno alla conquista della prestigiosa Coppa") al dolore di queste ore. Chi poteva pensare che sarebbe stata una Coppa piena di sangue ? Tutto è assurdo, nei risvolti di questo massacro, che propone domande atroci. Eccone una. Chi spiegherà a Michela, 11 anni, come e perché suo padre è morto ? Michela è la figlia di Sergio Mazzino, di Cogorno, rimasto ucciso nell'interno dello stadio. Si può dire a una bambina che suo padre è morto di calcio ? Che è rimasto nella trappola infernale di una partita avvelenata dall'odio e diventata tragedia per tutta una serie di cause, che ora si cerca di identificare, anche se non servirà a niente ? Ma qualcuno dei superstiti va alla ricerca di motivi. Spiega Alberto Favilla, allenatore di una squadra spezzina di ragazzi, rientrato ieri: "Quello stadio aveva reti di recinzione buone sì e no per proteggere un pollaio dalle volpi. I tifosi inglesi l'hanno sbriciolata fra la disattenzione della polizia, intervenuta in forze solo quando ormai la guerriglia era divampata". Le notizie rimbalzano fra la prefettura e la questura di Genova come bollettini di guerra. In tutta la Liguria, dalle città ai paesini dell'entroterra, la rete delle telefonate si allarga, ma non tutte sono rassicuranti. La difficoltà di comunicare dal Belgio lascia ancora grandi spazi alla paura. "Pensate - dice un tifoso rientrato con un gruppo di Laigueglia - che noi per avvertire le famiglie, da Bruxelles siamo dovuti andare in Francia. Rabbia, sdegno, racconti del terrore si raccolgono nelle concitate testimonianze del liguri tornati più o meno indenni a casa. Ed emerge una causa scatenante della "guerriglia": mentre la Juventus aveva consegnato biglietti per un certo settore dello stadio, lontano dai fans del Liverpool, molte agenzie di viaggio hanno fatto la distribuzione a caso. "Così ci siamo trovati nella gradinata nord, insieme a quei fanatici scatenati", dicono alcuni rientrati ieri sera a Finale Ligure. Viaggiano verso casa Renzo Basso e sua moglie, di Framura, dei quali per molte ore erano mancate notizie. La tragedia fa scoprire, all'improvviso, tutto, un "popolo bianconero" che si estende da un capo all'altro della regione, a pelle di leopardo. Ma quanti, di questi tifosi, torneranno a una partita di coppa ? "Certo, mai se l'avversaria sarà una squadra inglese; afferma Renzo Pittaluga, di Pegli: "ho due figli, credevo di non rivederli, sono stato un incosciente", dice con le lacrime agli occhi. Arrivano, e questo è l'importante. Arrivano nel savonese (alcuni aggiungendo alla paura la fatica di lunghe ore di attesa a Liegi), nello Spezzino, nell'Imperiese. Per alcuni, il trauma non scomparirà col ritorno in famiglia. Mario Recaneschi, di Sestri Ponente, sta seduto al bar, racconta dei cadaveri che ha dovuto spostare per raggiungere un'uscita, poi si blocca: ha gli occhi sbarrati, gli amici del bar rispettano il suo improvviso silenzio. Un'altra notte è passata, ma non ha del tutto cancellato l'incubo: c'era ancora coda ieri negli uffici della Sip, nella città e in periferia. La notte della partita è stata tra l'altro, un'angosciosa incredibile lotta con gli apparecchi muti. Ma non tutti hanno ceduto al dolore. C'è chi ha voluto egualmente "festeggiare": a Chiavari, i carabinieri sono intervenuti per bloccare un carosello di auto e alcuni individui che lanciavano mortaretti. La risposta è questo manifesto affisso a Lavagna: "Chi ha vinto ? La morte. Chi ha perso ? La ragione". E la ragione è scomparsa anche in chi ha recuperato antichi rancori che si speravano sepolti. La Polizia presidia il Consolato inglese a Genova e sedi di associazioni culturali italo-britanniche. Morti, paura, odio: possibile che il calcio sia diventato anche questo ?

31 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

Un'amica spiega come Laura Salamida è stata travolta allo stadio

Giovane madre di Finale Ligure ritrovata in coma sotto i cadaveri

di Alberto Dressino

Ha 27 anni ed è sposata con Giorgio Bianchi, un idraulico - Fa parte del consiglio del Juventus club - Erano andati a Bruxelles in aereo.

NOSTRO SERVIZIO. FINALE LIGURE - Agonizzante, colpita in tutte le parti del corpo, semisepolta sotto tre cadaveri: così l'ha ritrovata il marito dopo che era passata l'ondata impazzita di migliaia di persone in fuga sotto l'incalzare "selvaggio ed animalesco", come l'hanno definito molti testimoni oculari, dei tifosi inglesi. Per Laura Salamida, 27 anni, coniugata con l'idraulico finalese Giorgio Bianchi, madre di due figli, Alessandro di 9 anni e Matteo di 2 anni e mezzo, residente a Finale Ligure in via (omissis), la finale della Coppa dei Campioni doveva essere l'occasione per una gita e per vedere all'opera la squadra di cui è accesa sostenitrice, visto che fa parte del consiglio direttivo del Juventus club di Finale Ligure. Invece tutto si è trasformato in tragedia. "E’ stata una cosa inaudita" - ha detto Tecla Coppa, che con Laura faceva parte del gruppo di sei finalesi andati a Bruxelles. - "Prima hanno iniziato a tirarci pietre in testa, poi bottiglie, e poi ancora, saltata la piccola staccionata che ci separava da loro, hanno iniziato a bastonare e tirare coltellate all'impazzata. Il nostro gruppo si è subito frantumato. Io mi sono sentita letteralmente spingere verso l'alto ed è stata la mia salvezza". Una testimonianza drammatica, raccontata con ancora nella voce tutto lo choc dell'accaduto e l'incredulità di chi ha trascorso le ore della vigilia insieme a Laura che ora sta invece lottando tra la vita e la morte in uno degli ospedali di Bruxelles. Da Finale Ligure era partita la piccola pattuglia di tifosi formata da Giorgio e Laura Bianchi, Tecla ed Enrico Coppa e da Bruno Folco. Con l'aereo avevano raggiunto nel pomeriggio Bruxelles per poi recarsi allo stadio. "Invece ci siamo ritrovati verso le 23 all'aeroporto alla spicciolata senza nemmeno attendere che iniziasse la partita perché eravamo terrorizzati da quello che poteva ancora capitare - continua Tecla Coppa - Ho visto decine di persone grondare sangue dal volto e da tutte le parti del corpo, gente che gridava aiuto, scene orribili e tutto sotto lo sguardo quasi indifferente dei poliziotti che si guardavano bene dall'intervenire". Alla base di tutto sta proprio questa totale impotenza delle forze dell'ordine di fronte a tanta violenza. Ma gravi responsabilità gravano anche su chi ha permesso che juventini ed inglesi sedessero fianco a fianco in quella che è ormai diventata la tragica curva Nord. "Purtroppo, una volta esaurita la dotazione dei biglietti affidata alla Juventus - spiegano da Diano Marina dove hanno coordinato i Juventus club del Ponente - molti si sono rivolti alle agenzie private le quali non si sono certo preoccupate a dividere le opposte tifoserie". Quando è stata ritrovata dal marito, anche lui colpito per fortuna leggermente dalla furia inglese, Laura Bianchi era ormai in coma e nella notte è stata operata d'urgenza allo stomaco: si temeva avesse subito gravi lesioni interne. Il marito, dopo un rapido volo a casa per mettersi in contatto con la famiglia, è già ritornato in Belgio. Da una telefonata all'ospedale di Bruxelles, ieri sera, s'è avuto comunque conferma di lievi miglioramenti nella donna, le cui condizioni permangono sempre gravi per i colpi ricevuti, soprattutto alla testa, calpestata da decine e decine di persone.

31 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

Una storia d'attesa, come tante, in casa del vicepresidente Juventus Club

"Mio marito e mia figlia hanno bussato soltanto allora ho capito: erano vivi"

NOVARA - "E’ stata una saggia decisione quella di far disputare Juventus-Liverpool malgrado la tragedia che aveva preceduto la gara. Se ci avessero fatti uscire dallo stadio quando gli animi erano ancora accesi saremmo stati massacrati dai tifosi inglesi la maggior parte dei quali era letteralmente scatenata e chiaramente sotto l'effetto dell'alcol". Così l'avvocato Alfredo Monteverde, presidente del club Juventus di Novara, difende l'operato dei responsabili dell'Uefa che dopo lunghi tentennamenti, hanno deciso di rispettare il programma facendo entrare in campo i giocatori. "Eravamo nella curva opposta a quella "maledetta" nella quale è scoppiato il finimondo. Non ci siamo subito resi conto dell'entità della tragedia. Abbiamo visto però un pauroso movimento nella zona di fronte alla nostra. I tifosi del Liverpool hanno attaccato quelli della Juve schiacciandoli verso il muro dello stadio, lo stesso che è poi crollato". Dice sempre l'avvocato Monteverde: "A un certo punto è arrivato dalla nostra parte un ragazzino di non più di 10 anni. Era scalzo e piangente, diceva che dall'altra parte c'erano dei morti. E' stato in quel momento che abbiamo capito quanto stava accadendo. Purtroppo è stata una giornata amara, una vittoria amara". Assieme a Monteverde c'era il vicepresidente del club Juventus di Novara Pier Giuseppe Capettino. E' rientrato a casa ieri mattina assieme alla figlia Simona di 15 anni e solo quando ha bussato alla porta la moglie Mina ha saputo che a lui e alla figlia non era successo niente di grave. "Per tutta la notte", dice la signora Capettino, "ho tentato inutilmente di avere notizie. Al consolato, in Prefettura non sapevano dirmi nulla. Intanto continuavo a ricevere chiamate da parte dei familiari degli altri sostenitori partiti da Novara con i pullman predisposti dal club Juventus. Tutti volevano notizie e io continuavo a spiegare che non sapevo nemmeno se mio marito e mia figlia erano vivi". m. s. 

31 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

Il savonese fotografato mentre cade allo stadio

"In mezzo ai morti non so come sono salvo"

SAVONA - La foto di Aldo Scalise, 32 anni, panettiere di Savona, tifoso della Juve, è comparsa su tutti i giornali: è stato ripreso dai fotografi della Reuter mentre sta per precipitare nel vuoto insieme agli altri spettatori, molti dei quali moriranno. E' riuscito a salvarsi miracolosamente. Poi, durante la notte, ha telefonato al padre ed al fratello. Aldo Scalise è sposato e padre di tre figli: Celestina, 3 anni, Angelo, 9 e Agostino di 11. Ha fatto un racconto ancora frammentario, sotto choc, di quanto avvenuto allo stadio: "Una folla enorme, terrorizzata, mi ha spinto contro il muro. Non si poteva fuggire in alcun modo. Ho visto decine di cadaveri. Non so come ho fatto a sottrarmi a quella morsa". Gli amici lo hanno riconosciuto sulla prima pagina de "La Stampa", quasi in primo piano. Poi gli altri reduci dalla notte di terrore. Paolo Ferro, di Millesimo: "La polizia belga si è comportata in modo vergognoso. Eravamo in un settore molto vicino a quello della morte. Durante la prima parte della serata i tifosi inglesi hanno Iniziato a lanciare bottiglie, frammenti di cemento, lattine di birra. Poi hanno "caricato" gli italiani. Questi ultimi si sono riversati verso il campo di gioco. Ad attenderli c'erano i poliziotti che li hanno manganellati senza pietà. Per questo la folla ha risalito le gradinate, per finire verso il parapetto". Angela Corbellino, moglie dell'ex presidente del Juventus Club Torino, sede di Savona, racconta: "Ho visto poco degli incidenti, eravamo in una zona del campo tranquillo. Alla mattina, insieme ad un gruppo di juventini, avevamo incontrato per le vie di Bruxelles i tifosi del Liverpool. Ebbene, ci siamo scambiati bandiere, vessilli, berretti. Avevano con sé cassette di birre. Ma erano gentili, controllati. Difficile immaginarli nella veste di belve, di teppisti". Ognuno ha la sua storia da raccontare: nessuno però ha voglia di parlare della partita. Un ragazzo è rientrato a casa con la clavicola spezzata. Uno dei supporters del Liverpool lo ha colpito con un'asta di legno, un'arma micidiale, utilizzata come una clava. In serata sono arrivati i pullman organizzati dal Juventus Club; per fortuna nessuno era rimasto ferito, nessuno mancava all'appello. I savonesi infatti erano distribuiti in zone non contaminate dai teppisti. Ancora qualche preoccupazione per un gruppo di giovani dell'entroterra, partiti con le proprie automobili che non hanno ancora dato notizie di sé. Molti hanno telefonato alla prefettura dove sono state esposte le bandiere a mezz'asta. m.n.

31 maggio 1985

Fonte: Stampa Sera

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

Lo sgomento negli occhi

Lorenzo Del Boca

Rientrati quasi tutti i tifosi in pullman e in aereo. Un viaggio di ore e ore senza allegria con il ricordo degli amici uccisi. "Un massacro", chiunque avrebbe intuito che poteva accadere qualcosa di grave, tranne la polizia belga". Un giovane: "Ho avuto paura, ho visto la morte in faccia".

Hanno calpestato gli amici e sono stati calpestati da gente che conoscevano, hanno visto i tifosi inglesi che venivano avanti con armi micidiali, portano sulle magliette strappate i segni di una notte di paura. Uno è rientrato senza la scarpa destra: finita chissà dove fra macerie, lattine di birra, vetri fracassati e corpi di morti e feriti. Erano allo stadio di Bruxelles, avevano preparato i cori da urlare per incoraggiare la Juventus ma, alla fine, pochi hanno seguito la partita. Arrivano in autobus con le facce stanche di chi non dorme da due notti. Un viaggio di ritorno di mille e più chilometri: quattordici ore senza allegria e negli occhi l'immagine degli amici uccisi dalla folla. "Un massacro - cercano con gli occhi i parenti - chiunque avrebbe intuito che sarebbe successo qualche cosa di grave... Chiunque... Meno la polizia belga che ha mandato 20 poliziotti e venti cani... E quando lo stadio era già diventato una tomba sono arrivati i poliziotti a cavallo per una pantomima ridicola che si potevano risparmiare". Le altre trasferte - si vincesse o si perdesse - erano prima di tutto una festa. "Alé ohooo"... Da quando si partiva a quando si arrivava: e sul pullman era un intrecciarsi di commenti su come aveva giocato bene questo o come era stato insufficiente quell'altro. Un'altra partita recuperata in flash-back giocata con i ricordi. "Ma chi aveva voglia di chiacchierare ?". Gianni Ferio, 19 anni, è arrivato a Torino stravolto dalla stanchezza e dalla paura. "Paura, sì, perché nasconderlo ? Ho visto la morte in faccia. C'era un inglese alto come una montagna con la sciarpa sulla bocca che teneva in mano una bandiera arrotolata su un bastone enorme. E con quello spingeva, ci schiacciava uno sull'altro come sardine. Gli altri da sotto ci picchiavano e noi non potevamo proteggerci. Non riuscivamo a scappare. La polizia al primo assalto si è spaventata e, invece di proteggerci, è scappata in mezzo al campo". Gli inglesi avevano pistole lanciarazzi: sparavano mortaretti micidiali. Mario e Isa indossano una magliettina azzurra, si infilano in un bar assetati e restano a guardarsi senza parole; Giorgio scende dal pullman con la sciarpa bianconera arrotolata al collo e, insieme, quella rossa del Liverpool; Sergio Fanti ha in testa il cappellino della Juventus, la giacchetta della Juventus e la borsa della Juventus. E' un super tifoso che non ha voglia di ricordare nulla: solo cose che vorrebbe dimenticare. Un giorno di follia collettiva che ha scatenato la furia di gente normale. Chi nella vita di tutti i giorni è panettiere, camionista, operaio, impiegato, è diventato un selvaggio pronto a picchiare e a uccidere. "Quelli, i reds, insomma, hanno trasformato Bruxelles in un immenso bivacco". Gabriele Pantino, cuneese, juventino di antica data, ha visto gruppi di tifosi inglesi che vuotavano lattine di birra una dopo l'altra. Buttavano via le camicette, rimanevano a torso nudo e con il tempo che passava aumentava la loro ebbrezza. Le bottiglie le spaccavano sui marciapiedi, minacciavano la gente che camminava per strada con i cocci del vetri, si infilavano per fare il bagno nelle fontane della città. "Per entrare allo stadio - ricorda - abbiamo dovuto aspettare due ore, in coda, in una calca già impossibile. Perché tanta attesa ? Controlli non ce n'erano. E infatti la gente di Liverpool ha potuto portarsi dentro coltelli e pugnali, pistole lanciarazzi, bastoni e randelli. Anche lance appuntite. Quelli cercavano la rissa. E' sempre stato così in ogni stadio dove sono andati". Gli italiani e gli inglesi, sulla curva alla sinistra della tribuna numero Z, erano separati soltanto da due transenne e da una rete metallica inconsistente. E quelli hanno cominciato un lancio di lattine di birra (piene e vuote), poi si sono messi a spingere come forsennati contro i "nemici" dell'altra squadra. Un corpo a corpo senza esclusione di colpi. "Noi siamo arretrati di un passo - spiegano - e quel lasciare il campo è parso come un segno di debolezza. Gli altri hanno voluto approfittare di quel momento a loro favorevole e sono partiti all'assalto". Bandiere usate come randelli, bottiglie trasformate in armi micidiali, pezzi di cemento strappato dai gradini che diventano proiettili, anche lame di coltelli. Persico Martini dice di aver visto una ragazza sgozzata. Sgozzata ? "Dico - conferma - che uno del Liverpool le si è avvicinato e l'ha colpita al collo con un fendente. E' uscito un fiotto di sangue: quella si è inginocchiata con le mani alla gola. Poi non l'ho vista più", perché la folla, come se fosse stata un'enorme onda, trascinava lontano. Chi incespicava era perduto. Gli altri gli passavano sopra. Da una parte il muro chiudeva la ritirata degli juventini, dall'altra i supporters del Liverpool, ringalluzziti dalla loro superiorità, che venivano avanti menando colpi. Impossibile resistere. Anche fra gli juventini c'era gente abituata a menare le mani, ma quelli erano troppo forti. Pochi minuti per una tragedia. Con un rumore appena ovattato la cinta si è piegata su se stessa e da lassù sono piovuti pietre e uomini. "Ho visto due ragazzi con il viso disfatto - dice Marco Sepriolo - allungavano le mani in cerca di aiuto. Mi sono buttato verso di loro ma la folla faceva da barriera. Urlavo: "Non mollate". Sono scivolati in basso, un volo di cinque o sei metri. Chissà se sono ancora vivi". Ricordi che portano il segno della disperazione. "Ero inginocchiato sopra altra gente, forse erano già morti, forse sono morti. Sentivo un peso enorme sopra di me... Mi sentivo mancare... Non respiravo più. Dicevo: "aiutami, Signore, aiutami". Cercavo di appoggiarmi sulle mani per non pesare su quelli sotto. "Signore aiutami: non ce la faccio più"... Non so come ho potuto uscire vivo da quel macello". Allo stadio di Bruxelles non c'era polizia ma non c'era nemmeno personale del pronto soccorso. Tre medici e pochi infermieri hanno dovuto fronteggiare una situazione di particolare emergenza. "Sul marciapiede, fuori, ammucchiavano i corpi dei nostri amici. Qualcuno era già morto, qualcuno respirava appena". Hanno dovuto usare le transenne come se fossero lettighe. "Chi aveva ancora un briciolo di fiato si lamentava. Una cantilena appena sussurrata". Ma non c'erano medicinali, non c'erano bende, non c'era l'attrezzatura per le trasfusioni e per le cure d'emergenza. Niente. "Chi stava per morire doveva morire".

31 maggio 1985

Fonte: Stampa Sera

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

Parole molto dure del presidente bianconero dopo la tragedia

Boniperti sconvolto davanti alle salme

"Odio più che mai gli inglesi"

di Piercarlo Alfonsetti

Giampiero Boniperti, il giorno dopo. Orrore, tristezza, cordoglio sono sensazioni tra le quali filtra appena una punta di compiacimento per l'importante successo conquistato dalla Juventus. Ma, negli occhi del presidente, la tragedia è ancora troppo viva e così l'orrore per tutti quei morti ai quali ieri mattina è andato a rendere l'estremo omaggio. "E’ tremendo - bisbiglia il presidente juventino - è tutto assurdo, incredibile. All'ospedale militare ho incontrato un signore di Varese che stava cercando il corpo di un suo amico. L'ha trovato, giaceva accanto a quello del figlio, entrambi erano ricoperti da una bandiera bianconera. Mi sembrava di essere in guerra, in un ospedale da campo. Dopo quello che ho visto, odio gli inglesi come non mai". Parole durissime, una reazione giustificabile in un uomo e in un dirigente che ha appena constatato di persona a quali criminali eccessi può portare il tifo quando la passione sportiva viene compressa ed esaltata dall'odio. Boniperti avrebbe voluto recarsi anche all'ospedale Bruckmann per rendersi conto delle condizioni dei feriti ma il suo proposito è stato vanificato da una serie di difficoltà burocratiche che, ancora una volta e incredibilmente, gli ineffabili belgi, totalmente inetti sul piano organizzativo, in compenso ridicolmente attaccati alle formalità, hanno sollevato. Il leader juventino è ancora fortemente impressionato, più che esprimere concetti articola parole di commozione e sdegno. "E’ stato uno spettacolo impressionante - prosegue - sempre quel signore varesino mi ha riferito che i tifosi del Liverpool sparavano razzi e mortaretti ad altezza d'uomo. Hanno tenuto un comportamento da guerriglia, con l'evidente proposito di colpire, uccidere, in ogni caso far male. La teppaglia criminale ha agito quasi indisturbata, ma se la polizia non interviene in casi come questi come si fa a salvare il calcio ? Per i fatti di Bruxelles ci sono responsabilità enormi". Giusta la proposta di impedire alle squadre britanniche di partecipare a manifestazioni internazionali ? "Sicuramente si deve isolare e colpire chi si comporta in un modo così criminale". Che cosa prova un presidente in un pellegrinaggio così mesto come quello che ha compiuto ieri ? "Un dolore immenso". Sono previsti passi ufficiali da parte della Juventus ? "Non so, è ancora troppo presto". Se il prossimo sorteggio di Coppa vi opponesse all'Everton di Liverpool chiedereste di giocare a porte chiuse ? "Vi spingete troppo in là con gli interrogativi, adesso non posso rispondere a una domanda del genere". I giornali inglesi, lo stesso primo ministro britannico Thatcher hanno proposto di vietare alle squadre del loro Paese la partecipazione a incontri internazionali. Che cosa ne pensa ? "Non tocca a me esprimere un parere in proposito, sarà l'Uefa a decidere". I dirigenti del massimo ente calcistico europeo sono sotto accusa anche per il fatto di aver organizzato un incontro del genere in uno stadio relativamente piccolo come l'Heysel. Se si fosse giocato in un impianto più grande, avremmo avuto una tragedia di queste proporzioni ? "Con un servizio di polizia inadeguato come quello di Bruxelles, sicuramente sì". La Juventus sospirava questo trionfo da tanto tempo e ora le vien tolta anche la possibilità di assaporarne il gusto. Che cosa prova ? "Tanta amarezza, perché quanto è successo era al di fuori di ogni immaginazione". Boniperti ha finito. Nelle sue parole affiora soltanto dolore, com'è giusto non c'è alcuna concessione al sentimento dello sportivo. Il presidente non lo dice ma siamo sicuri di interpretare il suo pensiero affermando che tra i concetti che sente e che non ha espresso figura anche un auspicio e cioè che questa immane tragedia possa almeno contribuire a risparmiare in futuro altre vite umane.

31 maggio 1985

Fonte: Stampa Sera

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

La lunga notte di Torino

di Michele Ruggiero

… (Omissis: testo mancante) squilli. Solo alle 11.30 comincia a lampeggiare sui teleschermi il numero di Roma da cui si possono avere notizie. Scarse le reazioni ufficiali. I torinesi che contano sono assenti, per lavoro oppure a Bruxelles per vedere la partita. C'è l'ex sindaco, il compagno Diego Novelli, sconvolto: "E’ allucinante - mormora - Cosa puoi aggiungere a ciò che ti dicono già le immagini ? A caldo è difficile dire cosa ti passa per la mente". In Municipio le telefonate si infittiscono. A riceverle c'è l'unico capogruppo consigliare presente, quello del Pci, il compagno Domenico Carpanini. Anche lui sa poco e ci raccomanda: "Se avete qualche notizia fatemelo sapere subito". Il sindaco Giorgio Cardetti arriva poco prima di mezzanotte. Da casa ha già diramato una dichiarazione ufficiale: "Sono profondamente addolorato e sconcertato per quanto accaduto a Bruxelles. Davanti ai teleschermi ho sofferto con migliaia di famiglie torinesi che hanno parenti ed amici nella capitale belga, che non sanno ancora, come anch’io, se qualcuno di loro è fra le vittime. E’ sconvolgente che chi aveva deciso di passare una giornata di divertimento, magari facendo sacrifici, sia stato coinvolto in una tragedia di queste dimensioni, perdendo o rischiando di perdere la vita. Mai più una manifestazione di questa rilevanza dovrà svolgersi in stadi insufficienti per numero di posti e senza adeguate misure di sicurezza. Voglio anche esprimere solidarietà ai dirigenti ed ai giocatori della Juventus che hanno deciso di giocare una partita, oramai oltre i limiti dell'assurdo sotto l'aspetto sportivo, solo per evitare possibili ulteriori incidenti". In piazza San Carlo, il cuore della città, mazzi di bandiere bianconere penzolano accanto ai numerosi banchetti allestiti nel pomeriggio. Qui la festa popolare era già cominciata, prima della partita. Alle 19 c'erano torme di auto pavesate di festoni juventini che scorrazzavano per le vie del centro, risuonavano trombe, cori. Poi è calato il silenzio, la gente è sfollata, incredula, con l'orecchio appiccicato alle radioline. Solo in un angolo della piazza ci sono un centinaio di persone, accalcate davanti allo schermo televisivo gigante allestito da un bar. Sono i tifosi ultras, parenti prossimi di quelli che sono andati a Bruxelles. Una frangia di irresponsabili che non sanno nemmeno comprendere una tragedia. Pizzul ha già detto che ci sono decine di morti. Ma loro continuano a ridere, a scherzare. Succede persino che centinaia di persone, dopo la partita, scendono in strada a festeggiare il successo della Juventus con caroselli d’auto che hanno qualcosa di agghiacciante, dopo una serata come questa.

31 maggio 1985

Fonte: L’Unità

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

L'Italia sconvolta dall'inutile strage

Messaggi di Elisabetta e Baldovino a Pertini

di Filippo Grassia

Le autorità belghe respingono le accuse di inefficienza e impreparazione - Al momento degli incidenti però gli agenti stavano consumando il pasto - Il comitato organizzatore ha riservato la stessa curva ai tifosi della Juve e del Liverpool - Morto l'inglese accoltellato prima della partita - Bruxelles ha deciso di non ospitare più partite con gli inglesi - Polemiche a Roma anche sulla decisione di far giocare la partita e sulla sua trasmissione - Bonn e Pankow l'hanno bloccata - La Chiesa denuncia "un costume di vita insensato".

DAL NOSTRO INVIATO. Bruxelles, 30 maggio. Sulla curva della morte sono ancora visibili i segni della tragedia che ha rapito alla vita 39 innocenti in modo folle e brutale. Stamane, accanto a qualche fiore, c'erano ancora brandelli di stoffa, bandiere, cappellini, sciarpe, un paio di panini e un libro giallo dal titolo che fa paura: "I muri parlano". Chissà mai cosa potranno rivelare agl'inquirenti quei mattoni rossi e smussati che, rovinando sulla pista d'atletica, hanno firmato la condanna di tanta gente. Il bilancio ufficiale parla di 40 vittime (oltre ai 39 della curva "Z" è infatti morto l'inglese accoltellato prima dell'incontro); dei 39 morti trentuno sono italiani, 4 belgi, un francese e un irlandese, più due cadaveri ancora non identificati. Tutte le salme sono allineate nella camera mortuaria dell'Ospedale militare, dove nel pomeriggio sono iniziate le autopsie. Per la grande maggioranza la morte è sopraggiunta quasi istantaneamente, in seguito a schiacciamento e soffocamento. Qualcun altro è finito con la giugulare squarciata dalla rete metallica. Un tappeto di carne umana al momento del dramma che si è consumato alle 19.32 quando il muretto che delimitava il settore "Z" della curva Sud si è sbriciolato sotto la tremenda spinta dei tifosi italiani in preda al panico per le ripetute cariche dei teppisti britannici. E' stato un autentico macello. Ricorderemo a lungo i due giovani che sono spirati sotto il nostro sguardo con la bocca spalancata in cerca disperata di ossigeno. O il corpo di un altro ragazzo, la maglietta a righe orizzontali bianche e blu, che era stato dato per morto, ricoperto con un panno grigio e che invece ancora sussultava. Contati i morti e i feriti, è cominciata la corsa alle responsabilità. Il presidente dell'Uefa, Georges, ha addossato tutte le colpe al servizio d'ordine. C'erano oltre mille uomini allo stadio, secondo le stime del ministro degli Interni, Nothomb. E il borgomastro, Brouhon, è dello stesso avviso. Ma dov' erano questi gendarmi ? La maggioranza, ne siamo stati testimoni oculari, stava consumando un pasto frugale, un panino o poco più, all'ora dello scempio. Erano le 19,15. E sul campo, ci sono le immagini televisive a testimoniarlo, non avevano preso pasto che una trentina di gendarmi. I primi rinforzi sono arrivati solo alle 19.40. La giustificazione a cui si è ridotto il ministro degli Interni è ridicola: "Il servizio d'ordine era convinto che gli incidenti non potessero scoppiare prima della partita, per questo motivo non aveva predisposto misure più severe. Inoltre la polizia non era preparata a sedare tumulti che non provenissero dall'emozione sportiva". La polizia si è rivelata inefficiente. Quantitativamente (Omissis: testo mancante) … Nella tarda mattinata, presso il ministero degli Interni, è stata varata una riunione che ha coinvolto altri sei ministeri, gli organizzatori della finale, l'Uefa, il borgomastro e le forze di polizia. Il ministro Nothomb, affiancato dal capo di gabinetto Lagen Dries, ha chiesto rapporti particolareggiati a tutti gli interlocutori. In sede di conferenza stampa, al cospetto di almeno duecento giornalisti, ha assolto l'organizzazione e la polizia condannando la violenza per la violenza che non ha nulla a che vedere con l'emozione sportiva. Poi ha aggiunto: "Le forze dell'ordine erano preparatissime, alcuni rappresentanti sono stati a Rotterdam per valutare il tifo inglese in occasione della finale di Coppa Coppe fra l'Everton e il Rapid Vienna, altri si sono recati addirittura a Liverpool per capire il comportamento dei tifosi inglesi. Ci sono state tre riunioni, l'ultima il 23 maggio. Il numero dei gendarmi è stato portato a mille, un fatto inconsueto". Viste le premesse, l'inchiesta del governo belga pare avviata ad un'assoluzione per mancanza di prove. Non ci resta che piangere le vittime.

31 maggio 1985

Fonte: L’Unità

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

I tifosi romani raccontano: "Molti hanno capito dopo..."

di Rosanna Lampugnani

Nella sede dello "Juventus Club" di piazza Indipendenza - "Dalla curva dove eravamo non s'è visto nulla, abbiamo saputo all'uscita" - "La coppa ? Io la restituirei".

A Roma, il giorno dopo, nella sede dello "Juventus Club" di piazza Indipendenza. "Non abbiamo gioito per la vittoria: anche se fosse stata conquistata con un 3 a 0 e non con il calcio di rigore, che lo stesso Rossi ha detto inesistente, anche in questo caso la coppa per noi non rappresenterebbe tutto ciò per cui da anni ci siamo battuti. Restituire la coppa ? Sì, lo farei non ho dubbi". Remigio Bagni, perfettamente vestito di bianconero, è appena sbarcato da uno dei due aerei che hanno portato i settecento tifosi zebrati a Bruxelles. E con lui la figlia Marina, 19 anni, fans che ha seguito la Juve anche ad Atene, due anni fa. "La colpa di tutto ciò che è successo è principalmente della polizia belga. Non ci sono dubbi, perché tutti conoscono la tifoseria inglese, ma non è stato fatto nulla per evitare gli incidenti. I cancelli dello stadio li hanno aperti alle 17, a tre ore appena dall'inizio della partita. Una strettissima porticina serviva tre settori interi e di lì ci hanno fatto passare uno alla volta, ma non per controllarci. Tanto è vero che è entrato di tutto nello stadio: bottiglie molotov, casse intere di birra, lanciarazzi, qualcuno dice anche pistole". L'incubo allo stadio comincia a delinearsi dalle prime parole del racconto che via via snocciola gli orrori che milioni di persone hanno visto in diretta. "I tifosi romani, aggiunge Marina, sono tutti incolumi. Nei momenti tremendi del massacro non abbiamo visto nulla, noi eravamo nella curva opposta a quella degli scontri. Ci siamo resi conto che una decina di bianconeri andavano dall'altro lato per picchiare. Purtroppo è una cosa che succede sempre e ovunque. Ma il ritardo del fischio di inizio ce lo siamo spiegati per i tafferugli che intravedevamo dal lato opposto, senza capirne la gravità". "Quando siamo usciti dallo stadio - conclude Remigio - era ormai mezzanotte e la strage l'abbiamo appresa dalle parole del capo tifoseria di Torino". Con il gruppo dei romani anche dei siciliani, dei napoletani, in trasferta per seguire la squadra del cuore. Cinquecentomila lire il prezzo del "pacchetto" messo a disposizione dalla agenzia di viaggi "Mister Travel": volo, colazione in aereo, biglietto per lo stadio (uno per spettatore, in maniera pulita e ordinata), giro turistico in pullman della città e pranzo al sacco. Un sacrificio per le tasche di Mario Bottiglia e Fabio Cupini, due diciottenni di Terracina, manovale e carrozziere, un sacrificio che erano ben disposti a pagare ma a cui hanno dovuto rinunciare per un disguido tecnico. "Abbiamo gridato per la gioia per un'ora dopo la conclusione della partita: per un po' abbiamo pensato soltanto al calcio. Poi ci siamo resi conto della tragedia e ci siamo vergognati di questo. Non si può morire per il calcio". "Io morirei per la Juve, ma non così. Non la voglio più vedere quella coppa, anche se ho sempre detto che avrei voluto chiudere per sempre gli occhi soltanto dopo questo risultato. Ma non così, non così. Eppure penso che bisognava giocare per evitare ancora più morti". Maria Concetta Antinucci, "Titina", per i duemila iscritti allo Juventus club di Roma, è rimasta in città; anche se avrebbe voluto esserci nella capitale belga "per condividere tutto con i miei compagni". Da trent'anni dedica il suo tempo libero alla squadra e l'altra sera è rimasta inorridita davanti alle scene raccapriccianti rimandate dall'Eurovisione. E anche lei si unisce al grido d'allarme di Remigio Bagni: "Fate qualcosa per fermare quei dieci, quindici teppisti che ogni squadra conta tra i propri sostenitori che puntualmente fanno degenerare il clima sportivo". Un anno fa avete scritto per le vie di Roma: "Grazie Liverpool" perché aveva battuto la Roma nella finale di Coppa campioni... "Lo facemmo perché l'anno precedente i romanisti fecero la stessa cosa con noi", precisa Titina. E aggiunge subito: "Guardi che io non sono andata a piazza del Popolo dove avevamo pensato di radunarci per esultare in caso di vittoria. Ieri sera ho pianto, da sola a casa mia".

31 maggio 1985

Fonte: L’Unità

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

"Si è agito con cinismo"

Sit-in Fgci alla sede Federcalcio

"Una nuova cultura sportiva, nelle scuole, nell'università, nel territorio che educhi e formi la società al rispetto di sé e degli altri. Solo così si può sconfiggere l'assurda violenza che ha provocato la tragedia di Bruxelles". Lo hanno chiesto i giovani della Fgci in un sit-in di protesta organizzato ieri pomeriggio sotto la sede della Federazione italiana gioco calcio, in via Po. Sui cartelli lo sdegno per la violenza scatenata dai tifosi inglesi ma anche per l'atteggiamento "cinico" delle autorità federali che hanno fatto svolgere la fine e l’hanno poi convalidata. "Cinici - hanno detto i giovani comunisti - sono stati anche gli assurdi festeggiamenti che si sono svolti in alcune città italiane". Ma perché tanta barbarie anche nello sport ? Negli stadi si trasferiscono tensioni, disgregazione, forme di emarginazione sociale e giovanile". "Manca una vera cultura sportiva e non può sorprendere - dice ancora la Fgci - che si formino minoranze squadristiche organizzate, in Gran Bretagna ma anche in Italia". I giovani comunisti si rivolgono agli altri giovani perché portino negli stadi pace, umanità e solidarietà. Come ? Con regole di comune convivenza concordate in un incontro nazionale tra tutti i tifosi delle squadre italiane; con una legge rigorosa per la sicurezza negli stadi, chiudendo quelli che non danno garanzie sufficienti. "Ma soprattutto - chiude la Fgci - si deve trasformare l'emarginazione in un pescare le minoranze organizzate in una nuova domanda di salute, vita e lavoro.

31 maggio 1985

Fonte: L’Unità

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

Tra la gente durante i drammatici fatti a Bruxelles

Come Reggio ha vissuto la notte della tragedia

La strage di Bruxelles ha lasciato sgomenta la città, ma non ha impedito, dopo la partita, che qualcuno, l'altra sera, scendesse nelle strade per festeggiare con clacson, bandiere e qualche atto di teppismo, la "vittoria". A quell'ora, in decine e decine di famiglie reggiane, c'era chi viveva momenti di angoscia, pensando ai familiari, ai conoscenti, agli amici, che si erano recati in Belgio per seguire la finale di Coppa dei campioni. L'emittente reggiana "Radio Venere" ha realizzato alcune interviste, in città, a partire dall'intervallo della partita, quando il disastro era già evidente nel suo tragico, insensato bilancio. Le prime testimonianze sono raccolte all’"Ambra", dove circa 400 persone seguivano la partita sullo schermo. C'è incredulità, condanna per la violenza. Seguono interviste raccolte nel bar, e sono tutte di sgomento per gli avvenimenti che di sportivo, di calcistico, hanno ormai ben poco. Altre interviste, realizzate in città tra i rari passanti sono di condanna per la violenza, e per un modo di intendere il calcio, il tifo esasperato. La partita finisce; davanti alla fontana del Municipale arrivano i primi, in scooter, auto, moto, sventolando assurdamente le bandiere. "Sei contento ?", chiede l'intervistatore a due ragazzini in Vespa. "Altro che, abbiamo vinto". "Ma i morti ?". "Un episodio da dimenticare". Una ragazza spiega che è giusto festeggiare perché "se abbiamo avuto dei morti, abbiamo pur sempre vinto la coppa. Sarebbe stato peggio avere la strage e perdere la coppa". Un tizio sui 30 anni (non c'erano solo ragazzini, tra i circa trecento radunatisi intorno alla fontana) arriva dispiegando uno striscione e proclamando "La coppa l'abbiamo conquistata con il sangue". Un altro insiste su di un concetto: lui gli inglesi li avrebbe massacrati. Proseguono altre dichiarazioni, in cui, in sostanza, ci si dispiace per la strage, ma si afferma che bisogna festeggiare l'agognata vittoria. Lo sfondo sonoro è costituito da cori di oltraggio al Liverpool e all'Inter. Le prime parole consapevoli sono quelle di quattro calabresi bloccati dalla piccola folla con la loro auto. "Non è proprio il caso di festeggiare, non dimentichiamo che là sono morti decine di connazionali, che ci sono tanti feriti". Altra auto, di reggiani: sono disgustati dai festeggiamenti. Un cittadino chiede perché le autorità, la forza pubblica, consentano questi schiamazzi. In piazza del Monte vengono rovesciati bidoni della spazzatura, poi si fugge all'arrivo della polizia. Queste, però, sono state reazioni di una piccola minoranza. La città ha reagito con tristezza, interrogandosi sulle responsabilità, ma anche sui meccanismi perversi di uno sport divenuto esasperato affare economico. All'ultimo momento apprendiamo che tra i tifosi reggiani che si sono recati a Bruxelles ci sarebbero un ferito e un disperso.

31 maggio 1985

Fonte: L’Unità

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

Morire a Bruxelles, le storie degli italiani uccisi in una sera d'inferno

Le vittime: gente tranquilla. Il cuoco, la ragazza, l’operaio

di Federico Geremia

Erano arrivati da ogni parte d'Italia i tifosi schiacciati dalle reti e da quanti fuggivano - Tarcisio Venturin, 23 anni, lavorava in una fabbrica di ascensori e da due mesi conservava i soldi per la partita - Due donne e un assessore allo sport tra i morti.

ROMA - Né sciarpe, né bandiere. Poco a che vedere con "brigate" e "ultrà". Forse soltanto sportivi, più e prima ancora che tifosi. E allora morire così, calpestati dagli amici in fuga nello stadio diventato un inferno, davvero non si può. A rileggerle ora, a dramma consumato, le storie e le vicende di quei trenta italiani uccisi a Bruxelles rendono tutto ancora più folle. Perché schiacciati dalle reti, dai mattoni e dai corpi degli altri, in quello stadio diventato trappola, c'è rimasta proprio gente così: postini e medici, cuochi e dentisti, meccanici e bidelli, una donna anziana ed una ragazza giovanissima. E persino un assessore: un assessore, ironia della sorte, proprio dello "sport". Fino a tardi davanti alla Tv, mentre in quello stadio maledetto la gioia prendeva grottescamente il posto del dolore, in migliaia di case di tutt'Italia famiglie intere aspettavano di vedere un volto, di sentire una notizia che le rassicurasse sulla sorte dei propri cari. Invece niente: ancora qualche abbraccio, la festa finale, e basta così. È stato di notte, allora, e spesso in maniera impensata e inattesa, che le notizie di morte sono entrate nelle case a spazzar via ogni speranza. Ai vecchi genitori di Luciano Rocco Papaluca, un calabrese trentottenne emigrato dieci anni fa a Milano e impiegato nell'aeroporto civile, la notizia l'hanno data nel cuore della notte alcuni amici romani. Preoccupati per la sorte di Rocco, avevano telefonato loro alla Farnesina, dove un funzionario aveva subito detto sì, che il nome di Rocco Papaluca c'era già in quel pur incompleto elenco di morti schiacciati. E ancor peggio, forse, è quanto è successo a Carla Bandiera. Come purtroppo spesso accade, prima delle comunicazioni ufficiali sono arrivati i giornalisti. Le hanno domandato come poteva commentare gli incidenti di Bruxelles dove - lei Io saprà - è morto anche suo marito. E lei, invece, non sapeva ancora niente. Nessuno le aveva detto che anche Giovacchino Landini, suo marito, appunto, proprietario di una trattoria toscana a Torino, era tra i morti di quella drammatica partita. La povera donna, piangendo, è riuscita solo a mormorare: "Me lo sentivo, io me lo sentivo. Quando ho visto quelle immagini in Tv io ho pensato al peggio"... Aveva 50 anni, il signor Landini, ed era soltanto un "tipo tranquillo". A Bruxelles gli italiani, e tra loro i morti, c'erano arrivati in ogni modo possibile. Nisio Fabbro, friulano, aveva addirittura caricato cinque amici sul piccolo camper puntando, poi, dritto al Belgio. Una montagna di chilometri ? Sì, ma la sua passione per il calcio era ancora maggiore. Impiegato presso una ditta a Buia (Udine), dove abitava, aveva giocato per molti anni nella squadra di calcio del suo paese. Appese le scarpe al chiodo, ora capitanava modestamente la rabberciata formazione delle "vecchie glorie", ed era tra i dirigenti della società. Gli amici che erano allo stadio con lui lo hanno perso di vista appena i tifosi del Liverpool hanno "caricato". Perché era gente tranquilla quella che occupava li settore che gli inglesi hanno assaltato: non ha reagito, ma cercato scampo fuggendo. Una fuga drammatica, una ressa spaventosa, alla fine della quale per molti di loro c'è stata la morte. E che dire, ancora, di Tarcisio Venturin, un ragazzo di appena 23 anni, milanese: conservava da due mesi i soldi per seguire la Juve a Bruxelles. Era operaio, Tarcisio, e lavorava in una fabbrica di ascensori. Non era mai andato a vedere una partita all'estero, ma questa volta, per questa attesissima finale voleva esserci anche lui. È morto schiacciato da una delle reti di recinzione, calpestato da migliaia di persone in fuga. Anche un assessore, si diceva all'inizio, un assessore allo sport, siciliano, socialista: Eugenio Gagliano era nella giunta di sinistra che da tempo guida il comune di Mirabella Imbaccari, provincia di Catania. A Bruxelles ci era arrivato con un volo charter della Cit, anche lui con cinque amici. E sono stati proprio loro, al ritorno in paese, a portare - prima ancora della tv e dei funzionari della Farnesina - la notizia della morte. Una notizia che ha letteralmente sconvolto li piccolo centro siciliano. Eugenio Gagliano, lì, lo conoscevano tutti. Quasi nulla, invece, si sapeva - ancora ieri sera - di due delle ultime vittime ad essere identificate: Barbara Lusci, 58 anni, sarda ma residente a Genova, e Giuseppina Conti, 17 anni appena, aretina. La prima era andata a Bruxelles assieme al marito, Pietro Margiotta, gravemente ferito e ricoverato in ospedale. Ma Giuseppina Conti ? Con chi era nell'inferno di Bruxelles ? E di storie se ne potrebbero raccontare ancora. Si potrebbe dire quella di Mario Spanu, di Novara, cuoco in un autogrill sulla Torino-Milano; oppure quella di Roberto Lorentini, medico nel reparto malattie infettive dell'ospedale di Arezzo e, ancora, quella di Sergio Mazzino, ligure, tranquillo rappresentante della "Locatelli" nella zona di Rapallo. Ma è già chiaro contro chi la furia folle dei tifosi inglesi e un destino allucinante si sono volti nel pomeriggio di mercoledì. Gente tranquilla, senza coltelli né bastoni. Gente che di fronte all’assedio armato è fuggita e nella fuga, non nella rissa, ha trovato la morte. Ma se è possibile che vada anche così, allora ha ragione Giorgio Giacomelli, presidente della Juve Club di Bassano del Grappa: "Per quanto mi riguarda non organizzerò mai più niente e non farò mai più mettere piede a nessun tifoso su un campo di calcio europeo ! Se una Coppa vuol dire tutto questo, meglio perderla che conquistarla a così caro prezzo".

31 maggio 1985

Fonte: L’Unità

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

Difficile e mesto rientro da Bruxelles

Una regione senza notte. L'angoscia, il dolore, la condanna

Numerosi sono i tifosi feriti, un piacentino è molto grave.

Emozione e sgomento in tutta la regione Emilia-Romagna per la strage di Bruxelles. La Giunta regionale in una nota afferma fra l'altro: "Interprete dei sentimenti di dolore e di sdegno provocati dai gravissimi atti di violenza che hanno funestato a Bruxelles la finale della Coppa dei Campioni di calcio, si rivolge con fermo e accorato appello a tutti i dirigenti degli organismi sportivi e particolarmente alle società che gestiscono attività di sport-spettacolo affinché rinnovino il proprio impegno volto a salvaguardare e consolidare i valori civili ed educativi dell’attività sportiva". La segreteria regionale sottolinea che non bastano parole di cordoglio e di esecrazione, ma vanno chiaramente individuati cause e responsabili. "Troppi avvenimenti luttuosi hanno macchiato in questi mesi lo sport e in particolare il calcio. Noi auspichiamo - sostiene l'Uisp - che un grande momento di festa e di cultura come lo sport trovi al suo interno e in collaborazione con gli organi istituzionali la forza di espellere questa barbarie che nulla ha a che vedere con le sue tradizioni e le sue finalità". Sospensioni in segno di lutto. In numerosi ambienti, nei posti di lavoro, si sono avute manifestazioni e testimonianze di profonda emozione e cordoglio. All'Anffas di Bologna (Associazione nazionale famiglie fanciulli adulti subnormali) il lavoro è stato fermato dalle ore 9.30 alle 10.30 in segno di lutto e di protesta. I dipendenti hanno anche tenuto un'assemblea. Dissociazione. In diversi centri dell'Emilia-Romagna mercoledì sera a conclusione della partita Juventus-Liverpool si sono formati alcuni caroselli per "festeggiare" il successo juventino nonostante si conoscessero già le drammatiche conseguenze della strage di Bruxelles. Ma molti sportivi si sono dissociati da queste iniziative. I responsabili degli "Juventus club" di Faenza e Ravenna nel dissociarsi hanno fatto affiggere sulle bacheche una nota di condanna sottolineando che in un momento del genere è assurdo pensare di programmare festeggiamenti per il risultato di una partita di calcio. Atti di teppismo. A Rimini durante la notte i pullman della compagnia inglese Elis parcheggiati sul lungomare nei pressi di piazza Pascoli sono stati danneggiati da alcuni tifosi. Oltre ad aver spaccato tutti i vetri i teppisti hanno voluto lasciare la firma: con le bombolette spray hanno scritto sulla fiancata "Viva Juve". Molta preoccupazione è serpeggiata al pub "Rosen Crown" dove, dopo i tragici fatti di Bruxelles, i proprietari e i pochi clienti inglesi presenti si sono barricati all'interno del locale. Anche perché alla fine della partita proprio in piazza Tripoli, dove si trova il pub inglese, si era raccolto un gruppo di tifosi juventini intenzionati a festeggiare la vittoria bianconera. I più esagitati hanno anche spaccato le insegne ed alcuni vetri. Tuttavia le forze dell'ordine, vista la situazione, hanno tenuto d'occhio per tutta la notte i locali riminesi frequentati generalmente da turisti inglesi. Le notizie sui tifosi emiliano-romagnoli rimasti feriti a Bruxelles sono ancora frammentarie e arrivano con difficoltà. La carovana bianconera partita da Parma conta 5 feriti, uno solo di questi è stato però ricoverato: si tratta di Attilio Rebuzzi che è dovuto ricorrere alle cure dei sanitari per lo schiacciamento e l’incrinatura di una costola. Altri quattro parmigiani, due ragazzi e due ragazze, di cui non si conoscono ancora i nomi, sono rimasti leggermente contusi. Tutti sono comunque sulla via del ritorno. Un elettricista piacentino di 64 anni, Santino Orsi, è invece ricoverato in gravissime condizioni all'ospedale di Bruxelles. Era partito martedì mattina da Piacenza con il figlio Fausto ed altri amici a bordo di due autovetture. Allo stadio Heysel aveva preso posto proprio sul settore in cui si è verificata l'aggressione da parte dei tifosi inglesi. Pare che lo sfortunato elettricista sia caduto, insieme a molte altre persone da un parapetto della gradinata che si affacciava sull'esterno dello stadio. Nessun altro piacentino, dei moltissimi presenti a Bruxelles, è rimano coinvolto negli incidenti. Quasi tutti hanno però dovuto ritardare di molto la loro partenza in quanto la polizia ha impiegato molte ore per regolare il deflusso dei tifosi dallo stadio e dalla città. I piacentini che erano presenti alla finale erano una settantina; avrebbero dovuto essere molti di più ma altre richieste sono state respinte per mancanza di biglietti. Un ferito anche in Romagna. E’ un ragazzo, Marco Donati, di San Mauro Pascoli, che ha accusato un malore dovuto a soffocamento. Probabilmente è rimasto schiacciato dorante il fuggi fuggi generale. Fortunatamente le sue condizioni sono ben presto migliorate e il giovane sta già tornando a casa, dopo avere passato la notte all'ospedale. Da ricordare anche che molti dei tifosi presenti allo stadio, visto i gravissimi incidenti, hanno preferito rientrare subito nei rispettivi alberghi e hanno seguito gli avvenimenti dalla televisione. Si calcola che gli emiliano-romagnoli presenti a Bruxelles fossero circa un migliaio.

31 maggio 1985

Fonte: L’Unità

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

"Siamo scampati all'inferno"

Ma c'è anche chi si esalta per la "vittoria" in Coppa

di Jenner Meletti

A colloquio con i passeggeri dei primi aerei arrivati da Bruxelles all'aeroporto di Bologna.

BOLOGNA - Siamo partiti in centotrenta ora siamo centoventicinque. Uno è morto, l’ho visto con i miei occhi. Non so come si chiamasse, ci siamo conosciuti sull’aereo. Gli altri quattro non so, forse sono feriti, forse sono scappati da qualche parte". Danilo Bortolotti, di Peretola, vicino a Firenze, è appena sceso da un Boeing 737 della Tea. Sono le 3 e 40 minuti, all’aeroporto di Borgo Panigale stanno arrivando i voli charter che riportano in Italia la gente che ha assistito alla tragica partita di Bruxelles. "Tutto il nostro gruppo - dice Bortolotti - era nella curva che è stata assaltata dai tifosi inglesi. Siamo di Firenze e Pistoia, eravamo partiti alle otto di ieri mattina. Un giro in pullman per la città, poi allo stadio. Già in centro a Bruxelles c'erano degli incidenti: le pizzerie italiane avevano le serrande abbassate, per non essere devastate dai tifosi inglesi. Siamo entrati allo stadio dopo una fila di un'ora e mezzo, incolonnati fra due ali di poliziotti a cavallo. Non controllavano nessuna borsa: volevano solo il biglietto, per controllare che non fosse falso. Siamo entrati ugualmente, anche se sapevamo che di fianco a noi c'erano gli inglesi, perché ci avevano detto che ci sarebbe stata la polizia in mezzo. Invece niente, soltanto una rete, robusta come quella che c'è nei campi da tennis. All’improvviso è stato un inferno. Erano tutti ubriachi, ci tiravano lattine vuote e piene, pezzi di ferro, sassi. lo sono stato sfiorato da un paio di forbici. Poi hanno sfondato la rete, sono entrati dalla nostra parte, hanno cominciato a spingere. E noi siamo scappati, e qui abbiamo sbagliato. Se restavamo lì, magari c'era una rissa, ci sarebbero stati dei feriti. Ma non ci sarebbero stati tutti quei morti, schiacciati dagli altri, caduti giù dalla gradinata. Per non volere la lite ci siamo ammazzati da soli". Dietro le transenne della dogana, una donna di Pistoia, Olga Innocente, si mette a piangere, quando vede i suoi due figli. "Eravamo in casa, io e mio marito, a guardare la partita. A Bruxelles doveva esserci anche mio marito, ma proprio ieri mattina si è accorto che la carta d’identità era scaduta e non ha potuto partire. Sono andati i due figli, di 16 e 18 anni, erano in compagnia con altri amici. In televisione, mentre veniva mostrato il settore devastato, abbiamo visto sugli spalti decine di borse da viaggio rosse, con la scritta gialla. Sono le stesse che vengono distribuite in omaggio dall'agenzia che ha organizzato il viaggio dei nostri figli. Abbiamo telefonato subito, a Roma, ai giornali. Non siamo riusciti a sapere nulla. Allora siamo partiti e siamo venuti all’aeroporto. Per fortuna, i nostri ragazzi erano sull'aereo. Da un aereo della Sabena scende un gruppo di circa cento bolognesi. "A noi non è successo niente, eravamo nella curva opposta. Se pur da lontano, abbiamo visto il massacro. Non sapevamo da che parte andare. Per uscire, c'era una porta larga sì e no un metro". "lo me ne sono andato appena la partita è cominciata. Sono uscito dallo stadio, ho preso un taxi dopo avere camminato a piedi per chilometri, ed ho aspettato gli altri all'aeroporto. Sono andato a vedere tutte le altre finali di Coppa della Juventus, in questi ultimi anni, ma non ho mai visto una disorganizzazione come quella che ho trovato a Bruxelles. I tifosi si picchiavano già nel centro e fuori dallo stadio, e dentro non c'era polizia. Bastava che fossero intervenuti all'inizio, quando si è capito che gli inglesi volevano occupare anche il settore degli italiani, e non sarebbe successo nulla di grave. C'è più polizia allo stadio di Bologna, per una partita di serie B. Anche fra gli italiani c'erano comunque degli imbecilli: tifosi che, anche dopo avere saputo ciò che era successo, hanno continuato a cercare di invadere campo, lanciare sassi, provocare la polizia che finalmente era arrivata. L'ho scampata stavolta, non mi vedranno più". Oltre le transenne, ci sono abbracci e molte lacrime. "Finalmente sei arrivato, tutto bene ? Vieni, andiamo a casa". Ci sono lampi e tuoni, scoppia un temporale. Alle 4 e tre minuti, scende un aereo della Kim. Ci sono dei giovani che sventolano le bandiere della Juventus. Si avviano verso l'uscita abbracciati, cantando "Juve olè, Juve olè"... "Sì, certo che abbiamo saputo. È successo nella curva di fronte a noi. Quanti sono i morti ? A noi hanno detto che ce n'erano una trentina. Ma com'è possibile, per una partita di calcio... Voi siete della stampa ? Allora sapete tutto, con le vostre fonti di informazione secondo voi, la partita è stata valida, o era una finta ? Era valida davvero ? Ragazzi, avete sentito: è ufficiale, abbiamo vinto la Coppa". Se ne vanno cantando sotto un'acqua torrenziale. "E’ ora, è ora, la Coppa alla Signora; è ora, è ora..." Se fanno in fretta, in centro, possono trovare le ultime auto, con bandiere bianconere, di quei personaggi che, a centinaia, hanno voluto comunque "fare festa". In fin dei conti, negli "Albi d'oro" del calcio, ci sarà scritto che la Juventus nel 1985 ha vinto la Coppa dei Campioni, non che ci sono stati 40 morti.

31 maggio 1985

Fonte: L’Unità

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

"Nel vedere giocare la finale ho provato un sentimento di angoscia"

Carraro: "Giornata amarissima"

di Giorgio Viglino

ROMA – E’ subito il momento delle reazioni, delle prese di posizione, dettate dallo sdegno, dal dolore, dallo stupore per quanto è potuto accadere. Il mondo dello sport tante volte criticato per il suo corporativismo esasperato, appare molto unito, in senso positivo, nell'occasione più triste. Per tutti Franco Carraro, presidente del Coni, ha rilasciato una lunga dichiarazione che tocca i diversi aspetti del problema. Dice fra l'altro il presidente del Coni: "Quella di ieri per me è stata una giornata amarissima. Non solo gli incredibili atti di violenza sugli spalti che hanno causato le numerose vittime e i moltissimi feriti, ma anche il fatto che per evitare ulteriori incidenti si sia giocata la partita, laddove pochi minuti prima erano morte tante persone, in mezzo al tifo dei sostenitori delle due squadre, hanno suscitato in me, come credo in tutti i milioni di telespettatori, sentimenti di angoscia e inquietanti interrogativi. Tutto ciò è stato reso ancor più drammatico dal fatto che, sempre per motivi di sicurezza, dopo l'uscita dei tifosi inglesi, davanti ai soli sostenitori della Juventus, si è svolto normalmente il rito connesso alla partita, come il giro d'onore dei giocatori, gli abbracci, la premiazione". Carraro giustifica o comunque comprende l'atteggiamento di chi ha preso la decisione di far giocare il match egualmente, né vuole trovare colpevoli sommariamente, ma muove una serie di appunti tecnici: "Le installazioni sportive debbono essere adeguate alle esigenze, deve esistere collaborazione strettissima tra gli organizzatori e le forze dell'ordine, soprattutto quando era possibile prevedere incidenti. Devono essere rispettati criteri precisi nella vendita dei biglietti, anche a costo di avere dei vuoti come avvenne lo scorso anno all'Olimpico. D'altro canto penso che il nostro esempio possa essere seguito sul piano internazionale". Il presidente della Roma, Dino Viola, ha sostenuto che le responsabilità vanno ripartite tra gli organizzatori, l'Uefa stessa, la polizia e anche la stampa. Ha poi sottolineato: "è mancata soprattutto la prevenzione. Il mio primo pensiero di fronte a quelle immagini sconvolgenti è andato alla finale dello scorso anno giocata a Roma, in una situazione certamente più difficile perché la partita si giocava sul terreno di una squadra direttamente interessata alla coppa. Io ho lavorato per un mese a preparare la partita. Sette-ottomila posti sono rimasti vuoti proprio per evitare ogni contatto tra le opposte schiere. All'Olimpico non è entrato né un tifoso ubriaco, né una lattina di birra. Quando dalla curva sud è partito qualche oggetto sono stato io a scendere in campo e a mettermi davanti ai tifosi: tutto è finito in un attimo". Il presidente della federazione mondiale di atletica Primo Nebiolo era presente alla partita: "Ho assistito impotente a quanto è accaduto. Non potrò mai dimenticare le espressioni di chi subiva la violenza delle orde canagliesche dei tifosi inglesi. Lo sport italiano deve giudicare sui futuri rapporti con ambienti sportivi e organizzativi che hanno dimostrato di non essere in grado di controllare i banditi che si mescolano agli sportivi". Il direttivo dell'UISP chiede le dimissioni della presidenza dell'Uefa. "Tocca allo sport dare un segnale di serietà, o esso perderà titolo e autorità morale". Per Cesare Rubini uno dei massimi esponenti del basket italiano non ci sono parole per commentare l'insufficienza della polizia: "è uno schifo, certe cose andavano previste. I politici usano auto blindate, e noi dovremo blindare lo sport se non vogliamo che muoia".

31 maggio 2015

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985 

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