Privacy Policy Cookie Policy
ARTICOLI 6-9 GIUGNO 1985
www.saladellamemoriaheysel.it   Sala della Memoria Heysel   Museo Virtuale Multimediale
ARTICOLI STAMPA 6-9.06.1985
   Articoli 1985     Stampa e Web     Testimonianze     Interviste     Bibliografia     Epistolario   
6-9.06.1985

ARTICOLI STAMPA  6.06.1985

Tutti quelli che non hanno pagato

L'Uefa stanzia 350 milioni per le vittime

"Sono scampato alla strage di Bruxelles"

"Non sappiamo perché siamo vivi"

"Una vergogna quelle autopsie"

"Riconciliazione" da Liverpool a Torino il 17 o il 18

Torino aspetta Liverpool

Picchiato allo stadio ormai è morente

A Torino il sindaco di Liverpool

"Un miracolo essere a casa"

ARTICOLI STAMPA  7.06.1985

L'ultimo tifoso italiano è tornato senza memoria dall'incubo...

Ha vagato per una settimana in Francia

"E' ritornato !" e Moncalieri fa festa

Ha vagato otto giorni per la Francia dopo la fuga dall'Heysel

"Ho vissuto a pane e mele"

Una commissione tecnica londinese "Vecchio e inadeguato lo stadio..."

Stop totale ai club inglesi

Il calcio non è pronto

Ci sentivamo undici robot

ARTICOLI STAMPA  8.06.1985

"Per la tragedia di Bruxelles mettiamo sotto accusa l'Uefa"

Il capo della gendarmeria belga ammette, finalmente, gli errori

E' sereno, ma non ricorda nulla

Liverpool a Torino, un gesto di pace

Il Novara per vittime di Bruxelles

ARTICOLI STAMPA  9.06.1985

"Il vero processo va fatto all'Uefa gran confraternita..."

Una foto rivela: Marco Manfredi è rimasto svenuto fra i cadaveri

Gravissimo il tifoso juventino

Matarrese lancia accuse all'Uefa

Bearzot, dure polemiche sugli azzurri e i morti

di Gianni Minà

Fra poche ore vedremo per l'ultima volta, nei prossimi due anni, una squadra inglese di calcio, in questo caso la nazionale, affrontare una formazione italiana. C'è da scommettere che adesso le coscienze dei dirigenti del calcio europeo siano sul punto di placarsi. I responsabili della strage allo stadio Heysel sono i club e i giocatori di calcio inglesi, che sono stati quindi cacciati per anni dalle competizioni europee. I responsabili d’aver giocato comunque la partita per dichiarati motivi di ordine pubblico e per gli stessi motivi aver accondisceso a uscire e mostrare la Coppa alla curva juventina entusiasta (perché chiaramente ignara della reale portata della tragedia), i responsabili di questa insensibilità sono invece i cinici e spietati giocatori della Juve, per questo additati anche in televisione al pubblico ludibrio. Tutti gli altri, cioè il "palazzo" del calcio, i generali della patetica armata del pallone, sono innocenti. Cinquecento teppisti criminali non rappresentano una nazione civilissima e da sempre creditrice verso il calcio come l'Inghilterra ed inoltre quei cinquecento stolidi imbecilli, scintilla del terrore allo stadio di Bruxelles, furono facilmente ingabbiati, neutralizzati, circoscritti, l'anno scorso allo stadio Olimpico di Roma prima, durante e dopo il fallito tentativo della squadra di casa di conquistare la Coppa dei Campioni contro i "reds" del Liverpool. Il francese George, mediocre presidente della Federazione europea del calcio e tutti i suoi incapaci collaboratori avrebbero dovuto già da qualche giorno, non squalificare gli inglesi, ma trovare la dignità o il buon gusto di dimettersi da un incarico che, date le dimensioni dell'affare calcio, è ormai troppo più grande della loro intelligenza o della loro personalità. Chi ha scelto infatti il vecchio e pericoloso stadio Heysel dove, in curva, per far evacuare rapidamente quattro-cinquemila persone, c’è una sola uscita ? Chi ha assegnato alla impreparata, superficiale e gretta Federazione belga l'organizzazione dell'avvenimento ? Chi ha permesso alla stessa Federazione di vendere sciaguratamente a insensibili agenzie di viaggio italiane e quindi a tranquilli tifosi juventini dell'ultima ora i biglietti avanzati dalla curva assegnata agli scatenati supporter dei rossi del Liverpool ? E ancora, chi ha insistito per far giocare a qualunque costo la partita ufficialmente per motivi di ordine pubblico, ma senza riuscire mai a far dimenticare a molti, considerato il cinismo degli atteggiamenti, che l'incasso di un miliardo e mezzo, più i miliardi pagati dalle reti televisive e dagli sponsor per la finale, non poteva e non doveva essere restituito se si volevano evitare guai e querelles ? A tutti questi interrogativi c’è una sola risposta. Tutto ha voluto, deciso e preteso l'Uefa. Non potrebbe ora Sordillo, presidente della Federcalcio italiana, andarsene dalla sala del potere Uefa mettendo in crisi questo ambiguo ed incapace organismo ? "Quando c’era da stringere la Coppa del mondo e mostrarsi in Tv vicino a noi c’erano tutti - ci ha detto amareggiato uno degli Juventini campioni del mondo - ma quando si è trattato di vivere con noi le scelte e i momenti difficili allo stadio di Bruxelles non c’era più nessuno". Diciamo spesso che i campioni del calcio sono egoisti, capricciosi e superficiali. Ci sorge il dubbio che se sono così, sono fatti ad immagine e somiglianza di certi loro dirigenti, sono gli unici figli possibili di questi padri.

6 giugno 1985

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI STAMPA 6.06.1985 

 

BERNA - l'Uefa verserà 500.000 franchi, circa 350 milioni di lire, alle famiglie delle 38 vittime dello stadio Heysel. In un comunicato emesso dall'associazione del calcio europeo si parla di "contributo spontaneo di solidarietà". I 500.000 franchi saranno prelevati dal "fondo speciale di soccorso" e saranno versati direttamente ai parenti delle vittime "in segno di simpatia".

6 giugno 1985

 

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI STAMPA 6.06.1985 

Altre testimonianze drammatiche una settimana dopo la tragedia

Il capo della Mobile di Novara racconta

"Sono scampato alla strage di Bruxelles"

di Marcello Sanzo

NOVARA - Nella curva "Z" dello stadio Heysel di Bruxelles, quella trasformata in allucinante campo di battaglia dai tifosi del Liverpool poco prima della finale di Coppa dei Campioni di una settimana fa, c'era anche il dirigente della squadra mobile di Novara Arturo De Felice. Appassionato di calcio, aveva deciso di assistere alla gara ed era partito assieme a due amici dopo essersi procurato i biglietti a Torino, biglietti per quella che doveva diventare la curva "maledetta". "Siamo arrivati allo stadio alle 18.45, racconta il funzionario di polizia, e appena entrati, ci siamo resi conto di essere capitati in una zona "calda". Nella curva "Z", dove eravamo noi, c'erano i tifosi della Juve. Dall'altro lato dell'emiciclo, nelle curve contrassegnate con le lettere "X" e "Y", si trovavano invece i sostenitori del Liverpool. Da poliziotto sono rimasto colpito dal fatto che fra le due tifoserie c'era solo una fragile rete metallica, buona a malapena per una gabbia di polli". De Felice dice poi di avere notato, non senza stupore, che nella linea di demarcazione fra tifosi inglesi e italiani non c'era neanche un agente: "A controllare la situazione, che a me ha dato l'impressione di una bomba pronta ad esplodere da un momento all'altro, c'erano solo otto gendarmi che se ne stavano però in campo. Avevano il casco e il manganello ma non lo zainetto nel quale generalmente si tengono i lacrimogeni, indispensabili per bloccare gravi incidenti. "Ci siamo resi conto che sarebbe bastato poco per scatenare il finimondo", prosegue De Felice, "e ci siamo sistemati il più lontano possibile dalla fragile rete metallica. Eravamo seduti da appena un quarto d'ora quando dalla parte degli inglesi è cominciato il lancio di calcinacci e pietre, tutto materiale che era facile procurarsi in quelle tribune cadenti. Abbiamo guardato verso gli inglesi e sotto i nostri occhi si è svolta la drammatica sequenza". Arturo De Felice e pochi altri occupanti della curva "Z", invece di scappare nella direzione di tutti gli altri, e cioè verso il muro di chiusura della curva, lo stesso che è poi crollato travolgendo parecchia gente, hanno scelto subito la via del campo da gioco: hanno sfondato a loro volta la rete che delimitava la zona degli spettatori dalla pista di atletica e hanno cosi evitato di rimanere coinvolti nei gravissimi incidenti. "Il dramma", però, lo abbiamo visto in tutti i suoi terribili particolari e non sarà facile cancellarlo dalla mente: la gente moriva schiacciata, travolta da quelli che scappavano incalzati dagli inglesi. E poi questi ultimi, quando sulla gradinata c'erano solo morti, si sono messi a danzare come selvaggi, a prendere a calci i cadaveri. E tutto questo sempre indisturbati.

6 giugno 1985

 

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA 6.06.1985 

Ritornano i primi feriti da Bruxelles

"Non sappiamo perché siamo vivi"

di Susanna Marzolla

Dopo l'arrivo a Milano con un volo speciale, i tifosi raccontano la drammatica esperienza vissuta allo stadio.

MILANO - Con un "Fokker" sono arrivati ieri a Linate 18 degli italiani rimasti feriti allo stadio di Bruxelles, tutti assistiti dall'organizzazione Europe Assistance. Il rientro è organizzato con efficienza, non ci sono parenti (solo una moglie e un fratello), niente abbracci e scene di pianto. Appena scesi dall'aereo metà in barella e gli altri camminando senza aiuti, i feriti vengono subito caricati su altri mezzi. C'è un aereo diretto a Perugia per quelli residenti nel centro Italia; un altro aereo militare diretto al Sud; una decina di ambulanze pronte a partire per Venezia, Torino, Bologna, Padova, il centro di Milano. Ci sono anche nove infermiere volontarie della Croce Rossa messe a disposizione dalla prefettura di Milano. Nei racconti e negli sguardi dei feriti che tornano, si può facilmente captare la paura provata. Gabriele Brandimarte è apparentemente uno di quelli che sta meglio: è il primo a scendere dall'aereo, sulle sue gambe. C'è ad aspettarlo il fratello: con lui andrà all'aeroporto civile di Linate (il volo dell'Europe Assistance è atterrato su uno scalo privato, di fianco all'aeroporto militare), prenderà un aereo di linea e tornerà finalmente a Pescara, a casa. "Non so ancora spiegarmi come sono qui, vivo, a parlare con voi dopo quello che ho visto - dice - era una cosa indescrivibile". Era nel settore "Z" dello stadio, ma non ha subito direttamente le violenze dei tifosi del Liverpool. "Mi sono trovato stretto in mezzo alla calca - racconta - e ho rischiato di venire travolto e calpestato". Ha subito la frattura di alcune costole. La più grave sembra essere Tiziana Bruni, che nei giorni scorsi è uscita dal coma. Era allo stadio assieme al marito, Alessandro Antonini, che ha subìto contusioni al torace. Salgono sull'aereo per Perugia e poi con un'ambulanza saranno trasportati a casa loro a Deruta. Sullo stesso aereo ci sono: Francesco Vinciarelli, di Cortona; Franco Lo Scuro di Cassino; Carla Gonnelli di Ponsacco (Pisa); Giuseppina Di Stefano di Pistoia e Alessandro Benocci di Rieti. Per questi ultimi due la destinazione è l'ospedale delle rispettive città. In ospedale al Niguarda di Milano è diretto anche Mario Mancini di Busto Arsizio. Ha subìto fratture al femore e al bacino. "Ma almeno - racconta - sono riuscito a salvare mia moglie. Era contro la rete e cercavo di tenerla distante per farla respirare. Ho sentito la frattura, non sapevo più come fare, poi finalmente la rete ha ceduto. E' un ricordo tremendo, ho visto la gente morire calpestata, cose che preferisco dimenticare". Andrà ancora allo stadio ? "Non lo so, a Busto forse". Come tutti i bambini, emozionato e divertito dalle attenzioni è Matteo Favaretto di Venezia, 11 anni. Ha il braccio sinistro ingessato; accanto a lui c'è il padre Egidio, in barella per una frattura al piede. Il ragazzino racconta solo un particolare: la pizza e gli spaghetti che gli hanno fatto avere in ospedale gli italiani di Bruxelles. Tutti i feriti parlano molto bene dell'assistenza ospedaliera avuta in Belgio. "Ma - nota Angelo Filipponi, diretto all'ospedale Rizzoli di Bologna con una gamba rotta - se ci fosse stata un'assistenza migliore anche allo stadio forse molti si sarebbero salvati". Critica la polizia che "è stata carente, non ha saputo prevenire gli incidenti né reprimerli con forza" e non risparmia i toni duri contro i tifosi inglesi: "Più delinquenti dei delinquenti italiani che qualche volta troviamo allo stadio". Sempre al Rizzoli va anche Mario Mancini, che ha una frattura alla mascella. Gli altri feriti tornati ieri sono: Urbano Antico, di Padova; Antonio Longo, di Brindisi; Antonio Matita, di Torino; Sebastiano Bisignano, di Siracusa; Mario Gasparelli di Milano. "E’ vivo grazie a nostro figlio che lo ha trovato sul campo - racconta la moglie di quest'ultimo - era in mezzo ai morti e nessuno lo soccorreva. In ospedale gli avevano dato pochi giorni di vita e invece è di nuovo qua, a casa".

6 giugno 1985

Fonte: La Stampa

 

ARTICOLI STAMPA 6.06.1985 

 

"Una vergogna quelle autopsie"

La procura della Repubblica di Torino protesterà con una nota ufficiale per lo scempio compiuto dai medici legali belgi sui cadaveri di Domenico Russo e Giovacchino Landini. Durante l'autopsia, compiuta martedì mattina, i corpi sono stati infatti trovati in condizioni pessime: nessuno si era preoccupato di ricucirli dopo il primo esame necroscopico compiuto a Bruxelles, tanto meno di comporli e vestirli. Anche il successivo, nuovo riconoscimento (reso necessario dopo che era giunta notizia di scambi di cadaveri) è stato svolto con molte difficoltà. La nota, accompagnata da una serie di fotografie, verrà trasmessa alla Procura Generale e, attraverso il ministero di Grazia e Giustizia, a quello degli Esteri. A questo punto si valuterà se compiere un formale passo di protesta verso il governo belga. Le indagini proseguono su due fronti. Quelle tese ad identificare i teppisti inglesi traggono origine dall'art. 10 del codice penale, il quale prevede che uno straniero, autore di un reato in danno di un italiano perseguibile con una pena non inferiore ad un anno, possa essere giudicato dall'autorità italiana. Due le condizioni: che il ministero di Grazia e Giustizia ne faccia richiesta e che lo straniero si trovi in Italia. Dovrà quindi essere il ministro a chiedere alle autorità belghe la consegna dei responsabili degli incidenti. La seconda indagine, avviata nei confronti degli ultras bianconeri autori di violenze, prende invece le mosse dall'art. 9 del codice penale, il quale consente che un italiano, autore di reati all'estero punibili con un minimo di tre anni di reclusione, possa essere giudicato dalle nostra magistratura. E' in quest'ottica che il sostituto procuratore Marabotto sta provvedendo all'identificazione dei tifosi juventini che hanno inscenato la manifestazione di protesta, portata dalla televisione in tutte le case. Gli ultras già identificati sarebbero una quindicina. L'aggressore - Mentre restano gravissime le condizioni di Carlo Duchene, il parrucchiere di Pinerolo in coma all'ospedale Sant'Erasmo di Bruxelles dopo essere stato selvaggiamente colpito fuori dallo stadio, a fine partita, da un teppista inglese, ci si chiede che fine abbia fatto il suo aggressore. Arrestato dalla polizia belga, ed identificato dagli amici del Duchene, sembra essere scomparso nel nulla. Attualmente in carcere restano solo sette tifosi del Liverpool, tutti con blande accuse. Anche su questa incredibile vicenda starebbero per muoversi i magistrati italiani. I feriti - Con un Fokker atterrato ieri a Linate è tornato in Italia un altro torinese: Antonino Mallia, 29 anni, via (omissis), padre di un bimbo di 8 anni. E' stato ricoverato al Cto per la frattura di una vertebra, se la caverà in novanta giorni. Ricorda una "spaventosa pioggia di oggetti di ogni tipo, soprattutto lattine" seguita dall'aggressione degli inglesi: "Ci hanno schiacciato e calpestato". Altre quattro persone sono state medicate, e subito dimesse per i postumi di violenze subite all'Heysel stadium.

6 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA 6.06.1985 

 

TORINO - Una delegazione ufficiale partirà da Liverpool il 17 (forse il 18). Arriverà a Torino per portare un messaggio di pace, fratellanza e riconciliazione. Il City Council - che equivale al nostro consiglio comunale - superando alcune obiezioni dei conservatori e le perplessità del portavoce dei "liberal", ha deciso che verranno in Piemonte il capo della municipalità e il "Chairman", rispettivamente Dereck Hatton e Hugh Dalton, l'arcivescovo cattolico Dereck Worlock e quello anglicano David Sheppard. La notizia, a Torino, è stata accolta per lo più favorevolmente. Il sindaco della città Giorgio Cardetti ha confermato la disponibilità dell'Amministrazione torinese ad accogliere e dar seguito all'iniziativa. "La tragedia dello stadio Heysel - scrive il primo cittadino di Torino - deve essere un monito per tutti onde evitare che manifestazioni sportive si tramutino ancora in occasioni di violenza". Ancora: "Dall'accaduto non deve sorgere alcuna ingiustificabile forma di inimicizia fra italiani e inglesi".

6 giugno 1985

Fonte: Stampa Sera

 

ARTICOLI STAMPA 6.06.1985 

 

Torino aspetta Liverpool

Si cerca ancora il tifoso disperso

Sembra che Bruxelles abbia inghiottito Marco Manfredi. L'autista di Moncalieri risulta ormai "scomparso" da otto giorni, intanto cominciano ì preparativi per la visita di pace della delegazione inglese, con sindaco e arcivescovo in testa.

Sembra che Bruxelles abbia inghiottito Marco Manfredi. Da otto giorni risulta "scomparso". L'uomo è un autista della Croce Rossa di Moncalieri. Chi lo conosce dice che sia "uno tranquillo, calmo, legato alla famiglia, tifoso della Juventus". Proprio questa sua passione sportiva l'ha portato ad aggregarsi alla compagnia che andava in Belgio per assistere alla partita di finalissima per la "Coppa del campioni". E' rimasto coinvolto negli incidenti prima dell'inizio del match e da quel momento la sua presenza non è più stata segnalata da nessuna parte. La moglie, la cognata e i parenti con centinaia di italiani residenti a Bruxelles lo stanno cercando da giorni. Sono state diffuse le sue foto attraverso la televisione e i giornali. Ogni poliziotto, taxista, vigile ha in mano un volantino con l'immagine e i dati anagrafici di Marco Manfredi. Risultati ? Nessuno. C'è un'ipotesi. "Forse è sotto choc - azzardano i familiari - soffriva di frequenti mal di testa. Potrebbe essersi sentito male per il viaggio, il caldo, la folla... Poi gli incidenti... Chissà forse sta girovagando da qualche parte senza ricordarsi chi è e senza sapere che cosa fare". Ma ormai, veramente, sembra che sia passato troppo tempo. Per quanti giorni si può restare senza memoria ? Come è possibile sfuggire alle ricerche incrociate di gendarmi e volontari ? Il nome di Marco Manfredi non compare nell'elenco dei morti né in quello dei feriti. Pare che non sia ricoverato in ospedale e gli alberghi non hanno segnalato né lui né qualche smemorato. E' un "mistero" che le ore trasformano in angoscia e in tragedia. Angoscia e tragedia per l'Italia e l'Inghilterra scosse ugualmente da una vicenda che doveva essere festa di sport ed è diventata un massacro. Ma proprio da Liverpool sono giunti i primi significativi segnali di "pace". Il City Council (che è il nostro consiglio comunale) ha deciso di mandare una delegazione a Torino per ritrovare le radici della civiltà e della tolleranza. Il capo della municipalità e il "Chairman", Derek Hatton e Hugh Dalton, verranno in Piemonte il 17 o il 18 giugno. Con loro ci saranno l'arcivescovo cattolico Derek Worlock e quello anglicano David Sheppard. Il sindaco di Torino Giorgio Cardetti ha accolto la notizia come "testimonianza di amicizia e di civiltà". Si è augurato che "dall'accaduto non debba sorgere alcuna ingiustificabile forma di inimicizia fra italiani e inglesi".

6 giugno 1985

Fonte: Stampa Sera

 

ARTICOLI STAMPA 6.06.1985 

Picchiato allo stadio ormai è morente

Le condizioni di Carlo Duchene, il parrucchiere di Pinerolo ferito a Bruxelles, sono disperate. E' in coma da otto giorni e non accenna a riprendersi. Era rimasto coinvolto in un pestaggio dopo la fine della partita. Era con un amico, Ivo Taverna, e aveva assistito all'incontro Juventus-Liverpool dalla tribuna. "Avevamo sentito di incidenti - racconta il Taverna - si parlava di qualche ferito ma nessuno immaginava quel disastro... Siamo usciti dallo stadio fra tifosi e poliziotti. La nostra auto era a un paio di chilometri di distanza. Carlo era preoccupato per la macchina: "Non l'avranno mica bollata ?". Quando siamo arrivati al parcheggio sono arrivati tre inglesi". Uno ha colpito Carlo Duchene. Forse teneva in mano un pugno di ferro. Lui ha cercato di difendersi ma quell'altro, gonfio di birra, lo ha colpito ancora. "L'ho visto a terra - aggiunge Taverna - aveva le mascelle strette e la pelle livida. Sono arrivati i poliziotti e l'ambulanza". Per una notte sono rimasto all'ospedale poi mi hanno detto che l'avevano trasferito".

6 giugno 1985

Fonte: Stampa Sera

ARTICOLI STAMPA 6.06.1985 

 

18 feriti tornati in Italia

A Torino il sindaco di Liverpool

Altre 14 persone ricoverate ancora negli ospedali della città belga - Riconosciute le due salme scambiate - Perché i cadaveri non sono stati ricomposti ? Il giudice: la colpa è degli italiani" - Nei prossimi giorni la delegazione inglese.

MILANO - "Come faccio ad essere qui, adesso, a parlare con voi, non lo so ancora: quello che ho visto è indescrivibile". Gabriele Bradimarte è uno dei primi a scendere, con le sue gambe, dal "Fokker" che ha riportato ieri mattina in Italia da Bruxelles diciotto feriti italiani coinvolti nei terribili fatti di Juventus-Liverpool. Bradimarte ha subito la frattura di alcune costole: "No, non sono entrato in contatto con gli inglesi - dice - ero nel settore Z, ma sono stato stretto in mezzo alla calca rischiando di cadere a terra e venire calpestato". Altri 14 feriti sono ancora ricoverati nella capitale belga. Linate, tarda mattinata, scalo privato a fianco dell’aeroporto militare. Le agghiaccianti scene dello stadio Heysel ritornano tutte davanti. Ecco i feriti che scendono dall’aereo, ecco i parenti commossi e emozionati. Gabriele Bradimarte a Milano ha un fratello, è venuto a prenderlo. Nel primo pomeriggio, poi, prenderà un volo per Pescara dove abita con la sua famiglia. Altri feriti vengono invece trasbordati su un altro aereo diretto a Perugia. Dalla città umbra saranno avviati con ambulanze verso i rispettivi comuni di residenza: Tiziana Bruni, uscita nei giorni scorsi dal coma e il marito Alessandro Antonini di San Terenziano sono diretti a Deruta, Francesco Vinciarelli (ematoma nella zona renale) è di Cortona, Franco Lo Scuro (trauma cranico) va a Cassino; Giuseppina Di Stefano è diretta all’ospedale di Pistoia e Alessandro Benocci a quello di Rieti, Carla Gonnelli va a Ponsacco. Su un aereo militare sono saliti Antonio Longo (trauma cranico) e Sebastiano Bisignano (frattura di alcune costole): il primo diretto a Brindisi, il secondo a Catania da dove proseguirà per Siracusa. Sulla pista, davanti al "Fokker" giunto da Bruxelles e all’aereo in procinto di partire per Perugia, sono schierate le ambulanze predisposte da "Europe Assistance" per il trasporto dei feriti residenti nelle città del nord. Su un’ambulanza diretta all'istituto Rizzoli di Bologna vengono caricati Angelo Filipponi e Sergio Biagini. Quest’ultimo non può parlare, perché ha la mascella fratturata. Ma fa segno di sì con la testa quando Filipponi (che ha una frattura alla gamba sinistra) esclude che vi sia stata provocazione da parte dei tifosi italiani: "Gli inglesi - dice - si sono dimostrati più delinquenti dei delinquenti italiani che qualche volta si incontrano negli stadi". Mario Mancini di Busto Arsizio è stato trasportato a Niguarda. Ha avuto la frattura del femore e due fratture al bacino, ma è riuscito a salvare la moglie: "Ero contro la rete e con le braccia - racconta - cercavo di tenerla distante per farla respirare. A un certo punto ho sentito che qualcosa dentro di me si rompeva e fortunatamente in quel momento la rete ha ceduto". Un bambino biondo col braccio sinistro ingessato si avvicina con aria divertita: vede tanti fotografi, le telecamere della televisione, si sente importante. È Matteo Favaretto, 11 anni, veneziano. Un'occhiata al papà, Egidio, che in barella viene caricato sull'ambulanza e scappa quasi subito. L'ultimo a uscire dall'aereo è Mario Gasparelli, 60 anni. Un'ambulanza lo porta a casa a Milano. È vivo grazie al figlio Osvaldo che lo ha tirato fuori da un mucchio di cadaveri. Intanto sono state riconosciute le salme del friulano Nisio Fabbro, il cui cadavere era stato inviato erroneamente a Grotteria, in Calabria, perché scambiato per quello del tifoso Luciano Rocco Papaluca. Anche i parenti di quest’ultimo hanno riconosciuto ufficialmente la salma. La magistratura belga, nel frattempo, ha dichiarato che i trentadue tifosi italiani sono morti tutti per asfissia e non a causa di ferite inferte con rasoi o coltelli. Il giudice istruttore ha addossato la colpa dello scambio delle salme all'impresa di pompe funebri italiana. Sempre degli italiani è la colpa infine se i corpi dopo l'autopsia non sono stati ricomposti: "I parenti e le autorità italiane - ha detto il giudice - ci hanno messo fretta. Per ricomporre i corpi sarebbe stato necessario un numero triplo dei medici che abbiamo impiegato ed altre 48 ore di tempo". Mano tesa del turismo italiano verso quello inglese: un’iniziativa del nostro paese in Inghilterra, in funzione promozionale, è stata preannunciata dal ministro Lagorio nel corso di un incontro con Scalfaro. Da ultimo c’è da segnalare un severo provvedimento disciplinare preso dalla scuola media "Stifter" di Bolzano nei confronti degli alunni responsabili delle percosse ai danni di Daniel Campisi, la cui unica colpa è stata quella d’essere nato in Inghilterra. E proprio perché le "comunità civili non si allontanino", una delegazione di autorità di Liverpool, guidata dal capo della municipalità Hug Dalton, giungerà a Torino nei prossimi giorni.

6 giugno 1985

Fonte: L’Unità

ARTICOLI STAMPA 6.06.1985 

 

PIACENZA - Un piacentino, Giuseppe Callegari di 27 anni, sta cercando un giovane inglese che il 29 maggio gli ha salvato la vita allo stadio Heysel. "Stavo per essere travolto dalla calca - ha detto - quando sono stato afferrato per un braccio da un ragazzo inglese che mi ha tirato fuori dalla marea di corpi. Vorrei ringraziarlo: gli debbo la vita".

6 giugno 1985

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI STAMPA 6.06.1985 

TORINO - Un collega l'ha incontrato ieri pomeriggio a due passi dal centro. In jeans, canottiera e giubbotto, Marco Manfredi, l'uomo di 40 anni disperso dopo il "mercoledì nero" di Bruxelles, è arrivato in treno dalla Francia. Dalla stazione si è diretto a casa a piedi. Non ricorda nulla della tragedia, sa di essere partito da Moncalieri "per andare alla partita", ma dice di non "saperne nulla", di "aver conosciuto il risultato qui in questura", racconta di "aver vagato da Nantes a La Rochelle", di "aver mangiato pane e mele e di esser stato anche in ospedale". Alle 17.30 ha abbracciato in questura la moglie Rosita, ha rivisto il cognato. E' stato sottoposto a controllo medico. La prima diagnosi parla di "stato confusionale, nessun segno di violenza". (Servizi di G. Mongelli e M. Neirotti in Cronaca)

7 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA 7.06.1985 

Ha vagato per una settimana in Francia

di Marco Neirotti

Il tifoso "disperso" è stato riconosciuto ieri pomeriggio da un collega davanti alle Molinette - Poco dopo in questura ha raccontato, con mezze frasi, di aver girato in treno per tutti questi giorni - Dopo Nantes e La Rochelle, è rientrato da Ventimiglia - "Non avevo più soldi, venivo a prenderli" - Il medico: "è in stato confusionale" - Si rifiuta di andare in auto - I morti alla partita ? "Non so niente".

Jeans, canottiera e giubbotto azzurro. Alto e robusto. Col sorriso talora distaccato, più spesso stupito. Alle 16.45 di ieri un suo collega l'ha riconosciuto: in corso Bramante, di fronte alle Molinette. Sono entrati nel bar accanto al supermercato, di qui il collega ha avvertito familiari e polizia. E' "ricomparso" così Marco Manfredi, l'autista quarantenne dell'ospedale Santa Croce di Moncalieri disperso nel mercoledì nero di Bruxelles. In "stato confusionale" nulla ricorda della partita, sa di tesserci andato", ma ha "saputo il risultato in questura", dice d'aver "vagato in treno per la Francia", cita "Nantes e La Rochelle", è rientrato "da Ventimiglia", racconta che stava girando il mondo e, "rimasto senza soldi", veniva a casa "a prenderne dalla moglie". Un'idea fissa lo inchioda, un'idea fissa che ha ritardato l'incontro coi parenti: "In macchina no, non voglio. Vengo, ma in tram". E in tram due agenti "l'hanno condotto in via Grattoni, dove l'aspettava un medico, il dottor Joannis Cantzas: "Non ho riscontrato segni di violenze - dice - è in stato confusionale. Forse, ha subito un forte choc. Occorrono altri controlli". Marco Manfredi, l'uomo rimasto per otto giorni nel mistero, per il quale sono stati diramati fonogrammi a tutte le polizie, la cui famiglia tentava ogni disperata strada, sulla cui sorte si temeva il peggio, è ricomparso a quattro passi dal centro. Dice di essere arrivato in treno. Da Ventimiglia raggiunge Torino con un convoglio alle 15.01. "Sono sceso e sono andato a bermi un caffè" racconta sotto riflettori e flash negli uffici della Squadra Mobile. Sorride, lo chiamano e alza il viso, barba da fare e occhi pronti a correre e rifuggire: "Poi mi sono incamminato verso casa, a Moncalieri, a piedi". S'incammina e si ferma in corso Bramante. Le 16.45. Davanti a un bar c'è un dipendente dell'Usl di Moncalieri. Lo blocca, telefona a famiglia, amici, 113. Arrivano le Volanti, una, due, altre. Manfredi sorride. Pone una condizione: "Sulla macchina no. Andiamo in tram". Due agenti in borghese salgono con lui. Intanto la moglie Rosita e il cognato Antonio Convertino raggiungono gli uffici della Mobile. Sono le 17.25. Alla fermata di corso Vinzaglio scendono Manfredi e i poliziotti. Continua a sorridere quest'uomo che anche l'Interpol cercava. Gli agenti non smettono di parlargli rassicuranti: " Visto che ci siamo ?". "Tutto bene ?". "T'aspettavi una festa così ?". Si cammina lungo il marciapiede di via Grattoni. Accanto a lui, l'occasione per la prima domanda secca dopo il rientro. Manfredi, che ricorda ? "Giravo il mondo". E lo stadio ? "Non so". Sta bene ? "Perché no ?". Poi su per le scale. Ufficio del dottor Pellegrino, il funzionario che ha seguito in questi giorni le vicende di Bruxelles. Pochi minuti. Ora - viso buono e sperduto nei corridoi piastrellati - lo accompagnano nell'ufficio del dottor Faraoni, dove sono la moglie Rosita e il cognato Alberto. Dolcissima, lei lo bacia, lo bacia più volte e l'accarezza, lui le si avvicina con la barba lunga tra stupore e silenzi interrotti dalla preoccupazione per "la sacca della figlia, Maruska". Lei chiede: "Adesso lasciateci soli". E aggiunge subito: "Ricordatevi di ringraziare tutti", anche chi senza conoscerli ha patito la loro storia. Parla Manfredi. La Juventus: "Sì, sono tifoso", nulla più. Destinazione Bruxelles: "Ricordo di esserci andato". Il massacro del settore Z: "Non so niente". E che ricorda ? "Ero in Francia. Mi ricordo Nantes, Saint-Nazaire, La Rochelle". Un percorso assurdo. Cosa mangiava ? "Finché ho avuto soldi compravo pane e mele. Poi sono andato in un ospedale. Il cuoco era gentile". Sempre in treno ? "Forse anche autostop, soprattutto treno". Nelle tasche due multe per mancanza di biglietto: "Gli ho detto che non avevo soldi, venivo a casa a prenderli perché viaggiavo per il mondo". Ancora qualche frase: "Sono arrivato a Ventimiglia. Non avevo soldi, ho chiesto a polizia, carabinieri, Finanza. Ho detto che mi chiamo Manfredi e voglio tornare". A Ventimiglia qualcuno ricorda d'aver visto un uomo alto e robusto "senza documenti" che chiedeva un biglietto gratis. Gli hanno "Consigliato di rivolgersi alla polizia ferroviaria per avere il biglietto per indigenti". Lui muove la testa: "M'hanno detto di andare dalle assistenti sociali. Ma avevo già viaggiato senza biglietto... Ne ho fatto a meno ancora". La moglie lo abbraccia, scendono assieme, in strada un amico dice che "c'è la macchina", lui non vuol saperne. L'amico alza per un attimo la voce. "Se non vuole, non vuole". Arriva un altro parente o amico, un abbraccio. Sono in corso Vinzaglio alla fermata; Davanti a loro i giorni lunghi per ritrovare quel che si è perso attorno a quello stadio.

7 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA 7.06.1985 

"E' ritornato !" e Moncalieri fa festa

di Giuliana Mongelli

Atmosfera euforica all'ospedale Santa Croce dove Marco Manfredi lavora - In un angolo, con le lacrime agli occhi, l'amico che era partito con lui per Bruxelles: "L'ho perso di vista appena entrati nello stadio".

Non avevano il biglietto: multa di 20 mila lire per lui e per chi lo accompagnava. Il colmo per Marco Manfredi è accaduto in pullman, mentre rientrava a casa. Sembra una battuta di spirito, invece è successo davvero. Con la moglie e due amici Marco Manfredi lascia la questura verso le 18: con un mezzo pubblico arrivano a una fermata del 67 e salgono sul pullman per arrivare a Moncalieri. Inutile dire che i quattro, nell'emozione del momento, si dimenticano di acquistare i biglietti. Una distrazione facilmente comprensibile, ma non per il controllore il quale non accetta spiegazioni ("Sa, mio marito è lo scomparso di Bruxelles. Lo abbiamo trovato oggi. Nella fretta..."). Risultato: multa di 20 mila lire a testa, 80 mila in tutto. L'episodio viene raccontato con il sorriso sulle labbra: l'atmosfera a Moncalieri è festosa, come per il ritorno di un reduce su cui non si sperava più. La notizia in città è arrivata e si è diffusa in un baleno. L'edicolante di piazza Caduti della Liberta l'ha saputo verso le 17, un quarto d'ora dopo che il collega di lavoro vedesse Manfredi in corso Bramante: "Me l'ha detto un giovane della Croce Rossa. Da quel momento ne hanno parlato tutti. Sa, è molto conosciuto. Un signore poco fa è passato urlando: "E' già a casa ! E' già a casa ! ". In ospedale, i colleghi di lavoro non stanno più nella pelle. Nella portineria è un continuo trillare di telefono. L'usciere Davide Sordo risponde a tutti con la voce rotta dall'emozione: "Sì, è vero, è tornato. Sta bene. E' un po' confuso. Ci ha riconosciuti. Qualche giorno e si rimetterà". Spiega Sordo: "è stato portato qui per dei controlli. Quando ci ha visti ha allargato le braccia". In portineria, in un cantuccio, c'è anche Giovanni Deva, che era partito con Manfredi per Bruxelles". Ha le lacrime agli occhi. Ricorda i momenti più brutti: "Pensi che non siamo tifosi. Quest'anno non siamo andati a vedere neppure una partita di campionato. Per noi Bruxelles era una gita. L'ho perso di vista appena entrati nello stadio...". C'è anche un altro autista, Francesco Domiziano: "è arrivata qui la prima telefonata di Felice, un infermiere della sala operatoria. Ha detto: "Ho visto Marco, davanti alle Molinette". Gli abbiamo urlato "Rincorrilo !". Con l'auto sono passato a prendere i parenti, e siamo corsi da lui. L'ho abbracciato e ho pianto". Appena ha visto la moglie Rosita ha mormorato, porgendole la sacca che aveva al collo: "è di Maruska (la figlia, ndr). Bisogna lavarla, altrimenti si arrabbia". "Quando gli abbiamo chiesto: Perché non hai mai telefonato ? Ha guardato Rosita. "Ma se l'ho vista questa mattina...".

7 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA 7.06.1985 

Ha vagato otto giorni per la Francia dopo la fuga dall'Heysel

di Lorenzo Del Boca

Lo cercavano in Belgio. Lo hanno trovato a Torino a due passi dalla stazione. Marco Manfredi, autista della Croce Rossa di Moncalieri era andato in pullman a Bruxelles per assistere alla partita. Non ricorda assolutamente nulla. E' stata una notte tranquilla dopo otto giorni di silenzio e la nebbia dei ricordi. Marco Manfredi, lo "scomparso" di Moncalieri, è stato ritrovato e ha fatto ritorno a casa. Un bagno caldo, il rasoio sulla pelle che si è portato via la barba lunga di una settimana, le lenzuola che profumano di pulito del proprio letto. Gli restano quegli occhi stanchi che si guardano intorno per cercare visi conosciuti: occhi smarriti che vorrebbero capire e non capiscono. Allarga le labbra in un sorriso che non sembra spontaneo: distaccato, a volte; più spesso stupito. "Perché non hai telefonato a tua moglie ?" "Ma se l'ho vista stamattina...". Lo cercavano in Belgio: l'hanno trovato a Torino a due passi dalla stazione di Porta Nuova. I parenti avevano distribuito centinaia di volantini con la sua fotografia e stavano battendo Bruxelles palmo a palmo. Gli italiani residenti lassù hanno formato un "comitato di accoglienza" per aiutare i connazionali in difficoltà e la famiglia Manfredi era disperata. Marco, autista della Croce Rossa dell'ospedale di Moncalieri, era partito in pullman per vedere la partita di finalissima della "Coppa Campioni". Juventus-Liverpool. Era stato un viaggio abbastanza faticoso, ma aveva chiacchierato con gli amici e alla fine si sono trovati davanti allo stadio. C'era già confusione e gli altri l'hanno perso di vista. Da quel momento è scomparso, come inghiottito nel nulla. "Dopo la partita lo abbiamo aspettato per più di un'ora - raccontano - ma, poi, abbiamo dovuto partire: eravamo già troppo in ritardo". Alle spalle il massacro di tifosi schiacciati dalla folla e sepolti da un muro crollato. E Marco Manfredi ? Nessuna traccia. I giorni che passavano hanno colorato questa storia di mistero e di preoccupazione. Che cosa è successo ? Lui scava nella memoria per recuperare qualche brandello di ricordo. "Ho girato il mondo". Forse non proprio il giro del mondo ma, certo, di chilometri ne ha fatti parecchi. Probabilmente ha attraversato la Francia passando per Nantes, La Rochelles, Saint Nazaire; ha viaggiato in treno collezionando una serie di multe perché non aveva pagato il biglietto; ha mangiato pane e mele e ha dormito in un sacco a pelo a volte alla stazione, a volte sul marciapiede. A Ventimiglia ha chiesto aiuto agli uomini della frontiera: Guardia di Finanza, Carabinieri, Polizia. "Questi mi hanno mandato da quelli - riferisce - quelli mi invitavano a rivolgermi a quegli altri ancora". Aveva viaggiato per tanto tempo senza pagare, poteva farlo ancora. A Torino è arrivato alle 15.01. Un caffè al bar e poi a piedi verso Moncalieri. Per strada l'hanno riconosciuto. "Ma tu... Tu sei Manfredi... Marco Manfredi... Lo scomparso". Poche telefonate e sono arrivate le volanti della polizia, la moglie, i parenti e gli amici. Lui non vuole salire in automobile. Non si sa perché, ma sedersi in macchina gli crea un senso di angoscia. Poliziotti e parenti lo hanno accontentato: in Questura, in via Grattoni, ci sono arrivati con il tram e per Moncalieri hanno usato il bus numero 67 (dove hanno preso la multa perché si erano dimenticati di comperare il biglietto). Il medico Joannis Cantzas assicura che "è in stato confusionale" ma non ci sono segni di violenze. Dovrà essere visitato ancora in futuro. Insomma: bisogna tenerlo sotto controllo per qualche giorno. Non ci sono pericoli: poco per volta potrà recuperare memoria e tranquillità. Era vestito come quando era partito: jeans, maglietta e giubbotto. Solo più sporchi di quando era uscito di casa. Nelle mani: la borsa a sacco della figlia Maruska. Ci aveva messo dentro poche cose che gli servivano prima di partire e se l'è trascinata in spalla in un viaggio per giorni e giorni lungo centinaia di chilometri. "Bisognerà lavarla". E' la fine di un'avventura: un incubo che si stempera nella felicità del ritrovamento. Cominciavano a venire meno le speranze ? "Beh... (I parenti non hanno più motivo di mentire) Si cominciava a temere il peggio. Ma perché guardare indietro ? Adesso è finito tutto".

7 giugno 1985

Fonte: Stampa Sera

ARTICOLI STAMPA 7.06.1985 

"Ho vissuto a pane e mele"

"Non sono riuscito a trovare altro da mangiare. Per i biglietti del treno fidavo nella sorte. Ma mi hanno dato qualche multa".

Una settimana senza nome, senza famiglia, senza soldi. "Mangiavo pane e mele, almeno finché ho avuto denaro". Poi si è rivolto al cuoco di un ospedale "molto gentile" che gli ha offerto un piatto di minestra e una bistecca. Camminava a piedi girovagando per le città: ha attraversato la Francia in treno facendo un percorso assurdo a zig-zag. "Non avevo più soldi per pagare i biglietti. Il controllore mi faceva il verbale di multa". Ne ha conservati due dell'altro ieri. Dormire ? "Mi aggiustavo nel sacco a pelo". Ma dove: alla stazione, sul marciapiede, sotto il ponte ? "Sì, sì - riferisce come se fosse la cosa più ovvia - in quei posti lì". Moncalieri ha accolto la notizia con grande euforia. I colleghi si sono precipitati al telefono per parlargli. Qualcuno è corso a casa: grandi abbracci, auguri, pacche sulle spalle. Qualcuno piange sulla spalla dell'amico ritrovato e lui si guarda intorno sorpreso di questa accoglienza che gli sembra strana. "Sei contento di questa festa ?" "Certo, certo, ma non è proprio il caso", in fondo"... "La partita ? La Juventus ? Non ricordo nulla". Marco Manfredi, lo "scomparso" ritrovato, ha cancellato dalla memoria le immagini dei tifosi di Bruxelles che si scontravano e si uccidevano. "I bianconeri hanno vinto uno a zero, sì, me l'hanno detto adesso. Non lo sapevo". Pochi particolari e otto giorni "in giro per il mondo". "Ormai sono a casa, non andrò più a una partita all'estero". E la moglie: "Ricordatevi di ringraziare tutti, ma adesso lasciateci soli".

7 giugno 1985

 

Fonte: Stampa Sera

ARTICOLI STAMPA 7.06.1985 

La perizia ufficiale inglese condanna le responsabilità di Bruxelles

Una commissione tecnica londinese

"Vecchio e inadeguato lo stadio belga"

LONDRA - La prima perizia tecnica di un organo ufficiale inglese sulle condizioni dello stadio di Bruxelles al momento dell'incontro Liverpool-Juventus, in cui morirono 38 persone, suona come aperta condanna nei confronti delle autorità belghe. I tecnici nel loro rapporto affermano infatti "che nonostante fossero stati i tifosi inglesi a innescare gli incidenti, lo stadio Heysel, vecchio e tenuto in condizioni sbalorditive, ne è stato il meccanismo". "Mentre gli attacchi dei tifosi del Liverpool hanno causato il panico e la conseguente fuga precipitosa - si legge nel rapporto presentato ieri alla stampa - la principale causa diretta delle morti è stata il crollo delle barriere di sicurezza ai bordi delle gradinate". La perizia è stata compiuta per conto del "Greater London Council", il "grande Municipio di Londra", che ha inviato nei giorni scorsi a Bruxelles una sua delegazione di tecnici, della quale facevano parte anche il vicecapo dei vigili del fuoco di Londra e il vicecapo della sezione d'ingegneria strutturale del Municipio stesso. Riferendosi ai "superati e inadeguati" impianti di sicurezza dello stadio, il rapporto afferma che "sotto la legislazione inglese non sarebbe stato permesso di aprire lo stadio al pubblico". La perizia espone poi in dettaglio le condizioni tecniche degli impianti, soffermandosi in particolare sulla barriera che divideva i settori in cui erano stati sistemati i tifosi delle due squadre ("inadeguata a prevenire un movimento di folla") e sul muro ai bordi delle gradinate ("assolutamente inadatto a sostenere pressioni laterali"). Le perizie affermano anche che "l'area riservata ai tifosi del Liverpool era affollata molto densamente mentre quella restante era solo relativamente popolata". Presentando il rapporto, pubblicato anche dalla qualificata rivista "New Civil Engineer", il presidente della Commissione per i servizi pubblici e i vigili del fuoco, Simon Turney, ha fatto presente che l'iniziativa del municipio della "Greater London" non è basata su "Considerazioni politiche o diplomatiche" ed ha lo scopo solo di accumulare esperienza. Intanto si è appreso che ispettori della polizia belga si recheranno a Liverpool per collaborare all'identificazione dei teppisti che il 29 maggio provocarono la strage di tifosi italiani nello stadio Heysel. Gli investigatori inglesi e belgi sperano di giungere all'identificazione dei teppisti per mezzo di documentazioni fotografiche e televisive del tragico evento. Una nota positiva al margini della tragedia: la Comunità Europea, su proposta del commissario Carlo Ripa di Meana, responsabile Cee per lo sport e la cultura, ha deciso di mettere a disposizione delle famiglie delle vittime oltre 280 milioni. (Ansa)

7 giugno 1985

Fonte: La Stampa

 

ARTICOLI STAMPA 7.06.1985 

Stop totale ai club inglesi

Vietate le partite, anche se amichevoli, in tutto il mondo - "Salva" la nazionale.

ZURIGO - La Fifa, federazione calcistica internazionale, ha fatto propria la sospensione delle squadre inglesi per le competizioni europee presa dall'Uefa dopo la tragedia dell'Heysel, allargandola a tutta l'attività internazionale. Il provvedimento riguarda soltanto le squadre di club, e non tocca l'attività della nazionale inglese che potrà quindi partecipare sia al Mundial '86 che ai campionati d'Europa. La decisione di sospendere le squadre inglesi è stata presa dal comitato di emergenza della Fifa (sette membri) ed annunciata dal segretario generale dell'organismo calcistico internazionale, Joseph Blatter. La squalifica, è stato precisato, interesserà anche le partite amichevoli che invece non erano state prese in considerazione nei provvedimenti adottati domenica dall'Uefa. "La durata della squalifica - è precisato in un comunicato - è uguale a quella decisa dall'Uefa, i cui dettagli saranno precisati in seguito, solo quando saranno concluse le inchieste già in corso e si sarà espressa la commissione disciplina dell'Uefa stessa". Nello stesso comunicato è precisato "ciò significa che tutti i club e le squadre sotto la giurisdizione della federazione londinese sono sospese da ora da ogni attività calcistica internazionale. E' loro proibito disputare amichevoli, come definite nell'articolo 9, paragrafo 1 dei regolamenti Fifa, e partecipare a competizioni internazionali di club, siano esse ufficiali o non ufficiali. E' escluso dalla squalifica il calcio non professionistico e giovanile". Il blocco all'attività internazionale delle squadre inglesi di club diventa così totale. Ovviamente saranno possibili incontri con squadre di società scozzesi e irlandesi, che sono fuori dal provvedimento di sospensione ed hanno federazioni proprie.

7 giugno 1985

 

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA 7.06.1985 

Il calcio non è pronto

di Fabrizio Casa

Un nostro collaboratore, campione mancato, interviene sulla tragedia di Heysel e sulle sue conseguenze.

Scrivo di calcio femminile su "Reporter" e in generale mi occupo di sport minori, quelli dove il business non è entrato e forse non entrerà mai. La mia grande passione, o addirittura amore, è il calcio. Sono stato calciatore, ora allenatore, mi piace parlarne e scriverne. Anche io mi sento parte della Tribù. Ma mai come ora sento il divorzio vicino, un’inevitabile separazione. Sensazione che mi ha sfiorato molte volte quando piccolo calciatore venivo fatto giocare dopo un mese di gesso dai miei dirigenti solo per essere messo in vetrina; quando ho conosciuto le storie calcistiche di miei amici che avevano girato mezza Italia come un pacco postale e ad ogni recapito qualcuno ci steccava sul prezzo di vendita o di prestito del loro cartellino; o quando, in tempi recenti, mi ritrovo, a fare qualche torneo amatoriale e un terzino pensa bene di picchiarmi per novanta minuti; pur sapendo che io cerco solo un po’ di divertimento e un momento di apparente gloria in cui annegare le mie delusioni agonistiche. Per questo il calcio non è pronto. E bisogna usare parole dure - sottolineo anch’io senza criminalizzare - ed essere spietati giudici degli altri, che non è bello lo so, ma necessario. Ho ancora un barlume di buon senso per capire, le motivazioni di alcune prese di posizione e la buona volontà dei molti, italiani e non, che si sono interrogati sui fatti di Bruxelles. Capisco chi fa il nazionalista a spada tratta, chi rivendica il sangue dei propri morti per onorare un trofeo, chi nel tumulto di quella sera ha trovato la voglia, con parole o con fatti, di mostrarci la validità dell’impresa "sportiva": li capisco, ma non mi piacciono. Capisco anche, e mi piacciono di più, quelli che si sono preoccupati subito di una pacificazione sportiva, che non hanno avuto la frenesia di chiamare inglesi gli assassini, ma assassini gli assassini, quelli che auspicano una Supercoppa fra Juventus ed Everton a Liverpool. E mi costringo infine a capire anche chi ha celebrato la strage sui muri o, per opposti motivi, a suon di clacson nelle strade d’Italia. Ho il dovere di capire tutte queste persone perché sono dentro di me, che volente o nolente faccio parte della loro stessa Tribù, perché mai come negli ultimi anni il calcio è stato parte della nostra cultura: per questo il calcio non è pronto. Non è pronto a partite, spareggi, scudetti, campionati del mondo, a campioni, personaggi, tifosi. E io me ne accorgo solo adesso ? Sì è vero, ho avuto bisogno dei morti e sento tutto il peso di questa vergogna, ma non è il momento di criminalizzare nessuno, tanto meno me stesso. Voglio avere lucidità e coraggio, io, come membro della Tribù, sono stato fra i più fortunati: ho passato la settimana precedente alla finale in Ungheria, al seguito della Nazionale Femminile di calcio. Fortunato perché immune da tutto il clamore intorno all’ evento partita dell'anno. Di questo vaccino ancora provo gli influssi e sento il bisogno di fare un passo indietro rispetto a quasi tutte le cose che ho letto e sentito in questi giorni. Perché da noi il calcio non può ridiventare sport come ce ne sono tanti, senza che continui ad essere venerato con tutti i suoi sacri riti ? Perché siamo ipnotizzati dai Processi del Lunedì, dai Novantesimi Minuti, dalle Domeniche Sportive ? Perché la maggior parte dei tifosi non sa distinguere un fallo di ostruzione da una carica di spalla ? Perché la prima cosa che si insegna a un ragazzino è il modo di colpire in maniera cattiva l’avversario ? lo credo che Bruxelles sia dietro tutto questo, e anzi la lista della spesa è ancora più ricca di voci se solo si vuole allungarla. Se mai si farà la Supercoppa a Liverpool potranno succedere incidenti o filare tutto liscio e, in ognuno dei due casi ci sarà chi ripeterà "io l’avevo detto". Ma nulla cambia: i miei perché stanno là inamovibili. Per questo il calcio non è pronto.

7 giugno 1985

 

Fonte: Reporter

ARTICOLI STAMPA 7.06.1985 

La strage allo stadio

Ci sentivamo undici robot

di Roberto Beccantini

I calciatori della Juve spiegano il loro stato d'animo sul terreno di gioco - "Mi sono immerso nella partita", dice Platini, "come un palombaro in fondo al mare" - Boniek: "Non vedevo la porta, ma solo dei morti".

Torino, giugno. Affogare in una coppa. Tutto, la vita e la morte. A Bruxelles, la sera del 29 maggio, prima nel sole e poi sotto le stelle, Juventus e Liverpool si sono prestate a un balletto macabro, sullo sfondo di decine e decine di cadaveri. Chi scrive era nello stadio della morte. Chi scrive è partito e tornato con la squadra juventina. Serena prima, affranta e scombussolata dopo. "Odio gli inglesi, li odierò sempre", brontolava Giampiero Boniperti, presidente bianconero dal luglio del 1971. "Alla luce di quello che è successo a Bruxelles, non ho dubbi: l'incendio di Bradford dell’ 11 maggio scorso, che fece 52 vittime, era doloso. Ho visitato le salme e due in particolare mi hanno impressionato. Padre e figlio, con la maglia bianconera imbrattata di sangue. Uno, il figlio, aveva un occhio di fuori, poveraccio. Tutti neri in volto, erano morti asfissiati". Nessuno teneva alla coppa quanto Boniperti. Nessuno come lui, ora che l'ha vinta, vorrebbe riconquistarla. "The killing field". "Il campo che uccide", hanno titolato i giornali di Londra, facendo il verso a un titolo di film non meno famoso, da noi tradotto in "Urla del silenzio". Michel Platini è il giocatore che ha trasformato il rigore decisivo. Con freddezza, senza apparente angoscia. E poi è schizzato via come un tappo di champagne, scomparendo fra braccia sin troppo festose. "Michel, ma era proprio il caso, in quel clima da apocalisse ?". Il calcio è un circo", risponde il fuoriclasse francese, "mi ricorda la Formula Uno. Muore un pilota o muoiono degli spettatori ? Le corse non si fermano. Guai ! Si continua, sempre e comunque. Noi non volevamo giocare, ce l'avevano chiesto, supplicandoci, i tifosi. La federazione internazionale ci ha poi costretti a farlo. Eravamo tesi, preoccupati. Sapevamo della tragedia anche se fino all'ultimo abbiamo sperato che certe cifre fossero sbagliate. E sbagliate lo erano davvero: ma per difetto, purtroppo... Ho giocato come ho potuto. Mi sono immerso nella partita come un palombaro in fondo al mare. Ho cercato, per un'ora e mezzo, il mio mondo. La partita è stata vera, almeno per me. Quelli del Liverpool non ci hanno regalato nulla. Il rigore non c'era, d'accordo, ma fa lo stesso, avrei segnato su punizione... Mi ha colpito la passione del vostro popolo. Tutta quella gente, lì per noi, e alcuni, addirittura, morti per noi. Abbiamo vinto per ringraziare i vivi e per commemorare gli altri. Boniperti, subito dopo, mi ha preso in un angolo e mi ha chiesto: "Michel, sei sempre dell'idea di finire la carriera in Inghilterra ?". Il mio contratto con la Juve scade nel giugno del 1986, dopo i mondiali in Messico sarò libero. Giuro che sono rimasto senza parole. Mi sono limitato a fissarlo negli occhi. Il presidente ha capito e ha sorriso...". Dunque, i giocatori sapevano. Per questo non avrebbero dovuto "ballare" alla consegna del trofeo, per questo sarebbe stato consigliabile non alzare la coppa, neppure dalla parte della curva juventina. Paolo Rossi ci ha detto: "Premesso che festeggiare una vittoria del genere non ha proprio senso, ci tengo a precisare come il nostro giro d'onore altro non voleva essere che un gesto di ringraziamento nei confronti di quei tifosi che tanto avevano sofferto, direttamente e indirettamente". Aggiunge Marco Tardelli: "Anch’io mi chiedo, e mi chiederò fino a che campo, se era giusto giocare. Sicuramente, era più difficile non farlo. La miscela esplosiva dell'emotività avrebbe coinvolto tutti, indistintamente, e avrebbe seminato più panico e più morti". Cosa resta nel cuore di una simile notte ? Prova a rispondere a questo interrogativo Antonio Cabrini, bandiera juventina: "Un'infinita tristezza, ecco cosa resta. La vittoria, la coppa, tutto passa in second’ordine. Ma non solo tristezza, sia chiaro. Anche rabbia. La gendarmeria belga ha dormito bella grassa. Sarebbe infatti bastato un minimo d'organizzazione e adesso non saremmo qui a parlare di carneficina ma di un sogno infranto, finalmente, ma nel senso giusto, un sogno diventato realtà". Il polacco Zibì Boniek era fra i più sconvolti. "E dire –brontola - che mi sentivo strabene. Avrei fatto fuoco e fiamme. Così, invece, ho cercato di non pensare più a niente. In alcuni momenti, però, non c'ero proprio con la testa. Davanti a me non vedevo la porta, vedevo solo morti. Salvo poi esultare anch'io al rigore trasformato da Michel e al fischio di chiusura, perché in campo, sissignore, a volte il robot batte l'uomo. Sarà triste, brutale, demenziale, ma è così".

7 giugno 1985

Fonte: Gente

ARTICOLI STAMPA 7.06.1985 

 

Matarrese: Per la tragedia di Bruxelles mettiamo sotto accusa l'Uefa

"Un'associazione formata da vecchietti che non fanno altro che consegnare medaglie e stendardi. Non sono in grado di reggere le sorti del calcio europeo". "Alla riunione il borgomastro disquisiva con un boccale di birra in mano, il capo della polizia faceva disegnini...".

ROMA - "Il processo agli individui è sterile: è l'Uefa così com'è oggi che va processata". Lo sostiene, con riferimento alle responsabilità della strage allo stadio Heysel di Bruxelles, il presidente della Lega calcio, Antonio Matarrese, in un'intervista che apparirà nel prossimo numero dell'Espresso, il quale ne ha diffuso una sintesi. Il presidente dell'Uefa, Jacques Georges, è una brava persona, un buon uomo. Ma altri attorno a lui - sostiene Matarrese - avrebbero potuto fare qualcosa per evitare quello che è successo. Per esempio, la commissione organizzativa, che ha scelto Bruxelles per la finale. Se si dà incarico ad una federazione nazionale di organizzare un incontro del genere, si deve essere sicuri che è in grado di farlo. E se quella federazione non dà garanzie, allora non si gioca. Io non so se l'Uefa ha avuto dai belgi garanzie adeguate, e si è fidata, o se ha lasciato fare, sperando nella buona sorte. Comunque, dopo quello che è successo l'Uefa va processata: sclerotica, politicizzata, fuori dal tempo; una confraternita, non un'organizzazione agile e moderna; una struttura a matrice dirigenziale dilettantistica, composta da uomini per lo più di una certa età, gente che va in sede una volta al mese, che ho visto sempre e soltanto consegnare medagliette e stendardi, che non ha gli stimoli giusti per gestire il business del calcio nell'era della televisione". Nell'intervista all'Espresso, il presidente della Lega aggiunge: "Il dilettantismo non è tollerabile a questi livelli, con giri di miliardi solo per l'eurovisione, mentre sono in gioco, come s'è visto, anche la sicurezza e la vita del pubblico. Così com'è, l'Uefa non ha più ragione d'essere". Ricordando poi alcuni momenti della tragica sera del 29 maggio a Bruxelles, il cui bilancio è stato di 38 morti, Matarrese afferma: "Nel più scalcinato stadio italiano, con il più sgangherato servizio d'ordine, tutto ciò non sarebbe successo. Da noi anche l'ultimo dei marescialli riesce a portare i suoi uomini dove e quando servono. Ma là mancava tutto, assolutamente tutto: non c'era un solo agente neppure a guardia della tribuna d'onore o all'ingresso degli spogliatoi juventini che davano direttamente all'esterno, sull'antistadio; non si trovava un telefono, nessun graduato della polizia coordinava alcunché. Chiunque si alzasse in piedi, dava istruzioni. Sembrava che nessuna delle autorità belghe si rendesse conto di cosa stava succedendo: dominava il menefreghismo. Alla cosiddetta riunione (in realtà una babele infernale) dove si decise che si doveva giocare - conclude il presidente Matarrese - il borgomastro disquisiva vagamente con il boccale di birra in mano. Il capo della polizia se ne stava imbambolato a fare disegnini mentre noi allarmati gli chiedevamo come era possibile fare uscire tutto il pubblico senza ulteriori incidenti. Georges, il presidente della Uefa, girava per la stanza come allucinato. A giocare, però, ci teneva. Ad un certo punto sono scomparsi, siamo rimasti solo noi italiani. Borgomastro, capo della polizia e Jacques Georges: tutti in tribuna a vedere la partita".

8 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA 8.06.1985 

Il capo della gendarmeria belga ammette, finalmente, gli errori

di Renato Proni

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE. BRUXELLES - Il generale Robert Bernaert, comandante della gendarmeria di Bruxelles, ha ammesso che nel dispositivo di sicurezza allo stadio di Heysel, se non sono stati commessi errori veri e propri, ci sono state "gravi imperfezioni", che hanno poi contribuito alla morte di 38 tifosi e al ferimento di 450 persone. L'ammissione parziale di responsabilità da parte del capo della gendarmeria è stata accolta con una esclamazione di "Finalmente ! Grazie" dal presidente della Camera dei deputati, il socialista Defraigne, che è stato il più severo critico delle carenze nel servizio di protezione allo stadio, la sera del 29 maggio. Il generale Bernaert ha detto: "Diciamo pure che sono state commesse numerose imperfezioni, certo più gravi di altre. La minaccia è stata sottovalutata. La gendarmeria ha reagito con troppo ritardo. Ciò non è ammissibile. Il servizio d'ordine non è riuscito a evitare il panico". E' risultato che solo 12 erano i poliziotti che separavano i tifosi italiani da quelli del Liverpool e che nello stadio c'erano 15 agenti in borghese per osservare i movimenti della folla anziché i 30 previsti. Anche il ministro della Giustizia Jean Gol è stato chiamato in causa per avere permesso ai tifosi inglesi colpevoli del massacro di lasciare impunemente lo stadio. I fatti ammessi sono gravi: errori di osservazione da parte dei capisquadra, messaggi radio non ricevuti, ritardi nel chiedere rinforzi, cattiva organizzazione e mancata separazione dei tifosi italiani nella curva "Z" da quelli inglesi, reti di protezione troppo deboli, scarsa collaborazione tra poliziotti e gendarmi. Al ministro degli Interni Charles Nothomb è stato chiesto se intendeva dimettersi a causa delle sue responsabilità politiche e questa è stata la sua risposta: "Ci ho riflettuto e ne ho discusso con un altro ministro. Ma il dramma è stato provocato dai britannici. Non è un atteggiamento corretto imputare le forze dell'ordine per l'accaduto. Se nella preparazione del dispositivo di sicurezza emergerà che sono stati commessi errori gravi, allora si porrà la questione delle mie dimissioni. Io continuo ad accollarmi l'intera responsabilità politica". Alla fine del dibattito, la Camera dei deputati ha approvato la richiesta della signora Antoinette Spaak per svolgere un'inchiesta parlamentare sulle cause e sulle circostanze della tragedia. La commissione d'inchiesta, che siederà a porte chiuse, avrà i poteri dei giudici istruttori e potrà adottare eventuali sanzioni contro i responsabili del servizio d'ordine. La commissione sarà formata da nove deputati, di cui tre democristiani, tre socialisti, due liberali e uno del partito fiammingo. Come data limite per la presentazione del loro rapporto è stato fissato il 6 luglio. Il Belgio, dunque, comincia a dimostrare di accettare la sua parte di responsabilità con l'intenzione di arrivare a conclusioni che possano servire come base per fare parziale, e tardiva, giustizia per l'eccidio.

8 giugno 1985

 

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA 8.06.1985 

In ospedale a Moncalieri il tifoso che a Bruxelles ha smarrito se stesso

E' sereno, ma non ricorda nulla

di Marco Neirotti

Nella stanza di Marco Manfredi sono ammessi solo i parenti più stretti - Dovrà essere trasferito per esami, ripete ancora: "Non in auto" - Il medico: "Soffre di amnesia anterograda, una parte della sua memoria è cancellata" - Si deve ricostruire il suo mondo affettivo - Uno choc "da folla" ? - Le prime parole dette all'amico che l'ha ritrovato giovedì: "Ciao, vieni con me alla partita ?".

"Visite vietate". Pennarello rosso su foglio bianco, due parole sulla porta della stanza di Marco Manfredi, ospedale di Moncalieri, secondo piano, medicina generale. Vogliono massima quiete attorno all'uomo, 40 anni, scomparso nell'inferno di Bruxelles e resuscitato otto giorni dopo a Torino. Quiete per non deviare i suoi frantumati racconti, le sue paure, l'incontro con il mondo dei suoi affetti. Una stanza nel centro del reparto, eppure lontana dall'affollata vita di camere e corridoi. Assistito dai parenti più stretti, Manfredi è rilassato. Lo è dal momento del ricovero, giovedì sera. Appena sveglio ha domandato "Che ora è", ha voluto "caffè e sigaretta". Ancora e sempre sorridente, si specchia ripulito e abbronzato. Come per una vacanza al mare ? "L'ho visto il mare". Finalmente tra amici. "Sì, conosco tutti qui". Dovrà essere trasferito per esami. "Non in auto". Sono le 11. E' andata a riposare la moglie, Rosita Binelli, con lui rimane la mamma, Carla Baldini. "Ero in Toscana. Telefonano che è tornato. Che fare ? Cerco qualcuno che mi porti su. Mi sentivo mancare dalla gioia". Un attimo nell'alloggio di via (omissis), poi al Santa Croce. E lui di nuovo: "Non in auto". Gli dicono: prendiamo il tuo camioncino. "In pullman". Una paura oscura. "Fisicamente sta bene: non ha contusioni - spiega il primario, dr. Luigi Pecorari. Soffre di un'amnesia anterograda, vale a dire che una parte della memoria è cancellata". Per questo sono ammessi solo i parenti: "Loro ricostruiscono il suo mondo affettivo. Le domande dei giornalisti lo stimolano alla cieca, senza un discorso finalizzato". Che è successo nella sua mente ? La biografia clinica di Manfredi non offre precedenti. Lo sottoporranno a una Tac. Se si escludono altre ipotesi, forse la causa di tutto è in uno choc emozionale: il viaggio, l'atteso incontro di calcio, poi allo stadio una folla straripante soffocata nell'imbuto dell'ingresso, la brusca separazione dagli amici. E lui, improvvisamente, solo nel caos. "Questi tipi di amnesie si configurano in due casi - commenta il professor Michele Torre, direttore della clinica psichiatrica universitaria. Uno è la demenza senile o presenile. Non può essere il suo. L'altro è quello di situazioni particolarmente intense (bombardamenti, terremoti), soprattutto in personalità fragili". Quale la personalità di Manfredi ? Parlano di un uomo "a posto", sereno. "Ora non vuole saperne di auto. Eppure tre settimane fa ha vinto il concorso per la qualifica di autista" - ricorda Felice Totaro, 31 anni, infermiere. Proprio Felice giovedì sera ha incontrato Marco in strada. Adesso, nell'atrio dove il portiere, Luigi Sapino, offre con entusiasmo ragguagli "su Marco" ai colleghi, rievoca l'incontro. "Andavo a farmi tagliare i capelli, in via Ormea. C'era traffico in corso Raffaello, allora ho preso via Monti. All'angolo con corso Massimo d'Azeglio lo vedo con gli occhi bassi, fermo per lasciar passare le auto". Sono le 16.30. Totaro, prigioniero del traffico, è titubante, non sa in che condizioni sia Marco, come possa agire su di lui l'impatto con un volto noto. Un telefono, un gettone, l'ospedale: "Sono a Torino, ho visto Manfredi". Subito: "Fermalo". L'infermiere esce, lo raggiunge all'angolo con via Cellini. "Marco !". Si volta. Sorride. S'avvicina: "Ciao". Una pausa. "Vieni anche tu alla partita ?". Si abbracciano. "Ti porto a casa". "Non in macchina: moto o tram". Qualche passo fino a corso Bramante, lo prende sottobraccio, e Marco: "Abbiamo vinto". Vinto la partita ? Più tardi, in questura, dirà d'aver appreso qui il risultato. Conquistato il rientro a casa, allora ? Forse. Totaro entra nel bar di fronte alle Molinette, telefona ancora. Di nuovo in strada. "Vuoi mangiare ?". "Il medico non vuole che si mangi tanto". Un caffè ? Il caffè va bene. Arriva la prima volante, Manfredi agli agenti: "Venite alla partita ?". Poi la folla, domande, lampi, riflettori. E il suo sorriso incuriosito. Intanto Felice Totaro - tifoso dell'Inter col "Chiodo fisso di ritrovare Manfredi" - si allontana con una sensazione bella e inquietante: "La sosta per far benzina, il traffico che mi fa perder tempo in piazza Bengasi, la decisione di togliermi da corso Raffaello. Come una predestinazione... ".

8 giugno 1985

Fonte: La Stampa

 

ARTICOLI STAMPA 8.06.1985 

Liverpool a Torino, un gesto di pace

di Angelo Conti e Giuliana Mongelli

Il vicepresidente della Juventus, Chiusano: "Gli sportivi inglesi sono consapevoli dell'orrore di quel giorno".

La notizia che una delegazione ufficiale di politici, pubblici amministratori, esponenti delle Chiese cattolica e anglicana verrà a Torino per compiere un atto di riconciliazione dopo la tragedia dello stadio di Bruxelles, è oggetto di commenti in tutti gli ambienti cittadini. La "piena disponibilità ad accogliere i rappresentanti di Liverpool" è stata ribadita dal sindaco Cardetti, che ha confermato "intensi contatti con l'Inghilterra". Una decisione verrà comunque presa soltanto in giunta, lunedì "quando stabiliremo i dettagli e la data dell'iniziativa". Cardetti ha confermato di essere sempre stato favorevole alla visita, smentendo le voci rimbalzate mercoledì pomeriggio a Liverpool secondo le quali il primo cittadino di Torino aveva espresso perplessità, considerando i tempi "non ancora maturi". La visita degli inglesi impegnerà ovviamente le forze dell'ordine: "Anche se siamo convinti che tutto si svolgerà regolarmente - spiega il neo questore Umberto Catalano - predisporremo speciali servizi per garantire che il clima dell'incontro non venga turbato da esagitati". Le misure di sicurezza verranno messe a punto la prossima settimana, quando si conoscerà il programma. "E’ un'iniziativa lodevole, che dimostra la volontà di superare anche a livello psicologico e morale le conseguenze del dramma di Bruxelles", afferma l'avv. Vittorio Chiusano, vicepresidente della Juventus. Ricorda l'"orrore" di quella giornata. Era arrivato allo stadio con altre personalità sportive e politiche. "Erano già scoppiati gli incidenti e la polizia ci ha bloccati all'ingresso e ci ha costretti a ritornare all'aeroporto". Dall'aeroporto, però, l'avv. Chiusano è tornato allo stadio ed è arrivato che la partita era appena cominciata. "Nessuno può cancellare l'orrore di quel gesto criminale e insensato - dice - ma sarebbe pure insensata e illogica ogni iniziativa tendente a criminalizzare gli sportivi inglesi e lo sport del calcio". Soddisfazione al club Juventus di via Bogino. Il presidente Pier Carlo Perruquet: "Ci saremo anche noi a Caselle ad accogliere la delegazione di Liverpool. E saremo felici di ospitarli nella sede del nostro club. Vogliamo dimostrare che non abbiamo nulla contro la loro gente". A dimostrazione di ciò l'altra sera, in via Bogino, la troupe di una televisione inglese ha ripreso un gruppo di juventini che assisteva alla trasmissione di Italia-Inghilterra. Precisa Perruquet: "Amicizia sì, ma sia chiaro: le indagini devono proseguire veloci, e i colpevoli pagare. Come è stata efficiente la polizia italiana a identificare i nostri "esagitati", così lo devono essere quelle belga e inglese". Favorevoli all'incontro fra amministratori delle due città anche l'assessore comunale allo Sport, Elda Tessore, e il collega Re. Tessore: "Mi sembra positivo che amministratori e autorità di Liverpool intendano venire nella nostra città. La tragedia di Bruxelles non deve diventare un elemento di scontro tra due popoli e due città, mi auguro anzi che si rafforzino i vincoli di amicizia. Dovremo studiare insieme le iniziative, rendendole magari permanenti, per lanciare un ponte ideale tra due città così duramente colpite. Se un fatto sportivo ha provocato una strage, lo sport può diventare un momento di crescita civile". L'assessore Re: "Ben vengano gli inglesi nella nostra città, Torino li riceverà senza pregiudizi, nessuna delle due parti dovrà sentirsi imbarazzata. Non escludo che la prevista visita a Torino delle autorità di Liverpool possa essere ricambiata. Ma forse sarebbe auspicabile lasciar decantare le recenti vicende. La fretta è cattiva consigliera". In casa di Giovacchino Landini, una delle vittime torinesi della tragedia belga, la notizia è stata accolta con comprensibile freddezza. Dice la figlia Monica, 22 anni: "Non ci abbiamo neppure pensato. Tanto, mio padre non lo restituirà nessuno".

8 giugno 1985

 

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA 8.06.1985 


Il Novara per vittime di Bruxelles

NOVARA - (m. s.) Domani i giocatori del Novara Calcio avranno un incentivo in più nell'ultima gara di campionato che li vedrà opposti alla seconda in classifica, la Virescit Boccaleone: hanno infatti deciso di devolvere il premio partita in favore delle famiglie delle vittime di Bruxelles, partecipando così alla sottoscrizione organizzata dal Juventus Club di Novara. Nei due bar cittadini, che rappresentano i centri della tifoseria bianconera (Baratto di via Omar e Passerella di corso Vercelli) la raccolta delle offerte continua fino a tutto oggi. Domani, subito dopo la Messa in suffragio dei 38 morti dell'Heysel, che verrà celebrata alla Madonna del Bosco, la somma raccolta verrà consegnata agli esponenti della Juventus che verranno espressamente da Torino per presenziare alla cerimonia religiosa. Tornando all'offerta dei giocatori del Novara c'è da precisare che essa sarà comunque effettuata anche in caso di sconfitta. Se anche nella partita d'addio gli azzurri non dovessero riuscire ad ottenere il successo (e in questo caso non riceverebbero alcun premio) martedì si incontreranno per tassarsi di un importo pari a quello che avrebbero dovuto incassare vincendo.

8 giugno 1985

Fonte: Stampa Sera

ARTICOLI STAMPA 8.06.1985 

 

"Il processo agli individui è sterile: è la Uefa così com’è oggi che va processata". Lo sostiene, con riferimento alle responsabilità della strage allo stadio Heysel di Bruxelles, il presidente della Lega calcio, Antonio Matarrese, in un'intervista che apparirà nel prossimo numero del settimanale "l'Espresso". "Il presidente della Uefa, Jacques Georges, è una brava persona, un buon uomo. Ma altri attorno a lui avrebbero potuto fare qualcosa per evitare quel che è successo", sostiene Matarrese. "Per esempio la Commissione organizzativa, che ha scelto Bruxelles per la finale. Se si dà incarico a una Federazione nazionale di organizzare un incontro del genere, si deve essere sicuri che è in grado di farlo. E se quella Federazione non dà garanzie, allora non si gioca. Io non so se la Uefa ha avuto dai Belgi garanzie adeguate, e si è fidata, o se ha lasciato fare, sperando nella buona sorte. Comunque, dopo quello che è successo - sostiene Matarrese nell'intervista - la Uefa va processata: sclerotica, politicizzata, fuori dal tempo; una confraternita, non un'organizzazione agile e moderna; una struttura a matrice dirigenziale dilettantistica, composta da uomini per lo più di una certa età, gente che va in sede una volta al mese, che ho visto sempre e soltanto consegnare medagliette e stendardi, che non ha gli stimoli giusti per gestire il business del calcio nell'era della televisione". Nell'intervista all'"Espresso" il presidente della Lega aggiunge: "Il dilettantismo non è tollerabile a questi livelli, con giri di miliardi solo per l'Eurovisione, mentre sono in gioco, come s’è visto, anche la sicurezza e la vita del pubblico. Così com’è, la Uefa non ha più ragione d' essere". Ricordando poi alcuni momenti della tragica sera del 29 maggio a Bruxelles, il cui bilancio è stato di 38 morti, Matarrese afferma: "Nel più scalcinato stadio italiano, col più sgangherato servizio d' ordine, tutto ciò non sarebbe successo: da noi anche l'ultimo dei marescialli riesce a portare i suoi uomini dove e quando servono. Ma là mancava tutto, assolutamente tutto: non c’era un solo agente neppure a guardia della tribuna d' onore o all'ingresso degli spogliatoi juventini, che davano direttamente all'esterno, sull'antistadio; non si trovava un telefono, nessun graduato della polizia coordinava alcunché. Chiunque si alzasse in piedi, dava istruzioni. Sembrava che nessuna delle autorità belghe si rendesse conto di cosa stava succedendo; dominava il menefreghismo". "Alla cosiddetta riunione (in realtà una babele infernale) dove si decise che si doveva giocare, il borgomastro disquisiva pacatamente con il boccale di birra in mano... Il capo della polizia se ne stava imbambolato a fare disegnini mentre noi allarmati gli chiedevamo come era possibile far uscire tutto il pubblico senza ulteriori incidenti. Georges, il presidente della Uefa, girava per la stanza come allucinato. A giocare, però, ci teneva. A un certo punto sono scomparsi, siamo rimasti solo noi italiani. Borgomastro, capo della polizia e Jacques Georges: tutti in tribuna, a vedere la partita".

9 giugno 1985

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI STAMPA 9.06.1985 

Una foto rivela: Marco Manfredi è rimasto svenuto fra i cadaveri

di Angelo Conti e Giuliana Mongelli

La moglie non ha dubbi: "E' lui" - Coinvolto nella tragica calca, ha perduto la memoria e ora non ricorda più nulla.

C'è, forse, uno squarcio sul mistero di Marco Manfredi, il tifoso di Moncalieri scomparso sugli spalti dell'Heysel stadium di Bruxelles e ricomparso, otto giorni dopo, nei pressi delle Molinette, a Torino, in stato confusionale. Lo ha provocato una fotografia pubblicata ieri da Famiglia Cristiana: si vede l'uomo, è sdraiato in mezzo ad alcuni tifosi ormai senza vita, all'esterno dello stadio, con il corpo e parte del volto nascosti da una coperta. L'immagine - una delle migliaia di quel pomeriggio di dolore e di morte - non è nitidissima, ma secondo i parenti, gli amici e i compagni di lavoro non lascia spazio a dubbi: quell'uomo è Marco Manfredi. La più sicura appare la moglie, Rosita Binelli, che non riesce a dissimulare l'emozione, osservando l'immagine: "è davvero Marco, anzi, direi proprio che è ritratto in una sua espressione abituale, la stessa che ha tutte le mattine quando si alza dal letto, con i capelli un po' arruffati". Le fa eco la suocera: "L'attaccatura dei capelli e il naso sono inconfondibili. Certo che fa davvero impressione vederlo gettato lì, in mezzo ai cadaveri: se era in grado di capire, dev'essere stato uno choc terribile. Ma che sia vivo lo si intuisce anche dal fatto che è l'unico ad avere una coperta addosso. Evidentemente sta per essere trasportato all'ospedale". L'immagine fa rapidamente il giro di parenti e colleghi di lavoro del Santa Croce. Andrea Tomas, che è stato fra i primi a soccorrerlo, conferma le impressioni degli altri: "è lui, è lui: l'espressione è la sua, non possono esserci dubbi". Dando per certo il riconoscimento, si può quindi ipotizzare quanto è successo quel tragico mercoledì 29 a Bruxelles: Marco Manfredi arriva all'Heysel stadium verso le 18, con due amici si avvia verso la curva bianconera per la quale hanno acquistato il biglietto. Entrano senza problemi e salgono sugli spalti. C'è ressa e i tre restano divisi, a pochi metri di distanza l'uno dall'altro. Ha rivelato ieri la moglie: "A gesti ha spiegato agli amici di voler cambiare curva, di andare dalla parte dei Belgi, dove c'era meno gente. Da quel momento nessuno l'ha più visto". E per duecento ore nessuno saprà nulla di lui. Cosa può essere successo in questo intervallo ? Probabilmente Manfredi raggiunge davvero la curva opposta. Qui è coinvolto negli incidenti: pressato nella ressa, cade svenuto. Viene soccorso dalle forze dell'ordine che gli stendono sul corpo una coperta e successivamente trasportato in ospedale (dove ricorda confusamente di essere stato). Ma si riprende presto, chiede di prendere aria. Appena fuori comincia a cercare il pullman che dovrebbe riportarlo a Moncalieri, non lo trova, ripiega sulla ferrovia. Sale su un treno che lo porta prima a Nantes, poi a La Rochelle, infine a Montone. Vive centellinando i pochi soldi che si ritrova in tasca, viaggia sui convogli privo di biglietti e colleziona mezza dozzina di multe. Ritorna in Italia dal confine di Ventimiglia. Appena davanti ai finanzieri racconta di essere senza un soldo, ma il ricorso alle assistenti sociali si rivela inutile. Manfredi decide così di salire nuovamente su un treno: raggiunge Torino senza vedere il controllore. Poi la ricerca di un autobus per Moncalieri, l'incontro con il collega Felice Totaro, che lo riconosce nel pressi delle Molinette, il rifiuto di salire sulle volanti e la richiesta continua di un pullman, forse - nella sua mente sconvolta - lo stesso che è partito da Bruxelles senza di lui. Infine, l'abbraccio della moglie. In questura, il pianto di gioia dei parenti e degli amici, ma anche i dubbi e le angosce su un "buco" di duecento lunghe ore. Ieri una fotografia porta improvvisamente nuova luce sull'intera vicenda. Cadono quasi tutti gli interrogativi. Adesso anche la trasferta del tifoso Marco Manfredi ha una sua storia.

9 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA 9.06.1985 

E' sempre gravissimo, al Sant'Erasmo di Bruxelles, Carlo Duchene, 34 anni, di Pinerolo. E' uno dei 12 tifosi italiani ancora ricoverati negli ospedali della capitale belga dopo quel tragico Juventus-Liverpool. Duchene è stato assalito da un inglese a fine partita, a due chilometri dallo stadio, mentre stava salendo in auto per ritornare a casa. Un'aggressione a sangue freddo, durante la "caccia all'uomo" che si è scatenata dopo la partita. "Ho sentito un urlo, mi sono voltato e ho visto per un attimo un tifoso inglese addosso a Carlo - ha raccontato Ivo Taverna, l'amico che era con lui. Aveva qualcosa in mano, forse un pugno di ferro, e con quello l'ha colpito alla testa. Carlo ha tentato di ripararsi, ma l'energumeno ha sferrato un altro colpo che gli ha spappolato le dita. Carlo è crollato a terra. Privo di sensi". Alcuni agenti, che si trovavano nei pressi, sono intervenuti, riuscendo a bloccare un tifoso che stava fuggendo, lo hanno portato davanti al Taverna che lo ha riconosciuto.

9 giugno 1985

 

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA 9.06.1985 

Matarrese lancia accuse all'Uefa

Dure parole del presidente della Lega contro i dirigenti europei.

ROMA - "Il processo agli individui è sterile: è l'Uefa così com'è oggi che va processata". Lo sostiene, con riferimento alle responsabilità della strage allo stadio Heysel di Bruxelles, il presidente della Lega Calcio, Antonio Matarrese, in un'intervista che apparirà nel prossimo numero del settimanale "L'Espresso". "Il presidente dell'Uefa, Jacques Georges, è una brava persona, un buon uomo. Ma altri attorno a lui avrebbero potuto fare qualcosa per evitare quel che è successo" - sostiene Matarrese. "Per esempio, la commissione organizzativa, che ha scelto Bruxelles per la finale. Se si dà incarico ad una federazione nazionale di organizzare un incontro del genere, si deve essere sicuri che è in grado di farlo. Comunque, dopo quello che è successo - sostiene ancora Matarrese - l'Uefa va processata: sclerotica, politicizzata, fuori dal tempo; una confraternita, non un'organizzazione agile e moderna; una struttura a matrice dirigenziale dilettantistica, composta da uomini per lo più di una certa età, che non ha gli stimoli giusti per gestire il business del calcio nell'era della televisione". Nell'intervista il presidente della Lega aggiunge: "Il dilettantismo non è tollerabile a questi livelli, con giri di miliardi solo per l'Eurovisione, mentre sono in gioco, come s'è visto, anche la sicurezza e la vita del pubblico". Ricordando poi alcuni momenti della tragica sera del 29 maggio a Bruxelles, Matarrese afferma: "Nel più scalcinato stadio italiano, con il più sgangherato servizio d'ordine, tutto ciò non sarebbe successo. Alla cosiddetta riunione (in realtà una babele infernale) dove si decise che si doveva giocare - conclude Matarrese - il borgomastro disquisiva vagamente con il boccale, di birra in mano... Il capo della polizia se ne stava imbambolato a fare disegnini mentre noi allarmati gli chiedevamo come era possibile fare uscire tutto il pubblico senza ulteriori incidenti. Georges, il presidente dell'Uefa, girava per la stanza come allucinato. A giocare, però, ci teneva. Ad un certo punto siamo rimasti solo noi italiani. Gli altri sono scomparsi: tutti in tribuna a vedere la partita".

9 giugno 1985

Fonte: La Stampa

 

ARTICOLI STAMPA 9.06.1985 

Bearzot, dure polemiche sugli azzurri e i morti

di Carlo Coscia

Il ct. non ha gradito l'accostamento fatto da un giornale su una festa a cui hanno partecipato i giocatori e le bare della tragedia.

DAL NOSTRO INVIATO. MILANO - La spedizione azzurra si è sciolta l'altra sera alla Malpensa trascinandosi appresso una polemica. In aereo, mentre i giocatori dormivano aiutati da pillole varie, Bearzot ha letto i giornali italiani e si è molto arrabbiato. Eravamo già su Madrid, quasi pronti allo sbarco dopo il lungo viaggio Messico-Milano via Caracas, quando il ct. ha affrontato a muso duro la stampa. Non erano le critiche al gioco, che preoccupavano Bearzot, e neppure le valutazioni sul futuro o sui problemi legati all'altura, tutti aspetti del resto che fanno parte della vita e delle tensioni del grande carrozzone del calcio azzurro. Bearzot non ha gradito due episodi, meglio l'uso che di questi due episodi è stato fatto da alcuni giornali. Il primo riguarda una festa in casa di amici messicani. C'era anche un fotografo, sicché il giorno dopo su un quotidiano sono apparse immagini di azzurri in festa. Bearzot e Rossi a cavallo con sombrero, Conti impegnato a ballare con sfondo di mariachi, volti allegri e belle ragazze. Ma sul quotidiano, proprio accanto, è stata pubblicata la fotografia di una bara, il funerale dopo la tragedia di Bruxelles. Qualcuno ha scritto che mentre il calcio era in lutto i nostri azzurri si davano alla pazza gioia. E' stata una forzatura, a nostro avviso, e noi abbiamo deciso di tacere l'episodio proprio per rispettare l'altrui dolore. Bearzot ha detto fra i denti: "è stata una festa privata, in casa di amici che fra l'altro sono stati di recente toccati da una grande tragedia. Come potevamo portare altre brutture e lacrime in una casa che meritava serenità e dolcezza ? E’ stato un gesto di sensibilità, non di cinismo. E mi spiace che qualcuno, lui sì con cinismo, abbia strumentalizzato l'episodio". E' vero, ha ragione Bearzot, il quale ha ribadito la sua disponibilità al colloquio e alle spiegazioni, specie su argomenti che riguardano il comportamento della squadra: per dare giudizi completi, è il pensiero del tecnico, occorre avere a disposizione tutti gli elementi di valutazione. Ma i giocatori, per la verità, non è che abbiano tenuto in Messico un comportamento irreprensibile, almeno in rapporto alla tragedia di Bruxelles e al loro titolo di campioni del mondo, un ruolo che richiede sempre e comunque dignitoso professionismo. Alcuni azzurri hanno offerto buone immagini di sé, tranquilli, seri, composti davanti ai lutti del calcio. Altri invece, di cui tacciamo pietosamente il nome, hanno preferito ricordare i morti di Bruxelles seduti in tenero colloquio con ragazze troppo truccate, evidentemente convinti che la loro fama di calciatori li mettesse al riparo da ogni giudizio, pure da quello della loro coscienza, ammettendo che ne posseggano una. Bearzot si arrabbia con la stampa per la festa, ma in realtà dovrebbe ringraziarla per aver taciuto i piccoli quotidiani cinismi di una squadra che in genere, in genere ripetiamo, ha fatto molto in fretta a scrollarsi di mente i morti di Bruxelles. Il secondo episodio lamentato da Bearzot riguarda la non utilizzazione dei bianconeri contro l'Inghilterra. E qui i giornali non c'entrano, c'entrano i giornalisti. Qualcuno avrebbe riferito ai colleghi britannici che la scelta di Bearzot era politica: niente bianconeri contro gli inglesi dopo i mortali incidenti di Bruxelles. Il particolare è difficilmente documentabile, anche se Bearzot ha detto di conoscere bene il nome della "spia", la qual cosa, peraltro, presuppone una "spia" inglese e dunque l'utilizzazione dello stesso metodo da parte italiana. "Ecco che tipo di uomini avete tra voi", ha aggiunto Bearzot mettendosi la bandiera sul cappello. Eppure anche su questo episodio, per quanto riguarda i contenuti, l'arrabbiatura di Bearzot è legittima. I sospetti per la mancata utilizzazione dei bianconeri erano molti, e quasi tutti riducibili ad uno: voleva forse il tecnico azzurro crearsi un alibi a priori davanti ad una possibile sconfitta con gli inglesi, Alla domanda Bearzot ha risposto seccamente di no, giudizio ampiamente confermato dal campo. Ma nessuno aveva osato esprimere pubblicamente e con chiarezza l'ipotesi di una scelta politica, peraltro negata in mille modi da tecnico e giocatori azzurri.

9 giugno 1985

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA 9.06.1985 


www.saladellamemoriaheysel.it  Domenico Laudadio  ©  Copyrights  22.02.2009  (All rights reserved)