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ARTICOLI 1.06.1985 (ESTERO)
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ARTICOLI STAMPA ESTERO 1.06.1985
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1.06.1985
ARTICOLI STAMPA ESTERO 1.06.1985

Ritirate le squadre inglesi dalle Coppe per un anno

"Ma la coppa non si tocca"

L'etologo Morris: "Da emarginati a teppisti"

II rischio del tifoso

Dai bianconeri in azzurro solo un duro comunicato

Cabrini: "Nessuna combine abbiamo giocato per forza"

L'U.E.F.A. denuncia tv belga

I retroscena della vergogna

La decisione dei dirigenti dopo l’incontro con la Thatcher

Ritirate le squadre inglesi dalle Coppe per un anno

di Paolo Patruno

"Rimettiamo ordine nel nostro calcio" - Ma la Lega inglese: "Il danno economico è grave".

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE. LONDRA - Per almeno un anno le bande di "hooligans", i tifosi-teppisti del calcio inglese, non dilagheranno più in Europa come i "nuovi barbari del 2000". La strage di Bruxelles è servita almeno a questo. L'associazione del football inglese ha annunciato ieri pomeriggio, dopo un incontro a Downing Street con il primo ministro signora Thatcher, un'autosospensione valida per i sei club che nella prossima stagione avrebbero dovuto partecipare alle Coppe europee. "Per il nostro calcio è arrivato il momento di rimettere ordine in casa propria", ha spiegato il presidente della Football Association Bert Millichip, rientrato d'urgenza dal Messico per rispondere alla brusca convocazione del premier. In precedenza, il Liverpool aveva già annunciato il suo volontario ritiro, per la stessa durata, dalle competizioni sul continente. Margaret Thatcher, che fin dalla sera della strage aveva caldeggiato le misure più severe, ha commentato positivamente l'annuncio: "è una decisione giusta. Ci sono stati così tanti morti, cosi numerosi feriti causati dall'azione di nostri connazionali che erano indispensabili decisioni e misure della massima severità. L'Inghilterra intera è sgomenta per quanto è accaduto e ha chiesto provvedimenti severi, dopo questa settimana nera per il nostro Paese. Quello che è accaduto mi ha profondamente preoccupata per la reputazione dell'Inghilterra nel mondo". L'autosospensione annunciata dall'associazione calcistica in realtà ha soltanto anticipato un'analoga decisione attesa dall' Uefa. L'annuncio della Football Association ha comunque innescato reazioni contrastanti. Un deputato conservatore, Richard Alexander, ha preannunciato un disegno di legge per un bando decennale delle squadre inglesi. Ma l'autosospensione è stata invece aspramente criticata dalla Lega calcistica, la quale ha messo in rilievo le gravi difficoltà finanziarie in cui si troveranno club come l'Everton, Manchester United e lo stesso Liverpool a causa dei mancati introiti delle partite internazionali. Le polemiche che scuotono l'Inghilterra a 48 ore dal massacro nello stadio di Heysel non sono comunque limitate soltanto all'aspetto sportivo. Le accuse del presidente del Liverpool John Smith contro gli attivisti del gruppo estremistico parafascista "National Front" hanno avuto larga risonanza e hanno trovato anche qualche riscontro obiettivo. L'infiltrazione di questo gruppo estremistico nelle frange più violente della tifoseria a quanto pare era un "fenomeno conosciuto sia dalla polizia che dalla stampa". Ieri i giornali parlavano di precedenti "imprese squadristiche" compiute da bande di tifosi-teppisti militanti nel "National Front" ad Helsinki durante la partita Finlandia-Inghilterra (cento arresti negli scontri) e in occasione degli incontri di due club, l'Aston Villa e il Chelsea. Il National Front ha respinto seccamente queste accuse anche con una telefonata al nostro giornale di condanna delle violenze. E per chi ha seguito alla tv le sequenze degli attacchi dei fans del Liverpool nello stadio di Bruxelles, pare un'ipotesi azzardata attribuire soltanto ad un ristretto numero di attivisti neofascisti la responsabilità di scontri alimentati in realtà da centinaia di tifosi ebbri di alcol e di violenza. A questo tentativo di autodifesa o almeno di limitazione delle responsabilità, si è abbinata nelle ultime ore anche un'insidiosa campagna sviluppata dalla tv commerciale "ITV" che ha tratto dal filmato della partita i fotogrammi in cui si scorge confusamente un tifoso con un'arma in mano. Subito è scattata l'accusa che i sostenitori juventini a Bruxelles hanno sparato, rilanciata dalla pubblicazione in prima pagina sull'ultraconservatore "Daily Telegraph" di una foto tratta dallo stesso filmato. Ma la tv si è dimenticata finora di aggiungere che la polizia belga ha già chiarito che l'arma in questione era una scacciacani. Il tono generale dei commenti resta comunque improntato a un senso di riprovazione per le violenze innescate dai fans inglesi per le quali "non ci possono essere scuse" come scrivono i giornali. I giornali prevedono l'estensione dell'uso dell'apparecchio che misura il grado di alcol nel sangue degli automobilisti anche agli spettatori degli stadi.

1 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ESTERO 1.06.1985 

Secche smentite del Liverpool: "partita truccata" afferma la tv belga".

di Guido Passalacqua

"Il risultato della finale della Coppa dei campioni tra la Juventus e il Liverpool è stato deciso a tavolino": l'ha affermato ieri sera con grande risalto, la radiotelevisione belga francofona "Rtbf", nel principale telegiornale, citando "fonti sicurissime". L'esito della partita sarebbe stato deciso in una riunione fra responsabili dell'organizzazione della finale, cui avrebbe partecipato anche l'arbitro svizzero. Si ignora quali siano le fonti cui la "Rtbf" fa riferimento. La pesante insinuazione è stata categoricamente smentita sia dai dirigenti del Liverpool sia dalla Federcalcio belga. "Possiamo categoricamente smentire. E' assolutamente fuori questione che possa essere stata concordata una cosa del genere. E' solo una storia sensazionalistica", ha replicato Peter Robinson, dirigente del club inglese. Il presidente dell'Unione calcistica europea ha intanto annunciato che la riunione del comitato esecutivo dell'Uefa, che si doveva tenere il prossimo 2 luglio, è stata anticipata a domani. All'ordine del giorno dell'incontro c'è l'esame delle responsabilità nella strage dello stadio di Heysel, stadio che non ospiterà più - come ha deciso la Federcalcio belga - la finale del campionato nazionale. L'Associazione svizzera di calcio vorrebbe organizzare, in collaborazione con l'Uefa, un incontro di calcio, il cui incasso andrebbe ai familiari delle vittime di Bruxelles. Il match dovrebbe opporre una squadra mista formata da giocatori del Liverpool e della Juventus a una selezione europea. L'associazione ha precisato di essere disposta a organizzare l'incontro "sul territorio neutro della Svizzera". Ieri Roma si è intanto riunita la Giunta esecutiva del Coni che ha assicurato "il pieno appoggio alla Federcalcio per tutte le iniziative conseguenti dai dolorosi avvenimenti di Juventus-Liverpool". "Il calcio - ha detto il presidente del Coni Carraro - deve proseguire serenamente la sua attività". E' stato inoltre creato un gruppo di lavoro misto protezione civile-Coni per lo studio degli interventi urgenti utili a prevenire ogni rischio in occasioni delle manifestazioni sportive. Carraro ha poi sottolineato la superficialità dell'organizzazione belga: "La tragedia è resa ancora più amara dalla sensazione che gli incidenti, con una attenta preparazione, sarebbero stati evitati. Da essa la Juventus, che tra l'altro non voleva giocare la partita, è totalmente estranea. Della vittoria non può gioire, ma neanche rinunziare alle conseguenze pratiche di questa vittoria". Cioè alla Coppa.

1 giugno 1985

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI STAMPA ESTERO 1.06.1985 

L'etologo Morris: "Da emarginati a teppisti"

ROMA - Sulla strage di Bruxelles, Desmond Morris, il massimo specialista britannico di etologia, la scienza che studia il comportamento degli animali, è stato intervistato dall' "Espresso". Morris, autore anche di uno studio sulle "Tribù del calcio", sostiene che in Gran Bretagna i tifosi "sono nella massima parte giovani dei ceti a reddito più basso, domiciliati nei quartieri più squallidi delle città e quindi con una forte carica di risentimento".

1 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ESTERO 1.06.1985 

II rischio del tifoso

di Giuseppe Alberti

Chi si occupa di statistica in materia di infortunio, non ha ancora considerato ufficialmente il rischio di chi assiste a manifestazioni sportive. Eppure la tragedia di Bruxelles non è un caso isolato ed ha avuto non pochi precedenti anche nel nostro Paese. Fino ad oggi le compagnie di assicurazioni si sono preoccupate dei rischi per chi fa sport attivo e, quindi, garantiscono solo su richiesta parecchie attività (come alpinismo, pesca subacquea non in apnea e altri sport pericolosi), anche se non praticate in sede agonistica. Per gli spettatori in possesso di una polizza infortuni, invece, non vi sono limitazioni. Pertanto in caso di crollo di tribune, di incendio, di lesioni subite per essere calpestati dalla folla, la normale polizza infortuni è operante. Il problema diventa assai più complicato in caso di aggressione e relative conseguenze; In genere vi è un'esclusione che riguarda le risse, salvo che risulti chiaramente l'estraneità della vittima o l'avere agito per legittima difesa. E, in questo caso, possono quindi sorgere complesse controversie fra compagnia e assicurato. Per ciò che riguarda invece eventuali responsabilità degli organizzatori di manifestazioni sportive e dei proprietari di stadi, almeno nel diritto italiano, non si tratta di attività definite "pericolose", in cui si presume sempre una responsabilità di chi organizza, occorre che si accerti una precisa colpa come, ad esempio, quando una struttura crolla perché mal progettata o priva di manutenzione, quando si sono ammessi spettatori al di là dei limiti di agibilità, quando non si sono rispettate le misure di sicurezza obbligatorie. In simili casi un'eventuale polizza per la responsabilità civile dell'organizzatore o del proprietario, deve scattare. Con quale velocità ciò possa avvenire è facile immaginare: si pensi che per il rogo dello Statuto non si è ancora giunti ad un dibattito di primo grado, a cui, probabilmente, seguiranno, ad anni di distanza, cause in appello e Cassazione. Qualcuno si chiederà se il club del Liverpool o qualche associazione di tifosi potranno essere condannati a risarcire i danni. L'ipotesi appare del tutto da scartare per quanto concerne la squadra e quasi altrettanto per i club dei sostenitori, a meno che qualche indagine dimostri una vera e propria organizzazione delle aggressioni. Nel campo sportivo esistono casi di cosiddetta "responsabilità oggettiva", cioè di punizioni come multe e squalifiche di campo per il comportamento del pubblico, ma è chiaro che queste norme non possono assolutamente essere trasferite fuori dall'ambito del regolamenti delle associazioni o leghe.

1 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ESTERO 1.06.1985 

di Carlo Coscia

NAZIONALE. Occhi puntati più sull'arrivo di Scirea, Rossi, Cabrini e Tardelli che non al match di domani col Messico.

DAL NOSTRO INVIATO. CITTA' DEL MESSICO - Stanchi, tesi, niente affatto ben disposti ad accoglienze festose, i quattro bianconeri sono sbarcati la scorsa notte a Città del Messico per unirsi alla squadra azzurra. Venivano dall'incubo di Bruxelles, apparivano sfatti per mille dolori. Rossi, Tardelli, Cabrini e Scirea: assalto di telecamere e taccuini, fotografi scatenati, ressa e confusione. Tutti volevano sapere, conoscere emozioni e impressioni, capire perché. Ma nessuno ha fatto domande. I quattro, seguiti da una folla sempre più numerosa hanno chiesto di avere una sala a disposizione. Dovevano leggere una dichiarazione. Tardelli era in divisa e sembrava il più commosso. Cabrini e Scirea tacevano, Rossi, il più famoso qui in terra messicana, si sforzava di tenere a bada il folto gruppo dei cronisti. Poi, sotto la luce calda delle telecamere. Paolo Rossi ha letto la dichiarazione. E subito c'è stato il silenzio. Parole forti, parole belle. Eccole: "Preferiamo non fare commenti tecnici di una partita giocata soprattutto per gravi motivi di sicurezza. E poi questi commenti tecnici sarebbero assurdi data l'ampiezza della tragedia. Noi non volevamo giocare per rispetto dei nostri compatrioti morti. Ce l'hanno imposto, a noi e al Liverpool, i dirigenti Uefa e le autorità di polizia belga. Una volta in campo, e soprattutto in occasione del gol, abbiamo intuito che il pubblico, anche quello italiano, era completamente all'oscuro delle dimensioni della tragedia. Abbiamo quindi dovuto giocare per gli spettatori dello stadio con una responsabilità gigantesca, quella di evitare altri più gravi incidenti. E la nostra responsabilità è stata aggravata da una inspiegabile latitanza, soprattutto a fine partita, delle autorità sportive internazionali che pure ci avevano ordinato di giocare. Basti pensare che la Coppa Campioni ci è stata consegnata dai funzionari Uefa nello spogliatoio. Non sapevamo cosa fare. Onorare le vittime ? Dirigersi sul luogo del disastro e magari eccitare maggiormente gli animi ? Oppure recitare fino in fondo la nostra parte ? Perché questo dopo tutto chiedeva il pubblico, ignaro della portata della tragedia. Ma l'abbiamo fatto con la morte nel cuore. Speriamo che nessuno ci chieda più una cosa del genere. Mai più. Adesso l'unica cosa da fare, il nostro pensiero è per i nostri morti, i nostri feriti, le famiglie delle vittime, la loro angoscia, il loro dolore e i loro problemi. Lanciamo un appello alle autorità sportive italiane e internazionali perché si organizzi subito una grande partita di calcio fra la Juventus ed il meglio del calcio mondiale il cui incasso sia devoluto alle famiglie delle vittime". I quattro bianconeri avevano deciso in aereo, fra Bruxelles e lo scalo di Atlanta, di fissare sulla carta il loro pensiero. Avevano telefonato in Italia, prima della partenza, si erano resi conto che milioni di persone avevano vissuto in diretta l'immane tragedia e meritavano almeno una spiegazione. E loro hanno spiegato perché hanno dovuto giocare e come, chiedendo di essere capiti e augurandosi che nessuno, in futuro, abbia più a chiedere loro di vivere una simile esperienza. "Spero che il mondo si ricordi sempre di Bruxelles", ha detto Tardelli guardando fisso le telecamere. E Cabrini e Scirea, insieme, hanno aggiunto: "Non abbiamo fatto il giro del campo con la Coppa, non abbiamo festeggiato. Siamo andati semplicemente sotto la curva dei tifosi perché ci eravamo resi conto che il pubblico non conosceva le dimensioni reali della tragedia". "Anche noi, all'inizio, non avevamo capito - ha concluso Rossi - eravamo negli spogliatoi, c'è stato il ritardo, sono cominciate ad arrivare notizie, prima confuse e via via sempre più terribili. Non sapevamo cosa fare: una serata che non riuscirò mai a dimenticare".

1 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA ESTERO 1.06.1985 

Cabrini: "Nessuna combine abbiamo giocato per forza"

di Carlo Coscia

DAL NOSTRO INVIATO. CITTA' DEL MESSICO - Domani c'è il Messico, ma nessuno ne parla. Altri sono i discorsi e il calcio giocato non c'entra: l'auto esclusione delle squadre inglesi dalle Coppe europee, l'attesa per le decisioni dell'Uefa sul Liverpool, le illazioni della tv belga sulla partita di Bruxelles concordata, le dichiarazioni dell'arbitro Daina sulla propria convinzione di aver diretto un incontro non valido ai fini del risultato. I morti di Bruxelles non sono stati scordati, adesso tutti si aspettano che sia fatta giustizia. Antonio Cabrini, giunto l'altra notte a Città del Messico con Rossi, Tardelli e Scirea, ha esposto il suo punto di vista su tutti i temi in discussione. E l'ha fatto in maniera vibrante, dilatando e specificando i contenuti del comunicato, bello e duro, che lui e i compagni della Juventus si erano sentiti in dovere di scrivere in aereo per spiegare al mondo la tragedia di Bruxelles vista e vissuta dai giocatori in campo. "Mi dispiace molto per i colleghi inglesi, sì, devo chiamarli così - ha esordito Cabrini a proposito dell'auto esclusione dalle Coppe - perché non hanno assolutamente colpa di quanto è accaduto. Il calcio inglese, sul terreno di gioco, è fra i più corretti d'Europa. Ma esiste una regola, applicata anche in Italia, che riconosce la responsabilità oggettiva delle società per gli atti di teppismo dei loro tifosi. E qui ci sono stati 40 morti, una tragedia. Dunque credo che il provvedimento sia corretto anche se i provvedimenti veri andavano presi prima. Le autorità belghe non hanno saputo valutare la situazione, non hanno adottato misure adeguate, hanno peccato insomma di colpevole inefficienza. Eppure tutti conoscevano i tifosi inglesi, recidivi alla violenza, e tutti sapevano che una finale di Coppa, contro gli italiani, sarebbe stata carica di pericolosissime tensioni. Ma queste sono solo parole, restano i morti e le famiglie dei morti, alle quali purtroppo è difficile dare aiuto e conforto". "Per quanto riguarda le voci su una partita concordata - ha continuato Cabrini - lo nego assolutamente. Negli spogliatoi, prima dell'incontro, non ho visto alcun dirigente Uefa. E noi della Juventus, giocatori e dirigenti, non volevamo giocare. Siamo stati costretti a farlo, e in fondo penso sia stata la soluzione migliore. I tifosi ci hanno chiesto di giocare anche per i morti. In caso contrario forse ci sarebbe stata una caccia all'uomo, forse la tragedia sarebbe stata ancora più terribile". "A me non importa sapere cosa pensava l'arbitro - ha continuato Cabrini - so cosa pensavamo noi giocatori. Quando siamo scesi in campo, non l'abbiamo fatto convinti che la partita servisse solo a dar tempo alle forze dell'ordine per attuare i loro tardivi piani di sicurezza. Siamo scesi in campo per vincere la Coppa Campioni con quaranta morti nel cuore. Sarei disonesto se non riconoscessi di aver lottato per vincere una coppa che la Juventus aveva inseguito vanamente per tutta la sua storia. Si possono dire tante cose ora, però bisognava essere in campo a vivere momenti che non saprò mai dimenticare. Ma qualcuno ha scambiato la nostra voglia di vincere, e sì, anche la nostra soddisfazione per la vittoria, per una mancanza di sensibilità e di cuore: e questo è falso e offensivo e umiliante. E se anche la Juve restituisse la Coppa, non cambierebbe niente perché il gesto non restituirebbe i morti alle loro famiglie". Cabrini ha detto tutto questo ieri nel ritiro azzurro, mentre i compagni tornavano dall'allenamento e Bearzot, ancora febbricitante, accoglieva Bobby Robson e la delegazione inglese venuti per esprimere il loro profondo rammarico per l'accaduto e il loro totale disprezzo per i teppisti che ne sono stati la causa.

1 giugno 1985 

Fonte: Stampa Sera

ARTICOLI STAMPA ESTERO 1.06.1985 

L'U.E.F.A. denuncia tv belga

BERNA - L'Uefa ha annunciato l'intenzione di compiere passi legali contro la televisione belga per le sue affermazioni secondo cui il risultato della finale di Coppa del Campioni tra Juventus e Liverpool sarebbe stato truccato per evitare ulteriori incidenti. In una dichiarazione diffusa oggi a Berna l'Uefa ha detto di essere gravemente "offesa" per quanto ha sostenuto "senza alcuna base di fatto" la televisione belga. Il giornalista della televisione belga di lingua francese Jean-Jacques Jaspers ha detto ieri sera che dopo gli incidenti nei quali hanno perso la vita trentotto spettatori, alcuni dirigenti del calcio europeo e l'arbitro svizzero Daina si erano riuniti per decidere di facilitare la vittoria della Juventus. Tutti gli interessati hanno respinto decisamente le accuse.

1 giugno 1985 

Fonte: Stampa Sera

ARTICOLI STAMPA ESTERO 1.06.1985 

I retroscena della vergogna

di Michele Serra

Scirea, Rossi e compagni "Usati come burattini". La clamorosa denuncia dei nazionali della Juventus giunti a Città del Messico. "Ci hanno imposto di giocare ma alla fine i dirigenti dell’Uefa non c'erano più". Perché scesero in campo.

CITTA’ DEL MESSICO - "Mentre lo stadio era in piena tragedia, l’unica vera preoccupazione delle massime autorità della Uefa era di fare svolgere a qualunque costo la partita, per salvare l'incasso di un miliardo e mezzo e per non avere grane con gli sponsor dell’eurovisione. Alle 0.15, quando mezzo mondo aveva visto tutto e sapeva tutto, quando in tribuna stampa e nei corridoi già si sapeva degli oltre quaranta morti, i dirigenti della Uefa, riuniti con tutte le autorità, parlavano della "possibilità di qualche vittima". È stata un'esperienza penosissima, umiliante. Non ho mai visto tanto cinismo, tanta ipocrisia tartufesca. Una grande tragedia è stata gestita da piccoli uomini. Piccoli soprattutto moralmente". Il mio interlocutore è una figura di primissimo piano del potere sportivo italiano. Un testimone autorevole e attendibile. Dal suo racconto, e da un'infinità di altri particolari, l'orrenda notte di Bruxelles si copre di una ulteriore patina di vergogna, e forse la peggiore di tutte: quella di una classe dirigente non solo inetta, impreparata, incapace di gestire la polveriera miliardaria chiamata calcio. Ma soprattutto vile e cinica. Aggettivi che usiamo con responsabile tranquillità, perché sono gli unici adatti. All'improvvisato summit "tra l'altro iniziato con inaudito ritardo rispetto al necessario (la carneficina è avvenuta alle 19.20; la discussione "ufficiale sul da farsi è iniziata dopo le 20.30) partecipavano tra gli altri il presidente dell'Uefa, il francese Georges, e il vicepresidente, Io svizzero Baungerter; il borgomastro di Bruxelles e il capo della polizia; i ministri italiani De Michelis e Nicolazzi; il presidente della Federcalcio Sordillo; il presidente della Juve Boniperti e quello del Liverpool. Nessuna traccia, per tutta la serata, del ministro degli Interni belga, che si è limitato a far sapere attraverso un suo sottoposto che era necessario far disputare la partita per prendere tempo e consentire all’esercito di organizzare vigilanza e soccorsi. II gruppo degli italiani insisteva per non far disputare la partita. De Michelis, Sordillo e Boniperti in testa. Da notare, tra l'altro, che De Michelis era arrivato a Bruxelles con l'aereo personale di Agnelli, assieme a Luca di Montezemolo, al presidente del Coni Franco Carraro e allo stesso Avvocato. E che il ministro è l'unico che si sia sentito in dovere di entrare ugualmente allo stadio per capire di persona che cosa stesse succedendo, mentre gli altri tre (che, fino a prova contraria, sono rispettivamente il responsabile dell'organizzazione dei Mondiali di calcio del 1990, la massima autorità sportiva italiana e il padrone della Juventus, nonché "uomo-simbolo" della classe dirigente italiana), gli altri tre, dicevamo, non si sono fatti vedere. Paura o distrazione, giudichino i lettori. Ma torniamo al summit. Gli italiani insistono: non si può giocare con quaranta morti ammucchiati a pochi metri dal campo. Ma devono arrendersi alle pressioni concentriche dell'Uefa e delle autorità belghe. De Michelis ha un durissimo battibecco con il borgomastro di Bruxelles, il cui atteggiamento arrogante e indisponente si spinge al punto di volere ridurre gli incidenti a "scontri tra opposti teppismi". Da ricordare che il borgomastro aveva minacciato l'arresto (improbabile) di De Michelis. Più corretto il capo della polizia, che attribuisce - come è evidente anche ai ciechi - agli hooligans inglesi ubriachi la responsabilità degli eventi. Boniperti, nell'eventualità che la partita non venga disputata, chiede che le dichiarazioni del capo della polizia siano rese ufficiali in vista di eventuali decisioni della giustizia sportiva. Ma il borgomastro non ne vuole sapere. L'insistenza dei belgi e dell'Uefa ha la meglio, anche perché gli italiani, e soprattutto De Michelis, si convincono che è meglio non contrastare i già confusi piani delle autorità locali per non peggiorare la situazione. Si gioca, e questo lo avete potuto vedere tutti in televisione. Quello che non avete potuto vedere è la fuga indecorosa dei capoccioni della Uefa dieci minuti prima della fine della partita. Neanche quel minimo di coraggio civile necessario per consegnare di persona, come richiederebbe il protocollo, quella coppa insanguinata che essi stessi avevano voluto mettere in palio a tutti i costi. "Prendi i soldi e scappa": questa, nient'altro che questa, è stata la parte recitata il 29 maggio 1985 dai principali responsabili della tragedia, che hanno organizzato una finale incandescente in uno stadio piccolo e strutturalmente decrepito, fregandosene delle migliaia di biglietti falsi stampati, fregandosene dell'incolumità del pubblico, fregandosene delle vittime e dei tremendo lutto, fregandosene di sollecitare le forze dell'ordine affinché facessero il loro dovere. Quanto ai belgi, l'iracondo borgomastro di Bruxelles e il capo della polizia dovrebbero spiegare all'opinione pubblica di tutto il mondo, e soprattutto a quella italiana, così duramente colpita, le seguenti cose: 1) perché i tifosi inglesi (e anche molti ultras italiani) hanno potuto entrare allo stadio con tascapani pieni di sassi, bottiglie e coltelli, quando è risaputo che la prima misura di sicurezza, in questi casi, consiste nel perquisire gli spettatori; 2) perché a dividere gli inglesi dagli italiani, nella curva della morte, c'erano solo i quattro o cinque poliziotti; 3) perché la polizia è intervenuta in forze solo mezz'ora dopo la strage; 4) che cosa aspettano a dimettersi. L'altro capitolo delicato è quello che riguarda i calciatori. Abbiamo fatto il viaggio da Bruxelles a Città del Messico, un viaggio interminabile e denso di riflessioni, assieme a Rossi, a Tardelli, a Scirea e Cabrini. Giovedì mattina, all’aeroporto di Bruxelles, frastornati dai cacciatori di autografi ancora straniti dall'incredibile notte nello stadio Heysel, i quattro campioni del mondo ci sono sembrati molto sulla difensiva. "Craxi voleva che non si giocasse ? Ma Craxi allo stadio non c'era. Che cosa ne può sapere Craxi ?". E Tardelli, il più "duro nel difendere la necessità di disputare comunque la partita, aggiungeva: "Non dovevamo esultare con la coppa in mano ? Anche queste sono cose che dice solo chi non ha mai provato a vincere una Coppa del Campioni". Frasi, tutto sommato, inopportune. Ma bastava poco per accorgersi che l'atteggiamento quasi intransigente dei quattro (tra i quali il più scosso, comunque, ci è sembrato Scirea) era dettato soprattutto dall'incertezza, dal nervosismo, dal disagio di un ruolo diventato così sgradevole e difficile, quello dei campioni miliardari che fanno festa a ridosso del cadaveri. Poi arrivavano i primi giornali italiani, i titoli indignati, drammatici, le foto spaventose dei morti, della curva ricoperta di stracci, bandiere, vestiti, sangue. Una curva che i calciatori della Juve non avevano ancora potuto vedere, perché, quando erano entrati in campo alle 20.30 di propria spontanea iniziativa, erano andati a calmare gli ultras juventini assiepati sulla curva opposta. E con il decollo dell'aereo è arrivato il momento di pensarci sopra con calma. Il viaggio è stato molto lungo, diciotto ore. Tempo per riflettere ce n'era. Per discutere tra loro, e con noi giornalisti e con qualche amico, come Gianni Minà che non nascondeva la sua indignazione per quella assurda sceneggiata nello stadio della morte. Ne è uscito un documento, firmato dai quattro nazionali juventini, che nel suo piccolo è una pietra miliare nella storia del costume italiano. Forse timido e impacciato nella forma, ma molto esplicito nella sostanza che è questa: "Noi non volevamo giocare. Ci hanno costretti i dirigenti dell'Uefa, che poi sono scappati. Non siamo burattini, smettetela di usarci". Nessuno, tranne i passeggeri del volo, sapevano della presa di posizione dei quattro reduci della guerra di Bruxelles. Appena sbarcati all’aeroporto di Città del Messico, i quattro, stretti d'assedio da torme di giornalisti e fotografi italiani e messicani, hanno letto il comunicato sotto lo sguardo sorpreso e preoccupato di De Gaudio, capo delegazione degli azzurri in questa spedizione pre-mundial. Ecco i passi salienti del documento. "Non volevamo giocare per rispetto del nostri compatrioti morti. Ce lo hanno imposto, a noi e al Liverpool, i dirigenti Uefa e le autorità di polizia belga. Una volta in campo, e soprattutto in occasione del gol, abbiamo intuito che il pubblico, anche quello italiano, era completamente all'oscuro delle dimensioni della tragedia. Abbiamo quindi dovuto giocare per gli spettatori dello stadio, con una responsabilità gigantesca: quella di evitare più gravi incidenti. E la nostra responsabilità era ulteriormente aggravata da una inspiegabile latitanza - verificatasi soprattutto al termine della partita - delle autorità sportive internazionali che pure ci avevano ordinato di giocare. Basti pensare che la Coppa del Campioni ci è stata consegnata da un anonimo funzionario all'interno degli spogliatoi. Speriamo che nessuno ci chieda più una cosa del genere. Mai più. Adesso l'unica cosa da fare - prosegue il documento - l'unico nostro pensiero è per i nostri morti, i nostri feriti, le famiglie delle vittime, la loro angoscia, il loro dolore, i loro problemi. Lanciamo un appello alle autorità sportive italiane e internazionali perché si organizzi subito una grande partita di fratellanza tra la Juve e il meglio del calcio internazionale, il cui incasso sia devoluto alle famiglie delle vittime". "I calciatori - dice Gianni Minà, molto vicino e non da ora a Rossi, Cabrini e Tardelli - sanno benissimo, meglio di quanto creda la gente, che il loro ruolo è spesso quello di burattini miliardari. Ma hanno paura di dirlo, e soprattutto non hanno gli strumenti culturali per difendersi. Cultura borghese e cultura proletaria gli sono ugualmente estranee. Difendono il proprio ruolo sociale come possono, magari a costo di sembrare indifferenti: credo che siano ormai gli unici, in Italia, ad aver paura di dire per chi votano. Ma prima di giudicarli bisogna capirli, comprenderne il ruolo sociale, le ragioni, e i grandissimi problemi umani". In questo caso, comunque ci sembra che di tutti i protagonisti della terribile finale di Bruxelles, i calciatori siano i meno colpevoli. Molti non potranno mai perdonare loro, e si capisce, le scene di esultanza, il comportamento stridente con la serata di lutto, la parte fastidiosa recitata sino in fondo con apparente convinzione. Ma ai quattro nazionali juventini va riconosciuto, almeno, il coraggio di avere riflettuto e di avere finalmente espresso un'opinione. Per un calciatore non è poco, ed è comunque tanto nei confronti del niente, e del peggio di niente, che hanno fatto gli altri, i veri padroni del calcio.

1 giugno 1985

Fonte: L’Unità

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