Poveri morti poveri
vivi
di Indro Montanelli
Ventiquattr'ore non bastano
di certo a farci digerire l'orrore delle scene di cui l'altro
ieri la televisione ci ha reso testimoni. Ma ci consentono
un ragionamento un po' più pacato. Diciamo anzitutto che
non è la prima volta che dobbiamo assistere a spettacoli
del genere, e con ogni verisimiglianza non sarà l'ultima.
Lasciamo il caso estremo della guerra - e non in senso traslato,
ma sostanziale - scoppiata per una partita di calcio fra
Honduras e Salvador. Ma d'incidenti di sangue sono pieni
gli annali di questo sport anche in Europa, specie quando
sono di scena gli inglesi. Per quale perversione questo
popolo, che inventò il fair play, cioè la regola della lealtà,
sia oggi diventato il campione della violenza, non lo so.
Ma guardiamoci dal generalizzare e dal chiedere che "Dio
stramaledica gli inglesi", come invocava Mario Appelius
buonanima negli anni di guerra. L'Inghilterra non sono i
forsennati che abbiamo visto all'opera nello stadio di Bruxelles.
L'Inghilterra sono la Thatcher, i politici, i commentatori
di stampa, radio e televisione, la gente intervistata per
strada, che hanno confessato la loro vergogna a una voce,
con una sola stecca: quella del ministro dello Sport che
con le sue dichiarazioni si è messo sullo stesso piano degli
imbestialiti. Comunque, Dio ci guardi ora dai soliti sproloqui
e dibattiti dei sociologi sui motivi di "tifo" e sui mezzi
d'impedirne gli eccessi. Non ce ne sono, se non nel controllo
che ognuno può e deve esercitare su di sé. Non credo infatti
che tutta la responsabilità dell’accaduto vada attribuita
alle carenze dell'organizzazione. Certo, ce ne sono state.
Certo, il servizio d'ordine era inadeguato. Certo, di fronte
al tumulto la polizia si è mostrata indecisa, e anche intimidita.
Ma è anche vero che nessuno, e meno di tutti i pacifici
belgi, poteva immaginare lo scoppio di un simile tornado.
E dobbiamo aggiungere che, superato il primo sgomento, le
autorità belghe hanno mostrato polso e accortezza esigendo
che la partita si svolgesse ugualmente: era l'unico modo
per dar tempo alle passioni di sbollire e per assicurare
un ordinato deflusso dallo stadio. Cerchiamo dunque di non
dare avvio a una delle solite caccie alle streghe. Non è
questo che ci chiederebbero, se potessero chiederci qualcosa,
i poveri morti di Bruxelles, innocenti vittime di una passione
che anch'essi condividevano, come dimostrava la loro presenza
su quelle gradinate. La strega non è il "tifo" che dallo
sport è inseparabile. E non siamo nemmeno noi, come vogliono
i cantautori del "siamo tutti colpevoli" che ieri giornali
e radio hanno intitolato. Perché, se di qualcosa siamo colpevoli,
è di aver sempre secondato la corruttrice e demagogica tendenza
a scaricare l'individuo di ogni responsabilità, rigettandola
regolarmente e interamente sulla società. E' la società
che ci obbliga a rubare, è la società che ci obbliga ad
uccidere. E si capisce che quando si offrono alla gente
di questi alibi, c'è sempre qualcuno che ne approfitta.
Stamane leggevo su un giornale francese un dotto articolo
in cui si spiegava che la furia dei tifosi del Liverpool
era dovuta al fatto che, essendo quasi tutti minatori, per
un anno erano rimasti senza lavoro a causa dello sciopero:
il che gli aveva fatto accumulare la rabbia che poi era
scoppiata a Bruxelles. Insomma, senza dirlo, l'articolo
induceva alla conclusione che il vero responsabile del massacro
era la signora Thatcher. Ecco in che senso siamo tutti colpevoli.
Siamo colpevoli di assolvere tutti come vittime innocenti
di una società iniqua che, a furia di essere tutti noi,
non è nessuno. E' un giuoco a cui non ci stiamo. I responsabili
di Bruxelles sappiamo chi sono: sono i delinquenti che abbiamo
visto avventarsi, prima che la partita cominciasse, e quindi
senza alcuna provocazione, contro i tifosi italiani con
sbarre e coltelli di cui erano accorsi armati, con l'evidente
intenzione di farne l'uso che ne hanno fatto. Delinquenti,
non vittime. La società non c'entra, non c'entrano le miniere.
Casomai l'alcol. Ma ne avevano ingerito per delinquere meglio.
Speriamo che la polizia li identifichi e li consegni a quella
inglese. Della quale possiamo fidarci. Stavolta noi italiani
non abbiamo niente da rimproverarci. Avremmo preferito se
i giocatori della Juve esultassero meno vistosamente per
quella vittoria tappezzata di morti (ma poi ci hanno spiegato
che ignoravano l'entità della strage). L'unica umiliazione
ce l'hanno procurata le manifestazioni di giubilo che si
sono svolte con clacson e fischietti nelle nostre città,
dove si sapeva tutto. A quei baldorianti (pochissimi per
fortuna), per digerire l'orrore, erano bastati pochi minuti.
31 maggio 1985
Fonte: il Giornale
di Gianni Brera
Povero calcio, di noi povera
gente: sport per eccellenza plebeo, proibito per secoli
in quanto a praticarlo erano gli umili, troppo spesso confusi
con i villani ! Le plebi hanno preso quota nell'ordine politico-sociale
delle nazioni e anche i loro gusti hanno finito per imporsi.
Giocò a calcio in Italia anche un principe del sangue: e
i suoi compagni erano quasi tutti nobili o grandi borghesi.
Poi si accorsero che pedatare squalificava, nel Paese guida
dello sport moderno e passarono al golf, al tennis, rimanendo
pur sempre alla scherma e all'equitazione. I pedatori furono
allora di schiatta piccolo-borghese, e belli come poteva
essere chi da qualche generazione pappava bistecca. Infine
raggiunsero il plus-calore anche i poveri del quarto e quinto
stato: e decadde la qualità ma crebbe il numero. Noi italiani
siamo a questo punto. Gli inglesi, loro hanno incominciato
a cedere un tantino nei confronti della pedata volgare.
Decaduta la boria imperiale, bisognava consolarsi dov’era
possibile. Il calcio ha preso quota allora anche presso
i non indigenti (come da poco in Svezia e Danimarca), ma
il relativo benessere del singolo cittadino ha consentito
a troppi di spostarsi nelle vesti di pseudo-turisti. Erano
spesso i fanatici a imbrancarsi: e tanto più feroci quanto
peggiori erano le condizioni economiche del loro quartiere
o della loro città. Ora la più decaduta tra le città inglesi
è proprio Liverpool. E le sue due squadre eccellono come
per una rivalsa che in altri campi non è possibile. I belgi
hanno conosciuto l'Everton l'anno scorso e pareva non avessero
altro da apprendere sui seguaci del Liverpool. Purtroppo
hanno fatto penosissima cista. Il loro Heysel, un tempo
onorevolissimo, è ormai insopportabilmente obsoleto. Ha
le due curve in terra battuta con gradini sorretti da pietre
malferme: in queste curve gli spettatori sono costretti
a stare in piedi. Ammassare oggi folte moltitudini sugli
spalti di curve senza posti a sedere significa esporsi a
rischiose calamità pubbliche. Per loro disgrazia, i belgi
hanno ottenuto dalla Uefa l'incarico di organizzare la Coppa
Campioni. Sapevano di aver a che fare con orde di inglesi
avvinazzati e feroci. Non hanno riflettuto però che gli
spiantati liverpooliani non potevano competere con i ricchi
juventini di tutta Italia, e che metà della curva destinata
agli ospiti albionici sarebbe stata accaparrata - magari
a borsa nera - dagli italiani. Così non hanno ritenuto i
belgi di dividere più efficacemente i rappresentanti di
due popoli l'uno all'altro inviso per troppi differenti
destini passati e presenti. Alla tradizionale spocchia degli
inglesi, il visibile benessere degli italiani doveva suonare
come un'offesa potente, uno sberleffo tragico della sorte:
dunque, ai più scalmanati non è parso vero di farla subito
fuori. I pochi sparuti poliziotti belgi sono stati travolti.
Gli italiani, prima sorpresi, poi atterriti, si sono ristretti
fino a soffocarsi. I vecchi spalti interrati dello Heysel
sono divenuti orrendo cimitero. Mortificati e stravolti,
i belgi hanno taciuto lì per lì la tragedia, hanno chiamato
allo Heysel tutta la polizia a disposizione nel regno: non
è bastato. La partita, che pareva giocata per tacitare i
manigoldi, si è risolta a favore della Juventus, il cui
tripudio ha un po' stupito dopo tanti decessi. Gli inglesi
di Liverpool sono tornati alle loro tane, alla loro quotidiana
mortificazione di patria. Gli italiani, fino a ieri sottovalutati
e derisi, hanno meritato la sincera comprensione di tutti.
Giorno verrà - non è affatto lontano - che il calcio perderà
i suoi satanici sapori di transfert dalla degradazione e
dalla miseria. Allora tornerà ad essere per molti quello
che è sempre stato: il gioco forse più bello di tutti. Parola
di un povero fra i tantissimi poveri di questo mondo.
31 maggio 1985
Fonte: La Repubblica
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
Una coppa da restituire
di Gianni Rocca
Da dove cominciare per
comprendere ciò che è accaduto a Bruxelles ? I dati di fatto
e le immagini televisive, col loro carico di angoscia e
di raccapriccio, si mescolano. Come si fa ad essere lucidi
e freddi di fronte alla "morte in diretta" intrecciata con
una gara di calcio ? Eppure un'analisi va tentata, uno sforzo
per riportarci alla ragione va compiuto. Ed a spingerci
alla riflessione c'è la sensazione che sentiamo diffondersi
nelle persone civili: difficilmente d'ora in poi - e chissà
per quanto tempo - si potrà fare a meno di coniugare il
gioco del calcio con l'eccidio dello stadio Heysel. Quel
dramma ci ha cambiati. Non potremo più essere quelli di
prima. E allora cominciamo. Dai tifosi inglesi, in primo
luogo. Violenze negli stadi sono segnalate da ogni parte
del mondo, Unione Sovietica compresa. Il "mal sottile" della
nostra epoca ha contagiato ogni parte del globo: dalla "civile
Europa" ai paesi del Terzo mondo. Ma se nessuno può scagliare
la prima pietra, è certo che la tifoseria inglese da molti
anni a questa parte ha assunto un triste primato. C'è, in
queste ore, chi tenta di criminalizzare un intero popolo,
quello britannico, per ciò che è accaduto. La reazione sdegnata
del governo di Londra e dei massimi responsabili contro
il teppismo sportivo del loro paese comprova la consapevolezza
della gravità del fenomeno e la precisa volontà di non coprirlo.
Bene, ma che alle parole seguano i fatti. Un paese civile
come l'Inghilterra non può restare fermo a generiche recriminazioni.
Di fronte al massacro di Bruxelles occorre un segnale ben
preciso, una riparazione verso i morti, i grandi dimenticati
della tragedia. Si proibisca ai tifosi inglesi, fino a quando
non vengano adottate tutte le garanzie necessarie, di seguire
le loro squadre all'estero. Ovunque sono stati hanno lasciato
una scia di lutti, di vandalismi, di ubriachezze di massa,
violente e moleste, uno spettacolo complessivo di inciviltà.
La signora Thatcher è conosciuta nel mondo come la "signora
di ferro". Ecco, lo dimostri, dispieghi per lo meno la stessa
energia con cui ha contrastato lo sciopero dei suoi minatori.
Proseguiamo nell'analisi chiamando in causa gli organizzatori
di quella che doveva essere una serata sportiva. Quali garanzie
hanno richiesto, quali controlli hanno esercitato i dirigenti
del calcio europeo per uno spettacolo sul quale pesava tanta
e ben conosciuta tensione ? Era Bruxelles la sede adatta
? Era quello stadio sufficientemente capiente ? Quali misure
di polizia sono state sollecitate, ben conoscendo i tristi
bilanci di precedenti manifestazioni ? O gli uomini che
dirigono l'Uefa credono che i loro compiti si esauriscano
nei sorteggi ? Non sanno, essi, che cos' è diventata, per
la posta in gioco, una finale internazionale di calcio ?
Oggi, anche i dirigenti dell'Uefa debbono rispondere di
quei morti, i grandi dimenticati della tragedia. Troppo
facile, dopo, scaricare ogni colpa sulle autorità belghe.
Che indubbiamente esistono, eccome. Chi pagherà a Bruxelles
per l'inadeguatezza delle forze di polizia, incapaci e impotenti
? Chi dovrà rispondere della mancata "strategia" nei compiti
dell'ordine pubblico, priva addirittura di quell'elementare
norma di sicurezza, ormai unanimemente accettata, che impone
la divisione "fisica" fra le due schiere di sostenitori
? E’ altamente apprezzabile la visita dei reali del Belgio
alle povere salme. Ma perché quel saluto non resti formale
e genericamente pietistico, il governo belga punisca chi
ha dato prova di così patente incapacità professionale.
E veniamo alla tifoseria italiana, duramente brutalizzata
e che ha nelle sue file il maggior numero di vittime. La
Tv ha dimostrato, in modo inoppugnabile, l'aggressione di
massa dei supporters del Liverpool. Ed a loro è giusto che
sia ascritta la responsabilità principale. Ma davvero nelle
schiere juventine non si annidavano gruppi di teppisti ?
L'avvio degli incidenti non è forse avvenuto nel primo pomeriggio
a Bruxelles, quando un tifoso della squadra inglese è stato
accoltellato a morte da un italiano ? E che dire di quei
drappelli di "fans" juventini che prima dell'inizio della
gara hanno ripetutamente bersagliato gli agenti di polizia,
sfidandoli ad una reazione più che giustificata che, per
fortuna, non c'è stata ? Possiamo dimenticare l'austriaco
accoltellato a morte a Milano, il tifoso romano ucciso da
un razzo, le infinite scene di violenza dentro e fuori i
nostri stadi, le carrozze ferroviarie e gli autobus distrutti
o saccheggiati dalle turbe dei tifosi italiani in viaggio
per la penisola ? Anche da noi il gioco del calcio è diventato,
per i miliardi investiti e per gli interessi coinvolti,
un detonatore di follie collettive. Possiamo continuare
ad attribuire tutte le colpe a sparute minoranze di facinorosi
o non dobbiamo invece porci il problema di un fenomeno degenerativo
che si sta allargando a macchia d'olio ? A Bruxelles si
è giocato per motivi di ordine pubblico - è stato detto
- perché si temeva che l'annuncio della sospensione della
gara potesse provocare altri lutti, altri scontri. Ma allora,
che senso hanno avuto le partecipate telecronache, dopo
il gol di Platini, il tripudio finale dei giocatori bianconeri,
lo sventolio delle bandiere del club, l'assordante carosello
di auto fino a tarda notte a Torino per celebrare il successo
? E tutto ciò mentre migliaia di famiglie impazzite dal
dolore cercavano per telefono di aver notizie dei loro cari
presenti a Bruxelles. Questo sdoppiamento tra il rispetto
per la morte, l'antico e profondo patrimonio di ogni cultura,
e la gioia della vittoria non testimonia forse in modo incontrovertibile
che la sfida sportiva è ormai di natura guerresca ? E’ contro
questa logica che dobbiamo insorgere. A Bruxelles si è giocata
una "finta" partita: gli atleti sono stati mandati in campo
per evitare altri drammi. Quella Coppa che ieri mattina
i calciatori della Juventus agitavano al loro rientro a
Torino è macchiata di sangue. Non può essere esposta, senza
un moto di raccapriccio, nella bacheche dei trofei di una
squadra come la Juventus, che passa per la "signora" del
calcio italiano. Anche pubblicazioni recenti hanno accreditato
la tesi di uno "stile Juventus", anzi di uno "stile Agnelli".
Rifletta il presidente di quel club, così amato e popolare,
quale lezione darebbe al mondo sportivo rinunciando al simbolo
di una vittoria carica solo di dolore. E quale lezione impartirebbe
agli inventori del "fair play" se proponesse di rigiocare
la gara, a tempo debito, in diverse condizioni, come prologo
ad un modo nuovo di fare football. Se su quelle bare allineate
a Bruxelles non c'impegneremo, ciascuno per la sua parte,
a trarre partito da ciò che è accaduto, il calcio non avrà
vita lunga. Altre violenze, altri lutti lo renderanno sempre
più sport inviso, plebeo, incivile. E non resterà che praticarlo
a stadi vuoti, davanti ai freddi occhi delle telecamere.
31 maggio 1985
Fonte: La Repubblica
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
Perché è
esplosa la pazzia di massa
di Luciano Gallino
Supponiamo che un dittatore
pazzo voglia distrarsi provocando tra i suoi sudditi l'insorgere
di comportamenti collettivi che abbiano come risultato minimo
un buon numero di morti. Il procedimento che egli dovrebbe
seguire, coadiuvato dai suoi schemi, sarebbe relativamente
semplice. Anzitutto egli dovrebbe provvedere a radunare
una folla dell'ordine di parecchie migliaia di persone,
badando però che essa sia composta da individui che si dividono
per il loro aspetto, o il loro comportamento manifesto,
o le loro credenze, in due sottogruppi ben distinti. Sarà
utile, inoltre, che uno dei due gruppi sappia, o creda,
che l'altro è piuttosto violento. Quale passo successivo,
egli dovrebbe introdurre tra la folla cosi radunata alcuni
elementi di tensione, ad esempio facendola concentrare in
uno spazio troppo ristretto per le sue dimensioni, e facendo
sì che le persone arrivino al raduno già stanche o eccitate
per altri motivi. Mentre predispone codeste condizioni per
un massacro, il dittatore in parola avrà cura che gli ordinari
mezzi di controllo sociale dei comportamenti deviati, dall'emanazione
di divieti all'intervento di uomini armati, siano pressoché
assenti in ogni momento del processo che lentamente ma sicuramente
prepara l'esplosione finale. A questo punto basterà trovare
qualcuno che attivi un evento precipitante anche modesto:
uno scambio di insulti o di pugni, l'attacco improvviso
di un piccolo gruppo organizzato in direzione della massa
disorganizzata, e il risultato seguirà con certezza infallibile.
Tra coloro che saranno colpiti direttamente dai più aggressivi,
e le vittime dei terribili movimenti d'una folla in preda
al panico, il mostruoso regista avrebbe tutti i morti che
desiderava. A Bruxelles non vi fu, pare, la regia d'un dittatore
pazzo, ma la natura e la concatenazione degli eventi è stata
esattamente quella sopra descritta. Come sempre negli sport
di squadra, la folla era ovviamente divisa in due campi,
ed era compressa in uno stadio assurdamente piccolo. Tutti
venivano da lontano, e oltre a essere stanchi erano tesi
perché nulla era stato fatto per assicurare che ciascuno
avrebbe potuto effettivamente assistere alla partita. I
tifosi inglesi sono notoriamente più violenti della media,
e gli italiani lo sapevano: quanto basta per predisporre
la folla a moti di panico. Le forze di polizia, che da almeno
48 ore avrebbero dovuto energicamente dissuadere chiunque
da comportamenti men che pacifici, per formare poi al momento
della partita un muro invalicabile tra le due tifoserie,
erano penosamente latitanti. Se tutto ciò è vero, ne seguono
tre considerazioni. La prima è che il massacro era perfettamente
prevedibile, se non nelle sue esatte dimensioni, certo nella
sua dinamica e nella sua gravità. La teoria dei comportamenti
collettivi insegna infatti da decenni che se si verificano
nella sequenza appropriata, combinandosi in modo che ciascun
evento rientri nel quadro già delimitato dai precedenti,
la probabilità di moti di folla dalle conseguenze estremamente
gravi diventa altissima. Questo significa altresì - seconda
considerazione - che parlare di follia o di bestialità dei
tifosi, o anche solo d'una parte di essi, non solo è tecnicamente
inesatto, ma non serve minimamente per trovare il modo che
simili orrori non si ripetano. Tutti i tifosi inglesi potrebbero
anche venire confinati a vita su qualche gelida isola atlantica,
ma si può giurare che, ovunque si riproducessero condizioni
analoghe nella successione giusta, eventi analoghi a quelli
di Bruxelles si ripeterebbero, pur in presenza di tifosi
di nazionalità e di stampo del tutto diverso. Infine la
ovvia prevedibilità, la meccanica impeccabile del massacro
di Bruxelles indica che le responsabilità sono molto più
ampie e distribuite di quanto non si sia detto e scritto
finora. Governatore del Brabante, capo della polizia di
Bruxelles, sindaco della città, ministro dell'Interno del
Belgio dovrebbero a fil di logica finire sotto processo;
ma accanto a loro, semmai avvenisse una cosa sì straordinaria,
vorremmo vedere anche i dirigenti sportivi che scelsero
uno stadio così miseramente inadeguato come contenitore
d'uno spettacolo carico di tensione non solo per la sua
intrinseca natura, ma perché si svolge ormai sotto gli occhi
dell'intero pianeta; i titolari delle agenzie che distribuirono
biglietti in numero eccedente i posti disponibili, né seppero
porre riparo alle contraffazioni; gli organizzatori dei
club di tifosi che si preoccupano più del sostegno fragoroso
alla propria squadra che della pelle dei loro organizzati.
Gli spettacoli di folla sono diventati troppo complessi,
troppo carichi di interessi, troppo numerosi, per lasciarne
la preparazione e il controllo a degli incapaci irresponsabili,
siano essi in basso o in alto nell'organizzazione delle
società moderne.
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
Quei giocatori juventini
usciti a placare la folla
di Oreste del Buono
Un oceano di parole si
è rovesciato sull'orrore di mercoledì sera a Bruxelles.
Le colpe del calcio, le colpe dei media, le colpe di tutti.
D'accordo, quando capita qualcosa di inammissibile le colpe
sono di tutti. O, facciamo, di quasi tutti. Cerchiamo di
salvare dall'orrore irradiato dai televisori mercoledì sera
almeno un'immagine positiva. E' l'immagine di quei giocatori
in maglia bianconera (come Cabrini, Tardelli e altri) usciti
a cercar di placare i loro tifosi venuti a Bruxelles da
tutte le parti d'Italia. Cercar di placare, ma anche cercar
di capire il meccanismo della strage, cercar di piangere
insieme. Eppure era un'impresa difficile, un'impresa da
far tremare. Anche la calca di sostenitori più devoti può
trasformarsi in una trappola, in un rischio per l'atleta
troppo amato. Ricordo un Gino Bartali in arrivo finale del
Giro d'Italia alla vecchia Arena. Aveva conservato la maglia
rosa, e sul prato i suoi facevano ressa. Rallentò con la
bicicletta, la faccia triste da italiano aggrottata, e intanto,
si contorceva un poco per recuperare il gonfieur. Con quello
intendeva proteggersi, e lo fece, dagli eccessi dell'entusiasmo.
Non è che all'atleta non faccia piacere avere sostenitori,
vorrebbe, però, non lasciarci la pelle e magari non rimetterci
neppure le costole. Ebbene, quei calciatori della Juventus
sono entrati nel cuore della folla di fede bianconera sapendo
a cosa andavano incontro. Strattonati, stretti, tirati da
una parte e dall'altra scomparivano e riapparivano, riscomparivano
di nuovo e a chi guardava nel piccolo schermo suggerivano
il timore di non vederli più. Gli animi di quegli italiani
a Bruxelles erano naturalmente esasperati. Bastoni improvvisati
da transenne abbattute e divelte fornivano di che mimare
contro-minacce e sfide, o semplicemente esprimere rancore
e disperazione a quegli inglesi a Bruxelles che non accennavano
a recuperare un minimo di lucidità dalle sbronze di birra
e violenza, e soprattutto alla polizia belga che aveva permesso
la strage. Qualcuno tra i tifosi più giovani era squassato
da crisi epilettiche e gli amici, i compagni di spedizione
lo dovevano trattenere e cullare come un neonato. La confusione
era enorme e, invece di placarsi, pareva acuirsi. Cabrini,
Tardelli e gli altri sono uomini, non potevano fare miracoli,
non sono riusciti a placare i loro sostenitori. A un certo
punto hanno dovuto desistere, ritirarsi, ma comunque, il
tentativo, lo avevano compiuto e chissà che non abbia avuto
influenza più tardi. Ecco l'immagine positiva dell'altra
sera nera che voglio ricordare mentre, ovviamente, si parla
solo di chiudere gli stadi, di far disputare le partite
senza pubblico oppure di sospendere il gioco del calcio,
anzi di abolirlo una volta per tutte. Preferisco ricordare
questa immagine invece di quella discutibile del ritorno
trionfale a Torino con la coppa. E' un'immagine che dice
che ne è passato, del tempo, da quando l'ex calciatore avvocato
Campana e gli ancora giocatori Mazzola, Rivera, Bulgarelli
fondarono il sindacato dei calciatori cercando di procurare
maggiori introiti e maggior diritti non per loro, che guadagnavano
già abbastanza, ma per i calciatori meno fortunati delle
serie minori. Allora tutti più o meno i giornali sportivi
ironizzarono sui milionari, se non addirittura, miliardari,
sindacalisti, è passato del tempo. Se allora erano pochi
calciatori che riuscivano a parlare nelle interviste, se
i più soccombevano alla timidezza, se i più si rassegnavano
a una vita gregaria e segregata, pur che gli fosse garantito
un compenso superiore a quello che avrebbero potuto ottenere
facendo gli operai, i contadini o gli impiegati, ora la
categoria si presenta diversa, molto più consapevole e molto
più responsabile. E, dunque, se in questi momenti del dopo
la strage lasciassimo parlare anche loro, lasciassimo gestire
un poco ai calciatori il problema del calcio e la nostra
società, del calcio e l'ordine pubblico, del calcio e la
violenza ? E’ un'umile proposta, ma mi pare pertinente.
Il calcio è la loro vita, e tuttavia spesso, molto spesso,
sono loro i primi a esserne vittime. Sarà un discorso confuso,
questo, ma è ispirato dalla riluttanza a concedere ancora
alla retorica, dal desiderio di sgomberare il campo di gioco
almeno dalle chiacchiere più frivole, aberranti e vanitose.
Se ho proposto una bestialità, però, come non detto.
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985
Una ripresa che resterà nella storia della televisione
Incubo in cronaca diretta
di Ugo Buzzolan
L'altra sera il pubblico
che si era messo davanti al teleschermo per assistere a
un avvenimento sportivo internazionale ha assistito invece
a uno dei più allucinanti horror di massa mai comparsi in
tv. Che ci fosse un pubblico televisivo immenso lo si sapeva.
Non occorrevano le cifre che in questi casi vengono sbandierate
dalle statistiche cosiddette di previsione, venti milioni,
venticinque o di più, sono circostanze, in cui a guardare
la partita si ritrovano anche quelli che di solito non seguono
il calcio né sul video né tanto meno dagli spalti degli
stadi, e in cui l'eccezionalità della gara con una squadra
nazionale in lizza fa sì che interi nuclei famigliari, dal
nonno ai bambini, si radunino compatti e festanti come per
la finalissima di un quiz o del festival di Sanremo. D'altronde,
per rendersi conto dell'entità della platea tv, bastava
dare un'occhiata alle strade deserte o mettere piede in
un cinema semivuoto. Ora tutto questo pubblico, dapprima
perplesso, poi allarmato, infine inorridito, ha visto passare
sul suo schermo casalingo una tragedia brutale e incredibile
raccontata minuto per minuto in un crescendo di attese sconcertanti
e di incertezze di immagini e di commento che si facevano
via via sempre più angosciose, e infine con l'urto dell'improvvisa
comunicazione ufficiale sulle vittime accolta con incredulità
e più tardi confermata da visioni terrificanti (quell'uomo
schiacciato sotto la palizzata, che chiedeva aiuto con un
groviglio di altri corpi sopra, nessuno lo cancellerà più
dalla mente); in mezzo, l'assurdo svolgimento della partita
con un intervallo dove s'accavallavano notizie drammatiche,
interviste convulse e scariche di pubblicità, (quella è
sacra e inviabile, non si tocca) e dove è comparso anche
Arbore - ed è stata una voce sensata nel caos - a dire:
"No, stasera non andremo in onda". Una cronaca al di là
di ogni immaginazione (che è proseguita lungo la giornata
di ieri nei Tg, con dettagli raccapriccianti e insistiti,
sin troppo, di morti abbandonati sul terreno, di feriti
gementi e di pozze di sangue), una cronaca dove gli spettatori
allibiti sono stati testimoni delle violenze folli dei tifosi
del Liverpool e - documentata di continuo - dell'inerzia
della polizia belga con inquadrature di agenti che passeggiavano
ai bordi del campo e si guardavano in faccia mentre poco
più in là c'era la gente calpestata e stritolata. La ripresa
dell'altra sera rimarrà come un capitolo torvo e nero anche
nella storia della tv: tre ore di incubo, tre ore di morte
in diretta.
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
"La guerra" allo stadio
Dieci poliziotti come muro
umano per dividere inglesi e italiani ! Soltanto tre medici
volontari per 50 mila presenti.
Consumata la tragedia,
si istruiscono processi. Naturalmente tardivi. Ma quando
la rabbia ha come punto di riferimento uno spaventoso bilancio
in vite umane e in feriti come quello che si è costretti
a fare in questi giorni, dopo il dramma dell'Heysel Stadium
di Bruxelles, c'è davvero da chiedersi se l'organizzazione
di spettacoli imponenti e impegnativi come una finale di
Coppa del Campioni venga affidata a enti o persone realmente
capaci e responsabili. O se al contrario, in omaggio ai
principi della equità politica e sportiva, si mandino allo
sbaraglio e in luoghi ad altissimo rischio (e in certi casi
alla morte) decine di migliaia di persone. E così, nonostante
la statistica offrisse seri motivi di preoccupazione, 15
mila tifosi inglesi - noti in tutta Europa per aver devastato
stadi e messo in subbuglio città - sono stati messi (ci
sarebbe da dire agevolati) nella condizione di dare sfogo
alla loro sanguinosa barbarie. Pochi agenti fuori dello
stadio, una decina a presidiare l'esile sbarramento in plastica
che divideva il settore italiano da quello inglese, e una
quindicina ai bordi del prato costituivano, quando i tifosi
del Liverpool hanno dato il via ai primi atti di guerriglia,
il contingente destinato a presidiare lo stadio e a impedire
incidenti. Purtroppo, la forza e la bellicosità dei supporters
del Liverpool, i quali nell'alcol hanno trovato una droga
dagli effetti devastanti, sono state di gran lunga superiori
allo spirito di sacrificio degli agenti preposti al controllo
del settore e dimostratisi completamente incapaci di arginare
le furiose cariche degli scatenati inglesi. Dal racconto
degli scampati che, quando ancora si attendeva l'inizio
della partita fra Juventus e Liverpool, si erano rifugiati
sconvolti nella tribuna stampa dello stadio di Bruxelles
offrendo le prime tremende testimonianze di quanto stava
accadendo sulla curva maledetta, abbiamo anche appreso che
i pochi agenti piazzati davanti ai supporters inglesi avevano
assistito con grande indifferenza alle prime schermaglie,
infischiandosene anche di pesanti provocazioni personali
e limitandosi a rivolgere ai teppisti, che si stavano scatenando,
pacati inviti alla calma. E' chiaro a questo punto che un
servizio così delicato era stato demandato a un corpo assolutamente
privo di preparazione oltre che fornito di un equipaggiamento
non sufficiente in caso di emergenza. Neppure la presenza
di pochi cani lupo poteva agire da deterrente in un caso
simile. Ma non basta. Gli interventi effettuati con un minimo
di energia hanno avuto effetti addirittura controproducenti
perché, contrariamente a quanto era stato annunciato nei
giorni prima della partita, nel corso dei quali le autorità
belghe avevano pomposamente annunciato rigorosi piani di
sicurezza, gli addetti all'ordine pubblico non solo non
hanno arrestato gli scalmanati ma non hanno neppure allontanato
dallo stadio i più facinorosi. Qualcuno dei teppisti, in
effetti, è stato prelevato dalle guardie, ma quasi subito
è stato restituito ai compagni dopo una semplice ramanzina.
"Con il risultato - hanno proseguito i tifosi italiani sconvolti
- di farne eroi agli occhi del loro folli compagni che si
sentivano di conseguenza tacitamente autorizzati a incrementare
le loro criminali scorrerie". Più tardi, quando la tragedia
si era praticamente consumata, sul prato erboso sono comparsi
venti poliziotti a cavallo, che però si sono limitati a
compiere innocue e, data la situazione, quasi ridicole evoluzioni,
mantenendosi comunque ben lontani dal vivo dei tumulti.
Soltanto più tardi, e cioè poco prima dell'inizio della
gara, sono affluiti rinforzi della polizia e dell'esercito,
chiamati con disperati appelli radiotelevisivi dalla capitale
e dai centri vicini. Purtroppo però a quel punto la presenza
degli agenti e dei loro cani lupo era divenuta quasi superflua.
Dello stesso, insufficiente livello, l'apparato di pronto
soccorso. Nello stadio erano presenti soltanto tre medici
volontari della Croce Rossa insieme con alcuni infermieri
il cui prodigarsi, viste le proporzioni del disastro, non
è certamente bastato a risolvere il problema. Un esempio
per tutti: uno spettatore italiano, colto da infarto vicino
a noi e aiutato alla meglio da qualche spettatore di buona
volontà, è stato visto da un medico soltanto una ventina
di minuti dopo l'attacco cardiaco, mentre la barella con
la quale è stato portato all'ospedale è giunta dopo altri
dieci minuti d'attesa. Ieri pomeriggio si è appreso che
lo sventurato è morto. Davanti allo stadio, poco prima che
la partita avesse inizio, è atterrato un elicottero della
Protezione Civile belga: avrebbe dovuto essere adibito al
trasporto in ospedale dei feriti in gravissime condizioni,
ma il velivolo è rimasto inoperoso sul piazzale fino a quando
l'incontro si era quasi concluso e cioè per oltre un'ora.
La spaventosa conseguenza di tanta superficialità e incoscienza
è stata che la tendopoli allestita dalla Croce Rossa belga
davanti all'ingresso principale dello stadio, è divenuta
più che sede di interventi di pronto soccorso, un'appendice
dell'obitorio. p. c. a.
31 maggio 1985
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
"La partita, un
atto di cinismo"
ROMA - "Far disputare Juventus-Liverpool è stata
una grande prova di cinismo. Se fosse dipeso da me, la partita
non avrebbe avuto luogo": il presidente del Consiglio Craxi
non ha usato giri di parole commentando con i giornalisti,
sull'aereo che li riportava in Italia da Mosca, la tragedia
di Bruxelles. "Ho cercato di parlare da Mosca con la Thatcher,
poi con il primo ministro belga Martens, infine con qualcuno
allo stadio Heysel dove s’era appena compiuto quel fatto
orribile: sono solo riuscito a parlare col ministro belga
degli Interni, Nothomb, ma quando il match tra Juventus
e Liverpool era già cominciato da cinque minuti. Avessi
potuto, avrei fatto sospendere la partita. Non ci sono riuscito.
Ho detto a Nothomb che l'opinione pubblica mondiale avrebbe
deplorato la sua decisione". Craxi ha indicato ragioni di
ordine morale al Ministro belga che adduceva invece quelle
di ordine pubblico. Il presidente del Consiglio aveva in
precedenza saputo da Roma che i dirigenti della Juventus
si erano dichiarati in un primo momento contrari alla disputa
della partita. Ma ormai era tardi. Di parere diametralmente
opposto a quello del capo del governo ieri si è detto il
ministro dell'Interno, Scalfaro: "Io stesso ho avuto qualche
pressione politica affinché mi adoperassi perché la partita
fosse rinviata. Però credo che la decisione di farla disputare,
anche se penosa, sia stata la più saggia: è stata presa
esclusivamente per motivi di ordine pubblico". Scalfaro,
ricordando l'organizzazione italiana di Roma-Liverpool dell'anno
scorso, ha criticato l'organizzazione e la designazione
di Bruxelles come sede della finale. Sul tema del disastro
logistico che ha preparato la tragedia sono fioccate ieri
le prese di posizione, le interrogazioni e le interpellanze
al Senato e alla Camera che come tutti gli edifici pubblici
avevano abbrunato la loro bandiera. Manifestando sdegno,
il segretario della Dc De Mita ha condannato la "totale
insufficienza e la leggerezza" dell'organizzazione. Poi,
parlando degli incidenti, ha detto: "Un teppismo ai limiti
del razzismo, una violenza che non trova alcuna giustificazione
nei contrasti sportivi". In casa dc, però, c'è anche chi
non è d'accordo con Scalfaro. Tre deputati democristiani
hanno presentato un'interrogazione per conoscere i motivi
che hanno consentito lo svolgimento della finale. I tre
sollecitano anche un provvedimento disciplinare contro il
telecronista Bruno Pizzul, che ha parlato "di giornata radiosa
per il calcio italiano". Nilde Jotti e Francesco Cossiga,
presidenti della Camera e del Senato, hanno commemorato
in mattinata e nel pomeriggio le vittime della tragica serata.
Per tutto il giorno si sono incrociate le telefonate di
cordoglio tra Re Baldovino e il presidente Pertini, che
ha ricevuto il ministro dei Trasporti e l'ambasciatore belgi
al Quirinale, latori di messaggi di cordoglio del governo.
Craxi ha ricevuto un telegramma dello stesso tenore da parte
del premier belga, Martens. Il Consiglio dei Ministri di
oggi si occuperà in apertura della tragedia di Bruxelles.
Per il Pci, il presidente dell'Arci, Serri, ha chiesto che
sia fissata la data, dopo il referendum, per una discussione
del Parlamento sulla "violenza negli stadi", e ha criticato
il modo in cui si è comportata la Rai, critica questa che
è stata ripresa da diversi altri parlamentari. Democrazia
proletaria ha chiesto alla Federcalcio di sospendere il
calcio di serie B e C, domenica prossima, in segno di lutto
e per favorire la riflessione. Ancora: il ministro socialdemocratico
Nicolazzi, reduce da Bruxelles, ha diffuso la sua testimonianza
concordando con la necessità di giocare, posizione che era
della grande maggioranza dei parlamentari che ieri pomeriggio
hanno dibattuto al Senato con il governo gli aspetti della
tragedia. "Ma se si è giocato per l'ordine pubblico", ha
detto il senatore dc d'Onofrio, "è incredibile che la Juve
non abbia poi rinunciato alla Coppa". CON UN TELEGRAMMA
AL PRESIDENTE CEI IL PAPA ESPRIME "VIVO ORRORE E CONDANNA"
ROMA - Con un telegramma inviato a suo nome dal segretario
di Stato, Casaroli, al presidente della Cei, Ballestrero,
il pontefice ha espresso il suo "vivo orrore" e la sua condanna,
per la tragedia di Bruxelles, provocata da "comportamenti
feroci e irrazionali". Giovanni Paolo II auspica che "organizzazioni
sportive, autorità competenti e strumenti di comunicazione
sociale si adoperino con concorde e tempestivo impegno per
creare una visione dello sport che sia veramente al servizio
dell'uomo". Un altro telegramma è stato inviato da Casaroli,
sempre a nome del papa, all'arcivescovo di Malines-Bruxelles:
"Il Santo Padre mi incarica di assicurarvi che egli è profondamente
colpito da una simile violenza e dalle sue conseguenze,
che egli deplora dal fondo dell'anima.
31 maggio 1985
Fonte: La Repubblica
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
Partiti
da Caselle i parenti delle vittime
"Mio marito in quell'inferno ancora non so nulla"
Ciascuna delle ventisei
persone partite stamane alle 12 da Caselle dirette a Bruxelles,
a bordo di un aereo del 31° stormo dell'Aeronautica Militare,
difficilmente potrà dimenticare questo viaggio, come porterà
per sempre il segno di quanto avvenuto mercoledì sera nello
stadio Heysel: loro non c'erano, ma i loro cari sì, e tutti
sono rimasti vittime della furia degli hooligans o schiacciati
dalla folla in preda al panico. Non tutti si sono imbarcati
con la certezza di aver perduto un parente, ma anche chi
sa di trovare il congiunto ancora in vita o addirittura
non sa ancora nulla (è il caso della moglie e della cognata
di Marco Manfredi di Moncalieri, che risulta "disperso")
è partito visibilmente con il cuore pesante. Come Carmine
Salamida e Giuseppina Locatelli, i genitori di Laura Salamida,
vent'anni spenti dalla violenza assurda dei tifosi inglesi:
"Nostra figlia è in coma profondo, non ha più ripreso conoscenza
dall'altra sera - dice il padre, mentre la madre singhiozza
sommessamente, senza riuscire a parlare. - C'è voluto parecchio
per poter sapere qualcosa di lei, sembrava svanita nel nulla,
ho dovuto smuovere mari e monti. Quelle bestie ! Praticamente
nuda, l'hanno trovata, poverina. Ma non fatemi parlare"...
Con i Salamida hanno preso posto sull'aereo, atterrato alle
11,40 a Caselle con già a bordo dieci persone (otto salite
a Roma, due a Bari), altri 14 parenti di vittime della strage
di Bruxelles. C'erano cinque congiunti di Giovacchino Landini,
il titolare cinquantenne della trattoria di via Spotorno
33 alla sua prima "trasferta" al seguito della Juventus:
la moglie Carola Bandiera, i figli Monica e Andrea, di 22
e 15 anni, stretti alla madre, che pur disperata ha trovato
la forza di parlare con i giornalisti davanti al freddo
obiettivo della televisione, rincuorata anche dal fratello
Mauro e dal cognato Angelo. E c'erano due fratelli di Domenico
Russo, l'elettricista ventiseienne di Moncalieri la cui
identità è stata definitivamente accertata ieri pomeriggio:
sui volti di Giuseppe e Giambattista Russo le tracce del
dolore, ma soprattutto della rabbia di fronte all'incredibile
motivo della morte del loro caro. "Avremmo voluto partire
subito, ma ci è stato consigliato di aspettare, di non prendere
iniziative personali perché ci avrebbero aiutato. Ora andiamo
a Bruxelles ma non sappiamo ancora se potremo riportarci
indietro i corpi, c'è ancora molta confusione, troppa" -
dicono tutti, qualcuno trattenendo a stento imprecazioni
contro i responsabili della strage, "che non sono solo quei
pazzi inglesi, sia chiaro". Giambattista Russo aggiunge,
cupo: "Io di là non mi muovo se non con il corpo di mio
fratello". A Torino salgono sull'aereo anche quattro parenti
di Barbara Lusci Margiotta, 57 anni, di Domus Nova (Cagliari):
Annamaria Margiotta, Maria Rosa Lusci, Francesco Nativo
e Giuseppe Pellegatti sono arrivati stamattina da Genova.
Non vogliono parlare, restano in disparte chiusi nel loro
dolore. Muta per il dolore Wanda De Biase: è la sorella
di Loris Messore, 27 anni, torinese di nascita ma da tempo
trasferito a Frosinone. Anche per lei la cruda certezza
di non poter far altro che fissare per l'ultima volta un
viso che non sorriderà più, il viso di un giovane partito
martedì, come tanti altri, pieno d'allegria alla prospettiva
di assistere alla "supersfida" dei campioni d'Europa. Uguale
certezza non hanno invece Rosita e Daniela Binelli, moglie
e cognata di Marco Manfredi, 40 anni, fattorino all'ospedale
di Moncalieri, dove abita con la famiglia in vicolo (omissis):
il suo nome non risulta né fra quelli dei morti né sull'elenco
dei feriti, ma il giovane non ha più dato notizia di sé.
Il timore dei parenti (la figlia diciottenne Maruska è rimasta
ad attendere a casa) è che una delle vittime non ancora
identificate sia proprio lui, ma resta viva anche la speranza
che sia ancora in vita, seppur in tali condizioni da non
poter farsi riconoscere. Marco Manfredi è partito da Torino
la sera di martedì, in pullman.
31 maggio 1985
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
Gli sportivi della città raccontano la tragica serata vissuta
nello stadio di Bruxelles.
"Ho visto morire i nostri
tifosi"
di Maurizio Alfisi
Lo ha telefonato un biellese
alla sorella - I 300 juventini stanno rientrando dal Belgio,
pare che fra loro vi sia qualche ferito - Ansia per un gruppo
partito da Sala e da Torrazzo - Ore di angoscia nella scorsa
notte.
BIELLA - Erano più di 300
i biellesi a Bruxelles per la finale della Coppa dei Campioni
tra Juventus e Liverpool, e fortunatamente sembra che tra
di loro ci sia soltanto qualche ferito leggero. Le notizie
che arrivano in città per il momento sono ancora frammentarie,
in quanto ieri mattina, dopo la drammatica notte di Bruxelles,
erano rientrate solo le avanguardie, una ventina di persone
con i voli charter. Il grosso era atteso nella notte o nelle
prime ore della giornata. Per i parenti dei tifosi biellesi
è stata quindi una giornata lunghissima, interminabile,
angosciosa, iniziata alle 20 di mercoledì, quando la televisione
ha mostrato le prime immagini degli incidenti allo stadio
Heysel. La gente è rimasta come paralizzata davanti al televisore,
chiedendosi che cosa fare per sapere qualcosa dei loro cari,
mentre molti tifosi rimasti a casa incominciavano a manifestare
il loro sdegno per quanto stava accadendo. La prima telefonata
in redazione è giunta verso le 21.30. Una voce concitata
ha urlato: "La Uefa è una pena". Poi quando sono iniziate
a trapelare le notizie sul numero dei morti è stato un susseguirsi
di telefonate e anche di prime testimonianze. A Candelo
abita Giuseppina Aliprandi, 37 anni, originaria di Tradate
in provincia di Varese. Suo fratello Dino, 43 anni, era
a Bruxelles con una comitiva di lombardi, su quella maledetta
curva "Z", e ha visto morire gli italiani. Racconta la donna,
titolare di un notissimo centro di abbigliamento: "Ero ancora
in negozio quando sono venuti a chiamarmi, per avvisarmi
di quanto stava capitando a Bruxelles. Quando ho visto le
immagini alla tv mi sono sentita raggelare. Per fortuna
mio fratello Dino ha telefonato verso le 21. Era sotto choc,
non era ferito, e voleva tranquillizzarci. Ha detto poche
parole, poi ha dovuto riattaccare per lasciare la linea
ad altri italiani che dovevano telefonare. Ha richiamato
poi verso le 23 e ci ha raccontato qualcosa. Era vicino
ad un suo amico di Varese in mezzo ad altri tifosi juventini
quando si sono visti piombare addosso la marea dei reds
del Liverpool. Erano tutti giovani, ubriachi". Dice ancora
la signora Aliprandi: "Mio fratello ci ha raccontato che
stavano retrocedendo verso il muro, quando questo ha ceduto
e il suo amico è stato travolto. Lui gli è rimasto accanto
in mezzo alle vittime fino all'ultimo, poi quando si è reso
conto che era morto e che stava rischiando anche lui di
fare la stessa fine, è riuscito a farsi largo, a scavalcare
la rete di recinzione e a mettersi in salvo in mezzo al
campo di gioco". Dino Aliprandi, sconvolto, non ha più seguito
la partita, ma ha lasciato lo stadio per andare a vegliare
i morti che incominciavano ad essere portati in un'improvvisata
camera ardente. Non ha visto la partita nemmeno Piero Mercandino,
27 anni, di Tollegno. Il giovane con un gruppetto di altri
biellesi aveva raggiunto Bruxelles con un volo charter,
ed è stato quindi uno dei primi a rientrare a Biella. A
casa è la madre, Regina Lorenzoni, che risponde al telefono:
"Mio figlio è ancora sotto choc, non ha voglia di parlare
di quanto ha visto. Neanche a noi ha detto molto. So solo
che le cose si stavano mettendo male ed è riuscito a scavalcare
il muretto, che poi è crollato, e si è rifugiato all'aeroporto".
Marco Debernardi, dirigente della locale squadra della Biellese,
era nella tribuna vicina alla curva "Z". Al suo rientro
racconta: "Ho girato molti stadi, ma quello che ho visto
a Bruxelles mi ha fatto venire la nausea. Questi inglesi
era tutto il giorno che imperversavano. Li si vedeva per
la strada ubriachi fradici. Avevano già rotto vetrine e
scatenato varie zuffe". Prosegue Debernardi: "Allo stadio,
quando sono arrivato verso le 18.30, lanciavano lattine
di birra piene, pietre. Cose da delinquenti. Verso le 20
ho visto nella tribuna dove c'erano gli italiani e gli inglesi
un ondeggiamento pauroso. La gente correva tutta da una
parte sotto la carica dei "reds" ed è finita tutta una sopra
l'altra. L'agenzia della Dinotours, la società di trasporti
che aveva organizzato i viaggi dei club bianconeri, è stata
subissata di richieste di informazioni. Dice una delle impiegate,
Graziella Gamberini: "Avevamo fuori quattro autobus. Uno,
con il nostro titolare Giorgio Piccone, era partito da Cigliano.
Gli altri erano di una comitiva di Coggiola in Valsessera,
uno dei "fedelissimi bianconeri" e l'ultimo per il Juventus
Club di Biella. Stanno rientrando tutti e sembra che non
abbiano avuto danni di rilievo". Diversa la situazione in
vari centri della Serra. Da Sala e da Torrazzo sono andate
via diverse comitive. Di tre giovani, Renzo Bersano, Massimo
Cesale Ros e Giorgio Cossavella, che avevano raggiunto Bruxelles
con i pullman del club di Torino, ieri sera non c'erano
ancora notizie precise. A casa Cossavella dicono: "Abbiamo
telefonato invano ai numeri telefonici che indicava la televisione.
Ma è stato impossibile ottenere la comunicazione. Le linee
dovevano essere state prese d'assalto, ed erano a dir poco
intasate. Potete quindi immaginare la nostra ansia, anche
se da Torino hanno cercato di tranquillizzarci dicendoci
che stavano rientrando tutti sani e salvi. Ma fino a quando
non saranno a casa non starò tranquilla". Sta rientrando
anche una comitiva di privati composta da Roberto Verdola,
Giovanni Atesina, Carletto e Mauro Menaldo, Marco Finotto,
Bruno Giansetti, Franck Chiarini e Marco Zanetto. Dice Serena
Atesina: "Per me qualcuno di loro è ferito. Abbiamo potuto
parlare solo con degli amici a Parigi che sono stati troppo
evasivi sulle loro condizioni di salute. Speriamo che tornino
presto".
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
Erano circa 250 i vercellesi nella tragica serata di Bruxelles
Parlano i "reduci dell'Heysel"
di Daniele Cabras
"Gli inglesi avevano accette,
martelli e coltelli" - "C'erano almeno diecimila persone
in più rispetto ai posti disponibili" - Due coniugi: "Ce
ne siamo andati dallo stadio subito dopo gli incidenti"
- "Mai più a una partita con gli inglesi" - Dure critiche
al servizio d'ordine della polizia belga - I pullman sono
rientrati ieri pomeriggio.
VERCELLI - Per i parenti
dei tifosi vercellesi che hanno seguito la Juventus in trasferta
(circa 250 persone) quella di mercoledì è stata la notte
della paura. Dopo le tragiche immagini apparse alla tv durante
le trasmissioni in diretta si sono precipitati al telefono
per avere notizie dei loro cari. La prima rassicurante telefonata
dal Belgio è giunta al bar del Villaggio Concordia, in via
Martiri del Kiwù: l'ha ricevuta Giuseppina Vincenzi che
gestisce il locale. Il marito Sergio, autista di uno dei
torpedoni che hanno lasciato la città per Bruxelles, le
ha detto: "Va tutto bene, non preoccuparti. Tra noi non
ci sono morti o feriti". La signora Vincenzi, che aveva
i numeri di telefono di chi è partito, ha chiamato i parenti
per avvertirli. La tensione si è allentata, ma la preoccupazione
è rimasta. Poi l'incubo è finito: il primo a tornare è stato
il pullman organizzato dal Bar Borsa, in piazza Zumaglini
i tifosi sono stati attorniati dalla gente; si sono formati
capannelli di persone ansiose di sapere che cosa era avvenuto
nello stadio della morte. E' scattata la molla dello sdegno:
tutti hanno accusato il servizio d'ordine, le strutture
precarie del campo sportivo, la tifoseria inglese". Bisogna
farla finita. Noi dei club juventini siamo disgustati per
il comportamento di certi tifosi. Gli italiani ? Certo,
alla fine qualcuno dei nostri connazionali ha reagito, ma
è stata più che altro la disperazione". Chi parla è Giuseppe
Biagioni. Gli è accanto il fratello maggiore, Sergio. La
voce si fa rauca, l'espressione del viso tradisce la tensione
accumulata nelle ultime ore: "Abbiamo visto gli inglesi
attaccarci, brandendo martelli, accette, coltelli. Poi il
dramma: la rete metallica sfondata, la gente calpestata
dall'orda selvaggia". Tra i vercellesi c'è chi si è rifiutato
di vedere tanto orrore. E' il caso dei coniugi Rosso, Bruno
e Maria Teresa: "Alle 18 nello stadio si sono verificati
i primi episodi di intolleranza, degenerati poi nella strage.
Ci siamo guardati e, senza dir altro, ci siamo alzati. A
fatica abbiamo lasciato il campo sportivo. E' stata una
felice decisione". Massimo Principe deplora l'organizzazione
dell'incontro: "I posti disponibili nello stadio sono 50
mila, ma sulle gradinate c'erano almeno 10 mila persone
in più: ho sentito voci secondo cui molti biglietti erano
falsi". Ieri mattina, in aereo, sono giunti da Bruxelles
Giovanni Averone ed Elsa Teco, di Cigliano, che hanno seguito
la squadra bianconera con un gruppo formato da una trentina
di persone. Il loro racconto è quello degli altri tifosi:
"L'assenza delle forze dell'ordine è ingiustificabile: i
pochi agenti che presidiavano lo stadio erano incapaci di
affrontare la situazione". La paura è finita. Molti tifosi
vercellesi giurano: "Non andremo più in uno stadio ad assistere
a partite con gli inglesi". A Crescentino la prima chiamata
rassicurante è arrivata a Pietro Finotti, uno dei responsabili
del Juventus club: "Alle 3 di notte i tifosi che erano partiti
con il nostro pullman ci hanno avvertiti che stavano tutti
bene e che avrebbero pernottato in un albergo di Lille.
Ho subito avvisato tutti i parenti".
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
In quattrocento, volti tirati, qualche contuso e ferito
Incontro con i tifosi a Domodossola sul primo treno
che tornava in Italia
di Adriano Velli
DOMODOSSOLA - Stazione
Internazionale di Domodossola, ore 14.45 di giovedì: arriva
sul secondo binario un treno speciale con quattrocento tifosi
juventini reduci dall'inferno di Bruxelles. Avrebbe dovuto
essere un ritorno festoso per tutti. E' stato invece un
viaggio mesto e angoscioso, dopo l’avventura allucinante
trascorsa allo stadio Heysel. In tutti gli scompartimenti,
facce tirate, gente visibilmente provata dalla tremenda
esperienza che ha solo una gran voglia di esprimere la propria
rabbia per una tragedia assurda. C'è chi ha visto la morte
da vicino. Racconta Renzo Tibiletti che abita in un piccolo
centro vicino a Milano: "Ero nella curva della morte. Gli
inglesi hanno cominciato a bersagliarci con una fitta sassaiola
che è andata avanti per almeno venti minuti senza che nessuno
intervenisse. Non c'era l'ombra di un poliziotto. Poi hanno
organizzato una vera e propria carica, sfondando la rete
di protezione: è successo il finimondo. Mi sono trovato
in un groviglio di corpi: sotto di me c'erano alcuni morti,
non so neppure come sono riuscito ad alzarmi e a mettermi
in salvo". Giovanni Ferdani, di Milano: "Ero appoggiato
al parapetto che è crollato sotto la pressione della folla.
Quando ha ceduto, qualcuno mi ha afferrato e trascinato
via, non so a chi devo la vita". Fabio Tassan, milanese,
è uno dei pochi feriti leggeri che viaggiano sul treno.
Ha il naso bendato, ferite sulla guancia e sulla fronte.
"Mi sono visto precipitare addosso un'orda scatenata, ho
perso subito conoscenza, mi sono risvegliato in ospedale".
Sul convoglio, organizzato da una nota agenzia milanese,
ci sono sportivi di tutti i centri della Lombardia, qualche
piemontese, piccoli gruppi di ogni parte d'Italia che si
sono aggregati al viaggio. Tutti ci chiedono di parlare
della scandalosa inefficienza del servizio d'ordine allo
stadio: "La polizia caricava noi perché aveva paura degli
inglesi che giravano indisturbati con spranghe di ferro
e seminavano il terrore. Alcuni erano addirittura armati.
Si sono viste cose inaudite". Aggiunge un tifoso che da
anni segue la Juventus nelle gare di Coppa: "Anche a Basilea
era caduta una recinzione che separava le opposte tifoserie.
Ma la polizia è intervenuta subito ed energicamente, non
è successo nulla". Ad attendere il treno dei supporter juventini
c'era un commissario della Polfer di Milano con una decina
di agenti, oltre a quelli del settore di frontiera". Abbiamo
organizzato un servizio di scorta sul tratto italiano -
ha detto il funzionario - esclusivamente per garantire ogni
forma di assistenza a chi ne avesse bisogno, non certo per
questioni di sicurezza". Per gli agenti della polizia ferroviaria,
ci sono state subito manifestazioni di simpatia.
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
La notte
d'angoscia in attesa di notizie
di Liliano Laurenzi
NOVARA - Ecco la cronaca
della serata, cosi come è stata vissuta a Novara. Alle 20
le strade appaiono deserte. Tutti sono incollati al televisore.
Quando avviene il primo collegamento il dramma è già accaduto
e si intuisce tutta la gravità nello scambio di parole che
avviene tra Pizzul e il commentatore italiano. Pizzul parla
di morti e feriti senza poter quantificare: afferma che
non è in grado di effettuare una telecronaca "normale" dopo
che lo sport è stato assassinato. Le prime scene mostrano
uno squarcio di tribuna completamente devastato e presidiato
ancora da un gruppetto di tifosi mascherati in lotta con
i poliziotti locali armati di elmetto e scudi protettivi.
Da quel momento incomincia l'incubo per circa 300 famiglie
novaresi che hanno figli, mariti e parenti sugli spalti
dell'Heysel. Le prime telefonate si incrociano. I familiari
dei tifosi presenti a Bruxelles vogliono sapere qualcosa,
avere qualche informazione che in parte li rassicuri. Platini,
Rossi, Tardelli, non interessano più e tutti fanno la "conta"
degli amici che si trovano sugli spalti arrossati dal sangue,
circa 300 partiti con i pullman organizzati dal "Club Juventus",
aerei ed auto private. I bar e i ritrovi sportivi si trasformano
via via in centri di angosciosa attesa, mentre sugli schermi
televisivi quella che doveva essere la "sfida" per stabilire
la squadra campione d'Europa continuava senza interesse
anche quando Platini realizza su rigore il gol vincente
della serata. Quando l'incontro si conclude in città non
mancano i festanti "caroselli": auto e motociclette con
i drappi bianconeri per oltre un'ora hanno, bisogna dirlo,
rovinato il silenzio della snervante attesa di notizie.
Qualcuno grida, a quanti stanno festeggiando, che non è
il caso di gioire davanti alle scene che stanno apparendo
sui teleschermi. Proprio in quel momento, infatti, vengono
mandate in onda le immagini strazianti della mortale carica.
Ed a questo punto l'attesa di notizie da parte delle 300
famiglie novaresi si fa ancor più spasmodica. E' stato Peppino
Molina, l'ex allenatore del Novara Calcio, verso mezzanotte,
a portare la prima negativa esperienza personale: suo figlio
Roberto, 32 anni, è tra i feriti. Si trovava in compagnia
di tre amici, tutti di Novara tra cui Mario Spanu, quando
è stato travolto dall'ondata di corpi degli altri tifosi.
Molina è ancora teso e visibilmente toccato da questa brutta
esperienza. Agli amici riferisce la breve telefonata fattagli
dal figlio. Dice: "Ho perso tre anni di vita in attesa di
notizie dopo che una prima telefonata mi aveva avvisato
che Roberto si trovava tra i feriti. Quando ho potuto parlare
con lui ho appreso che due del gruppo erano dati per scomparsi
e vi lascio immaginare quel che ho provato". Altre notizie
si accavallano nella notte, quasi tutte per fortuna, non
allarmanti. Nello stadio si trova anche il consigliere comunale
Bruno Galli, del gruppo comunista, che si salva pur trovandosi
nella zona della mischia. Dopo un'attesa di tre ore ha telefonato
a casa per rassicurare la moglie. Era fuggito fuori dallo
stadio rifugiandosi in un caffè senza più interessarsi della
partita. Al telefono ha detto: "Una terribile esperienza
che mi ha fatto riflettere su molte cose". Quando ieri mattina
le notizie sono state ufficializzate la tensione invece
di placarsi è andata aumentando. I primi, rientrati in aereo,
aggiungevano molti particolari a quei pochi spezzoni visti
in televisione. Il grosso dei tifosi novaresi arriverà però
in pullman, senza l'aria festosa che era in programma in
caso di vittoria. Le scene avvenute in quell'angolo dello
stadio dell'Heysel rimarranno nella loro memoria per sempre,
anche se tutti non erano alla prima esperienza in fatto
di disordini ed incidenti vari negli stadi calcistici.
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
Tante testimonianze
del dramma
Albenga: "Eravamo in quella gradinata"
di Giuseppe Morchio
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
ALBENGA - Centinaia di tifosi juventini erano partiti dal
ponente savonese diretti a Bruxelles per la finale della
Coppa dei Campioni con ogni mezzo: pullman, treno, aereo,
auto. Sono rientrati a partire da ieri mattina ancora inorriditi
per la terribile esperienza di cui sono stati spettatori
e in qualche caso protagonisti. Nessuno ha subito gravi
ferite nell'inferno dell'Heysel, ma molti sono contusi e
recano i segni della guerriglia divampata sugli spalti.
Lo Juventus Alassio aveva organizzato un pullman con 60
posti ed ha raccolto tifosi a Diano Marina, Laigueglia,
Alassio, Albenga, Ceriate, Loano. Altri sostenitori bianconeri
si sono associati a comitive in partenza da Genova, altri
ancora da Torino. Tutti sono riusciti in qualche modo ad
avvertire le famiglie di essere salvi, anche quei pochi
che hanno avuto la disavventura di essere coinvolti nello
scontro coi supporters inglesi. Tra i primi a rientrare
a casa da Bruxelles, ieri mattina, verso mezzogiorno, con
un volo charter diretto a Genova, Massimo De Martini e Moreno
Dentella. Massimo ha raccontato: "Ho subito lievi escoriazioni
ad un braccio e ad una mano, sono stato medicato allo stadio.
Mi sono trovato nel punto più pericoloso della gradinata,
ove è avvenuta la tragedia. La polizia non ci lasciava scendere
sul campo, gli inglesi avanzavano con coltelli e cocci di
bottiglia. Sono riuscito in qualche modo a fuggire e a raggiungere
direttamente l'aeroporto". I familiari di Anton Moreno,
di Albenga, uno dei leader del tifo bianconero della zona,
hanno detto: "è riuscito a telefonare alle 22.30. Aveva
lasciato quasi subito la tribuna". Con una caviglia gonfia
è rientrato ieri sera a Laigueglia, dopo il ritorno attraverso
Francia e Svizzera, Giampaolo Ceriotti; erano con lui, tra
gli altri, Luca Savoini e Francesco Pietrantonio. I genitori
di Giampaolo riferiscono: "Eravamo disperati. Per avvertirci
hanno però dovuto portarsi in Francia perché le linee telefoniche
del Belgio erano bloccate".
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
Diano Marina, davanti alla
tv lunga attesa per duecento
di Fulvio Damele
NOSTRO SERVIZIO IMPERIA
- "Hanno appena telefonato in sede. I nostri stanno tutti
bene. Raccontano scene terribili", con queste parole Giuseppe
Tarable, presidente dello Juventus club di Diano Marina
ha interrotto il pesante silenzio in cui si seguivano le
immagini del collegamento diretto. Tra le circa 200 persone
che attonite stavano assistendo alla trasmissione nella
sala video di Bar Marabotto, quasi tutti avevano un amico
o parente a Bruxelles. Un ultimo terribile interrogativo
per i tifosi partiti in auto, una domanda rimasta senza
risposta per buona parte della nottata. A Diano Marina la
tragedia di Bruxelles è stata seguita, drammaticamente,
attimo dopo attimo: la sede del Juventus club aveva fatto
da centro di coordinamento dell'esodo bianconero in Belgio
dei tifosi di Imperia, Andora, Arma di Taggia e in parte
di Alassio. Spiega Tarable: "Non sapevamo cosa rispondere
alle decine di famigliari e amici che chiedevano notizie.
Buona parte dei tifosi che si era appoggiata al nostro club
aveva biglietti per i settori M, N, O nella curva riservata
alla Juve e opposta a quella degli incidenti, ma c'era anche
un'altra certezza: anche fra coloro che viaggiavano sul
nostro pullman, chi non aveva trovato i biglietti messi
a disposizione dallo Juventus Club, ne aveva acquistato
altri nella curva dove si trovavano gli inglesi, in particolare
proprio nel settore Z". Da Moulhouse, in Francia, dove la
comitiva dello Juventus Club "Dea Diana" si era fermata
hanno telefonato in redazione molti tifosi: "Ho visto la
morte in faccia, ero a meno di cinque metri da dove è successa
la disgrazia". "Sono stato travolto e quando ho provato
a rialzarmi mi sono reso conto che a bloccarmi a terra era
il corpo di una persona esanime", "Sono caduto, mi è venuto
sopra un giovane ferito, mi sono rialzato in un bagno di
sangue", "Tutto è iniziato per qualche bandiera: un tifoso
inglese è venuto a strapparcele. Nessuno ha reagito e allora
hanno dato il via all'assalto", "Non riesco a pensarci:
centinaia di persone, giovani donne, bambini, una sull'altra,
investiti da lanci d'oggetti d'ogni tipo. Urla disperate,
sangue dappertutto". A rimanere leggermente ferito sugli
spalti dello "Stade du Heysel" è stato anche un giovane
di Costa D'Oneglia, nell'entroterra di Imperia. Si tratta
di Luca D'Amore, 21 anni, studente. Racconta la madre Marisa:
"Adesso sta bene, gli ho parlato. E' rimasto schiacciato
dalla calca. Semisvenuto lo hanno portato all'ospedale e
sottoposto ad una lunga serie di esami". Col ragazzo si
trovavano lo zio Mimmo Garibaldi, 38 anni ed un amico Marco
Berto.
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
di Massimo Numa
NOSTRO SERVIZIO. SAVONA
- Il terrore di Bruxelles ha coinvolto anche molte famiglie
savonesi: tanti erano partiti alla volta dello stadio Heysel
per assistere alla partita. Quando le immagini della diretta
televisiva hanno mostrato la furia devastatrice degli inglesi,
e la morte di decine di spettatori, sono cominciate l'ansia
e la paura. Alcuni hanno telefonato alla prefettura, perché
le linee messe a disposizione dalla Farnesina erano sempre
occupate. Ma neanche i funzionari sono riusciti a calmare
madri, padri e mogli degli sportivi ancora in Belgio. Nella
notte sono arrivate le prime telefonate degli scampati.
Il caso più drammatico è quello di Aldo Scalise, 32, anni,
piazzale Moroni, panettiere, sposato e padre di tre figli:
Celestina 3 anni, Agostino 11 e Angelo 9. E' riuscito a
mettersi in contatto con il padre e il fratello. L'uomo
appare nella foto, diffusa ieri dalla Reuter e pubblicata
da tutti i quotidiani, del momento più drammatico della
tragedia. Dietro di lui la marea di folla sta per precipitare
nel vuoto sospinta da una folla. Ha raccontato al padre
e al fratello: "Ho visto una decina di cadaveri, una massa
informe di corpi sotto di me. Sono salvo per miracolo. La
folla spingeva sempre più forte, era impossibile allontanarsi".
Il padre, Agostino, è ancora sotto choc, così come il fratello
e gli amici che lo hanno riconosciuto ieri mattina, proprio
dalla foto comparsa sui giornali. Altre testimonianze. Quella
di Paolo Ferro di Millesimo: "Insieme ad un amico, Maurizio
Ferrecchi, siamo partiti in auto per Bruxelles. Abbiamo
raggiunto di buon'ora lo stadio. Alle 18,15 si è iniziata
una partita fra ragazzini. E gli incidenti sono avvenuti
proprio allora. Eravamo in un settore vicino a quello della
morte. Abbiamo visto gli inglesi lanciare bottiglie, colpire
con spranghe, divellere le reti. E la polizia stava a guardare.
Quando i tifosi del Liverpool hanno caricato gli italiani,
non s'è capito più nulla". Angela Corbellino, moglie di
Franco Traverso, ex presidente del Juventus Club Torino,
sede di Savona, è rientrata ieri mattina in aereo. Ha ricordi
poco nitidi della tragedia. Era in una parte dello stadio
risparmiata dagli incidenti. Sintomatica la descrizione
delle ore che hanno preceduto i fatti: "Alla mattina, per
le vie di Bruxelles, abbiamo incontrato insieme ad altri
juventini, i tifosi del Liverpool. Ci sono stati scambi
di bandiere e berretti. Erano calmi. Portavano con se cassette
di birra, l'unico fatto che mi ha colpito".
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
Il drammatico racconto di due tifosi salvi per miracolo
Il volto livido della morte in quella curva maledetta
CUNEO - Erano nella curva
maledetta, hanno visto la morte in faccia. Guido Girando
e Sergio Nasi, tifosi cuneesi, hanno rischiato la vita nell'inferno
dell'Heysel di Bruxelles. Ora sono ricoverati, in osservazione,
nel reparto di neurochirurgia 2 dell'ospedale Santa Croce
di Cuneo: le loro condizioni, comunque, non sono preoccupanti.
Per Guido Giraudo, 25 anni, contitolare della tipografia
Saste, di via (omissis), abitante in via (omissis), il referto
medico riporta "trauma multiplo al torace e all'addome":
guarirà in quindici giorni. Sergio Nasi, anch'egli di 25
anni, abitante a Borgo San Dalmazzo in via (omissis), è
ancora in osservazione, ma neppure le sue condizioni preoccupano.
Nessuno dei due se la sente di raccontare la brutta avventura,
di ricostruire quei terribili momenti, trascorsi in balia
di una folla impazzita e inferocita. Ne parla, riferendo
ciò che ha sentito dal congiunto, il fratello di Guido Giraudo.
Erano partiti nel primo pomeriggio di mercoledì, con un
volo speciale, dall'aeroporto di Torino Caselle. Avevano
fatto una lunga e snervante coda davanti all'unico ingresso
dello stadio di Bruxelles. Poi, finalmente, erano riusciti
ad entrare, avevano trovato un posto a ridosso della curva
"Z", occupata dai tifosi del Liverpool. Racconta il fratello
di Giraudo: "Che l'atmosfera fosse surriscaldata se ne sono
accorti quasi subito: gli inglesi insultavano e lanciavano
sassi, come dei pazzi". Hanno cercato di allontanarsi dalla
fragile rete di protezione che li separava dai "reds" mentre
gli inglesi apparivano impazziti, si avventavano contro
i tifosi italiani. Sotto la pressione della folla crolla
un muro: Sergio Nasi riesce a scavalcarlo in tempo e a mettersi
al sicuro, pur riportando delle contusioni; Guido Giraudo,
invece, resta imprigionato tra la folla e le macerie, invoca
aiuto. "Ci ha detto che lo ha salvato un fotografo, forse
un giornalista, non di certo un poliziotto: dei gendarmi
belgi non c'era l'ombra" continua il fratello. Soccorso,
è stato medicato e fasciato nel campo ospedale allestito
all'esterno dello stadio. Poi la corsa all'aeroporto e il
ritorno, ieri mattina, a casa, ancora frastornati e increduli
di fronte a quanto è successo. P.P.L
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
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ITALIA 31.05.1985
Boniperti:
"La partita non l'ho vista"
"Bisogna vietare ai tifosi inglesi di uscire dall'isola".
"Organizzazione disastrosa, eppure a Bruxelles c'erano già
stati incidenti".
TORINO - "Ho negli occhi
i corpi martoriati di padre e figlio, coperti con una bandiera
bianconera, una scena straziante, una delle tante, uno spettacolo
orrendo, mai vista una cosa simile". Sono parole di Giampiero
Boniperti. E' triste. Prima di lasciare Bruxelles, il presidente
della Juventus, insieme con il vicepresidente avvocato Chiusano
s'era recato in ospedale a trovare i duecento feriti: "Sembrava
un campo di battaglia, nessuno dimenticherà questa immane
tragedia, il dolore e lo choc sono troppo grandi. Siamo
moralmente distrutti. Cosa potevamo fare noi per evitarla
? Da quindici anni, da quando sono presidente, era mai successo
nulla del genere". Non ha visto neppure un minuto, della
partita, impegnato com'era negli spogliatoi e in tribuna
d'onore a far fronte ad una situazione che assumeva proporzioni
troppo grandi, con un bilancio di vite umane pesantissimo,
che faceva passare in secondo piano tutto il resto. Prima
con i giornalisti e poi intervistato da Platini in tv, Boniperti
ha affrontato le atrocità della "guerra" di Bruxelles: "Non
volevamo giocare per ovvie ragioni - ripete - ma il presidente
dell'Uefa, George, ci ha costretto ed abbiamo vinto. Dedichiamo,
abbracciandoli, ai nostri tifosi che piangono i loro morti,
agli altri che sono costernati, questa Coppa più ambita
e, purtroppo, macchiata di sangue". Dopo il messaggio, Boniperti
lancia accuse all'organizzazione: "Vanno presi provvedimenti.
Dentro e attorno lo stadio Heysel non c'era un adeguato
servizio d'ordine, malgrado tutti fossero a conoscenza del
tifo turbolento degli inglesi che già due anni fa, in occasione
di Anderlecht-Tottenham disputatasi sullo stesso campo,
avevano provocato gravi incidenti. Quelli di Liverpool sono
i più pazzi, autentici "animals". Sono i principali colpevoli.
Per un po' di tempo dovrebbero loro inibire di lasciare
l'isola. Per certe competizioni è ormai necessario mobilitare
un esercito e giocare magari in Unione Sovietica". In Supercoppa
(e forse in Coppa del Campioni) la Juventus dovrà affrontare
l'Everton, l'altra squadra di Liverpool neo campione d'Inghilterra
e vincitrice della Coppa delle Coppe. Platini dice che a
Montecarlo, la sede designata, non vogliono i tifosi d'oltre
Manica. Il premier Margaret Thatcher vorrebbe addirittura
escludere le squadre inglesi dalle competizioni internazionali.
Una questione delicata. Si dovrà, dunque, giocare a porte
chiuse ? "E’ presto per porci il problema - risponde Boniperti
- ma i teppisti vanno isolati. Se abbiamo giocato a Bruxelles
è solo per riparare agli errori monumentali commessi dalla
gendarmeria belga". — In uno stadio più grande la tragedia
poteva essere evitata ? "Sarebbe accaduta la stessa cosa
senza l'ausilio della forza pubblica. C'è stata troppa leggerezza.
Solo dopo gli incidenti sono arrivati duemila poliziotti".
— Una Coppa tanto attesa, pagata a caro prezzo... "La partita
ha avuto storia a sé e la vittoria è molto importante per
noi e per i nostri tifosi. L'esultanza finale voleva essere
un saluto a quelli venuti sino a Bruxelles e, pur nel dolore,
un omaggio al caduti". b. b.
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
Così
furono venduti i biglietti della morte
di Angelo Conti
Speculazione e bagarinaggio
hanno messo in circolazione i biglietti del settore Z.
Cento biglietti del "settore
Z" dello stadio Heysel, teatro degli scontri, erano finiti
a Torino. Lo aveva spiegato a "La Stampa", non nascondendo
le sue preoccupazioni, un bagarino napoletano, in azione
martedì davanti alla sede della Juventus, in Galleria San
Federico. "Stanno succedendo cose incredibili - aveva raccontato
a un cronista - perché saltano fuori biglietti sospetti
che noi del mestiere non vogliamo comprare, ma che altri
hanno acquistato a cuor leggero. Alcuni sono falsi: basta
prenderli in mano e confrontarli con gli originali per scoprire
che la carta è diversa. Si corre il rischio a Bruxelles
di restare fuori o di entrare in zone sature per l'eccessivo
numero di tagliandi venduti". La preoccupazione maggiore
veniva dai biglietti del "settore Z": "Da alcuni giorni
sono in vendita anche a Torino e sono sicuramente autentici.
Personalmente non ne ho comperati perché non voglio bidonare
i miei clienti mandandoli a rischiare in un settore affollato
dagli inglesi. Il "settore" era stato assegnato al Liverpool,
è ben strano che i biglietti siano finiti a Torino: qualcuno
deve averne acquistati a Bruxelles e, a cuor leggero, li
ha spediti in Italia per rivenderli a prezzi cinque-sei
volte superiori. Fra gli acquirenti mi risulta ci siano
agenzie di viaggio e addirittura qualche Juventus club".
"E’ una testimonianza che ora, a dramma avvenuto, assume
un peso schiacciante: Giovacchino Landini aveva acquistato
un biglietto del "settore Z" allo Juventus club di via Bogino,
pagandolo al prezzo dei bagarini. La tragedia poteva essere
evitata proprio vendendo con maggior razionalità i biglietti
d'ingresso. Chi ha mandato i tifosi juventini in un settore
tanto pericoloso lo deve sapere. Allo Juventus club di via
Bogino risposte contraddittorie. Le spiegazioni sul come
mai Giovacchino Landini avesse pagato il biglietto 50 mila
lire, appaiono vaghe: "I parenti si sono sbagliati. Non
abbiamo comprato nulla dai bagarini: ci hanno contattati,
ma abbiamo rifiutato. Abbiamo rispedito indietro 250 biglietti
falsi. I nostri biglietti arrivano dalla Juve o dalle agenzie".
Qualche ammissione: "Gli ultimi cinquanta sono stati venduti
a prezzo maggiorato perché le agenzie hanno chiesto più
soldi".
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
Il dolore autentico
della città
di Renato Rizzo
Il giorno dopo la tragedia,
è percorsa dalla costernazione. La città, dopo una notte
d'ansia, si piega in un silenzio che è composta reazione
al dolore e condanna così anche quella parte di se stessa
che l'altra sera s'è lasciata andare ad una sbronza d'incoscienza
divampata in assurdi festeggiamenti: frange di superficialità
e di follia in una notte con migliaia di famiglie in pena,
con i telefoni muti e la televisione che portava nelle case
le scene d'una strage. Scampoli d'isterismo di giovani e
meno giovani a gridare per le vie del centro, illuminato
a giorno dai bengala, una gioia grottesca e profana. Nella
stessa notte, la gazzarra s'è colorata di fanatismo idiota:
ignobili graffiti hanno istoriato i muri dello stadio inneggiando
ad un massacro, auspicando altre violenze: "Trentasei sono
pochi, morirete tutti", "Dovevate ucciderli tutti. Grazie
Reds" gridano parole d'anilina che si sovrappongono ad altre
frasi infami o demenziali. La città dice, oggi, che la vera
Torino è quell'altra: quella che vive il cordoglio e che
non dimentica la tragedia. E lo dice anche con la sua voce
ufficiale. Un documento della Giunta comunale chiede, fra
l'altro, che siano presto accertate le responsabilità di
chi ha organizzato la manifestazione di Bruxelles, e deplora
sia l'atteggiamento di chi ha voluto festeggiare "per le
vie e le piazze un avvenimento in cui, sul fatto sportivo,
doveva prevalere il lutto per la tragedia", sia il comportamento
di quanti, "dimostranti totale inciviltà, hanno imbrattato
con scritte aberranti i muri dello stadio". E, a nome della
Regione, il presidente Viglione condanna "questa cultura
della violenza contro la quale dobbiamo lottare e contro
la quale non facciamo mai abbastanza". Né rabbia né euforia,
ieri, a Caselle e in piazza San Carlo a ricevere i reduci
dall'inferno dello stadio Heysel: la tensione di tante ore
si è stemperata in abbracci e lacrime. I tifosi hanno trovato
ad accoglierli una città che ha partecipato, accorata, al
loro dramma d'uomini, non alla piccola gioia d'una serata
sportiva annegata nel dolore e nella paura.
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
Duro commento
sul dramma di Bruxelles
Agnelli: "Bisogna proibire agli inglesi di assistere
a partite fuori dal Paese"
TORINO - Una dura dichiarazione
sui fatti di Bruxelles è stata rilasciata dal presidente
onorario della Juventus Giovanni Agnelli, che mercoledì
sera è rientrato in Italia dal Belgio senza aver assistito
alla partita. "Se si pensa ad una giornata che era da tanto
tempo attesa - ha detto Agnelli - ad un appuntamento sportivo
di tanta importanza, alla quantità di tifosi juventini partiti
da ogni parte d'Italia, e se si pensa poi alla tragedia
che è avvenuta, ai morti, ai lutti nelle famiglie non c'è
dubbio sulla distanza che separa tutto questo dallo sport".
"Quando si verificano queste tragedie - ha proseguito -
si tenta di risalire alle cause che le hanno determinate.
La causa fondamentale è questa razza di teppisti che viene
da un Paese, l'Inghilterra, a cui pure tanto dobbiamo e
come civiltà e come successi sportivi. Una razza di teppisti
incorreggibili. Ce lo hanno dimostrato in Gran Bretagna
e ce lo hanno riconfermato ogni volta che sono stati all'estero.
L'unica cura è proibire agli inglesi di assistere a partite
fuori dal loro Paese fino a quando questa violenza non verrà
estirpata". Seconda causa - sempre per Agnelli - è l'inadeguatezza
della polizia e delle forze dell'ordine del Belgio. "Devo
però dire - ha aggiunto il presidente della Fiat - che quando
si va allo stadio non vi si va per assistere ad una guerra
o guerriglia fra pseudo-tifosi inglesi e la polizia locale;
si va per assistere ad uno spettacolo di sport. Quindi,
i primi colpevoli, di gran lunga, sono i teppisti inglesi
e secondariamente, per negligenza, l'organizzazione belga".
"Riflettendo su questa tristissima giornata - ha concluso
Agnelli - non posso proprio pensare al risultato sportivo.
Posso solo elogiare gli atleti sia del Liverpool che della
Juventus che, in queste condizioni, sono riusciti a giocare
con lealtà e correttezza, ma soprattutto non posso che pensare
alle famiglie delle vittime e ai feriti ed esprimere quanto
la Juventus è loro vicina".
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
Come i reduci di
una guerra
di Marco Neirotti e Giuliana
Mongelli
Nelle prime ore di ieri
pomeriggio sono arrivate decine di pullman in piazza Castello
- Ad accogliere i tifosi, famigliari e amici che avevano
trascorso la notte nella disperazione - Il racconto di un
avvocato: "Ho visto una ragazza sgozzata e un inglese che
calzava scarpe di un morto" - Una giovane: "Continuo a pensare
che sono scampata: basta, basta, lasciatemi andare".
Hanno atteso per tutta
la notte. Ma i telefoni non squillavano, perché a Bruxelles
molte cabine erano state devastate da inglesi ubriachi.
Soltanto dalle 5 di ieri sono arrivate voci di parenti:
"Sto bene, siamo a Lione, arriveremo nel primo pomeriggio".
E dopo ore di angoscia, molta gente a Torino ha finalmente
pianto di gioia. A Caselle, dopo i primi cinque voli charter
della notte, a mezzogiorno da un Jumbo scendono 400 tifosi.
Ad aspettarli giornalisti, fotografi, operatori televisivi
e una bufera di domande. Una ragazza: "Continuo a pensare
solo che sono una scampata. Per favore, lasciatemi andare".
Un uomo al finestrino: "Mai più in uno stadio. O ci andrò
col coltello". Un ufficiale dei carabinieri: "Una disorganizzazione
folle. Nei due giorni prima della partita, le strade di
Bruxelles erano piastrellate di lattine vuote, c'erano risse,
rapine. E nessuno ha pensato a prevenire i disordini sugli
spalti". Mezzogiorno e qualche minuto, atterra il Caravelle
della squadra. Fuori, un breve corridoio di tifosi. Un applauso
senza seguito. Nello stesso momento in piazza San Carlo
e in piazza Castello, davanti al posteggio di Palazzo Reale,
si raccoglie gente che aspetta il ritorno dei parenti. Intrecciarsi
di commenti, giornali aperti e richiusi e riaperti, angosce
da sfogare. "Mio figlio è andato con gli amici. Quando abbiamo
saputo che cosa era successo lì, non ci siamo più staccati
dalla tv, cercavamo di sapere. Abbiamo telefonato ai numeri
del ministero, ma erano occupati, sono andato di persona
all'Ansa, ma non avevano i nomi di morti e feriti. Sono
tornato a casa, ad aspettare che lui ci chiamasse. Ha telefonato
stamattina: siamo a Basilea, saremo lì alle 15". Ora ha
gli occhi lucidi: "A ripensare a questa notte mi torna la
pelle d'oca". La folla cresce, cento, duecento persone,
poi saranno trecento, anche più. Sono le 14.40 quando dall'arco
che divide la piazza dai Giardini Reali appare un pullman:
"Eccoli". Ma non accosta. Il lampo di gioia si spegne in
borbottii: "Il viaggio è lungo", "Ci sarà traffico". Gente
circonda quattro giovani: Luciano Madau, 24 anni, Alessandro
Santiano, di 16, Riccardo Bianchi e Giancarlo Longo, di
22. Sono appena arrivati in auto da Bruxelles. Accusano
la polizia e l'organizzazione belga: "Entravano tutti, senza
strappare il biglietto". Parlano di quelle ore ("Sugli spalti
giravano voci confuse, contraddittorie"), ricordano la ricerca
di un telefono: "Le cabine erano devastate, apparecchi a
pezzi o sradicati. Siamo andati alla gendarmeria, abbiamo
chiesto di avvertire che stavamo bene, niente da fare".
Sono le 15.10. Un pullman. Ci si accalca. Si gridano nomi.
Appaiono volti in cui la stanchezza è amalgamata con lo
sgomento. Una donna corre in lacrime: un abbraccio tra i
singhiozzi, un assalto di telecamere e macchine fotografiche.
Loro neanche le vedono, si abbracciano. Alle 16.20 appare
il secondo. Ai finestrini visi di ragazzi, uno ripete: "Sono
dei bastardi", ma più che un insulto lo pronuncia come un
pianto. Scende una donna: "Non avrete mai idea di quello
che hanno fatto". Qualcosa lo raccontava a Caselle, l'avvocato
Giacomo Brancadori: "Ero in tribuna, vicino al settore Z.
Ho visto gli assalti degli inglesi. Abbiamo cercato d'andarcene,
quando siamo scesi dalla tribuna c'erano già i cadaveri
a terra. Una ragazza l'hanno sgozzata, la gola aperta da
un orecchio all'altro. Siamo corsi all'aeroporto. Un ragazzo
aveva una scarpa sola, l'altro piede era ferito, diceva
che lui era in quel settore, che sotto choc, senza sapere
che cosa faceva, ha preso la scarpa di un morto, una sola,
se l'è messa ed è scappato". L'attesa continua. Uno dei
tifosi sale su un'auto, parte, qualcuno è sfiorato dalla
carrozzeria, volano insulti. Stanno per azzuffarsi, intervengono
i vigili urbani, un giovane grida: "Siete come gli inglesi...".
Alle 18 arriva il sindaco Cardetti, ascolta i racconti e
contesta l'odio indiscriminato: "Generalizzare è pericoloso,
inglesi teppisti non vuol dire condanna per tutti gli inglesi".
Nell'altalena di attese e arrivi, una donna s'avvicina tra
gli spintoni dei cineoperatori a ogni veicolo, guarda chi
scende. Quando i pullman ripartono e si formano capannelli,
arretra di qualche passo e piange. Due, tre, quattro volte.
Per lei la gioia è venuta soltanto a sera.
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
Tra i famigliari dei tifosi giunti con i primi voli charter
da Bruxelles: si piange di gioia
L'interminabile notte all'aeroporto di Caselle
di Gianni Bisio
Il primo aereo atterra
poco dopo mezzanotte, poi altri quattro a distanza di un'ora
l'uno dall'altro - La folla in attesa tace, si interroga
con gli occhi - Un uomo appena sbarcato si guarda attorno:
"Ci sono più agenti qui che allo stadio belga" - Un grido:
"Papà" e un disperato abbraccio.
La lunga, ansiosa attesa
all'aeroporto di Caselle comincia, ancor prima dell'una
di ieri notte, ora in cui era previsto l'arrivo del primo
dei 5 charter di tifosi juventini (1268 passeggeri) partiti
da Torino. Dapprima una ventina di persone, poi, col passare
delle ore trenta, cinquanta, cento. Silenzio, visi tesi,
occhi fissi al video che indicano i ritardi (una-due ore),
un bisbigliare sommesso, la domanda ripetuta agli agenti,
di polizia e ai cronisti: "C'è un elenco dei morti e dei
feriti ?". Le drammatiche scene, viste poco prima per tv,
hanno creato una tensione palpabile nei familiari dei tifosi
torinesi: l'ansia cala lentamente, man mano che, nella notte,
giungono gli aerei e le famiglie si riuniscono. Tutto il
personale dell'aeroporto (Sagat, Alitalia, forze di polizia)
si prodiga per sbrigare i rientri. Poco dopo l'una giunge
un aerotaxi con 8 passeggeri (ne erano partiti molti da
Torino). Il pilota, com.te Guiducci, della Gitan Air, contribuisce
ad allentare la tensione: "Molti non sono andati allo stadio
quando hanno visto l'atmosfera di violenza per le strade
di Bruxelles". E tutti sperano che fra i "molti" ci siano
anche i loro cari. Si viene a sapere che un gruppo di dipendenti
della Sagat, partito con l'ultimo aereo alle 13, ha rinunciato
alla partita: tutti salvi. Alle 2 giunge in aeroporto un
violinista dell'orchestra del Regio, Silvio Gasparella,
25 anni, milanese. Cerca un posto in aereo (e il personale
dell'Alitalia glielo trova su un charter che torna vuoto)
per andare a Bruxelles: "Ho visto mio padre alla tv cadere
a terra, calpestato. Poco dopo ho ricevuto la telefonata
di mio fratello dal Belgio: mi ha detto che papà era in
ospedale, sotto la tenda a ossigeno. Purtroppo anche mia
madre, da casa a Milano, ha visto quelle scene". Il primo
charter, un F.28 della Unifly, arriva alle 2.28. Dal varco
degli internazionali escono lentamente i 65 passeggeri (bandiere
bianconere ripiegate) con gli occhi rossi, e non solo di
stanchezza: "C'è anche papà ?", grida una ragazza al fratello
che apre la fila. Al "sì, è dietro" scoppia in lacrime.
C'è l'assalto ai telefoni dell'aeroporto per rassicurare
i parenti: "Da Bruxelles era quasi impossibile comunicare".
Incomincia la mitragliata di critiche: "La polizia ha fatto
ridere, gli inglesi erano già ubriachi al mattino". Fra
i passeggeri c'è il consigliere ex PCI Domenico Russo: racconta
del muro crollato, della calca; spiega, mostrando la piantina
dello stadio stampata sul biglietto Uefa, che gli incidenti
sono limitati al settore Z, dove ci sono stati morti e feriti.
La notizia allevia l'ansia della moglie di Rocco Petrosino,
25 anni, pasticciere di Villardora, in trepida attesa: "Lui
doveva andare nella tribuna N, lo ricordo bene". Russo non
risparmia critiche alla impreparazione della polizia belga:
"Ci sono più agenti qui a Caselle che allo stadio". Tra
le 4.20 e le 4.33 giungono due B.747 (Kim e Amalia) e un
B.737 (Sabena) con 931 passeggeri in tutto: sfilano sotto
i fari delle telecamere (ci sono anche i consiglieri comunali
Galasso e Albanese) lanciando pesanti accuse ai tifosi del
Liverpool ("assassini"), alla polizia belga ("fantocci,
incapaci"), agli organizzatori della Uefa ("mascalzoni:
lo stadio era un pollaio"). Una signora che per tutta, la
sera, sola, ha atteso in silenzio scrutando i volti, orecchiando
notizie, di colpo muta espressione: si scioglie in un sorriso
di liberazione, poi scoppia in pianto. Ha scorto i suoi
cari e fugge via, quasi scortando il marito e il figlio
dopo un lungo, convulso abbraccio. E i passeggeri portano
notizie tranquillizzanti: "Quelli del "Club primo amore"
stanno tutti bene", grida un'anziana signora in maglia bianconera.
Lo stesso per il gruppo di Savigliano. Alle 5.15, mentre
quasi albeggia, arriva l'ultimo charter della notte.
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
L'ultrà pentito:
"mai più violenza"
di Guido J. Paglia
Scende dal pullman in piazza
Castello, ha lo sguardo annebbiato dalla stanchezza dopo
15 ore di viaggio e due notti insonni. Non c'è nessuno ad
attenderlo: come mai ? "Vivo solo a Torino, ho 24 anni,
lavoro ai Mercati generali saltuariamente. Il mio vero lavoro
è la passione per la Juve, faccio parte dei Fighters, meglio,
ne facevo parte, ora sono in crisi". Perché ? "Non vorrei
parlarne, ma se insisti e non pubblichi il mio nome te lo
dico. Allo stadio di Bruxelles ho visto un ragazzino sui
10-12 anni che stava per essere travolto dalla folla impazzita
al momento degli incidenti. Scappava, è caduto, assieme
a una donna. Gridava e piangeva, terrorizzato. Sono riuscito
ad afferrarlo per un braccio. Questione di pochi attimi,
l'ho sollevato, me lo sono preso in braccio. Respirava a
fatica, gli dolevano le gambe. Non riusciva a parlare. L'ho
mollato soltanto dopo la fine della bolgia. Non l'ho più
visto, spero che non sia tra le vittime o tra i feriti".
Chiede una sigaretta e da bere. "Capisci perché sono in
crisi ? Non ho guardato tutta la partita. Alla fine del
primo tempo me ne sono andato. Ho visto delle scene che
mi hanno sconvolto. Quel bambino terrorizzato me lo rivedo
davanti agli occhi. Ha rischiato di essere maciullato. Che
senso ha andare ancora negli stadi quando succedono queste
cose ? Chiamami pure un fanatico pentito. Vivevo per il
calcio e per la Juve, ora credo che non ne valga la pena".
Come sei arrivato a Bruxelles ? "Non ho un lavoro fisso,
vivo di espedienti. Il biglietto per la partita in Belgio
me lo sono procurato in qualche modo. Come ? Lasciamo perdere.
Non sono nato ieri, mi sono arrangiato come altri che conosco.
Non perdo una partita della Juve, e quando c'è da menare,
meno anch'io. Me ne sono prese tante, dalla polizia e dagli
ultras delle altre squadre. Ho rischiato tante volte, avevo
intenzione di creare caos anche a Bruxelles, per difesa
personale s'intende". Di quale gruppo fai parte ? "Siamo
una decina, tutti dei Fighters, ci ritroviamo prima delle
partite per organizzarci in caso di incidenti. I tifosi
inglesi, lo sapevamo, sono più violenti di noi, soprattutto
quando bevono troppo. Ecco perché ci eravamo organizzati
per non lasciarci intimorire. Ma questa volta loro avevano
coltelli, bottiglie e bastoni. Ci puntavano addosso le pistole
lanciarazzi. Senza quella scena del bambino forse mi sarei
buttato anch'io nella mischia per difendere i nostri. Ma
mi sono accorto che la violenza non paga, negli stadi e
fuori. Mi sono dato del pazzo per le mie bravate. Mai più".
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
Sottoscrizione
300 milioni dalla Juventus
"Per attestare in modo
tangibile la propria solidarietà e partecipazione al dolore
delle famiglie delle vittime esprimendo la speranza che
simili insensate tragedie non abbiano più a infangare lo
sport del calcio" la Juventus ha aperto una sottoscrizione
con 200 milioni; altri 100 milioni sono stati elargiti dai
tecnici e giocatori della società. Presso la sede della
Juventus, Galleria San Federico 54, un apposito ufficio.
L'annuncio è stato dato dall'avv. Vittorio Chiusano, vicepresidente
della società: "Sono certo - ha detto - che nei prossimi
giorni assisteremo a una vera e propria gara di solidarietà
a favore dei famigliari delle vittime".
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
"La festa alla fine era dedicata
ai tifosi"
di Bruno Bernardi
Come i giocatori juventini
hanno vissuto una serata d'incubo e di vittoria e una notte
insonne - Tacconi: "Dopo la partita la nostra gente voleva
toccarci, abbracciarci e prendeva manganellate" - Platini:
"Per venti minuti ho giocato come in trance".
TORINO - Nessuno ha dormito
tra i giocatori della Juventus nell'ultima notte a Bruxelles.
Una notte da incubo. L'assurda tragedia che ha funestato
la finale di Coppa Campioni tornava nelle loro menti eccitate
dallo stress e dalla partita disputata in un ambiente allucinante,
irreale. Come non pensare ai morti ? Come dimenticare le
scene di panico, i pianti e le urla degli scampati, le barelle
che trasportavano i feriti sotto i loro occhi ? La squadra
aveva saputo della strage mentre stava sulla scala, pronta
ad entrare in campo per gli esercizi di riscaldamento. C'era
molta confusione negli spogliatoi, ma le notizie parlavano
già di una decina di cadaveri, poi quindici. Affacciati
al sottopassaggio, i bianconeri incontravano tifosi scalzi,
con gli indumenti e le carni lacerate nella fuga dalla curva
maledetta, che imploravano aiuto, descrivendo l'infernale
avventura con frasi smozzicate, dai toni sempre più drammatici.
I giocatori provvedevano a rifornirne alcuni di scarpette
da ginnastica e magliette. Dentro, negli uffici, Boniperti,
il presidente del Liverpool e i dirigenti dell'Uefa erano
in riunione per prendere una difficile decisione. Boniperti
voleva rinviare la partita: "Anche noi eravamo rassegnati
a non giocare, lo ritenevamo impossibile in quelle condizioni"
- racconta Stefano Tacconi. Con Boniperti c'era Edoardo
Agnelli, figlio del presidente della Fiat, che ha poi seguito
l'incontro dalla panchina. La prospettiva di giocare a tutti
i costi si faceva poi sempre più concreta e Cabrini, Tardelli,
Brio, Favero, Briaschi, Tacconi, Platini ed altri decidevano
di andare a parlamentare con la curva bianconera, temendo
rappresaglie e una carneficina di proporzioni gigantesche.
La rete era già sfondata e se i tifosi fossero venuti a
conoscenza piena della realtà avrebbero travolto le forze
dell'ordine (in aumento e a cavallo) per vendicare i connazionali.
Compariva uno striscione con su scritto "Reds Animals" e
veniva subito ritirato. Il numero dei morti era salito ad
una trentina, ma ai tifosi della curva risultava fossero
quattro: erano inferociti ed abbiamo dovuto raccontare pietose
bugie, dicendo che si trattava solo di feriti ricorda Tacconi.
In quel momento Boniperti consegnava a Gunther Schneider,
delegato ufficiale Uefa, il seguente comunicato con la sua
firma in calce: "La Juventus, nella drammatica situazione
venutasi a creare per cause sicuramente non imputabili né
alla società né ai suoi tifosi ed in conseguenza delle quali
si sono verificati decine di morti di nazionalità italiana,
ciò nondimeno accetta disciplinatamente, anche se con l'animo
pieno d'angoscia, la decisione dell'Uefa comunicata al nostro
presidente di giocare la partita per motivi di ordine pubblico.
Con le riserve di rito". Dall'altoparlante i capitani Scirea
e Neal invitavano il pubblico alla calma. Poi la partita,
dopo un'attesa snervante e piena d'orrore. Tacconi sceglieva
proprio la porta con alle spalle migliaia di tifosi inglesi,
compresi i barbari, ubriachi o drogati, che avevano scatenato
la sanguinosa caccia all'uomo: "L'ho fatto istintivamente,
ero terrorizzato ma la rabbia m'ha dato la forza per vincere
la mia battaglia e per contribuire a conquistare la Coppa.
Ho rivisto in tv la registrazione ed è stata, tecnicamente,
la più bella finale degli ultimi vent'anni. Un'impresa grandissima.
Dentro c'è la voglia di urlare di gioia, ma in gola c'è
un nodo che ti strozza. Ho fatto l'alba a pensare a quelle
vittime innocenti". Per Michel Platini, che ha deciso su
rigore il risultato, i primi venti minuti sono stati un
tormento: "Ho esultato dopo il gol, in campo si dimentica
tutto. Ero contento. Nel mondo dello spettacolo quando succede
qualcosa di brutto si continua". Negli spogliatoi e, più
tardi, davanti alla curva della morte, ha ripreso piena
coscienza della terribile catastrofe: "Non ho chiuso occhio.
Ma giocare è stata la cosa più bella che potesse succedere.
L'Uefa ha salvato il calcio mentre le autorità belghe hanno
pensato a salvare solo le vetrine dei negozi. Sembrava di
essere in guerra. Tutto questo va in fretta nell'oblio,
solo in chi ha perso qualcuno, il ricordo resterà indelebile.
La nostra resta una vittoria legittima in una gara vera,
vibrante, agonisticamente valida che gli inglesi volevano
vincere, pur vergognandosi per quelle centinaia di deficienti
loro connazionali che sparano nel mucchio, ammazzando gente
a casaccio. Il rigore ? Ho visto la tv e dico che non c'era:
ma sul campo sembrava fallo in area e anche l'arbitro, da
lontano, l'ha visto così. Dite che ho vinto anche il titolo
di capocannoniere a pari con lo svedese Nilsson ? Non me
ne frega niente". Il ballo davanti alla tribuna d'onore,
il mezzo giro di pista senza la coppa, che era stata lasciata
di proposito dall'Uefa negli spogliatoi e poi recuperata
da Scirea ed esibita per qualche istante, hanno stupito
i telespettatori più che il pubblico presente all'Heysel:
"L'abbiamo fatto per i nostri tifosi che volevano toccarci,
abbracciarci e ricevevano in cambio manganellate - puntualizza
Tacconi, eroe senza sorriso - Li abbiamo difesi strattonando
i poliziotti che erano diventati un piccolo esercito, troppo
tardi".
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
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ITALIA 31.05.1985
"Ma era nostro
desiderio non giocare"
Brio: "Una gara vera e corretta"
di Franco Bagolato
TORINO - Aeroporto di Caselle,
ore 12.10, Sergio Brio, il gigantesco stopper bianconero,
appare per primo dietro il portellone del charter che ha
trasportato la squadra da Bruxelles. Solleva la Coppa, abbozza
un sorriso, scende la scaletta stringendo il trofeo, ma
si vede che la gioia resta soffocata, non è completa. "Non
ho dormito - confessa ai primi cronisti che lo attorniano
- C'è rimasta questa vittoria ma è stata una sera di angoscia,
una partita sofferta. Direi che è stato più difficile battere
il pensiero di quanto era accaduto che non gli inglesi sul
campo". - Alla fine non avete esagerato negli abbracci,
nei festeggiamenti ? "Nessuno può tentare di spiegare perché
ci siamo comportati in un certo modo. Nemmeno noi ci capacitiamo.
Prima siamo dovuti intervenire per calmare i nostri tifosi
sconvolti in curva, eravamo d'accordo con loro nel non giocare.
Non ci fregava nulla di perdere a tavolino. Ma polizia e
Uefa ci hanno costretti a giocare dicendo che in caso contrario
ci saremmo assunti tutta la responsabilità di quanto poteva
ancora accadere". "In campo - prosegue Brio - è stata gara
vera e corretta. Devo dire che la squadra inglese ha dimostrato
grande senso professionale. Non penso che una doppia finale
servirebbe da deterrente a certe esplosioni di violenza".
Ecco Briaschi: la sua partecipazione alla partita era incerta,
è uscito soltanto nel finale: "Dopo il disastro che è successo
- sostiene - non avremmo voluto giocare. Ma quando ci hanno
invitati a farlo non potevamo, è un discorso difficile ma
va fatto, tirarci indietro. Quel che è successo nel rettangolo
di gioco tra Juve e Liverpool è rimasto un fatto sportivo.
Anche i festeggiamenti finali vanno inquadrati in quell'ambito.
Costretti a giocare abbiamo cercato di vincere e ci siamo
riusciti. Poi, dopo la doccia, negli spogliatoi, abbiamo
ripensato a quanto era avvenuto". Chiude Bonini con un discorso
che tenta di ricucire la "frattura" tra pre-partita e partita:
"La vittoria, dopo quanto è avvenuto, passa in secondo piano.
E' stata una festa rovinata, quella che abbiamo fatto noi
a fine partita un tentativo di dimenticare".
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
"Eravamo partiti per fare gran festa, abbiamo vissuto ore
di terrore"
Ora i tifosi sconvolti raccontano il dramma vissuto
a Bruxelles
Poche parole dopo il ritorno
- Una notte d'angoscia con notizie frammentarie - Nessun
valdostano ferito.
NOSTRO SERVIZIO. AOSTA
- "Doveva essere una serata di sport e di gioia, ma è diventata
una guerra assurda e luttuosa, dicono Franco Bettinelli,
Mario Mazzocco, Franco Nicolotti e Roberto Tiotto, tifosi
juventini appena rientrati dalla tragica notte di Bruxelles.
Le notizie e le telefonate giunte ieri dal Belgio sono rassicuranti:
non risultano vittime o feriti fra i valdostani (alcune
centinaia) al seguito della squadra bianconera. Mercoledì
notte fra i primi a chiamare è stato Gino Bortoli, capo
gabinetto della Presidenza della giunta, grande appassionato
delle sorti juventine. La sua permanenza a Bruxelles si
è prolungata oltre il previsto per poter raccogliere notizie
e rassicurare, attraverso la Regione, i parenti dei tifosi
che invano hanno cercato di mettersi in contatto con i loro
cari. Molte telefonate sono giunte all'ufficio stampa della
Regione, dove confluiscono le notizie dall'Ansa. Preoccupazioni
anche in Bassa Valle con chiamate a polizia e carabinieri.
Da Verrès e Pont-Saint-Martin erano partiti due pullman
delle autocorriere "Vita" di Hòne, con circa cento persone
a bordo. Ieri mattina, da Bruxelles, la telefonata del titolare
dell'impresa, Sergio Calliera: "Non manca nessuno, state
tranquilli". Un terzo pullman della "Vita" era stato noleggiato
da un Juve Club di Ivrea, ma anche per questa comitiva non
sembrano esistere timori. Negli elenchi dei feriti finora
trasmessi non risultano nomi valdostani. Buona parte dei
tifosi è già rientrata. Tutti conserveranno immagini indelebili.
Da La Thulle Franco e Dante Berthod, Pino Alliod e altri
amici raccontano: "Eravamo distanti dal settore nel quale
sono accaduti gli incidenti; eppure, a un certo punto, abbiamo
temuto il massacro generale". Ad Aosta, provenienti da Ginevra,
sono giunti anche coloro che avevano raggiunto la sede della
finale in aereo. Uno di questi è Walter Peccolo, dirigente
dello Juventus club cittadino, che dice: "A metà del primo
tempo volevamo lasciare lo stadio, ma non ci è stato possibile,
perché fuori continuava la battaglia dei teppisti. Per ore
abbiamo vissuto la tragedia sugli spalti. A fine partita
siamo dovuti salire su un treno per sfuggire alla morsa
della violenza. Siamo scesi a una piccola stazione, a circa
20 chilometri da Bruxelles. Abbiamo raggiunto l'albergo
con mezzi di fortuna". Racconta al telefono la moglie di
un tifoso: "Quanta paura davanti alla televisione. Mio marito
ha potuto chiamarmi soltanto all'una di notte", Nedo Strazza,
29 anni, residente ad Aosta, ricorda: "A Bruxelles la tensione
era già alta molte ore prima dell'inizio della gara. Ho
visto bande di teppisti sfasciare vetrine e automobili con
folle furore". E' rimasto sveglio tutta la notte Francesco
Strada (conosciuto come "Cecchin"), presidente del Juventus
Club di Aosta, subissato da telefonate di gente che voleva
notizie dei suoi cari. Spiega Cecchin: "Verso l'una e mezzo
sono stato informato che non era accaduto nulla ai nostri
tifosi e ho potuto tranquillizzare tutti. Ho atteso per
anni questa vittoria della Juventus e adesso non posso gioire".
Non tutti si sono comportati così. Dopo la partita, un carosello
di auto si è riversato nelle strade di Aosta, con un tourbillon
che ha soprattutto interessato le vie del centro storico.
Gran suonare di clacson, bandiere bianconere fuori dei finestrini.
L'euforia sportiva sarebbe stata comprensibile, persino
giusta, se non ci fossero state le decine di morti. Questa
volta meglio sarebbe stato il silenzio. La vita e lo sport
non si possono separare. La manifestazione di tripudio non
ha coinvolto tutti, fortunatamente, ma non ha ugualmente
fatto onore alla città". Parole di condanna sono venute
ieri dal sindaco Bich: "Il cinismo ha prevalso sullo sport,
sul dolore, sullo sgomento, sul dramma che si stava vivendo
in molte famiglie. Una piccola minoranza di cittadini si
è dimostrata insensibile alla tragedia e alla morte. Questa
volta non era il caso di fare festa. Sono sorpreso e amareggiato
per questa dimostrazione di assoluta insensibilità". Chi
aveva seguito per televisione il dramma di Bruxelles non
voleva credere a quanto stava accadendo nelle strade di
Aosta. Dice Elisa Dini, una tifosa fermatasi ad Aosta perché
priva del biglietto per Bruxelles: "Sono scesa in piazza
Chanoux per sincerarmi di quanto stava accadendo. Non potevo
credere dopo quanto avevo visto allo stadio". C'è anche
chi se la prende con i giocatori juventini, che al termine
della partita hanno fatto festa sul campo, e dice: "Forse
è stato quell'atteggiamento a spingere i tifosi a dimenticare
i morti, il dramma delle famiglie rimaste a casa senza notizie".
Si cercano le colpe da più parti, anche a sproposito, perché
la tragedia è terribile. "In quel settore travolto dai teppisti
inglesi non c'erano valdostani, perché noi avevamo comperato
il biglietto in Italia. Chi è andato a acquistarlo a Liverpool
o all'estero è finito in una zona non destinata ai tifosi
juventini. E purtroppo la teppaglia di Liverpool lo ha colpito.
Bisognava vederla per le strade sin dal pomeriggio...".
Forse ha ragione questo tifoso sconvolto: adesso giura che
non si recherà mai più all'estero a vedere una partita di
football e se ne va senza dire Il nome. c.g.
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
Il racconto di un carrozziere di Canelli che era nella curva
"attaccata" dagli inglesi
Tornano gli scampati
di Bruxelles
Un astigiano ferito ad una gamba
di Franco Cavagnino
Un giovane impiegato di
banca è ricoverato nella capitale belga per una frattura
- L'ansia allo Juve club - Secchi d'acqua sui tifosi che
hanno sfilato inneggiando alla vittoria - Bandiere a lutto.
ASTI - "Ero a due metri
dal muretto che è crollato schiacciando la gente. Una cosa
terribile. Un amico che era dietro di me per poco non è
caduto. La folla poi ha cominciato a spingere verso il campo
ed io sono rimasto travolto, finendo immobilizzato sotto
decine di persone, senza possibilità di muovermi. Quando
la polizia mi ha estratto consentendomi di fuggire sul campo,
ero coperto di sangue, con gli abiti a brandelli. Ho visto
accanto a me un uomo, avrà avuto 50 anni, che stava morendo,
donne che urlavano, una scena allucinante". E' il drammatico
racconto di un tifoso presente mercoledì sera allo stadio
di Bruxelles per la finale di Coppa Campioni fra Juventus
e Liverpool. Si chiama Bruno Demaria, carrozziere di Canelli.
E' stato fra i primi a rientrare in Italia, in aereo, assieme
a numerosi amici canellesi, di Cossano, di Vesime, tutti
illesi. Anche Asti ha vissuto ore di angoscia mentre sul
video scorrevano le tragiche immagini dei mortali scontri
sugli spalti dello stadio belga. Poi quando dalla voce del
commentatore televisivo sono giunte le prime cifre ufficiose
delle vittime e degli oltre duecento feriti, per decine
di famiglie s'è iniziata una lunga notte di trepidazione.
"Abbiamo trascorso momenti terribili; una telefonata dietro
l'altra. Erano parenti, genitori, amici dei tifosi partiti
per il Belgio. Ci mancavano notizie, non sapevamo cosa rispondere",
così raccontano i titolari del bar Cine dove ha sede lo
Juventus Club Asti, che ha organizzato un pullman di una
cinquantina di persone. Altri tifosi, trecento in tutto,
forse più, erano partiti al seguito dei bianconeri, da Canelli,
Nizza, Moncalvo, Grazzano e altri centri, qualcuno, in auto,
altri in aereo. Finalmente alle 2 di giovedì mattina, una
telefonata rassicurante da parte della comitiva del Juventus
Club: "Siamo tutti in viaggio, stiamo bene, arriveremo nel
tardo pomeriggio". I primi comunicati, intanto, smentivano
i timori di vittime astigiane. Solo un ferito, Walter Giannini,
22 anni di Asti, impiegato all'esattoria comunale, presso
la Banca Popolare di Novara, che - uscito dallo stadio con
una gamba fratturata - ha vagato per ore sotto choc, prima
di essere aiutato e trasportato in ospedale dove è ancora
ricoverato. Rientrerà forse il 2 giugno. Mercoledì sera,
nel frattempo, in una città deserta e stordita dai fatti,
vissuti in diretta davanti ai televisori, grottesca e fuori
luogo esplodeva la festa di decine di tifosi. Le vie della
città si riempivano dei caroselli delle auto fasciate con
i vessilli juventini. Asti ha faticato ad addormentarsi
anche per il rumore assordante dei motorini, lanciati in
spericolate evoluzioni e gli squilli dei clacson. Un gruppo
di tifosi ha dato la scalata al monumento a Vittorio Alfieri
sventolando dal piedistallo le bandiere bianconere. Per
alcune ore decine di giovani hanno impazzato senza ritegno
fra la disapprovazione dei passanti usciti dai bar dove
avevano assistito alla trasmissione; in piazza Marconi,
una "carovana" di auto è stata fatta segno a lanci di acqua
dalle finestre. Immancabili le scritte comparse nella notte:
"W Juve" in corso Savona, "Grazie Platini" in corso Dante.
Ma anche un sintomatico: "Tifosi Juventini siete la vergogna
d'Italia" in corso Torino. In segno di lutto ieri sono comparse
le bandiere a mezz'asta sui pubblici edifici e lo spettacolo
al politeama "Città Caserma" che doveva tenersi ieri sera
è stato posticipato a questa sera, sempre alle 21.
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
Incontro con i tifosi astigiani nella notte della tragedia
"Non avevo i soldi per il biglietto"
NOSTRO SERVIZIO. ASTI -
Sono le due di notte. Sul piazzale del casello dell'autostrada
per Torino un gruppo di auto pavesate di bianconero. Le
bandiere con la Coppa dei campioni disegnata al centro circondata
dagli scudetti tricolori. Dai finestrini emergono le facce
di giovani. Hanno la voce stanca. "Abbiamo vinto la Coppa,
la aspettavamo da anni, ma come si fa ad essere felici ?".
L'incubo delle immagini della tv trasmesse da Bruxelles
è vivo. "Un gruppo di nostri amici del bar è andato alla
partita. Ci dovevo essere anch'io - dice un giovane di Costigliole
- ma costava troppo. Loro invece hanno fatto due macchine
e sotto partiti. Non avevano i biglietti, pensavano di trovarli
là. Ho sperato di vederli in televisione ma in tutta quella
calca è stato impossibile". La festa tanto voluta, sperata,
preparataci è spenta nell'angoscia della tragedia. "Qualche
giro della città lo abbiamo fatto lo stesso, ma attorno
non c'era gioia e devo dirlo a un certo punto mi sono sentito
un po' cretino", ammette Luca, aiuto panettiere che ha chiesto
apposta una notte di permesso da poter dedicare tutta alla
Juve. "Noi non abbiamo attaccato, la colpa è tutta loro,
degli inglesi", spiega Andrea, 19 anni, che non riesce ad
allontanarsi dalla logica di "guerra" tra i due fronti opposti,
"fatto è - lo zittisce un amico - che ormai si va allo stadio
con troppa rabbia dentro. Mio padre mi dice che siamo matti.
Lui non ha voluto che andassi a Bruxelles, devo dire che
ha avuto ragione". La notte è ormai silenziosa. "Volevamo
andare a Torino a festeggiare ma dopo quello che è successo
è meglio andare a dormire". In città sull'asfalto sono rimaste
alcune scritte: "Grazie Platini", "Juve è fatta". Il tempo
le cancellerà, ma l'angoscia è destinata a restare. s. mir.
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
Lunga notte di angoscia anche
nel Cuneese
Gli ultras autori
di disordini e aggressioni
di Pier Paolo Luciano
Si erano diffuse voci,
fortunatamente infondate, di tifosi della Granda fra le
vittime - Apprensione per i "supporters" di San Rocco Castagnaretta.
CUNEO - La tragedia della
finalissima tra Juventus e Liverpool a Bruxelles ha gettato
nello sgomento gli ottocento tifosi che hanno affrontato
il viaggio dalla Granda fino in Belgio. I più si sono trasferiti
con i pullman messi a disposizione dagli Juventus Club della
provincia, qualcun altro ha preferito i voli charter dell'ultima
ora. Un viaggio che doveva essere un'occasione di festa,
di allegria, e clic, invece, si è trasformato in tragedia.
"Nessun cuneese ha perso la vita nell'Heysel Stadium né
è rimasto seriamente ferito, ma per i parenti, i familiari
rimasti a casa, l'angoscia, la paura è stata la stessa di
altre migliaia di persone. Quando la televisione ha trasmesso
le prime immagini dallo stadio belga per molte persone sono
cominciate le lunghe ore dell'attesa, con la speranza come
unico conforto. Le telefonate tra parenti e conoscenti si
sono accavallate, molti hanno provato a chiamare prima la
sede della Juventus, a Torino, poi il centralino d'emergenza
del ministero degli Esteri, a Roma, per avere qualche informazione
sullo stato di salute dei parenti, sulla situazione. Ma
le notizie erano frammentarie e discordanti, mentre la televisione
continuava a trasmettere notiziari che parevano bollettini
di guerra. "Ho vissuto quattro ore d'inferno", spiega la
titolare del bar Cristallo di Alba, sede del club "Gli amici
juventini". E aggiunge: "Avevo in quello stadio mio marito
e mio figlio, ho temuto che gli fosse successo qualcosa.
Poi mi hanno telefonato per tranquillizzarmi. Stavano bene
e non avevano capito di preciso cosa fosse successo: erano
dalla parte opposta dello stadio, non si sono resi conto
della gravità dell'episodio". La ricerca di una notizia
confortante, di informazioni sui vari gruppi di tifosi organizzati
della Granda, è proseguita per tutta la mattinata di ieri
(anche alla redazione del giornale sono arrivate molte telefonate),
mentre in città si diffondevano voci, risultate poi del
tutto infondate, di morti nella comitiva cuneese. I timori,
le apprensioni maggiori erano per i "supporter" dello Juventus
club "Dino Zoff" di San Rocco Castagnaretta, una cinquantina
di persone raggruppate tra i tifosi di Borgo San Dalmazzo,
Cuneo e Savigliano. Erano, secondo alcune testimonianze,
i più vicini alla zona degli scontri e anche gli unici che
fino ad allora non avevano ancora chiamato per rassicurare
le famiglie. Ma proprio quando si temeva il peggio, è arrivata
una telefonata al Bar Sprint di corso Giolitti, una delle
sedi del club: "Siamo a Lione, stiamo tutti bene. Abbiamo
raggiunto le altre comitive di tifosi della provincia, arriveremo
a Cuneo nel tardo pomeriggio". I tifosi dello Juventus Club
Savigliano (di cui facevano parte pure alcuni tifosi braidesi)
hanno invece preferito rinunciare ad assistere alla partita:
"Quando si sono resi conto che la polizia non riusciva a
sedare la rissa e dei pericoli che si potevano correre,
hanno deciso di tornare ai pullman e di rinunciare alla
finale", spiegano in casa di Maurizio Mensa, presidente
del club bianconero saviglianese. Nessun problema neppure
per i venticinque "fans" dello Juventus Club Cuneo (che
hanno preferito rimandare il rientro di qualche ora per
una tappa a Parigi) e dello Juventus Club di via Roma ad
Alba, una cinquantina di persone. Per tutti un ritorno amaro:
nessun pensiero alla vittoria della squadra, alla conquista
di quel trofeo per molto tempo inseguito. Tutti avevano
ancora negli occhi quelle immagini raccapriccianti di una
festa trasformata in tragedia.
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
Due morti, molti feriti, una notte di paura per la spedizione
ligure a Bruxelles
Un amaro ritorno dal Belgio
di Guido Coppini Sanili
Nel tardo pomeriggio di
ieri la conferma: la genovese Barbara Lusci, 56 anni, è
morta, grave il marito - Un drammatico bollettino da La
Spezia a Ventimiglia - Bloccati dai carabinieri alcuni giovani
che scorrazzavano a Chiavari.
NOSTRO SERVIZIO. GENOVA
- Una striscia a lutto traversa il cartello del "Juventus
Club" di piazza Santa Sabina a Genova, nell'atrio di un
palazzo patrizio davanti alla Annunziata. E' stato incollato
ieri nel tardo pomeriggio, quando si è avuta la conferma
della morte nello stadio di Bruxelles di Barbara Lusci,
66 anni, moglie di Pietro Salvatore Margiotta, 54 anni,
capo della comitiva che martedì prese il volo per il Belgio,
rimasto ferito in modo grave. I coniugi abitavano in via
(omissis) a Nervi: superando lo sgomento, si bussa all'alloggio,
ma nessuno risponde. Dall'enfasi della vigilia della partita
(questo il messaggio del club di piazza Santa Sabina: "Così
come i guerrieri andarono alle Crociate, i bianconeri vanno
alla conquista della prestigiosa Coppa") al dolore di queste
ore. Chi poteva pensare che sarebbe stata una Coppa piena
di sangue ? Tutto è assurdo, nei risvolti di questo massacro,
che propone domande atroci. Eccone una. Chi spiegherà a
Michela, 11 anni, come e perché suo padre è morto ? Michela
è la figlia di Sergio Mazzino, di Cogorno, rimasto ucciso
nell'interno dello stadio. Si può dire a una bambina che
suo padre è morto di calcio ? Che è rimasto nella trappola
infernale di una partita avvelenata dall'odio e diventata
tragedia per tutta una serie di cause, che ora si cerca
di identificare, anche se non servirà a niente ? Ma qualcuno
dei superstiti va alla ricerca di motivi. Spiega Alberto
Favilla, allenatore di una squadra spezzina di ragazzi,
rientrato ieri: "Quello stadio aveva reti di recinzione
buone sì e no per proteggere un pollaio dalle volpi. I tifosi
inglesi l'hanno sbriciolata fra la disattenzione della polizia,
intervenuta in forze solo quando ormai la guerriglia era
divampata". Le notizie rimbalzano fra la prefettura e la
questura di Genova come bollettini di guerra. In tutta la
Liguria, dalle città ai paesini dell'entroterra, la rete
delle telefonate si allarga, ma non tutte sono rassicuranti.
La difficoltà di comunicare dal Belgio lascia ancora grandi
spazi alla paura. "Pensate - dice un tifoso rientrato con
un gruppo di Laigueglia - che noi per avvertire le famiglie,
da Bruxelles siamo dovuti andare in Francia. Rabbia, sdegno,
racconti del terrore si raccolgono nelle concitate testimonianze
del liguri tornati più o meno indenni a casa. Ed emerge
una causa scatenante della "guerriglia": mentre la Juventus
aveva consegnato biglietti per un certo settore dello stadio,
lontano dai fans del Liverpool, molte agenzie di viaggio
hanno fatto la distribuzione a caso. "Così ci siamo trovati
nella gradinata nord, insieme a quei fanatici scatenati",
dicono alcuni rientrati ieri sera a Finale Ligure. Viaggiano
verso casa Renzo Basso e sua moglie, di Framura, dei quali
per molte ore erano mancate notizie. La tragedia fa scoprire,
all'improvviso, tutto, un "popolo bianconero" che si estende
da un capo all'altro della regione, a pelle di leopardo.
Ma quanti, di questi tifosi, torneranno a una partita di
coppa ? "Certo, mai se l'avversaria sarà una squadra inglese;
afferma Renzo Pittaluga, di Pegli: "ho due figli, credevo
di non rivederli, sono stato un incosciente", dice con le
lacrime agli occhi. Arrivano, e questo è l'importante. Arrivano
nel savonese (alcuni aggiungendo alla paura la fatica di
lunghe ore di attesa a Liegi), nello Spezzino, nell'Imperiese.
Per alcuni, il trauma non scomparirà col ritorno in famiglia.
Mario Recaneschi, di Sestri Ponente, sta seduto al bar,
racconta dei cadaveri che ha dovuto spostare per raggiungere
un'uscita, poi si blocca: ha gli occhi sbarrati, gli amici
del bar rispettano il suo improvviso silenzio. Un'altra
notte è passata, ma non ha del tutto cancellato l'incubo:
c'era ancora coda ieri negli uffici della Sip, nella città
e in periferia. La notte della partita è stata tra l'altro,
un'angosciosa incredibile lotta con gli apparecchi muti.
Ma non tutti hanno ceduto al dolore. C'è chi ha voluto egualmente
"festeggiare": a Chiavari, i carabinieri sono intervenuti
per bloccare un carosello di auto e alcuni individui che
lanciavano mortaretti. La risposta è questo manifesto affisso
a Lavagna: "Chi ha vinto ? La morte. Chi ha perso ? La ragione".
E la ragione è scomparsa anche in chi ha recuperato antichi
rancori che si speravano sepolti. La Polizia presidia il
Consolato inglese a Genova e sedi di associazioni culturali
italo-britanniche. Morti, paura, odio: possibile che il
calcio sia diventato anche questo ?
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
Un'amica spiega come Laura Salamida è stata travolta allo
stadio
Giovane madre di Finale Ligure ritrovata in coma
sotto i cadaveri
di Alberto Dressino
Ha 27 anni ed è sposata
con Giorgio Bianchi, un idraulico - Fa parte del consiglio
del Juventus club - Erano andati a Bruxelles in aereo.
NOSTRO SERVIZIO. FINALE
LIGURE - Agonizzante, colpita in tutte le parti del corpo,
semisepolta sotto tre cadaveri: così l'ha ritrovata il marito
dopo che era passata l'ondata impazzita di migliaia di persone
in fuga sotto l'incalzare "selvaggio ed animalesco", come
l'hanno definito molti testimoni oculari, dei tifosi inglesi.
Per Laura Salamida, 27 anni, coniugata con l'idraulico finalese
Giorgio Bianchi, madre di due figli, Alessandro di 9 anni
e Matteo di 2 anni e mezzo, residente a Finale Ligure in
via (omissis), la finale della Coppa dei Campioni doveva
essere l'occasione per una gita e per vedere all'opera la
squadra di cui è accesa sostenitrice, visto che fa parte
del consiglio direttivo del Juventus club di Finale Ligure.
Invece tutto si è trasformato in tragedia. "E’ stata una
cosa inaudita" - ha detto Tecla Coppa, che con Laura faceva
parte del gruppo di sei finalesi andati a Bruxelles. - "Prima
hanno iniziato a tirarci pietre in testa, poi bottiglie,
e poi ancora, saltata la piccola staccionata che ci separava
da loro, hanno iniziato a bastonare e tirare coltellate
all'impazzata. Il nostro gruppo si è subito frantumato.
Io mi sono sentita letteralmente spingere verso l'alto ed
è stata la mia salvezza". Una testimonianza drammatica,
raccontata con ancora nella voce tutto lo choc dell'accaduto
e l'incredulità di chi ha trascorso le ore della vigilia
insieme a Laura che ora sta invece lottando tra la vita
e la morte in uno degli ospedali di Bruxelles. Da Finale
Ligure era partita la piccola pattuglia di tifosi formata
da Giorgio e Laura Bianchi, Tecla ed Enrico Coppa e da Bruno
Folco. Con l'aereo avevano raggiunto nel pomeriggio Bruxelles
per poi recarsi allo stadio. "Invece ci siamo ritrovati
verso le 23 all'aeroporto alla spicciolata senza nemmeno
attendere che iniziasse la partita perché eravamo terrorizzati
da quello che poteva ancora capitare - continua Tecla Coppa
- Ho visto decine di persone grondare sangue dal volto e
da tutte le parti del corpo, gente che gridava aiuto, scene
orribili e tutto sotto lo sguardo quasi indifferente dei
poliziotti che si guardavano bene dall'intervenire". Alla
base di tutto sta proprio questa totale impotenza delle
forze dell'ordine di fronte a tanta violenza. Ma gravi responsabilità
gravano anche su chi ha permesso che juventini ed inglesi
sedessero fianco a fianco in quella che è ormai diventata
la tragica curva Nord. "Purtroppo, una volta esaurita la
dotazione dei biglietti affidata alla Juventus - spiegano
da Diano Marina dove hanno coordinato i Juventus club del
Ponente - molti si sono rivolti alle agenzie private le
quali non si sono certo preoccupate a dividere le opposte
tifoserie". Quando è stata ritrovata dal marito, anche lui
colpito per fortuna leggermente dalla furia inglese, Laura
Bianchi era ormai in coma e nella notte è stata operata
d'urgenza allo stomaco: si temeva avesse subito gravi lesioni
interne. Il marito, dopo un rapido volo a casa per mettersi
in contatto con la famiglia, è già ritornato in Belgio.
Da una telefonata all'ospedale di Bruxelles, ieri sera,
s'è avuto comunque conferma di lievi miglioramenti nella
donna, le cui condizioni permangono sempre gravi per i colpi
ricevuti, soprattutto alla testa, calpestata da decine e
decine di persone.
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
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ITALIA 31.05.1985
Una storia d'attesa, come tante, in casa del vicepresidente
Juventus Club
"Mio marito e mia figlia hanno bussato soltanto
allora ho capito: erano vivi"
NOVARA - "E’ stata una
saggia decisione quella di far disputare Juventus-Liverpool
malgrado la tragedia che aveva preceduto la gara. Se ci
avessero fatti uscire dallo stadio quando gli animi erano
ancora accesi saremmo stati massacrati dai tifosi inglesi
la maggior parte dei quali era letteralmente scatenata e
chiaramente sotto l'effetto dell'alcol". Così l'avvocato
Alfredo Monteverde, presidente del club Juventus di Novara,
difende l'operato dei responsabili dell'Uefa che dopo lunghi
tentennamenti, hanno deciso di rispettare il programma facendo
entrare in campo i giocatori. "Eravamo nella curva opposta
a quella "maledetta" nella quale è scoppiato il finimondo.
Non ci siamo subito resi conto dell'entità della tragedia.
Abbiamo visto però un pauroso movimento nella zona di fronte
alla nostra. I tifosi del Liverpool hanno attaccato quelli
della Juve schiacciandoli verso il muro dello stadio, lo
stesso che è poi crollato". Dice sempre l'avvocato Monteverde:
"A un certo punto è arrivato dalla nostra parte un ragazzino
di non più di 10 anni. Era scalzo e piangente, diceva che
dall'altra parte c'erano dei morti. E' stato in quel momento
che abbiamo capito quanto stava accadendo. Purtroppo è stata
una giornata amara, una vittoria amara". Assieme a Monteverde
c'era il vicepresidente del club Juventus di Novara Pier
Giuseppe Capettino. E' rientrato a casa ieri mattina assieme
alla figlia Simona di 15 anni e solo quando ha bussato alla
porta la moglie Mina ha saputo che a lui e alla figlia non
era successo niente di grave. "Per tutta la notte", dice
la signora Capettino, "ho tentato inutilmente di avere notizie.
Al consolato, in Prefettura non sapevano dirmi nulla. Intanto
continuavo a ricevere chiamate da parte dei familiari degli
altri sostenitori partiti da Novara con i pullman predisposti
dal club Juventus. Tutti volevano notizie e io continuavo
a spiegare che non sapevo nemmeno se mio marito e mia figlia
erano vivi". m. s.
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
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ITALIA 31.05.1985
Il savonese fotografato mentre cade allo stadio
"In mezzo ai morti non so come sono salvo"
SAVONA - La foto di Aldo
Scalise, 32 anni, panettiere di Savona, tifoso della Juve,
è comparsa su tutti i giornali: è stato ripreso dai fotografi
della Reuter mentre sta per precipitare nel vuoto insieme
agli altri spettatori, molti dei quali moriranno. E' riuscito
a salvarsi miracolosamente. Poi, durante la notte, ha telefonato
al padre ed al fratello. Aldo Scalise è sposato e padre
di tre figli: Celestina, 3 anni, Angelo, 9 e Agostino di
11. Ha fatto un racconto ancora frammentario, sotto choc,
di quanto avvenuto allo stadio: "Una folla enorme, terrorizzata,
mi ha spinto contro il muro. Non si poteva fuggire in alcun
modo. Ho visto decine di cadaveri. Non so come ho fatto
a sottrarmi a quella morsa". Gli amici lo hanno riconosciuto
sulla prima pagina de "La Stampa", quasi in primo piano.
Poi gli altri reduci dalla notte di terrore. Paolo Ferro,
di Millesimo: "La polizia belga si è comportata in modo
vergognoso. Eravamo in un settore molto vicino a quello
della morte. Durante la prima parte della serata i tifosi
inglesi hanno Iniziato a lanciare bottiglie, frammenti di
cemento, lattine di birra. Poi hanno "caricato" gli italiani.
Questi ultimi si sono riversati verso il campo di gioco.
Ad attenderli c'erano i poliziotti che li hanno manganellati
senza pietà. Per questo la folla ha risalito le gradinate,
per finire verso il parapetto". Angela Corbellino, moglie
dell'ex presidente del Juventus Club Torino, sede di Savona,
racconta: "Ho visto poco degli incidenti, eravamo in una
zona del campo tranquillo. Alla mattina, insieme ad un gruppo
di juventini, avevamo incontrato per le vie di Bruxelles
i tifosi del Liverpool. Ebbene, ci siamo scambiati bandiere,
vessilli, berretti. Avevano con sé cassette di birre. Ma
erano gentili, controllati. Difficile immaginarli nella
veste di belve, di teppisti". Ognuno ha la sua storia da
raccontare: nessuno però ha voglia di parlare della partita.
Un ragazzo è rientrato a casa con la clavicola spezzata.
Uno dei supporters del Liverpool lo ha colpito con un'asta
di legno, un'arma micidiale, utilizzata come una clava.
In serata sono arrivati i pullman organizzati dal Juventus
Club; per fortuna nessuno era rimasto ferito, nessuno mancava
all'appello. I savonesi infatti erano distribuiti in zone
non contaminate dai teppisti. Ancora qualche preoccupazione
per un gruppo di giovani dell'entroterra, partiti con le
proprie automobili che non hanno ancora dato notizie di
sé. Molti hanno telefonato alla prefettura dove sono state
esposte le bandiere a mezz'asta. m.n.
31 maggio 1985
Fonte: Stampa Sera
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ITALIA 31.05.1985
Lo
sgomento negli occhi
Lorenzo Del Boca
Rientrati quasi tutti i
tifosi in pullman e in aereo. Un viaggio di ore e ore senza
allegria con il ricordo degli amici uccisi. "Un massacro",
chiunque avrebbe intuito che poteva accadere qualcosa di
grave, tranne la polizia belga". Un giovane: "Ho avuto paura,
ho visto la morte in faccia".
Hanno calpestato gli amici
e sono stati calpestati da gente che conoscevano, hanno
visto i tifosi inglesi che venivano avanti con armi micidiali,
portano sulle magliette strappate i segni di una notte di
paura. Uno è rientrato senza la scarpa destra: finita chissà
dove fra macerie, lattine di birra, vetri fracassati e corpi
di morti e feriti. Erano allo stadio di Bruxelles, avevano
preparato i cori da urlare per incoraggiare la Juventus
ma, alla fine, pochi hanno seguito la partita. Arrivano
in autobus con le facce stanche di chi non dorme da due
notti. Un viaggio di ritorno di mille e più chilometri:
quattordici ore senza allegria e negli occhi l'immagine
degli amici uccisi dalla folla. "Un massacro - cercano con
gli occhi i parenti - chiunque avrebbe intuito che sarebbe
successo qualche cosa di grave... Chiunque... Meno la polizia
belga che ha mandato 20 poliziotti e venti cani... E quando
lo stadio era già diventato una tomba sono arrivati i poliziotti
a cavallo per una pantomima ridicola che si potevano risparmiare".
Le altre trasferte - si vincesse o si perdesse - erano prima
di tutto una festa. "Alé ohooo"... Da quando si partiva
a quando si arrivava: e sul pullman era un intrecciarsi
di commenti su come aveva giocato bene questo o come era
stato insufficiente quell'altro. Un'altra partita recuperata
in flash-back giocata con i ricordi. "Ma chi aveva voglia
di chiacchierare ?". Gianni Ferio, 19 anni, è arrivato a
Torino stravolto dalla stanchezza e dalla paura. "Paura,
sì, perché nasconderlo ? Ho visto la morte in faccia. C'era
un inglese alto come una montagna con la sciarpa sulla bocca
che teneva in mano una bandiera arrotolata su un bastone
enorme. E con quello spingeva, ci schiacciava uno sull'altro
come sardine. Gli altri da sotto ci picchiavano e noi non
potevamo proteggerci. Non riuscivamo a scappare. La polizia
al primo assalto si è spaventata e, invece di proteggerci,
è scappata in mezzo al campo". Gli inglesi avevano pistole
lanciarazzi: sparavano mortaretti micidiali. Mario e Isa
indossano una magliettina azzurra, si infilano in un bar
assetati e restano a guardarsi senza parole; Giorgio scende
dal pullman con la sciarpa bianconera arrotolata al collo
e, insieme, quella rossa del Liverpool; Sergio Fanti ha
in testa il cappellino della Juventus, la giacchetta della
Juventus e la borsa della Juventus. E' un super tifoso che
non ha voglia di ricordare nulla: solo cose che vorrebbe
dimenticare. Un giorno di follia collettiva che ha scatenato
la furia di gente normale. Chi nella vita di tutti i giorni
è panettiere, camionista, operaio, impiegato, è diventato
un selvaggio pronto a picchiare e a uccidere. "Quelli, i
reds, insomma, hanno trasformato Bruxelles in un immenso
bivacco". Gabriele Pantino, cuneese, juventino di antica
data, ha visto gruppi di tifosi inglesi che vuotavano lattine
di birra una dopo l'altra. Buttavano via le camicette, rimanevano
a torso nudo e con il tempo che passava aumentava la loro
ebbrezza. Le bottiglie le spaccavano sui marciapiedi, minacciavano
la gente che camminava per strada con i cocci del vetri,
si infilavano per fare il bagno nelle fontane della città.
"Per entrare allo stadio - ricorda - abbiamo dovuto aspettare
due ore, in coda, in una calca già impossibile. Perché tanta
attesa ? Controlli non ce n'erano. E infatti la gente di
Liverpool ha potuto portarsi dentro coltelli e pugnali,
pistole lanciarazzi, bastoni e randelli. Anche lance appuntite.
Quelli cercavano la rissa. E' sempre stato così in ogni
stadio dove sono andati". Gli italiani e gli inglesi, sulla
curva alla sinistra della tribuna numero Z, erano separati
soltanto da due transenne e da una rete metallica inconsistente.
E quelli hanno cominciato un lancio di lattine di birra
(piene e vuote), poi si sono messi a spingere come forsennati
contro i "nemici" dell'altra squadra. Un corpo a corpo senza
esclusione di colpi. "Noi siamo arretrati di un passo -
spiegano - e quel lasciare il campo è parso come un segno
di debolezza. Gli altri hanno voluto approfittare di quel
momento a loro favorevole e sono partiti all'assalto". Bandiere
usate come randelli, bottiglie trasformate in armi micidiali,
pezzi di cemento strappato dai gradini che diventano proiettili,
anche lame di coltelli. Persico Martini dice di aver visto
una ragazza sgozzata. Sgozzata ? "Dico - conferma - che
uno del Liverpool le si è avvicinato e l'ha colpita al collo
con un fendente. E' uscito un fiotto di sangue: quella si
è inginocchiata con le mani alla gola. Poi non l'ho vista
più", perché la folla, come se fosse stata un'enorme onda,
trascinava lontano. Chi incespicava era perduto. Gli altri
gli passavano sopra. Da una parte il muro chiudeva la ritirata
degli juventini, dall'altra i supporters del Liverpool,
ringalluzziti dalla loro superiorità, che venivano avanti
menando colpi. Impossibile resistere. Anche fra gli juventini
c'era gente abituata a menare le mani, ma quelli erano troppo
forti. Pochi minuti per una tragedia. Con un rumore appena
ovattato la cinta si è piegata su se stessa e da lassù sono
piovuti pietre e uomini. "Ho visto due ragazzi con il viso
disfatto - dice Marco Sepriolo - allungavano le mani in
cerca di aiuto. Mi sono buttato verso di loro ma la folla
faceva da barriera. Urlavo: "Non mollate". Sono scivolati
in basso, un volo di cinque o sei metri. Chissà se sono
ancora vivi". Ricordi che portano il segno della disperazione.
"Ero inginocchiato sopra altra gente, forse erano già morti,
forse sono morti. Sentivo un peso enorme sopra di me...
Mi sentivo mancare... Non respiravo più. Dicevo: "aiutami,
Signore, aiutami". Cercavo di appoggiarmi sulle mani per
non pesare su quelli sotto. "Signore aiutami: non ce la
faccio più"... Non so come ho potuto uscire vivo da quel
macello". Allo stadio di Bruxelles non c'era polizia ma
non c'era nemmeno personale del pronto soccorso. Tre medici
e pochi infermieri hanno dovuto fronteggiare una situazione
di particolare emergenza. "Sul marciapiede, fuori, ammucchiavano
i corpi dei nostri amici. Qualcuno era già morto, qualcuno
respirava appena". Hanno dovuto usare le transenne come
se fossero lettighe. "Chi aveva ancora un briciolo di fiato
si lamentava. Una cantilena appena sussurrata". Ma non c'erano
medicinali, non c'erano bende, non c'era l'attrezzatura
per le trasfusioni e per le cure d'emergenza. Niente. "Chi
stava per morire doveva morire".
31 maggio 1985
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
Parole molto dure del presidente bianconero dopo la tragedia
Boniperti sconvolto
davanti alle salme
"Odio più che
mai gli inglesi"
di Piercarlo Alfonsetti
Giampiero Boniperti, il
giorno dopo. Orrore, tristezza, cordoglio sono sensazioni
tra le quali filtra appena una punta di compiacimento per
l'importante successo conquistato dalla Juventus. Ma, negli
occhi del presidente, la tragedia è ancora troppo viva e
così l'orrore per tutti quei morti ai quali ieri mattina
è andato a rendere l'estremo omaggio. "E’ tremendo - bisbiglia
il presidente juventino - è tutto assurdo, incredibile.
All'ospedale militare ho incontrato un signore di Varese
che stava cercando il corpo di un suo amico. L'ha trovato,
giaceva accanto a quello del figlio, entrambi erano ricoperti
da una bandiera bianconera. Mi sembrava di essere in guerra,
in un ospedale da campo. Dopo quello che ho visto, odio
gli inglesi come non mai". Parole durissime, una reazione
giustificabile in un uomo e in un dirigente che ha appena
constatato di persona a quali criminali eccessi può portare
il tifo quando la passione sportiva viene compressa ed esaltata
dall'odio. Boniperti avrebbe voluto recarsi anche all'ospedale
Bruckmann per rendersi conto delle condizioni dei feriti
ma il suo proposito è stato vanificato da una serie di difficoltà
burocratiche che, ancora una volta e incredibilmente, gli
ineffabili belgi, totalmente inetti sul piano organizzativo,
in compenso ridicolmente attaccati alle formalità, hanno
sollevato. Il leader juventino è ancora fortemente impressionato,
più che esprimere concetti articola parole di commozione
e sdegno. "E’ stato uno spettacolo impressionante - prosegue
- sempre quel signore varesino mi ha riferito che i tifosi
del Liverpool sparavano razzi e mortaretti ad altezza d'uomo.
Hanno tenuto un comportamento da guerriglia, con l'evidente
proposito di colpire, uccidere, in ogni caso far male. La
teppaglia criminale ha agito quasi indisturbata, ma se la
polizia non interviene in casi come questi come si fa a
salvare il calcio ? Per i fatti di Bruxelles ci sono responsabilità
enormi". Giusta la proposta di impedire alle squadre britanniche
di partecipare a manifestazioni internazionali ? "Sicuramente
si deve isolare e colpire chi si comporta in un modo così
criminale". Che cosa prova un presidente in un pellegrinaggio
così mesto come quello che ha compiuto ieri ? "Un dolore
immenso". Sono previsti passi ufficiali da parte della Juventus
? "Non so, è ancora troppo presto". Se il prossimo sorteggio
di Coppa vi opponesse all'Everton di Liverpool chiedereste
di giocare a porte chiuse ? "Vi spingete troppo in là con
gli interrogativi, adesso non posso rispondere a una domanda
del genere". I giornali inglesi, lo stesso primo ministro
britannico Thatcher hanno proposto di vietare alle squadre
del loro Paese la partecipazione a incontri internazionali.
Che cosa ne pensa ? "Non tocca a me esprimere un parere
in proposito, sarà l'Uefa a decidere". I dirigenti del massimo
ente calcistico europeo sono sotto accusa anche per il fatto
di aver organizzato un incontro del genere in uno stadio
relativamente piccolo come l'Heysel. Se si fosse giocato
in un impianto più grande, avremmo avuto una tragedia di
queste proporzioni ? "Con un servizio di polizia inadeguato
come quello di Bruxelles, sicuramente sì". La Juventus sospirava
questo trionfo da tanto tempo e ora le vien tolta anche
la possibilità di assaporarne il gusto. Che cosa prova ?
"Tanta amarezza, perché quanto è successo era al di fuori
di ogni immaginazione". Boniperti ha finito. Nelle sue parole
affiora soltanto dolore, com'è giusto non c'è alcuna concessione
al sentimento dello sportivo. Il presidente non lo dice
ma siamo sicuri di interpretare il suo pensiero affermando
che tra i concetti che sente e che non ha espresso figura
anche un auspicio e cioè che questa immane tragedia possa
almeno contribuire a risparmiare in futuro altre vite umane.
31 maggio 1985
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
La lunga notte di Torino
di Michele Ruggiero
… (Omissis: testo mancante)
squilli. Solo alle 11.30 comincia a lampeggiare sui teleschermi
il numero di Roma da cui si possono avere notizie. Scarse
le reazioni ufficiali. I torinesi che contano sono assenti,
per lavoro oppure a Bruxelles per vedere la partita. C'è
l'ex sindaco, il compagno Diego Novelli, sconvolto: "E’
allucinante - mormora - Cosa puoi aggiungere a ciò che ti
dicono già le immagini ? A caldo è difficile dire cosa ti
passa per la mente". In Municipio le telefonate si infittiscono.
A riceverle c'è l'unico capogruppo consigliare presente,
quello del Pci, il compagno Domenico Carpanini. Anche lui
sa poco e ci raccomanda: "Se avete qualche notizia fatemelo
sapere subito". Il sindaco Giorgio Cardetti arriva poco
prima di mezzanotte. Da casa ha già diramato una dichiarazione
ufficiale: "Sono profondamente addolorato e sconcertato
per quanto accaduto a Bruxelles. Davanti ai teleschermi
ho sofferto con migliaia di famiglie torinesi che hanno
parenti ed amici nella capitale belga, che non sanno ancora,
come anch’io, se qualcuno di loro è fra le vittime. E’ sconvolgente
che chi aveva deciso di passare una giornata di divertimento,
magari facendo sacrifici, sia stato coinvolto in una tragedia
di queste dimensioni, perdendo o rischiando di perdere la
vita. Mai più una manifestazione di questa rilevanza dovrà
svolgersi in stadi insufficienti per numero di posti e senza
adeguate misure di sicurezza. Voglio anche esprimere solidarietà
ai dirigenti ed ai giocatori della Juventus che hanno deciso
di giocare una partita, oramai oltre i limiti dell'assurdo
sotto l'aspetto sportivo, solo per evitare possibili ulteriori
incidenti". In piazza San Carlo, il cuore della città, mazzi
di bandiere bianconere penzolano accanto ai numerosi banchetti
allestiti nel pomeriggio. Qui la festa popolare era già
cominciata, prima della partita. Alle 19 c'erano torme di
auto pavesate di festoni juventini che scorrazzavano per
le vie del centro, risuonavano trombe, cori. Poi è calato
il silenzio, la gente è sfollata, incredula, con l'orecchio
appiccicato alle radioline. Solo in un angolo della piazza
ci sono un centinaio di persone, accalcate davanti allo
schermo televisivo gigante allestito da un bar. Sono i tifosi
ultras, parenti prossimi di quelli che sono andati a Bruxelles.
Una frangia di irresponsabili che non sanno nemmeno comprendere
una tragedia. Pizzul ha già detto che ci sono decine di
morti. Ma loro continuano a ridere, a scherzare. Succede
persino che centinaia di persone, dopo la partita, scendono
in strada a festeggiare il successo della Juventus con caroselli
d’auto che hanno qualcosa di agghiacciante, dopo una serata
come questa.
31 maggio 1985
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
L'Italia sconvolta
dall'inutile strage
Messaggi di Elisabetta
e Baldovino a Pertini
di Filippo Grassia
Le autorità belghe respingono
le accuse di inefficienza e impreparazione - Al momento
degli incidenti però gli agenti stavano consumando il pasto
- Il comitato organizzatore ha riservato la stessa curva
ai tifosi della Juve e del Liverpool - Morto l'inglese accoltellato
prima della partita - Bruxelles ha deciso di non ospitare
più partite con gli inglesi - Polemiche a Roma anche sulla
decisione di far giocare la partita e sulla sua trasmissione
- Bonn e Pankow l'hanno bloccata - La Chiesa denuncia "un
costume di vita insensato".
DAL NOSTRO INVIATO. Bruxelles,
30 maggio. Sulla curva della morte sono ancora visibili
i segni della tragedia che ha rapito alla vita 39 innocenti
in modo folle e brutale. Stamane, accanto a qualche fiore,
c'erano ancora brandelli di stoffa, bandiere, cappellini,
sciarpe, un paio di panini e un libro giallo dal titolo
che fa paura: "I muri parlano". Chissà mai cosa potranno
rivelare agl'inquirenti quei mattoni rossi e smussati che,
rovinando sulla pista d'atletica, hanno firmato la condanna
di tanta gente. Il bilancio ufficiale parla di 40 vittime
(oltre ai 39 della curva "Z" è infatti morto l'inglese accoltellato
prima dell'incontro); dei 39 morti trentuno sono italiani,
4 belgi, un francese e un irlandese, più due cadaveri ancora
non identificati. Tutte le salme sono allineate nella camera
mortuaria dell'Ospedale militare, dove nel pomeriggio sono
iniziate le autopsie. Per la grande maggioranza la morte
è sopraggiunta quasi istantaneamente, in seguito a schiacciamento
e soffocamento. Qualcun altro è finito con la giugulare
squarciata dalla rete metallica. Un tappeto di carne umana
al momento del dramma che si è consumato alle 19.32 quando
il muretto che delimitava il settore "Z" della curva Sud
si è sbriciolato sotto la tremenda spinta dei tifosi italiani
in preda al panico per le ripetute cariche dei teppisti
britannici. E' stato un autentico macello. Ricorderemo a
lungo i due giovani che sono spirati sotto il nostro sguardo
con la bocca spalancata in cerca disperata di ossigeno.
O il corpo di un altro ragazzo, la maglietta a righe orizzontali
bianche e blu, che era stato dato per morto, ricoperto con
un panno grigio e che invece ancora sussultava. Contati
i morti e i feriti, è cominciata la corsa alle responsabilità.
Il presidente dell'Uefa, Georges, ha addossato tutte le
colpe al servizio d'ordine. C'erano oltre mille uomini allo
stadio, secondo le stime del ministro degli Interni, Nothomb.
E il borgomastro, Brouhon, è dello stesso avviso. Ma dov'
erano questi gendarmi ? La maggioranza, ne siamo stati testimoni
oculari, stava consumando un pasto frugale, un panino o
poco più, all'ora dello scempio. Erano le 19,15. E sul campo,
ci sono le immagini televisive a testimoniarlo, non avevano
preso pasto che una trentina di gendarmi. I primi rinforzi
sono arrivati solo alle 19.40. La giustificazione a cui
si è ridotto il ministro degli Interni è ridicola: "Il servizio
d'ordine era convinto che gli incidenti non potessero scoppiare
prima della partita, per questo motivo non aveva predisposto
misure più severe. Inoltre la polizia non era preparata
a sedare tumulti che non provenissero dall'emozione sportiva".
La polizia si è rivelata inefficiente. Quantitativamente
(Omissis: testo mancante) … Nella tarda mattinata, presso
il ministero degli Interni, è stata varata una riunione
che ha coinvolto altri sei ministeri, gli organizzatori
della finale, l'Uefa, il borgomastro e le forze di polizia.
Il ministro Nothomb, affiancato dal capo di gabinetto Lagen
Dries, ha chiesto rapporti particolareggiati a tutti gli
interlocutori. In sede di conferenza stampa, al cospetto
di almeno duecento giornalisti, ha assolto l'organizzazione
e la polizia condannando la violenza per la violenza che
non ha nulla a che vedere con l'emozione sportiva. Poi ha
aggiunto: "Le forze dell'ordine erano preparatissime, alcuni
rappresentanti sono stati a Rotterdam per valutare il tifo
inglese in occasione della finale di Coppa Coppe fra l'Everton
e il Rapid Vienna, altri si sono recati addirittura a Liverpool
per capire il comportamento dei tifosi inglesi. Ci sono
state tre riunioni, l'ultima il 23 maggio. Il numero dei
gendarmi è stato portato a mille, un fatto inconsueto".
Viste le premesse, l'inchiesta del governo belga pare avviata
ad un'assoluzione per mancanza di prove. Non ci resta che
piangere le vittime.
31 maggio 1985
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
I tifosi romani raccontano:
"Molti hanno capito dopo..."
di Rosanna Lampugnani
Nella sede dello "Juventus
Club" di piazza Indipendenza - "Dalla curva dove eravamo
non s'è visto nulla, abbiamo saputo all'uscita" - "La coppa
? Io la restituirei".
A Roma, il giorno dopo,
nella sede dello "Juventus Club" di piazza Indipendenza.
"Non abbiamo gioito per la vittoria: anche se fosse stata
conquistata con un 3 a 0 e non con il calcio di rigore,
che lo stesso Rossi ha detto inesistente, anche in questo
caso la coppa per noi non rappresenterebbe tutto ciò per
cui da anni ci siamo battuti. Restituire la coppa ? Sì,
lo farei non ho dubbi". Remigio Bagni, perfettamente vestito
di bianconero, è appena sbarcato da uno dei due aerei che
hanno portato i settecento tifosi zebrati a Bruxelles. E
con lui la figlia Marina, 19 anni, fans che ha seguito la
Juve anche ad Atene, due anni fa. "La colpa di tutto ciò
che è successo è principalmente della polizia belga. Non
ci sono dubbi, perché tutti conoscono la tifoseria inglese,
ma non è stato fatto nulla per evitare gli incidenti. I
cancelli dello stadio li hanno aperti alle 17, a tre ore
appena dall'inizio della partita. Una strettissima porticina
serviva tre settori interi e di lì ci hanno fatto passare
uno alla volta, ma non per controllarci. Tanto è vero che
è entrato di tutto nello stadio: bottiglie molotov, casse
intere di birra, lanciarazzi, qualcuno dice anche pistole".
L'incubo allo stadio comincia a delinearsi dalle prime parole
del racconto che via via snocciola gli orrori che milioni
di persone hanno visto in diretta. "I tifosi romani, aggiunge
Marina, sono tutti incolumi. Nei momenti tremendi del massacro
non abbiamo visto nulla, noi eravamo nella curva opposta
a quella degli scontri. Ci siamo resi conto che una decina
di bianconeri andavano dall'altro lato per picchiare. Purtroppo
è una cosa che succede sempre e ovunque. Ma il ritardo del
fischio di inizio ce lo siamo spiegati per i tafferugli
che intravedevamo dal lato opposto, senza capirne la gravità".
"Quando siamo usciti dallo stadio - conclude Remigio - era
ormai mezzanotte e la strage l'abbiamo appresa dalle parole
del capo tifoseria di Torino". Con il gruppo dei romani
anche dei siciliani, dei napoletani, in trasferta per seguire
la squadra del cuore. Cinquecentomila lire il prezzo del
"pacchetto" messo a disposizione dalla agenzia di viaggi
"Mister Travel": volo, colazione in aereo, biglietto per
lo stadio (uno per spettatore, in maniera pulita e ordinata),
giro turistico in pullman della città e pranzo al sacco.
Un sacrificio per le tasche di Mario Bottiglia e Fabio Cupini,
due diciottenni di Terracina, manovale e carrozziere, un
sacrificio che erano ben disposti a pagare ma a cui hanno
dovuto rinunciare per un disguido tecnico. "Abbiamo gridato
per la gioia per un'ora dopo la conclusione della partita:
per un po' abbiamo pensato soltanto al calcio. Poi ci siamo
resi conto della tragedia e ci siamo vergognati di questo.
Non si può morire per il calcio". "Io morirei per la Juve,
ma non così. Non la voglio più vedere quella coppa, anche
se ho sempre detto che avrei voluto chiudere per sempre
gli occhi soltanto dopo questo risultato. Ma non così, non
così. Eppure penso che bisognava giocare per evitare ancora
più morti". Maria Concetta Antinucci, "Titina", per i duemila
iscritti allo Juventus club di Roma, è rimasta in città;
anche se avrebbe voluto esserci nella capitale belga "per
condividere tutto con i miei compagni". Da trent'anni dedica
il suo tempo libero alla squadra e l'altra sera è rimasta
inorridita davanti alle scene raccapriccianti rimandate
dall'Eurovisione. E anche lei si unisce al grido d'allarme
di Remigio Bagni: "Fate qualcosa per fermare quei dieci,
quindici teppisti che ogni squadra conta tra i propri sostenitori
che puntualmente fanno degenerare il clima sportivo". Un
anno fa avete scritto per le vie di Roma: "Grazie Liverpool"
perché aveva battuto la Roma nella finale di Coppa campioni...
"Lo facemmo perché l'anno precedente i romanisti fecero
la stessa cosa con noi", precisa Titina. E aggiunge subito:
"Guardi che io non sono andata a piazza del Popolo dove
avevamo pensato di radunarci per esultare in caso di vittoria.
Ieri sera ho pianto, da sola a casa mia".
31 maggio 1985
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
"Si è agito con cinismo"
Sit-in Fgci alla sede Federcalcio
"Una nuova cultura sportiva,
nelle scuole, nell'università, nel territorio che educhi
e formi la società al rispetto di sé e degli altri. Solo
così si può sconfiggere l'assurda violenza che ha provocato
la tragedia di Bruxelles". Lo hanno chiesto i giovani della
Fgci in un sit-in di protesta organizzato ieri pomeriggio
sotto la sede della Federazione italiana gioco calcio, in
via Po. Sui cartelli lo sdegno per la violenza scatenata
dai tifosi inglesi ma anche per l'atteggiamento "cinico"
delle autorità federali che hanno fatto svolgere la fine
e l’hanno poi convalidata. "Cinici - hanno detto i giovani
comunisti - sono stati anche gli assurdi festeggiamenti
che si sono svolti in alcune città italiane". Ma perché
tanta barbarie anche nello sport ? Negli stadi si trasferiscono
tensioni, disgregazione, forme di emarginazione sociale
e giovanile". "Manca una vera cultura sportiva e non può
sorprendere - dice ancora la Fgci - che si formino minoranze
squadristiche organizzate, in Gran Bretagna ma anche in
Italia". I giovani comunisti si rivolgono agli altri giovani
perché portino negli stadi pace, umanità e solidarietà.
Come ? Con regole di comune convivenza concordate in un
incontro nazionale tra tutti i tifosi delle squadre italiane;
con una legge rigorosa per la sicurezza negli stadi, chiudendo
quelli che non danno garanzie sufficienti. "Ma soprattutto
- chiude la Fgci - si deve trasformare l'emarginazione in
un pescare le minoranze organizzate in una nuova domanda
di salute, vita e lavoro.
31 maggio 1985
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
Tra la gente durante i drammatici
fatti a Bruxelles
Come Reggio ha vissuto la notte della tragedia
La strage di Bruxelles
ha lasciato sgomenta la città, ma non ha impedito, dopo
la partita, che qualcuno, l'altra sera, scendesse nelle
strade per festeggiare con clacson, bandiere e qualche atto
di teppismo, la "vittoria". A quell'ora, in decine e decine
di famiglie reggiane, c'era chi viveva momenti di angoscia,
pensando ai familiari, ai conoscenti, agli amici, che si
erano recati in Belgio per seguire la finale di Coppa dei
campioni. L'emittente reggiana "Radio Venere" ha realizzato
alcune interviste, in città, a partire dall'intervallo della
partita, quando il disastro era già evidente nel suo tragico,
insensato bilancio. Le prime testimonianze sono raccolte
all’"Ambra", dove circa 400 persone seguivano la partita
sullo schermo. C'è incredulità, condanna per la violenza.
Seguono interviste raccolte nel bar, e sono tutte di sgomento
per gli avvenimenti che di sportivo, di calcistico, hanno
ormai ben poco. Altre interviste, realizzate in città tra
i rari passanti sono di condanna per la violenza, e per
un modo di intendere il calcio, il tifo esasperato. La partita
finisce; davanti alla fontana del Municipale arrivano i
primi, in scooter, auto, moto, sventolando assurdamente
le bandiere. "Sei contento ?", chiede l'intervistatore a
due ragazzini in Vespa. "Altro che, abbiamo vinto". "Ma
i morti ?". "Un episodio da dimenticare". Una ragazza spiega
che è giusto festeggiare perché "se abbiamo avuto dei morti,
abbiamo pur sempre vinto la coppa. Sarebbe stato peggio
avere la strage e perdere la coppa". Un tizio sui 30 anni
(non c'erano solo ragazzini, tra i circa trecento radunatisi
intorno alla fontana) arriva dispiegando uno striscione
e proclamando "La coppa l'abbiamo conquistata con il sangue".
Un altro insiste su di un concetto: lui gli inglesi li avrebbe
massacrati. Proseguono altre dichiarazioni, in cui, in sostanza,
ci si dispiace per la strage, ma si afferma che bisogna
festeggiare l'agognata vittoria. Lo sfondo sonoro è costituito
da cori di oltraggio al Liverpool e all'Inter. Le prime
parole consapevoli sono quelle di quattro calabresi bloccati
dalla piccola folla con la loro auto. "Non è proprio il
caso di festeggiare, non dimentichiamo che là sono morti
decine di connazionali, che ci sono tanti feriti". Altra
auto, di reggiani: sono disgustati dai festeggiamenti. Un
cittadino chiede perché le autorità, la forza pubblica,
consentano questi schiamazzi. In piazza del Monte vengono
rovesciati bidoni della spazzatura, poi si fugge all'arrivo
della polizia. Queste, però, sono state reazioni di una
piccola minoranza. La città ha reagito con tristezza, interrogandosi
sulle responsabilità, ma anche sui meccanismi perversi di
uno sport divenuto esasperato affare economico. All'ultimo
momento apprendiamo che tra i tifosi reggiani che si sono
recati a Bruxelles ci sarebbero un ferito e un disperso.
31 maggio 1985
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA ITALIA
31.05.1985
Morire a Bruxelles,
le storie degli italiani uccisi in una sera d'inferno
Le vittime: gente tranquilla. Il cuoco, la ragazza,
l’operaio
di Federico Geremia
Erano arrivati da ogni
parte d'Italia i tifosi schiacciati dalle reti e da quanti
fuggivano - Tarcisio Venturin, 23 anni, lavorava in una
fabbrica di ascensori e da due mesi conservava i soldi per
la partita - Due donne e un assessore allo sport tra i morti.
ROMA - Né sciarpe, né bandiere.
Poco a che vedere con "brigate" e "ultrà". Forse soltanto
sportivi, più e prima ancora che tifosi. E allora morire
così, calpestati dagli amici in fuga nello stadio diventato
un inferno, davvero non si può. A rileggerle ora, a dramma
consumato, le storie e le vicende di quei trenta italiani
uccisi a Bruxelles rendono tutto ancora più folle. Perché
schiacciati dalle reti, dai mattoni e dai corpi degli altri,
in quello stadio diventato trappola, c'è rimasta proprio
gente così: postini e medici, cuochi e dentisti, meccanici
e bidelli, una donna anziana ed una ragazza giovanissima.
E persino un assessore: un assessore, ironia della sorte,
proprio dello "sport". Fino a tardi davanti alla Tv, mentre
in quello stadio maledetto la gioia prendeva grottescamente
il posto del dolore, in migliaia di case di tutt'Italia
famiglie intere aspettavano di vedere un volto, di sentire
una notizia che le rassicurasse sulla sorte dei propri cari.
Invece niente: ancora qualche abbraccio, la festa finale,
e basta così. È stato di notte, allora, e spesso in maniera
impensata e inattesa, che le notizie di morte sono entrate
nelle case a spazzar via ogni speranza. Ai vecchi genitori
di Luciano Rocco Papaluca, un calabrese trentottenne emigrato
dieci anni fa a Milano e impiegato nell'aeroporto civile,
la notizia l'hanno data nel cuore della notte alcuni amici
romani. Preoccupati per la sorte di Rocco, avevano telefonato
loro alla Farnesina, dove un funzionario aveva subito detto
sì, che il nome di Rocco Papaluca c'era già in quel pur
incompleto elenco di morti schiacciati. E ancor peggio,
forse, è quanto è successo a Carla Bandiera. Come purtroppo
spesso accade, prima delle comunicazioni ufficiali sono
arrivati i giornalisti. Le hanno domandato come poteva commentare
gli incidenti di Bruxelles dove - lei Io saprà - è morto
anche suo marito. E lei, invece, non sapeva ancora niente.
Nessuno le aveva detto che anche Giovacchino Landini, suo
marito, appunto, proprietario di una trattoria toscana a
Torino, era tra i morti di quella drammatica partita. La
povera donna, piangendo, è riuscita solo a mormorare: "Me
lo sentivo, io me lo sentivo. Quando ho visto quelle immagini
in Tv io ho pensato al peggio"... Aveva 50 anni, il signor
Landini, ed era soltanto un "tipo tranquillo". A Bruxelles
gli italiani, e tra loro i morti, c'erano arrivati in ogni
modo possibile. Nisio Fabbro, friulano, aveva addirittura
caricato cinque amici sul piccolo camper puntando, poi,
dritto al Belgio. Una montagna di chilometri ? Sì, ma la
sua passione per il calcio era ancora maggiore. Impiegato
presso una ditta a Buia (Udine), dove abitava, aveva giocato
per molti anni nella squadra di calcio del suo paese. Appese
le scarpe al chiodo, ora capitanava modestamente la rabberciata
formazione delle "vecchie glorie", ed era tra i dirigenti
della società. Gli amici che erano allo stadio con lui lo
hanno perso di vista appena i tifosi del Liverpool hanno
"caricato". Perché era gente tranquilla quella che occupava
li settore che gli inglesi hanno assaltato: non ha reagito,
ma cercato scampo fuggendo. Una fuga drammatica, una ressa
spaventosa, alla fine della quale per molti di loro c'è
stata la morte. E che dire, ancora, di Tarcisio Venturin,
un ragazzo di appena 23 anni, milanese: conservava da due
mesi i soldi per seguire la Juve a Bruxelles. Era operaio,
Tarcisio, e lavorava in una fabbrica di ascensori. Non era
mai andato a vedere una partita all'estero, ma questa volta,
per questa attesissima finale voleva esserci anche lui.
È morto schiacciato da una delle reti di recinzione, calpestato
da migliaia di persone in fuga. Anche un assessore, si diceva
all'inizio, un assessore allo sport, siciliano, socialista:
Eugenio Gagliano era nella giunta di sinistra che da tempo
guida il comune di Mirabella Imbaccari, provincia di Catania.
A Bruxelles ci era arrivato con un volo charter della Cit,
anche lui con cinque amici. E sono stati proprio loro, al
ritorno in paese, a portare - prima ancora della tv e dei
funzionari della Farnesina - la notizia della morte. Una
notizia che ha letteralmente sconvolto li piccolo centro
siciliano. Eugenio Gagliano, lì, lo conoscevano tutti. Quasi
nulla, invece, si sapeva - ancora ieri sera - di due delle
ultime vittime ad essere identificate: Barbara Lusci, 58
anni, sarda ma residente a Genova, e Giuseppina Conti, 17
anni appena, aretina. La prima era andata a Bruxelles assieme
al marito, Pietro Margiotta, gravemente ferito e ricoverato
in ospedale. Ma Giuseppina Conti ? Con chi era nell'inferno
di Bruxelles ? E di storie se ne potrebbero raccontare ancora.
Si potrebbe dire quella di Mario Spanu, di Novara, cuoco
in un autogrill sulla Torino-Milano; oppure quella di Roberto
Lorentini, medico nel reparto malattie infettive dell'ospedale
di Arezzo e, ancora, quella di Sergio Mazzino, ligure, tranquillo
rappresentante della "Locatelli" nella zona di Rapallo.
Ma è già chiaro contro chi la furia folle dei tifosi inglesi
e un destino allucinante si sono volti nel pomeriggio di
mercoledì. Gente tranquilla, senza coltelli né bastoni.
Gente che di fronte all’assedio armato è fuggita e nella
fuga, non nella rissa, ha trovato la morte. Ma se è possibile
che vada anche così, allora ha ragione Giorgio Giacomelli,
presidente della Juve Club di Bassano del Grappa: "Per quanto
mi riguarda non organizzerò mai più niente e non farò mai
più mettere piede a nessun tifoso su un campo di calcio
europeo ! Se una Coppa vuol dire tutto questo, meglio perderla
che conquistarla a così caro prezzo".
31 maggio 1985
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985
Difficile e mesto rientro da
Bruxelles
Una regione senza notte. L'angoscia, il dolore,
la condanna
Numerosi sono i tifosi
feriti, un piacentino è molto grave.
Emozione e sgomento in
tutta la regione Emilia-Romagna per la strage di Bruxelles.
La Giunta regionale in una nota afferma fra l'altro: "Interprete
dei sentimenti di dolore e di sdegno provocati dai gravissimi
atti di violenza che hanno funestato a Bruxelles la finale
della Coppa dei Campioni di calcio, si rivolge con fermo
e accorato appello a tutti i dirigenti degli organismi sportivi
e particolarmente alle società che gestiscono attività di
sport-spettacolo affinché rinnovino il proprio impegno volto
a salvaguardare e consolidare i valori civili ed educativi
dell’attività sportiva". La segreteria regionale sottolinea
che non bastano parole di cordoglio e di esecrazione, ma
vanno chiaramente individuati cause e responsabili. "Troppi
avvenimenti luttuosi hanno macchiato in questi mesi lo sport
e in particolare il calcio. Noi auspichiamo - sostiene l'Uisp
- che un grande momento di festa e di cultura come lo sport
trovi al suo interno e in collaborazione con gli organi
istituzionali la forza di espellere questa barbarie che
nulla ha a che vedere con le sue tradizioni e le sue finalità".
Sospensioni in segno di lutto. In numerosi ambienti, nei
posti di lavoro, si sono avute manifestazioni e testimonianze
di profonda emozione e cordoglio. All'Anffas di Bologna
(Associazione nazionale famiglie fanciulli adulti subnormali)
il lavoro è stato fermato dalle ore 9.30 alle 10.30 in segno
di lutto e di protesta. I dipendenti hanno anche tenuto
un'assemblea.
Dissociazione.
In diversi centri dell'Emilia-Romagna mercoledì
sera a conclusione della partita Juventus-Liverpool si sono
formati alcuni caroselli per "festeggiare" il successo juventino
nonostante si conoscessero già le drammatiche conseguenze
della strage di Bruxelles. Ma molti sportivi si sono dissociati
da queste iniziative. I responsabili degli "Juventus club"
di Faenza e Ravenna nel dissociarsi hanno fatto affiggere
sulle bacheche una nota di condanna sottolineando che in
un momento del genere è assurdo pensare di programmare festeggiamenti
per il risultato di una partita di calcio. Atti di teppismo.
A Rimini durante la notte i pullman della compagnia
inglese Elis parcheggiati sul lungomare nei pressi di piazza
Pascoli sono stati danneggiati da alcuni tifosi. Oltre ad
aver spaccato tutti i vetri i teppisti hanno voluto lasciare
la firma: con le bombolette spray hanno scritto sulla fiancata
"Viva Juve". Molta preoccupazione è serpeggiata al pub "Rosen
Crown" dove, dopo i tragici fatti di Bruxelles, i proprietari
e i pochi clienti inglesi presenti si sono barricati all'interno
del locale. Anche perché alla fine della partita proprio
in piazza Tripoli, dove si trova il pub inglese, si era
raccolto un gruppo di tifosi juventini intenzionati a festeggiare
la vittoria bianconera. I più esagitati hanno anche spaccato
le insegne ed alcuni vetri. Tuttavia le forze dell'ordine,
vista la situazione, hanno tenuto d'occhio per tutta la
notte i locali riminesi frequentati generalmente da turisti
inglesi. Le notizie sui tifosi emiliano-romagnoli rimasti
feriti a Bruxelles sono ancora frammentarie e arrivano con
difficoltà. La carovana bianconera partita da Parma conta
5 feriti, uno solo di questi è stato però ricoverato: si
tratta di Attilio Rebuzzi che è dovuto ricorrere alle cure
dei sanitari per lo schiacciamento e l’incrinatura di una
costola. Altri quattro parmigiani, due ragazzi e due ragazze,
di cui non si conoscono ancora i nomi, sono rimasti leggermente
contusi. Tutti sono comunque sulla via del ritorno. Un elettricista
piacentino di 64 anni, Santino Orsi, è invece ricoverato
in gravissime condizioni all'ospedale di Bruxelles. Era
partito martedì mattina da Piacenza con il figlio Fausto
ed altri amici a bordo di due autovetture. Allo stadio Heysel
aveva preso posto proprio sul settore in cui si è verificata
l'aggressione da parte dei tifosi inglesi. Pare che lo sfortunato
elettricista sia caduto, insieme a molte altre persone da
un parapetto della gradinata che si affacciava sull'esterno
dello stadio. Nessun altro piacentino, dei moltissimi presenti
a Bruxelles, è rimano coinvolto negli incidenti. Quasi tutti
hanno però dovuto ritardare di molto la loro partenza in
quanto la polizia ha impiegato molte ore per regolare il
deflusso dei tifosi dallo stadio e dalla città. I piacentini
che erano presenti alla finale erano una settantina; avrebbero
dovuto essere molti di più ma altre richieste sono state
respinte per mancanza di biglietti. Un ferito anche in Romagna.
E’ un ragazzo, Marco Donati, di San Mauro Pascoli, che ha
accusato un malore dovuto a soffocamento. Probabilmente
è rimasto schiacciato dorante il fuggi fuggi generale. Fortunatamente
le sue condizioni sono ben presto migliorate e il giovane
sta già tornando a casa, dopo avere passato la notte all'ospedale.
Da ricordare anche che molti dei tifosi presenti allo stadio,
visto i gravissimi incidenti, hanno preferito rientrare
subito nei rispettivi alberghi e hanno seguito gli avvenimenti
dalla televisione. Si calcola che gli emiliano-romagnoli
presenti a Bruxelles fossero circa un migliaio.
31 maggio 1985
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
"Siamo scampati all'inferno"
Ma c'è anche chi si esalta per la "vittoria" in
Coppa
di Jenner Meletti
A colloquio con i passeggeri
dei primi aerei arrivati da Bruxelles all'aeroporto di Bologna.
BOLOGNA - Siamo partiti
in centotrenta ora siamo centoventicinque. Uno è morto,
l’ho visto con i miei occhi. Non so come si chiamasse, ci
siamo conosciuti sull’aereo. Gli altri quattro non so, forse
sono feriti, forse sono scappati da qualche parte". Danilo
Bortolotti, di Peretola, vicino a Firenze, è appena sceso
da un Boeing 737 della Tea. Sono le 3 e 40 minuti, all’aeroporto
di Borgo Panigale stanno arrivando i voli charter che riportano
in Italia la gente che ha assistito alla tragica partita
di Bruxelles. "Tutto il nostro gruppo - dice Bortolotti
- era nella curva che è stata assaltata dai tifosi inglesi.
Siamo di Firenze e Pistoia, eravamo partiti alle otto di
ieri mattina. Un giro in pullman per la città, poi allo
stadio. Già in centro a Bruxelles c'erano degli incidenti:
le pizzerie italiane avevano le serrande abbassate, per
non essere devastate dai tifosi inglesi. Siamo entrati allo
stadio dopo una fila di un'ora e mezzo, incolonnati fra
due ali di poliziotti a cavallo. Non controllavano nessuna
borsa: volevano solo il biglietto, per controllare che non
fosse falso. Siamo entrati ugualmente, anche se sapevamo
che di fianco a noi c'erano gli inglesi, perché ci avevano
detto che ci sarebbe stata la polizia in mezzo. Invece niente,
soltanto una rete, robusta come quella che c'è nei campi
da tennis. All’improvviso è stato un inferno. Erano tutti
ubriachi, ci tiravano lattine vuote e piene, pezzi di ferro,
sassi. lo sono stato sfiorato da un paio di forbici. Poi
hanno sfondato la rete, sono entrati dalla nostra parte,
hanno cominciato a spingere. E noi siamo scappati, e qui
abbiamo sbagliato. Se restavamo lì, magari c'era una rissa,
ci sarebbero stati dei feriti. Ma non ci sarebbero stati
tutti quei morti, schiacciati dagli altri, caduti giù dalla
gradinata. Per non volere la lite ci siamo ammazzati da
soli". Dietro le transenne della dogana, una donna di Pistoia,
Olga Innocente, si mette a piangere, quando vede i suoi
due figli. "Eravamo in casa, io e mio marito, a guardare
la partita. A Bruxelles doveva esserci anche mio marito,
ma proprio ieri mattina si è accorto che la carta d’identità
era scaduta e non ha potuto partire. Sono andati i due figli,
di 16 e 18 anni, erano in compagnia con altri amici. In
televisione, mentre veniva mostrato il settore devastato,
abbiamo visto sugli spalti decine di borse da viaggio rosse,
con la scritta gialla. Sono le stesse che vengono distribuite
in omaggio dall'agenzia che ha organizzato il viaggio dei
nostri figli. Abbiamo telefonato subito, a Roma, ai giornali.
Non siamo riusciti a sapere nulla. Allora siamo partiti
e siamo venuti all’aeroporto. Per fortuna, i nostri ragazzi
erano sull'aereo. Da un aereo della Sabena scende un gruppo
di circa cento bolognesi. "A noi non è successo niente,
eravamo nella curva opposta. Se pur da lontano, abbiamo
visto il massacro. Non sapevamo da che parte andare. Per
uscire, c'era una porta larga sì e no un metro". "lo me
ne sono andato appena la partita è cominciata. Sono uscito
dallo stadio, ho preso un taxi dopo avere camminato a piedi
per chilometri, ed ho aspettato gli altri all'aeroporto.
Sono andato a vedere tutte le altre finali di Coppa della
Juventus, in questi ultimi anni, ma non ho mai visto una
disorganizzazione come quella che ho trovato a Bruxelles.
I tifosi si picchiavano già nel centro e fuori dallo stadio,
e dentro non c'era polizia. Bastava che fossero intervenuti
all'inizio, quando si è capito che gli inglesi volevano
occupare anche il settore degli italiani, e non sarebbe
successo nulla di grave. C'è più polizia allo stadio di
Bologna, per una partita di serie B. Anche fra gli italiani
c'erano comunque degli imbecilli: tifosi che, anche dopo
avere saputo ciò che era successo, hanno continuato a cercare
di invadere campo, lanciare sassi, provocare la polizia
che finalmente era arrivata. L'ho scampata stavolta, non
mi vedranno più". Oltre le transenne, ci sono abbracci e
molte lacrime. "Finalmente sei arrivato, tutto bene ? Vieni,
andiamo a casa". Ci sono lampi e tuoni, scoppia un temporale.
Alle 4 e tre minuti, scende un aereo della Kim. Ci sono
dei giovani che sventolano le bandiere della Juventus. Si
avviano verso l'uscita abbracciati, cantando "Juve olè,
Juve olè"... "Sì, certo che abbiamo saputo. È successo nella
curva di fronte a noi. Quanti sono i morti ? A noi hanno
detto che ce n'erano una trentina. Ma com'è possibile, per
una partita di calcio... Voi siete della stampa ? Allora
sapete tutto, con le vostre fonti di informazione secondo
voi, la partita è stata valida, o era una finta ? Era valida
davvero ? Ragazzi, avete sentito: è ufficiale, abbiamo vinto
la Coppa". Se ne vanno cantando sotto un'acqua torrenziale.
"E’ ora, è ora, la Coppa alla Signora; è ora, è ora..."
Se fanno in fretta, in centro, possono trovare le ultime
auto, con bandiere bianconere, di quei personaggi che, a
centinaia, hanno voluto comunque "fare festa". In fin dei
conti, negli "Albi d'oro" del calcio, ci sarà scritto che
la Juventus nel 1985 ha vinto la Coppa dei Campioni, non
che ci sono stati 40 morti.
31 maggio 1985
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 31.05.1985
"Nel vedere giocare la finale ho provato un sentimento di
angoscia"
Carraro: "Giornata amarissima"
di Giorgio Viglino
ROMA – E’ subito il momento
delle reazioni, delle prese di posizione, dettate dallo
sdegno, dal dolore, dallo stupore per quanto è potuto accadere.
Il mondo dello sport tante volte criticato per il suo corporativismo
esasperato, appare molto unito, in senso positivo, nell'occasione
più triste. Per tutti Franco Carraro, presidente del Coni,
ha rilasciato una lunga dichiarazione che tocca i diversi
aspetti del problema. Dice fra l'altro il presidente del
Coni: "Quella di ieri per me è stata una giornata amarissima.
Non solo gli incredibili atti di violenza sugli spalti che
hanno causato le numerose vittime e i moltissimi feriti,
ma anche il fatto che per evitare ulteriori incidenti si
sia giocata la partita, laddove pochi minuti prima erano
morte tante persone, in mezzo al tifo dei sostenitori delle
due squadre, hanno suscitato in me, come credo in tutti
i milioni di telespettatori, sentimenti di angoscia e inquietanti
interrogativi. Tutto ciò è stato reso ancor più drammatico
dal fatto che, sempre per motivi di sicurezza, dopo l'uscita
dei tifosi inglesi, davanti ai soli sostenitori della Juventus,
si è svolto normalmente il rito connesso alla partita, come
il giro d'onore dei giocatori, gli abbracci, la premiazione".
Carraro giustifica o comunque comprende l'atteggiamento
di chi ha preso la decisione di far giocare il match egualmente,
né vuole trovare colpevoli sommariamente, ma muove una serie
di appunti tecnici: "Le installazioni sportive debbono essere
adeguate alle esigenze, deve esistere collaborazione strettissima
tra gli organizzatori e le forze dell'ordine, soprattutto
quando era possibile prevedere incidenti. Devono essere
rispettati criteri precisi nella vendita dei biglietti,
anche a costo di avere dei vuoti come avvenne lo scorso
anno all'Olimpico. D'altro canto penso che il nostro esempio
possa essere seguito sul piano internazionale". Il presidente
della Roma, Dino Viola, ha sostenuto che le responsabilità
vanno ripartite tra gli organizzatori, l'Uefa stessa, la
polizia e anche la stampa. Ha poi sottolineato: "è mancata
soprattutto la prevenzione. Il mio primo pensiero di fronte
a quelle immagini sconvolgenti è andato alla finale dello
scorso anno giocata a Roma, in una situazione certamente
più difficile perché la partita si giocava sul terreno di
una squadra direttamente interessata alla coppa. Io ho lavorato
per un mese a preparare la partita. Sette-ottomila posti
sono rimasti vuoti proprio per evitare ogni contatto tra
le opposte schiere. All'Olimpico non è entrato né un tifoso
ubriaco, né una lattina di birra. Quando dalla curva sud
è partito qualche oggetto sono stato io a scendere in campo
e a mettermi davanti ai tifosi: tutto è finito in un attimo".
Il presidente della federazione mondiale di atletica Primo
Nebiolo era presente alla partita: "Ho assistito impotente
a quanto è accaduto. Non potrò mai dimenticare le espressioni
di chi subiva la violenza delle orde canagliesche dei tifosi
inglesi. Lo sport italiano deve giudicare sui futuri rapporti
con ambienti sportivi e organizzativi che hanno dimostrato
di non essere in grado di controllare i banditi che si mescolano
agli sportivi". Il direttivo dell'UISP chiede le dimissioni
della presidenza dell'Uefa. "Tocca allo sport dare un segnale
di serietà, o esso perderà titolo e autorità morale". Per
Cesare Rubini uno dei massimi esponenti del basket italiano
non ci sono parole per commentare l'insufficienza della
polizia: "è uno schifo, certe cose andavano previste. I
politici usano auto blindate, e noi dovremo blindare lo
sport se non vogliamo che muoia".
31 maggio 2015
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA ITALIA 31.05.1985
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