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ARTICOLI 1.06.1985 (ITALIA)
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ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985
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1.06.1985
ARTICOLI STAMPA ITALIA  1.06.1985

Un gioco ucciso dalla violenza

Non accettiamo questo declino dell'umanità

Tra le lacrime le prime salme a Roma

Boniperti: non restituiremo la Coppa vinta

Il mistero del tifoso disperso

In mezzo ai tifosi davanti all'Heysel

"Ero aggrappato al muro e un agente mi ha salvato"

"La gente cadeva e moriva siamo vivi per miracolo"

"Siamo fuggiti a stento tra sangue e terrore"

Inzaghi: "Una scena terribile è stato peggio del terremoto"

Bruxelles-Italia la rotta del dolore

Chi ha venduto i biglietti "proibiti" ?

Quella inutile riunione in tribuna

Craxi accusa il governo belga. Politici duri con Juve e Rai

Pertini ha accolto a Ciampino le prime salme tornate in Italia

Annullate manifestazioni Festa d'Europa

Scalfaro convoca un vertice per la sicurezza negli stadi

Arriva oggi l'aereo del dolore

Boniperti: "Assurdo restituire la Coppa"

Per Laura Bianchi ancora in ospedale un filo di speranza

I genitori accorrono in Belgio

"Mi avevano messo assieme ai morti poi si sono accorti che ero vivo"

Condanna per i teppisti di Liverpool e rammarico per il giubilo in città

La Juventus è in vacanza per dimenticare Bruxelles

La curva della morte porta il marchio del racket dei biglietti

Sordillo all’Uefa: "Fuori i responsabili"

L'assurda tragedia dello stadio di Bruxelles

Un gioco ucciso dalla violenza

di Carlo Cavicchioli - Gian Paolo Ormezzano - Franca Zambonini

Cerchiamo di capire come una gara sportiva possa alimentare istinti selvaggi e degenerare in una "guerra". Frustrazioni sociali e malintesi campanilismi all'origine della violenza dei tifosi aggressori. Ma non degenera solo lo sport: una intera civiltà è in pericoloso declino.

La memoria dell'eccidio di Bruxelles resterà con noi a lungo, sconvolgente. Dio voglia che ci induca a riflettere, nello spavento e nella vergogna, tutti noi che abbiamo visto, presenti sul posto o inorriditi dinanzi ai teleschermi in ogni città d'Europa; e che quei poveri trentotto morti, vittime d'odio assurdo e inqualificabile violenza, abbiano almeno questo riscatto: il proposito dei vivi d'adoprarsi affinché nulla di simile abbia mai più a succedere. Milioni di persone hanno visto, e non ci sono dubbi sulle responsabilità, cause e dinamica dell'orrendo episodio. Un'orda di sostenitori della squadra inglese del Liverpool, che già prima si erano segnalati nella capitale belga tumultuando ubriachi per le strade, ha cominciato a bersagliare, con lanci di bottiglie e frammenti di cemento spezzati dalle gradinate, i tifosi della Juventus sistemati nel settore adiacente, di là da una poco robusta separazione fatta d'una rete metallica. Quindi ha sfondato la fragile barriera, ed è passata all'assalto. Erano armati di ogni sorta di arnesi e proiettili offensivi: dai coltelli alle sbarre divelte, dalle bottiglie, spaccate per renderle più efficaci, ai blocchi di cemento. Questa massa i sostenitori della Juventus se la son vista precipitare addosso ebbra d'alcol e di violenze; e stravolti dallo stupore, non avendo di che opporsi, né l'animo di farlo poiché si credevano meglio protetti dalla polizia, si sono tirati indietro, verso l'estremo opposto del settore. La ritirata si è volta in panico. Molti sono corsi verso l'uscita, che era stretta, e presto si è intasata di gente terrorizzata, sulla quale il resto dei presenti premeva; altri, a centinaia, si sono addossati al muro di cinta, e qualcuno lo ha scavalcato saltando dall'altra parte, nel vuoto, con un balzo di circa tre metri; né sono stati questi i più sfortunati. A raccontare gli eventi si impiega più tempo di quel che essi sono durati. La tragedia, infatti, è culminata in pochi minuti. Contro il muro, il pubblico ha finito per pigiarsi in una massa informe; i fuggiaschi erano montati gli uni sugli altri, e quelli che erano sotto, che erano i più deboli, stretti in una presa ferrea o caduti al suolo, hanno cominciato a soffocare. Da ultimo, per il peso e la pressione, una parte del muro ha ceduto, precipitando in blocchi sui tifosi aggrediti. A chi tocchi la responsabilità della prepotenza, lo si può desumere dal bilancio della strage: tra i morti, c'è un solo inglese, però morto accoltellato in una rissa fuori dello stadio.

1 giugno 1985

Fonte: La Domenica del Corriere

ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985 

Non accettiamo questo declino dell'umanità

di Adriano Sansa

Questa sera di mercoledì 29 maggio è amara, difficile. Tutto è stato cosi diverso da quanto ci aspettavamo. Erano venuti nella casa, per godersi la partita di Coppa dei campioni, gli amici dei figli; si erano accampati davanti al televisore e là si accingevano a cenare a modo loro. Apprezzavano che anche noi adulti partecipassimo a quelle ore di tregua, in una delle prime belle sere di primavera. Altri amici erano a Bruxelles, più fortunati di noi, più avventurosi. Ma non è questo, non è solo l'abisso tra l’aspettativa e la tragedia ad averci sconvolti. Non ho guardato la partita perché non lo desideravo più. I ragazzi hanno seguito il dramma e poi, come una sua parte, il primo tempo dell'incontro; quindi la comitiva si è sciolta senza lamenti, senza che occorressero spiegazioni. La morte era entrata d'improvviso e con crudeltà nella festa: questo suo ingresso, del quale un'altra volta non avevamo previsto né l'ora né il modo, ci ha colpiti. Ma ben più di un disappunto, c'erano dolore e smarrimento; se è possibile, un ulteriore disagio, il dubbio di essere in qualche modo in colpa, di non saper trovare le proporzioni tra gli eventi che avevamo avuto dinanzi. Gli argomenti più concreti si alternavano a considerazioni più generali. La presenza della polizia era inadeguata; la separazione tra i tifosi insufficiente. La passione sportiva è per troppi un pretesto alla violenza; molti la coltivano senza misura e fuori di un ragionevole equilibrio. Il gioco è un'occasione non solo per l'espressione di energie e sentimenti, ma per lo scatenamento della parte oscura dell'uomo. Nel gioco, che dovrebbe dare sfogo regolato ad istinti e impulsi, confluiscono non raramente interessi, pressioni, aspirazioni e frustrazioni che lo fanno dominare su eventi tanto più grandi: è qui che esso cessa di essere gioco per coloro che lo praticano e per coloro che vi assistono fuori delle regole nel cui ambito soltanto ha un senso. Perché fosse rispettato il giusto rapporto occorreva sospendere la partita. Nessuno avrebbe dovuto chiedere che la morte di tanti cedesse al programma previsto. Si è detto che l'estrema difficoltà della situazione dell'ordine pubblico ha suggerito di non esasperare gli animi e di non affrontare altri rischi. Non so se davvero non fosse possibile un'altra strategia: rafforzata la polizia, intervenuti altri corpi militari, si poteva dividere la folla e accompagnarne l'uscita. Resterà il dubbio che il gioco, già stravolto e fatto prevalere da alcuni scellerati sulla vita, abbia contato più della morte. È probabile che gli stessi facinorosi che hanno causato gli incidenti, e certi spettatori lontani, interpretino così gli eventi e portino con sé questa intima persuasione. Qualcuno dice che gli istinti di aggressività e violenza presenti nell'uomo trovano nello sport, e in alcuni sport specialmente, uno sfogo comunque meno insidioso di altri, tra i quali si usa includere la guerra; che, una volta avvenuta la disgrazia, si deve continuare a vivere anche se costi. Ma non possiamo contentarci di questo, se non avviandoci ad accettare ogni sconfitta e stortura. Lo sfogo di emotività, energia e vitalità, il bisogno di divertimento, movimento, spettacolo e vittoria hanno nello sport un luogo opportuno e giusto se si mantengono nei limiti dell'umanità, cioè dell'intelligenza e della misura. Concedere che impulsi e frustrazioni, aspirazioni e nevrosi di qualunque genere trovino qui un canale senza argini non ha alcun senso e non è diverso dall'ammettere ogni altro sbocco disordinato e violento. É un problema che riguarda molti Paesi; gli interessi che ruotano intorno agli sport con masse di spettatori ostacolano una libera riflessione sul tema. Gli incidenti, che accompagnano l'esistenza dell'uomo come possibilità di male non eliminabili, possono essere in parte prevenuti e ridotti entro più modesti livelli; il fatto che anche in altri campi dell'esistenza quotidiana, come la circolazione stradale, si accettino con eccessiva facilità morti e sofferenze contribuisce probabilmente a diffondere una sorta di rassegnazione o di cinismo. Gli stadi sono da tempo, anche nel campionato italiano, luoghi di eccessiva animosità e violenza. Non le si affronta adeguatamente nei tempi, nei modi, nelle sanzioni contro singoli, associazioni, squadre. Non c'è occasione nella quale si possa abdicare alla prerogativa, elevata e faticosa, della consapevolezza e della responsabilità. Non si risponda che questi sono argomenti fastidiosi, quasi un segno dell'incapacità di divertirsi, di accettare in certa misura la leggerezza che può e deve di tanto in tanto appartenere all'esistenza: bisogna talora lasciarsi andare, suggerisce in effetti l'intelligenza stessa con una voce che deve anch'essa trovare ascolto in qualche modo. Ma se quell'intelligenza che dà il suggerimento, e che poi lo raccoglie, si fa soverchiare e rinuncia a sé, non ci sono più il gioco e il divertimento perché declina l'umanità. Questi fermi pensieri sostengano il senso delle proporzioni e la severità verso i violenti; qualche club di tifosi organizzati ha ormai i caratteri di associazione a delinquere. La consapevolezza, senza mai essere arcigna, ci avverta degli eccessi, dei sovvertimenti di valori, e ci impegni a rimediare. Le voci, o il silenzio, dei calpestati e caduti; le corsie di ospedale, l'accorrere di familiari e amici, gli occhi di chi vedeva e aveva là i suoi, l'angoscia, le parole nella notte, lo schianto; i viaggi di dolore, i ritorni con le vittime: perché dovremmo respingere questi pensieri, queste immagini, di là dai colori che continuavano a proporre gli schermi ? Perché tacere che la festa notturna nelle strade di alcune città è stata indecente ?

1 giugno 1985

Fonte: La Domenica del Corriere

ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985   

Pertini con i familiari delle vittime del maledetto stadio di Bruxelles

Tra le lacrime le prime salme a Roma

di Wladimiro Settimelli

Alle ore 21 l’arrivo a Ciampino del jet dell’Aereonautica militare con sette corpi e alcuni feriti - Una lunga e dolorosa cerimonia - Presente anche il ministro degli Esteri Andreotti - Altri aerei giunti a Torino, a Milano e Pisa - Oggi altri voli.

ROMA - Piccola, vestita di scuro, con i capelli bianchissimi, si fa largo tra i carabinieri ma non corre verso il DC9 dell'Aeronautica militare che alle 21.07 precise è sceso su Ciampino proveniente da Bruxelles. Rimane ferma sotto gli spruzzi di pioggia, ma lo strano urlo che esce dalla bocca di quella povera donna è ininterrotto e non la copre neanche il rumore assordante del jet che ha accostato alla palazzina dell’aeroporto. Dalla torre di controllo arrivano sciabolate di luce: lei è sempre ferma in quel poco spazio che è riuscita a guadagnarsi. Dietro, i furgoni mortuari sono già in fila, in attesa. Arriva Sandro Pertini che l'abbraccia, ma quell'urlo non cessa un attimo. Ci sono il ministro degli Esteri Giulio Andreotti, autorità, il cappellano dell'aeroporto, alti ufficiali, giovanissimi avieri in tuta da lavoro, gruppi di giovani sbucati da chi sa dove. Il portellone del DC9 viene aperto e ora si intravedono le bare. In quel momento, la donna dai capelli bianchi balza in avanti e vuole toccarle, e carezzarle tutte. Nessuno ha ancora capito chi è o da dove è arrivata. Ma che importa: tra quelle bare c'è sicuramente quella del figlio o del marito. Il suo urlo e il suo dolore sono uguali a quello di altri che scendono dal jet e che si abbracciano, in mucchi, con chi era in attesa, a terra, da ore. Lì hanno tutti quanti aspettato a lungo, in silenzio, ma quando l’aereo che veniva da Bruxelles ha toccato terra, la tensione, il dolore, la stanchezza e anche la rabbia sono esplosi. Sì, anche la rabbia per cerimoniali, lunghi, noiosi, complicati, inutili, senza senso. Cerimoniali che finiscono sempre per tenere da parte la povera gente qualunque: anche quella che avrebbe tutto il diritto di piangere e di urlare in santa pace. Pertini. Si asciuga le lacrime e continua ad abbracciare gente. Intanto i furgoni si fanno sotto e un drappello di avieri, mentre altri rimangono immobili sull'attenti, prende una cassa dopo l'altra e l'appoggia nei carri. I gruppi di parenti si compongono e si scompongono: vanno vicini alla cassa e poi tornano verso la palazzina dove sono rimasti in attesa. La donna dai capelli bianchi, ora, piange quasi in silenzio. L'urlo che la soffocava si è come dissolto. Passa davanti alle telecamere e ai giornalisti sorretta da due ragazzoni, ma non vede niente e nessuno. Uno dei due la tiene per mano come una bambina e la donna mormora sommessa: Basta, basta, sono stanca, sono stanca, sono stanca... Un signore che è rimasto in disparte, in silenzio, ora piange a dirotto e si piega sulle ginocchia. Due poliziotti lo afferrano a volo prima che crolli sulla pista. Fra le bare ha visto quella del figlio con il nome scritto a penna sul coperchio. Lo devono alzare di peso e portarlo via così. In quell'angolo, qualche anno fa, aveva visto Bruno Conti che piangeva di gioia per la vittoria ai mondiali di calcio. Aveva in mano un grande mazzo di fiori e non riusciva a trattenere le lacrime. Ora, dal jet dell'Aeronautica, scende un ragazzo coperto di bende e cerotti: è tutto gonfio e gli occhi sono pieni di sangue. Non vuole parlare con nessuno e si infila nella palazzina zoppicando, circondato da un gruppo di amici. Le salme arrivate a Ciampino da Bruxelles, da quel maledetto stadio, sono quelle di Rocco Acerra, Giancarlo Gonnelli, Nino Cerullo, Roberto Lorentini, Franco Martelli, Loris Messore e Gianni Mastroiaco. Il corpo di Giancarlo Gonnelli (aveva appena venti anni) viene fatto proseguire direttamente per Pisa dove il ragazzo abitava con la famiglia (N.D.R. Non era un ragazzo, ma il padre di Carla, ferita all’Heysel e ne aveva 46). L'operazione è lunga e penosa. I carri funebri stanno sempre in fila con i motori accesi. È venuta gente anche dai paesi vicini e tutti se ne stanno in silenzio, lungo le reti di recinzione. Ogni volta che una salma viene scaricata e sistemata sul carro, un piccolo corteo aperto da una macchina della polizia stradale, si avvia verso ii raccordo anulare. Il traffico, allora, viene bloccato dalle macchine dei carabinieri e gli automobilisti si fermano in silenzio: hanno capito, sanno. Le brutte notizie, come le belle, corrono sempre ad una incredibile velocità. Un gruppo di turisti stranieri in partenza per Boston, chiede chiarimenti e guarda in silenzio. Suore e frati in partenza per Lourdes, si bloccano un attimo e dopo aver chiesto a bassa voce cosa sta accadendo, si fermano un attimo e pregano. Andreotti, accanto Pertini, segue in silenzio quella lunga serie di operazioni. Il presidente è sempre immobile, circondato dalla scorta e continua a togliersi gli occhiali e ad asciugarsi le lacrime. Che può dire ? È difficile pronunciare parole di conforto e tentare di essere vicino, in qualche modo, a chi sta soffrendo così. Vengono in mente altri funerali terribili, stragi e tanto, tanto altro dolore. E’ duro anche per lui, ogni volta. Essere presente e cercare di aiutare gli altri anche soltanto con una presenza semplice e discreta; pare sempre un lungo film senza fine. Fu così per il terremoto al Sud, per le stragi fasciste, per i funerali delle vittime del terrorismo e della violenza bieca e assurda. Sì era così anche ieri sera. Alle 22, la mesta cerimonia è quasi finita. Non pioviggina più ed è sbucata la luna. Questa specie di gigantesco ponte aereo tra Bruxelles e l'Italia è appena agli inizi. Ieri, un "C130" con feriti e vittime dell'inferno dello stadio di Heysel era giunto anche a Torino e poi aveva fatto scalo a Milano e a Pisa. Un altro aereo dell'Aeronautica militare era arrivato in serata sempre a Torino con un gruppo di feriti. Altri voli sono previsti per oggi. A Ciampino, è ormai finito tutto. Le luci per le riprese Tv vengono spente e la gente si allontana via; silenzio. Sul raccordo anulare, il carro funebre con il corpo di Franco Martelli, sta andando verso Todi. Le altre auto che passano corrono all’impazzata verso chissà dove.

1 giugno 1985

Fonte: L’Unità

ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985 

Boniperti: non restituiremo la Coppa vinta

TORINO - Il viso di Giampiero Boniperti esprime stupore ed incredulità alla nostra domanda. "Restituire la Coppa. E per quale motivo ? Lei lo farebbe ?". Gli ripetiamo che non si tratta solo di una nostra opinione. C'è una proposta dei senatori D`Onofrio (Dc) ed Ossicini (sinistra indipendente), i quali si sono augurati, in una dichiarazione rilasciata giovedì, che la Juventus restituisca la Coppa dei Campioni, vinta in una partita assurda, giocata pochi minuti dopo che si era consumata la tragedia. "l morti - replica Boniperti - sono juventini, tutti tifosi della nostra squadra. Vi sono forse degli inglesi ? No ! Allora significa che la società ha già pagato un tributo alla vittoria". Cosa ne pensa allora della proposta ? "Strumentale. Non ha alcun senso. È demagogica. Ne’ ci si può appellare a ragioni di ordine morale. Noi siamo scesi in campo per imposizione. È noto: lo ha chiesto l'Uefa per consentire alle autorità belghe di controllare l'esodo dallo stadio. Evidentemente, a posteriori, ognuno gioca ad inventarsi le iniziative più strampalate. In ogni caso non posso fare un torto alla squadra, ai ragazzi che questa Coppa l'hanno conquistata sul campo". Boniperti, ma lei odia gli inglesi ? "No, assolutamente. I titoli apparsi su alcuni quotidiani hanno deformato il mio pensiero. lo odio i teppisti, gli animali che si camuffano da tifosi, di qualunque nazionalità essi siano". m. l.

1 giugno 1985

Fonte: L’Unità

ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985 

Un autista dell'ospedale di Moncalieri non è tornato da Bruxelles

Il mistero del tifoso "disperso"

La moglie lo sta cercando. Né tra i morti, né tra i feriti.

C'è anche un giallo a margine della tragedia di Bruxelles: un uomo di 40 anni, di Moncalieri, Marco Manfredi, abitante in vicolo (omissis), è scomparso durante i disordini e di lui fino a stamattina, non si è più saputo nulla. Contrariamente ad alcuni altri, dati per persi, e per fortuna tornati a casa sani e salvi. Manfredi, autista all'ospedale di Moncalieri, sposato, con una figlia di 17 anni, è stato visto l'ultima volta un quarto d'ora prima della partita, da alcuni compagni coi quali aveva fatto il viaggio in Belgio, poi nessuno sa più dire che fine abbia fatto. Non risulta tra le vittime, né tra i ricoverati in ospedale. La moglie Rosita è partita per la capitale belga già ieri, ma le sue ricerche finora non hanno dato alcun risultato. Amici e conoscenti del disperso hanno raccontato: "Manfredi è partito con un collega, Giovanni Deva, e due conoscenti di Trofarello. Dopo che l'abbiamo accompagnato al pullman di lui non sappiamo più niente". Giovanni Deva, tornato indenne dall'inferno dello stadio di Heysel, dice: "Nella confusione che c'era già uno della nostra compagnia si era perso prima di entrare allo stadio. Siamo rimasti insieme solo io, Manfredi e un altro. Quando poi c'è stato l'attacco degli inglesi nella baraonda ci siamo persi tutti di vista. Al pullman del ritorno non si è presentato. L'abbiamo aspettato per più di un'ora poi l'autista ha dovuto partire perché eravamo già in ritardo". Nell'estrema confusione è però anche possibile che l'uomo, magari ferito e in stato di choc, sia ricoverato in qualche ospedale, che non sia stato identificato, che la registrazione del ricovero si sia persa o che il nome sia stato storpiato; a causa della gran quantità di feriti, con problemi anche linguistici (tra le centinaia di feriti ci sono italiani, belgi, francesi, inglesi), non sarebbe una cosa inverosimile. Per Domenico Russo invece, elettricista di 26 anni, sempre di Moncalieri, ormai non ci sono più dubbi. La salma è stata riconosciuta dai parenti all'obitorio dell'ospedale militare, parenti giunti con un volo dell'Aeronautica militare italiana. Fino all'ultimo momento sia la moglie Tiziana (incinta di sette mesi), che i genitori, i fratelli, avevano sperato che la notizia fosse sbagliata. La speranza era alimentata dalla foto pubblicata in prima pagina dalla "Stampa" in cui avevano riconosciuto il loro parente. Purtroppo l'immagine era sì di Domenico Russo, ma scattata pochi istanti prima che il giovane venisse travolto dal crollo del muro che ha causato decine di morti. Infatti buona parte delle persone nella foto sono state recuperate senza vita tra le macerie. Infine si sono appresi altri particolari relativi ai motivi per cui l'altra vittima torinese, Giovacchino Landini, titolare della Trattoria Toscana di via Spotorno 33, si trovava nel settore "Z" invece che nella zona "M-N-O", per cui aveva avuto il biglietto. Il presidente dello Juventus Club di via Bogino, responsabile dell'organizzazione del pullman e della distribuzione dei biglietti, spiega: "Landini era partito con un biglietto verde per il settore M-N-O, poi siccome a Bruxelles aveva degli amici che invece erano nello Z, alle 17 mi ha chiesto di cambiargli il settore per stare con la sua compagnia.

1 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985 

In mezzo ai tifosi davanti all'Heysel

di Roberto Eynard

Un razzo partito dal settore dei "reds" nella curva nord solca il cielo e scoppia nella zona riservata ai tifosi italiani, seguito subito dopo da tre assalti di centinaia di teppisti inglesi. La tragedia si è compiuta in un paio di minuti, ma solo molte ore dopo la maggior parte degli spettatori scoprirà la tragica verità sulla curva Z dell'Heysel. Pochi tra gli spettatori assiepati nelle due tribune e nella curva juventina hanno compreso la portata della tragedia. E nelle concitate ore che seguono la tragedia incontriamo davanti allo stadio della morte e sulle piazze di Bruxelles molta gente piemontese e tanti Valsesiani e Biellesi. Paolo Vercella è di Borgosesia: "Ero dalla parte opposta dello stadio. Ho visto il razzo partire, gli inglesi caricare i tifosi italiani, nascere delle zuffe, la gente scappare verso il basso. Tutti, nel mio settore, pensavamo alle solite risse, tutt'al più con qualche ferito. I barellieri erano pochi. Se ci fossero dei morti, ci siamo detti in quel momento, ci sarebbe un gran movimento di medici e di infermieri". A rendere ancor più irreale la tragedia, alcuni ragazzi qualche minuto dopo, mentre pochi volontari organizzavano i soccorsi, davano vita ad una partitella proprio nella porta vicina alla tragica curva. Giuseppe Falco abita a Biella. E' ancora sconvolto: "Solo due ore dopo, mentre Juve e Liverpool erano sul terreno, le prime voci sulla tragedia hanno preso a circolare. Qualcuno parlava di due morti, altri di nove, una donna di trentacinque e di un centinaio di feriti. Ma la gente, ormai, era presa dalla partita e non dava peso a queste notizie e tutti, pur riconoscendo un fondo di verità, non volevano credere al turbinio di supposizioni". Ma per qualcuno la sfida attesa da anni non aveva più valore. Dice Francesco Rassa: "Quando ho saputo delle persone morte assieme ad un mio amico ce ne siamo andati. Per altoparlante un'ora prima era stato garantito un accurato servizio d'ordine all'esterno dello stadio. Abbiamo aggirato l'Heysel per tre quarti, ma di poliziotti ne abbiamo incontrati solo due.

1 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985   

La drammatica testimonianza di Walter Perincioli

"Ero aggrappato al muro e un agente mi ha salvato"

"Sentivo che le forze mi stavano mancando. Un minuto, forse due e sarei finito di sotto, sopra al mucchio delle vittime".

QUARONA - "Sono vivo per miracolo: uno, due, forse tre minuti o magari pochi secondi, per un tempo che mi è parso un'eternità, sono stato sospeso su quello che era rimasto del muro "maledetto" dell'Heysel. Un poliziotto è riuscito ad avvinghiarmi, portandomi in salvo, quando già sentivo mancare le energie". Ancora sconvolto, occhi rossi dopo una notte di incubi, Walter Perincioli, tifoso della Juve, residente a Doccio di Quarona, racconta come "ha sentito vicino a sé la fredda mano della morte". Ricorda il sostenitore bianconero: "Sono entrato allo stadio di Bruxelles un paio d'ore prima dell'inizio della partita. Assieme ad altri tre componenti il club "Amici della Juve" di Borgosesia, sono finito nel settore Z e anche se più della metà della curva era occupata da inglesi, mi sentivo tranquillo. Volevamo trascorrere una serata di festa: perché doveva succederci qualcosa ?". Ma un terribile dramma stava per scoppiare. All'improvviso il cielo è stato solcato da un razzo che, lanciato dal settore inglese, aveva come obiettivo quello italiano. Aggiunge Walter Perincioli: "è stato un attimo, una scena che non dimenticherò mai. Davanti a me, a tre-quattro metri di distacco, ho sentito un gran botto. Poi ho visto i capelli di una donna avvolti dalle fiamme, mentre intuivo che i sostenitori dei reds urlando stavano dirigendosi verso di noi". Prosegue il tifoso valsesiano: "Per qualche frazione di secondo mi sono sentito in trappola. Bloccato da una transenna, non ho potuto mettermi subito a correre. La folla era impazzita: attorno a me urla, gemiti, gente che cadeva e che rimaneva calpestata. Ero come un fuscello in mezzo ad un uragano". Quel che sia successo veramente, cosa l'istinto gli ha suggerito, Walter, come tanti altri, più che saperlo l'ha intuito: "Ad un tratto, tra spinte, gomitate, paurosi ondeggiamenti, mi sono trovato sospeso sul muretto crollato dell'Heysel. Le gambe facevano leva a terra; ma il busto e le braccia erano nel vuoto. Sulle spalle sentivo un gran peso. Più tardi scoprirò che era il cadavere dì un uomo". Continua Walter Perincioli: "Con tutto il fiato che avevo in gola, ho cominciato ad invocare aiuto. Non potevo muovermi. Un poliziotto, forse subito, forse chissà quando, è corso verso di me ed è riuscito a liberarmi proprio quando le forze mi venivano meno. Solo allora ho capito che ad impedirmi di muovermi era il corpo senza vita di una persona". Il sostenitore valsesiano non scorderà mai un altro terribile episodio: "Mentre cercavo di divincolarmi, ho visto arrivare in direzione di un uomo una pietra scagliata da un inglese. Gli ho gridato "attento !" ma è stato inutile. Il sasso l'ha colpito ad una tempia, uccidendolo.

1 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985   

"La gente cadeva e moriva siamo vivi per miracolo"

di Maurizio Alfisi

Sono tornati a Torrazzo i sette tifosi biellesi della "curva Z"- Si sono salvati rifugiandosi nello sgabuzzino delle bibite - La loro testimonianza.

NOSTRO SERVIZIO. TORRAZZO - Stanchi, ancora visibilmente scossi per la terribile avventura vissuta allo stadio Heysel di Bruxelles, sono rientrati a casa i sette tifosi di Torrazzo, per i quali si temeva il peggio. Stanno tutti bene, a parte qualche leggera ferita che si sono procurati nella disperata fuga dalla "curva della morte". Giovanni Alesina, 36 anni, fratello di Serena, titolare della trattoria Roma, Marco Finotto, 31, Bruno Giansetti, 37, Mauro e Carletto Monaldo di 41 e 39 anni, Roberto Verdola, 34 e Marco Zanetto, 37, erano partiti in camper per il Belgio. A Parigi avevano raccolto un giovane emigrato originario di Torrazzo, Franck Chiarini, e avevano poi proseguito alla volta di Bruxelles. Carletto Menaldo e il Chiarini hanno trovato posto nella tribuna numerata, a pochi metri di distanza dalla ormai tristemente famosa curva "Z", dove invece sono saliti i loro cinque amici. Dice Verdola: "Siamo salvi per miracolo, o meglio per un paio di occhiali". Spiega Marco Finotto: "Siamo arrivati allo stadio verso le 17, e quando stavamo per salire in tribuna, mi sono accorto di aver dimenticato gli occhiali nel camper. Ho fatto perdere così un po' di tempo ai miei amici, e per trovare posto abbiamo poi dovuto salire verso la zona più alta della curva. E' il particolare che ci ha salvato la vita". Prosegue Roberto Verdola: "Quando gli inglesi hanno caricato il nostro settore, siamo fuggiti verso l'alto, e ci siamo barricati dentro uno sgabuzzino per le bibite. Sfondato il tetto siamo riusciti o scavalcare il muro di cinta, passando attraverso il filo spinato, e a calarci all'esterno dello stadio, dove ci siamo trovati in un caos pazzesco, tra morti, gente ferita e sotto choc". Per i tifosi di Torrazzo non ci sono dubbi: il servizio d'ordine belga non ha funzionato perché non c'era. Dice Marco Zanetto: "Noi e gli inglesi eravamo separati da una semplice rete metallica, con due gendarmi che presidiavano il settore. Verso le 19 i tifosi del Liverpool hanno dato l'assalto alla rete, abbattendola. I poliziotti non devono aver valutato la situazione nella sua gravità, perché nella mezz'ora che è seguita, nessuno è intervenuto. Poi c'è stata la seconda ondata, bestiale con quegli animali dei reds che venivano avanti preceduti da una fitta sassaiola, menando botte da orbi con spranghe divelte dalle reti, mazze, mulinando coltelli e bottiglie di birra rotte". "Gli inglesi avevano sbrecciato i cordoli in cemento dei gradoni delle tribune in terra battuta, e li usavano come artiglieria", dice Bruno Giansetti, che poi aggiunge: "Tutto è durato pochi attimi, ma è stato un incubo. C'era gente che travolta dalla massa in fuga, moriva calpestata. Altri raggiunti dagli inglesi sono caduti sotto i loro colpi, e poi ci sono stati quelli coinvolti nel crollo del muretto". E' Carletto Menaldo, che dalla tribuna, a pochi metri di distanza, ha visto tutto: "C'è stato uno schianto terribile, e poi ho visto decine di persone cadere nel vuoto, mentre a centinaia uomini, donne e bambini finivano uno sopra l'altro, in una calca orrenda. Subito ho pensato ai miei amici, e con Chiarini siamo andati a cercarli. Ma nel caos ci siamo persi. Grazie alla situazione confusa che regnava nello stadio ho potuto raggiungere però una postazione radio di servizio e chiamare i miei compagni. Siamo cosi riusciti a riunirci". Le accuse del tifosi di Torrazzo sono precise e circostanziate. Dice ancora Mauro Menaldo: "Per salire in tribuna abbiamo dovuto fare una coda asfissiante per passare le due porticine larghe poco più di un metro. In caso di emergenza, come si è visto, non sono servite. Una partita così importante si doveva giocare nello stadio più idoneo. E poi non c'erano infermieri, né posti di pronto soccorso. Tutto l'apparato che si è visto in televisione, è stato montato in fretta e furia dopo, molto dopo".

1 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985 

Il racconto dei tifosi di Diano tornati dall'Heysel

"Siamo fuggiti a stento tra sangue e terrore"

di Fulvio Damele

IMPERIA - "Una mano mi ha afferrato per un braccio. Con la forza della disperazione mi sono divincolato e sono riuscito a fare quei due metri che mi separavano dal cancelletto d'accesso al campo e proprio in quell'istante, finalmente, i poliziotti belgi hanno aperto". Inizia con questa drammatica immagine il racconto di Carlo De Lucis, 26 anni, un giovane di San Bartolomeo al Mare scampato alla strage. Il volto ancora segnato dalla paura, la voce rotta dall'emozione prosegue: "Ho preferito partire in auto piuttosto che in pullman, ed è così che mi sono trovato con un biglietto della zona dello stadio dove sono accaduti gli incidenti". Ricorda: "Ero distante dal parapetto soltanto pochi metri e mi sono reso conto che indietreggiando ancora sarei rimasto intrappolato in una morsa senza scampo. Con tutta la forza, appena in tempo mi sono fatto largo controcorrente. Per miracolo ho trovato uno spiraglio e mi sono ritrovato in un vortice: contro di noi gli inglesi lanciavano oggetti di ogni tipo, lattine, pietre. Ho visto brandire spranghe e coltelli, distintamente ho sentito anche dei colpi d'arma da fuoco. Poi nel tentativo di avvicinarmi sempre di più al terreno di gioco, sono inciampato e caduto sopra un corpo. Mi sono rialzato imbrattato di sangue". Enzo Gironi, 24 anni. Pino Sabatucci, 28 anni, calciatore molto conosciuto nel Ponente e Giuliano Piladi, tutti di Imperia erano partiti per il Belgio con tanto entusiasmo. Sconvolti raccontano: "Abbiamo vissuto l'ora e mezza più terribile della nostra vita. Ci siamo persi, ognuno pensava che agli altri fosse capitato il peggio". Gironi, meno fortunato dei compagni, ricorda piangendo: "In un istante sono stato travolto, coperto dai corpi di altre persone e ho perso i sensi. Quando mi sono ripreso, non so dopo quanto, ho iniziato a urlare con tutta la forza. Sentivo muovere qualcosa e poi ho visto che un uomo, facendo leva con un bastone, mi stava liberando. Infine mi hanno portato all'ospedale".

1 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985 

Inzaghi: "Una scena terribile. E' stato peggio del terremoto"

di Stefano Delfino

Il comandante dei Vigili del fuoco di Imperia era a Bruxelles, e dalla curva opposta ha seguito la strage nel settore Z - "Un impianto indegno e un'impreparazione totale".

IMPERIA - "Una delle peggiori esperienze della mia vita. Essere lì, intuire il dramma, e assistervi senza poter fare nulla. E' stato terribile". L'ingegner Natale Inzaghi, comandante provinciale dei Vigili del Fuoco, parla con voce ancora incrinata dallo sdegno e dalla commozione. E' appena tornato da Bruxelles. Era anche lui allo Stade du Heysel. Agli orrori è abituato: prima in Friuli, poi in Irpinia, a sgombrare macerie e soccorrere le vittime del sisma. Ma, questa volta, "è stato diverso: è stato peggio". Inzaghi è tifoso della Juventus. E' andato in Belgio con amici. La partita tanto attesa non l'ha vista, perché, quando sono divampati gli incidenti, se ne è tornato in albergo, per telefonare a casa. Ma prima, dalla tribuna opposta, sia pure da distante, con un potente binocolo, ha assistito alla tragedia, l'ha scrutata con gli occhi dell'esperto di protezione civile. E il suo giudizio è drastico e pesante, condanna severamente le carenze nell'ordine pubblico. Racconta Inzaghi: "Già all'esterno dello stadio si poteva capire che le autorità belghe erano assolutamente impreparate alle insidie della situazione. I poliziotti sembravano in assetto da parata. Avevano le uniformi nuove e i cavalli erano lustri. Davanti a loro passavano indisturbati i teppisti di Liverpool, ubriachi fradici, avvolti nelle bandiere e stracarichi di casse di birra. Per entrare, migliaia di persone si accalcavano presso un passaggio obbligato, una porticina larga appena un metro e mezzo. L'"Heysel" è un impianto "del tutto inadeguato e indecoroso: al suo confronto, persino il "Ciccione" di Imperia farebbe un figurone". Ricorda ancora Inzaghi: "Quando ho notato che nel settore Z la gente cominciava a comprimersi sotto le furibonde cariche degli inglesi, e gli spazi fra spettatore e spettatore erano sempre più ridotti, ho immaginato che potesse succedere un disastro. Ho temuto che qualcuno potesse subire lo schiacciamento del torace e riportasse pericolosissime lesioni interne". E aggiunge, con un lampo di sgomento negli occhi: "Allorché ho scorto quelli che cominciavano ad arrampicarsi sul muretto mi sono reso conto con raccapriccio che la sciagura era imminente. Ho pensato: adesso crolla. E difatti, pochi istanti dopo, la parete ha ceduto, sotto la sollecitazione dei tifosi che, terrorizzati, non potevano cercare scampo sul prato, presidiato dalla polizia. Ho udito anche due-tre esplosioni: non so se fossero spari o mortaretti". Prosegue Inzaghi: "Come una diga che si rompe, è crollata anche la rete metallica: simile ad un ponte levatoio che si abbassa all'improvviso, ha imprigionato quanti si trovavano al di sotto. Per effetto della spinta, i corpi si sono aggrovigliati uno sull'altro. Una scena da mattatoio. E' stato uno spettacolo raccapricciante. Come selvaggi scatenati, i criminali sostenitori del Liverpool hanno infierito sugli inermi a terra, non si sono fermati neppure alla vista del sangue". Una disgrazia evitabilissima, che solleva interrogativi angosciosi: "perché, si chiede Inzaghi, non si è fatto nulla per evitare che "reds" e bianconeri fossero cosi rischiosamente vicini ? Perché non sono stati usati subito i cani, che accompagnavano i numerosi agenti di pattuglia fuori dallo stadio ? E perché non c'erano idranti, sul campo ? Con i loro getti, si sarebbe potuto tentare di separare i due gruppi, prima che accadesse l'irreparabile", conclude Inzaghi.

1 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985 

I morti e gli scampati tornano a casa con gli aerei militari

Bruxelles-Italia la rotta del dolore

Platini, Tacconi e Marini visitano i tifosi feriti

ROMA - Il loro ultimo viaggio si è concluso: ieri sera alle 21.05 su una pista dell'aeroporto di Ciampino. Ad attenderli, una piccola folla mesta e sei carri funebri, allineati uno accanto all'altro come in una tristissima parata. Sono arrivate così in Italia le salme di 7 dei 31 morti nella strage di Bruxelles. Sul pavimento del DC-9 militare le bare di Gianni Mastroiaco, 20 anni, di Rieti, Roberto Lorentini, 21 anni, di Arezzo, Nino Cerullo e Rocco Acerra, 24 e 29 anni, entrambi di Francavilla a Mare, Franco Martelli, 23 anni di Todi, Loris Messore, 23 anni di Pontecorvo e Giancarlo Gonnelli, 46 anni. Tra la gente ammutolita, che ha atteso il Jet c'era anche il presidente della Repubblica Sandro Pertini, il ministro degli Esteri Giulio Andreotti, il figlio dell'avvocato Agnelli, Edoardo. Il silenzio della cerimonia è stato squarciato solo da un urlo, il padre di Rocco Acerra non ha saputo stare zitto quando il drappello di avieri in alta uniforme ha incominciato le operazioni di sbarco delle salme. Tra quelle sette bare due gli appartengono: quella del figlio e quella di Nino Cerullo, il fidanzato di sua figlia Anna. I due giovani, amici prima che futuri parenti, a vedere la Juventus c'erano andati insieme. "O Gesù, così mi ritornate" ha urlato l'anziano Giovanni Acerra. E al suo urlo non c'è stata risposta, mentre le lacrime dei parenti delle vittime fino ad allora trattenute hanno incominciato a scendere copiose. In un angolo Pertini si è mosso per farsi incontro alle salme. Una sola bara è rimasta a bordo: quella di Giancarlo Gonnelli, che sullo stesso aereo ha proseguito per Pisa. Poi uno ad uno i furgoni mortuari hanno lasciato l'aeroporto allontanandosi sull'asfalto diretti verso i paesi delle vittime. Anche Pertini, gli occhi bagnati di lacrime, sotto braccio ad Andreotti, si è allontanato senza neppure fermarsi davanti ai fotografi e giornalisti. Ha lasciato Ciampino come uno dei tanti parenti dei tifosi juventini morti a Bruxelles. MILANO - Ieri, qualche minuto prima delle 22 all'aeroporto di Linate è atterrato un "C-113" dell'Aeronautica militare con a bordo le salme di due delle vittime degli incidenti allo stadio Heysel: Tarcisio Venturin, di 23 anni, di Pero (Milano), e Giancarlo Bruschera di 34, di Taino (Varese). Ad attenderle sulla pista dell'aeroporto c'erano i parenti, il sindaco Carlo Tognoli e il prefetto Enzo Vicari. I genitori di Giancarlo Bruschera alla vista delle due bare, si sono abbracciati fra di loro piangendo in silenzio. Giancarlo era il loro unico figlio. Non c'erano all'aeroporto i genitori di Tarcisio Venturin, rimasti a casa. C'era solo la sorella, Marisa, di 33 anni, che, con un cugino, era andata a Bruxelles a prelevare la salma del fratello: hanno viaggiato sullo stesso aereo che ha trasportato le due salme a Milano. C'erano anche zii e altri parenti, arrivati all'aeroporto a bordo di auto messe a disposizione dalla prefettura milanese. Fra loro, il marito della Venturin, Luigi Bellia, di 33 anni, di Pero, il quale ha detto di avere appreso la notizia della morte del cognato dai giornali, il giorno dopo gli incidenti.

1 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985   

Chi ha venduto i biglietti "proibiti" ?

di Salvatore Tropea

TORINO – E’ stato il trionfo dei bagarini, sinistro, disinvolto, brutale. Con la tecnica di sempre, ma questa volta con un tremendo risultato di morte: 38 vittime per una manciata maledetta di soldi. La tragedia di Bruxelles, oltre che nella violenza dei tifosi del Liverpool e nell'inefficienza della polizia belga, trova la sua amara spiegazione anche in questo fenomeno che va prendendo corpo man mano che aumentano le testimonianze dei superstiti. Che ci facevano gli italiani nel famigerato settore "Z" funesto campo di battaglia dello stadio Heysel ? Chi ve li ha portati e chi ve li aveva portati ? Non era quello lo spazio riservato agli spettatori belgi ? Certo che lo era, soltanto che quei biglietti erano stati dirottati su Torino e su altre città italiane attraverso canali misteriosi. Si parla di alcune centinaia, forse addirittura di qualche migliaio ma è difficile dirlo. Anche perché a complicare ulteriormente la situazione non sono mancati i tagliandi falsi. Racconta la titolare di un'agenzia di viaggi di Rivoli: "Abbiamo acquistato una cinquantina di biglietti da un signore che li aveva comprati a Bruxelles per poi organizzare, senza riuscirvi, un pullman di tifosi. Il resto ce lo ha venduto la Ventana Viaggi in modo del tutto regolare". Ventana ha organizzato due voli vendendo il biglietto per la partita compreso nel viaggio; quasi tutte le tribune ottenute dalla Juventus. Altre società di viaggi come la Franco Rosso hanno però dovuto comprare i biglietti a Bruxelles "perché in Italia la Federazione non ne aveva più". Che fossero in circolazione biglietti comprati fuori piazza lo si era capito prima ancora dell'incontro. Lunedì scorso, quando mancavano meno di 48 ore alla partita su alcuni giornali le compagnie di viaggi pubblicizzavano i voli charter per la finalissima di Bruxelles. E pensare che a quella data la disponibilità ufficiale di biglietti per l'Italia doveva essere esaurita da un bel pezzo. Proviamo a vedere come ha funzionato questo meccanismo. Ne parliamo con Francesco Morini, già calciatore della Juve oggi direttore sportivo dei bianconeri. "Come società" -spiega - "abbiamo avuto in tutto 14 mila biglietti di cui 11 mila della curva opposta a quella degli incidenti e 3 mila di tribuna. Eravamo disperati per la limitatezza del numero, ma ci siamo accontentati. Non c'era altro da fare. Abbiamo distribuito meticolosamente quanto avevamo tra tutti i nostri clubs sparsi per l'Italia e su precisa prenotazione". A conti fatti, secondo Morini, la disponibilità in Italia è stata di un biglietto ogni 30 tifosi juventini. "Forse abbiamo scontentato molte persone ma non avevamo altra scelta. Tant' è che non abbiamo venduto un solo biglietto al nostro botteghino". Ben diversa era però la situazione in Belgio. "Quando ci sono queste partite" - osserva infatti il direttore sportivo della Juventus" - i bagarini si scatenano ed è difficile controllarli. A Bruxelles, per esempio, facendo un po' di coda una persona poteva comprare fino a tre biglietti. Famiglie intere lo hanno fatto e poi hanno rivenduto ai bagarini che hanno commerciato i biglietti in Italia". Anche nella Galleria San Federico, davanti al portone della F.C. Juventus ? "Può darsi" - ammette Morini - "ma non sarebbe stata la prima volta. In passato abbiamo persino provato a chiamare la polizia. Ma se non li si pesca con le mani nel sacco, e non è sempre facile, è impossibile intervenire. Sono gruppi organizzati di bagarini, italiani e stranieri, le facce di sempre, gente senza scrupoli". E quello che non sono riusciti a fare in Italia lo hanno fatto direttamente in Belgio. Ecco quanto testimonia Giancarlo Perruquet, capo storico della tifoseria bianconera torinese, da molti anni frequentatore instancabile dello stadio e mai assente nelle trasferte della Juventus: "Dalla Juventus abbiamo avuto 600 biglietti, non uno in più non uno in meno di quelli che servivano per organizzare i nostri pullman. Li abbiamo distribuiti attentamente attraverso i nostri capi comitiva. Ma quando siamo arrivati a Bruxelles abbiamo visto gente che vendeva biglietti in tutti gli angoli delle strade. Evidentemente tutti coloro che, al di fuori delle nostre organizzazioni, erano partiti senza biglietto l'hanno potuto comprare sul posto". Anche nel super club juventino di via Bogino, il più autorevole nel panorama della tifoseria torinese, assicurano di non aver portato a Bruxelles persone prive di regolare biglietto. Ma anche loro confermano che molta gente è arrivata in Belgio non organizzata. "E’ probabile" – dicono - "che abbiano comprato il biglietto sul posto finendo nel settore Z riservato ai locali". Del resto anche i controlli sugli ingressi devono essere stati alquanto carenti e approssimativi. Come testimonia il racconto di un ragazzo di Torino. Incontrato al suo rientro da Bruxelles: "Sono andato fino a Livorno a comprare un biglietto che mi è costato 160 mila lire e allo stadio nessuno me lo ha controllato". Come è entrato ? Semplice. "Come molti altri ai quali nessuno prestava attenzione". E con questi criteri in tanti sono finiti nel settore della morte.

1 giugno 1985

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985 

Quella inutile riunione in tribuna

di Gianni Minà

Tre giorni dopo la tragedia, siamo in grado di ricostruire la grottesca riunione svoltasi all'interno dello stadio "Heysel", alle spalle della tribuna d'onore: otterremo il quadro completo della superficialità, della presunzione delle autorità belghe addette alla sicurezza dello stadio. Erano circa le 20.30, più d'un'ora dopo l'inizio della tragedia e solo allora questi soloni si riunivano per prendere decisioni. Tutto questo cinico distacco contrastava invece con l'efficienza del servizio di soccorso civile. In quel breve lasso di tempo infatti erano già state organizzate tende da campo, autoambulanze, elicotteri per il trasporto dei feriti. Vigili del fuoco e Croce Rossa lavoravano con umanità ed efficienza malgrado l'angoscia per la portata del dramma, mentre il Borgomastro di Bruxelles, bicchiere di whisky in mano, era preoccupato solo di far chiudere bene le tende della vetrata della sala perché la gente che fuori si affannava fra disperazione, rabbia, solidarietà e dolore non si accorgesse di loro. Erano riuniti con il Borgomastro che in Belgio ha funzioni anche di prefetto, il commissario coordinatore del servizio allo stadio, Monsieur Poels, il presidente dell'Uefa Georges (francese), il vicepresidente lo svizzero Braun Gartner, e, oltre a Boniperti e al presidente del Liverpool, anche i ministri De Michelis e Nicolazzi, il presidente della Federcalcio Sordillo con il segretario Borgogno e i dirigenti della Federazione belga maldestra, per non dire sciagurata organizzatrice della finale di Coppa Campioni. Dentro, nella sala della tribuna d'onore il commissario Poels aveva intanto cercato di difendere il suo operato sostenendo che il piano per il controllo allo stadio era stato preparato accuratamente e che quindi tutto era successo per una tragica fatalità o una insensata, imprevedibile iniziativa dei tifosi del Liverpool. Poels mentiva sui controlli, perché gli stessi scampati dalla carneficina del settore "Z", ci avevano mostrato un attimo prima feriti, stracciati, o impauriti, le loro borse o i loro tascapane che nessuno aveva mai controllato all'entrata, ma almeno lui cercava di essere preciso, obiettivo. Il Borgomastro di Bruxelles lo smentiva dicendo che tutto era dovuto all'incontenibile aggressività di due fazioni esagitate e violente come quelle dei tifosi del Liverpool e della Juve. Sordillo e Boniperti si battevano subito, data la tragica situazione venutasi a creare, per la non effettuazione della partita. Ma non venivano assecondati. Il comportamento dell'Uefa e della Federazione belga faceva sorgere il dubbio, atroce ma legittimo, che più che l'ordine pubblico o la morale di quello che stava succedendo, interessasse l'incasso da restituire al pubblico oltre ai contributi da ridare agli sponsor presenti con i cartelli allo stadio Heysel. E poi le "querelles" dell'assegnazione della Coppa a tavolino, e i problemi di stabilire la responsabilità oggettiva di quelli del Liverpool piuttosto che di quelli della Juve. Marionette nelle mani di questi cinici burattini diventavano i giocatori delle due squadre. Alcuni di quelli della Juve erano andati poco prima, di loro iniziativa, in mezzo ai loro tifosi, acquartierati nella curva opposta a quella della tragedia, per coscientizzarli. Poi si giocava la partita, tra finzione e realtà e al gol di Platini si capiva che la gente nello stadio, anche la maggior parte degli italiani non aveva capito o non era riuscita ad intendere la portata del dramma. Dieci minuti prima che la rappresentazione finisse tutti i burattinai, fino in fondo inadeguati alle loro responsabilità, se la filavano dallo stadio. Un anonimo dirigente belga consegnava a Scirea una Coppa nello spogliatoio perché la facesse vedere ai tifosi juventini. Sull'aereo che la mattina dopo da Bruxelles ci portava a Città del Messico quattro giocatori della Juventus, Tardelli, Rossi, Scirea e Cabrini ancora stravolti dalla terribile esperienza, spiegavano imbarazzati la loro posizione. "La nostra società e noi non volevamo giocare per rispetto dei nostri morti. Ce l'hanno imposto i dirigenti dell'Uefa e della polizia belga per motivi di sicurezza. Una volta in campo ci siamo resi conto che il pubblico, anche quello italiano, era completamente all'oscuro o poco informato delle reali dimensioni della tragedia. Questa realtà è stata chiara al momento del gol di Platini. Abbiamo comunque continuato a giocare schiacciati da una responsabilità enorme per evitare altri possibili incidenti. La nostra responsabilità era ancora più grande per la latitanza di coloro che ci avevano imposto di giocare e che alla fine della partita erano tutti spariti. Ci hanno consegnato una Coppa e ci hanno detto di mostrarla ai nostri tifosi. Non ci rimaneva che terminare la nostra recita. L'abbiamo fatto. Nessuno è venuto a dirci niente. Ci hanno solo raccomandato di rimanere nella metà campo dello stadio dove c' erano i tifosi della Juventus. Non sapevamo assolutamente che fare, se dirigerci verso il luogo del disastro e magari eccitare ulteriormente gli animi oppure recitare soltanto fino in fondo il ruolo che ci avevano chiesto. Lo abbiamo fatto con la morte nel cuore e speriamo soltanto che nessuno ci chieda più una cosa simile, mai più".

1 giugno 1985

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985   

di Franco Recanatesi

ROMA - Prima al Quirinale, poi alla Camera, infine a Palazzo Chigi. Per cinque ore, ieri, in sede politica non s' è parlato d'altro. E a conclusione di incontri riservati, dibattiti, riunioni, il governo ha pubblicamente manifestato il proprio pensiero e le proprie risoluzioni circa l'orribile sciagura dello stadio di Bruxelles e anche i suoi immediati risvolti. Dal Consiglio dei ministri è emersa una convinzione netta: le responsabilità vanno ricercate presso i governi inglesi e belga, verso i quali verrà compiuto un passo ufficiale "per avere spiegazioni e chiarimenti sulle misure preventive e sui dispositivi di sicurezza" adottati. O non adottati. Chiaramente, per ciò che riguarda l'Inghilterra, la protesta va interpretata in toni pacati: le si rimprovera soltanto di non avere saputo controllare o prevedere le intemperanze dei suoi cittadini (recidivi) in trasferta. Tant' è che proprio in apertura del suo comunicato, Craxi ha voluto rendere omaggio alla Thatcher ricordando "la commossa partecipazione del governo britannico". Le colpe maggiori, senza ombra di dubbio, appartengono ai Belgi: impreparati, inefficienti. E anche all'Uefa, alla quale il nostro governo chiederà "le ragioni che hanno portato alla scelta di uno stadio manifestamente inadeguato per lo svolgimento della partita". I rapporti Italia-Belgio, più che quelli Italia-Inghilterra, sembrano in sostanza avere subito una incrinatura dopo la tragedia dello stadio "Heysel". Al ministro dell'Interno Charles Ferdinand Nothomb, autore di una difesa per la verità irritante, i ministri italiani non hanno risparmiato giudizi aspri. "Di fronte alle sue parole non possiamo fare a meno di manifestare la nostra delusione", ha detto Oscar Mammì alla Camera. Oscar Scalfaro ha definito "un momento poco felice" quello del suo omologo. Ma com' è andata esattamente allo stadio Heysel ? Craxi - reduce da un colloquio con Pertini dedicato in gran parte ai fatti di Bruxelles - lo ha chiesto in apertura di riunione ai suoi ministri, in particolare a De Michelis e Nicolazzi, testimoni oculari della tragedia. Soprattutto, il presidente del Consiglio, che aveva condannato la decisione di giocare la partita come "una prova di cinismo", voleva sapere se tale decisione riposava su basi valide. Sì, gli hanno risposto i due ministri, era necessario giocare. Perché ? Entrambi lo hanno spiegato anche ai giornalisti: Nicolazzi: "Era l'unica maniera per far defluire le tifoserie dallo stadio senza altri incidenti. Occorreva prendere tempo per consentire l'afflusso sia dei mezzi che avrebbero dovuto trasportare gli inglesi ai loro treni, sia di ulteriori forze di polizia". De Michelis: "Abbiamo chiesto alle autorità belghe: siete in grado di organizzare un deflusso senza altri rischi ? Al momento no, ci hanno risposto. Non c' era altra scelta che quella di far disputare l'incontro. Occorre tener presente che tutto si svolgeva in un clima allucinante, che molti avevano perso la testa". Nicolazzi: "Ci siamo riuniti con il sindaco - il borgomastro - il capo della polizia. Non sapevano neanche chi fossimo e perché ci agitassimo tanto. Lo confesso, anche noi eravamo terrorizzati. Io pensavo: come faremo ad uscire dallo stadio ?". De Michelis: "Il borgomastro di Bruxelles è arrivato persino a minacciarmi di arresto. Ma è stata una battuta nervosa di un uomo nervoso. Il pericolo maggiore non era la rabbia, ma il panico che aveva assalito le migliaia di tifosi italiani stipati in quella tribuna. Ci venivano addosso, gridavano. Imploravano aiuto, protezione. Noi potevamo fare ben poco. Neanche i telefoni funzionavano più". Condanna all'inefficientismo belga, dunque, un velato rimprovero alla Thatcher (Scalfaro: "La violenza dei tifosi inglesi è nota da anni, lo Stato che li ha come cittadini deve provvedere in qualche modo"), ma anche - da parte di numerosi rappresentanti politici - censure severe di alcuni atteggiamenti di casa nostra. Craxi si è detto "indignato" per le manifestazioni di giubilo degli Juventini che hanno avuto luogo la sera stessa della tragedia. Gesti che "hanno superato ogni limite di amoralità e incoscienza". Mammì ha stigmatizzato duramente le scritte inneggianti agli assassini di Bruxelles comparse sui muri di alcune città italiane. Scalfaro ha annunciato l'accertamento di eventuali responsabilità da parte di "tifosi italiani che in Tv sono stati visti a volto coperto". Diciamolo: di teppismo e cinismo è ricco anche il nostro paese. Ed anche di cattivo gusto. Di quel festoso giro di campo dei giocatori juventini caprioleggianti si è discusso molto ed in termini tutt'altro che lusinghieri. Forlani, ex calciatore, ne ha riportato "un'impressione penosa", il radicale Rutelli è andato giù di piatto: "Il comportamento dei protagonisti dell'impresa calcistica è stato infame". D'Onofrio, senatore Dc, ha avanzato una richiesta formale alla Juventus, affinché restituisca la Coppa dei Campioni: "Sarebbe la sola soluzione capace di restituire dignità al calcio". E la televisione ? Anche sulla Rai sono state lanciate delle pietre. Secondo De Michelis, "in via Teulada dovevano pensare che sarebbe stato meglio non trasmettere la partita". Ma l'indignazione maggiore l'ha suscitata la telecronaca di Bruno Pizzul, il quale ha superato ogni limite definendo quella dello scorso mercoledì "una giornata radiosa per lo sport italiano". Nel corso del dibattito alla Camera, ciò è stato sottolineato sia dal comunista Serri che dal democristiano La Russa. Quest' ultimo ha definito Pizzul "un imbecille per il quale proviamo pietà". Restano comunque in piedi due essenziali argomenti: cosa fare per le famiglie delle vittime e come arginare la violenza negli stadi. Il ministero degli Interni ha deciso un primo stanziamento di cinque milioni per ogni famiglia colpita dalla tragedia, indipendentemente dalle forme di risarcimento previste dall'ordinamento belga. Il governo predisporrà inoltre una apposita iniziativa legislativa che stabilisca i benefici da adottare nei confronti delle vittime di disastri che abbiano caratteristiche eccezionali, come quello di Bruxelles. Quanto alle future misure di prevenzione, Scalfaro dovrà studiare la maniera di verificare la sicurezza degli stadi ogni qualvolta una squadra italiana dovrà recarsi a giocare all'estero. Lo stesso Scalfaro (che ieri sera ha avuto un colloquio col presidente del Coni, Carraro) approfitterà della riunione (20 e 21 giugno) di tutti i ministri degli interni della Cee per avviare un piano comune per la difesa delle manifestazioni sportive.

1 giugno 1985

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985   

Pertini ha accolto a Ciampino le prime salme tornate in Italia

di Giuseppe Zaccaria

Sul DC-9 dell'aeronautica militare le bare di sei tifosi - Commovente abbraccio con la madre di un giovane postino - Anche Andreotti ed Edoardo Agnelli all'aeroporto.

ROMA - Erano partiti in pullman, in macchina, in treno, ammassati, eccitati per la splendida serata che avrebbero dovuto passare a Bruxelles. Sono tornati in silenzio, ordinati, allineati nelle loro bare, stese sul pavimento di un aereo militare. Ad attenderli Sandro Pertini e, ferma ai bordi della pista, una lunga fila di furgoni funebri. Il DC-9 del 31° Stormo, lo stesso che nella mattinata aveva raccolto a Roma e a Pisa i parenti che se l'erano sentita di volare fino in Belgio, di vedere i loro cari su un lettino della morgue, è atterrato a Ciampino alle 21.05 in punto. Sulla pista un altro aereo aspettava da qualche minuto di decollare: per assurda coincidenza, era un charter diretto a Lourdes. Luci delle fotoelettriche, un picchetto di avieri: a due passi dalla piccola aerostazione militare, Pertini, Giulio Andreotti, Edoardo Agnelli, pochi addetti al cerimoniale. Davanti a tutti un sacerdote con la stola viola, don Alberto Bonini, cappellano dell'aeroporto. Quasi negli stessi momenti, un C130 partito da Bruxelles sta depositando il suo triste carico a Linate e a Pisa. Altre tre bare: ciascuna vittima, il più vicino possibile alla sua città d'origine, ai parenti in attesa. Anche a Ciampino, ieri, c'era gente che aspettava piangendo: erano venuti da Rieti, Frosinone, Arezzo, restavano quasi in disparte, dietro una transenna, un po' storditi. Per qualche minuto, solo il rumore assordante dei reattori, l'immobilità degli uomini in attesa. Poi un grido, quello di una donna appena scesa dall'aereo, sorretta da due giovani con la barba non fatta, gli occhi cerchiati. Era la madre di Rocco Acerra, 29 anni, postino di Francavilla a Mare. Suo figlio era lì, nella stiva dell'aereo, rinchiuso in una bara di mogano. E accanto al suo corpo c'era quello di Nino Cerullo, 24 anni, che era in coppia con la fidanzata più la sorella. Erano partiti assieme, in auto, assieme ritornano. Sandro Pertini è riuscito solo ad abbracciare quella donna piangente, a mormorarle qualche parola di conforto. Ma sulla scaletta del DC-9 già apparivano altri volti disfatti, altri occhi piangenti. Una terza camminava a fatica, sorretto da altri: sull'occhio, una benda enorme. Era Fabrizio Messore, 19 anni, origine torinese, casa in provincia di Frosinone. Anche lui aveva voluto seguire la salma del fratello, Loris. I carri funebri si avvicinano, la loro lucentezza appare quasi stonata. Una dopo l'altra, gli avieri tirano fuori dal ventre dell'aereo sei bare: Messore, Cerullo, Rocco Acerra, e poi quelle di Roberto Lorentini, 31 anni, medico di Arezzo; Gianni Mastroiaco, 20 anni appena, geometra di Rieti. Era andato a Bruxelles su un pullman del "Juventus Club". Il padre, Raniero, 50 anni, fa il ruspista: quando gli dicono che la bara del figlio è quella lì scoppia a piangere, grida. Devono sorreggerlo per portarlo via. L'ultimo feretro è quello di Franco Martelli, 23 anni: era partito da Todi. Altri corpi, dice un generale dell'Aeronautica, arriveranno domani con due aerei, militari e un velivolo belga. Adesso non resta che raggruppare i carri funebri lì, in fondo alla pista. Auto della polizia li scorteranno fino ad Arezzo, Frosinone, Todi. Nessuno piange più, becchini e gli altri si allontanano, anche il DC-9 ha spento i motori. Le ultime scene tornano a svolgersi in un silenzio irreale, assoluto. Ma poi, cos'altro ci sarebbe da dire ?

1 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985 

Annullate manifestazioni Festa d'Europa

VICENZA - In segno di lutto per la morte di Amedeo Spolaore e Mario Ronchi, i due cittadini bassanesi morti durante gli incidenti di Bruxelles, sono state sospese le principali iniziative della Festa dell'Europa, in corso a Bassano del Grappa. Sarà invece mantenuto un convegno sullo "Sport come veicolo di amicizia e di pace", in programma oggi. Non sarà inoltre rinviata una festa sportiva, cui interverranno oltre mille ragazzi delle scuole elementari d'Italia e di altri Paesi.

1 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985   

Il governo presenterà una legge per aiutare le famiglie delle vittime

Scalfaro convoca un vertice per la sicurezza negli stadi

di Alberto Rapisarda

Polemiche sul giro d'onore degli Juventini - De Michelis: "Lo dovevano fare"

ROMA - "Sono indignato per le manifestazioni che hanno avuto luogo in alcune città italiane la sera stessa della tragedia. Hanno superato ogni limite di amoralità e di incoscienza" ha detto ieri al Consiglio dei ministri il presidente Bettino Craxi. Tra Palazzo Chigi e la Camera dei deputati, dove c'è stato un dibattito sulla strage allo stadio di Bruxelles, i politici hanno cominciato ieri a riflettere sulle conclusioni da trarre dopo la tragedia. Non si tratta più tanto di cercare ancora i responsabili del massacro nello stadio. C'è qualcosa di meno definibile ma, forse, di molto più grave. C'è il disorientamento per avere scoperto che in tante città italiane, a cominciare da Torino, ci sono stati tifosi che hanno avuto l'incoscienza e la disumanità di scendere per strada a far festa dopo la partita. Ma sono sotto accusa anche la Rai-Tv che ha voluto trasmettere la partita ugualmente, con i morti distesi dietro le tribune, la stampa sportiva ("mass-media debbono essere messi sotto stretto controllo" ha detto il repubblicano Cifarelli), le società di calcio che finanziano i club di tifosi fanatici. Si prepara un giro di vite per garantire prima di tutto più sicurezza negli stadi italiani, ma anche per ridare allo sport la sua originaria funzione di affratellamento e di confronto corretto. Lo ha annunciato il Consiglio dei ministri, che non si è nascosto come il problema del dilagare della violenza nello sport ci riguardi direttamente. Ieri sera il ministro dell'Interno Scalfaro si è incontrato col presidente del Coni, Carraro, per esaminare le misure da adottare subito per la sicurezza negli stadi. Per il 3 giugno è già previsto un vertice, convocato da Scalfaro, con Carraro, rappresentanti della Federcalcio e i massimi responsabili dell'ordine e della sicurezza pubblica. I ministri dell'Interno dei Paesi della Comunità europea si incontreranno il 20 e il 21 giugno per esaminare lo stesso problema. Il ministro Scalfaro ha detto che vanno accertate "le eventuali responsabilità di tifosi italiani che in tv sono stati visti a volto coperto". Il dibattito a Montecitorio sulle interrogazioni e le interpellanze presentate da tutti i partiti è stato quanto mai accalorato. Il ministro Mammì ha presentato una relazione sui fatti di Bruxelles e non ci sono state discriminanti politiche. Il Parlamento ha reagito con la solidarietà che si ritrova di fronte alle catastrofi naturali. Quasi tutti sono rimasti colpiti dai caroselli dei tifosi dopo la partita ("l'ora più triste e penosa", per il radicale Rutelli; e "in quelle poche ore si è consumata una tragedia della nostra vita collettiva e civile" per il comunista Serri). Quasi tutti hanno stigmatizzato le manifestazioni di gioia dei calciatori juventini, che tenevano alta la Coppa vinta su un campo insanguinato. Il ministro Mammì le ha definite "inopportune". E ha detto di condividere l'opinione della presidente della Camera circa "l'assurdità e la disumanità dello svolgimento della partita dinanzi a decine di morti". E' quello che ha sostenuto anche il presidente del Consiglio. Ma il suo compagno di partito, il ministro De Michelis, ha spiegato che non si poteva fare a meno di giocare la partita per problemi di ordine pubblico. "Il giro del campo degli juventini al termine della partita è servito per tenere ancora nello stadio i tifosi italiani mentre gli inglesi lasciavano le tribune", ha detto De Michelis, che era a Bruxelles. Anche lui sostiene però che la partita non andava trasmessa dalla Rai-tv. "E’ inconcepibile l'odio sportivo che spinge teppisti a inneggiare agli incidenti con scritte comparse sui muri di alcune città; ha concluso il ministro Mammì. Il ministro Scalfaro ha anche annunciato che il governo presenterà in Parlamento un disegno di legge per i soccorsi alle famiglie delle vittime. Il governo italiano compirà passi ufficiali presso quelli di Inghilterra e Belgio.

1 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985 

Un DC-9 militare ha portato a Bruxelles i familiari delle vittime dello stadio

Arriva oggi l'aereo del dolore

di Marco Neirotti

E’ atteso verso mezzogiorno, porterà le salme di Giovacchino Landini e di Domenico Russo - Composta reazione dei parenti ieri mattina all'aeroporto: "Sappiamo bene quello che ci attende"- I genitori di una ragazza: "Siamo stati troppe ore senza notizie, è in coma"- Ieri sera l'arrivo dei primi feriti: sulla pista ad aspettarli c'era il sindaco.

"L'ufficio di polizia ? In fondo a sinistra". I primi verso le 10, via via gli altri. Parenti di vittime, feriti, dispersi nel massacro di Bruxelles - informati che un aereo militare li avrebbe accompagnati in Belgio - si radunavano ieri mattina a Caselle. Alcuni di loro sono rientrati alle 21.10, stesso aeroporto. Viaggiavano con due feriti dimessi dagli ospedali. E per questa mattina è atteso l'aereo del dolore: quello con le salme delle vittime. Ieri sera, ore 21.10, dopo voci contrastanti, dubbi, attese, un C130 scende sulla pista. Ad aspettarlo anche il sindaco Cardetti, tre crocerossine, parenti. Scendono alla spicciolata, salgono sulla "navetta": due feriti (uno è Alberto Moschella, col braccio rotto), gli altri sono parenti partiti in mattinata: il figlio di Giovacchino Landini, i fratelli di Domenico Russo. All'uscita dall'aeroporto sono infastiditi dall'eccesso di flash e riflettori, ma subito si disperdono tra parenti e amici. E' la fine d'una giornata di dolore cominciata dodici ore prima. Sono le 10 di ieri. Arrivano lenti, occhi lucidi, qualche bagliore d'ira. Punto di riferimento è il dottor Ninetti, commissario di polizia all'aeroporto. Li accoglie senza false cerimonie. Tutti si raggruppano sulle poltroncine dell'atrio. Parlano come si conoscessero da prima della sciagura che li ha uniti in un abbraccio di sangue. Ci sono Carola Bandiera, moglie di Giovacchino Landini, il ristoratore torinese di via Spotorno morto nello stadio, e i figli Monica e Andrea. Ci sono i due fratelli di Domenico Russo, l'elettricista di Moncalieri anche lui vittima della follia. Ci sono quattro familiari di Barbara Lusci, 57 anni, di Domus Nova (Cagliari). Ci sono Carmine Salamida e Giuseppina Locatelli, di Finale Ligure, genitori di Laura Salamida, 27 anni, sposata con l'elettricista Giorgio Bianchi: lei è in coma in un ospedale, l'hanno operata d'urgenza allo stomaco, sta guardando in faccia la morte. Ci sono Rosita e Daniela Binelli, moglie e cognata di Marco Manfredi, 40 anni, dipendente dell'ospedale di Moncalieri, giunto a Bruxelles con amici che l'hanno perso di vista all'ingresso: il suo nome non è tra i morti, non è tra i feriti, è perso nel nulla. E c'è Vanda De Biase, giovane, silenziosa, s'apparta quando vede l'assalto, dei cronisti: il fratello, Loris Messore, 27 anni, apre l'elenco delle vittime. Sono uomini e donne straziati da quello stadio. Siedono sulle poltroncine d'atrio tra uffici di polizia e telefoni, sanno che prima o poi il gruppetto di cronisti, fotografi, operatori di Rai e Stampa verrà a spezzare la loro comunione di parole, silenzi e pianti. Qualcuno rompe il ghiaccio, s'avvicina alla vedova di Landini. Parlano. Poi lei si perde nel pianto e dice che "sa cosa l'aspetta a Bruxelles: lui calpestato e schiacciato e pestato". Un fratello di Russo percorre avanti e indietro due metri di pavimento, muove il giornale e dei giornali dice "che sono contenti quando succedono queste cose perché vendono più copie", poi attenua lo sfogo, racconta angosciato: "Avremmo voluto partire subito, ma ci è stato consigliato di aspettare, di non prendere iniziative personali. Adesso non sappiamo se potremo tornare con i loro corpi". Carmine e Giuseppina Salamida parlano della figlia Laura: "è in coma profondo. Quanto tempo per avere sue notizie...". L'hanno trovata senza vestiti...". Ancora lacrime disperate. E proteste contro la disorganizzazione italiana che ha fatto il paio con quella belga. I numeri di telefono "sempre occupati", ritardi "nel dirci i nomi", "palleggiamenti da un ufficio all'altro quando chiedevi come andare lassù". E' quasi ora, il gruppo si raccoglie alle "partenze internazionali". Chiedono che finiscano le interviste: "Non c'è altro da aggiungere". Il dottor Ninetti avverte: "Lasciateli tranquilli". Le 11.40: atterra il DC9 3112 del 31° stormo dell'Aeronautica Militare di Ciampino. A bordo due passeggeri saliti a Bari e otto a Roma. "Il piano di volo prevede l'arrivo a Bruxelles alle 13.15 - spiega il comandante Vincenzo Masi. Appena possibile rifaremo le stesse tappe in senso inverso, riportando eventuali parenti e feriti trasportabili". E' mezzogiorno quando i sedici passeggeri escono sulla pista, non sanno che alcuni rientreranno già in serata. Pochi metri fra tettoia e DC9. S'avvicinano alla scaletta. Alcuni si fermano, stringono la mano al dottor Ninetti: "Grazie". Salgono la scaletta. Alle 12.08 il DC9 è lanciato sulla pista.

1 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985 

Boniperti: "Assurdo restituire la Coppa"

di Bruno Bernardi

"I giocatori l'hanno vinta sul campo"- Sulla sospensione dei club inglesi: "Devono giocare, ma lasciare a casa la teppaglia"- Sui tifosi esultanti: "Non hanno avuto piena coscienza della verità" - Sulle malignità di una tivù belga: "Vogliono sviare le responsabilità di Bruxelles".

TORINO - "Restituire la Coppa ? No, rimane alla Juventus perché l'hanno vinta i giocatori, sul campo". Questa la secca replica di Giampiero Boniperti ai due senatori italiani, "sorpresi e rammaricati" che il gesto non sia stato compiuto a Bruxelles dopo la partita: "I politici parlano da lontano ma i loro colleghi che hanno vissuto da vicino quella orribile esperienza, si sono perfettamente resi conto di tutto". La Coppa dei Campioni è nell'ufficio del presidente, sulla moquette, davanti alla scrivania. L'ha sognata da sempre, come una bella donna, ma non avrebbe mai immaginato di portarla a Torino dopo un bagno di sangue e lacrime. "Non dormo da due notti", dice al telefono ad un amico che gli manifesta solidarietà per la luttuosa trasferta in Belgio. Gli sono arrivati telegrammi di congratulazioni e cordoglio da tutte le società di Serie A e B. L'attualità e le polemiche incombono. A Bruxelles una televisione ha addirittura parlato di partita "truccata", di risultato concordato in una riunione a cui avrebbe partecipato anche l'arbitro. Durissima la risposta di Boniperti che preannuncia querele: "Inaudito, pazzesco. A quella riunione, per decidere se giocare o meno, c'erano una trentina di persone. Adesso capisco anche la leggerezza dell'Uefa di assegnare al Belgio l'organizzazione di una finale. Mettono in giro simili assurdità per sviare le loro gravissime responsabilità". Lo informiamo che la Federcalcio inglese ha deciso di escludere le proprie squadre di club dalle Coppe internazionali per un anno, come autopunizione, per quanto è accaduto a Bruxelles. Boniperti prende atto: "Ho rispetto per questa gente che ha insegnato il football ma che ha dei tifosi indegni. Le squadre inglesi debbono giocare, lasciando a casa la teppaglia". - Cosa si può fare per evitare l'incubo di una seconda Bruxelles in futuro ? "Ho sempre battuto il tasto dell'ordine pubblico. L'Inghilterra è civilissima ma deve emarginare questi delinquenti degli stadi come un fatto politico, perché rovinano la società e lo sport. I nostri tifosi erano andati a Bruxelles per assistere ad una finale importantissima, non per fare la guerra. Chiaro che le teste calde sono dappertutto, anche in Italia, vanno isolate. Deve intervenire il governo per evitare che minoranze affossino il calcio. E ci vogliono stadi modernissimi, più funzionali e robusti, con adeguato servizio di polizia per scongiurare altre barbare tragedie". - C'è anche chi si è indignato per l'esultanza dei suoi giocatori dopo la vittoria sul Liverpool, ritenendolo un comportamento irriverente verso i "caduti"...  "I giocatori si erano adoperati per calmare i nostri tifosi prima della gara. Poi hanno voluto ringraziarli e salutarli, rientrando subito nella psicologia del gravissimo momento. Nessuna festa: dopo cena sono andati a dormire. Parecchi di loro non hanno quasi chiuso occhio, girando come automi in albergo fino all'alba". - E che ne pensa dei caroselli dei tifosi nel centro di Torino e in altre città italiane, che hanno scandalizzato l'opinione pubblica ? "Evidentemente molti non hanno avuto piena coscienza della vastità della tragedia. Il giorno dopo non c'era nessuno a ricevere la squadra a Caselle. Solo i tifosi che l'avevano preceduta su un altro aereo e che aspettavano i bagagli. Qualcuno ha accennato, istintivamente, ad un blando applauso. Nient'altro, nessuna bandiera. Le scritte deliranti sui muri dello stadio ? Non meritano commenti".  - Cosa sta facendo la società, oltre alla sottoscrizione per i parenti delle vittime, per le centinaia dì feriti rimasti a Bruxelles ? "Platini e Tacconi, accompagnati da Morini, partono in mattinata per Bruxelles. Assistiti dal nostro ambasciatore andranno a visitare i feriti.

1 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985 

Per Laura Bianchi ancora in ospedale un filo di speranza

di Alberto Dressino

FINALE LIGURE - Seppur molto lentamente, le condizioni di Laura Bianchi, 27 anni, finalese, madre di due figli, rimasta gravemente ferita durante i disordini che hanno preceduto la finale della Coppa dei Campioni, stanno migliorando anche se i sanitari belgi non hanno ancora sciolto la prognosi. Le ultime notizie giunte dall'ospedale di Jette dov'è tuttora ricoverata in sala di rianimazione, segnalano qualche piccolo segno di reazione da parte della donna che continua ad essere tenuta nella tenda ad ossigeno. Nella giornata di ieri ha più volte risposto, anche se flebilmente, alla stretta della mano del marito, Giorgio Bianchi, idraulico, 33 anni, che instancabilmente da due giorni è seduto al suo fianco. Proprio all'intervento del marito, Laura Bianchi deve probabilmente la vita. Dopo la furia selvaggia di centinaia di persone in fuga che l'hanno ripetutamente calpestata. Laura priva di conoscenza giaceva esanime sotto i corpi di altri sei italiani ormai cadaveri e pare che i primi soccorritori l'avessero considerata già morta. E' stato il marito invece a ritrovarla poco dopo in una pausa tra le varie cariche dei tifosi inglesi, ed a trascinarla via con l'aiuto di uno spettatore belga. Immagini che difficilmente verranno dimenticate dai protagonisti come anche racconta con la voce rotta dall'emozione, nonostante siano passati già più di quarantott'ore da quei tragici momenti, Bruno Folco, uno dei sei finalesi del gruppo del quale faceva parte Laura Bianchi: "In quel momento ho visto veramente la morte in faccia e ancora adesso non so come ho fatto a salvarmi. Ho visto scene di inaudita violenza e poi quella marea che mi trascinava letteralmente via senza che potessi fare niente. Ad un certo punto ho sentito qualcuno sotto di me che gridava aiuto, mi sono chinato per aiutarlo ma sono stato trascinato via. Non è possibile che possono capitare cose del genere per una partita di calcio". La comitiva era riuscita all'ultimo momento a trovare i biglietti per assistere alla partita e pare che al momento dell'acquisto l'agenzia avesse assicurato che si trattava di tagliandi validi per la tribuna. Da Finale Ligure erano così partiti Giorgio e Laura Bianchi, Enrico e Tecla Coppa, Bruno Folco ed un loro conoscente di Boissano. Con l'aereo avevano raggiunto Bruxelles nelle prime ore del pomeriggio ed erano riusciti a sedersi per tempo nel famigerato settore "Z" della gradinata Nord. "Sono cominciate a volare pietre di grosse dimensioni che si abbattevano sulle nostre teste, ha detto un altro testimone oculare".

1 giugno 1985 

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985 

I genitori accorrono in Belgio

Ieri sono partiti da Torino, a bordo di un aereo militare - Il pianto disperato della madre.

TORINO - Sono arrivati da Finale all'aeroporto torinese di Caselle verso le 10. Devastati da due giorni di dolore. Carmine Salamida e Giuseppina Locatelli, i genitori di Laura Salamida in Bianchi - la donna di 27 anni, madre di due bimbi, ricoverata in ospedale per le ferite riportate nel massacro di Bruxelles - si sono uniti ad altri parenti di vittime o feriti che aspettavano l'aereo militare che li avrebbe portati in Belgio. "Nuda, a terra, spogliata e quasi morta, l'hanno trovata così mia figlia. Dall'altra sera non ha più ripreso conoscenza", ripeteva la madre e il suo pianto zittiva flash e telecamere, gelava cronisti, fotografi, curiosi, radunati davanti agli uffici del commissariato dell'aeroporto, dove il funzionario, dottor Ninetti, offriva un punto di riferimento a tutti. "Era con suo marito, li hanno travolti. Lui se l'è cavata, è rientrato in Italia, ad avvertirci, poi è tornato là. Lei è tra la vita e la morte". Altro pianto, altri silenzi. Non sanno, non possono farsene ragione. "Basta, basta così, è inutile dire altro, non c'è niente da dire", taglia corto il padre. Laura Salamida era partita per Bruxelles col marito. Giorgio Bianchi, idraulico, e alcuni amici. Sono loro a raccontare che dopo "lanci di pietre e bottiglie, dopo il salto della recinzione", sono cominciate "bastonate e coltellate all'impazzata". E' stato Giorgio Bianchi a ritrovarla, ancora in vita, ma quasi agonizzante, una larga ferita allo stomaco. All'ospedale Laura è stata operata d'urgenza, ora sta migliorando. "Ma è tutto assurdo, non è concepibile: troppo tempo per sapere qualcosa, per sapere se potevamo partire, per sapere qualcosa in più sulla prognosi. Possibile che ci voglia tanto tempo ? Laura sembrava svanita nel nulla" m. nei.

1 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985 

Un altro novarese ferito è tornato da Bruxelles, ecco la sua drammatica vicenda

"Mi avevano messo assieme ai morti poi si sono accorti che ero vivo"

di Marcello Sanzo

Enzo Savino, 41 anni, titolare di una pizzeria in corso XXIII Marzo a Novara, è ricoverato all'Ospedale Maggiore con una contusione toracica e alcune costole incrinate - Era con il gruppo di cui faceva parte Mario Spano, il cuoco dell'Autogrill Pavesi rimasto ucciso.

NOVARA - Enzo Savino, 41 anni, titolare di una pizzeria in corso XXIII Marzo, è tornato da Bruxelles con una contusione toracica e alcune costole incrinate. Era uno dei quattro novaresi rimasti coinvolti nei gravissimi incidenti che hanno preceduto la finale della Coppa dei campioni fra Juventus e Liverpool. Un gruppo sfortunato il suo: erano partiti in quattro pregustando lo spettacolo sportivo al quale andavano ad assistere. Sono tornati solo in tre, due dei quali feriti. Il quarto, Mario Spano, una delle vittime dell'assurda strage, è rimasto nell'obitorio di Bruxelles. Savino, appena arrivato a Novara, è stato ricoverato nella divisione di pneumologia dell'ospedale Maggiore, le sue condizioni non sono preoccupanti e dovrebbe rimettersi in pochi giorni. Ma occorrerà parecchio tempo prima che possa riacquistare la serenità. "Quando sono rinvenuto, dopo la terrificante ondata umana che ha travolto me e i miei amici, ero dentro il campo di gioco. Non so come ci sono arrivato. So solo che gli addetti ai soccorsi avevano creduto che fossi uno dei tanti morti e mi stavano allineando assieme ai cadaveri". Gli occhi ancora sconvolti rivedono le immagini ormai impresse indelebilmente nel suo animo. A stento riesce a parlare, sia per lo choc, sia per il dolore al torace: "Ci eravamo sistemati tutti e quattro lontano dalla linea di demarcazione tra tifosi italiani e sostenitori del Liverpool. Temevamo il lancio di oggetti e ci siamo preoccupati di trovare posto al limite della curva, fuori tiro. La sera prima avevamo assistito alle intemperanze degli inglesi per le vie di Bruxelles e volevamo evitare inconvenienti". Con voce rotta dall'emozione Franco Savino ricorda l'improvviso attacco dei forsennati tifosi inglesi: "C'è stata la fuga generale degli juventini che si trovavano a contatto con gli assalitori e questo ha provocato una indescrivibile pressione su quelli che, come noi, erano a ridosso del muretto che delimita la curva, lo stesso che poi è crollato", "La gente calpestava quelli che cadevano, si sentivano urla di dolore, invocazioni di aiuto. Io sono stato trascinato da una corrente che si dirigeva verso il campo e ho perso i sensi. Credo di essere vivo per miracolo. La partita ? No, non l'ho vista: quando mi sono ripreso me ne sono tornato in albergo dove ho atteso gli altri tre. Due sono arrivati subito e assieme abbiamo atteso per tutta la notte Mario Spano. Solo la mattina dopo abbiamo appreso che era morto e abbiamo pianto dalla disperazione. No, non credo che andrò più a vedere una partita di calcio".

1 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985 

I manifesti a lutto del comune: costernazione per la tragedia di Bruxelles

Condanna per i teppisti di Liverpool e rammarico per il giubilo in città

Vessilli bianconeri listati a lutto, ieri sera a Maria Ausiliatrice, dove alle 21 i salesiani, nel corso della messa conclusiva del mese mariano, hanno dedicato ricordi e preghiere alle vittime. La bandiera della squadra era scortata dal direttore tecnico della società, l'ex calciatore Francesco Morini, e da tre giovani sportivi i quali hanno preso posto davanti all'altare, assistendo alla cerimonia celebrata da don Giovanni Sangelli. Nel corso della messa, il sacerdote ha ricordato con poche parole commosse la tragedia di tanti innocenti e sottolineato il particolare cordoglio del cardinale Ballestrero. Esprimendo inoltre una severa condanna per gli assurdi, oltraggiosi festeggiamenti che si sono svolti in centro nella notte di mercoledì scorso. Per strade e piazze, intanto, manifesti listati a lutto ed affissi su iniziativa del Comune dimostrano oggi con la loro ufficiale testimonianza la costernazione e la solidarietà della gran massa dei torinesi. Nel testo, si esprime il dolore della città e si giudica insufficiente e riduttiva qualsiasi generica condanna della violenza sportiva. "L'amministrazione - scrive il sindaco Giorgio Cardetti - ritiene che esistano gravi responsabilità per quanto riguarda l'organizzazione e la predisposizione delle misure di sicurezza e d'ordine pubblico". Il manifesto comunale si chiude infine con severe parole di condanna per il comportamento dei tifosi del Liverpool e ribadisce, condivisa da tutti gli amministratori, l'inopportunità del giubilo seguito ad una competizione che è stata in realtà una sconfitta per tutto il mondo della sport, costituendo un'inammissibile offesa per migliaia di famiglie in ansia per i propri congiunti in trasferta a Bruxelles. Mentre la cronaca amara di queste ore non risparmia purtroppo neppure il settore cittadino dei locali pubblici e di spettacolo, che ha aderito soltanto in minima parte alla chiusura in segno di lutto proposta ufficialmente dal sindaco Cardetti. Neppure il Regio, l'Alfieri e l'Auditorium della Rai, dove ci si è limitati ad un momento di silenzio prima dell'inizio dello spettacolo, hanno sospeso il programma. Alle critiche piovute su questo atteggiamento, le associazioni di categoria avrebbero risposto presentando come giustificazione il ritardo con cui è stato pubblicizzato il provvedimento, precisando inoltre la difficoltà di adeguarvisi causa impegni già presi, che vanno dalle prenotazioni dei clienti ai contratti assunti in precedenza con gli orchestrali.

1 giugno 1985

Fonte: Stampa Sera

ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985 

La Juventus è in vacanza per dimenticare Bruxelles

di Piercarlo Alfonsetti

I giocatori della Juventus sono partiti per una breve vacanza: si ritroveranno soltanto martedì pomeriggio alle 15. Una pausa distensiva ma che sarà inevitabilmente turbata dal ricordo delle tragiche vicende della serata di Bruxelles dove hanno vissuto un giorno trionfale dal punto di vista sportivo ma che verrà ricordato soprattutto con mestizia per il sanguinario fanatismo dei fans inglesi. Nelle dichiarazioni dei giocatori bianconeri, d'altra parte, il pensiero degli sportivi che si sono recati a Bruxelles per sostenerli nella loro fatica e che sono morti, prevale su ogni considerazione di carattere sportivo. Uno dei più colpiti è Tacconi, le sue frasi, pronunciate di getto sull'impeto dell'emozione, sono taglienti. "Stavamo meglio prima - dice il portiere juventino - nel senso che se il prezzo della Coppa dei Campioni doveva essere così elevato e doloroso sarebbe stato meglio restarne senza. Non è retorico affermare che la Coppa se l'è guadagnata chi è caduto, ben più di noi". E così, dopo aver sospirato per tanti anni questa affermazione, la vostra impresa è giunta in coincidenza con un avvenimento tanto tragico da impedirvi di gioire. "Abbiamo festeggiato per un attimo sul campo, a caldo, sullo slancio dell'emozione per il successo che avevamo conquistato ma poi non c'è stato altro perché nessuno si sentiva di gioire". A distanza di tre giorni dalla partita rimbalzano da varie parti del mondo critiche sulla decisione di far scendere ugualmente in campo le due squadre. "Come rispondere ? Considerando la situazione e i sentimenti di tutti dinanzi alla strage che era appena stata consumata, non si sarebbe dovuto giocare. Ma ora, con il senno di poi e valutando i gravissimi problemi di ordine pubblico che una scelta diversa avrebbe comportato, mi sembra di poter dire che i dirigenti dell'Uefa hanno deciso per il meglio". Durante la partita, quando si è trovato nella porta vicino alla curva maledetta, le è successo di gettare lo sguardo verso le gradinate ricoperte di sangue ? Replica Tacconi: "Sì, ogni tanto per istinto mi voltavo a guardare. Uno spettacolo che non dimenticherò facilmente". Con quale animo ha giocato ? "Lo confesso, ero arrabbiato, sconvolto più che concentrato. Bisogna anche tener conto del fatto che mercoledì sera siamo rimasti per oltre un'ora negli spogliatoi senza sapere se avremmo giocato. La tensione era inevitabilmente alta". Mercoledì sera che cosa è successo quando siete rientrati in albergo ? "Niente di particolare. Io non ho neppure cenato. E anche la notte non è stata tanto felice, sono riuscito a riposare soltanto poche ore". Da ogni dove si moltiplicano le proteste nei confronti dei folli tifosi inglesi e le proposte di mettere al bando le società britanniche dal resto d'Europa. Sarebbe una decisione giusta ? "Ritengo che un provvedimento di tal tipo dovrebbe interessare esclusivamente i tifosi. Non vedo perché i giocatori, del tutto innocenti, dovrebbero fare le spese dell'assurdo comportamento dei loro sostenitori".

1 giugno 1985

Fonte: Stampa Sera

ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985 

La curva della morte porta il marchio del racket dei biglietti

di Michele Ruggiero

Una durissima denuncia del presidente dei club bianconeri di Torino, Perruquet: "Bagarinaggio e tagliandi falsi". 

DALLA NOSTRA REDAZIONE. TORINO - "Qualcuno ha gestito i biglietti d'ingresso allo stadio Heysel a proprio uso consumo perché in quel fatiscente impianto vi erano 10 mila presenti al di sopra della capienza ufficiale ? Quando ed a chi sono stati venduti i 30 mila tagliandi assegnati alla Federazione belga ? Per quale motivo la prevendita, che a Bruxelles doveva cominciare il 2 maggio, è risultata un atto formale, mentre già dal giorno successivo nelle strade della capitale belga i bagarini si rigiravano tra le mani mazzette da 400-500 biglietti ? Quale destinazione hanno preso i 2 mila ingressi consegnati alla Federazione Italiana Calcio ? Ed ancora: quali provvedimenti sono stati adottati per impedire la proliferazione dei biglietti falsi ?". Non sono solo interrogativi, insinuazioni. Sono vere e proprie accuse, quelle che raccogliamo da un testimone della allucinante notte appena rimpatriato: Piercarlo Perruquet, popolare presidente dei clubs bianconeri di Torino. A tratti può darsi che Io tradisca l’emozione, ma i dati che riporta sono precisi, dettagliati. Mette il dito sulla piaga; le responsabilità gravi di chi ha organizzato questo finale di Coppa dei Campioni come se fosse soltanto un "business", un affare da cui ricavare il massimo profitto. Piercarlo Perruquet è arrivato a Torino giovedì alle 21.45, con altri 150 tifosi, su uno degli ultimi tre pullman rientrati nel capoluogo piemontese, i cosiddetti "reduci", come qualcuno li ha etichettati toccando impropriamente le corde dell'epica. Sono scesi silenziosi e commossi incontro all’abbraccio dei loro cari. Ma il giorno dopo, puntuale, è giunta la denuncia di chi da un decennio organizza, sotto la propria responsabilità, le trasferte della gente di fede bianconera: duemila soci a Torino, oltre 400 mila in tutta Italia. "D'ora innanzi chiederemo alla Juventus attacca deciso Perruquet - di tener conto delle esigenze dei tifosi e soprattutto della loro incolumità, non accettando a priori la scelta di una sede dove disputare una finale, se questa palesemente inadatta ad ospitare un avvenimento di tale risonanza. La Juventus dovrà tener conto della nostra opinione, anche se questo equivale a rimettere in discussione, il meccanismo di designazione delle sedi in cui effettuare le finali Uefa". La chiamata in causa del massimo organismo europeo del calcio non è arbitraria. Lo scorso anno, ci riferisce il presidente di un club juventino della Svizzera, l’Uefa avrebbe fatto stampare 5 mila biglietti in più della capienza dello stadio di Basilea in cui la Juventus affrontò il Porto per la finale di Coppa delle Coppe. A Bruxelles, secondo i racconti di molti testimoni, le prime avvisaglie di scontri si ebbero proprio a causa dell'eccessivo affollamento nel settore riservato agli inglesi. Ciò significa che non vennero fatti i necessari controlli all'entrata, per assicurarsi che tutti avessero il biglietto. "Nello stadio - conferma Perruquet -  si poteva circolare indisturbati da un settore all'altro. lo ero in tribuna e mi sono subito accorto del pericolo, tanto è vero che mi sono sistemato in un punto di facile evacuazione, nel timore che gli inglesi giungessero fin lì. Altri insistono sull'assurda composizione del pubblico nella grande curva dove i tifosi bianconeri ed i "reds" erano separati da una fragile rete metallica. Chi ha stabilito questa collocazione ? Ricordiamo che lo scorso anno a Roma rinunciarono alla vendita di ben 8.000 biglietti per evitare che nella curva nord dell’0limpico i tifosi del Liverpool entrassero a contatto con quelli della Roma. Perché queste semplici precauzioni non sono state prese a Bruxelles, anche se significava ridurre un poco l'incasso previsto ? Perché si è permesso che gli Juventus Clubs acquistassero i tagliandi di quella maledetta curva grazie all'intervento dei bagarini ? Le autorità belghe sostengono che quel settore era riservato agli sportivi locali, che dovevano svolgere la funzione di "cuscinetto" tra le opposte fazioni... Ma conoscendo la violenza dei "supporters" britannici che non badano alla nazionalità delle vittime quando si scatenano in preda ai fumi dell'alcol, la misura era assolutamente insufficiente. Tanto più che il pubblico locale comprende in queste occasioni qualche migliaio di emigranti italiani. Tiriamo le somme: biglietti falsi, biglietti venduti in soprannumero, "portoghesi". C'erano tutti gli ingredienti per rendere esplosiva la miscela. Anche a prescindere dalla bestialità dei teppisti mescolati ai tifosi del Liverpool. "Inoltre - aggiunge Perruquet - la sorveglianza era stranamente rivolta ai soli italiani. Sono accadute cose strane ed incomprensibili: nel settore esclusivamente juventino (quello opposto alla tragica curva) le bevande venivano rigorosamente distribuite in bicchieri di plastica, mentre dall'altra parte si permetteva agli inglesi di entrare trascinandosi dietro intere cassette di birra in bottiglie di vetro e lattine. Ora qualcuno ha il coraggio di far ricadere la colpa sui clubs. Bene, costoro dimenticano che le nostre organizzazioni hanno ricevuto attestati di stima da parte dei dirigenti preposti all'ordine pubblico nelle finali di Belgrado e di Atene". In altre occasioni avevate allacciato rapporti con i clubs delle squadre avversarie, cosa che in questa occasione non è avvenuta. Perché ? "Per un semplice motivo: gli inglesi non sono organizzati in clubs, ma in bande. E queste non sono interlocutori...". Le sue reazioni a 48 ore di distanza dai tragici eventi ? "Continuo ad essere disgustato ed amareggiato. Per noi inizia un periodo di riflessione, che dovrà necessariamente coinvolgere tutti i clubs di tifosi della penisola, indipendentemente dalla squadra del cuore".

1 giugno 1985

Fonte: L’Unità

ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985 

Sordillo all’Uefa: "Fuori i responsabili"

di Giuliano Antognoli

L’improvvisa convocazione per domani dell’organismo calcistico europeo - Una analoga richiesta avanzata dal Coni - Lunedì un incontro al Viminale tra Scalfaro, Carraro e le leghe calcio per la sicurezza negli stadi italiani e rapporti club-società.

ROMA - La presidenza della Federcalcio aspetterà quanto emergerà dall'Esecutivo straordinario dell'Uefa, che si terrà domani a Basilea, in Svizzera, per poi pronunciarsi in merito alle decisioni che verranno prese. Ma nel corso della conferenza stampa dell'avv. Federico Sordillo, presidente della Figc e membro dell'esecutivo della stessa Uefa, è emerso che se la Federcalcio Italiana non si riterrà soddisfatta, il presidente Sordillo non soltanto rassegnerà le proprie dimissioni dall'Uefa, ma "pretenderà che nelle sedi competenti siano perseguiti con ogni mezzo tutti i responsabili" della tragedia di Bruxelles. Insomma, alla Federcalcio non basta che le squadre inglesi si siano autoescluse per un anno dalle competizioni internazionali, ma pretende che sia fatta giustizia. Sordillo ha anche adombrato l'ipotesi che l’ "autoesclusione" sia un artificio avente lo scopo di "frenare" pene ben più severe da parte dell'organismo internazionale: si potrebbe, cioè, arrivare ad una esclusione per 3 anni o addirittura alla radiazione del Liverpool da ogni competizione internazionale. Sordillo, oltre ad esprimere una volta ancora il suo cordoglio alle famiglie delle vittime, ha chiaramente messo sotto accusa la carenza grave sul piano della prevenzione, da parte delle autorità belghe, le quali dovevano essere messe sull'avviso dal momento che nello stesso stadio, in occasione dell’incontro tra i Belgi dell'Anderlecht e gli inglesi del Tottenham, un tifoso aveva perso la vita. Il presidente non ha comunque inteso mettere sul banco degli imputati la federazione inglese: "Noi abbiamo sempre avuto rapporti cordialissimi con la federazione, ecco perché abbiamo deciso che si giochi Inghilterra-Italia in Messico. Noi - se necessario - siamo comunque a disposizione della magistratura belga, anche attraverso l'opera di nostri avvocati. Si deve andare fino in fondo. Dovete comunque comprendere che il nostro comunicato non dice tutto sulla discussione che c'è stata in presidenza: siamo stati "frenati" dalla decisione dell'Esecutivo Uefa di riunirsi domenica prossima, cioè domani, anziché il 2 luglio, come in un primo momento era stato annunciato". Quindi Sordillo ha reso noto che, per quanto riguarda la sicurezza negli stadi italiani, problema vieppiù all’attenzione generale del Paese, dopo la tragedia di Bruxelles, si svolgerà, lunedì prossimo, al Viminale, una riunione, alla quale saranno presenti il ministro Scalfaro, il capo della polizia, il presidente del Coni, Franco Carraro e i due presidenti delle leghe, Matarrese e Cestani. "Vogliamo - ha detto il presidente - non soltanto continuare in quell'opera di collaborazione che ci ha permesso di organizzare, l’anno scorso, la finale Roma-Liverpool dove non si verificarono incidenti (e ne do atto anche alla Roma-società), ma anche passare al setaccio i rapporti tra club e società". Quanto all’Esecutivo Uefa, Sordillo ha dichiarato che, essendo parte in causa, lui non vi prenderà parte "ma - ha soggiunto - aspetto che vengano indicati i responsabili, dopo di che potrò pronunciarmi: cioè se mi riterrò soddisfatto o no". Essendo il primo caso verificatosi nella storia del calcio intendiamo riferirci all’autoesclusione delle inglesi, che priverà di sei compagini, tra Uefa, Coppa delle Coppe e Campioni, - sarà la Fifa (il massimo organismo del calcio) a prendere le misure del caso (potrebbe verificarsi anche il ripescaggio di qualche squadra italiana In Uefa). In mattinata il Coni, per bocca del suo presidente Franco Carraro, aveva espresso la sua condanna in modo netto: "Solidarietà con i parenti, pieno appoggio alle iniziative che prenderà la Federcalcio". Poi ha continuato: "Erano incidenti evitabilissimi. Ci lascia perplessi il fatto che le esperienze precedenti fanno pensare che con una preparazione più attenta questa tragedia poteva essere evitata. Le responsabilità vanno accertate a livello di Esecutivo Uefa che ha scelto lo stadio, di Federazione belga che doveva curare la parte organizzativa e di Commissione di controllo Uefa. Chi ha sbagliato paghi" - ha concluso il presidente Carraro.

1 giugno 1985

Fonte: L’Unità

ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985 

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