di Gianni Minà
Fra poche ore
vedremo per l'ultima volta, nei prossimi due anni, una
squadra inglese di calcio, in questo caso la nazionale,
affrontare una formazione italiana. C'è da scommettere
che adesso le coscienze dei dirigenti del calcio europeo
siano sul punto di placarsi. I responsabili della strage
allo stadio Heysel sono i club e i giocatori di calcio
inglesi, che sono stati quindi cacciati per anni dalle
competizioni europee. I responsabili d’aver giocato
comunque la partita per dichiarati motivi di ordine
pubblico e per gli stessi motivi aver accondisceso a
uscire e mostrare la Coppa alla curva juventina entusiasta
(perché chiaramente ignara della reale portata della
tragedia), i responsabili di questa insensibilità sono
invece i cinici e spietati giocatori della Juve, per
questo additati anche in televisione al pubblico ludibrio.
Tutti gli altri, cioè il "palazzo" del calcio, i generali
della patetica armata del pallone, sono innocenti. Cinquecento
teppisti criminali non rappresentano una nazione civilissima
e da sempre creditrice verso il calcio come l'Inghilterra
ed inoltre quei cinquecento stolidi imbecilli, scintilla
del terrore allo stadio di Bruxelles, furono facilmente
ingabbiati, neutralizzati, circoscritti, l'anno scorso
allo stadio Olimpico di Roma prima, durante e dopo il
fallito tentativo della squadra di casa di conquistare
la Coppa dei Campioni contro i "reds" del Liverpool.
Il francese George, mediocre presidente della Federazione
europea del calcio e tutti i suoi incapaci collaboratori
avrebbero dovuto già da qualche giorno, non squalificare
gli inglesi, ma trovare la dignità o il buon gusto di
dimettersi da un incarico che, date le dimensioni dell'affare
calcio, è ormai troppo più grande della loro intelligenza
o della loro personalità. Chi ha scelto infatti il vecchio
e pericoloso stadio Heysel dove, in curva, per far evacuare
rapidamente quattro-cinquemila persone, c’è una sola
uscita ? Chi ha assegnato alla impreparata, superficiale
e gretta Federazione belga l'organizzazione dell'avvenimento
? Chi ha permesso alla stessa Federazione di vendere
sciaguratamente a insensibili agenzie di viaggio italiane
e quindi a tranquilli tifosi juventini dell'ultima ora
i biglietti avanzati dalla curva assegnata agli scatenati
supporter dei rossi del Liverpool ? E ancora, chi ha
insistito per far giocare a qualunque costo la partita
ufficialmente per motivi di ordine pubblico, ma senza
riuscire mai a far dimenticare a molti, considerato
il cinismo degli atteggiamenti, che l'incasso di un
miliardo e mezzo, più i miliardi pagati dalle reti televisive
e dagli sponsor per la finale, non poteva e non doveva
essere restituito se si volevano evitare guai e querelles
? A tutti questi interrogativi c’è una sola risposta.
Tutto ha voluto, deciso e preteso l'Uefa. Non potrebbe
ora Sordillo, presidente della Federcalcio italiana,
andarsene dalla sala del potere Uefa mettendo in crisi
questo ambiguo ed incapace organismo ? "Quando c’era
da stringere la Coppa del mondo e mostrarsi in Tv vicino
a noi c’erano tutti - ci ha detto amareggiato uno degli
Juventini campioni del mondo - ma quando si è trattato
di vivere con noi le scelte e i momenti difficili allo
stadio di Bruxelles non c’era più nessuno". Diciamo
spesso che i campioni del calcio sono egoisti, capricciosi
e superficiali. Ci sorge il dubbio che se sono così,
sono fatti ad immagine e somiglianza di certi loro dirigenti,
sono gli unici figli possibili di questi padri.
6 giugno 1985
Fonte: La Repubblica
ARTICOLI STAMPA
6.06.1985
BERNA - l'Uefa
verserà 500.000 franchi, circa 350 milioni di lire,
alle famiglie delle 38 vittime dello stadio Heysel.
In un comunicato emesso dall'associazione del calcio
europeo si parla di "contributo spontaneo di solidarietà".
I 500.000 franchi saranno prelevati dal "fondo speciale
di soccorso" e saranno versati direttamente ai parenti
delle vittime "in segno di simpatia".
6 giugno 1985
Fonte: La Repubblica
ARTICOLI STAMPA 6.06.1985
Altre testimonianze drammatiche
una settimana dopo la tragedia
Il capo della Mobile
di Novara racconta
"Sono scampato
alla strage di Bruxelles"
di Marcello Sanzo
NOVARA - Nella
curva "Z" dello stadio Heysel di Bruxelles, quella trasformata
in allucinante campo di battaglia dai tifosi del Liverpool
poco prima della finale di Coppa dei Campioni di una
settimana fa, c'era anche il dirigente della squadra
mobile di Novara Arturo De Felice. Appassionato di calcio,
aveva deciso di assistere alla gara ed era partito assieme
a due amici dopo essersi procurato i biglietti a Torino,
biglietti per quella che doveva diventare la curva "maledetta".
"Siamo arrivati allo stadio alle 18.45, racconta il
funzionario di polizia, e appena entrati, ci siamo resi
conto di essere capitati in una zona "calda". Nella
curva "Z", dove eravamo noi, c'erano i tifosi della
Juve. Dall'altro lato dell'emiciclo, nelle curve contrassegnate
con le lettere "X" e "Y", si trovavano invece i sostenitori
del Liverpool. Da poliziotto sono rimasto colpito dal
fatto che fra le due tifoserie c'era solo una fragile
rete metallica, buona a malapena per una gabbia di polli".
De Felice dice poi di avere notato, non senza stupore,
che nella linea di demarcazione fra tifosi inglesi e
italiani non c'era neanche un agente: "A controllare
la situazione, che a me ha dato l'impressione di una
bomba pronta ad esplodere da un momento all'altro, c'erano
solo otto gendarmi che se ne stavano però in campo.
Avevano il casco e il manganello ma non lo zainetto
nel quale generalmente si tengono i lacrimogeni, indispensabili
per bloccare gravi incidenti. "Ci siamo resi conto che
sarebbe bastato poco per scatenare il finimondo", prosegue
De Felice, "e ci siamo sistemati il più lontano possibile
dalla fragile rete metallica. Eravamo seduti da appena
un quarto d'ora quando dalla parte degli inglesi è cominciato
il lancio di calcinacci e pietre, tutto materiale che
era facile procurarsi in quelle tribune cadenti. Abbiamo
guardato verso gli inglesi e sotto i nostri occhi si
è svolta la drammatica sequenza". Arturo De Felice e
pochi altri occupanti della curva "Z", invece di scappare
nella direzione di tutti gli altri, e cioè verso il
muro di chiusura della curva, lo stesso che è poi crollato
travolgendo parecchia gente, hanno scelto subito la
via del campo da gioco: hanno sfondato a loro volta
la rete che delimitava la zona degli spettatori dalla
pista di atletica e hanno cosi evitato di rimanere coinvolti
nei gravissimi incidenti. "Il dramma", però, lo abbiamo
visto in tutti i suoi terribili particolari e non sarà
facile cancellarlo dalla mente: la gente moriva schiacciata,
travolta da quelli che scappavano incalzati dagli inglesi.
E poi questi ultimi, quando sulla gradinata c'erano
solo morti, si sono messi a danzare come selvaggi, a
prendere a calci i cadaveri. E tutto questo sempre indisturbati.
6 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA 6.06.1985
Ritornano i primi feriti
da Bruxelles
"Non sappiamo
perché siamo vivi"
di Susanna Marzolla
Dopo l'arrivo
a Milano con un volo speciale, i tifosi raccontano la
drammatica esperienza vissuta allo stadio.
MILANO - Con un
"Fokker" sono arrivati ieri a Linate 18 degli italiani
rimasti feriti allo stadio di Bruxelles, tutti assistiti
dall'organizzazione Europe Assistance. Il rientro è
organizzato con efficienza, non ci sono parenti (solo
una moglie e un fratello), niente abbracci e scene di
pianto. Appena scesi dall'aereo metà in barella e gli
altri camminando senza aiuti, i feriti vengono subito
caricati su altri mezzi. C'è un aereo diretto a Perugia
per quelli residenti nel centro Italia; un altro aereo
militare diretto al Sud; una decina di ambulanze pronte
a partire per Venezia, Torino, Bologna, Padova, il centro
di Milano. Ci sono anche nove infermiere volontarie
della Croce Rossa messe a disposizione dalla prefettura
di Milano. Nei racconti e negli sguardi dei feriti che
tornano, si può facilmente captare la paura provata.
Gabriele Brandimarte è apparentemente uno di quelli
che sta meglio: è il primo a scendere dall'aereo, sulle
sue gambe. C'è ad aspettarlo il fratello: con lui andrà
all'aeroporto civile di Linate (il volo dell'Europe
Assistance è atterrato su uno scalo privato, di fianco
all'aeroporto militare), prenderà un aereo di linea
e tornerà finalmente a Pescara, a casa. "Non so ancora
spiegarmi come sono qui, vivo, a parlare con voi dopo
quello che ho visto - dice - era una cosa indescrivibile".
Era nel settore "Z" dello stadio, ma non ha subito direttamente
le violenze dei tifosi del Liverpool. "Mi sono trovato
stretto in mezzo alla calca - racconta - e ho rischiato
di venire travolto e calpestato". Ha subito la frattura
di alcune costole. La più grave sembra essere Tiziana
Bruni, che nei giorni scorsi è uscita dal coma. Era
allo stadio assieme al marito, Alessandro Antonini,
che ha subìto contusioni al torace. Salgono sull'aereo
per Perugia e poi con un'ambulanza saranno trasportati
a casa loro a Deruta. Sullo stesso aereo ci sono: Francesco
Vinciarelli, di Cortona; Franco Lo Scuro di Cassino;
Carla Gonnelli di Ponsacco (Pisa); Giuseppina Di Stefano
di Pistoia e Alessandro Benocci di Rieti. Per questi
ultimi due la destinazione è l'ospedale delle rispettive
città. In ospedale al Niguarda di Milano è diretto anche
Mario Mancini di Busto Arsizio. Ha subìto fratture al
femore e al bacino. "Ma almeno - racconta - sono riuscito
a salvare mia moglie. Era contro la rete e cercavo di
tenerla distante per farla respirare. Ho sentito la
frattura, non sapevo più come fare, poi finalmente la
rete ha ceduto. E' un ricordo tremendo, ho visto la
gente morire calpestata, cose che preferisco dimenticare".
Andrà ancora allo stadio ? "Non lo so, a Busto forse".
Come tutti i bambini, emozionato e divertito dalle attenzioni
è Matteo Favaretto di Venezia, 11 anni. Ha il braccio
sinistro ingessato; accanto a lui c'è il padre Egidio,
in barella per una frattura al piede. Il ragazzino racconta
solo un particolare: la pizza e gli spaghetti che gli
hanno fatto avere in ospedale gli italiani di Bruxelles.
Tutti i feriti parlano molto bene dell'assistenza ospedaliera
avuta in Belgio. "Ma - nota Angelo Filipponi, diretto
all'ospedale Rizzoli di Bologna con una gamba rotta
- se ci fosse stata un'assistenza migliore anche allo
stadio forse molti si sarebbero salvati". Critica la
polizia che "è stata carente, non ha saputo prevenire
gli incidenti né reprimerli con forza" e non risparmia
i toni duri contro i tifosi inglesi: "Più delinquenti
dei delinquenti italiani che qualche volta troviamo
allo stadio". Sempre al Rizzoli va anche Mario Mancini,
che ha una frattura alla mascella. Gli altri feriti
tornati ieri sono: Urbano Antico, di Padova; Antonio
Longo, di Brindisi; Antonio Matita, di Torino; Sebastiano
Bisignano, di Siracusa; Mario Gasparelli di Milano.
"E’ vivo grazie a nostro figlio che lo ha trovato sul
campo - racconta la moglie di quest'ultimo - era in
mezzo ai morti e nessuno lo soccorreva. In ospedale
gli avevano dato pochi giorni di vita e invece è di
nuovo qua, a casa".
6 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA 6.06.1985
"Una vergogna
quelle autopsie"
La procura della
Repubblica di Torino protesterà con una nota ufficiale
per lo scempio compiuto dai medici legali belgi sui
cadaveri di Domenico Russo e Giovacchino Landini. Durante
l'autopsia, compiuta martedì mattina, i corpi sono stati
infatti trovati in condizioni pessime: nessuno si era
preoccupato di ricucirli dopo il primo esame necroscopico
compiuto a Bruxelles, tanto meno di comporli e vestirli.
Anche il successivo, nuovo riconoscimento (reso necessario
dopo che era giunta notizia di scambi di cadaveri) è
stato svolto con molte difficoltà. La nota, accompagnata
da una serie di fotografie, verrà trasmessa alla Procura
Generale e, attraverso il ministero di Grazia e Giustizia,
a quello degli Esteri. A questo punto si valuterà se
compiere un formale passo di protesta verso il governo
belga. Le indagini proseguono su due fronti. Quelle
tese ad identificare i teppisti inglesi traggono origine
dall'art. 10 del codice penale, il quale prevede che
uno straniero, autore di un reato in danno di un italiano
perseguibile con una pena non inferiore ad un anno,
possa essere giudicato dall'autorità italiana. Due le
condizioni: che il ministero di Grazia e Giustizia ne
faccia richiesta e che lo straniero si trovi in Italia.
Dovrà quindi essere il ministro a chiedere alle autorità
belghe la consegna dei responsabili degli incidenti.
La seconda indagine, avviata nei confronti degli ultras
bianconeri autori di violenze, prende invece le mosse
dall'art. 9 del codice penale, il quale consente che
un italiano, autore di reati all'estero punibili con
un minimo di tre anni di reclusione, possa essere giudicato
dalle nostra magistratura. E' in quest'ottica che il
sostituto procuratore Marabotto sta provvedendo all'identificazione
dei tifosi juventini che hanno inscenato la manifestazione
di protesta, portata dalla televisione in tutte le case.
Gli ultras già identificati sarebbero una quindicina.
L'aggressore - Mentre restano gravissime le condizioni
di Carlo Duchene, il parrucchiere di Pinerolo in coma
all'ospedale Sant'Erasmo di Bruxelles dopo essere stato
selvaggiamente colpito fuori dallo stadio, a fine partita,
da un teppista inglese, ci si chiede che fine abbia
fatto il suo aggressore. Arrestato dalla polizia belga,
ed identificato dagli amici del Duchene, sembra essere
scomparso nel nulla. Attualmente in carcere restano
solo sette tifosi del Liverpool, tutti con blande accuse.
Anche su questa incredibile vicenda starebbero per muoversi
i magistrati italiani. I feriti - Con un Fokker atterrato
ieri a Linate è tornato in Italia un altro torinese:
Antonino Mallia, 29 anni, via (omissis), padre di un
bimbo di 8 anni. E' stato ricoverato al Cto per la frattura
di una vertebra, se la caverà in novanta giorni. Ricorda
una "spaventosa pioggia di oggetti di ogni tipo, soprattutto
lattine" seguita dall'aggressione degli inglesi: "Ci
hanno schiacciato e calpestato". Altre quattro persone
sono state medicate, e subito dimesse per i postumi
di violenze subite all'Heysel stadium.
6 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
6.06.1985
TORINO - Una delegazione
ufficiale partirà da Liverpool il 17 (forse il 18).
Arriverà a Torino per portare un messaggio di pace,
fratellanza e riconciliazione. Il City Council - che
equivale al nostro consiglio comunale - superando alcune
obiezioni dei conservatori e le perplessità del portavoce
dei "liberal", ha deciso che verranno in Piemonte il
capo della municipalità e il "Chairman", rispettivamente
Dereck Hatton e Hugh Dalton, l'arcivescovo cattolico
Dereck Worlock e quello anglicano David Sheppard. La
notizia, a Torino, è stata accolta per lo più favorevolmente.
Il sindaco della città Giorgio Cardetti ha confermato
la disponibilità dell'Amministrazione torinese ad accogliere
e dar seguito all'iniziativa. "La tragedia dello stadio
Heysel - scrive il primo cittadino di Torino - deve
essere un monito per tutti onde evitare che manifestazioni
sportive si tramutino ancora in occasioni di violenza".
Ancora: "Dall'accaduto non deve sorgere alcuna ingiustificabile
forma di inimicizia fra italiani e inglesi".
6 giugno 1985
Fonte: Stampa
Sera
ARTICOLI STAMPA
6.06.1985
Torino aspetta
Liverpool
Si cerca
ancora il tifoso disperso
Sembra che Bruxelles
abbia inghiottito Marco Manfredi. L'autista di Moncalieri
risulta ormai "scomparso" da otto giorni, intanto cominciano
ì preparativi per la visita di pace della delegazione
inglese, con sindaco e arcivescovo in testa.
Sembra che Bruxelles
abbia inghiottito Marco Manfredi. Da otto giorni risulta
"scomparso". L'uomo è un autista della Croce Rossa di
Moncalieri. Chi lo conosce dice che sia "uno tranquillo,
calmo, legato alla famiglia, tifoso della Juventus".
Proprio questa sua passione sportiva l'ha portato ad
aggregarsi alla compagnia che andava in Belgio per assistere
alla partita di finalissima per la "Coppa del campioni".
E' rimasto coinvolto negli incidenti prima dell'inizio
del match e da quel momento la sua presenza non è più
stata segnalata da nessuna parte. La moglie, la cognata
e i parenti con centinaia di italiani residenti a Bruxelles
lo stanno cercando da giorni. Sono state diffuse le
sue foto attraverso la televisione e i giornali. Ogni
poliziotto, taxista, vigile ha in mano un volantino
con l'immagine e i dati anagrafici di Marco Manfredi.
Risultati ? Nessuno. C'è un'ipotesi. "Forse è sotto
choc - azzardano i familiari - soffriva di frequenti
mal di testa. Potrebbe essersi sentito male per il viaggio,
il caldo, la folla... Poi gli incidenti... Chissà forse
sta girovagando da qualche parte senza ricordarsi chi
è e senza sapere che cosa fare". Ma ormai, veramente,
sembra che sia passato troppo tempo. Per quanti giorni
si può restare senza memoria ? Come è possibile sfuggire
alle ricerche incrociate di gendarmi e volontari ? Il
nome di Marco Manfredi non compare nell'elenco dei morti
né in quello dei feriti. Pare che non sia ricoverato
in ospedale e gli alberghi non hanno segnalato né lui
né qualche smemorato. E' un "mistero" che le ore trasformano
in angoscia e in tragedia. Angoscia e tragedia per l'Italia
e l'Inghilterra scosse ugualmente da una vicenda che
doveva essere festa di sport ed è diventata un massacro.
Ma proprio da Liverpool sono giunti i primi significativi
segnali di "pace". Il City Council (che è il nostro
consiglio comunale) ha deciso di mandare una delegazione
a Torino per ritrovare le radici della civiltà e della
tolleranza. Il capo della municipalità e il "Chairman",
Derek Hatton e Hugh Dalton, verranno in Piemonte il
17 o il 18 giugno. Con loro ci saranno l'arcivescovo
cattolico Derek Worlock e quello anglicano David Sheppard.
Il sindaco di Torino Giorgio Cardetti ha accolto la
notizia come "testimonianza di amicizia e di civiltà".
Si è augurato che "dall'accaduto non debba sorgere alcuna
ingiustificabile forma di inimicizia fra italiani e
inglesi".
6 giugno 1985
Fonte: Stampa
Sera
ARTICOLI STAMPA
6.06.1985
Picchiato allo
stadio ormai è morente
Le condizioni
di Carlo Duchene, il parrucchiere di Pinerolo ferito
a Bruxelles, sono disperate. E' in coma da otto giorni
e non accenna a riprendersi. Era rimasto coinvolto in
un pestaggio dopo la fine della partita. Era con un
amico, Ivo Taverna, e aveva assistito all'incontro Juventus-Liverpool
dalla tribuna. "Avevamo sentito di incidenti - racconta
il Taverna - si parlava di qualche ferito ma nessuno
immaginava quel disastro... Siamo usciti dallo stadio
fra tifosi e poliziotti. La nostra auto era a un paio
di chilometri di distanza. Carlo era preoccupato per
la macchina: "Non l'avranno mica bollata ?". Quando
siamo arrivati al parcheggio sono arrivati tre inglesi".
Uno ha colpito Carlo Duchene. Forse teneva in mano un
pugno di ferro. Lui ha cercato di difendersi ma quell'altro,
gonfio di birra, lo ha colpito ancora. "L'ho visto a
terra - aggiunge Taverna - aveva le mascelle strette
e la pelle livida. Sono arrivati i poliziotti e l'ambulanza".
Per una notte sono rimasto all'ospedale poi mi hanno
detto che l'avevano trasferito".
6 giugno 1985
Fonte: Stampa
Sera
ARTICOLI STAMPA
6.06.1985
18 feriti tornati
in Italia
A Torino
il sindaco di Liverpool
Altre 14 persone
ricoverate ancora negli ospedali della città belga -
Riconosciute le due salme scambiate - Perché i cadaveri
non sono stati ricomposti ? Il giudice: la colpa è degli
italiani" - Nei prossimi giorni la delegazione inglese.
MILANO - "Come
faccio ad essere qui, adesso, a parlare con voi, non
lo so ancora: quello che ho visto è indescrivibile".
Gabriele Bradimarte è uno dei primi a scendere, con
le sue gambe, dal "Fokker" che ha riportato ieri mattina
in Italia da Bruxelles diciotto feriti italiani coinvolti
nei terribili fatti di Juventus-Liverpool. Bradimarte
ha subito la frattura di alcune costole: "No, non sono
entrato in contatto con gli inglesi - dice - ero nel
settore Z, ma sono stato stretto in mezzo alla calca
rischiando di cadere a terra e venire calpestato". Altri
14 feriti sono ancora ricoverati nella capitale belga.
Linate, tarda mattinata, scalo privato a fianco dell’aeroporto
militare. Le agghiaccianti scene dello stadio Heysel
ritornano tutte davanti. Ecco i feriti che scendono
dall’aereo, ecco i parenti commossi e emozionati. Gabriele
Bradimarte a Milano ha un fratello, è venuto a prenderlo.
Nel primo pomeriggio, poi, prenderà un volo per Pescara
dove abita con la sua famiglia. Altri feriti vengono
invece trasbordati su un altro aereo diretto a Perugia.
Dalla città umbra saranno avviati con ambulanze verso
i rispettivi comuni di residenza: Tiziana Bruni, uscita
nei giorni scorsi dal coma e il marito Alessandro Antonini
di San Terenziano sono diretti a Deruta, Francesco Vinciarelli
(ematoma nella zona renale) è di Cortona, Franco Lo
Scuro (trauma cranico) va a Cassino; Giuseppina Di Stefano
è diretta all’ospedale di Pistoia e Alessandro Benocci
a quello di Rieti, Carla Gonnelli va a Ponsacco. Su
un aereo militare sono saliti Antonio Longo (trauma
cranico) e Sebastiano Bisignano (frattura di alcune
costole): il primo diretto a Brindisi, il secondo a
Catania da dove proseguirà per Siracusa. Sulla pista,
davanti al "Fokker" giunto da Bruxelles e all’aereo
in procinto di partire per Perugia, sono schierate le
ambulanze predisposte da "Europe Assistance" per il
trasporto dei feriti residenti nelle città del nord.
Su un’ambulanza diretta all'istituto Rizzoli di Bologna
vengono caricati Angelo Filipponi e Sergio Biagini.
Quest’ultimo non può parlare, perché ha la mascella
fratturata. Ma fa segno di sì con la testa quando Filipponi
(che ha una frattura alla gamba sinistra) esclude che
vi sia stata provocazione da parte dei tifosi italiani:
"Gli inglesi - dice - si sono dimostrati più delinquenti
dei delinquenti italiani che qualche volta si incontrano
negli stadi". Mario Mancini di Busto Arsizio è stato
trasportato a Niguarda. Ha avuto la frattura del femore
e due fratture al bacino, ma è riuscito a salvare la
moglie: "Ero contro la rete e con le braccia - racconta
- cercavo di tenerla distante per farla respirare. A
un certo punto ho sentito che qualcosa dentro di me
si rompeva e fortunatamente in quel momento la rete
ha ceduto". Un bambino biondo col braccio sinistro ingessato
si avvicina con aria divertita: vede tanti fotografi,
le telecamere della televisione, si sente importante.
È Matteo Favaretto, 11 anni, veneziano. Un'occhiata
al papà, Egidio, che in barella viene caricato sull'ambulanza
e scappa quasi subito. L'ultimo a uscire dall'aereo
è Mario Gasparelli, 60 anni. Un'ambulanza lo porta a
casa a Milano. È vivo grazie al figlio Osvaldo che lo
ha tirato fuori da un mucchio di cadaveri. Intanto sono
state riconosciute le salme del friulano Nisio Fabbro,
il cui cadavere era stato inviato erroneamente a Grotteria,
in Calabria, perché scambiato per quello del tifoso
Luciano Rocco Papaluca. Anche i parenti di quest’ultimo
hanno riconosciuto ufficialmente la salma. La magistratura
belga, nel frattempo, ha dichiarato che i trentadue
tifosi italiani sono morti tutti per asfissia e non
a causa di ferite inferte con rasoi o coltelli. Il giudice
istruttore ha addossato la colpa dello scambio delle
salme all'impresa di pompe funebri italiana. Sempre
degli italiani è la colpa infine se i corpi dopo l'autopsia
non sono stati ricomposti: "I parenti e le autorità
italiane - ha detto il giudice - ci hanno messo fretta.
Per ricomporre i corpi sarebbe stato necessario un numero
triplo dei medici che abbiamo impiegato ed altre 48
ore di tempo". Mano tesa del turismo italiano verso
quello inglese: un’iniziativa del nostro paese in Inghilterra,
in funzione promozionale, è stata preannunciata dal
ministro Lagorio nel corso di un incontro con Scalfaro.
Da ultimo c’è da segnalare un severo provvedimento disciplinare
preso dalla scuola media "Stifter" di Bolzano nei confronti
degli alunni responsabili delle percosse ai danni di
Daniel Campisi, la cui unica colpa è stata quella d’essere
nato in Inghilterra. E proprio perché le "comunità civili
non si allontanino", una delegazione di autorità di
Liverpool, guidata dal capo della municipalità Hug Dalton,
giungerà a Torino nei prossimi giorni.
6 giugno 1985
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA 6.06.1985
PIACENZA - Un
piacentino, Giuseppe Callegari di 27 anni, sta cercando
un giovane inglese che il 29 maggio gli ha salvato la
vita allo stadio Heysel. "Stavo per essere travolto
dalla calca - ha detto - quando sono stato afferrato
per un braccio da un ragazzo inglese che mi ha tirato
fuori dalla marea di corpi. Vorrei ringraziarlo: gli
debbo la vita".
6 giugno 1985
Fonte: La Repubblica
ARTICOLI STAMPA
6.06.1985
TORINO - Un collega
l'ha incontrato ieri pomeriggio a due passi dal centro.
In jeans, canottiera e giubbotto, Marco Manfredi, l'uomo
di 40 anni disperso dopo il "mercoledì nero" di Bruxelles,
è arrivato in treno dalla Francia. Dalla stazione si
è diretto a casa a piedi. Non ricorda nulla della tragedia,
sa di essere partito da Moncalieri "per andare alla
partita", ma dice di non "saperne nulla", di "aver conosciuto
il risultato qui in questura", racconta di "aver vagato
da Nantes a La Rochelle", di "aver mangiato pane e mele
e di esser stato anche in ospedale". Alle 17.30 ha abbracciato
in questura la moglie Rosita, ha rivisto il cognato.
E' stato sottoposto a controllo medico. La prima diagnosi
parla di "stato confusionale, nessun segno di violenza".
(Servizi di G. Mongelli e M. Neirotti in Cronaca)
7 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
7.06.1985
Ha vagato per
una settimana in Francia
di Marco Neirotti
Il tifoso "disperso"
è stato riconosciuto ieri pomeriggio da un collega davanti
alle Molinette - Poco dopo in questura ha raccontato,
con mezze frasi, di aver girato in treno per tutti questi
giorni - Dopo Nantes e La Rochelle, è rientrato da Ventimiglia
- "Non avevo più soldi, venivo a prenderli" - Il medico:
"è in stato confusionale" - Si rifiuta di andare in
auto - I morti alla partita ? "Non so niente".
Jeans, canottiera
e giubbotto azzurro. Alto e robusto. Col sorriso talora
distaccato, più spesso stupito. Alle 16.45 di ieri un
suo collega l'ha riconosciuto: in corso Bramante, di
fronte alle Molinette. Sono entrati nel bar accanto
al supermercato, di qui il collega ha avvertito familiari
e polizia. E' "ricomparso" così Marco Manfredi, l'autista
quarantenne dell'ospedale Santa Croce di Moncalieri
disperso nel mercoledì nero di Bruxelles. In "stato
confusionale" nulla ricorda della partita, sa di tesserci
andato", ma ha "saputo il risultato in questura", dice
d'aver "vagato in treno per la Francia", cita "Nantes
e La Rochelle", è rientrato "da Ventimiglia", racconta
che stava girando il mondo e, "rimasto senza soldi",
veniva a casa "a prenderne dalla moglie". Un'idea fissa
lo inchioda, un'idea fissa che ha ritardato l'incontro
coi parenti: "In macchina no, non voglio. Vengo, ma
in tram". E in tram due agenti "l'hanno condotto in
via Grattoni, dove l'aspettava un medico, il dottor
Joannis Cantzas: "Non ho riscontrato segni di violenze
- dice - è in stato confusionale. Forse, ha subito un
forte choc. Occorrono altri controlli". Marco Manfredi,
l'uomo rimasto per otto giorni nel mistero, per il quale
sono stati diramati fonogrammi a tutte le polizie, la
cui famiglia tentava ogni disperata strada, sulla cui
sorte si temeva il peggio, è ricomparso a quattro passi
dal centro. Dice di essere arrivato in treno. Da Ventimiglia
raggiunge Torino con un convoglio alle 15.01. "Sono
sceso e sono andato a bermi un caffè" racconta sotto
riflettori e flash negli uffici della Squadra Mobile.
Sorride, lo chiamano e alza il viso, barba da fare e
occhi pronti a correre e rifuggire: "Poi mi sono incamminato
verso casa, a Moncalieri, a piedi". S'incammina e si
ferma in corso Bramante. Le 16.45. Davanti a un bar
c'è un dipendente dell'Usl di Moncalieri. Lo blocca,
telefona a famiglia, amici, 113. Arrivano le Volanti,
una, due, altre. Manfredi sorride. Pone una condizione:
"Sulla macchina no. Andiamo in tram". Due agenti in
borghese salgono con lui. Intanto la moglie Rosita e
il cognato Antonio Convertino raggiungono gli uffici
della Mobile. Sono le 17.25. Alla fermata di corso Vinzaglio
scendono Manfredi e i poliziotti. Continua a sorridere
quest'uomo che anche l'Interpol cercava. Gli agenti
non smettono di parlargli rassicuranti: " Visto che
ci siamo ?". "Tutto bene ?". "T'aspettavi una festa
così ?". Si cammina lungo il marciapiede di via Grattoni.
Accanto a lui, l'occasione per la prima domanda secca
dopo il rientro. Manfredi, che ricorda ? "Giravo il
mondo". E lo stadio ? "Non so". Sta bene ? "Perché no
?". Poi su per le scale. Ufficio del dottor Pellegrino,
il funzionario che ha seguito in questi giorni le vicende
di Bruxelles. Pochi minuti. Ora - viso buono e sperduto
nei corridoi piastrellati - lo accompagnano nell'ufficio
del dottor Faraoni, dove sono la moglie Rosita e il
cognato Alberto. Dolcissima, lei lo bacia, lo bacia
più volte e l'accarezza, lui le si avvicina con la barba
lunga tra stupore e silenzi interrotti dalla preoccupazione
per "la sacca della figlia, Maruska". Lei chiede: "Adesso
lasciateci soli". E aggiunge subito: "Ricordatevi di
ringraziare tutti", anche chi senza conoscerli ha patito
la loro storia. Parla Manfredi. La Juventus: "Sì, sono
tifoso", nulla più. Destinazione Bruxelles: "Ricordo
di esserci andato". Il massacro del settore Z: "Non
so niente". E che ricorda ? "Ero in Francia. Mi ricordo
Nantes, Saint-Nazaire, La Rochelle". Un percorso assurdo.
Cosa mangiava ? "Finché ho avuto soldi compravo pane
e mele. Poi sono andato in un ospedale. Il cuoco era
gentile". Sempre in treno ? "Forse anche autostop, soprattutto
treno". Nelle tasche due multe per mancanza di biglietto:
"Gli ho detto che non avevo soldi, venivo a casa a prenderli
perché viaggiavo per il mondo". Ancora qualche frase:
"Sono arrivato a Ventimiglia. Non avevo soldi, ho chiesto
a polizia, carabinieri, Finanza. Ho detto che mi chiamo
Manfredi e voglio tornare". A Ventimiglia qualcuno ricorda
d'aver visto un uomo alto e robusto "senza documenti"
che chiedeva un biglietto gratis. Gli hanno "Consigliato
di rivolgersi alla polizia ferroviaria per avere il
biglietto per indigenti". Lui muove la testa: "M'hanno
detto di andare dalle assistenti sociali. Ma avevo già
viaggiato senza biglietto... Ne ho fatto a meno ancora".
La moglie lo abbraccia, scendono assieme, in strada
un amico dice che "c'è la macchina", lui non vuol saperne.
L'amico alza per un attimo la voce. "Se non vuole, non
vuole". Arriva un altro parente o amico, un abbraccio.
Sono in corso Vinzaglio alla fermata; Davanti a loro
i giorni lunghi per ritrovare quel che si è perso attorno
a quello stadio.
7 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
7.06.1985
"E' ritornato
!" e Moncalieri fa festa
di Giuliana Mongelli
Atmosfera euforica
all'ospedale Santa Croce dove Marco Manfredi lavora
- In un angolo, con le lacrime agli occhi, l'amico che
era partito con lui per Bruxelles: "L'ho perso di vista
appena entrati nello stadio".
Non avevano il
biglietto: multa di 20 mila lire per lui e per chi lo
accompagnava. Il colmo per Marco Manfredi è accaduto
in pullman, mentre rientrava a casa. Sembra una battuta
di spirito, invece è successo davvero. Con la moglie
e due amici Marco Manfredi lascia la questura verso
le 18: con un mezzo pubblico arrivano a una fermata
del 67 e salgono sul pullman per arrivare a Moncalieri.
Inutile dire che i quattro, nell'emozione del momento,
si dimenticano di acquistare i biglietti. Una distrazione
facilmente comprensibile, ma non per il controllore
il quale non accetta spiegazioni ("Sa, mio marito è
lo scomparso di Bruxelles. Lo abbiamo trovato oggi.
Nella fretta..."). Risultato: multa di 20 mila lire
a testa, 80 mila in tutto. L'episodio viene raccontato
con il sorriso sulle labbra: l'atmosfera a Moncalieri
è festosa, come per il ritorno di un reduce su cui non
si sperava più. La notizia in città è arrivata e si
è diffusa in un baleno. L'edicolante di piazza Caduti
della Liberta l'ha saputo verso le 17, un quarto d'ora
dopo che il collega di lavoro vedesse Manfredi in corso
Bramante: "Me l'ha detto un giovane della Croce Rossa.
Da quel momento ne hanno parlato tutti. Sa, è molto
conosciuto. Un signore poco fa è passato urlando: "E'
già a casa ! E' già a casa ! ". In ospedale, i colleghi
di lavoro non stanno più nella pelle. Nella portineria
è un continuo trillare di telefono. L'usciere Davide
Sordo risponde a tutti con la voce rotta dall'emozione:
"Sì, è vero, è tornato. Sta bene. E' un po' confuso.
Ci ha riconosciuti. Qualche giorno e si rimetterà".
Spiega Sordo: "è stato portato qui per dei controlli.
Quando ci ha visti ha allargato le braccia". In portineria,
in un cantuccio, c'è anche Giovanni Deva, che era partito
con Manfredi per Bruxelles". Ha le lacrime agli occhi.
Ricorda i momenti più brutti: "Pensi che non siamo tifosi.
Quest'anno non siamo andati a vedere neppure una partita
di campionato. Per noi Bruxelles era una gita. L'ho
perso di vista appena entrati nello stadio...". C'è
anche un altro autista, Francesco Domiziano: "è arrivata
qui la prima telefonata di Felice, un infermiere della
sala operatoria. Ha detto: "Ho visto Marco, davanti
alle Molinette". Gli abbiamo urlato "Rincorrilo !".
Con l'auto sono passato a prendere i parenti, e siamo
corsi da lui. L'ho abbracciato e ho pianto". Appena
ha visto la moglie Rosita ha mormorato, porgendole la
sacca che aveva al collo: "è di Maruska (la figlia,
ndr). Bisogna lavarla, altrimenti si arrabbia". "Quando
gli abbiamo chiesto: Perché non hai mai telefonato ?
Ha guardato Rosita. "Ma se l'ho vista questa mattina...".
7 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
7.06.1985
Ha vagato otto
giorni per la Francia dopo la fuga dall'Heysel
di Lorenzo Del
Boca
Lo cercavano in
Belgio. Lo hanno trovato a Torino a due passi dalla
stazione. Marco Manfredi, autista della Croce Rossa
di Moncalieri era andato in pullman a Bruxelles per
assistere alla partita. Non ricorda assolutamente nulla.
E' stata una notte tranquilla dopo otto giorni di silenzio
e la nebbia dei ricordi. Marco Manfredi, lo "scomparso"
di Moncalieri, è stato ritrovato e ha fatto ritorno
a casa. Un bagno caldo, il rasoio sulla pelle che si
è portato via la barba lunga di una settimana, le lenzuola
che profumano di pulito del proprio letto. Gli restano
quegli occhi stanchi che si guardano intorno per cercare
visi conosciuti: occhi smarriti che vorrebbero capire
e non capiscono. Allarga le labbra in un sorriso che
non sembra spontaneo: distaccato, a volte; più spesso
stupito. "Perché non hai telefonato a tua moglie ?"
"Ma se l'ho vista stamattina...". Lo cercavano in Belgio:
l'hanno trovato a Torino a due passi dalla stazione
di Porta Nuova. I parenti avevano distribuito centinaia
di volantini con la sua fotografia e stavano battendo
Bruxelles palmo a palmo. Gli italiani residenti lassù
hanno formato un "comitato di accoglienza" per aiutare
i connazionali in difficoltà e la famiglia Manfredi
era disperata. Marco, autista della Croce Rossa dell'ospedale
di Moncalieri, era partito in pullman per vedere la
partita di finalissima della "Coppa Campioni". Juventus-Liverpool.
Era stato un viaggio abbastanza faticoso, ma aveva chiacchierato
con gli amici e alla fine si sono trovati davanti allo
stadio. C'era già confusione e gli altri l'hanno perso
di vista. Da quel momento è scomparso, come inghiottito
nel nulla. "Dopo la partita lo abbiamo aspettato per
più di un'ora - raccontano - ma, poi, abbiamo dovuto
partire: eravamo già troppo in ritardo". Alle spalle
il massacro di tifosi schiacciati dalla folla e sepolti
da un muro crollato. E Marco Manfredi ? Nessuna traccia.
I giorni che passavano hanno colorato questa storia
di mistero e di preoccupazione. Che cosa è successo
? Lui scava nella memoria per recuperare qualche brandello
di ricordo. "Ho girato il mondo". Forse non proprio
il giro del mondo ma, certo, di chilometri ne ha fatti
parecchi. Probabilmente ha attraversato la Francia passando
per Nantes, La Rochelles, Saint Nazaire; ha viaggiato
in treno collezionando una serie di multe perché non
aveva pagato il biglietto; ha mangiato pane e mele e
ha dormito in un sacco a pelo a volte alla stazione,
a volte sul marciapiede. A Ventimiglia ha chiesto aiuto
agli uomini della frontiera: Guardia di Finanza, Carabinieri,
Polizia. "Questi mi hanno mandato da quelli - riferisce
- quelli mi invitavano a rivolgermi a quegli altri ancora".
Aveva viaggiato per tanto tempo senza pagare, poteva
farlo ancora. A Torino è arrivato alle 15.01. Un caffè
al bar e poi a piedi verso Moncalieri. Per strada l'hanno
riconosciuto. "Ma tu... Tu sei Manfredi... Marco Manfredi...
Lo scomparso". Poche telefonate e sono arrivate le volanti
della polizia, la moglie, i parenti e gli amici. Lui
non vuole salire in automobile. Non si sa perché, ma
sedersi in macchina gli crea un senso di angoscia. Poliziotti
e parenti lo hanno accontentato: in Questura, in via
Grattoni, ci sono arrivati con il tram e per Moncalieri
hanno usato il bus numero 67 (dove hanno preso la multa
perché si erano dimenticati di comperare il biglietto).
Il medico Joannis Cantzas assicura che "è in stato confusionale"
ma non ci sono segni di violenze. Dovrà essere visitato
ancora in futuro. Insomma: bisogna tenerlo sotto controllo
per qualche giorno. Non ci sono pericoli: poco per volta
potrà recuperare memoria e tranquillità. Era vestito
come quando era partito: jeans, maglietta e giubbotto.
Solo più sporchi di quando era uscito di casa. Nelle
mani: la borsa a sacco della figlia Maruska. Ci aveva
messo dentro poche cose che gli servivano prima di partire
e se l'è trascinata in spalla in un viaggio per giorni
e giorni lungo centinaia di chilometri. "Bisognerà lavarla".
E' la fine di un'avventura: un incubo che si stempera
nella felicità del ritrovamento. Cominciavano a venire
meno le speranze ? "Beh... (I parenti non hanno più
motivo di mentire) Si cominciava a temere il peggio.
Ma perché guardare indietro ? Adesso è finito tutto".
7 giugno 1985
Fonte: Stampa
Sera
ARTICOLI STAMPA
7.06.1985
"Ho vissuto a
pane e mele"
"Non sono riuscito
a trovare altro da mangiare. Per i biglietti del treno
fidavo nella sorte. Ma mi hanno dato qualche multa".
Una settimana
senza nome, senza famiglia, senza soldi. "Mangiavo pane
e mele, almeno finché ho avuto denaro". Poi si è rivolto
al cuoco di un ospedale "molto gentile" che gli ha offerto
un piatto di minestra e una bistecca. Camminava a piedi
girovagando per le città: ha attraversato la Francia
in treno facendo un percorso assurdo a zig-zag. "Non
avevo più soldi per pagare i biglietti. Il controllore
mi faceva il verbale di multa". Ne ha conservati due
dell'altro ieri. Dormire ? "Mi aggiustavo nel sacco
a pelo". Ma dove: alla stazione, sul marciapiede, sotto
il ponte ? "Sì, sì - riferisce come se fosse la cosa
più ovvia - in quei posti lì". Moncalieri ha accolto
la notizia con grande euforia. I colleghi si sono precipitati
al telefono per parlargli. Qualcuno è corso a casa:
grandi abbracci, auguri, pacche sulle spalle. Qualcuno
piange sulla spalla dell'amico ritrovato e lui si guarda
intorno sorpreso di questa accoglienza che gli sembra
strana. "Sei contento di questa festa ?" "Certo, certo,
ma non è proprio il caso", in fondo"... "La partita
? La Juventus ? Non ricordo nulla". Marco Manfredi,
lo "scomparso" ritrovato, ha cancellato dalla memoria
le immagini dei tifosi di Bruxelles che si scontravano
e si uccidevano. "I bianconeri hanno vinto uno a zero,
sì, me l'hanno detto adesso. Non lo sapevo". Pochi particolari
e otto giorni "in giro per il mondo". "Ormai sono a
casa, non andrò più a una partita all'estero". E la
moglie: "Ricordatevi di ringraziare tutti, ma adesso
lasciateci soli".
7 giugno 1985
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA 7.06.1985
La perizia ufficiale inglese
condanna le responsabilità di Bruxelles
Una commissione
tecnica londinese
"Vecchio
e inadeguato lo stadio belga"
LONDRA - La prima
perizia tecnica di un organo ufficiale inglese sulle
condizioni dello stadio di Bruxelles al momento dell'incontro
Liverpool-Juventus, in cui morirono 38 persone, suona
come aperta condanna nei confronti delle autorità belghe.
I tecnici nel loro rapporto affermano infatti "che nonostante
fossero stati i tifosi inglesi a innescare gli incidenti,
lo stadio Heysel, vecchio e tenuto in condizioni sbalorditive,
ne è stato il meccanismo". "Mentre gli attacchi dei
tifosi del Liverpool hanno causato il panico e la conseguente
fuga precipitosa - si legge nel rapporto presentato
ieri alla stampa - la principale causa diretta delle
morti è stata il crollo delle barriere di sicurezza
ai bordi delle gradinate". La perizia è stata compiuta
per conto del "Greater London Council", il "grande Municipio
di Londra", che ha inviato nei giorni scorsi a Bruxelles
una sua delegazione di tecnici, della quale facevano
parte anche il vicecapo dei vigili del fuoco di Londra
e il vicecapo della sezione d'ingegneria strutturale
del Municipio stesso. Riferendosi ai "superati e inadeguati"
impianti di sicurezza dello stadio, il rapporto afferma
che "sotto la legislazione inglese non sarebbe stato
permesso di aprire lo stadio al pubblico". La perizia
espone poi in dettaglio le condizioni tecniche degli
impianti, soffermandosi in particolare sulla barriera
che divideva i settori in cui erano stati sistemati
i tifosi delle due squadre ("inadeguata a prevenire
un movimento di folla") e sul muro ai bordi delle gradinate
("assolutamente inadatto a sostenere pressioni laterali").
Le perizie affermano anche che "l'area riservata ai
tifosi del Liverpool era affollata molto densamente
mentre quella restante era solo relativamente popolata".
Presentando il rapporto, pubblicato anche dalla qualificata
rivista "New Civil Engineer", il presidente della Commissione
per i servizi pubblici e i vigili del fuoco, Simon Turney,
ha fatto presente che l'iniziativa del municipio della
"Greater London" non è basata su "Considerazioni politiche
o diplomatiche" ed ha lo scopo solo di accumulare esperienza.
Intanto si è appreso che ispettori della polizia belga
si recheranno a Liverpool per collaborare all'identificazione
dei teppisti che il 29 maggio provocarono la strage
di tifosi italiani nello stadio Heysel. Gli investigatori
inglesi e belgi sperano di giungere all'identificazione
dei teppisti per mezzo di documentazioni fotografiche
e televisive del tragico evento. Una nota positiva al
margini della tragedia: la Comunità Europea, su proposta
del commissario Carlo Ripa di Meana, responsabile Cee
per lo sport e la cultura, ha deciso di mettere a disposizione
delle famiglie delle vittime oltre 280 milioni. (Ansa)
7 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
7.06.1985
Stop totale ai
club inglesi
Vietate le partite,
anche se amichevoli, in tutto il mondo - "Salva" la
nazionale.
ZURIGO - La Fifa,
federazione calcistica internazionale, ha fatto propria
la sospensione delle squadre inglesi per le competizioni
europee presa dall'Uefa dopo la tragedia dell'Heysel,
allargandola a tutta l'attività internazionale. Il provvedimento
riguarda soltanto le squadre di club, e non tocca l'attività
della nazionale inglese che potrà quindi partecipare
sia al Mundial '86 che ai campionati d'Europa. La decisione
di sospendere le squadre inglesi è stata presa dal comitato
di emergenza della Fifa (sette membri) ed annunciata
dal segretario generale dell'organismo calcistico internazionale,
Joseph Blatter. La squalifica, è stato precisato, interesserà
anche le partite amichevoli che invece non erano state
prese in considerazione nei provvedimenti adottati domenica
dall'Uefa. "La durata della squalifica - è precisato
in un comunicato - è uguale a quella decisa dall'Uefa,
i cui dettagli saranno precisati in seguito, solo quando
saranno concluse le inchieste già in corso e si sarà
espressa la commissione disciplina dell'Uefa stessa".
Nello stesso comunicato è precisato "ciò significa che
tutti i club e le squadre sotto la giurisdizione della
federazione londinese sono sospese da ora da ogni attività
calcistica internazionale. E' loro proibito disputare
amichevoli, come definite nell'articolo 9, paragrafo
1 dei regolamenti Fifa, e partecipare a competizioni
internazionali di club, siano esse ufficiali o non ufficiali.
E' escluso dalla squalifica il calcio non professionistico
e giovanile". Il blocco all'attività internazionale
delle squadre inglesi di club diventa così totale. Ovviamente
saranno possibili incontri con squadre di società scozzesi
e irlandesi, che sono fuori dal provvedimento di sospensione
ed hanno federazioni proprie.
7 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI
STAMPA 7.06.1985
Il calcio non è pronto
di Fabrizio Casa
Un nostro collaboratore,
campione mancato, interviene sulla tragedia di Heysel
e sulle sue conseguenze.
Scrivo di calcio
femminile su "Reporter" e in generale mi occupo di sport
minori, quelli dove il business non è entrato e forse
non entrerà mai. La mia grande passione, o addirittura
amore, è il calcio. Sono stato calciatore, ora allenatore,
mi piace parlarne e scriverne. Anche io mi sento parte
della Tribù. Ma mai come ora sento il divorzio vicino,
un’inevitabile separazione. Sensazione che mi ha sfiorato
molte volte quando piccolo calciatore venivo fatto giocare
dopo un mese di gesso dai miei dirigenti solo per essere
messo in vetrina; quando ho conosciuto le storie calcistiche
di miei amici che avevano girato mezza Italia come un
pacco postale e ad ogni recapito qualcuno ci steccava
sul prezzo di vendita o di prestito del loro cartellino;
o quando, in tempi recenti, mi ritrovo, a fare qualche
torneo amatoriale e un terzino pensa bene di picchiarmi
per novanta minuti; pur sapendo che io cerco solo un
po’ di divertimento e un momento di apparente gloria
in cui annegare le mie delusioni agonistiche. Per questo
il calcio non è pronto. E bisogna usare parole dure
- sottolineo anch’io senza criminalizzare - ed essere
spietati giudici degli altri, che non è bello lo so,
ma necessario. Ho ancora un barlume di buon senso per
capire, le motivazioni di alcune prese di posizione
e la buona volontà dei molti, italiani e non, che si
sono interrogati sui fatti di Bruxelles. Capisco chi
fa il nazionalista a spada tratta, chi rivendica il
sangue dei propri morti per onorare un trofeo, chi nel
tumulto di quella sera ha trovato la voglia, con parole
o con fatti, di mostrarci la validità dell’impresa "sportiva":
li capisco, ma non mi piacciono. Capisco anche, e mi
piacciono di più, quelli che si sono preoccupati subito
di una pacificazione sportiva, che non hanno avuto la
frenesia di chiamare inglesi gli assassini, ma assassini
gli assassini, quelli che auspicano una Supercoppa fra
Juventus ed Everton a Liverpool. E mi costringo infine
a capire anche chi ha celebrato la strage sui muri o,
per opposti motivi, a suon di clacson nelle strade d’Italia.
Ho il dovere di capire tutte queste persone perché sono
dentro di me, che volente o nolente faccio parte della
loro stessa Tribù, perché mai come negli ultimi anni
il calcio è stato parte della nostra cultura: per questo
il calcio non è pronto. Non è pronto a partite, spareggi,
scudetti, campionati del mondo, a campioni, personaggi,
tifosi. E io me ne accorgo solo adesso ? Sì è vero,
ho avuto bisogno dei morti e sento tutto il peso di
questa vergogna, ma non è il momento di criminalizzare
nessuno, tanto meno me stesso. Voglio avere lucidità
e coraggio, io, come membro della Tribù, sono stato
fra i più fortunati: ho passato la settimana precedente
alla finale in Ungheria, al seguito della Nazionale
Femminile di calcio. Fortunato perché immune da tutto
il clamore intorno all’ evento partita dell'anno. Di
questo vaccino ancora provo gli influssi e sento il
bisogno di fare un passo indietro rispetto a quasi tutte
le cose che ho letto e sentito in questi giorni. Perché
da noi il calcio non può ridiventare sport come ce ne
sono tanti, senza che continui ad essere venerato con
tutti i suoi sacri riti ? Perché siamo ipnotizzati dai
Processi del Lunedì, dai Novantesimi Minuti, dalle Domeniche
Sportive ? Perché la maggior parte dei tifosi non sa
distinguere un fallo di ostruzione da una carica di
spalla ? Perché la prima cosa che si insegna a un ragazzino
è il modo di colpire in maniera cattiva l’avversario
? lo credo che Bruxelles sia dietro tutto questo, e
anzi la lista della spesa è ancora più ricca di voci
se solo si vuole allungarla. Se mai si farà la Supercoppa
a Liverpool potranno succedere incidenti o filare tutto
liscio e, in ognuno dei due casi ci sarà chi ripeterà
"io l’avevo detto". Ma nulla cambia: i miei perché stanno
là inamovibili. Per questo il calcio non è pronto.
7 giugno 1985
Fonte: Reporter
ARTICOLI STAMPA 7.06.1985
La
strage allo stadio
Ci sentivamo undici
robot
di Roberto Beccantini
I calciatori della
Juve spiegano il loro stato d'animo sul terreno di gioco
- "Mi sono immerso nella partita", dice Platini, "come
un palombaro in fondo al mare" - Boniek: "Non vedevo
la porta, ma solo dei morti".
Torino, giugno.
Affogare in una coppa. Tutto, la vita e la morte. A
Bruxelles, la sera del 29 maggio, prima nel sole e poi
sotto le stelle, Juventus e Liverpool si sono prestate
a un balletto macabro, sullo sfondo di decine e decine
di cadaveri. Chi scrive era nello stadio della morte.
Chi scrive è partito e tornato con la squadra juventina.
Serena prima, affranta e scombussolata dopo. "Odio gli
inglesi, li odierò sempre", brontolava Giampiero Boniperti,
presidente bianconero dal luglio del 1971. "Alla luce
di quello che è successo a Bruxelles, non ho dubbi:
l'incendio di Bradford dell’ 11 maggio scorso, che fece
52 vittime, era doloso. Ho visitato le salme e due in
particolare mi hanno impressionato. Padre e figlio,
con la maglia bianconera imbrattata di sangue. Uno,
il figlio, aveva un occhio di fuori, poveraccio. Tutti
neri in volto, erano morti asfissiati". Nessuno teneva
alla coppa quanto Boniperti. Nessuno come lui, ora che
l'ha vinta, vorrebbe riconquistarla. "The killing field".
"Il campo che uccide", hanno titolato i giornali di
Londra, facendo il verso a un titolo di film non meno
famoso, da noi tradotto in "Urla del silenzio". Michel
Platini è il giocatore che ha trasformato il rigore
decisivo. Con freddezza, senza apparente angoscia. E
poi è schizzato via come un tappo di champagne, scomparendo
fra braccia sin troppo festose. "Michel, ma era proprio
il caso, in quel clima da apocalisse ?". Il calcio è
un circo", risponde il fuoriclasse francese, "mi ricorda
la Formula Uno. Muore un pilota o muoiono degli spettatori
? Le corse non si fermano. Guai ! Si continua, sempre
e comunque. Noi non volevamo giocare, ce l'avevano chiesto,
supplicandoci, i tifosi. La federazione internazionale
ci ha poi costretti a farlo. Eravamo tesi, preoccupati.
Sapevamo della tragedia anche se fino all'ultimo abbiamo
sperato che certe cifre fossero sbagliate. E sbagliate
lo erano davvero: ma per difetto, purtroppo... Ho giocato
come ho potuto. Mi sono immerso nella partita come un
palombaro in fondo al mare. Ho cercato, per un'ora e
mezzo, il mio mondo. La partita è stata vera, almeno
per me. Quelli del Liverpool non ci hanno regalato nulla.
Il rigore non c'era, d'accordo, ma fa lo stesso, avrei
segnato su punizione... Mi ha colpito la passione del
vostro popolo. Tutta quella gente, lì per noi, e alcuni,
addirittura, morti per noi. Abbiamo vinto per ringraziare
i vivi e per commemorare gli altri. Boniperti, subito
dopo, mi ha preso in un angolo e mi ha chiesto: "Michel,
sei sempre dell'idea di finire la carriera in Inghilterra
?". Il mio contratto con la Juve scade nel giugno del
1986, dopo i mondiali in Messico sarò libero. Giuro
che sono rimasto senza parole. Mi sono limitato a fissarlo
negli occhi. Il presidente ha capito e ha sorriso...".
Dunque, i giocatori sapevano. Per questo non avrebbero
dovuto "ballare" alla consegna del trofeo, per questo
sarebbe stato consigliabile non alzare la coppa, neppure
dalla parte della curva juventina. Paolo Rossi ci ha
detto: "Premesso che festeggiare una vittoria del genere
non ha proprio senso, ci tengo a precisare come il nostro
giro d'onore altro non voleva essere che un gesto di
ringraziamento nei confronti di quei tifosi che tanto
avevano sofferto, direttamente e indirettamente". Aggiunge
Marco Tardelli: "Anch’io mi chiedo, e mi chiederò fino
a che campo, se era giusto giocare. Sicuramente, era
più difficile non farlo. La miscela esplosiva dell'emotività
avrebbe coinvolto tutti, indistintamente, e avrebbe
seminato più panico e più morti". Cosa resta nel cuore
di una simile notte ? Prova a rispondere a questo interrogativo
Antonio Cabrini, bandiera juventina: "Un'infinita tristezza,
ecco cosa resta. La vittoria, la coppa, tutto passa
in second’ordine. Ma non solo tristezza, sia chiaro.
Anche rabbia. La gendarmeria belga ha dormito bella
grassa. Sarebbe infatti bastato un minimo d'organizzazione
e adesso non saremmo qui a parlare di carneficina ma
di un sogno infranto, finalmente, ma nel senso giusto,
un sogno diventato realtà". Il polacco Zibì Boniek era
fra i più sconvolti. "E dire –brontola - che mi sentivo
strabene. Avrei fatto fuoco e fiamme. Così, invece,
ho cercato di non pensare più a niente. In alcuni momenti,
però, non c'ero proprio con la testa. Davanti a me non
vedevo la porta, vedevo solo morti. Salvo poi esultare
anch'io al rigore trasformato da Michel e al fischio
di chiusura, perché in campo, sissignore, a volte il
robot batte l'uomo. Sarà triste, brutale, demenziale,
ma è così".
7 giugno 1985
Fonte: Gente
ARTICOLI STAMPA
7.06.1985
Matarrese: Per
la tragedia di Bruxelles mettiamo sotto accusa l'Uefa
"Un'associazione
formata da vecchietti che non fanno altro che consegnare
medaglie e stendardi. Non sono in grado di reggere le
sorti del calcio europeo". "Alla riunione il borgomastro
disquisiva con un boccale di birra in mano, il capo
della polizia faceva disegnini...".
ROMA - "Il processo
agli individui è sterile: è l'Uefa così com'è oggi che
va processata". Lo sostiene, con riferimento alle responsabilità
della strage allo stadio Heysel di Bruxelles, il presidente
della Lega calcio, Antonio Matarrese, in un'intervista
che apparirà nel prossimo numero dell'Espresso, il quale
ne ha diffuso una sintesi. Il presidente dell'Uefa,
Jacques Georges, è una brava persona, un buon uomo.
Ma altri attorno a lui - sostiene Matarrese - avrebbero
potuto fare qualcosa per evitare quello che è successo.
Per esempio, la commissione organizzativa, che ha scelto
Bruxelles per la finale. Se si dà incarico ad una federazione
nazionale di organizzare un incontro del genere, si
deve essere sicuri che è in grado di farlo. E se quella
federazione non dà garanzie, allora non si gioca. Io
non so se l'Uefa ha avuto dai belgi garanzie adeguate,
e si è fidata, o se ha lasciato fare, sperando nella
buona sorte. Comunque, dopo quello che è successo l'Uefa
va processata: sclerotica, politicizzata, fuori dal
tempo; una confraternita, non un'organizzazione agile
e moderna; una struttura a matrice dirigenziale dilettantistica,
composta da uomini per lo più di una certa età, gente
che va in sede una volta al mese, che ho visto sempre
e soltanto consegnare medagliette e stendardi, che non
ha gli stimoli giusti per gestire il business del calcio
nell'era della televisione". Nell'intervista all'Espresso,
il presidente della Lega aggiunge: "Il dilettantismo
non è tollerabile a questi livelli, con giri di miliardi
solo per l'eurovisione, mentre sono in gioco, come s'è
visto, anche la sicurezza e la vita del pubblico. Così
com'è, l'Uefa non ha più ragione d'essere". Ricordando
poi alcuni momenti della tragica sera del 29 maggio
a Bruxelles, il cui bilancio è stato di 38 morti, Matarrese
afferma: "Nel più scalcinato stadio italiano, con il
più sgangherato servizio d'ordine, tutto ciò non sarebbe
successo. Da noi anche l'ultimo dei marescialli riesce
a portare i suoi uomini dove e quando servono. Ma là
mancava tutto, assolutamente tutto: non c'era un solo
agente neppure a guardia della tribuna d'onore o all'ingresso
degli spogliatoi juventini che davano direttamente all'esterno,
sull'antistadio; non si trovava un telefono, nessun
graduato della polizia coordinava alcunché. Chiunque
si alzasse in piedi, dava istruzioni. Sembrava che nessuna
delle autorità belghe si rendesse conto di cosa stava
succedendo: dominava il menefreghismo. Alla cosiddetta
riunione (in realtà una babele infernale) dove si decise
che si doveva giocare - conclude il presidente Matarrese
- il borgomastro disquisiva vagamente con il boccale
di birra in mano. Il capo della polizia se ne stava
imbambolato a fare disegnini mentre noi allarmati gli
chiedevamo come era possibile fare uscire tutto il pubblico
senza ulteriori incidenti. Georges, il presidente della
Uefa, girava per la stanza come allucinato. A giocare,
però, ci teneva. Ad un certo punto sono scomparsi, siamo
rimasti solo noi italiani. Borgomastro, capo della polizia
e Jacques Georges: tutti in tribuna a vedere la partita".
8 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
8.06.1985
Il capo della
gendarmeria belga ammette, finalmente, gli errori
di Renato Proni
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE.
BRUXELLES - Il generale Robert Bernaert, comandante
della gendarmeria di Bruxelles, ha ammesso che nel dispositivo
di sicurezza allo stadio di Heysel, se non sono stati
commessi errori veri e propri, ci sono state "gravi
imperfezioni", che hanno poi contribuito alla morte
di 38 tifosi e al ferimento di 450 persone. L'ammissione
parziale di responsabilità da parte del capo della gendarmeria
è stata accolta con una esclamazione di "Finalmente
! Grazie" dal presidente della Camera dei deputati,
il socialista Defraigne, che è stato il più severo critico
delle carenze nel servizio di protezione allo stadio,
la sera del 29 maggio. Il generale Bernaert ha detto:
"Diciamo pure che sono state commesse numerose imperfezioni,
certo più gravi di altre. La minaccia è stata sottovalutata.
La gendarmeria ha reagito con troppo ritardo. Ciò non
è ammissibile. Il servizio d'ordine non è riuscito a
evitare il panico". E' risultato che solo 12 erano i
poliziotti che separavano i tifosi italiani da quelli
del Liverpool e che nello stadio c'erano 15 agenti in
borghese per osservare i movimenti della folla anziché
i 30 previsti. Anche il ministro della Giustizia Jean
Gol è stato chiamato in causa per avere permesso ai
tifosi inglesi colpevoli del massacro di lasciare impunemente
lo stadio. I fatti ammessi sono gravi: errori di osservazione
da parte dei capisquadra, messaggi radio non ricevuti,
ritardi nel chiedere rinforzi, cattiva organizzazione
e mancata separazione dei tifosi italiani nella curva
"Z" da quelli inglesi, reti di protezione troppo deboli,
scarsa collaborazione tra poliziotti e gendarmi. Al
ministro degli Interni Charles Nothomb è stato chiesto
se intendeva dimettersi a causa delle sue responsabilità
politiche e questa è stata la sua risposta: "Ci ho riflettuto
e ne ho discusso con un altro ministro. Ma il dramma
è stato provocato dai britannici. Non è un atteggiamento
corretto imputare le forze dell'ordine per l'accaduto.
Se nella preparazione del dispositivo di sicurezza emergerà
che sono stati commessi errori gravi, allora si porrà
la questione delle mie dimissioni. Io continuo ad accollarmi
l'intera responsabilità politica". Alla fine del dibattito,
la Camera dei deputati ha approvato la richiesta della
signora Antoinette Spaak per svolgere un'inchiesta parlamentare
sulle cause e sulle circostanze della tragedia. La commissione
d'inchiesta, che siederà a porte chiuse, avrà i poteri
dei giudici istruttori e potrà adottare eventuali sanzioni
contro i responsabili del servizio d'ordine. La commissione
sarà formata da nove deputati, di cui tre democristiani,
tre socialisti, due liberali e uno del partito fiammingo.
Come data limite per la presentazione del loro rapporto
è stato fissato il 6 luglio. Il Belgio, dunque, comincia
a dimostrare di accettare la sua parte di responsabilità
con l'intenzione di arrivare a conclusioni che possano
servire come base per fare parziale, e tardiva, giustizia
per l'eccidio.
8 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA 8.06.1985
In ospedale a Moncalieri
il tifoso che a Bruxelles ha smarrito se stesso
E' sereno, ma
non ricorda nulla
di Marco Neirotti
Nella stanza di
Marco Manfredi sono ammessi solo i parenti più stretti
- Dovrà essere trasferito per esami, ripete ancora:
"Non in auto" - Il medico: "Soffre di amnesia anterograda,
una parte della sua memoria è cancellata" - Si deve
ricostruire il suo mondo affettivo - Uno choc "da folla"
? - Le prime parole dette all'amico che l'ha ritrovato
giovedì: "Ciao, vieni con me alla partita ?".
"Visite vietate".
Pennarello rosso su foglio bianco, due parole sulla
porta della stanza di Marco Manfredi, ospedale di Moncalieri,
secondo piano, medicina generale. Vogliono massima quiete
attorno all'uomo, 40 anni, scomparso nell'inferno di
Bruxelles e resuscitato otto giorni dopo a Torino. Quiete
per non deviare i suoi frantumati racconti, le sue paure,
l'incontro con il mondo dei suoi affetti. Una stanza
nel centro del reparto, eppure lontana dall'affollata
vita di camere e corridoi. Assistito dai parenti più
stretti, Manfredi è rilassato. Lo è dal momento del
ricovero, giovedì sera. Appena sveglio ha domandato
"Che ora è", ha voluto "caffè e sigaretta". Ancora e
sempre sorridente, si specchia ripulito e abbronzato.
Come per una vacanza al mare ? "L'ho visto il mare".
Finalmente tra amici. "Sì, conosco tutti qui". Dovrà
essere trasferito per esami. "Non in auto". Sono le
11. E' andata a riposare la moglie, Rosita Binelli,
con lui rimane la mamma, Carla Baldini. "Ero in Toscana.
Telefonano che è tornato. Che fare ? Cerco qualcuno
che mi porti su. Mi sentivo mancare dalla gioia". Un
attimo nell'alloggio di via (omissis), poi al Santa
Croce. E lui di nuovo: "Non in auto". Gli dicono: prendiamo
il tuo camioncino. "In pullman". Una paura oscura. "Fisicamente
sta bene: non ha contusioni - spiega il primario, dr.
Luigi Pecorari. Soffre di un'amnesia anterograda, vale
a dire che una parte della memoria è cancellata". Per
questo sono ammessi solo i parenti: "Loro ricostruiscono
il suo mondo affettivo. Le domande dei giornalisti lo
stimolano alla cieca, senza un discorso finalizzato".
Che è successo nella sua mente ? La biografia clinica
di Manfredi non offre precedenti. Lo sottoporranno a
una Tac. Se si escludono altre ipotesi, forse la causa
di tutto è in uno choc emozionale: il viaggio, l'atteso
incontro di calcio, poi allo stadio una folla straripante
soffocata nell'imbuto dell'ingresso, la brusca separazione
dagli amici. E lui, improvvisamente, solo nel caos.
"Questi tipi di amnesie si configurano in due casi -
commenta il professor Michele Torre, direttore della
clinica psichiatrica universitaria. Uno è la demenza
senile o presenile. Non può essere il suo. L'altro è
quello di situazioni particolarmente intense (bombardamenti,
terremoti), soprattutto in personalità fragili". Quale
la personalità di Manfredi ? Parlano di un uomo "a posto",
sereno. "Ora non vuole saperne di auto. Eppure tre settimane
fa ha vinto il concorso per la qualifica di autista"
- ricorda Felice Totaro, 31 anni, infermiere. Proprio
Felice giovedì sera ha incontrato Marco in strada. Adesso,
nell'atrio dove il portiere, Luigi Sapino, offre con
entusiasmo ragguagli "su Marco" ai colleghi, rievoca
l'incontro. "Andavo a farmi tagliare i capelli, in via
Ormea. C'era traffico in corso Raffaello, allora ho
preso via Monti. All'angolo con corso Massimo d'Azeglio
lo vedo con gli occhi bassi, fermo per lasciar passare
le auto". Sono le 16.30. Totaro, prigioniero del traffico,
è titubante, non sa in che condizioni sia Marco, come
possa agire su di lui l'impatto con un volto noto. Un
telefono, un gettone, l'ospedale: "Sono a Torino, ho
visto Manfredi". Subito: "Fermalo". L'infermiere esce,
lo raggiunge all'angolo con via Cellini. "Marco !".
Si volta. Sorride. S'avvicina: "Ciao". Una pausa. "Vieni
anche tu alla partita ?". Si abbracciano. "Ti porto
a casa". "Non in macchina: moto o tram". Qualche passo
fino a corso Bramante, lo prende sottobraccio, e Marco:
"Abbiamo vinto". Vinto la partita ? Più tardi, in questura,
dirà d'aver appreso qui il risultato. Conquistato il
rientro a casa, allora ? Forse. Totaro entra nel bar
di fronte alle Molinette, telefona ancora. Di nuovo
in strada. "Vuoi mangiare ?". "Il medico non vuole che
si mangi tanto". Un caffè ? Il caffè va bene. Arriva
la prima volante, Manfredi agli agenti: "Venite alla
partita ?". Poi la folla, domande, lampi, riflettori.
E il suo sorriso incuriosito. Intanto Felice Totaro
- tifoso dell'Inter col "Chiodo fisso di ritrovare Manfredi"
- si allontana con una sensazione bella e inquietante:
"La sosta per far benzina, il traffico che mi fa perder
tempo in piazza Bengasi, la decisione di togliermi da
corso Raffaello. Come una predestinazione... ".
8 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
8.06.1985
Liverpool a Torino,
un gesto di pace
di Angelo Conti
e Giuliana Mongelli
Il vicepresidente
della Juventus, Chiusano: "Gli sportivi inglesi sono
consapevoli dell'orrore di quel giorno".
La notizia che
una delegazione ufficiale di politici, pubblici amministratori,
esponenti delle Chiese cattolica e anglicana verrà a
Torino per compiere un atto di riconciliazione dopo
la tragedia dello stadio di Bruxelles, è oggetto di
commenti in tutti gli ambienti cittadini. La "piena
disponibilità ad accogliere i rappresentanti di Liverpool"
è stata ribadita dal sindaco Cardetti, che ha confermato
"intensi contatti con l'Inghilterra". Una decisione
verrà comunque presa soltanto in giunta, lunedì "quando
stabiliremo i dettagli e la data dell'iniziativa". Cardetti
ha confermato di essere sempre stato favorevole alla
visita, smentendo le voci rimbalzate mercoledì pomeriggio
a Liverpool secondo le quali il primo cittadino di Torino
aveva espresso perplessità, considerando i tempi "non
ancora maturi". La visita degli inglesi impegnerà ovviamente
le forze dell'ordine: "Anche se siamo convinti che tutto
si svolgerà regolarmente - spiega il neo questore Umberto
Catalano - predisporremo speciali servizi per garantire
che il clima dell'incontro non venga turbato da esagitati".
Le misure di sicurezza verranno messe a punto la prossima
settimana, quando si conoscerà il programma. "E’ un'iniziativa
lodevole, che dimostra la volontà di superare anche
a livello psicologico e morale le conseguenze del dramma
di Bruxelles", afferma l'avv. Vittorio Chiusano, vicepresidente
della Juventus. Ricorda l'"orrore" di quella giornata.
Era arrivato allo stadio con altre personalità sportive
e politiche. "Erano già scoppiati gli incidenti e la
polizia ci ha bloccati all'ingresso e ci ha costretti
a ritornare all'aeroporto". Dall'aeroporto, però, l'avv.
Chiusano è tornato allo stadio ed è arrivato che la
partita era appena cominciata. "Nessuno può cancellare
l'orrore di quel gesto criminale e insensato - dice
- ma sarebbe pure insensata e illogica ogni iniziativa
tendente a criminalizzare gli sportivi inglesi e lo
sport del calcio". Soddisfazione al club Juventus di
via Bogino. Il presidente Pier Carlo Perruquet: "Ci
saremo anche noi a Caselle ad accogliere la delegazione
di Liverpool. E saremo felici di ospitarli nella sede
del nostro club. Vogliamo dimostrare che non abbiamo
nulla contro la loro gente". A dimostrazione di ciò
l'altra sera, in via Bogino, la troupe di una televisione
inglese ha ripreso un gruppo di juventini che assisteva
alla trasmissione di Italia-Inghilterra. Precisa Perruquet:
"Amicizia sì, ma sia chiaro: le indagini devono proseguire
veloci, e i colpevoli pagare. Come è stata efficiente
la polizia italiana a identificare i nostri "esagitati",
così lo devono essere quelle belga e inglese". Favorevoli
all'incontro fra amministratori delle due città anche
l'assessore comunale allo Sport, Elda Tessore, e il
collega Re. Tessore: "Mi sembra positivo che amministratori
e autorità di Liverpool intendano venire nella nostra
città. La tragedia di Bruxelles non deve diventare un
elemento di scontro tra due popoli e due città, mi auguro
anzi che si rafforzino i vincoli di amicizia. Dovremo
studiare insieme le iniziative, rendendole magari permanenti,
per lanciare un ponte ideale tra due città così duramente
colpite. Se un fatto sportivo ha provocato una strage,
lo sport può diventare un momento di crescita civile".
L'assessore Re: "Ben vengano gli inglesi nella nostra
città, Torino li riceverà senza pregiudizi, nessuna
delle due parti dovrà sentirsi imbarazzata. Non escludo
che la prevista visita a Torino delle autorità di Liverpool
possa essere ricambiata. Ma forse sarebbe auspicabile
lasciar decantare le recenti vicende. La fretta è cattiva
consigliera". In casa di Giovacchino Landini, una delle
vittime torinesi della tragedia belga, la notizia è
stata accolta con comprensibile freddezza. Dice la figlia
Monica, 22 anni: "Non ci abbiamo neppure pensato. Tanto,
mio padre non lo restituirà nessuno".
8 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA 8.06.1985
Il Novara per vittime di
Bruxelles
NOVARA - (m. s.)
Domani i giocatori del Novara Calcio avranno un incentivo
in più nell'ultima gara di campionato che li vedrà opposti
alla seconda in classifica, la Virescit Boccaleone:
hanno infatti deciso di devolvere il premio partita
in favore delle famiglie delle vittime di Bruxelles,
partecipando così alla sottoscrizione organizzata dal
Juventus Club di Novara. Nei due bar cittadini, che
rappresentano i centri della tifoseria bianconera (Baratto
di via Omar e Passerella di corso Vercelli) la raccolta
delle offerte continua fino a tutto oggi. Domani, subito
dopo la Messa in suffragio dei 38 morti dell'Heysel,
che verrà celebrata alla Madonna del Bosco, la somma
raccolta verrà consegnata agli esponenti della Juventus
che verranno espressamente da Torino per presenziare
alla cerimonia religiosa. Tornando all'offerta dei giocatori
del Novara c'è da precisare che essa sarà comunque effettuata
anche in caso di sconfitta. Se anche nella partita d'addio
gli azzurri non dovessero riuscire ad ottenere il successo
(e in questo caso non riceverebbero alcun premio) martedì
si incontreranno per tassarsi di un importo pari a quello
che avrebbero dovuto incassare vincendo.
8 giugno 1985
Fonte: Stampa
Sera
ARTICOLI STAMPA
8.06.1985
"Il processo agli
individui è sterile: è la Uefa così com’è oggi che va
processata". Lo sostiene, con riferimento alle responsabilità
della strage allo stadio Heysel di Bruxelles, il presidente
della Lega calcio, Antonio Matarrese, in un'intervista
che apparirà nel prossimo numero del settimanale "l'Espresso".
"Il presidente della Uefa, Jacques Georges, è una brava
persona, un buon uomo. Ma altri attorno a lui avrebbero
potuto fare qualcosa per evitare quel che è successo",
sostiene Matarrese. "Per esempio la Commissione organizzativa,
che ha scelto Bruxelles per la finale. Se si dà incarico
a una Federazione nazionale di organizzare un incontro
del genere, si deve essere sicuri che è in grado di
farlo. E se quella Federazione non dà garanzie, allora
non si gioca. Io non so se la Uefa ha avuto dai Belgi
garanzie adeguate, e si è fidata, o se ha lasciato fare,
sperando nella buona sorte. Comunque, dopo quello che
è successo - sostiene Matarrese nell'intervista - la
Uefa va processata: sclerotica, politicizzata, fuori
dal tempo; una confraternita, non un'organizzazione
agile e moderna; una struttura a matrice dirigenziale
dilettantistica, composta da uomini per lo più di una
certa età, gente che va in sede una volta al mese, che
ho visto sempre e soltanto consegnare medagliette e
stendardi, che non ha gli stimoli giusti per gestire
il business del calcio nell'era della televisione".
Nell'intervista all'"Espresso" il presidente della Lega
aggiunge: "Il dilettantismo non è tollerabile a questi
livelli, con giri di miliardi solo per l'Eurovisione,
mentre sono in gioco, come s’è visto, anche la sicurezza
e la vita del pubblico. Così com’è, la Uefa non ha più
ragione d' essere". Ricordando poi alcuni momenti della
tragica sera del 29 maggio a Bruxelles, il cui bilancio
è stato di 38 morti, Matarrese afferma: "Nel più scalcinato
stadio italiano, col più sgangherato servizio d' ordine,
tutto ciò non sarebbe successo: da noi anche l'ultimo
dei marescialli riesce a portare i suoi uomini dove
e quando servono. Ma là mancava tutto, assolutamente
tutto: non c’era un solo agente neppure a guardia della
tribuna d' onore o all'ingresso degli spogliatoi juventini,
che davano direttamente all'esterno, sull'antistadio;
non si trovava un telefono, nessun graduato della polizia
coordinava alcunché. Chiunque si alzasse in piedi, dava
istruzioni. Sembrava che nessuna delle autorità belghe
si rendesse conto di cosa stava succedendo; dominava
il menefreghismo". "Alla cosiddetta riunione (in realtà
una babele infernale) dove si decise che si doveva giocare,
il borgomastro disquisiva pacatamente con il boccale
di birra in mano... Il capo della polizia se ne stava
imbambolato a fare disegnini mentre noi allarmati gli
chiedevamo come era possibile far uscire tutto il pubblico
senza ulteriori incidenti. Georges, il presidente della
Uefa, girava per la stanza come allucinato. A giocare,
però, ci teneva. A un certo punto sono scomparsi, siamo
rimasti solo noi italiani. Borgomastro, capo della polizia
e Jacques Georges: tutti in tribuna, a vedere la partita".
9 giugno 1985
Fonte: La Repubblica
ARTICOLI STAMPA
9.06.1985
Una foto rivela:
Marco Manfredi è rimasto svenuto fra i cadaveri
di Angelo Conti
e Giuliana Mongelli
La moglie non
ha dubbi: "E' lui" - Coinvolto nella tragica calca,
ha perduto la memoria e ora non ricorda più nulla.
C'è, forse, uno
squarcio sul mistero di Marco Manfredi, il tifoso di
Moncalieri scomparso sugli spalti dell'Heysel stadium
di Bruxelles e ricomparso, otto giorni dopo, nei pressi
delle Molinette, a Torino, in stato confusionale. Lo
ha provocato una fotografia pubblicata ieri da Famiglia
Cristiana: si vede l'uomo, è sdraiato in mezzo ad alcuni
tifosi ormai senza vita, all'esterno dello stadio, con
il corpo e parte del volto nascosti da una coperta.
L'immagine - una delle migliaia di quel pomeriggio di
dolore e di morte - non è nitidissima, ma secondo i
parenti, gli amici e i compagni di lavoro non lascia
spazio a dubbi: quell'uomo è Marco Manfredi. La più
sicura appare la moglie, Rosita Binelli, che non riesce
a dissimulare l'emozione, osservando l'immagine: "è
davvero Marco, anzi, direi proprio che è ritratto in
una sua espressione abituale, la stessa che ha tutte
le mattine quando si alza dal letto, con i capelli un
po' arruffati". Le fa eco la suocera: "L'attaccatura
dei capelli e il naso sono inconfondibili. Certo che
fa davvero impressione vederlo gettato lì, in mezzo
ai cadaveri: se era in grado di capire, dev'essere stato
uno choc terribile. Ma che sia vivo lo si intuisce anche
dal fatto che è l'unico ad avere una coperta addosso.
Evidentemente sta per essere trasportato all'ospedale".
L'immagine fa rapidamente il giro di parenti e colleghi
di lavoro del Santa Croce. Andrea Tomas, che è stato
fra i primi a soccorrerlo, conferma le impressioni degli
altri: "è lui, è lui: l'espressione è la sua, non possono
esserci dubbi". Dando per certo il riconoscimento, si
può quindi ipotizzare quanto è successo quel tragico
mercoledì 29 a Bruxelles: Marco Manfredi arriva all'Heysel
stadium verso le 18, con due amici si avvia verso la
curva bianconera per la quale hanno acquistato il biglietto.
Entrano senza problemi e salgono sugli spalti. C'è ressa
e i tre restano divisi, a pochi metri di distanza l'uno
dall'altro. Ha rivelato ieri la moglie: "A gesti ha
spiegato agli amici di voler cambiare curva, di andare
dalla parte dei Belgi, dove c'era meno gente. Da quel
momento nessuno l'ha più visto". E per duecento ore
nessuno saprà nulla di lui. Cosa può essere successo
in questo intervallo ? Probabilmente Manfredi raggiunge
davvero la curva opposta. Qui è coinvolto negli incidenti:
pressato nella ressa, cade svenuto. Viene soccorso dalle
forze dell'ordine che gli stendono sul corpo una coperta
e successivamente trasportato in ospedale (dove ricorda
confusamente di essere stato). Ma si riprende presto,
chiede di prendere aria. Appena fuori comincia a cercare
il pullman che dovrebbe riportarlo a Moncalieri, non
lo trova, ripiega sulla ferrovia. Sale su un treno che
lo porta prima a Nantes, poi a La Rochelle, infine a
Montone. Vive centellinando i pochi soldi che si ritrova
in tasca, viaggia sui convogli privo di biglietti e
colleziona mezza dozzina di multe. Ritorna in Italia
dal confine di Ventimiglia. Appena davanti ai finanzieri
racconta di essere senza un soldo, ma il ricorso alle
assistenti sociali si rivela inutile. Manfredi decide
così di salire nuovamente su un treno: raggiunge Torino
senza vedere il controllore. Poi la ricerca di un autobus
per Moncalieri, l'incontro con il collega Felice Totaro,
che lo riconosce nel pressi delle Molinette, il rifiuto
di salire sulle volanti e la richiesta continua di un
pullman, forse - nella sua mente sconvolta - lo stesso
che è partito da Bruxelles senza di lui. Infine, l'abbraccio
della moglie. In questura, il pianto di gioia dei parenti
e degli amici, ma anche i dubbi e le angosce su un "buco"
di duecento lunghe ore. Ieri una fotografia porta improvvisamente
nuova luce sull'intera vicenda. Cadono quasi tutti gli
interrogativi. Adesso anche la trasferta del tifoso
Marco Manfredi ha una sua storia.
9 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
9.06.1985
E' sempre gravissimo,
al Sant'Erasmo di Bruxelles, Carlo Duchene, 34 anni,
di Pinerolo. E' uno dei 12 tifosi italiani ancora ricoverati
negli ospedali della capitale belga dopo quel tragico
Juventus-Liverpool. Duchene è stato assalito da un inglese
a fine partita, a due chilometri dallo stadio, mentre
stava salendo in auto per ritornare a casa. Un'aggressione
a sangue freddo, durante la "caccia all'uomo" che si
è scatenata dopo la partita. "Ho sentito un urlo, mi
sono voltato e ho visto per un attimo un tifoso inglese
addosso a Carlo - ha raccontato Ivo Taverna, l'amico
che era con lui. Aveva qualcosa in mano, forse un pugno
di ferro, e con quello l'ha colpito alla testa. Carlo
ha tentato di ripararsi, ma l'energumeno ha sferrato
un altro colpo che gli ha spappolato le dita. Carlo
è crollato a terra. Privo di sensi". Alcuni agenti,
che si trovavano nei pressi, sono intervenuti, riuscendo
a bloccare un tifoso che stava fuggendo, lo hanno portato
davanti al Taverna che lo ha riconosciuto.
9 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI
STAMPA 9.06.1985
Matarrese lancia accuse
all'Uefa
Dure parole del
presidente della Lega contro i dirigenti europei.
ROMA - "Il processo
agli individui è sterile: è l'Uefa così com'è oggi che
va processata". Lo sostiene, con riferimento alle responsabilità
della strage allo stadio Heysel di Bruxelles, il presidente
della Lega Calcio, Antonio Matarrese, in un'intervista
che apparirà nel prossimo numero del settimanale "L'Espresso".
"Il presidente dell'Uefa, Jacques Georges, è una brava
persona, un buon uomo. Ma altri attorno a lui avrebbero
potuto fare qualcosa per evitare quel che è successo"
- sostiene Matarrese. "Per esempio, la commissione organizzativa,
che ha scelto Bruxelles per la finale. Se si dà incarico
ad una federazione nazionale di organizzare un incontro
del genere, si deve essere sicuri che è in grado di
farlo. Comunque, dopo quello che è successo - sostiene
ancora Matarrese - l'Uefa va processata: sclerotica,
politicizzata, fuori dal tempo; una confraternita, non
un'organizzazione agile e moderna; una struttura a matrice
dirigenziale dilettantistica, composta da uomini per
lo più di una certa età, che non ha gli stimoli giusti
per gestire il business del calcio nell'era della televisione".
Nell'intervista il presidente della Lega aggiunge: "Il
dilettantismo non è tollerabile a questi livelli, con
giri di miliardi solo per l'Eurovisione, mentre sono
in gioco, come s'è visto, anche la sicurezza e la vita
del pubblico". Ricordando poi alcuni momenti della tragica
sera del 29 maggio a Bruxelles, Matarrese afferma: "Nel
più scalcinato stadio italiano, con il più sgangherato
servizio d'ordine, tutto ciò non sarebbe successo. Alla
cosiddetta riunione (in realtà una babele infernale)
dove si decise che si doveva giocare - conclude Matarrese
- il borgomastro disquisiva vagamente con il boccale,
di birra in mano... Il capo della polizia se ne stava
imbambolato a fare disegnini mentre noi allarmati gli
chiedevamo come era possibile fare uscire tutto il pubblico
senza ulteriori incidenti. Georges, il presidente dell'Uefa,
girava per la stanza come allucinato. A giocare, però,
ci teneva. Ad un certo punto siamo rimasti solo noi
italiani. Gli altri sono scomparsi: tutti in tribuna
a vedere la partita".
9 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
9.06.1985
Bearzot, dure polemiche sugli azzurri e i morti
di Carlo Coscia
Il ct. non ha
gradito l'accostamento fatto da un giornale su una festa
a cui hanno partecipato i giocatori e le bare della
tragedia.
DAL NOSTRO INVIATO.
MILANO - La spedizione azzurra si è sciolta l'altra
sera alla Malpensa trascinandosi appresso una polemica.
In aereo, mentre i giocatori dormivano aiutati da pillole
varie, Bearzot ha letto i giornali italiani e si è molto
arrabbiato. Eravamo già su Madrid, quasi pronti allo
sbarco dopo il lungo viaggio Messico-Milano via Caracas,
quando il ct. ha affrontato a muso duro la stampa. Non
erano le critiche al gioco, che preoccupavano Bearzot,
e neppure le valutazioni sul futuro o sui problemi legati
all'altura, tutti aspetti del resto che fanno parte
della vita e delle tensioni del grande carrozzone del
calcio azzurro. Bearzot non ha gradito due episodi,
meglio l'uso che di questi due episodi è stato fatto
da alcuni giornali. Il primo riguarda una festa in casa
di amici messicani. C'era anche un fotografo, sicché
il giorno dopo su un quotidiano sono apparse immagini
di azzurri in festa. Bearzot e Rossi a cavallo con sombrero,
Conti impegnato a ballare con sfondo di mariachi, volti
allegri e belle ragazze. Ma sul quotidiano, proprio
accanto, è stata pubblicata la fotografia di una bara,
il funerale dopo la tragedia di Bruxelles. Qualcuno
ha scritto che mentre il calcio era in lutto i nostri
azzurri si davano alla pazza gioia. E' stata una forzatura,
a nostro avviso, e noi abbiamo deciso di tacere l'episodio
proprio per rispettare l'altrui dolore. Bearzot ha detto
fra i denti: "è stata una festa privata, in casa di
amici che fra l'altro sono stati di recente toccati
da una grande tragedia. Come potevamo portare altre
brutture e lacrime in una casa che meritava serenità
e dolcezza ? E’ stato un gesto di sensibilità, non di
cinismo. E mi spiace che qualcuno, lui sì con cinismo,
abbia strumentalizzato l'episodio". E' vero, ha ragione
Bearzot, il quale ha ribadito la sua disponibilità al
colloquio e alle spiegazioni, specie su argomenti che
riguardano il comportamento della squadra: per dare
giudizi completi, è il pensiero del tecnico, occorre
avere a disposizione tutti gli elementi di valutazione.
Ma i giocatori, per la verità, non è che abbiano tenuto
in Messico un comportamento irreprensibile, almeno in
rapporto alla tragedia di Bruxelles e al loro titolo
di campioni del mondo, un ruolo che richiede sempre
e comunque dignitoso professionismo. Alcuni azzurri
hanno offerto buone immagini di sé, tranquilli, seri,
composti davanti ai lutti del calcio. Altri invece,
di cui tacciamo pietosamente il nome, hanno preferito
ricordare i morti di Bruxelles seduti in tenero colloquio
con ragazze troppo truccate, evidentemente convinti
che la loro fama di calciatori li mettesse al riparo
da ogni giudizio, pure da quello della loro coscienza,
ammettendo che ne posseggano una. Bearzot si arrabbia
con la stampa per la festa, ma in realtà dovrebbe ringraziarla
per aver taciuto i piccoli quotidiani cinismi di una
squadra che in genere, in genere ripetiamo, ha fatto
molto in fretta a scrollarsi di mente i morti di Bruxelles.
Il secondo episodio lamentato da Bearzot riguarda la
non utilizzazione dei bianconeri contro l'Inghilterra.
E qui i giornali non c'entrano, c'entrano i giornalisti.
Qualcuno avrebbe riferito ai colleghi britannici che
la scelta di Bearzot era politica: niente bianconeri
contro gli inglesi dopo i mortali incidenti di Bruxelles.
Il particolare è difficilmente documentabile, anche
se Bearzot ha detto di conoscere bene il nome della
"spia", la qual cosa, peraltro, presuppone una "spia"
inglese e dunque l'utilizzazione dello stesso metodo
da parte italiana. "Ecco che tipo di uomini avete tra
voi", ha aggiunto Bearzot mettendosi la bandiera sul
cappello. Eppure anche su questo episodio, per quanto
riguarda i contenuti, l'arrabbiatura di Bearzot è legittima.
I sospetti per la mancata utilizzazione dei bianconeri
erano molti, e quasi tutti riducibili ad uno: voleva
forse il tecnico azzurro crearsi un alibi a priori davanti
ad una possibile sconfitta con gli inglesi, Alla domanda
Bearzot ha risposto seccamente di no, giudizio ampiamente
confermato dal campo. Ma nessuno aveva osato esprimere
pubblicamente e con chiarezza l'ipotesi di una scelta
politica, peraltro negata in mille modi da tecnico e
giocatori azzurri.
9 giugno 1985
Fonte: La Stampa
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9.06.1985
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