BRUXELLES 29 MAGGIO / LA COPPA INSANGUINATA
Un gruppo di criminali
di Liverpool ha tramutato in tragedia la finalissima fra
i "reds" e la Juve bruciando decine di vite sull'altare
dello sport.
OLOCAUSTO
di Italo Cucci
La strage dell'Heysel
deve insegnare molto anche al calcio italiano. Le
responsabilità degli Inglesi, dell'UEFA, degli
organizzatori e della polizia del Belgio. È giusta la
punizione dei club inglesi innocenti ? La Coppa deve
restare a Torino: con l'impegno di rivincerla subito.
I giorni che passano
sembrano allontanarci dalla tragedia di Bruxelles, ma
gli occhi e il cuore la trattengono, rifiutando
d'accostarsi ancora al calcio, allo sport che ha
rallegrato tanti anni della nostra vita. Il
compiacimento tante volte esternato d'essere testimoni
d'un mondo diverso, negato alle quotidiane amarezze
dell'esistenza, forse infantile perché legato a un gioco
dato più agli innocenti entusiasmi che alle passioni
bestiali, quella sorta d'orgoglio che ci ha nutrito
negli anni s'è spento nell'allucinante serata
dell'Heysel quando abbiamo ritrovato orrori e lacrime
dimenticati e il senso d'inutilità del nostro sogno. Non
vi dirò - altri lo faranno - lo sgomento di quelle
lunghe ore d'assedio in uno stadio in cui s'era aperta
una voragine d'inferno; non mi dilungherò sulle visioni
atroci offertesi ai miei occhi quando ho intuito che
dalla massa terrificata del settore Z doveva essersi
librata la morte e sono andato a cercarla fra corpi
smembrati e feriti, fra volti spentisi in una maschera
di paura, fra le lacrime mute o disperate dei
sopravvissuti che invocavano vita per gli amici o i
parenti massacrati. Le ore trascorse da quella sera non
hanno lenito il dolore ma attenuato l'ira e l'odio.
Ho odiato con tutte le
mie forze l'orda selvaggia di Liverpool, quei lupi
ubriachi che si sono gettati con furia sanguinaria sugli
agnelli indifesi del maledetto settore Z, tutta gente
tranquilla, estranea alle ben note risse del calcio,
desiderosa solo di vivere qualche ora di svago. Ho
odiato l'imbelle, impotente e arrogante polizia belga
che, incapace di prevedere il pericolo costituito dai
"reds", s'è disfatta nel caos ai primi incidenti, ha
voltato vilmente le spalle agli "animals" scatenati, è
risultata pressoché nulla nell'opera di soccorso, ha
esibito una grinta da operetta nel tentativo di
riprendere il presidio del campo, ha dovuto chiedere
infine ai calciatori della Juve e del Liverpool
l'agghiacciante esibizione dell'Heysel per evitare una
più grande carneficina. Voglio dire a chi non c'era e
tuttavia ha straparlato, ha sentenziato, ha criticato
sciorinando accenti demagogici e imbecilli: tacete, voi
che non c'eravate, voi che non avete vissuto quelle ore
di paura, voi che non potevate capire quale rabbia
omicida stesse montando fra le migliaia di italiani
confinati nella curva juventina, gente che avrebbe certo
spazzato via dall'Heysel, dai suoi dintorni, i "reds"
vigliacchi, aggiungendo strage a strage. E invece,
grazie a Platini e a Grobbelaar, a Cabrini e a Wark, a
tutti quei ragazzi che sono scesi sul tappeto
sconsacrato dell'Heysel, la paura s'è spenta, altre
ansie - magari incoscienti - si sono accese, e nuovi
sorrisi - ancorché folli - sono tornati sui volti della
gente. E alla fine, quasi per miracolo, come esorcizzati
dallo stesso nostro odio, gli "animals" sono scomparsi.
Mentre la Juve improvvisava un macabro trionfo essi
venivano rigettati verso la Manica, verso una sicurezza
che forse non meritavano e che comunque oggi ci fa
sentire più sereni. Perché l'ira selvaggia ch'era anche
in noi, l'odio ch'era pronto ad esplodere in gesti
inconsulti hanno lasciato il posto al ragionamento. Non
alla rassegnazione, ma all'umana compostezza che vuole
preghiere per i morti e per i vivi, e respinge la
vendetta anche se non è subito disposta al perdono.
Noi vogliamo
soprattutto capire, e quello che non possiamo cogliere
dalla bestialità di quel branco di liverpudiani ubriachi
dobbiamo cercarlo in noi stessi. Quelli sono criminali
incalliti, tristemente noti in Inghilterra e in Europa;
noi siamo vittime non del tutto innocenti, colpevoli
comunque di avere accettato il confronto con fanatici
notori, illusi di poter chiudere una sfida con novanta
minuti di gioco. Le vittime innocenti sono soltanto
quelle che da qualche giorno giacciono sotto terra dove
le ha accompagnate lo strazio dei famigliari e degli
amici. Noi abbiamo ancora qualcosa da dire, qualche
esame di coscienza da fare, qualche angolo dell'anima da
ripulire dalle scorie lasciate dalla lunga abitudine
alla violenza, dall'illusoria speranza in un calcio
migliore, Illusoria perché lo abbiamo veduto crescere
nell'infamia di un tifo assurdo, volgare, demente, dato
sempre più a una ritualità funesta, fatta di teschi e di
insegne terribili, di slogan criminali, di invettive
disumane, di cerimonie al limite della follia, le stesse
che fanno imbrattare i muri con frasi che recano scherno
ai morti dell'Heysel ed esaltano oggi Bruxelles contro
quei fanatici juventini che ieri esaltavano Superga. Per
questo, fermi in una calma mortale, vorremmo che
all'improvviso sparissero dai nostri stadi le insegne di
un tifo folle, paranoico; e non ci accontentiamo di
sognarlo: lo pretendiamo da quei dirigenti che, negli
anni, come apprendista stregoni, hanno lasciato che la
follia si scatenasse fino a risultare impotenti al
momento di imbrigliarla, soggiogarla. Lo pretendiamo
dalla Federazione, dalla Lega, dalle società che, tutte,
oggi, devono adottare i morti di Bruxelles e rendergli
omaggio mutando d'acchito la tendenza allo scontro
fisico dei rispettivi tifosi, riconducendoli al rispetto
se non all'amore per questo sport che sentiamo
profondamente nostro non per l'agonismo o l'aspra
rivalità che produce, ma per il senso di felicità che
sapeva trasmettere insieme all'ammirazione e a quella
sorta di innocente idolatria per i campioni che ci
faceva essere tutti ragazzi anche se coi capelli
imbiancati dal tempo.
Esaminando noi stessi,
finiremo per essere utili anche agli altri, in
particolare a quegli inglesi che oggi sono sopraffatti
dalla vergogna e credono di poter curare il morbo che
dilania la loro vita sportiva serrandosi in un angolo,
negandosi l'Europa e le antiche sfide che hanno fatto
grande il calcio. Certo, comprendiamo lo spirito che ha
partorito l’autopunizione della federcalcio inglese; ma
non crediamo sia giusto gioire come di una vendetta
subito ottenuta: temiamo anzi sia solo motivo di vanto
per quelle decine o centinaia di criminali di Liverpool
che oggi possono andare fieri d'un altro risultato: sono
riusciti a mettere in ginocchio la fiera Inghilterra
madre del football; se ben conosciamo quella gentaglia,
oggi può menar vanto di avere vinto la sfida di
Bruxelles perché nelle loro menti bacate trova più
significato una strage di "nemici" che un gol preso.
Avere negato al calcio inglese il contatto con l'altra
Europa è come aver assegnato a quei fanatici una
medaglia. Il calcio, che si è dato leggi secondo le
quali si è ben governato in circa un secolo di vita,
attraverso queste leggi doveva punire soltanto il
Liverpool oggettivamente responsabile dei suoi
"animals"; il ritiro del "passaporto" all'Everton e agli
altri club riporta indietro non solo tutta l'Europa
calcistica ma anche quel grande paese sognato che doveva
sorgere sull'abbattimento dei confini e dei nazionalismi
e crescere nell'idea partorita dalla pace conquistata
nel 1945. Vedete quanto può portare lontano una partita
di calcio: non per mero idealismo ma per amore di una
sicura fratellanza fra i popoli. Le lacrime dei ragazzi
di Fagan nella cattedrale di Liverpool sono vere come
quelle che noi abbiamo versato per le vittime
dell'Heysel.
Mi sento anche di
respingere - a mente fredda - il ruolo di giudice
assegnatosi dall'UEFA. Se la mano omicida è stata quella
degli "animals" di Liverpool, la mente idiota che ha
favorito il massacro è senza dubbio quella dell'ente
calcistico europeo affidatosi alla federazione belga
senza pretendere il controllo della sua organizzazione,
apparsa colpevole fin dalla lontana vigilia, quando ha
saputo interpretare soltanto un ruolo burocratico,
mancando d'intelligenza e di ogni forma di prudenza.
Mentre il signor Millichip, presidente della federazione
inglese, comunicava la dura decisione di ritirare le
proprie squadre dalle competizioni europee, l'intero
gruppo dirigente dell'UEFA doveva dimettersi, imitato
dalle autorità calcistiche e dai responsabili
dell'ordine pubblico del Belgio. Tutti costoro - ripeto
- sono più colpevoli della strage di Bruxelles di quanto
lo sia il calcio inglese.
In Italia questo doveva
essere preteso, dai governanti del calcio come da quelli
del Palazzo: si è invece preferito moraleggiare sul
piccolo e stupido trionfo improvvisato all’Heysel dai
giocatori della Juve, sicuramente stravolti dalla
terribile vicenda di cui erano stati testimoni: o sulle
ancora più stupide feste dei tifosi di casa nostra, che
peraltro conosciamo da sempre e siamo pronti a
strumentalizzare quando con caroselli o altre
dimostrazioni di fanatismo "celebrano" le glorie patrie.
In molte altre occasioni - lascio a ciascuno intendere
quali - migliaia di italiani dimostrano immaturità e
stupidità. Il calcio, ahinoi, ne ha allevati tanti,
spesso con la complicità di quei potenti che dalla
stupidità attingono forza. Piuttosto che rivolgersi ai
veri colpevoli della strage pretendendo giustizia per i
poveri morti di una triste giornata di maggio, si è
preferito infierire sul trofeo ch'essi stessi erano
andati a cogliere nello stadio di Bruxelles. Resti pure,
quella Coppa dei Campioni, tra i trofei della Juventus:
certo non le darà nuova gloria o felicità, speriamo
invece che le dia l'energia, la determinazione sportiva,
di riconquistarla fra un anno: solo una Coppa cosi, più
vera, potrà essere dedicata al piccolo Andrea Casula e
agli altri trentuno italiani che non sono più tornati
dallo stadio di Bruxelles e sono stati portati sul
freddo marmo di un obitorio coperti di bandiere e di
sciarpe bianconere. Oggi piangiamo per loro. Ma non
rinneghiamo la passione per il calcio e sogniamo il
giorno in cui potremo tornare a sorridere.
4 giugno 1985
Fonte: Guerin Sportivo
n° 23
ARTICOLI STAMPA "GUERIN SPORTIVO" GIUGNO 1985
La partita della morte
di Marino Bartoletti
BRUXELLES - Nel derby
del dolore anche la Juventus ha ora le sue stimmate di
sangue. Maggio 1949, Superga: il cielo si abbatte sul
Grande Torino e lo rapisce ai suoi tifosi e al mondo.
Maggio 1985, Bruxelles: la follia omicida di una barbara
orda di inglesi e la criminale inefficienza della
polizia belga macchiano coi colori della tragedia quello
che doveva e poteva essere il giorno più radioso della
storia bianconera. E questa volta, a ruoli invertiti, è
la squadra - anche la squadra - a piangere chi non c'è
più. Mai un sogno era stato così stregato: mai una
vittoria così dolorosa. Se, prima di Bruxelles, la Coppa
dei Campioni, rappresentava per la Juve e per chi la ama
la speranza più bella e più corteggiata: ora, quella
stessa Coppa, quella stessa speranza realizzata, si sono
trasformate in una maledizione. La Juventus voleva,
inseguiva e meritava una gioia: ha ottenuto una gioia
oscurata da trentotto croci. Una "gioia" che, per
assurdo, la angoscerà e la perseguiterà per tutta la
vita.
Da che parte si
comincia a raccontare una tragedia ? Dalla piacevole –
e, a posteriori, assurda - ansia di una vigilia ? Dalla
già avvertibile, piccola angoscia che pochi attimi prima
dell'esplosione della follia ti fa capire che non stai
vivendo un giorno come gli altri ? Dai cinque, lunghi
eterni, agghiaccianti minuti in cui la strage si consuma
sotto il tuo sguardo e fa sentire colpevole la tua
impotenza ? Dal brivido che ti spinge a lasciare il tuo
posto e a correre fuori dallo stadio col cuore in gola
per esorcizzare una visione di morte che invece apparirà
puntualissima ai tuoi occhi ? Dal sangue di un uomo
sventrato che è la prima cosa che vedi appena girato
l'angolo di quello che dovrebbe essere un tempio della
pace ? Dagli occhi lividi e fuori dalle orbite di una
donna che fissa senza sguardo il cielo prima che una
bandiera bianconera diventi il suo sudario ? Dal pianto
di un bambino di nove anni che urla "papà papà"
aggrappato ad una barella che sembra una croce ? Dalla
paura, sì dalla paura che ti ricaccia sui tuoi passi e
ti obbliga a "fare il giornalista" e a correre di nuovo
in tribuna a raccontare quello che hai visto e che credi
di aver sognato ? Dallo sgomento che ti attacca il
ventre e il cervello mentre ti aggrappi ad un telefono
per raccontare cose che non tutti sono tenuti a credere
o a capire ? Dal dovere "professionale" che ti impone
lucidità e buon senso, ma che poi ti spinge addirittura
sul campo per vedere in faccia gente scampata alla morte
o atleti che, sulla porta degli spogliatoi, ti
interrogano con gli occhi sbarrati dall'incredulità ? Da
una partita di calcio che si svolge davanti a te come
una macabra rappresentazione in play back ? Da una Coppa
levata al cielo come il calice dell'Offertorio ? Dal
pianto di chi incontri nella notte che non trova più il
fratello, l'amico, il compagno di viaggio, e che ti si
aggrappa alle braccia finendo solo col far sentire ancor
più grande la tua inutilità ? Dalla compagnia di
pensieri che lassù, sullo stesso aereo che credevi di
aver preso per vivere un'avventura di gioia, ti
martellano la mente nel groviglio dei "perché" ?
Dall'incredulità di chi interroga quando arrivi, dal
dolore che trovi e che tu hai ormai quasi consumato,
dallo sbigottimento che la moviola dei ricordi ti
distilla goccia su goccia, momento su momento ? Dunque -
allora da che parte si comincia a raccontare una
tragedia se nemmeno tu hai capito "quando" l'hai vissuta
di più ?
IL SETTORE Z. Stadio
Heysel, ore 19 di mercoledì 29 maggio. Manca poco più
d'un’ora all'inizio della partita. Gli spalti non sono
ancora gemiti, anche perché gli inglesi che "filtrano"
gli spettatori sono incredibilmente pochi. Anzi,
"stupidamente" pochi: perché servono solo come ottuse
strozzature e non - caso mai - come utili posti di
controllo. I tifosi italiani, in una proporzione di sei
a uno rispetto agli inglesi, entrano nella quasi
totalità allegri e festaioli ovviamente inermi. I fans
del Liverpool sfilano aggressivi e spocchiosi con
cartoni interi - ripetiamo: cartoni interi - di
bottiglie di birra sotto le braccia, molti sono ormai
ubriachi fradici. I settori già stipati sono l'intera
curva Sud (alla destra della tribuna centrale, quella -
diciamo del tifo bianconero organizzato) e i due terzi
della curva Nord, ovvero i settori "X" e "Y" interamente
occupati dai tifosi inglesi. II tragico settore "Z" non
è ancora pienissimo: è comunque, riservato agli italiani
per l'esattezza alla parte più "mite" della nostra
spedizione, ovvero ai gruppi di avventizi del tifo che
hanno unito l'occasione della finale alla possibilità di
effettuare un'escursione turistica. Ci sono molti nuclei
o mini-nuclei famigliari, oltre a qualche italiano in
Belgio e ai pochi stranieri presenti. Alcuni spettatori
spaventati tentano di barattare (come in preda ad un
presentimento) i loro biglietti per non correre il
rischio di dover stare vicino agli inglesi. "Ho con me i
miei due figli - ci aveva detto poco prima, un signore
di Novara - non mi va di pagare 600 franchi per farmeli
ammazzare". Nel suo gruppo, quello della "Squirrel
Viaggi" di Milano, alla fine della disgrazia ci saranno
due morti. Quella mattina, Piero Dardanello, direttore
di "Tuttosport", aveva scritto in prima pagina sul suo
giornale: "... stasera la grande sfida avrà una cornice
certamente inadeguata all'importanza dell'avvenimento...
Ciò va a disapprovazione dei dirigenti UEFA, i quali
dimostrano di avere una miopia per la quale servirebbero
lenti capaci di sopperire a qualsiasi deficienza di
diottrie. Essi, infatti, non sono stati capaci di
guardare molto al di là del loro naso burocratico...". E
Dardanello, parlando di "miopia", ancora non poteva
sapere a quali conseguenze avrebbe portato la cecità dei
responsabili dell'ordine pubblico. L' "HEYSEL" ha quasi
69 anni e li dimostra tutti. È l'unico impianto in cui
in occasione di una finale di Coppa (prima del tragico
Juve-Liverpool) già c'era scappato il morto. Le sue
recinzioni sono gabbie da polli, i suoi mattoni sono
come dei "Lego" friabili asportabili a piacere (e,
dunque, potenziali proiettili), i suoi muri sono fragili
staccionate. Che "resa" avrebbe avuto, si chiedevano
tutti gli uomini di buon senso presenti a Bruxelles,
all'impatto con le orde uligane ? Possibile che la
polizia o chi per essa non se ne fosse preoccupata ?
Possibile che gli agenti - abituati a fare i prepotenti
e i duri tutt'al più con i militanti pacifisti della
zona - non presagissero il livello di rischio ?
Possibile che le scene non ancora preoccupanti, ma già
ammonitrici - dei supporters britannici sulla "Grand'
Place" non avesse ispirato loro altro sentimento se non
la spocchia, l'eccessiva sicurezza e addirittura il
sarcasmo ? Possibile che non avessero compreso la
disparità di intenti delle due tifoserie ? ORE 19,08. Il
settore "Z" ancora non è completamente occupato. Sono
vuoti parecchi posti nella zona di confine fra le due
tifoserie. O, ancora più verosimilmente, gli italiani si
sono già "stretti" verso destra per lasciare almeno uno
spazio-cuscinetto fra loro e gli inglesi. Questi ultimi
danno ormai da tempo segni di nervosismo, ma sui gradoni
non c'è nemmeno un poliziotto: una decina al massimo
vigilano (?) al di qua della rete, dentro al campo. I
tifosi del Liverpool, ubriachi e impazienti, effettuano
una prima provocazione verbale verso gli italiani.
Sembra uno scherzo al quale i tifosi juventini
rispondono con allegria. L'"arrendevolezza" dei nostri,
invece di smontare gli "animals", li aizza. Alle parole
fanno seguito i primi lanci di bastoni e bottiglie: la
reazione arrabbiata e indignata ma non attiva degli
juventini si trasforma per gli inglesi - in un segnale
di attacco. La rete da polli crolla alla prima spinta e
lascia passare un'avanguardia di commandos. Gli italiani
si ritirano. "Hanno paura", dico a Italo Cucci che è
vicino a me, senza pensare a quanti rimorsi mi avrebbe
poi procurato quella stupida considerazione. Certo:
hanno paura. E arretrano, arretrano ancora mentre le
orde delle belve avanzano a folate senza che nessuno le
fermi. "Ora la polizia interverrà brutalmente", penso e
forse dico ad alta voce. In effetti cinque agenti con
caschi e manganelli appaiono sui gradoni. Ma sono
stuzzicadenti nell'Oceano. È il colpo di grazia per i
nostri poveri tifosi che già terrorizzati, già colpiti
da spranghe e bottiglie spezzate, già spinti giù dai
loro posti, vengono presi dal panico. In pochi secondi
nello spazio che potrebbe contenere mille persone si
accatastano in seimila. Ed è la fine. Crolla il muro che
dà sull'esterno (e forse, per assurdo, è una valvola di
sfogo che salva la vita a qualcuno), ma soprattutto si
abbatte la recinzione che dà verso lo stadio. Chi non
muore calpestato o asfissiato, muore strangolato,
squarciato o sventrato contro i montanti d'acciaio o
sotto il reticolato. La polizia, ormai abbrutita e
inebetita a sua volta dal panico, prende a manganellate
i tifosi che hanno realizzato che la loro salvezza può
essere solo la fuga verso il terreno di gioco. A questi
tifosi vengono opposte le spinte, le percosse e le
transenne che poi serviranno da macabre portantine. Non
sono neanche le 19 e 15. A un'ora esatta dall'inizio
della "partita del secolo" la "tragedia del secolo" è
consumata.
Dal groviglio escono le
prime barelle: corpi inerti, disarticolati. I giocatori,
già concentrati e ormai in partita vedono arrivare i
primi feriti (ma non i più gravi, in quanto estratti
dalla parte superiore del "mucchio"). Avverto subito la
sensazione della tragedia: certo, non il clima da strage
che poi tutti vivremo. Mentre scendo di corsa verso
l'uscita faccio in tempo a scorgere i primi tifosi
"superstiti" che, stravolti, laceri e in lacrime, si
avventano verso la tribuna d'onore cercando di
raccontare con frasi quasi sconnesse ciò che hanno
appena vissuto. Matarrese e Baretti scendono verso di
loro e li abbracciano increduli, consolandoli con grande
umanità per un "qualcosa" che hanno intuito essere
terribile ma che non possono ancora aver focalizzato: i
due esponenti della Lega si precipitano a loro volta
verso la segreteria per coordinare assieme al Ministro
De Michelis un'"azione" d'emergenza. Trovano solo
interlocutori altezzosi o non ci viene un sinonimo più
aderente - rincoglioniti. De Michelis rischia l'arresto.
Baretti si improvvisa questore. Lo, uscendo, incrocio De
Mita che sta entrando: vorrei dirgli ciò che ho già
visto, ma mi viene - chissà perché - lo scrupolo di aver
avuto impressioni abnormi. Il tempo di fare cinquanta
metri fuori dallo stadio, verso destra e l'abnormità,
l'orrore, la pena - insomma - la portata della tragedia
mi appare sotto gli occhi.
È difficile, credetemi,
trasmettere le impressioni di quei momenti. Sono "foto"
che resteranno per sempre dentro di me e di cui non
potrò mai fare o fornire la copia a nessuno. Le
immagini, comunque sono quelle mandate in Italia
dall'operatore della RAI Isoardi e che tutti avete
visto. La mia sfortuna - diciamo cosi - è di averle
vissute "dal vivo" e senza sapere (come sarebbe poi
accaduto a chi ha guardato i telegiornali conoscendo già
la portata dei fatti) che lo "spettacolo" sarebbe stato
così agghiacciante, così assurdo, cosi apocalittico. Ho
visto morire quattro o cinque persone, ne ho viste
agonizzarne a decine, ho visto l'incredulità di chi
stringeva mani inerti, ho visto la commovente
improvvisazione di chi cercava di rendersi utile, ho
visto un medico italiano bestemmiare ed urlare "è
impossibile che qui non ci sia un altro dottore ?", ho
visto una donna con una maglia bianca comprimere con le
mani il ventre squarciato del suo uomo, ho visto la
"ragazza dai calzoni verdi" che con l'immagine
incredibilmente serena del suo viso ormai spento sarebbe
arrivata in tutte le nostre case, ho visto un padre con
la testa calva reggere in braccio un ragazzo sicuramente
morto, con la bocca segnata da un filo di sangue, ho
visto un omone con la barba spirare fra le braccia di un
volontario della croce rossa disperato ed estenuato da
un inutile massaggio cardiaco, ho visto un cane fare la
guardia a un cadavere come se fosse quello del suo
padrone. Ho visto il sangue venire verso di me dalla
curva della morte come un piccolo torrente: simile a
quelli d'acqua piovana che scorrono vicino ai
marciapiedi nelle giornate di temporale. Ho visto anche
poliziotti - colleghi di quelli che avevo maledetto -
tentare commoventi e impossibili respirazioni
artificiali. Ho visto ragazzi sfregiati con la testa
insanguinata e ne ho provato pena: senza sapere di aver
davanti dei privilegiati. Ovvero dei vivi.
Ho visto un uomo
disperato che mi ha urlato: "Ho calpestato e forse dato
il colpo di grazia a due persone. Ma se salvavo loro
morivo io. Sono un assassino ? Mi dica la verità: sono
un assassino ?". Un altro mi ha tirato per un braccio
riconoscendomi e mi ha detto con la faccia sporca di
sangue: "Mi sono salvato a bottigliate in faccia: cioè
andavo contro gli inglesi che infierivano su di noi
piuttosto che arretrare verso il macello". Ho visto un
giovane e bravo collega al suo primo servizio
importante, Maurizio Crosetti, sconvolto da quello cui
aveva assistito: ma non mi sono certo sentito più forte
di lui. Ho visto un altro collega siciliano, capitato
per caso nella curva della tragedia, invocare
inascoltato l'aiuto di una pattuglia di polizia che
forse credeva ancora di essere al cinema. Ho visto un
uomo di Arezzo con una borsa piena di giocattoli in
mano: erano di un amico che glieli aveva "affidati un
momento" che invece avrebbe ritrovato all'obitorio. Ho
sentito cento storie di orrore, cento testimonianze
agghiaccianti, cento racconti di disperazione. Cucci se
n'e accorto ed è sceso a sua volta, con la macchina
fotografica in mano - quasi ad avvicendarmi in una via
crucis che sarebbe durata per tutta la notte.
Verso le 20 e 30,
approfittando del caos più totale in cui lo stadio era
precipitato, sono entrato negli spogliatoi assieme a
Marco Bernardini di "Tuttosport": e, da lì, sono
risalito verso il campo, sperimentando - questa volta -
una sensazione nuova. Mescolati a gente spaventata e ad
ultras rabbiosi, sbalorditi dal nuovo, inaudito
spiegamento di polizia, incuriositi dalla grottesca
esibizione di gendarmi a cavallo (più simili personaggi
circensi che a tutori dell'ordine) se ne stavano sulla
porta degli spogliatoi quasi tutti i giocatori del
Juventus. Sapevano e non sapevano: cercavano di
interpretare l'accaduto attraverso le concitate
testimonianze di chi passava nei paraggi. Dal loro punto
di osservazione, fra l’altro, non potevano avere
l'esatta percezione di ciò che era accaduto nel tragico
settore "Z". Alcuni, comunque, avevano gli occhi umidi e
interrogavano il vostro cronista, loro vecchio amico, e
si incuriosivano alle sue verità reticenti. Guardavano
gli amici e i parenti che stavano in tribuna proprio
sopra di loro e si parlavano con gli sguardi e coi
gesti. Bonini scuoteva la testa quasi in lacrime.
Tardelli taceva, Caricola invitava gli amici ad
andarsene. Tacconi si affidava alla testimonia dei
tifosi. Cabrini guarda col viso serio e intimidito, Brio
confrontava le verità appena apprese con quello gli era
stato raccontato. Briaschi sembrava soffrire. Trapattoni
entrava ed usciva dal tunnel come un leone del circo
spaventato dai riflettori. "Marino, per favore, dai un
colpo di telefono a mia figlia che sarà a casa in
pensiero". Probabilmente sapeva più degli altri, ma si
sforzava – in un supremo sforzo di grande
professionalità di mantenere, calma, lucidità e
freschezza. Prandelli, Limido, Bodini in tuta e Koetting
in borghese facevano la spola più frequente fra
l'esterno e gli spogliatoi. "Non giocate ragazzi, non
giocate", urlavano i tifosi. Loro i giocatori,
allargavano le braccia. Sicuramente, pur cercando di
mantenere la concentrazione, a tutto pensavano, in quel
momento, ma non ad una partita di calcio. Pietro
Giuliano abbassava gli occhi: "Là in curva c'è anche mio
figlio: speriamo bene". Alle nove e un quarto Gaetano
Scirea saliva in cabina radio per leggere un messaggio:
"Giochiamo la partita "solo" per permettere alle forze
dell'ordine di organizzarsi. Non rispondete alle
provocazioni. Giochiamo per voi". Venti minuti dopo la
partita.
Che cos’è stata quella
che si è svolta sotto i nostri occhi ? Una partita di
calcio? Un’azione di polizia ? Un omaggio alla tragedia
? Una rappresentazione a metà fra l'autentico e a metà
fra il "pratico" ? Non lo sapremo mai. L'abbiamo vista,
certo, abbiamo persino annotato le azioni, le parate, le
occasioni come si dovrebbe fare in tutte le tribune
stampa del mondo. Ma fra noi e il campo c'era un
diaframma quasi opaco: sporco di sangue e segnato non
tanto dal dolore quanto in quel momento - dallo
stordimento. Un appunto sul taccuino e un pensiero
altrove: una nota e un momento di mestizia, uno
scarabocchio e un attimo di abbandono. La penna
scriveva, la mente scappava di qua e di là in un
aggroviglio di realtà e di flashback. "Che cosa volete
che sia una partita di calcio - aveva detto l'ex
legionario Grobbelaar - per uno come me che ha visto la
morte in faccia ?". Già: che c'entra il calcio con la
morte ? Ventesimo: tiro di Walsh, para Tacconi. Appena
fuori dalle mura dello stadio l'Atomium, monumento alla
civiltà e al progresso: ma che c'entrano la civiltà e il
progresso con le barbarie appena viste ?
Trentacinquesimo, ancora una grande parata di Tacconi su
tiro di Whelan. "Mi dica: sono un assassino ? Mi
risponda la prego !". Dodicesimo della ripresa: rigore
su Boniek, segna Platini. Che buffo: in quella stessa
porta era finito quattro anni prima un gol di Brio che
forse avrebbe garantito la finale a spese
delI'Anderlecht. L'arbitro annullò e in molti - noi
compresi - ci si indignò. Che rabbia, che vergogna, che
tragedia per un gol annullato così ! Rabbia, vergogna,
tragedia: ma quando mai impareremo ad usare le parole
giuste al momento giusto ? Quant’è costata questa Coppa
? Quanto "vale" questa Coppa ? Che cosa significa questa
Coppa ? Che cosa ricorderemo, fra trent'anni, di questa
finale di Coppa ? "Io - ha detto Giampiero Boniperti -
tornerò ogni tanto ad osservarla nella vetrinetta, ma
credo che mi apparirà soltanto l’immagine di uno dei
tanti morti che ho visto all'obitorio. L'immagine di un
ragazzo di dieci anni, con un fazzoletto bianconero
attorno al collo". Quel ragazzo si chiamava Andrea
Casula: credeva di essere andato a Bruxelles per vedere
una partita di calcio. Aveva torto ?
4 giugno 1985
Fonte: Guerin Sportivo
n° 23
ARTICOLI STAMPA "GUERIN SPORTIVO" GIUGNO 1985
I giorni
dell'ira e del dolore
di Paolo Facchinetti
Questo è il diario che
riassume le dichiarazioni di sdegno, le manifestazioni
di solidarietà, i propositi per il futuro scaturiti a
caldo nei giorni immediatamente successivi il massacro
di Bruxelles. Tutto il mondo ha reagito con sdegno e con
sgomento davanti ai fatti del 29 maggio. Tutto il mondo
ha assunto un impegno di civiltà. Auguriamoci che ciò
che è stato detto non venga dissolto dal tempo.
INGHILTERRA -
L'autocritica è stata immediata. La mattina del 30
maggio il "Daily Post" di Liverpool titola a tutta
pagina: "La notte della vergogna". Il premier Margareth
Thatcher subito riconduce al proprio Paese l'orribile
responsabilità della strage e lascia intuire drastici
provvedimenti. Il 31 maggio la "Football Association"
annuncia che tutte le squadre inglesi impegnate nelle
coppe europee nella stagione 1985-'86 rinunceranno agli
impegni. Il provvedimento riguarda: Everton (Coppa
Campioni), Manchester U. (Coppa delle Coppe), Norwich,
Liverpool, Tottenham e Southampton (Coppa Uefa).
Estranee al provvedimento restano per ora la Nazionale
inglese e altre 8 squadre britanniche designate a
disputare coppe: Aberdeen (Scozia), Linfield (Irlanda
del Nord) in Coppa Campioni; Bangor City (Galles),
Celtic (Scozia) e Glentoran (Irlanda del Nord) in Coppa
Coppe; Glasgow Rangers, Dundee U., St. Mirren (Scozia) e
Coleirane (Irlanda del Nord) in Coppa Uefa. È giunto il
momento per il calcio inglese di sistemare tutti i suoi
problemi", afferma il comunicato della Federcalcio
inglese. Il provvedimento trova in disaccordo la Lega
inglese e qualche società (soprattutto l'Everton) ma
viene ritenuto troppo morbido dal ministro dello sport
inglese Neil MacFerlane il quale annuncia che premerà
sulla Federcalcio per "estendere il provvedimento fino
al 1988". Su ciò si mostra d'accordo Margaret Thatcher
che dice: "Vi sono stati così tanti morti e così tanti
feriti come risultato delle azioni di nostri cittadini,
che sono necessarie decisioni e provvedimenti fermi".
Tra le misure che il governo inglese sta per adottare ve
ne sono di molto drastiche: chiusura delle rivendite di
bevande alcoliche; carta di identità speciale per chi
intende assistere ad una partita, rilasciata all'inizio
del campionato; proibire di seguire la propria squadra
in trasferta: i tifosi andranno nello stadio "di casa"
vuoto dove assisteranno su uno schermo gigante alla
partita teletrasmessa.
IL DIVIETO - Intanto
molti Paesi hanno già individualmente preso
provvedimenti contro il calcio inglese. Il governo belga
ha detto che le squadre di calcio britanniche non
potranno più giocare in Belgio fino a nuovo ordine. In
Germania è stata abolita l'amichevole Amburgo-Liverpool
del 3 agosto. Il Principato di Monaco ha rinunciato ad
organizzare la "supercoppa" d'Europa che avrebbe dovuto
vedere di fronte Juventus ed Everton mentre in Francia è
stata annullata l'amichevole tra il Charenton e gli
inglesi del Whistable Town.
LA PSICOSI - La
violenza genera violenza, è sempre stato detto. E anche
i fatti di Bruxelles sono stati presi a pretesto per
azioni inqualificabili di teppismo. A Rimini il 30
maggio alcuni pullman di turisti inglesi vengono
danneggiati così come a Levante la vettura di due
coniugi inglesi in vacanza. Il 31 maggio a Milano viene
lanciata una bottiglia incendiaria contro la sede del
"Centro studi Cambridge", a Roma compaiono scritte
inneggianti ai tifosi del Liverpool e a Bolzano alcuni
ragazzini picchiano selvaggiamente un loro compagno di
scuola (13 anni) colpevole solo di avere una mamma
inglese. L'operato dei tifosi del Liverpool suscita
l'ammirazione di un gruppo di teppisti tifosi di
Dortmund mentre due "animali" intervistati dal "Sunday
People" pubblicamente si vantano delle loro gesta
criminose. SOLIDARIETÀ - Se questi sono pericolosissimi
episodi di bestialità, non mancano in tutto il mondo i
gesti di solidarietà verso chi è stato colpito dalla
tragedia. Gli Usa come lo Zimbawe, la Germania come la
Francia e l'Ecuador inviano messaggi al Presidente della
Repubblica italiana e richiamano il mondo a sentimenti
di civiltà. A Liverpool presenti molti calciatori. l'1
giugno viene celebrata una messa in suffragio delle
vittime di Bruxelles. Presenti circa 2000 tifosi della
squadra inglese. Molti scoppiano in lacrime durante la
cerimonia. I nazionali inglesi, che giovedì 6 giocano a
Città del Messico un'amichevole con l'Italia, alla
vigilia dell'incontro si recano in visita agli azzurri
per esprimere loro solidarietà e per scusarsi a nome di
tutti i loro connazionali.
POLEMICHE - Il Belgio
responsabile per la sua parte della tragedia di
Bruxelles, alle misere giustificazioni portate per
l'inefficienza dell'organizzazione aggiunge un'altra
dimostrazione di incapacità venerdì 31 maggio: con
incredibile leggerezza lo speaker della Tv belga
annuncia che il risultato della partita era stato
combinato: ciò in base alla dichiarazione di un pompiere
che aveva frainteso quanto detto nel vertice svoltosi
per decidere se giocare o meno. Il giorno dopo, quando
già la Juve, l'arbitro e lo stesso Liverpool avevano
smentito l'incredibile menzogna, la Tv belga
frettolosamente ritratta tutto. In tema di polemiche, da
registrare anche quella relativa alla telecronaca di
Bruno Pizzul, accusato subito da alcune parti di essersi
troppo immedesimato nella partita giocata dopo i fatti
luttuosi. In proposito il Comitato di Redazione della
Rai di Milano emette un comunicato in cui esprime
solidarietà al collega oltre e con cui respinge come
ingiustificate ("ci sono le registrazioni") le accuse.
Altra polemica, quella relativa ai caroselli dei tifosi
juventini a Torino e al comportamento dei giocatori
della Juve in campo. Accusati di aver gioito dopo la
vittoria e di aver ignorato ciò che era successo sulle
gradinate, i bianconeri replicano di aver giocato "con
la morte nel cuore" e di averlo fatto per imposizione.
"Speriamo", si dice in un comunicato firmato in Messico
da Cabrini, Rossi, Tardelli e Scirea, "che nessuno ci
chieda più, mai più, una cosa del genere". Questo mentre
Platini e Tacconi ritornano a Bruxelles in visita ai
sostenitori juventini ancora ricoverati in ospedale.
IL MASSACRO - Il
bilancio provvisorio (per parecchi feriti c'è ancora la
prognosi riservata) di Bruxelles è di 38 vittime. 31
delle quali di nazionalità italiana. Tutte ancora da
accertare le cause della morte. Un giornalista inglese
di "The Mail", il 31 maggio dice di aver visto un tifoso
del Liverpool sparare almeno un colpo di pistola contro
un gruppo di Juventini. La polizia sta prendendo in
seria considerazione la sua testimonianza. Un altro
ragazzo armato di una pistola (una lanciarazzi) intanto
viene assicurato alla giustizia: è un italiano,
torinese, 22 anni, studente, in stato di arresto a
Bruxelles per minacce a mano armata. Tra i fatti da
accertare relativi alla strage del 29 maggio, vi è
quello relativo all'assicurazione. Un articolo del
regolamento delle Coppe europee prevede che la
Federazione organizzatrice debba inviare un mese prima
della finale, una comunicazione alI’UEFA con tutti i
dettagli relativi all'assicurazione dei possessori dei
biglietti. Sui biglietti era invece scritto che il
Comitato organizzatore declinava ogni responsabilità per
eventuali incidenti.
PREVENZIONE - La
tragedia di Bruxelles ha messo in allarme tutto il mondo
e in modo particolare l'Italia. Il 31 maggio il
presidente del Consiglio Craxi dice che "I problemi
dell'ordinato svolgimento delle manifestazioni sportive
e della prevenzione verso ogni predisposizione di azioni
violente saranno ulteriormente approfonditi per un
rafforzamento delle misure di controllo, di prevenzione
e di sicurezza". Lunedì il ministro dell'Interno
Scalfaro si è incontrato col presidente del Coni Carraro
per studiare azioni preventive più efficaci. Nei
prossimi giorni i ministri dello sport di Olanda,
Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna e Belgio si
incontreranno per accelerare il varo di iniziative
comuni tese a prevenire episodi di violenza nella
prospettiva della convocazione a Dublino, il 25 o 26
giugno, del gruppo di lavoro specializzato in seno al
Consiglio d'Europa.
4 giugno 1985
Fonte: Guerin Sportivo
n° 23
ARTICOLI STAMPA "GUERIN SPORTIVO" GIUGNO 1985
OLOCAUSTO / A BRUXELLES CON I "REDS ANIMALS"
Li abbiamo seguiti fin
da Ostenda e Bruges: hanno seminato caos e paura prima
di darsi alle folli sbornie della Grand'Place.
La calata dei barbari
di Alfio Tofanelli
BRUXELLES – È stata
delinquenza pura. II calcio non c’entra niente,
tantomeno la rivalità fra Juventus e Liverpool o fra
italiani ed inglesi. Non c'entra neppure il tifo. I
teppisti di Liverpool avevano organizzato tutto,
programmato il massacro. È stato fin troppo facile
capirlo, dopo aver vissuto i due giorni della vigilia
nella capitale belga, con tutto quello che le "bande"
dei "reds" hanno combinato in ogni angolo della capitale
e non solo in essa.
INVASIONE - Ho visto le
orde calare da Ostenda, nella mattinata della partita.
Ero andato a Bruges, per documentarmi, per capire cosa
avevano in mente questi scellerati. Bruges era tappa
obbligata sull'itinerario
Inghilterra-Dover-Ostenda-Bruxelles. I "reds" vi
giungevano in massa verso le 11. La città subiva un duro
assalto. Saccheggiati i negozi di birra ed alimentari,
messi a soqquadro quelli dei tipici merletti. Senza
esplosione di violenza, per la verità, ma con disgustoso
crescendo di volgarità. di strafottenza, di
cialtroneria. Da Bruges a Bruxelles l'autostrada corre
veloce fra campi verdi e parentesi boscose. Tre i
"grill" su questo tratto. In ognuno una girandola di
sporcizia, ubriacature, urlacci osceni. Ero in auto con
l'allenatore Riccomini, salito in Belgio per completare
un suo personale studio sul calcio inglese (dieci giorni
prima aveva assistito, a Wembley, alla finale di Coppa
d'Inghilterra. Al nostro fianco le consorti: la finale
di Coppa dei Campioni aveva il fascino dell'impegno
professionale da sposare ad una frizzante gita
turistico-culturale in chiave fiamminga. Avvicinandoci a
Bruxelles per l'ora di pranzo e per preparare l'avvio
allo Stadio di Heysel, giudicammo che le consorti
avrebbero fatto meglio a rimanere in albergo: Mai
decisione è stata più indovinata: per loro l'Agenzia di
viaggio alla quale ci eravamo rivolti per avere due
biglietti d'accesso allo stadio aveva spedito proprio i
tagliandi della zona "Z", quella della tragedia.
PROLOGO - Il
convincimento che avrebbe potuto succedere qualcosa di
grave all'Heysel mi era venuto fin dalla sera precedente
quando nella Grand'Place tre o quattrocento scatenati
con sciarpe giallorosse ed ubriachi di birra, fra canti
osceni e grida selvagge, avevano infranto le vetrine di
numerosi bar che si affacciano sul "salotto buono" di
Bruxelles. Il tutto senza la minima provocazione da
parte di chicchessia e col beneplacito della pavida ed
intimorita polizia belga che si era limitata a guardare,
passivamente. Lo scempio della Grand'Place continuava
poi nella mattinata successiva, quella della gara, tanto
che nelle prime ore del pomeriggio, trovandoci a passare
da lì per iniziare la marcia di avvicinamento allo
stadio, osservammo lo spettacolo indecoroso del terreno
coperto da ogni genere di sporcizia e detriti e la
desolazione dei negozi vuoti con saracinesche abbassate
e porte ermeticamente chiuse.
STADIO - Alle 17,
attorno all'Heysel i "reds" si erano accampati
impigrendosi al sole come lucertole. Quasi tutti a petto
nudo, alcuni addirittura scoperti totalmente per
consumare oscenità inenarrabili. Minimo denominatore
comune la birra, in lattine o in bottiglie. Ho provato
ad entrare dall'accesso "W", quello che si apriva sulla
curva destinata ai tifosi inglesi: evanescenti i
controlli di sicurezza, molti coloro che entravano senza
esibire tagliandi, scarsissima l'assistenza della forza
pubblica agli inservienti destinati agli ingressi. Va
rilevato, fra l'altro, che tale disservizio era
esageratamente evidente: basta pensare che per accedere
alla tribuna di fronte a quella destinata alla stampa
era sufficiente "allungare" una mancia di 20/30 franchi
belgi (cinque-seimila lire) per far chiudere un occhio
alle "maschere" disposte a trasformare in
ingressi-tribuna i tagliandi curva. Nel giro
perlustrativo attorno alto stadio dalla parte inglese
fui molto colpito da un omaccione alto e grosso, barba e
capelli rossicci, voce tonante. Sembrava avere grande
ascendente su un numeroso gruppo di giovinastri che
ridevano alle sue grida gutturali rafforzate da gesti
ritmati ed incalzanti. Dalle cronache che poi ho letto
all'indomani del massacro, ho ritenuto di ravvisarlo con
quel personaggio che molti tifosi hanno indicato come il
capo della banda dei teppisti che ha dato inizio
all'aggressione.
AGGRESSIONI - Uscito
dall’ingresso "W" per avviarmi verso la tribuna stampa
fui costretto a tener d'occhio un paio di tifosi con
sciarpe rosse e gialle che tentavano di entrare nella
zona "2" scalando il muro di cinta a fianco della
tribuna centrale (quello del crollo). I due riuscirono a
farcela, beffandosi dei poliziotti che li stavano
inseguendo e che issarono bandiera bianca non appena i
giovani riuscirono a prender terra dall'altra parte
della palizzata. Questa mancanza di nerbo della polizia,
peraltro in numero molto scarso (nessun agente, per
esempio, era a proteggere i pullman delle due squadre
allorché giunsero davanti allo Stadio preceduti solo da
un'auto di gendarmi a sirene spiegate per fendere la
folla), era la cosa che più colpiva nel prepartita
vissuto esternamente. Quello che poi è accaduto dentro
appartiene a quanto hanno visto e sofferto tutti.
4 giugno 1985
Fonte: Guerin Sportivo
n° 23
ARTICOLI STAMPA "GUERIN SPORTIVO" GIUGNO 1985
La
partita / Il record finito nel sangue
Cabrini, Scirea e
Tardelli sono i tre alfieri juventini che hanno vinto
tutto ciò che c'era da vincere al mondo. Ma come gioirne
oggi ?
Una vittoria, un incubo
di Ivan Zazzaroni
BRUXELLES -
Quest'ultima Coppacampioni è un'orrenda miscela
calcio-violenza-sangue-onore-vergogna-disoccupazione-emancipazione-morte-droga-tradimento-birra-incapacità-demagogia.
Non è spettacolo, se non quello della morte allo stadio.
Non è vittoria, non è gioia autentica ma lacrime,
lacrime versate per i caduti di un conflitto assurdo.
Qualcuno ha detto che il successo è la miglior vendetta.
Non sempre, non in un caso del genere. Ne sanno qualcosa
Tardelli, Scirea e Cabrini, alfieri di una squadra ma
anche di una selezione nazionale - destinata a produrre
vittorie, gente che oggi può davvero dire di aver vinto
tutto: Coppa del mondo, campionato, Coppacampioni,
Coppacoppe, Coppa Uefa, Coppa Italia, Supercoppa,
Mundialito per club. Nemmeno intimamente i tre possono
ripensare con soddisfazione al traguardo tagliato, ora
che hanno l'esatta percezione di ciò che è accaduto in
una serata che resterà per sempre impressa nella loro
memoria. "Preferiamo non fare commenti tecnici a una
partita giocata soprattutto per gravi motivi di
sicurezza, e poi questi commenti tecnici suonerebbero
assurdi data l'ampiezza della tragedia - hanno scritto,
insieme a Rossi, in una lettera consegnata alla stampa
straniera - Non volevano giocare per rispetto dei nostri
compatrioti mani. Ce lo hanno imposto... Non sapevano
cosa fare alla fine della partita: onorare le vittime,
dirigerci verso il luogo del disastro e magari eccitare
ulteriormente gli animi, oppure recitare sino in fondo
la nostra parte, perché dopo tutto credevamo il pubblico
ignaro della tragedia. L'abbiamo fatto con la morte nel
cuore e ora speriamo che nessuno ci chieda più una cosa
del genere. Mai più. L'unico nostro pensiero è per i
morti, i nostri feriti, le famiglie delle vittime, la
loro angoscia. il loro dolore, i loro problemi...".
UMILIAZIONE - Il
pensiero di Antonio, Gaetano, Marco e di tutti noi va ai
morti non alla Coppa delI'Heysel. Va anche a quella
partita subita: un ossessivo, umiliante confronto con i
cadaveri del settore Z e con la gente che da casa
seguiva attonita le agghiaccianti immagini tivù. Un
incontro di calcio che ai più ha ricordato quello da
grande schermo giocato in un campo di concentramento
nazista unicamente per tenere calmi i rivoltosi e che si
scioglieva in un drammatico (e anche spettacolare)
finale. Altre immagini, altri ricordi, altri pensieri si
accavallano a pochi giorni da quella orgia di sangue
che, alla 19 e 15, era ancora e soltanto il dodicesimo
rendez-vous della Juve con la Coppa più agognata. Torna
alla mente quel biglietto che doveva offrire il
divertimento totale e che, invece, ha portato la morte.
ACCHIAPPATUTTO - Questa
tristissima storia non è che il frammento dai risvolti
più drammatici del romanzo calcistico scritto da
Tardelli, Cabrini e Scirea. Nessuno prima d'ora aveva
prodotta un'opera sportiva così suggestiva, opera della
quale tentiamo una riduzione. Stagione 1977-'78, arriva
a Torino Giovanni Trapattoni. La Juve tutta italiana di
Scirea, Tardelli e Cabrini riserva di lusso che ha
appena vinto Coppa Uefa (battendo nell'ordine Manchester
City, Manchester United, Shaktior, Magdeburgo, Aek e
Atletico Bilbao in finale) e campionato a quota record
(51 punti), affronta per l'ottava volta l'avventura
della Coppa dei Campioni. Supera i ciprioti dell'Omonia,
gli irlandesi del Glentoran, gli olandesi dell'Ajax, ma
si blocca a Bruges per la rete messa a segno da Van der
Eycken al 117', un minuto dopo l'espulsione di Gentile
(un episodio discusso). E la squadra di Zoff,
Cuccureddu, Gentile, Furino, Morini, Scirea, Causio,
Tardelli, Fanna, Benetti, Bettega, Boninsegna, Virdis e
Cabrini. La Juve ci riprova '78-'79, uscendo al primo
turno perché domata dai Glasgow Rangers e nell'81-82
quando lo stop si registra al secondo turno, a Bruxelles
contro l'Anderlecht, dopo che i bianconeri hanno avuto
ragione del Celtic (0-1 e 2-0). 1982 è l'anno del
Mundial di Spagna: dell'insuperabile difesa di Scirea e
Cabrini e della pazza corsa di Tardelli dopo il gol al
Bernabeu. L'83, invece consegna la Coppacoppe al termine
di una spavalda e vittoriosa campagna durante la quale
cadono una dopo l'altra Lechia Varsavia, Paris S.
Germain, Haka, Manchester United e Porto a Basilea.
Scirea, Cabrini e Tardelli sono sempre presenti, così
come lo erano - o lo saranno in occasione dei trionfi in
campionato dell'81 e dell'82, Coppitalia del '79, e del
83 - se vogliamo considerar manifestazione semiufficiale
- del Mundialito '83. Al completamento dei botti manca
dunque la Coppa Campioni, quel trofeo che nemmeno ad
Atene, contro i tedeschi dell'Amburgo, Zoff, Gentile,
Cabrini, Bonini, Brio, Scirea, Bettega, Tardelli, Rossi,
Platini e Boniek riescono a conquistare. Il dodicesimo
assalto è quello buono (si fa per dire). Nell'ordine
vengono superati il Tampere, Grasshoppers, lo Sparta
Praga, il Bordeaux, il Liverpool. Con Tacconi, Favero,
Bonini, Brio, Briaschi, Rossi, Platini Boniek sono
sempre Scirea, Cabrini e Tardelli.
VINCITUTTO - Al di là
delle spiegazioni tecnico-tattiche dei loro successi,
restano i ruoli di protagonisti recitati dal libero, dal
terzino e centrocampista della Juventus e della
Nazionale. Restano il loro temperamento, la loro
esuberanza atletica e psicologica. Restano tre fior di
campioni.
4 giugno 1985
Fonte: Guerin Sportivo
n° 23
ARTICOLI STAMPA "GUERIN SPORTIVO" GIUGNO 1985
Neal
scrive a Scirea e agli italiani
Perdonateci
Caro Scirea, sono un
calciatore professionista. Come te. Non sono un
politico. o un diplomatico, o un uomo di legge. Non so
scrivere quei discorsi pieni di delicate parole che
esprimono il dolore ufficiale e la tristezza di una
nazione e in questo caso di una organizzazione come il
Liverpool Football Club. Sono soltanto un uomo comune.
Posso assicurarti che ho pianto spesso da quando sono
tornato da Bruxelles. Mia moglie e la mia famiglia
possono dirti che persona triste e sconsolata sia
diventato in quest'ultima settimana. Ho perfino pensato
di ritirarmi dal calcio e di non avere più nulla a che
fare con questo sport. Molti di noi lo hanno fatto. Mi
sono troppo divertito in tanti anni di attività per
poter stare ora fermo a guardare il calcio inglese che
finisce nella spazzatura. Ho lottato e cacciato e spinto
e avuto da dire con Franco Causio nel nome della Coppa
del Mondo. Gli ho stretto la mano, ci siamo abbracciati
e scambiati le maglie. La sua l'ho portata ai miei amici
italiani che vivono a Liverpool. Non sono più così
sicuro che lo spirito col quale abbiamo giocato quella
partita bellissima possa sopravvivere, resistere al
comportamento di una minoranza di spostati che hanno
distrutto la nostra grande notte allo stadio Heysel. Noi
due eravamo nello stesso box, abbiamo usato lo stesso
microfono per invocare la calma, per pregare che la
nostra partita e il nostro calcio avessero un futuro.
Oggi sono solo e chiedo a te e agli italiani dl
perdonare, di avere pazienza, mentre noi lavoriamo per
salvare il nome del calcio, qui in Inghilterra.
Phil Neal
4 giugno 1985
Fonte: Guerin Sportivo
n° 23
ARTICOLI STAMPA "GUERIN SPORTIVO" GIUGNO 1985
Da Liverpool: pochi assassini contro una città e
una squadra
di Clive Tyldesley
LIVERPOOL - Il rigore
consesso dall'arbitro svizzero Daina avrebbe potuto
essere, per gli anni a venire, uno splendido argomento
di conversazione calcistica, il punto di partenza di un
inesauribile dibattito. Invece nulla. "Due minuti dopo
il fischio finale ho pensato di mandare al diavolo
tutto. Ho creduto che mi sarei sentito meglio senza il
mio impiego. Poi mi sono reso conto che così facendo
gliel'avrei data vinta" : Roy Evans, secondo allenatore
del club di Anfield Road, fra l'altro nativo di
Liverpool, è uno dei pochi che hanno reagito.
REAZIONE - Quando il
caso sarà chiuso, le prove esaminate, verrà certificato
che lo stadio Heysel altro non è che una struttura
cadente valida unicamente per l'atletica; che l'Uefa e
la Federazione Calcio del Belgio non sono state in grado
di garantire la sistemazione dei tifosi nello stadio e
di giustificare i tentativi di segregazione, peraltro
patetici, effettuati: che la polizia e le forze di
sicurezza si sono dimostrate ingenue e disorganizzate.
Ma non sentirete giungere scuse dalla città di
Liverpool. Anche se le vittime dell'Heysel non sono che
il risultato dell'attacco assassino portato da un gruppo
ristretto di nostri connazionali. Liverpool cercherà
solo di ricostruire quella parte del calcio nazionale
perduta fra i detriti del settore Z. Le autorità
sportive internazionali hanno preso le loro decisioni.
Ma hanno semplicemente isolato il malessere, l'orrore di
quella terribile notte. La punizione non è una cura. Il
bando del calcio inglese era inevitabile e doloroso. Non
serve che a dare un po’ di respiro ai legislatori e a
riordinare le idee in vista della prossima invasione di
vandali in Europa. I Glasgow Rangers furono cacciati
dall'Europa esattamente 23 anni fa. La notte del
Liverpool segna il decimo anniversario della tumultuosa
finale di Coppa campioni a Parigi che costò due anni di
sospensione al Leeds United. L'espulsione non è un
rimedio nuovo. E certamente non risolve nulla.
DIVIETO - Non si era
mai deciso prima d'ora, che i supporters inglesi non
avrebbero potuto entrare in Europa per un po' di tempo
almeno. Il rischio ora è grande. Il Liverpool è stato
pronto a togliersi di mezzo nel rispetto degli altri
sentimenti che pervadono il continente. Ma denigrare il
gioco di club come il Manchester United, il Tottenham,
l'Everton mi sembra che non risulterà produttivo. Le
lacrime che hanno bagnato il volto di Sammy Lee durante
la messa celebrata nella cattedrale di Liverpool erano
tanto sincere quanto quelle degli italiani di Torino. La
rabbia espressa di Phil Neal al microfono dello stadio
Heysel era autentica. E molti di noi hanno capito quanto
indifeso fosse Joe Fagan quando a un intervistatore ha
dichiarato: Mi sento responsabile, e tuttavia non riesco
a capire come possono verificarsi fatti così terribili".
Kevin Keegan, sentendo la cronaca della tragedia, ha
invece commentato: "Spesso la gente mi ha parlato dei
vandali nel calcio, ma ha sempre sostenuto che a
Liverpool questa gente non c'era. Ora capisco di essermi
sbagliato". Noi credevamo di essere differenti.
Immaginavamo che l'orgoglio e l’humor che hanno prodotto
musicisti, politici e attori fossero talmente forti da
evitare infiltrazioni di elementi dannosi. Così, quando
Bruce Grobbelaar ha capito che Liverpool era
responsabile di ciò che era accaduto a Bruxelles, ha
pensato seriamente al ritiro: "Devo valutare seriamente
il mio futuro di calciatore professionista dopo ciò che
è accaduto", ha detto il portiere di Anfield. "lo non
gioco a calcio soltanto per denaro o perché è l'unica
cosa che sappia fare nella vita. Gioco al calcio perché
mi diverto. Ma questo non è sport. E lo sono certo di
non valer far parte di una società così malata".
INCOLPEVOLI -
Grobbelaar, Fagan, Neal, Lee: non sono quelli che hanno
terrorizzato i vostri fratelli, figli, padri. Sono
quegli uomini che voi e i vostri cari siete andati a
vedere a Bruxelles. Devono essere demonizzati loro e
Robson, Hoddle, Gray ? Dobbiamo noi richiamare a casa
Francis e Hateley ? Potranno avere influenze negative ?
Lo stadio Heysel è un posto nel quale abbiamo vissuto
sei ore di angoscia. Tutti noi che eravamo presenti
abbiamo centinaia di storie da raccontare, storie
tristissime, orribili. Ma io non dimenticherò mai il
momento di speranza datomi dalle due squadre quando sono
entrate in campo. Nei prossimi mesi una delegazione di
Liverpool visiterà Torino per manifestare il sentimento
di vergogna della cittadinanza e di devastazione che ha
colpito la nostra Città, lasciata nel silenzio.
Liverpool è uscita sconfitta dallo stadio Heysel, ma
chiede di poter avere una sua chance di riscatto. È la
sola, grande speranza che tutti noi nutriamo in questo
momento. Clive Tyldesley
(Radio City/Liverpool)
4 giugno 1985
Fonte: Guerin Sportivo
n° 23
ARTICOLI STAMPA "GUERIN SPORTIVO" GIUGNO 1985
COPPA DEI CAMPIONI
Orrori e lacrime da non
scordare
di Italo Cucci
Dai dirigenti Uefa alla
polizia belga, la lista dei responsabili non può essere
confinata alla sola feroce, violenza dei tifosi inglesi.
Una cosa però è certa: la partita andava giocata per
evitare che a una strage se ne aggiungesse un'altra.
I giorni che passano
sembrano allontanarci dalla tragedia di Bruxelles, ma
gli occhi e il cuore la trattengono, rifiutandosi di
accostarsi ancora al calcio, allo sport che ha
rallegrato tanti anni della nostra vita. Il
compiacimento tante volte esternato d'essere testimoni
d'un mondo diverso, negato alle quotidiane amarezze
dell’esistenza, forse infantile perché legato a un gioco
dato più agli innocenti entusiasmi che alle passioni
bestiali, quella sorta d'orgoglio che ci ha nutrito
negli anni s'è spento nell' allucinante serata
dell'Heysel quando abbiamo ritrovato orrori e lacrime
dimenticati e il senso d'inutilità del nostro sogno. Non
vi dirò - altri lo faranno - lo sgomento di quelle
lunghe ore d'assedio in uno stadio in cui s'era aperta
una voragine d'inferno; non mi dilungherò sulle visioni
atroci offertesi ai miei occhi quando ho intuito che
dalla massa terrificante del settore Z doveva essersi
librata la morte e sono andata a cercarla fra corpi
smembrati e feriti, fra volti spentisi in una maschera
di paura, fra le lacrime mute o disperate dei
sopravvissuti che invocavano vita per gli amici o i
parenti massacrati. Le ore trascorse da quella sera non
hanno lenito il dolore, ma attenuato l'ira e l'odio. Ho
odiato con tutte le mie forze l'orda selvaggia di
Liverpool, quei lupi ubriachi che si sono gettati con
furia sanguinaria sugli agnelli indifesi del maledetto
settore Z, tutta gente tranquilla, estranea alle ben
note risse del calcio, desiderosa solo di vivere qualche
ora di svago. Ho odiato l'imbelle, impotente e arrogante
polizia belga che, incapace di prevedere il pericolo
costituito dai "Reds", s'è disfatta nel caos ai primi
incidenti, ha voltato vilmente le spalle agli "animals"
scatenati, è risultata pressoché nulla nell'opera di
soccorso, ha esibito una grinta da operetta nel
tentativo di riprendere il presidio del campo, ha dovuto
chiedere infine ai calciatori della Juve e del Liverpool
l'agghiacciante esibizione dell'Heysel per evitare una
più grande carneficina. Voglio dire a chi non c'era e
tuttavia ha straparlato, ha sentenziato, ha criticato
sciorinando accenti demagogici e imbecilli: tacete, voi
che non c'eravate, voi che non avete vissuto quelle ore
di paura, voi che non potevate capire quale rabbia
omicida stesse montando fra le migliaia di italiani
confinati nella curva juventina, gente che avrebbe certo
spazzato via dall'Heysel, dai suoi dintorni, i "Reds"
vigliacchi, aggiungendo strage a strage. E invece,
grazie a Platini e a Grobbelaar, a Cabrini e a Wark, a
tutti quei ragazzi che sono scesi sul tappeto
sconsacrato dell'Heysel, la paura s'è spenta, altre
ansie - magari incoscienti - si sono accese, e nuovi
sorrisi - ancorché folli - sono tornati sui volti della
gente. E alla fine, quasi per miracolo, come esorcizzati
dallo stesso nostro odio, gli "animals" sono scomparsi.
Mentre la Juve improvvisava un macabro trionfo, essi
venivano rigettati verso la Manica, verso una sicurezza
che forse non meritavano e che comunque oggi ci fa
sentire più sereni. Perché l'ira selvaggia ch'era anche
in noi, l'odio ch'era pronto a esplodere in gesti
inconsulti ha lasciato il posto al ragionamento. Non
alla rassegnazione, ma all'umana compostezza che vuole
preghiere per i morti e per i vivi, e respinge la
vendetta anche se non è subito disposta al perdono. Noi
vogliamo soprattutto capire, e quello che non possiamo
cogliere dalla bestialità di quel branco di liverpudiani
ubriachi dobbiamo cercarlo in noi stessi. Quelli sono
criminali incalliti, tristemente noti in Inghilterra e
in Europa; noi siamo vittime non del tutto innocenti,
colpevoli comunque di avere accettato il confronto con
fanatici notori, illusi di poter chiudere una sfida con
novanta minuti di gioco. Le vittime innocenti sono
soltanto quelle che da qualche giorno giacciono sotto
terra dove le ha accompagnate lo strazio dei famigliari
e degli amici. Noi abbiamo ancora qualcosa da dire,
qualche esame di coscienza da fare, qualche angolo
dell'anima da ripulire dalle scorie lasciate dalla lunga
abitudine alla violenza, dall' illusoria speranza in un
calcio migliore, illusoria perché lo abbiamo veduto
crescere nell'infamia di un tifo assurdo, volgare,
demente, dato sempre più a una ritualità funesta, fatta
di teschi e di insegne terribili, di slogan criminali,
di invettive disumane, di cerimonie al limite della
follia, le stesse che fanno imbrattare i muri con frasi
che recano scherno ai morti dell' Heysel ed esaltano
oggi Bruxelles contro quei fanatici juventini che ieri
esaltavano Superga. Per questo, fermi in una calma
mortale, vorremmo che all'improvviso sparissero dai
nostri stadi le insegne di un tifo folle, paranoico; e
non ci accontentiamo di sognarlo: lo pretendiamo da quei
dirigenti che, negli anni, come apprendisti stregoni,
hanno lasciato che la follia si scatenasse fino a
risultare impotenti al momento di imbrigliarla,
soggiogarla. Lo pretendiamo dalla Federazione, dalla
Lega, dalle società che, tutte, oggi, devono adottare i
morti di Bruxelles e rendergli omaggio mutando d'acchito
la tendenza allo scontro fisico dei rispettivi tifosi,
riconducendoli al rispetto se non all' amore per questo
sport che sentiamo profondamente nostro non per
l'agonismo o l'aspra rivalità che produce, ma per il
senso di felicità che sapeva trasmettere insieme
all'ammirazione e a quella sorta di innocente idolatria
per i campioni che ci faceva essere tutti ragazzi anche
se coi capelli imbiancati dal tempo. Esaminando noi
stessi, finiremo per essere utili anche agli altri, in
particolare a quegli inglesi che oggi sono sopraffatti
dalla vergogna e credono di poter curare il morbo che
dilania la loro vita sportiva serrandosi in un angolo,
negandosi l'Europa e le antiche sfide che hanno fatto
grande il calcio. Certo, comprendiamo lo spirito che ha
partorito l'autopunizione della Federcalcio inglese; ma
non crediamo sia giusto gioire come di una vendetta
subito ottenuta: temiamo anzi sia solo motivo di vanto
per quelle decine o centinaia di criminali di Liverpool
che oggi possono andare fieri d'un altro risultato: sono
riusciti a mettere in ginocchio la fiera Inghilterra
madre del football; se ben conosciamo quella gentaglia,
oggi può menar vanto di avere vinto la sfida di
Bruxelles perché nelle loro menti bacate trova più
significato una strage di "nemici" che un gol preso.
Avere negato al calcio inglese il contatto con l'altra
Europa è come aver assegnato a quei fanatici una
medaglia. Il calcio, che si è dato leggi secondo le
quali si è ben governato in circa un secolo di vita,
attraverso queste leggi doveva punire soltanto il
Liverpool, oggettivamente responsabile dei suoi
"animals"; il ritiro del "passaporto" all'Everton e agli
altri club riporta indietro non solo tutta l'Europa
calcistica, ma anche quel grande Paese sognato che
doveva sorgere sull'abbattimento dei confini e dei
nazionalismi e crescere nell'idea partorita dalla pace
conquistata nel 1945. Vedete quanto può portare lontano
una partita di calcio: non per mero idealismo, ma per
amore di una sicura fratellanza fra i popoli. Le lacrime
dei ragazzi di Fagan nella cattedrale di Liverpool sono
vere come quelle che noi abbiamo versato per le vittime
dell’Heysel. Mi sento anche di respingere - a mente
fredda - il ruolo di giudice assegnatosi dall'UEFA. Se
la mano omicida è stata quella degli "animals" di
Liverpool, la mente idiota che ha favorito il massacro è
senza dubbio quella dell'ente calcistico europeo,
affidatosi alla federazione belga senza pretendere il
controllo della sua organizzazione, apparsa colpevole
fin dalla lontana vigilia, quando ha saputo interpretare
soltanto un ruolo burocratico, mancando d'intelligenza e
di ogni forma di prudenza. Mentre il signor Millichip,
presidente della federazione inglese, comunicava la dura
decisione di ritirare le proprie squadre dalle
competizioni europee, l'intero gruppo dirigente
dell'UEFA doveva dimettersi, imitato dalle autorità
calcistiche e dai responsabili dell'ordine pubblico del
Belgio. Tutti costoro - ripeto - sono più colpevoli
della strage di Bruxelles di quanto lo sia il calcio
inglese. In Italia questo doveva essere preteso, dai
governanti del calcio come da quelli del Palazzo; si è
invece preferito moraleggiare sul piccolo e stupido
trionfo improvvisato all'Heysel dai giocatori della
Juve, sicuramente stravolti dalla terribile vicenda di
cui erano stati testimoni; o sulle ancora più stupide
feste dei tifosi di casa nostra, che peraltro conosciamo
da sempre e siamo pronti a strumentalizzare quando con
caroselli o altre dimostrazioni di fanatismo "celebrano"
le glorie patrie. In molte altre occasioni - lascio a
ciascuno intendere quali - migliaia di italiani
dimostrano immaturità e stupidità. Il calcio, ahinoi, ne
ha allevati tanti, spesso con la complicità di quei
potenti che dalla stupidità attingono forza. Piuttosto
che rivolgersi ai veri colpevoli della strage
pretendendo giustizia per i poveri morti di una triste
giornata di maggio, si è preferito infierire sul trofeo
ch'essi stessi erano andati a cogliere nello stadio di
Bruxelles. Resti pure, quella Coppa dei Campioni, tra i
trofei della Juventus: certo non le darà nuova gloria o
felicità, speriamo invece che le dia l'energia, la
determinazione sportiva di riconquistarla fra un anno:
solo una Coppa così, più vera, potrà essere dedicata al
piccolo Andrea Casula e agli altri trentuno italiani che
non sono più tornati dallo stadio di Bruxelles e sono
stati portati sul freddo marmo di un obitorio coperti di
bandiere e di sciarpe bianconere. Oggi piangiamo per
loro. Ma non rinneghiamo la passione per il calcio e
sogniamo il giorno in cui potremo tornare a sorridere.
4 giugno 1985
Fonte: Guerin Sportivo
n° 23
ARTICOLI STAMPA "GUERIN SPORTIVO" GIUGNO 1985
Da Desmond Morris la risposta ad un imbarazzante quesito
La Juve ha gioito ? È
nella logica
Che si sia giocato dopo
il massacro è stato giustificato con motivi di ordine
pubblico. Che si sia gioito dopo la vittoria, da parte
della Juve e dei suoi sostenitori, è stato giudicato da
tutti incomprensibile e inaccettabile. Eppure ciò che è
successo a Bruxelles non è inedito ed è già stato
motivato, se non giustificato, da Desmond Morris,
filosofo e etologo inglese, studioso dei comportamenti
umani e animali, che in proposito ha scritto un volume
"La tribù del calcio", edito da Mondadori nel 1982.
Aprile 1902. Scozia-Inghilterra all’ lbrox Park di
Glasgow; appena iniziato il gioco, crolla una tribuna:
25 morti e 321 feriti; sgombrato il campo, si riprende a
giocare con entusiasmo. Marzo 1946, Bolton-Stoke a
Bolton; dopo 12' di gioco crolla un muro: 33 morti e 550
feriti; dopo mezz’ora ricomincia la partita fra il
tripudio della folla. Maggio 1964. Perù-Argentina a
Lima; per un goal annullato al Perù, rissa gigantesca e
301 morti. La sera stessa una folla immensa marcia verso
il palazzo presidenziale per chiedere giustizia: cioè,
che sia convalidato il gol peruviano ! "La tragedia e la
morte" -spiega Morris - "non sono sufficienti a tenere
lontano dal gioco gli uomini della tribù del calcio".
Alla radice di tutto ciò c'è la suggestione di un rito
(la partita) la cui celebrazione riporta attori e
spettatori a comportamenti istintivi e primordiali. Il
"gol" - afferma Morris – "è la conquista della preda, il
momento culminante della vita della tribù ed è goduto
senza inibizioni". Cosi come il trofeo (la Coppa) che
giunge al termine di una "lunga stagione di caccia".
L'esaltazione che ne consegue - dice Morris – "deriva da
un'ondata di energia liberatoria. incontenibile". Che
ciò sia vero lo conferma Stanley Mattews che,
riferendosi alla strage di Bolton nel 1946, afferma:
"Posso essere accusato di insensibilità quando dico che
Il nostro pensiero era unicamente rivolto al gioco, ma è
la verità. Dopo pochi minuti che eravamo rientrati in
campo avevamo già dimenticato che coloro che poco prima
ci applaudivano ora erano morti". Gli abbracci dei
giocatori della Juve, i caroselli dei loro sostenitori
rientrano in questa aberrante "logica" dei
comportamenti. Il calcio, purtroppo, è anche questo.
4 giugno 1985
Fonte: Guerin Sportivo
n° 23
ARTICOLI STAMPA "GUERIN SPORTIVO" GIUGNO 1985
Dopo l'orrore, qualunquismo, demagogia, retorica inutile
L'ora del dilettante
di Enzo Rossi
Una settimana è
passata. L'eco della tragedia di Bruxelles si è
affievolita, com’è fatale che sia, anche se certi fatti,
certe immagini, non potranno mai essere dimenticate.
Hanno parlato in tanti, vorrei dire in troppi, come se
fosse un obbligo sdegnarsi verso destra, o verso
sinistra, o comunque in una qualche direzione. C'è
toccato difenderci non soltanto dall'orrore, ma anche
dal qualunquismo, dalla demagogia, dalla retorica fine a
sé stessa, dai Ferrarotti di turno. All'illustre
sociologo è stato addirittura commissionato un
editoriale del "Messaggero". E da quelle colonne egli ci
ha fatto sapere di aver previsto tutto, alla maniera di
Cassandra, in un libro di cui ha tenuto a precisare il
titolo e tra parentesi l'editore (e chissà che un refuso
non gli abbia cancellato il prezzo). Scrive Ferrarotti
che una buona parte della colpa ricade sui giornali, rei
di enfatizzare oltre misura gli eventi sportivi. Che gli
assassini di Bruxelles siano inglesi e che la stampa
sportiva britannica sia nota per presentare una partita
in dieci righe, spesso senza tabellino, conta poco per
l'illustre sociologo che come tutti i cittadini
democratici ha il diritto di opinione. Si è letto di
tutto. Nello stesso giorno. nella stessa prima pagina,
il più diffuso quotidiano politico italiano, il
"Corriere della Sera", ha da una parte elogiato i
"ragazzi della Juve che hanno accettato di giocare la
maledetta finale e dall'altra li ha accusati di cinismo
per non aver opposto un fermo rifiuto all'imposizione
dell'Uefa. Da Mosca, dove si trovava per ragioni
connesse al suo mandato, l'onorevole Craxi s'adoperava
perché Juve-Liverpool non si giocasse, confermando di
essere uno dei pochi capaci di essere presenti cattivi
sempre e in ogni luogo. Da Roma il presidente dell'UISP,
una delle tante pittoresche sigle del nostro Paese,
sfruttava tutta la sua ben nota autorità per chiedere le
dimissioni del presidente dell'Uefa e immaginatevi
l'imbarazzo di Jaques Georges di fronte a una simile
levata di scudi. Se la sono presa perfino con il povero
Pizzul, accusato di aver chiuso la telecronaca con un
"buona sera", e con la Rai, colpevole di non aver
oscurato la teletrasmissione della partita come è
accaduto in Germania, sia ad Est che ad Ovest di
Berlino. Era importante sparare comunque su qualcuno o
su qualcosa, non bastava un bersaglio e due erano troppo
pochi. Piangiamo quelle povere vittime alle quali gli
innumerevoli esercizi dialettici non potranno mai
restituire la vita. Perché ci si indigna soltanto a
ondate ? Ci chiediamo, per esempio, quale sarebbe stata
la reazione dell'opinione pubblica se gli incidenti di
Bruxelles si fossero ridotti all'accoltellamento del
tifoso inglese nel pomeriggio della partita: quaranta
righe e tutto sarebbe finito lì. Nei nostri stadi c'è
stato un morto anni fa all'Olimpico: Paparelli fu ucciso
da un razzo. Seguirono immancabili sdegno e tavole
rotonde: vennero banditi striscioni che oggi ricompaiono
regolarmente ovunque perché l'idiozia non ha bandiera e
quelli che imbrattano i muri a Roma e a Torino con
scritte vergognose non sono diversi dai teppisti di
Liverpool. Appena sono arrivato allo stadio Heysel,
prima del massacro, ho detto ad un collega: questi belgi
sono pazzi, come possono mettere tanto vicini tifosi
della Juve e del Liverpool ?
Per le barzellette i
francesi usano i belgi al posto dei carabinieri:
ascoltando le parole del ministro degli interni belga,
si son capite le ragioni. Il giorno prima ero stato
sulla Grand' Place che pullulava di inglesi già
abbondantemente affogati nell'alcool. Un gendarme li
guardava sorridendo. A un certo punto s'è voltato di
scatto e s'è messo a fischiare bloccando un'auto di
sostenitori della Juventus che hanno dovuto pagare una
salatissima contravvenzione: suonando il clacson avevano
infranto una precisa norma del codice della strada e,
penso, disturbato il sonno di Re Baldovino. C'erano,
dalla parte juventina del nefasto settore Z, padri di
famiglia, figli, sorelle, consorti. Dall'altra parte, la
teppaglia organizzata del Liverpool ha avuto buon gioco
in una fatale circostanza. Il panico dei "nemici"
esaltava la loro furia selvaggia; avessero trovato i
loro omologhi, che so, gli ultras, avremmo assistito a
una delle tante scazzottate. Perché quel tipo di
teppaglia fa anche parte purtroppo del nostro
patrimonio. È vero, gli inglesi sono recidivi, i loro
vandalismi sono noti. le loro scorribande temute. Ma
proprio per questo stupisce l'inefficienza dei belgi,
che pure avevano già ospitato tante finali di Coppa e
dagli stessi inglesi erano rimasti scottati. Ha ragione
Carraro quando sostiene che la tragedia poteva essere
evitata. La stessa reazione di Sordillo e Matarrese m’è
apparsa composta, civile, lontana da ogni forma di
inutile esasperazione. Bisogna educare la gente ma non
si può pensare, nemmeno per un momento, di rinunciare
alla prevenzione: assassini e ladri sono sempre esistiti
e non si combattono a parole, ma con i fatti. Prendiamo
atto anche del comportamento delle autorità inglesi che
si sono addossate responsabilità e vergogna a tamburo
battente, decidendo rapidamente l'esclusione dalle Coppe
delle proprie squadre. Noi avremmo fatto altrettanto ?
4 giugno 1985
Fonte: Guerin Sportivo
n° 23
ARTICOLI STAMPA "GUERIN SPORTIVO" GIUGNO 1985
Gli inglesi e lo sport, dal "fair-play" agli "animals"
Arancia meccanica
di Gianni de Felice
Bruxelles è lontana.
Dall'angoscia, sedimentata dai giorni, affiorano alcuni
pensieri. Possono servire forse per qualche utile
medicazione. Abituati a flagellarci, scopriamo per
doloroso confronto di essere bravi. L'anno scorso era
più difficile organizzare la finale di Coppa dei
Campioni, perché una finalista, la Roma, giocava in
casa, l'altra era il Liverpool, con le sue orde
tristemente famose. La Federcalcio in penuria di uomini,
perché una buona parte delle sue esigue forze risultava
impegnata con la spedizione azzurra negli Stati Uniti.
Ma nulla fu trascurato, tutto venne previsto.
Carabinieri, polizia, vigili urbani seguirono il lavoro
organizzativo fin dal suo nascere, assimilando i
problemi che l'evento poneva e ponendosi tempestivamente
in guardia da ogni possibile insidia. Furono studiati
percorso e parcheggi speciali per i pullman inglesi. Fu
predisposta la perquisizione individuale di tutti i
tifosi. Cineoperatori di carabinieri e polizia puntavano
minacciosamente sulla folla lunghi teleobiettivi, capaci
di riconoscere un volto da duecento metri. I biglietti
della tribuna Tevere e della tribuna numerata per i
settori confinanti con la curva nord, riservata agli
inglesi, furono destinati a tifosi di paesi neutrali. E
quando da Liverpool vennero restituite alcune migliaia
di biglietti invenduti, mentre a Roma si piangeva o si
pagavano cifre da capogiro per averne uno, la
Federcalcio tenne segreta la notizia e preferì
rinunciare a una parte di incasso, piuttosto che mandare
tifosi italiani nel recinto dei bufali d'oltre Manica.
Alcuni incidenti isolati si verificarono nella notte,
dopo la partita e fuori dello stadio. Ma nell'Olimpico,
controllato da centinaia di volontari radiocollegati al
comando di Gilberto Viti, allora manager della Roma, non
volò una mosca.
Lo sport affratella.
Oggi c'è chi sghignazza a questo vecchio e retorico
luogo comune. Non sarei così cinico. Non è un luogo
comune, né è vecchio, né tantomeno è idoneo. Lo sport
affratellerebbe ancora, se però fosse rimasto sport. In
realtà non lo è più, è diventato un'altra cosa: affare,
spettacolo, industria, politica. E lo è diventato con il
complice silenzio di tutti noi, pronti ad accoglierne la
degenerazione come ineluttabile adeguamento al costume
dei tempi. Le Olimpiadi, diventate un baraccone
pubblicitario, si stanno aprendo ai professionisti e
tutti tacciono, anzi lo trovano giusto: ai massimi
livelli dicono si gareggia soltanto facendo sport a
tempo pieno, senza lavorare, e dunque vivendo di sport.
Non uno al mondo che abbia detto meglio un record di
meno, ma lasciamo ai Giochi il fascino del dilettantismo
integrale. In Italia, rispettabili imprenditori comprano
e vendono società calcistiche per le quali non hanno mai
fatto il tifo: non una voce si leva contro questo
insulto alla tradizione e alla passione dei tifosi veri,
si dice anzi che bisogna ufficializzare i profitti che
molte società calcistiche già assicurano ufficiosamente
ai loro padroni. E ancora sport questo ?
Di una finale di Coppa
dei Campioni il pubblico conosce la facciata: i
bandieroni, i bengala, il boato della folla, i volti
disfatti e felici dei vincitori, l’argentea anfora
offerta al Cielo come un calice da consacrare. Ma
abbiamo mai guardato nel retrobottega ? Vi girano
miliardi di contratti televisivi e pubblicitari, si
sarebbe scatenata un'orgia di controversie legali, se a
Bruxelles non si fosse giocato, con i satelliti
televisivi già affittati, con i collegamenti
intercontinentali già pagati, con i cartelloni già
convenientemente esposti all'occhio delle telecamere. Lo
sport affratella, ma gli affari non possono fare
concessioni alla pietà: si gioca anche con i morti per
terra. Con quelli televisivi e pubblicitari, nel
retrobottega delle coppe calcistiche girano anche i
miliardi di colossali traffici turistici. Agenzie di
viaggio piccole e grandi si buttano su pullman e aerei e
sugli stocks dei biglietti, pagandoli a qualsiasi
prezzo. Speculatori irresponsabili e senza scrupoli
sfruttano entusiasmi e passioni. Chi ha venduto ai
tifosi italiani i biglietti del settore Z dell’Heysel
volutamente riservato al pubblico neutrale belga ? Come
sono arrivati a Torino a Milano a Firenze biglietti
destinati a Liegi e ad Anversa ? Chissà se le tante
inchieste promesse chiariranno questo non trascurabile
particolare. Il bagarinaggio vero non è quello del
poverocristo che vende il biglietto davanti allo stadio:
è un business che avviene a livello, molto più alto. Ma
tutti fingono, anche in Italia, di non accorgersene.
Dunque un equivoco sullo sport. Ma c'è, forse, anche un
equivoco sugli inglesi. Li crediamo da sempre maestri di
"fair-play": in realtà si sono limitati ad esportare la
parola. Me ne ricordo quando ripenso a un vecchio
collega del "Dailv Express" conosciuto alcuni anni fa,
"distinto", elegante, impeccabile apparentemente
gentleman, in realtà un ignobile fomentatore di odio e
di rancore per tutto ciò che non fosse britannico. Le
bande alcoolizzate del Liverpool sono il prodotto di una
decadenza cominciata almeno un secolo. Da ricchi, gli
inglesi potevano consentirsi il lusso dei poliziotti
disarmati e campi di calcio senta recinzioni. Oggi,
certi vezzi appaiono semplicemente grotteschi. La
cultura dell’aggregazione di massa, esempio di civismo
di una volta, è degenerata, riempiendo le antiche forme
di contenuti sempre peggiori. I celebri "sit-in" in
Trafalgar Square, capeggiati dal filosofo Bentrand
Russell si scontrarono negli anni '50 con l'inquietante
fenomeno dei teddy boys. Il fanatismo musicale favorì,
poi, con le bolge di Woodstock e di Wight, la diffusione
di alcool e droga fra i giovani. Il fanatismo calcistico
ha infine moltiplicato negli stadi i giovinastri
descritti non casualmente in una città della provincia
inglese da Stanley Kubrik con "Arancia meccanica".
Quell’agghiacciante film di violenza gratuita e
selvaggia ci fece rabbrividire quasi quindici anni fa.
Che cosa fingiamo ipocritamente di scoprire oggi, dopo i
imiti di Bruxelles ?
4 giugno 1985
Fonte: Guerin Sportivo
n° 23
ARTICOLI STAMPA "GUERIN SPORTIVO" GIUGNO 1985
L'Uefa ha deciso
Inglesi cancellati dal
calcio
Le squadre di club
inglesi sono escluse a tempo indeterminato dalle
competizioni europee. Per quanto riguarda il Liverpool
saranno assunte sanzioni particolari dopo che la
commissione disciplinare avrà esaminato tutti i
documenti relativi alla tragedia di Bruxelles. Eventuali
provvedimenti relativi alla nazionale inglese verranno
assunti in un secondo tempo. Queste in sintesi le
decisioni, scaturite domenica 2 giugno a Basilea dalla
seduta straordinaria del comitato esecutivo dell'Uefa
riunitosi per esaminare i fatti inerenti la finale di
Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool del 29
maggio scorso. Nel comunicare i provvedimenti, il
presidente dell'Uefa Jacques Georges ha detto che "d’ora
innanzi tutti gli incidenti, anche i più piccoli,
saranno colpiti con sanzioni". Il prossimo 4 luglio a
Ginevra ci sarà il sorteggio relativo agli accoppiamenti
del primo turno delle Coppe Europee. Nel tabellone non
figureranno dunque l'Everton (Coppa dei Campioni), il
Manchester United (Coppa delle Coppe), Liverpool,
Norwick, Tottenham e Southampton (Coppa Uefa). Questi
sei posti "vacanti" saranno occupati da squadre
dell'Urss, della Francia, dell'Olanda e della
Cecoslovacchia. Tornando ai provvedimenti dell'Uefa, c'è
da rilevare che in generale sono stati accolti
favorevolmente negli ambienti inglesi. "Penso che sia
una decisione molto responsabile", ha detto il
presidente del Liverpool Smith. Dick Wragg, dirigente
della Federcalcio inglese, ha così commentato: "E
giusto, dobbiamo finirla una volta per tutte con i
teppisti anche se ciò dovesse durare dieci anni".
4 giugno 1985
Fonte: Guerin Sportivo
n° 23
ARTICOLI STAMPA "GUERIN SPORTIVO" GIUGNO 1985
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