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ARTICOLI 30.05.1985 (BRUSSELS)
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30.05.1985
ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 30.05.1985

Ore 19, cronaca di una strage

Una colpa che pesa per tutti

36 morti in un campo da gioco

Gli juventini travolti e schiacciati

Tragedia allo stadio di Bruxelles

"Erano ubriachi, ci han voluto massacrare"

Hanno ucciso calcio e tifosi

Assassinio allo stadio

Paolo Rossi: "Il giro di campo per onorare i morti..."

Platini, re in lacrime "giocare, assurdo"

Rush sconvolto: una cosa davvero terribile

Tra i tifosi disperati. I miei cari sono vivi ?

La Juventus è diventata finalmente regina ma nella sua serata più triste

La rivincita di Tacconi, il migliore con Boniek e Michel

"Neanche ora possiamo gioire"

Una rapina in gioielleria avvisaglia degli incidenti

Le sconvolgenti immagini nello stadio di Bruxelles

La polizia belga è intervenuta dopo la crudele caccia all'uomo

La Juve non voleva giocare

"Lasciatemi piangere le vittime"

Massacro sul campo di gioco

Morti e feriti

Ore 19, cronaca di una strage

di Mario Sconcerti

BRUXELLES - Ho visto la scintilla di un massacro accendersi improvvisamente quasi per gioco e allargarsi in modo incredibile, pauroso, fino a travolgere una vita dopo l'altra. Mentre scrivo sono appena passate le 21. Juventus e Liverpool avrebbero dovuto finire adesso il primo tempo di questa tragica notte di Coppa dei Campioni. Dai sotterranei dello stadio continuano invece a passare soltanto barellieri, infermieri, medici e poliziotti. Quello che è diventato un improvviso bollettino di guerra parla adesso di trentotto morti, quasi tutti italiani, moltissimi con la cassa toracica schiacciata contro i muri di recinzione, altri con la gola aperta dalle grandi punte metalliche che chiudono le transenne. Ma c'è una confusione indescrivibile, soprattutto panico. Lo stadio Heysel è praticamente assediato dalla polizia. Dovunque piccoli ospedali da campo improvvisati, gente sanguinante, sconvolta, gente che si cerca, si chiama. La piccola infermeria dello stadio è letteralmente scoppiata in pochi minuti. Vi hanno portato un morto dopo l'altro e uno dopo l'altro veniva fatto scomparire nel fondo di ambulanze che continuavano ad arrivare da tutta la città. Assurdamente, con atti di fede e di disperazione, molti morti sono stati portati via avvolti nelle bandiere bianconere della Juve. Tutto è cominciato verso le 19. Lo stadio era già pieno, di gente immersa nei soliti riti di festa che precedono la grande cerimonia della partita. Non c'erano segnali di paura. Nel pomeriggio era giunta notizia di un ferito, ma era sembrato quasi un tributo normale per orge di follia come questa. Allo stadio colpivano comunque subito i vasti spazi che si aprivano in una curva. Era una specie di territorio di nessuno che si allargava fra una parte dei tifosi juventini e il settore dove quasi tutti gli inglesi erano stati instradati dalla polizia belga. C'era molta paura di questi tifosi del Liverpool rissosi per tradizione, molto spesso ubriachi. I belgi li avevano affidati a milleduecento agenti fin dal loro arrivo ad Ostenda due giorni fa. Li avevano tutti relegati in un paese nei pressi di Bruxelles e condotti allo stadio con linee speciali della metropolitana. Stipati nel loro settore gli inglesi hanno cominciato ad ondeggiare paurosamente poi hanno cercato il loro spazio vitale al di là delle transenne. Non un poliziotto presidiava quell'ideale, fragilissima, terra neutra. Gli inglesi si sono immediatamente allargati a macchia d'olio entrando in collisione con le prime file dei tifosi juventini. Sono subito volate botte, anche violente, ma per qualche istante è sembrata la solita rissa da stadio, malinconica e inevitabile. La gente indicava e quasi sorrideva. Faceva colore. Poi è successo qualcosa di tremendo, come lo sfondamento di un fronte. Di colpo quell'improvvisa linea juventina ha ceduto, la gente è cominciata a scappare sotto i colpi di giovanissimi energumeni inglesi. Scagliavano mattoni, bottiglie e colpivano con un'incoscienza bestiale venendo sempre più avanti. E' esploso il panico. Gli italiani sono precipitati l'uno sull'altro travolgendosi a vicenda, cercando scampo in spazi che si restringevano a vista d' occhio. Quattro-cinque mila persone in pochi istanti si sono accalcate contro il muro di recinzione laterale sbandando paurosamente, continuando a precipitare dalle gradinate. Una fuga tragica e disperata che si è trasformata in un assalto alle transenne. L'unica speranza era il campo, il terreno di gioco, e tutti hanno cercato di passare quella acuminatissima barriera metallica. Sconvolti, imbottigliati, ancora pressati da assurde avanguardie inglesi che continuavano a picchiare, i tifosi italiani hanno cominciato una tremenda corsa al suicidio. Ho visto decine e decine di persone cadere dall'alto delle transenne e stramazzare al suolo con il sangue che schizzava violento. E gli altri che fuggivano come pazzi. E' successo tutto in pochi minuti e senza che la polizia belga abbia mai mosso un dito. Quando è arrivata in forze ed ha caricato gli inglesi, le tribune e il campo erano già un cimitero. Uno spettacolo agghiacciante, indescrivibile, che ha finito di accendere il resto dei tifosi italiani. Per un attimo siamo stati ad un passo dalla battaglia generale, definitiva. Dalla curva opposta gli italiani hanno infatti sfondato le reti e a decine si sono precipitati dall'altra parte. Per fortuna stava appena entrando la polizia a cavallo che è riuscita a tamponare almeno questo assalto. Una fortuna misera che pochissimo toglie allo sgomento. Sono adesso le 21.40. Dentro lo stadio è tutto così tornato assurdamente normale che le squadre stanno perfino entrando in campo. Fuori tre grandi tende allargano sempre più l'ospedale di questa battaglia del calcio. La verità è che nessuno sa come far uscire cinquantamila nemici dallo stesso luogo senza altri incidenti. Si dice che stia arrivando l'esercito. La partita sarebbe solo un grottesco tentativo per prendere tempo. Impossibile sapere se avrà una qualche ufficialità. C'è da augurarsi di no per quello che di umano resta in questa notte di pazzia. Mentre si gioca, l'altoparlante annuncia messaggi strazianti. Nomi su nomi che cercano, gente che si dà appuntamenti disperati immersa nella paura che non verrà nessuno. Nella curva del massacro sono rimasti adesso soltanto i resti della tragedia. Documenti, sciarpe, bandiere, vestiti stracciati, scampoli di vita che non appartengono più a nessuno. Ma intanto si gioca. Lo stadio è ormai presidiato. Nessuno può muoversi dal proprio posto, in qualunque settore. Fuori, centinaia di camion e cellulari continuano a scaricare agenti. Mentre Boniek cade in area e Platini realizza il rigore, la radio annuncia che tra i morti ci sarebbero undici bambini, tutta la squadra giovanile dell'Anderlecht. Avevano appena finito di giocare, una sorta di avanspettacolo felice che permetteva poi a tutti di vedersi la partita da sotto le tribune. Sarebbero rimasti schiacciati dalle transenne in cemento che facevano da base alle reti di recinzione travolte nel momento della grande fuga. Quando la partita finisce si scatenano scene di entusiasmo. Fuori centinaia di feriti son stati portati in dieci ospedali tra la città e la provincia. Dentro il dubbio è solo se la Coppa sarà valida o no.

30 maggio 1985

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 30.05.1985 

di Gianni Brera

Ero venuto come tantissimi altri per assistere e in certo modo prendere parte alla celebrazione di una grande festa di sport. Sono letteralmente sconvolto dall'orrore. Confesso che, per un momento, mi sono rampollate dall'animo tutte le rabbie che a me giovane avevano instillato i politici del nostro paese, non meno caro che disgraziato (allora). Poi, a mia volta, mi sono sentito in colpa. Voci spaventose giungevano dall'antistadio, dove gli impreparatissimi belgi avevano apprestato un pronto soccorso. Chi riferiva di dieci, poi di diciotto, infine di trenta, e adesso addirittura di quarantuno morti, e forse non è finita. Purtroppo, quasi tutti nostri connazionali, che il terrore aveva spinto a cercare salvezza calpestando chiunque incontrasse nella disperata fuga. Tra quella parte di tribuna occupata da una minoranza di italiani e da una folla preponderante di liverpoolesi, tre sparuti impotenti poliziotti belgi. Eccitati dall'odio, di cui si conoscono capaci come pochi al mondo, e ancora dall'alcol, di cui sono tragicamente avidi fino all'incontinenza più smaccata, non meno di cento mascalzoni si sono scatenati lanciando mattoni sassi e bottiglie. Il fuggi fuggi è stato accorante. La polizia belga è giunta sempre più in forze ma, ahimè, troppo tardi. Ormai l'attesa festa era bruttata da un eccidio senza precedenti in questa parte civile d’Europa. Mentre tento di esprimere la mia mortificazione di uomo di sport, i superstiti dell'immonda mattanza passano ciascuno a raccontare la propria storia, piena di orrore e degna di umana pietà. Lo stadio, il caro ma obsoleto Heysel, è come gravato da una cappa di angoscia. E' inevitabile pensare a quello che incombe su tutti, buoni e malvagi, che si erano illusi di celebrare una festa: come far sgomberare lo stadio da due moltitudini fra loro ostili fino all'odio più acre ed esasperato ? Gli italiani hanno a lungo insultato i poliziotti belgi troppo inferiori al loro compito: il minimo insulto era "buffoni!": ma adesso mi chiedo in quali disperate ambasce si trovano le autorità di Bruxelles. Sono presenti almeno quindicimila italiani e altrettanti inglesi. Cosa sarà di loro, se si troveranno soli ad affrontare lo sfollamento ? Se non ci fosse aria di tragedia, verrebbe fatto di ricordare come per eccessi di molto inferiori a questo è stato proibito da noi il gioco del calcio nel secolo XVI... L'imbarazzo sfiora il rimorso in tutti noi che allo sport credevamo come all'antidoto più puro e sincero della guerra. Così come siamo caduti, la voglia è di mandare tutti al diavolo. Se vogliamo prenderci a calci, stiamo a casa nostra. E si vergognino quei popoli che, atteggiandosi a civili, mandano per il mondo questi mascalzoni efferati e ahimè più volte recidivi nei loro eccessi delittuosi. Alle 21.40 inizia una partita che alcuni bene informati dicono finta. Questo per consentire alle forze dell'esercito acquartierate in Bruxelles di preparare due vie di ritirata e quindi di sfollamento per i gruppi nemici. A quel punto siamo giunti. Poiché si gioca, mi tocca guardare.

30 maggio 1985

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 30.05.1985 

di Michele Serra

Un servizio d'ordine inetto non sbarra le violenze dei tifosi inglesi prima della partita di Bruxelles. Gli juventini travolti e schiacciati. Il numero delle vittime pare destinato a crescere - Assalto dei "reds" alla tribuna degli italiani - Trepidazione a Torino.

DAL NOSTRO INVIATO. BRUXELLES - Una guerra. Una guerra stupida, atroce e sanguinaria. Morti, feriti, decine di barelle sul prato del vecchio Heysel, uno stadio trasformato in campo di battaglia. Un bilancio tragico, a tarda ora ancora incerto: ventiquattro morti secondo la locale gendarmeria, trentasei morti e centinaia di feriti secondo l'Uefa, la maggioranza dei quali, secondo le prime informazioni sarebbero italiani: schiacciati, travolti, selvaggiamente bastonati. E’ successo verso le 19.20, meno di un'ora prima dell'inizio della finale di Coppa dei Campioni tra la Juventus e il Liverpool. I tifosi della squadra inglese assiepati in una delle due semi-curve hanno preso d'assalto la mezza curva bianconera, piena zeppa di tifosi italiani. E hanno iniziato, a suon di calcioni, colpi d'asta, lancio di blocchi di marmo staccati dagli spalti, a conquistare metro dopo metro il "territorio straniero", facendo arretrare la massa bianconera fino all'irreparabile: presi dal panico, gli italiani hanno cominciato a cercare vie di scampo spingendosi verso le transenne che delimitavano il campo. Si è capito subito, dalla tribuna, che la situazione era pericolosissima: calpestandosi a vicenda, terrorizzati, i tifosi juventini hanno creato un micidiale ingorgo umano, una trappola. A un certo punto, la transenna che delimitava il campo di gioco ha ceduto sotto il peso della folla, abbattendosi sui tifosi assiepati davanti, lasciando cedere decine di persone dall'altezza di 16 metri. La gente ha invaso il campo cercando scampo nel prato pazza di terrore. Mentre i pochissimi poliziotti presenti non sapevano che fare, la curva di fronte, interamente bianconera, minacciava di intervenire per fare giustizia sommaria, e i tifosi del Liverpool, moltissimi ubriachi, invadevano gli spalti lasciati liberi dagli juventini con urla di gioia. Inconcepibile, gravissimo l'atteggiamento delle forze dell'ordine. Soltanto venti minuti dopo la tragedia la polizia ha fatto ingresso in forze sul terreno di gioco, ma ormai era chiaramente troppo tardi. Intanto i tifosi italiani, terrorizzati e inferociti da quanto era capitato, premevano dal terreno di gioco contro i cancelli della tribuna, in parte per cercare scampo, in parte per sfogare la propria rabbia impotente contro le autorità. Il caos sugli spalti e in campo è stato indescrivibile per oltre un'ora. Gli uomini della Croce Rossa tentavano in tutti i modi di portare soccorso ai feriti che venivano trasportati in qualche modo in mezzo al campo e che per ricevere i primi soccorsi hanno comunque dovuto attendere, data la situazione, parecchi minuti. In tribuna stampa si accavallavano voci sempre più gravi sul bilancio, ma sempre lontano dal tragico bilancio finale: due morti, sette morti, quindici morti. Verso le 20.15, ora d'inizio della partita, la calma sul campo sembrava estere tornata, per quanto calma si possa definire una vera polveriera. A quell'ora è cominciato il collegamento in diretta dell'Eurovisione e milioni di telespettatori hanno assistito alla scena di devastazione e morte che la furia degli incidenti ha lasciato dietro di sé. A tarda sera si temeva anche in una ripresa degli scontri. Facilissimo immaginarsi scene di caccia all'uomo e vendette per le strade di Bruxelles dopo la partita; e nessuno, naturalmente, parlava più della finale di Coppa dei Campioni, per la quale la gente aveva percorso migliaia di chilometri. Nessuno potrà mai sostenere che per questo assurdo bagno di sangue non vi siano responsabilità inaudite e del tutto evidenti. Intanto responsabilità dell'Uefa, che ha organizzato una finale di Coppa dei Campioni in uno stadio troppo piccolo, poco più di 60 mila posti per giunta stampando i biglietti, con faciloneria, su carta non filigranata e dunque rendendo molto facile le falsificazioni. Lo stadio infatti, già a vista d'occhio, due ore prima della partita, era stipato oltre i limiti del consentito; e abbiamo incontrato numerati tifosi italiani, muniti di regolare biglietto, che erano rimasti fuori dallo stadio dopo un'ora e mezza di coda, furiosi per la truffa subita; non sapevano che forse quella truffa ha salvato loro la vita. Forse ancora più gravi le responsabilità delle forze dell'ordine belghe: nel punto nevralgico dello stadio, a separare le due tifoserie sulla curva maledetta, c'erano sì e no una decina di poliziotti. Il violento commando dei fans del Liverpool che ha causato, con la sua violenza inconsulta, il bagno di sangue, non poteva dunque, essere contrastato in alcun modo. Che senso ha disseminare Bruxelles di poliziotti se poi si lascia completamente sguarnito lo stadio, che è il punto più caldo della giornata ? Gli episodi, le voci, mentre scriviamo, si susseguono convulsamente. I giocatori dello Juve, verso le 20,30, con un atto di coraggio non indifferente, sono usciti in campo e sono andati di corsa sotto la curva juventina, quella opposta al luogo della tragedia, per tentare di placare i tifosi esasperati, spaventati, incerti sul da farsi. L'Uefa, intanto, non sapeva che pesci pigliare. In tribuna stampa continuavano ad arrivare patetici dispacci nei quali si affermava che "è in corso una riunione per prendere in esame la situazione, cioè per decidere se giocare o se non giocare. I morti sono accatastati sotto la tribuna d'onore. E’ uno spettacolo tremendo: i corpi sono deformati, sfondati, bandiere e stendardi juventini sono rimasti appiccicati ai corpi dal sangue. Migliaia di tifosi italiani, usciti dallo stadio, cercano un telefono per raggiungere casa e tranquillizzare i propri cari. Ma telefonare è pressoché impossibile. Infine, alle 21.35, arriva la decisione della Uefa. La partita sarà giocata. Ad annunciarla dagli altoparlanti dello stadio sono i due capitani delle squadre, prima Phil Neal, in inglese, poi Gaetano Scirea, per i tifosi italiani. "La partita sarà giocata per consentire alla polizia di organizzare la sicurezza all’esterno dello stadio. State calmi, non rispondete alle provocazioni. Giochiamo per voi".  

30 maggio 1985

Fonte: L’Unità

ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 30.05.1985 

di Paolo Soldini

DAL NOSTRO INVIATO. BRUXELLES - Il clima di tensione c'era già alla vigilia dell'appuntamento sportivo. C’erano stati alcuni incidenti gravi, altri meno gravi, tutti segnali d'allarme ben chiari, ai quali l'organizzazione, le forze dell'ordine, la stessa amministrazione della capitale belga, sono incredibilmente restati sordi. La maggioranza dei tifosi italiani e inglesi, cinquantamila in tutto, arrivati già da martedì sera e da ieri mattina con aerei, automobili, torpedoni, si era pacificamente sparsa per la città, approfittando di una giornata serena. Sulla "Grand Place" ieri mattina, juventini e tifosi del Liverpool posavano insieme per amichevoli foto di gruppo. Ma sulla stessa piazza durante la notte due gruppi si erano affrontati lanciandosi sassi e bottiglie. Una battaglia terminata con l’arresto di due britannici, cinque fermi per alcune ore, e un italiano leggermente ferito. Nel primo pomeriggio di ieri una ventina di tifosi, quasi certamente inglesi, hanno compiuto una rapina in una gioielleria del centro. La polizia ha riferito che, entrati in massa in un negozio, i tifosi hanno portato via gioielli per dieci milioni di franchi belgi, circa trecento milioni di lire. Due degli autori delle rapina sono stati identificati ma non è stato possibile arrestarli. Alle 15.40 l'episodio più grave: un tifoso del Liverpool viene ferito a coltellate ed è ricoverato in gravissime condizioni all'ospedale Saint Jean. L'aggressore, secondo la polizia, è un italiano che viene arrestato dopo il ferimento. Il nome del feritore non è stato reso noto. Dagli incidenti della vigilia appariva dunque chiaro il clima di gravissima tensione che è poi sfociato nei tremendi fatti avvenuti subito prima della partita. Ma quel che è accaduto allo stadio Heysel non è attribuibile solo al comportamento criminale di alcune frange esasperate di tifosi. Ci sono invece precise responsabilità da parte degli organizzatori della partita: l'assoluta inadeguatezza delle forze di polizia in servizio all'interno e all'esterno del campo e l'altissimo numero di biglietti falsi venduti nei giorni precedenti alla partita. Si sa che gli incidenti sono scoppiati in prossimità della rete di divisione tra le tribune che ospitavano da un lato i tifosi inglesi e dall'altro quelli italiani. A presidiare questo punto delicatissimo dello stadio, a tenere separati i due schieramenti contrapposti, c'erano solo quaranta agenti di polizia. A incidenti scoppiati questo numero si è rivelato tanto esiguo da impedire alla polizia non solo di reprimere ma anche semplicemente di contenere le innumerevoli risse e le aggressioni scoppiate. Quanto ai biglietti, lo scandalo era noto già martedì. Almeno quindicimila biglietti falsi, sostanzialmente identici a quelli regolari, erano stati messi in circolazione. I falsi sono stati venduti tanto in Belgio quanto in Italia e in Inghilterra. E anche in questo caso una mancanza di serietà organizzativa ha aiutato i falsari, visto che l'Uefa ha avuto la brillante idea di stampare i biglietti su carta comune. Se è vero che la Juventus aveva provato a consegnare ai suoi clubs quindicimila e cinquecento biglietti (la stessa cosa ha fatto il Liverpool) evidentemente garantiti, è anche vero che molte perplessità c'erano per tutti gli altri messi in vendita nei botteghini e in mezzo ai quali i "bagarini" hanno infilato i tagliandi fasulli. Per un biglietto della partita-strage di ieri sera c'è chi ha pagato al mercato nero anche quarantamila franchi belgi, un milione e duecento mila lire.

30 maggio 1985

Fonte: L’Unità

ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 30.05.1985 

Morte 36 persone (30 italiane) negli incidenti prima della finale di Coppa

Tragedia allo stadio di Bruxelles

di Luciano Curino

Più di cento feriti, 11 sono moribondi - Un gruppo di tifosi inglesi "carica" i sostenitori italiani sulle gradinate - Crolla un muro, decine di persone precipitano da un'altezza di 15 metri, altre sono calpestate - Accuse alla polizia belga, che non ha presidiato le tribune ed è intervenuta con grande ritardo - La Juventus chiede di non giocare l'incontro - La Federazione: è necessario per riportare l'ordine - La Juve vince per 1-0.

DAL NOSTRO INVIATO. BRUXELLES - Un massacro allo stadio dell'Heysel ieri sera poco dopo le sette, un'ora prima dell'inizio della finale per la Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool. Le cifre ufficiali diramate a tarda notte dal ministero dell'ufficio di polizia che coordina i soccorsi parlano di 39 morti, 30 dei quali italiani. Altri cinque sono belgi, uno è francese, tre ancora di nazionalità sconosciuta. Moltissimi, nella notte, non erano stati identificati con certezza. I feriti ricoverati negli ospedali sono 107, 11 dei quali moribondi. Causa della sciagura ? Teppismo, fanatismo, violenza, cieca furia, pazzia. Chiamatela come volete, ma non fatalità. Tutto è cominciato nella curva dello stadio dove erano concentrati i "Reds", i tifosi del Liverpool. Testimoni affermano che parecchi erano ubriachi, qualcuno dice drogati. Se non lo erano, si comportavano come lo fossero. Lo stadio aveva cominciato a riempirsi all'apertura del cancelli, alle 17. I supporters inglesi da una parte, quelli italiani dall'altra. I "Reds" stavano in una curva rutilante di bandiere e magliette biancorosse, l'altra curva era tutta bianconera. Grida e canti. Tamburi, timpani, trombe e trombette, campanacci. Quello che accade sempre alle partite importanti. Qualche razzo volava da un settore all'altro, pericolosamente. A controllare questa situazione esplosiva c'erano pochi agenti: qualcuno con i cani sulla pista, ma pochissimi sugli spalti, molto meno di quanto la situazione ne richiedesse. E soprattutto nessuno si trovava in posizione tale da poter dividere gli schieramenti dei tifosi. La maggior parte delle forze di polizia era fuori, a controllare che non si portassero bastoni o armi. Erano proibite anche le bottiglie. Ma i controlli si sono rivelati inutili, i bastoni sono entrati nello stadio, magari mascherati come spesso avviene da aste portabandiera. La gazzarra cresceva. Aveva momenti di pausa. Riprendeva più forte. Sul cartellone luminoso di luci, in quattro lingue, rivolgevano un "appello agli sportivi". Che l'intemperanza di pochi non guastasse lo spettacolo a molti: diceva la scritta. Alle 19,15 si è visto un certo trambusto nella curva "Z" dove erano gli inglesi. Una rete separava la scalmanata tifoseria dei "Reds" da un settore dove stavano tifosi quasi tutti italiani. Quei tifosi che vengono allo stadio per lo più senza bandiera, con i figlioletti. In basso c'erano gli handicappati sulle carrozzelle. Un settore di gente tranquilla. Dice l'avvocato Carlo Capecci di Pistoia, venuto allo stadio con tre bambini: "Improvvisamente, ho sentito un razzo sfiorarmi il capo. Guardo verso quelli del Liverpool e li vedo che stanno lanciando altri razzi contro di noi. Siete matti ? grido. Subito riparo con le braccia il bimbo più piccolo, spaventato". Razzi, poi arrivano bottiglie, scarpe, sassi. Dove li prendono ? Pare che stiano facendo a pezzi i gradini. Massimo Ferniani, del Juventus Club Ferrara, dice: "Pazzi, pazzi. Sembravano pazzi. Urlavano non si capiva cosa". Dice che le donne hanno cominciato a strillare isteriche, a spingere per scappare. Ma non solo le donne, tutti cercavano di allontanarsi il più possibile dalla rete che li separava dai "Reds". Intanto, continuava a volare di tutto, e c'erano i primi feriti. Gente colpita al capo col volto rigato dal sangue. Ma perché non accorreva la polizia in forze ? La situazione su quella curva peggiorava. Ecco gli inglesi che cominciano a scavalcare la rete. Altri che spingono per sfondarla, ci riescono. Ferniani: "Si sono avventati verso di noi. Come un muro che ci precipitava addosso. Avevano aste di bandiere che erano bastoni". La gente è terrorizzata. Qualcuno si getta fuori dallo stadio. La gran massa cerca di guadagnare la pista, il prato. Cade sul gradini, si calpesta. Crolla un muro sotto la pressione della folla, decine di persone precipitano da un'altezza di almeno 5 metri. Ora intervengono i poliziotti con i cani, anche contro di loro vengono scagliati sassi e un po' di tutto. E' uno spettacolo pazzesco, che prende alla gola. La gente continua a scappare, cadere, calpestarsi. La pista, il campo sono pieni di gente. Volonterosi si preoccupano di spingere il più lontano possibile, almeno fuori dalla traiettoria dei proiettili, gli handicappati. Sono le 7 e mezzo passate quando finalmente entra nello stadio un numero ragionevole di poliziotti e gendarmi. Hanno casco, scudo e manganello. Anche poliziotti a cavallo. I cani lupo latrano follemente. Gli agenti riescono a guadagnare i gradini: un campo di battaglia dove quelli che non hanno fatto in tempo a scappare sono presi a calci e a bastonate. La polizia riesce infine a respingere i "Reds" nel loro settore e fa muro perché non ne sortano. Ora che la guerriglia è finita, la scena appare terrificante. Corpi inanimati sui gradini in mezzo a cocci e sassi, bastoni spezzati. Altri corpi sulla pista, sull'erba. Si vedono uomini della Croce Rossa praticare la respirazione artificiale, il massaggio cardiaco su diversi corpi che non danno segni di vita. E' un via vai frenetico di barelle. Per mezz'ora si sentono le sirene delle ambulanze, che corrono al Saint Lue, al Saint Pierre, verso altri ospedali. E subito ritornano per un nuovo carico. Vediamo corpi portati via con la coperta fino ai capelli, la mano che ciondola dalla barella. Morti. Sembra di essere nelle retrovie di un fronte, molti sono stravolti, vagano insanguinati sotto choc. Gente seduta per terra con la faccia tra le mani che piange senza fine. L'avvocato Capecchi esce dalla calca con i tre bimbi: "Per tirarli fuori, ho creduto di morire anch'io. La mia paura era di cadere, che uno dei miei figli cadesse, perché sarebbe stata la fine. Mai più in uno stadio". Ora che la tragica gradinata "Z" è stata sgombrata e i corpi portati via, appare il tratto del muro crollato sotto la spinta degli invasori o per la calca del fuggiaschi. Molti corpi vengono trovati sotto le macerie. La finale di Coppa dei Campioni si è giocata lo stesso, su richiesta dell'Uefa, soprattutto per consentire di riportare la calma nello stadio. Ma è una decisione che farà discutere: la Juventus aveva chiesto di rinviare l'incontro, che ha poi vinto per 1 a 0. Per tutta la serata gli altoparlanti dello stadio hanno ripetuto continui appelli, in italiano, di persone che cercavano di rintracciare i loro familiari: una lunga litania di nomi, che ha confermato le dimensioni del dramma, i tifosi rimasti sono stati fatti uscire separatamente.

30 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 30.05.1985 

"Erano ubriachi, ci han voluto massacrare"

di Mauro Benedetti

I primi pullman li abbiamo incontrati sotto la pioggia alle 4 di questa mattina al confine del Lussemburgo: tornavano dal tragico stadio di Heysel dove almeno 33 italiani sono morti durante la selvaggia aggressione dei tifosi inglesi prima della partita di Coppa con la Juve. Sul pullman un gruppo di tifosi, per la maggior parte vigili urbani torinesi: "ci hanno aggredito senza nessun motivo e la polizia belga non ha fatto assolutamente niente per difenderci. Stavano a guardare, noi non siamo degli ultras scatenati, siamo venuti a Bruxelles per vedere una partita di calcio e ci hanno massacrati". Le facce sono stravolte, quasi nessuno ha voglia di parlare, sono crollati nel sonno, e quei pochi svegli hanno ancora sul volto i segni della rissa. Più tardi a Bruxelles abbiamo incontrato dei gruppi di tifosi toscani che sono venuti da Pistoia per questa partita e altri gruppi che provenivano da Milano. Fra i milanesi Filippo Fanciulli, medico, ha raccontato: "Noi siamo stati fuori dello stadio per oltre quattro ore senza che ci lasciassero entrare. La folla si è assiepata contro la porta d'ingresso ed erano più di 5 mila persone. Ci hanno caricati con i cavalli i poliziotti belgi, poi, quando siamo riusciti finalmente ad entrare, ci siamo trovati di fronte ai tifosi del Liverpool che da due giorni stavano battendo Bruxelles ubriachi e mezzi matti. Quando ci hanno aggredito non sapevamo che cosa fare. Siamo salvi per miracolo". Che l'aggressione sia partita dai tifosi britannici non c'è nessun dubbio. Prima ancora della partita gli inglesi si sono accaniti da lontano sugli italiani e anche sui belgi che erano in mezzo fra l'uno e l'altro gruppo al di là di una semplice transenna. Improvvisamente questa linea di demarcazione è stata frantumata sotto la spinta violenta degli inglesi e dall'altra parte si è scatenato il panico. La gente si scansava, correva, cercava di saltare verso il prato per sottrarsi alla furia dei tifosi del Liverpool. Gente calpestata, gente che è caduta e che si è trovata improvvisamente sotto una marea di corpi. I morti alla fine saranno almeno 54 dei quali 33 sicuramente italiani. La lista dei defunti non è ancora completa, l'ambasciata d'Italia a Bruxelles sta disperatamente cercando di identificarli tutti. Non è facile nemmeno identificare i feriti che sono qualche centinaio, dei quali almeno 120 italiani. Molta di questa gente nella calca ha perso i documenti e adesso si deve aspettare che ognuno sia in grado di dire chi è e non tutti possono farlo. Le condizioni di almeno venti feriti sono gravissime, disperate. I medici dell'ospedale militare, dove una parte di essi è stata ricoverata, non sanno come valutare la prognosi. Un'altra parte dei feriti è stata ricoverata negli altri ospedali cittadini. Molte carovane di tifosi sono già ripartite. A Bruxelles sono rimasti soltanto quelli che avevano prenotato anche la notte successiva alla partita negli alberghi. Sembra la ritirata di Russia. Chi zoppica, chi ha un piede ingessato, chi ha il volto segnato e pieno di cicatrici. La Coppa della Juve, una Coppa piena di sangue, sembra non interessare più a nessuno. Un tifoso mentre si allontana dall'albergo per salire sul pullman e fare ritorno a Cassino da dove era partito scuote la testa e dice: "Abbiamo vinto, ma proprio non serve a niente, non ci interessa niente. Noi siamo rimasti qui a Bruxelles".

30 maggio 1985

Fonte: Stampa Sera

ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 30.05.1985 

di Pier Carlo Alfonsetti

Centinaia di persone alla disperata ricerca di parenti e amici dispersi - Racconti sulla tragedia - "Non so se andrò più a una partita" - "Ho provato la paura di morire" - "Alcuni avevano le gole tagliate..." - "Gli inglesi colpivano senza pietà...".

DAL NOSTRO INVIATO. BRUXELLES - All'una di questa notte, quando ci allontaniamo dallo stadio, i dintorni dell'Heysel offrono ancora vistose testimonianze degli incidenti che hanno insanguinato la finale di Coppa Campioni. L'antistadio, sul quale abbiamo visto qualche ora fa decine di cadaveri ricoperti con bandiere bianconere è presidiato in forza dalla polizia, una presenza assurda, quasi ironica, ora che non c'è più nulla su cui vigilare. Mentre negli ospedali si ripetono scene di disperazione e centinaia di tifosi italiani si aggirano alla ricerca di parenti e amici dispersi, si rinnovano le testimonianze di chi della tragedia è stato protagonista. Alcune sono orribili, ma utili a inquadrare il tragico scenario nel quale è avvenuta la strage. Con espressione ancora visibilmente stravolta, un tifoso livornese, Alessandro Arrabito urla: "Non so se sono un uomo o uno straccio, per salvarmi ho calpestato dei cadaveri". Sul vasto piazzale che ieri sera è stato trasformato in una specie di ospedale da campo, scene del genere si sono ripetute a ritmo continuo, man mano che la furia cieca dei tifosi inglesi provocava guai irreparabili. Purtroppo ci sono volute ore prima che i responsabili dell'ordine pubblico si rendessero conto dell'estrema gravità della situazione e della necessità di far affluire rinforzi. Quando ormai il dramma si era consumato, reparti dell'esercito coordinati da un elicottero della protezione civile che atterrava e decollava da un punto situato a 20 metri dallo stadio, sono affluiti in massa, provvedendo anche ad allestire tende da campo nelle quali venivano prestati i primi soccorsi. Questa la descrizione di un tifoso di Reggio Emilia, Maurizio Gibertini, di 23 anni: "è tremendo, non so se mi recherò ancora a vedere una partita. Ho visto a terra gente che implorava invano soccorso, donne e bambini picchiati con violenza inaudita. Gli inglesi avanzavano tenendo bottiglie rotte in mano e colpivano con violenza terribile". Questo aspetto del racconto troverebbe purtroppo allucinante conferma nel fatto che molti dei cadaveri che sono stati trasportati all'ospedale militare (i feriti sono stati concentrati invece all'ospedale Bruckmann) presentano segni di sventramento. Uno degli aspetti più inauditi della tragica giornata risiede nel fatto che episodi di tale gravità sono accaduti sotto gli occhi dei poliziotti belgi, dislocati allo stadio in numero esiguo ma chiaramente incapaci, anche per pavidità, di fronteggiare le furie inglesi. E' soltanto possibile ricostruire la tragedia attraverso descrizioni emotive e frammentarie ma tutte impressionanti. Un giovane di Laigueglia, Gian Paolo Ceriotti, di 21 anni, è arrivato alle 19.45 e chissà come in tribuna stampa. Ha gli occhi lucidi e frequenti crisi di pianto. "Non mi vergogno di dirlo ma ho provato la paura vera, la paura di morire. Ho chiuso con il calcio, non andrò mai più a vedere una partita". Un altro tifoso juventino, Domenico Spinelli di Milano si accascia quasi addosso a noi, per l'ennesima volta racconta le vicende delle quali è stato testimone. Ha l'impermeabile color beige che presenta vaste chiazze di sangue, descrive con grande emozione le scene delle quali è stato testimone. "Ma perché non mi capite - urla, nonostante gli si stia prestando la massima attenzione - ho visto 40 persone a terra, immerse nel sangue. Alcune avevano la gola tagliata, è spaventoso"... La frase resta lì, troncata a metà, perché l'uomo è vittima di un attacco cardiaco. Ci vorranno quasi 20 minuti prima che un medico (sembra che allo stadio fossero in servizio soltanto alcuni volontari della Croce Rossa) lo osservi e altri 10 prima che venga adagiato su una barella e trasportato via. Walter Geridotti di Bergamo offre un ulteriore contributo per la ricostruzione di un quadro che, con il passare delle ore, si è fatto sempre più spaventoso: "Lavoro in un pronto soccorso e di persone conciate male mi occupo ogni giorno, ma quello che ho visto ieri supera ogni immaginazione". Il doganiere Salvatore Dominicis di Messina e il suo amico, Giovanni Burgarella di Montale, in provincia di Pistoia, ricostruendo l'inizio degli incidenti descrivono con abbondanza di particolari l'inerzia della polizia belga. "Tutto è cominciato quando i tifosi del Liverpool hanno preso a rompere a calci e con le aste delle bandiere i gradini in pietra della curva sulla quale erano stati sistemati. In quel modo hanno ricavato delle pietre che sono state poi scaraventate nel nostro settore. Contemporaneamente, gli inglesi hanno aperto brecce nello sbarramento in plastica che ci divideva e sono piombati nel nostro settore. Noi indietreggiavamo ma loro, armati con vetri, bastoni e con i pugni che serravano lattine piene di bibite, colpivano senza pietà tutti quelli che incontravano sul loro cammino. I poliziotti osservavano ma lasciavano fare, anzi, allo scoppio dei primi tafferugli hanno bloccato alcune decine di tifosi britannici che subito dopo hanno però riportato ai loro posti. Questi tornavano sulla curva ed erano accolti quasi come eroi dai compagni che si sentivano in tal modo autorizzati a ripetere in maniera sempre più massiccia le loro nefaste incursioni". Antonio Scavalchiate, di Teramo, completa la ricostruzione: "Dopo le prime cariche, ci siamo convinti che gli inglesi facevano sul serio e siamo arretrati in massa ed è proprio in questo momento che tanti, colti di sorpresa sono stati atterrati e calpestati dagli spettatori che indietreggiavano urlando di spavento alla ricerca di uno spiraglio utile alla fuga. Quei poveretti sono morti soffocati". Nella notte continuano a incrociarsi gli urli delle sirene: è probabile che altri incidenti siano avvenuti in punti lontani dallo stadio. I folli tifosi inglesi sono riusciti a fare della tranquilla Bruxelles una zona di guerra.

30 maggio 1985

Fonte: Stampa Sera

ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 30.05.1985 

di Alfonso Caroli

Cinquantaquattro i morti (33 italiani), oltre 200 i feriti di Bruxelles - La carica dei teppisti inglesi contro i tifosi bianconeri - La Juve aveva chiesto di non scendere in campo, l'incontro ha permesso l'arrivo dell'esercito ed ha scongiurato altri incidenti. "Lo sgombero prematuro avrebbe presentato un rischio enorme".

DAL NOSTRO INVIATO. BRUXELLES - La morte è entrata ancora una volta in uno stadio. Ieri sera ha falciato all'Heysel di Bruxelles, 54 persone, 33 di nazionalità italiana, 8 ragazzini di una squadra di calcio belga, 6 francesi, 2 poliziotti e 6 ancora sconosciuti. Il numero dei feriti, questo è il computo fatto nella notte dai vigili del fuoco, supera i 280. Il teatro della tragedia è stato l'Heysel Stadium dove si è disputata la finale della Coppa dei Campioni fra il Liverpool e la Juventus. Una morte assurda, quasi premeditata, come si dedurrà dagli avvenimenti che si sono succeduti nel breve volgere di 30 minuti. Questa morte in massa ci ricorda subito quella verificatasi, qualche settimana fa in Inghilterra, nel fatiscente stadio di Bradford, dove hanno perso la vita 53 tifosi, avvolti nell'incendio causato, probabilmente, dalla colposa leggerezza di uno sconsiderato piromane. Ma torniamo a Bruxelles. Sono le ore 19,15. Manca appena un'ora all'inizio della partita. Non tutti gli ordini di posti sono occupati. Ci sono macchie di cemento qua e là, in ogni settore. L'occhio va subito alla curva Nord, la più movimentata, la cui parte sinistra è riservata ai supporters del Liverpool. Nel settore "zeta", la parte destra, stazionavano gli italiani, trepidanti ma tranquilli. Cinque poliziotti, è la prima versione che raccoglieremo più tardi, fanno da scudo e del tutto inconsistente cordone, in caso gli inglesi (oppure gli italiani) passassero dalle parole ai fatti, scavalcando la transenna, per la verità anche questa fragile come filigrana. Alle 19.20 il primo lancio di lattine piene di birra da parte dei "reds". Il gruppetto degli italiani sembra più sbigottito che preoccupato. Poi, improvvisamente, l'aria è trafitta da un mortaretto con scia luminosa, che finisce in mezzo al gruppo degli italiani. Si passa al disorientamento. Il gruppo si scompone, ma non c'è ancora panico. Basta però che i fans bianconeri si ritraggano ancora di qualche metro verso l'angolo del settore per scatenare la demenziale reazione degli inglesi, i quali interpretano quell'indietreggiamento come atto di paura di cui approfittare subito, per scalzare gli "avversari" da quella che sarebbe diventata terra di conquista dei reds. Credeteci, i poliziotti latitano incredibilmente. Gli inglesi partono all'assalto, superano prima ed abbattono dopo la rete che transenna i settori che dividevano le due fazioni, e piombano sugli italiani, con lancio di pietre ricavate spaccando i gradini della curva e con lattine schiacciate tanto da renderle "micidiali guantoni". Il gruppo del settore "zeta" si ritrae sempre di più, comprimendosi pericolosamente. La polizia è inefficiente e insufficiente. I fans del Liverpool si avventano con maggiore accanimento e gli italiani cominciano a saltare giù dal muretto degradante verso il campo ed alto, in cima, due o tre metri. Ma la massa di tifosi bianconeri che spinge verso la salvezza è verosimilmente superiore rispetto alla resistenza delle reti di recinzione. Se a questo punto la polizia fosse intervenuta in modo più deciso e massiccio a sbarrare il passo delle "furie rosse", ora non saremmo qui a piangere decine di morti. Alle 19.28 c'è uno schianto, un boato soffocato: il muretto, lungo una decina di metri che sostiene la rete e che separa il settore "zeta" dalla zona di sicurezza, ha ceduto. Urla di dolore e di sgomento. E' un attimo. Arrivano poliziotti con cani lupo e schnauzer. Ma la tragedia, purtroppo, si è già consumata. Donne, bambini, giovani e vecchi sono travolti dalla rete, che per loro diventerà una gigantesca mano di metallo che li schiaccerà a terra, soffocandoli. Sotto quella cancellata moriranno. La prima notizia sui dati statistici ci arriva alle 19,45, quando un signore di Foligno, fuggito con il terrore sul viso da quell'angolo di morte parla di 4-5 vittime, il numero, purtroppo, aumenterà terribilmente. Alle 19.40 arriva la polizia a cavallo, una ridicola messa in scena senza senso e del tutto ritardata. Nel minuti successivi, un miliziano con tanto di frustino e seguito da 19 colleghi, sempre a cavallo, sfilerà davanti alla tribuna delle autorità. Sfilano anche tifosi bianconeri, animati da ben altre intenzioni. Insultano e accusano le autorità di non aver previsto il prevedibile. La gente ha ragione. Da tre giorni gli "animals di Liverpool" non fanno altro che ubriacarsi, sfasciare vetrine, saccheggiare bar e gioiellerie della capitale belga. Vedere la Grand Place ridotta in un immenso cristallo frantumato mette tristezza. Un collega del Sunday Times, Brian Gianville, ci ha confessato: "è terribile, sono disgustato. Noi di Londra da sempre abbiamo preso le distanze da quei selvaggi. Ho mandato mio figlio un giorno insieme con il Manchester United a Liverpool e Mark ne ha ricavato un'esperienza allucinante. E' stato assediato per ore, solo perché non era un red". Al di là delle carenze organizzative dell'Uefa e, di stretta conseguenza, delle forze dell'ordine che dovevano preparare le più minuziose misure preventive di sicurezza per questa circostanza eccezionale, resta la bestialità di un gruppo di tifosi, emarginato moralmente dalla Gran Bretagna, ma che continua a devastare. Bisognerebbe vietare a questa gente l'accesso per almeno 5 anni in tutti gli stadi d'Europa e proibire loro di ingerire sostanze alcoliche, almeno il giorno della partita. Il comportamento degli italiani è stato esemplare. Purtroppo da vittime esemplari. C'è stato un pallido tentativo di risposta, quando un gruppo proveniente dalla curva sud si è precipitato ad aiutare gli amici juventini in difficoltà nella parte opposta dello stadio, vista l'inefficienza delle forze locali. Il tutto è rientrato nel giro di 5 minuti. Vicino a noi, in tribuna, ogni tanto arrivava un signore con il volto tagliato, i vestiti imbrattati di sangue o a brandelli, l'espressione angosciata e terrorizzata di chi vive sotto lo choc. Alle 20 un secondo gruppo di cavalli è pronto per la seconda parata, e c'è chi si "diverte" (scusateci l'espressione) a rincorrere un isolato italiano invece di placare quella belva feroce che si agita dietro a 14 mila maglie e bandiere rosse. La gente "profuga" da quel settore aumenta attorno a noi. C'è chi piange amici e parenti dispersi. II campo di calcio si trasforma in un happening di dolore e di lacrime. Galoppano ancora i cavalli e i cavalieri-poliziotti sono accolti al grido di "buffoni". Il settore curva nord è conquistato del tutto dal Liverpool, che canta la sua macabra conquista in modo sfrontato. Gli italiani ancora esemplari, solo qualche scaramuccia li vede impegnati nella curva sud. Sì, gli inglesi ci hanno dato una lezione, ma di inciviltà, di violenza brutale e premeditata. Un signore di Teramo ci racconta di donne inerti picchiate senza ragione. Alle 20.25 giunge la notizia che i morti sono 47. Alle 20.20 l'altoparlante annuncia, mentre i cavalieri come marionette compiono un altro giro di propaganda per liberare la pista di atletica dai feriti e dai dispersi, che i giocatori stanno per entrare in campo. Poi, c'è un comunicato in cui si annuncia che i dirigenti Uefa vagliano la possibilità di far disputare regolarmente la finale. La voce di Scirea, attraverso l'altoparlante, annuncia successivamente che: "Per consentire alla polizia di organizzare l'esodo degli inglesi e degli altri tifosi dallo stadio, si giocherà. E noi giocheremo per voi, tifosi juventini". A pian terreno, nella zona adiacente alla tribuna, è allestita una tendopoli dalla Croce Rossa per soccorrere i feriti. C'è un mesto via vai. Ognuno si prodiga come può. Alle 21.39 i giocatori rimettono piede in campo e 4 minuti dopo si inizia la finale. L'Uefa ha deciso così. La gente segue senza interesse ed entusiasmo, perché ogni tanto guarda laggiù, in quell'angolo di morte dove scarpe, occhiali, camicie, magliette e giubbotti sono disseminati ovunque, come in un campo di battaglia".

30 maggio 1985

Fonte: Stampa Sera

ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 30.05.1985 

Paolo Rossi: "Il giro di campo per onorare i morti non per la gioia"

Michel Platini guarda commosso la tragica curva: "Tutto ciò rischia di portare il calcio alla rovina".

BRUXELLES - Una Coppa che alla Juventus arriva da una partita macchiata di sangue. La tragedia che si è abbattuta in quella curva Nord, settore "Z" dello stadio Heysel, rende terribilmente triste il momento del trionfo tanto atteso. I bianconeri avrebbero preferito non giocare. La decisione dell'Uefa, maturata per evitare che la situazione si aggravasse alla fine della partita, ha costretto le due squadre a scendere in campo ugualmente. Paolo Rossi è fra i primi ad abbandonare lo spogliatoio. Non è stato possibile per i giornalisti italiani accedervi, poiché una decisione assurda consentiva soltanto alla stampa belga quel privilegio. Questa è l'ospitalità nei confronti di gente che lavora e che ieri sera ha visto la morte di 36 fratelli. Torniamo a Paolo Rossi. Occhi velati di stanchezza, voce flebile e commossa. "Giuro di essere entrato in campo con l'animo prostrato, anche se, a mente fredda, capisco che disputare questa finale è stato il male minore, poiché altrimenti sarebbe potuto succedere il finimondo. Dunque in campo con tanto dolore nel cuore". C'è chi ha criticato il vostro giro di campo, pur se effettuato senza la famosa Coppa. "Nessuno di noi ha gioito in quei momenti e il giro si giustifica col rispetto per chi è caduto ieri sera e col riconoscimento nei confronti di chi ci ha seguito da tanto lontano. L'organizzazione generale è stata incredibilmente deficitaria, del tutto inadeguata all'evento". Cabrini ha dedicato la Coppa a chi lascia la Juve, a Tardelli, a Boniek ed a te. "Non è il momento dei sentimentalismi - conclude Paolo Rossi - è giusto finire la stagione. Se si è deciso di andar via bisognava farlo in una circostanza felice". La notte è fonda. Michel Platini, in silenzio, si è recato verso quella curva della tragedia. Uno sguardo attorno dove, in un angoscioso scenario, sono sparpagliate migliaia di scarpe. Ci sono anche camicie strappate, occhiali ed altri oggetti che parlano di morte. Michel ha voglia di piangere e mormora: "Tutto ciò rischia di portare il calcio verso la rovina. Non volevamo giocare, ha deciso l'Uefa. In campo, poi, ho pensato soltanto a giocare.

30 maggio 1985

Fonte: Stampa Sera

ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 30.05.1985 

Platini, re in lacrime "giocare, assurdo"

di Bruno Bernardi

Oltre alla coppa si è aggiudicato anche il titolo di capocannoniere. Alla fine ha voluto dedicare il successo ai tifosi juventini caduti.

DAL NOSTRO INVIATO. BRUXELLES - Michel Platini, un re triste. E' risalito sul trono d'Europa, ha vinto anche la Coppa dei Campioni e il titolo di capocannoniere, ex aequo con lo svedese Nilsson del Goteborg, ma non può sorridere: la tragedia che ha funestato la finalissima con il Liverpool frena la sua gioia, frena l'entusiasmo di tutti i tifosi juventini. "Non avrei voluto giocare, come del resto i miei compagni, poi l'Uefa ha deciso che la partita doveva aver luogo ed ho pensato soltanto a battere il Liverpool, ma quanto è successo ieri sera in quella curva rischia di rovinare il calcio", dice Platini prima di partire per Torino. E' stato lui a decidere l'incontro, con un rigore che ha sollevato le proteste degli inglesi: il fallo di Hansen su Boniek era avvenuto appena fuori area ma l'arbitro Deyna, in posizione poco felice, non ha avuto esitazioni a decretare il penalty decisivo. Con freddezza e decisione, Platini ha infilato Grobbelaar dagli 11 metri. Poi, esultando, s'è messo a saltare mentre i bianconeri lo rincorrevano per abbracciarlo. Ha continuato a lottare per tutta la gara, sacrificandosi anche in retrovia, senza mai perdere la lucidità. Alla fine è corso verso la curva, non quella insanguinata ma l'altra, assiepata di tifosi juventini: a loro, ai caduti, ha dedicato il successo. Dopo la doccia, prima di salire sul pullman con la squadra, ha voluto recarsi sul luogo dei gravissimi incidenti. In silenzio, impietrito, ha guardato quelle centinaia di scarpe, quegli indumenti rimasti impigliati nella rete devastata contro la quale erano finite, schiacciate, travolte, le vittime della barbarie, tifosi venuti da lontano per una festa di sport che si è trasformata in un luttuoso evento. Il calcio sta diventando una guerra. E sotto l'Atomium, simbolo della civiltà moderna, sembrava di essere tornati ai tempi delle orde di Attila. Forse a questo deve aver pensato Platini guardando quei poveri resti, testimonianze della follia. E' stato crudele, angosciante, andare in campo in quello stato d'animo. Ma il professionismo, come la legge del circo, vuole che lo spettacolo continui. La Juventus ha vinto, Platini ha vinto. Ma la lezione di Bruxelles non può, non dev'essere dimenticata in fretta.

30 maggio 1985

Fonte: Stampa Sera

ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 30.05.1985 

di Bruno Bernardi

BRUXELLES - Ian Rush ha volato recarsi, a fine gara, a vedere la curva insanguinata. Uno sguardo e via. Teneva gli occhi bassi, non certo per la sconfitta, ma per l'amarezza di quanto era accaduto prima della gara. "Terribile, davvero terribile", ha commentato Rush. Ha censurato poi il comportamento dei tifosi inglesi, ma indicando la curva bianconera ha detto che la violenza è generale e dovrebbe finire. L'unico accenno di protesta è per il rigore: "Non c'era. Il fallo su Boniek era fuori area. Comunque la Juventus ha meritato questa Coppa e noi cercheremo di riprendercela in futuro. In Italia ? Impossibile, resto al Liverpool".

30 maggio 1985

Fonte: Stampa Sera

ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 30.05.1985 

Tra i tifosi disperati. I miei cari sono vivi ?

di Bruno Perucca

DAL NOSTRO INVIATO. BRUXELLES - Venire al centro d'Europa, anche in senso politico, e morire schiacciati contro una staccionata, da altra gente, o colpiti da una bottiglia spezzata. Lo sgomento provato dalla sicura tribuna nel vedere, soprattutto nell'intuire quanto stava accadendo, non è nulla rispetto alla realtà ed al disgusto per un qualcosa che - ma non nella misura tragica dell'accaduto, è certo - aveva avuto avvisaglie negli scontri del pomeriggio in città. Se è vero che il Liverpool ha "schedato" tutti i suoi fans - come ci aveva detto il segretario Robinson - senza volerli accomunare tutti nell'attacco ai bianconeri della curva sulla quale erano divisi a metà da una ridicola barriera, qualcuno dovrà pur pagare, anche se nulla "paga" la vita di chi l'ha persa ed in modo così tragicamente banale. E' saltato tutto nello stadio di Bruxelles, dal servizio d'ordine insufficiente, ai telefoni. Sotto lo stadio, nella centrale telefonica anch'essa praticamente fuori uso, ci vergognavamo di insistere per parlare con il giornale mentre decine di ragazzi con le sciarpe bianconere, imploravano con le lacrime agli occhi di poter chiamare casa loro. Rosario Dominaci, alto, bruno, gli occhi lucidi era uno dei pochi a trovare il fiato per spiegare qualcosa: "Mi ha salvato la foga della disperazione, mi sono buttato sul mucchio di gente già schiacciato, urlante, e sono rotolato sulla pista". E Massimo, un biondino lentigginoso: "Allo stadio non verrò mai più, lo giuro. Avevo un cugino vicino a me ed ora non so dove sia, non fatemi pensare che fosse là sotto". Intanto dalle vetrate della centrale telefonica, vedevamo insieme a questi ragazzi le uscite rabbiose delle ambulanze, e l'arrivo affannoso delle altre chiamate dagli ospedali: erano tre, poi sette, dieci, un andirivieni senza soste, che i giovani al nostro fianco seguivano singhiozzando: "Ci sarà qualcuno dei nostri, dei miei amici, là dentro". La tragedia prendeva dimensioni terrificanti. Rosario Dominaci si accorgeva di avere una scarpa sola ed il piede destro insanguinato. Arrivavano gli elicotteri nell'antistadio, le ambulanze non bastavano più. Massimo Cilestrini di Reggio Emilia si accasciava piangendo: "Basta, basta, voglio tornare a casa". Il sotto-stadio era pieno di ragazzi feriti, terrorizzati. Giampaolo Ceriotti di Laigueglia ripeteva: "Ho avuto paura di morire, morire così come un cane". Donato Gallucci di Castel Gandolfo era disperato per la sua famiglia più che per lui: "Spero soltanto non guardino la televisione". Alle 20.45, mezz'ora dopo l'inizio di quella che dovrebbe essere stata la partita, l'altoparlante dell'Heysel invece di scandire i nomi dei giocatori snocciolava un elenco lunghissimo di nomi: Zavoli, Donadoni, Bonacina, Placido, Sanna, Gianotti, Colombo Aldo e Marcella, Rossotti, e tanti altri. Un elenco di cosa: di dispersi, di parenti o amici dei morti e dei feriti gravi ? Saliva vicino a noi Ezio Borassi, alessandrino, per gridarci: "Potevamo reagire anche noi, non l'abbiamo fatto, siamo stati civili, ma non è bastato". Ha una larga macchia di sangue sui pantaloni: "è di un ragazzo morto, mi è morto addosso". E cominciavano anche gli appelli, attraverso la voce tenue dello speaker, per tranquillizzare congiunti e amici: "Mario Tronconi avverte il fratello Giulio che se ne va al pullman !". Ma Giulio dov'era, anche lì a cercare il fratello oppure giù all'ospedale ? Quella che si aspettava come la serata di una festa calcistica è diventata così un massacro. Ed i tifosi del Liverpool ammutoliti sulle gradinate, ad aspettare qualcosa che tardava, a sentire appelli che non comprendevano, ma solo intuivano, forse. E' stata la quarta finale di Coppa Campioni allo stadio Heysel, questa. Il vecchio impianto di Bruxelles ha mostrato tutti i suoi anni, l'usura delle sue cancellate, ma soprattutto è colpevolmente mancata la federazione calcistica europea (per quanto già chiaramente avvertita più volte del pericolo inglese negli stadi di calcio) che ha fatto vedere tutta la sua incapacità almeno ad organizzare con le autorità di Bruxelles un adeguato servizio d'ordine. Quando la polizia entrava era tardi, ed era accolta da un ironico urlo dalla curva a destra delle tribune, ormai occupata (anche nel punto della tragedia) da loro, dai fans di Liverpool con le bandiere sventolanti. Frange di tifosi teppisti ci sono dovunque, anche in Italia: ma il comportamento di quella parte della teppaglia inglese che ha acceso la miccia è stato frutto sicuramente della birra e del whisky distribuito senza freni in città. Inutile, chiudere i bar dello stadio. Troppo tardi. Nel chiuso degli spogliatoi, intanto, i giocatori bianconeri come inebetiti, aspettavano soprattutto notizie e non volevano credere al numero dei morti che aumentava. Si sentivano le loro voci, sommesse, E loro ascoltavano quelle del tifosi che li invocavano chiedendo aiuto, qualcuno è uscito per tranquillizzarli, Tardelli per primo. La Juventus, come società (Boniperti discuteva con Smith presidente del Liverpool), era decisa a non giocare, e quando accettava era soltanto perché esisteva il timore (tanto è vero che il governo belga invitava intanto anche i militari a portarsi verso lo stadio) di altri incidenti in un ritorno "deluso" e disordinato dei tifosi d'oltremanica.

30 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 30.05.1985 

Con questo prestigioso successo, si chiude un ciclo inimitabile

La Juventus è diventata finalmente regina ma nella sua serata più triste

di Angelo Caroli

DAL NOSTRO INVIATO. BRUXELLES - Finalmente, Juventus. Dopo aver perduto le due precedenti finali con l'Ajax ('73) e l'Amburgo ('83), è riuscita a portare a Torino il più prestigioso trofeo d'Europa. E' un'impresa storica, non soltanto perché consente ai bianconeri di eleggersi a unica squadra continentale ad aver vinto tutte e tre le manifestazioni internazionali (più una Supercoppa, proprio contro i "reds"), ma perché la performance è stata compiuta ai danni del celebrato Liverpool, campione d'Europa uscente. Parlare di calcio, di tecnica, in una serata così tragicamente triste ha il sapore di sacrilegio. Ma il lavoro impone di andare avanti, e rimettere in moto il carrozzone del circo, proprio come si usa appena la pista è stata liberata dal trapezista schiantatosi a terra. Forse è cinismo, forse istinto di conservazione, forse l'una e l'altra cosa insieme. Ma bisogna andare avanti. La gioia per la vittoria e il dolore per i morti nello stadio Heysel si mescolano con malinconia e anche quando i bianconeri compiono il giro d'onore lo fanno più per dimostrarsi affettuosi, solidali nei confronti dei tifosi che per orgoglio personale. E' un successo, quello di ieri sera, che si inserisce comunque in una storia già prestigiosa, costruita con anni di sacrifici e programmazioni, con una paziente politica che ha tenuto conto a volte di pazzesche esigenze di mercato e altre volte di ragioni programmatiche a lunga e a breve scadenza. Tutto con un equilibrio che ha consentito alla squadra, per più di un decennio, di mantenersi sui valori più alti del diagramma del calcio italiano. I 21 scudetti, le 7 Coppe Italia, la Coppa Uefa, la Coppa delle Coppe, la Supercoppa, avevano bisogno però di un completamento con la Coppa dei Campioni. E' stato ottenuto quassù a Bruxelles, forse nell'anno in cui i tifosi davano minor credito alla squadra, dopo l'esperienza negativa di Atene e la stagione, ricca di chiaroscuri, '84-85. Ma su quell'esperienza ateniese Boniperti e Trapattoni hanno lavorato. Quando, in questi giorni, scrivevamo che la squadra era rivitalizzata dal ritiro ginevrino, e che certi scheletri erano stati definitivamente chiusi dentro l'armadio, avevamo visto bene. E' un successo che premia il lavoro di dirigenti e tecnici, oltre che dei giocatori e dei tifosi sempre fiduciosi. Dirigenti e tecnici hanno commesso pochi errori in tanti anni ed hanno il merito di aver saputo mantenere nei giocatori quello spirito vincente che fa invece difetto ad altri club. Se i tifosi pensassero che non è sempre possibile e facile acquistare i campioni che tutti vorrebbero, non si attarderebbero con discorsi che hanno più efficacia in un bar che in una stanza dove si costruisce, si restaura, si rivede e si perfeziona la rosa che si ha a disposizione. Certo che con questa partita vittoria un ciclo finisce, perché alcune carte d'identità ingialliscono e perché la diaspora di cui si rendono autori Tardelli, Paolo Rossi e Boniek, impoverisce ancora di più la dote juventina. Zibì, nel cuore della notte, è partito alla volta di Pisa, dove dormirà e da dove stamane, di buon'ora, è ripartito su di un aereo privato alla volta di Tirana. Oggi pomeriggio (ore 17,30) giocherà nella nazionale polacca contro l'Albania. I tre uomini con la valigia partiranno, dunque, per destinazioni più o meno note, e lasceranno, ognuno in una misura diversa, un ricordo incancellabile. Per il commiato, non potevano scegliere momento più bello, cioè con una Coppa in mano. E se non fosse per quei morti nella curva Nord, la loro felicità sarebbe completa. Il furbo Liverpool dei Dalglish, Rush, Lawrenson, Neal, Grobbelaar e Walsh, è calato a picco. I rodomonti inglesi ora non potranno più sfoggiare spocchia britannica. Erano sicuri di farcela e sono stati castigati. Uno dei tanti contropiedi di Boniek è stato fermato irregolarmente e lo svizzero André Daïna ha concesso il penalty che Platini ha trasformato. Con questa rete, Michel ha messo la Coppa nelle mani della vecchia signora ed ha raggiunto lo svedese del Goteborg, Nilsson, nella classifica dei cannonieri (7 reti ciascuno). Ed è il secondo francese, dopo Raymond Kopa, ad aver vinto una Coppa dei Campioni. I temi tattici della partita paiono subito chiari. Il Liverpool costruisce gioco ininterrottamente, ha sopravvento a centrocampo, ma non trova i guizzi vincenti né con Dalglish, né con Walsh, che si infortuna pure, né col temibile Rush. Tutte le volte in cui traversoni partono dalle zone laterali inglesi, Tacconi (stupenda partita ieri sera, ad ammonimento per chi non crede in lui) balzava come un "tarzan" e attanagliava il pallone. Altra partita sicura e olimpica di Favero, seguito da un concentratissimo Brio e da un Cabrini che ha ritrovato smalto per offendere, sul lungo linea sinistro e per dire la sua anche in una chiave prettamente difensiva. Scirea sicuro e preciso, capace di trasmettere questo stato d'animo a tutto il settore. Elogio particolare lo merita Briaschi, sceso in campo in condizioni fisiche non perfette e ciò nonostante molto utile al collettivo. Anche Paolo Rossi si è prodigato tanto per gli altri, ma non è riuscito, ancora una volta, a tentare la sorte verso la porta avversaria. Tardelli ha distribuito le proprie intelligenti energie a destra, dove il frenetico irlandese Beglin, cercava di metterlo in difficoltà. Ottimo Platini, ispirato e volitivo, e oltretutto micidiale esecutore degli inglesi con quel suo magico destro dagli 11 metri. Resta Boniek. Lascia la Juventus. Ed è un peccato. Anche ieri sera ha dimostrato quale propellente usi per staccare tutti con quelle volatone inafferrabili, in contropiede. Meritava la gioia del gol. Ma anche così a lui sta bene. L'importante è vincere, non segnare. Soprattutto quando la posta è la più bella Coppa d'Europa.

30 maggio 1985

Fonte: Stampa Sera

ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 30.05.1985 

La rivincita di Tacconi, il migliore con Boniek e Michel

JUVENTUS - TACCONI 8 - Alla fine di una stagione nella quale aveva provato tante amarezze, il portiere bianconero ha colto la più grande soddisfazione. Si è distinto sin dall'avvio per sicurezza, ed è "cresciuto" di minuto in minuto diventando il protagonista nel finale. Ma si era visto già all'inizio del secondo tempo che la sua sicurezza era totale per come comandava i compagni della difesa. FAVERO 7 - Una partita difficile prima su Walsh quindi sul più fresco Johnston. Senza abbandonare la posizione difensiva, il terzino ha giocato con molta attenzione nelle marcature e con estrema decisione nei tackles. CABRINI 7 - Soltanto in poche occasioni è riuscito ad avere la libertà e lo spazio per portarsi in avanti in appoggio all'attacco, ha fatto il difensore come ai vecchi tempi e si è dimostrato molto preciso nei rilanci, alcuni dei quali eseguiti con difficili acrobazie. BONINI 7,5 - Ha avuto in custodia l'avversario più tecnico, e più caparbio, quel Dalglish che metteva in questa partita particolare impegno, essendo anche allo scadere della carriera. Bonini non ha perso di vista l'avversario, ha ricevuto e restituito colpi con estrema decisione, risultando come sempre uno dei più preziosi a centrocampo. BRIO 7,5 - Si è appiccicato a Rush come aveva promesso, e lo ha domato per tutti i 90 minuti non concedendogli un filo di spazio. Deciso negli anticipi, quando ha avuto l'occasione di sfruttarli, ha praticamente tolto all'avversario diretto la possibilità di muoversi con disinvoltura. SCIREA 7 - è rimasto in copertura, senza avventure in appoggio a centrocampo, ha superato con coraggio il momento psicologicamente molto difficile. Negli spogliatoi prima di andare in campo era parso uno dei più restii a giocare questa partita, e il suo appello ai tifosi affinché stessero calmi è stato un esempio di serietà e di comportamento responsabile. BRIASCHI 6,5 - Ha giocato coraggiosamente sino quasi allo scadere, quando è stato sostituito da Prandelli, superando le remore provocate dal dolore alla caviglia che aveva reso in dubbio la sua presenza fino alla vigilia. Prezioso per gli spostamenti sul fronte offensivo, ha fallito qualche conclusione ma non era nella condizione fisica per poter fare di meglio. TARDELLI 7 - è rimasto in posizione di centrocampista difensivo, sulla destra dei bianconeri, per fronteggiare quel Whelan che ieri sera ha disputato una partita molto puntigliosa, ed anche piuttosto scorretta. Marco non ha accettato provocazioni, si è battuto con grande energia, dando un grosso contributo a questa importante vittoria. ROSSI 7 - Ha fatto ammattire la difesa dei "reds" in più occasioni, soprattutto quando allargandosi sulla destra, ha creato spazi al centro per gli inserimenti di Boniek, dello stesso Briaschi. Un Rossi molto vivo, che non si è risparmiato in una partita molto dura in tutti i sensi. Il cambio con Vignola in extremis è stata soprattutto una decisione di Trapattoni per rompere il ritmo degli avversari. PLATINI 8 - Fagan gli ha dedicato la guardia di Wark, il più veloce dei centrocampisti inglesi. Ma questo non è bastato, il francese è stato protagonista assoluto per tutta la partita dimostrandosi come sempre eccezionale nella scelta di tempo per i lanci ed anche preziosissimo nella copertura difensiva, BONIEK 8 - Non ha certamente pensato a Tirana, il polacco, ieri sera all'Heysel. E' rimasto sul tre quarti campo, sempre in agguato, pronto al lancio ed il rigore che si è guadagnato è stato veramente meritato per lo slancio nel quale si è proiettato sul lancio di Platini. Ed ancora dopo, è stato Zibì a tenere sulla corda la difesa avversaria che con lui così puntiglioso e scattante non ha potuto riversarsi in avanti come avrebbe voluto.

30 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 30.05.1985 

"Neanche ora possiamo gioire"

di Pier Carlo Alfonsetti

BRUXELLES - "Non possiamo gioire nemmeno stavolta"; così Giampiero Boniperti ai tifosi che l'hanno circondato dopo la partita.

Era scuro in volto, tristissimo, nonostante avesse finalmente conquistato quella coppa che sembrava stregata. La tiene in mano Bonini, seduto in prima fila su un pullman che ospita una squadra silenziosa, senza sorriso per un successo avvenuto dopo un tremendo olocausto di vite umane. Anche Giovanni Trapattoni ha la stessa espressione del suo presidente. "La nostra felicità è frenata - dice Trapattoni a bassa voce - è un avvenimento che ci ha lasciati sgomenti. Le colpe ? E’ difficile individuare dei colpevoli. Queste tragedie non devono più accadere...". - Con quale stato d'animo la squadra è entrata in campo ? "Con quel peso sulle spalle è stata dura - risponde Trapattoni - ma l'Uefa ha scelto di disputare ugualmente la finale. Era una grossa responsabilità, una decisione sofferta. Pur con l'angoscia in cuore, abbiamo giocato con la rabbia, per rendere omaggio ai caduti". Gli inglesi protestano, dicono che il fallo di Hansen su Boniek era fuori area. Cosa ha visto lei ? "C'era, era netto. Comunque abbiamo meritato per la determinazione, per il carattere. Abbiamo subito com'era logico la loro spinta ma poi abbiamo colpito in contropiede. Elogio tutti, ma in particolare Tacconi: ha fatto quello che ho sempre preteso e che è in grado di fare. Il futuro ? Questo finalino potrà cambiare qualcosa, forse qualche idea. Vedremo". Tacconi non dedica molta attenzione ai complimenti che gli vengono rivolti. Entra subito in argomento: "Quando sono entrato in campo, ve lo confesso, non pensavo per nulla alla partita. Dopo un'ora e un quarto di attesa snervante, sentivo la rabbia salire; mi sono concentrato e poi in campo ho cercato di dare il meglio di me stesso". Boniek: "Avrebbe potuto essere uno dei giorni più belli della mia vita, perché lo sport è sempre sport e il confronto fra due nazioni non deve diventare un fatto di guerriglia, bensì una sana vicenda agonistica. Sono entrato in campo, ma con la testa non c'ero, mi veniva da piangere a guardare quella curva insanguinata". Il polacco accenna anche alle vicende del suo ventilato trasferimento; "Non voglio parlarne adesso. C'è tempo. Vi dico solo una cosa; mi sento italiano, e piango le vittime".

30 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 30.05.1985 

Una rapina in gioielleria avvisaglia degli incidenti

BRUXELLES - Un'avvisaglia degli incidenti si era avuta nella notte fra martedì e mercoledì, quando gruppi di italiani e inglesi si erano affrontati sulla Grand Place a sassate e con lanci di bottiglie. La battaglia si era chiusa con pochi danni, un po' di vetri rotti, due tifosi britannici arrestati, un italiano leggermente ferito. Nel primo pomeriggio di ieri, poi, una ventina di teppisti, quasi certamente britannici, ha fatto irruzione in una gioielleria arraffando preziosi per circa 300 milioni di lire e riuscendo poi a fuggire. Più tardi si è avuta notizia di un fatto ancora più grave: un tifoso del Liverpool, un giovane, è stato accoltellato a metà pomeriggio in Place Rogier, nel centro di Bruxelles. Le indagini hanno appurato che l'accoltellatore era stato un italiano, in un primo tempo riuscito a sfuggire all'identificazione, ma arrestato più tardi. Non è stato rivelato però dalla polizia il nome dell'aggressore. Il ferito, ricoverato all'ospedale Saint Jean, versa in gravi condizioni. Ma quelli che sembravano incidenti quasi inevitabili nelle tese ore della vigilia della partita, circoscritti ad un paio di episodi, non sarebbero stati invece che il prologo di una serata drammatica.

30 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 30.05.1985 

di Renato Proni

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE. BRUXELLES - La televisione belga, in un telegiornale speciale trasmesso alle 21.30, ha mostrato alcune delle scene più atroci della sua storia. Migliaia di spettatori sono stati visti fuggire dagli spalti verso il terreno di gioco nel panico subentrato alla carica dei tifosi inglesi contro quelli juventini, che ha provocato la tragedia. Le telecamere hanno poi mostrato senza pietà lo spettacolo delle vittime rimaste sul terreno. Il personale della Croce Rossa e alcuni spettatori rimasti incolumi si aggiravano tra mucchi di corpi esanimi, per lo più di giovani, ma anche di qualche donna. Erano decine con i volti tumefatti. E' stata tentata, per alcuni, la respirazione artificiale assieme al massaggio cardiaco ma senza visibile successo. I cadaveri sono stati poi trasportati a braccia fuori dallo stadio, altri in barella. Nell'attesa, le grandi bandiere bianconere sono servite come veli funerari per coprire pietosamente le salme. La gente piangeva, urlava in italiano, si metteva le mani nei capelli e chiamava gli amici o i parenti. Era una scena incredibile che gli schermi avevano mostrato altre volte, ma sui campi di battaglia, mai sugli spalti di uno stadio. Molti feriti con la testa sanguinante. Alcuni sono caduti e periti dall'alto fuori dallo stadio, dopo che il muro di cemento era crollato sotto la spinta del tifosi. La televisione belga tende senz'altro a dare la responsabilità dell'accaduto alla tifoseria di Liverpool. I teleschermi hanno mostrato soltanto un drappello di polizia in servizio al momento del dramma perché il nerbo delle forze era ancora fuori dallo stadio. Anche i servizi di pronto soccorso, a prima vista, sembrerebbero entrati in funzione con ritardo e forse con mezzi inadeguati rispetto alla sciagura. Sul posto sono poi arrivate le autoambulanze e anche alcuni elicotteri per trasportare le centinaia di feriti e 35 morti (che potrebbero salire, secondo stime della polizia, a 60) negli ospedali. L'ambasciatore Saragat, che si trovava allo stadio, ha convocato i suoi funzionari e ha cercato di conoscere, per ora senza riuscirci, i nomi e le città di origine delle vittime, quasi tutte italiane, secondo i primi rapporti delle autorità. Alle 21.45 la televisione trasmetteva un appello televisivo ai membri della forza mobile d'intervento della polizia di Bruxelles per raggiungere i loro posti di servizio, per timore di altri incidenti.

30 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 30.05.1985 

La polizia belga è intervenuta dopo la crudele caccia all'uomo

di Bruno Bernardi

DAL NOSTRO INVIATO. BRUXELLES - Morte allo stadio, una vergogna. Mai visto un simile inferno nel calcio. La quarta finale di Coppa dei Campioni sarà ricordata come la più funesta e sarà anche l'ultima per Bruxelles dopo l'incredibile guerra scatenata dagli invasati supporters del Liverpool un'ora prima della partita. Autentici criminali contro i quali il servizio d'ordine belga ha fallito clamorosamente il suo compito, lasciando che migliaia di inglesi, ebbri di birra, invadessero il settore degli juventini in una colossale caccia all'uomo. I sostenitori bianconeri, pressati, hanno travolto amici e parenti, disperdendosi poi sul campo dove padri di famiglia, figli e madri in lacrime hanno urlato contro la tribuna d'onore il loro sdegno, chiedendo alle autorità un qualcosa che intanto sarebbe stato ormai tardi fare. Tutti sapevano che gli hooligans che significa teppisti, sono i tifosi più turbolenti d'Europa, ma non è bastato per suggerire le necessarie contromisure. Troppo tardi sono intervenuti 24 poliziotti a cavallo accolti dai fischi e dal grido di "buffoni, buffoni", mentre sul tabellone luminoso apparivano grottesche scritte in tre lingue, in cui si invitava a non lanciare oggetti, a non saltare sul prato. Ridicolo, appelli dopo che il gioco del massacro era già avvenuto. Scene allucinanti: mentre nell'infermeria si curavano i feriti e qualcuno moriva, altri con le maglie biancorosse giocavano a palla sul prato, cercavano il gol. Il grosso pubblico agitava bandiere, dava fiato alle trombe. Alle 20.28 i giocatori della Juventus si presentavano in campo dirigendosi verso la curva bianconera anch'essa in parte devastata da coloro che avevano divelto le reti per cercare di andare a difendere i compagni dalla parte opposta. Cabrini, Briaschi, Brio e gli altri parlavano con i sostenitori per invitarli alla calma. Poi la squadra rientrava negli spogliatoi dov'erano in corso febbrili negoziati. Sembrava impossibile poter disputare regolarmente la finale con atleti così turbati e deconcentrati. Boniperti era arrivato alle 20 allo stadio sorridente, ignorava ancora i tumulti e la tragedia. Appariva come folgorato. Alle 21 il pubblico era ancora in attesa. Joe Fagan il sessantaquattrenne manager del Liverpool, che aveva già annunciato l'intensione di dimettersi, appariva affranto nel sottopassaggio. Diceva: "Questa è un'amarezza terribile, e pensare che per me doveva essere l'ultima partita festa. Ormai ero già deciso a lasciare la squadra nelle mani di Neal, il nostro anziano capitano. Mi sentivo vecchio, adesso lo sono ancora di più". Nella curva bianconera c'erano segni di impazienza, scoppiavano mortaretti. Poliziotti in assetto da guerriglia respingevano a manganellate alcuni tifosi armati di bastone. Alle 21.30 l'addetto stampa dell'Uefa annunciava ufficialmente che la finale si sarebbe giocata, c'era da stentare a credergli. Evidentemente la possibilità di rinviarla a breve scadenza (o addirittura all'inizio della prossima stagione, e di trovare una nuova sede, avevano presentato delle difficoltà. La notizia diffusa dall'altoparlante era definita "l'unica soluzione per consentire alla polizia di scortare la gente all'uscita dallo stadio". Come al circo quando l'acrobata o il trapezista muoiono, anche nel calcio lo spettacolo doveva continuare. Una autentica crudeltà. Alle 21.39 il Liverpool da una parte e la Juventus dall'altra raggiungevano il centrocampo. Si scandivano i nomi delle formazioni, mentre nell'antistadio l'elicottero della polizia trasportava ancora gli ultimi feriti all'ospedale e intanto proseguiva il carosello di autoambulanze a sirene spiegate nelle strade della città.

30 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 30.05.1985 

La Juve non voleva giocare

BRUXELLES - Alle 20.15, quando la partita doveva cominciare, il ministro degli Interni belga Nothomb ne chiedeva l'annullamento per ragioni di ordine pubblico. Ma il comitato esecutivo dell'Uefa, la federazione calcistica europea, e le stesse autorità sportive belghe, decidevano di far svolgere il match per evitare incidenti ancora più gravi sul campo e in città. Per un certo periodo però la Juventus, secondo la televisione e secondo voci diffuse in tribuna, si rifiutava di scendere sul terreno per giocare la partita. Questo rifiuto cadeva dopo molte insistenze, i dirigenti bianconeri comprendevano che la situazione non aveva altre vie d'uscita. Perciò prendeva il via la partita, regolare a tutti gli effetti secondo quanto dichiarato dai dirigenti Uefa. Ma prima dell'inizio venivano convocati al microfono i capitani della Juventus e del Liverpool, Scirea e Neal, per invitare i tifosi alla calma, altrimenti la partita sarebbe stata annullata. Intanto, sul campo, dall'esterno dello stadio e dalle stazioni di polizia di Bruxelles, affluivano in continuazione poliziotti armati di lunghi bastoni e agenti a cavallo, oltre naturalmente a mezzi di soccorso con i quali si allestiva una specie di ospedale da campo di fortuna all'esterno dello stadio, con alcune tende. L'allenatore della nazionale francese Hidalgo veniva intervistato alla televisione e dichiarava: "è una sconfitta per lo sport del calcio che mette in pericolo la stessa sopravvivenza della Coppa dei Campioni". Ma sugli spalti, intanto, la gente rideva, gridava, e ai bordi del campo, divelte le reti di protezione, i fans continuavano a picchiarsi. Certamente sarà fatta un'inchiesta sulla sciagura ed è prematuro anticiparne l'andamento e ancor meno i risultati. Ma da quanto ha mostrato la televisione belga, si direbbe che le forze dell'ordine all'interno dello stadio prima dell'inizio della partita erano inadeguate in numero, che i soccorsi non erano ben predisposti, che sono stati gli inglesi a iniziare quella che la tv ha definito "una carica" contro i tifosi italiani, provocando il panico. C'è anche da verificare come mai un muro di cemento sia crollato sotto la pressione umana. Probabilmente la tragedia ha avuto proporzioni più vaste anche perché insieme a tutti i tifosi regolarmente muniti di biglietto se ne sono infiltrati molti altri che avevano acquistato incautamente tagliandi falsi. Così, uno stadio predisposto per 60.000 spettatori scarsi, è finito per scoppiare. E pensare che per motivi di sicurezza la capienza in quest'occasione era stata ridotta. r. p.

30 maggio 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 30.05.1985 

"Lasciatemi piangere le vittime"

Cabrini: "abbiamo giocato con la morte nel cuore. Aggiunge il terzino azzurro: "Dedico questa vittoria a quei ragazzi venuti fin qui per vedere una partita e che hanno trovato la morte".

BRUXELLES - Una Coppa maledetta" un trofeo inseguito da anni e che ora che è stato conquistato rivela il gusto amaro del dolore e del fiele. Giovanni Trapattoni si presenta a testa bassa, è chiaro che la commozione schiaccia in lui ogni accenno di gioia. "Dovrebbe essere un momento felice - commenta - invece mi ritrovo qui senza sapere che cosa dire. Quando siamo entrati in campo eravamo ancora combattuti fra il desiderio di rendere omaggio ai caduti e la rabbia di giocare per conquistare un successo sportivo che riscattasse, almeno sul piano sportivo, una giornata così infausta". E' stato giusto far disputare ugualmente la partita ? "Non so, ma forse sì perché bisogna tener conto dei problemi che avrebbe comportato lo sgombero di 65000 persone dallo stadio in una situazione come quella. E' stata una decisione sofferta, dolorosa, noi abbiamo cercato di onorare il nostro compito con rabbia e dolore". Dopo aver appena sfiorato come giusto il tema tecnico, "abbiamo disputato un gran primo tempo per determinazione e carattere, il Liverpool ha poi avuto una reazione, ma noi abbiamo colpito gli inglesi al momento giusto, il tecnico risponde a chi gli chiede ragione di quel giro d'onore senza la coppa... (Omissis: testo illeggibile)... Questa vittoria - risponde infatti l'allenatore - potrebbe far rientrare qualche scelta. Magari qualcuno ha già deciso, per il resto non so". "Abbiamo giocato con la morte nel cuore - dice Cabrini - questa vittoria passa in secondo piano. Gli incidenti accaduti sono incredibili anche perché si sapeva che i tifosi inglesi sono molto pericolosi. Purtroppo, più che per la vittoria della Juventus questa giornata verrà ricordata per la strage avvenuta allo stadio: per questo motivo dedico il successo ai caduti, a quei ragazzi che sono venuti a vedere la partita e che qui hanno trovato la morte". E' stata una decisione saggia quella di far disputare ugualmente la gara ? "Il ritardo di oltre un'ora ha compromesso le fasi di preparazione come il riscaldamento. Negli spogliatoi si è creata grande tensione ma, tutto sommato, forse è stata una decisione opportuna perché se non si fosse giocato la tensione avrebbe potuto determinare una situazione ancora più grave". A questo punto il bianconero se ne va aggiungendo: "Dedico la vittoria anche ai compagni che se ne vanno". Il discorso del terzino è idealmente proseguito da Tardelli: "Superfluo dire che dedichiamo la Coppa ai morti. Credo comunque che la colpa di tutto sia della polizia, schierata in maniera completamente inadeguata". Qualcuno ricorda al centrocampista l'enigmatica dedica con cui il suo compagno di squadra ha voluto concludere l'intervento e Tardelli risponde: "Da parte mia dedico la vittoria ai tifosi e a quelli che hanno voluto che restassi alla Juve". E qui sembra di cogliere un nuovo accenno a una vecchia polemica. Rossi sottolinea l'amarezza con cui è sceso in campo: "Vi giuro che mi sentivo tremendamente avvilito. Forse è stato meglio giocare per evitare che succedesse di peggio". Non è stato superfluo quel giro d'onore ? "Non credo, dev'essere interpretato come un gesto di rispetto ai caduti e di riconoscenza verso i nostri tifosi". Ora se ne potrà andare contento dalla Juve ? "Non è il momento di parlare di queste cose, ma se uno deve lasciare la squadra è bello che se ne vada con un ricordo così entusiasmante". Le parole di Boniek rendono veramente onore al polacco: "Avrebbe potuto essere uno dei giorni più belli della mia vita, ma come si può pensare a questo ? Quando guardavo quella curva insanguinata mi veniva da piangere. Non parliamo di addio, è troppo presto: mi sento italiano e lasciate che pianga quelle vittime". Boniperti non è ancora in condizioni di esprimere una riflessione completa. Evidentemente turbato, il presidente bianconero si limita a dire: "Avevamo tanto sognato questa Coppa e neppure ora possiamo gioire. Si è deciso di giocare per evitare il peggio". Estremamente dura invece la presa di posizione del presidente della Federazione italiana, Sordillo. "Sono pronto a rassegnare le dimissioni dall'esecutivo dell'Uefa, se non si adotteranno immediatamente dei provvedimenti. L'organizzazione dei Belgi, malgrado tutte le assicurazioni che ci avevano fornito, è stata di una carenza addirittura sorprendente. E così questa partita si è trasformata in un bagno di sangue, nonostante negli anni scorsi fossero avvenuti episodi indicativi come gli incidenti scoppiati, proprio qui a Bruxelles, in occasione della partita fra Anderlecht e Tottenham". Edoardo Agnelli, unico rappresentante della famiglia, visto che il padre (giunto assieme a Kissinger) è stato consigliato a non venire allo stadio, esprime innanzitutto un pensiero riconoscente al genitore: "Credo che il primo ringraziamento vada a mio papà, che da 38 anni dedica molte attenzioni a questa squadra. Subito dopo penso a Boniperti e ai giocatori". Il rampollo degli Agnelli ricorda la tensione creatasi nello spogliatoio in seguito agli incidenti che avvenivano all'esterno: "La squadra ha dovuto rimandare i suoi programmi di oltre un'ora e questo inconveniente l'ha resa molto nervosa. C'era un'atmosfera ben diversa rispetto all'incontro della Supercoppa e sono sicuro che questo ha impedito che il risultato a favore della Juventus fosse più cospicuo. Tra l'altro all'inizio Platini si è rifiutato di giocare. Più tardi, sul campo, ci ha dato dentro, ma è chiaro che nutriva un grande disappunto, in una situazione del genere sono stati tutti molto ammirevoli". p. c. a.

30 maggio 1985

Fonte: Stampa Sera

ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 30.05.1985 

di Michele Serra

… (omissis: testo mancante) di esseri umani. É successo verso le 7.20, meno di un'ora prima dell'inizio della partita maledetta, una finale di Coppa del Campioni che nessuno potrà mai dimenticare. Una delle due curve, quella a sinistra della tribuna, è divisa in parti uguali tra tifosi italiani e fans inglesi. Circa diecimila per fazione. A separarli sono una decina di poliziotti, ed è soprattutto di questa inconcepibile omissione che dovrà rispondere la polizia belga. A un tratto, con una bravata irresponsabile, i tifosi del Liverpool cominciano a spingere per cercare di guadagnare qualche metro di "territorio nemico". Spintoni, calci, pugni, poi colpi di spranga. La mezza curva bianconera comincia a ripiegare, poi a sbandare paurosamente. D'un colpo, mentre la polizia non può intervenire per il semplice fatto che non c'è, il panico totale. Gli italiani cominciano a fuggire, ma non riescono a trovare via di fuga. In alto le gradinate sono chiuse da un muraglione (sopra il quale, rischiando di precipitare fuori dallo stadio, qualcuno si arrampica trovando scampo); il prato invece è protetto da una "pesante" transenna metallica: sarà proprio questa transenna a seminare la morte. A ridosso della transenna, terrorizzati si accalcano centinaia, poi migliaia di tifosi. Probabilmente qualcuno muore già in questo momento, con il petto sfondato contro il ferro, ma il peggio accade quando la transenna si ribalta: sotto, rimangono a decine, la maggior parte dei morti, sopra si riversa la muraglia umana, involontaria omicida. Dopo, è il caos. Un caos tremendo, quasi più stupido ed atroce della tragedia che l'ha preceduto. Dalla curva della morte la gente si riversa in campo, pazza di dolore, di rabbia, di terrore, qualcuno tenta di prendere d'assalto la tribuna delle autorità, pur di sfogare in qualche modo l'orrore e la paura. Per fortuna, i pochi che hanno mantenuto un minimo di calma riescono a riportare gli altri alla ragione, evitando nuovo panico e forse nuove tragedie. Restano tutti in campo, mentre anche nella curva opposta, tutta bianconera e fino a questo momento rimasta tranquilla, molti prendono l’iniziativa di riversarsi sul terreno di gioco. Tra un vorticoso via vai di barelle si accendono risse a casaccio. Impossibile, ormai, sapere tra chi e perché. Finalmente, venti minuti dopo il bagno di sangue, arriva in forze la polizia. Incredibile. E poi i soldati a cavallo ! E poi addirittura l’esercito. Ma ormai la calma non torna, non può più tornare. Sugli spalti comincia a diffondersi la voce che ci sono dei morti. Due, poi quattro, poi dodici, quindici, venti, trenta, fino alla spaventosa cifra finale. Scene tra lo straziante e l'irresponsabile tra i tifosi juventini: la paura fa aumentare la rabbia, la rabbia la paura. Alle 8.30, con un atto di coraggio non da poco, i giocatori della Juve scendono in campo e corrono verso i tifosi della curva tentando di calmarli. Ma intanto ci si chiede: ammesso che la partita si faccia (ma se si fa, è chiaro, è solo per calmare gli animi), che cosa succederà all'uscita dello stadio ? Devono cominciare a chiederselo anche i tifosi del Liverpool che si sono acquattati nei loro spicchi di stadio e forse, tra i fumi dell’alcool, cominciano a intuire le atroci conseguenze della loro aggressione teppistica. L’atmosfera, in tribuna stampa, è quanto di più assurdo e stranito si possa immaginare. Siamo tutti lì con le nostre informazioncine, i nostri appuntini, i nostri taccuini, increduli, spaesati; soprattutto quei colleghi che scrivono da anni che il calcio è solo uno sport, che la violenza non c'entra niente o addirittura che "qualche coltellata è inevitabile quando tanta gente si riunisce nello stesso posto". E adesso ? Adesso, intanto, fuori i nomi dei responsabili. Che ci sono, eccome se ci sono. Gente che scherza col fuoco, perché che la tifoseria inglese sia costituita da un sottoproletariato esasperato, turbolento, per giunta incattivito dallo scoppio della crisi (Liverpool ha un tasso di disoccupazione giovanile tra i più alti del mondo), è arcinoto. Soprattutto qui in Belgio, dove i giornali di ieri erano pieni di "revival" sui gravi disordini accaduti lo scorso anno in occasione di Tottenham-Anderlecht: due tifosi inglesi, ubriachi come spugne, letteralmente abbattuti a revolverate dalla polizia che aveva perso la testa. Forse anche per le polemiche legate a quel brutale intervento, le misure di sicurezza all'interno dello stadio erano così incredibilmente sottodimensionate. Eppure avvisaglie ce n'erano state: risse, sassate, un tifoso inglese accoltellato da un italiano, un gruppo di scalmanati di Liverpool che rapina una gioielleria. Alle 9.15 l’altoparlante diffonde l’appello dei due capitani, Neal e Scirea, in inglese ed in italiano. "La partita si svolgerà per consentire alla polizia di garantire la sicurezza all’uscita dallo stadio, mantenete la calma. Noi giochiamo per voi". Si accavallano voci confuse: pare che la Juve, giocatori e società compatti, non volesse giocare, e che si sia decisa a farlo solo per garantire un minimo di calma sugli spalti, per rabbonire i tifosi esasperati. Sì, si gioca. Non si sa se è una partita regolare o solo proforma, ma si gioca. Perché lo stadio è diventato una trappola, una polveriera che i cinquantamila devono dimenticare, devono essere distratti almeno per qualche mezz'ora, devono accantonare paura e violenza. E così si passa, incredibilmente, nel giro di pochi minuti, dalla tragedia al gioco del pallone. Lo stadio della morte, ve lo possiamo assicurare, alle 10 di sera sembrava un normalissimo stadio, quasi bello, con la gente seduta per bene. l riflettori accesi, il pallone che rotola e rimbalza. Sugli spalti gli evviva, i fischi e gli applausi, come per una partita qualunque. Il tifo riesce in breve tempo a coprire il sangue con le normali emozioni di una partita. E pare che fuori dallo stadio molti tifosi, scampati alla tragedia, stiano affannosamente cercando un televisore per godersi la partita. Ma sì, ma sì, giochiamo pure al pallone, fuori c'è Bruxelles in stato d'assedio, ma domani saremo tutti a casa. Una scommessa: passate le polemiche, puniti adeguatamente i responsabili, torneremo a sentir recitare la solita filastrocca: "E’ solo un gioco. Il gioco più bello del mondo". Speriamo, almeno, che ai funerali non partecipino le autorità del calcio europeo. Calpestare i vivi non autorizza a calpestare i morti.

30 maggio 1985

Fonte: L’Unità

ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 30.05.1985 

di Paolo Soldini

… (omissis: testo mancante) quello più vicino, che si è riempito dopo pochi minuti, poi in almeno altri tredici. Con gli elicotteri, per non perdere tempo. Poi con le ambulanze che hanno lacerato con i loro ululati tutti i quartieri di Bruxelles. Ma la progressione del numero dei morti, prima 7, poi 13, poi 24, infine 36 e 40, lascia capire che non è finita. La maggior parte sono italiani, c'è un belga e due francesi. Molti feriti sono gravissimi, non si salveranno. Un medico accerchiato dai giornalisti davanti ad una delle tende non sa o non vuole dare risposte. Quanti sono i feriti ? Scuote la testa: "Non lo so, sono tanti". Che ferite hanno ? "Molti sono in condizioni disperate, non lo so, i conti fateli più tardi". La tensione è acutissima ma più forte il dolore. Un cordone di agenti si apre muto quando dal varco delle tribune escono due ragazzi. Lei piccola, con una lunga veste verde lacerata, urla disperatamente. Lui l’abbraccia e cerca un mezzo qualsiasi che li porti alla ricerca di qualcuno che non sanno dove cercare. Sanno che è ferito, forse morto. Chi è ? Un padre, un fratello, un fidanzato. Parlano un po' in francese e un po' in italiano, nel modo che è tipico degli emigrati dal Sud che vivono da tanto tempo in Belgio. Nessuno osa fare domande. Ma la loro deve essere una storia comune tra questa folla di disperati che si aggira intorno allo stadio. Di "belgi italiani" se ne incontrano tanti.  La Juventus a Bruxelles era un’occasione di festa, la solita retorica della rivincita nel segno della patria lontana. Ma anche, più semplicemente, un'occasione d’incontro con parenti e amici venuti da casa, al seguito della squadra. Una donna dall'accento meridionale racconta che prima non aveva mai messo piede in uno stadio, non aveva mai visto una partita alla tv. "Sono venuta per mio fratello, poi stasera sarebbe venuto a Charleroi con me. Non so dove sia. Era al mio fianco, io sono caduta giù dalla gradinata, quando ho riaperto gli occhi l'ho visto per un attimo, sembrava ferito. Poi è scomparso". Un gruppo venuto da una città toscana ha deciso di andarsene subito. L’eco degli altoparlanti, da dentro, porta i nomi di tre dei loro che mancano all'appello. Uno lo ritroveranno nell'ospedale da campo, uno nell'infermeria, del terzo non si sa nulla. Il pullman non partirà. La tensione sale ancora. Arrivano camion carichi di agenti della gendarmeria. "Troppo tardi" gridano molti. L'accusa è violenta, esasperata: nello stadio, nella curva maledetta, lo schieramento di agenti che doveva tenere separati i tifosi del Liverpool da quelli della Juve, era incredibilmente sguarnito. E’ stato subito travolto. Le accuse sono durissime anche contro gli organizzatori dell'incontro. Ci sono scene di violenza e qualche pestaggio. E’ un gruppo di volontari della Croce rossa, tutti giovani, molte ragazze, che alla fine si deve dar da fare per riportare la calma. Davanti all'ingresso "H", quello che porta alla curva della tragedia. Le testimonianze di chi si trovava lì alle 19.15, quando si è scatenato l'inferno, sono tutte simili e tutte ugualmente agghiaccianti, non è difficile ricostruire come sono andate le cose, difficile è prevedere che cosa potrà ancora accadere. C’è paura di quello che potrebbe succedere ancora dentro lo stadio, quando la partita comincerà (un giornalista porta la notizia che si giocherà, "l’ha detto Agnelli") e dopo, quando lo stadio riverserà fuori la folla. I morti e i feriti più gravi sono quelli che, quando l’assalto si è scatenato, si trovavano sulle gradinate più alte. "Ho visto cadere le persone come se fossero un grappolo. Quelli che stavano sotto cercavano di aggrapparsi a quelli sopra e li trascinavano giù. Ho visto un bambino cadere nella griglia che separa le gradinate dal campo... Un uomo anziano aggrapparsi a un tubo di ferro per non cadere giù e poi lasciarsi perché non ce la faceva". "Uno è stato travolto perché si era chinato a soccorrere una donna. E mentre la gente moriva, più in alto continuavano ad arrivare le ondate degli inglesi che tiravano sassi e bastoni. E dall'altra parte dello stadio sventolavano le bandiere". Più tardi, tra la gente che se ne va, perché non se la sente di partecipare più a questo rito inumano, che è la partita che si gioca, "comunque". Sono tanti. italiani, soprattutto, ma anche inglesi. Nel parcheggio dei pullman è l'ansia di conti fatti con liste in mano cui manca sempre qualche nome. Alla stazione della metropolitana, una quindicina di persone aspetta il primo treno, l'unico mezzo per raggiungere un telefono e tranquillizzare le famiglie lontane, un uomo piange: "Non ho portato mia moglie perché è incinta. Lei insisteva perché tanto sarebbe stata "una cosa tranquilla", diceva. Sicuramente ha visto quello che è successo alla tv. Devo telefonare, subito".

30 maggio 1985

Fonte: L’Unità

ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 30.05.1985 

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