A Bruxelles, vengono per piangere
di Mauro Benedetti
DAL NOSTRO INVIATO. BRUXELLES - "Non
abbiamo parole per esprimere lo choc e l'angoscia che ci ha
colpiti" ha detto il sottosegretario al lavoro inglese Peter
Bottomley uscendo dalla porta principale dell'ospedale militare
di Bruxelles, dopo aver reso omaggio alle salme dei morti
dell'Heysel. Con queste parole il rappresentante britannico ha
cercato di riassumere i sentimenti del suo governo per
l'accaduto nello stadio belga. Quasi contemporaneamente, il
ministro Nicolazzi diceva che secondo il governo italiano la
totale responsabilità dell'accaduto, al di là della brutale
aggressività dei tifosi inglesi, ricade sull'incapacità e sulla
disorganizzazione delle forze dell'ordine belghe. Un'opinione
che, per quanto dura, è largamente condivisa anche dalla stampa
locale, che non esita ad attaccare i responsabili dell'ordine
pubblico con parole di fuoco: "Questo drammatico episodio
suscita delle domande. Il ministro degli Interni dovrà rendere
conto e fornire spiegazioni credibili. Settecento poliziotti per
cinquantamila persone sono ridicoli. Quando manifestano i
siderurgici i poliziotti sono più dei manifestanti. Quando viene
il Papa tutti i poliziotti del regno sono mobilitati. Ma quando
migliaia di fracassatori inglesi invadono Bruxelles allora della
polizia non si vede traccia", scrive il quotidiano Le Peuple. Le
Rappel rincara la dose: "La polizia belga è intervenuta troppo
tardi quando ormai gli italiani superstiti cercavano di scappare
sul terreno di gioco". E via elencando su tutti i quotidiani
usciti oggi a Bruxelles e nell'intero Belgio. Non una riga che
ponga in evidenza eventuali responsabilità dei tifosi juventini.
Anzi, si accenna più volte al fatto che abbiano cercato di
resistere alle provocazioni. Per gli inglesi viene ripetuto più
volte il sostantivo "animals" in lingua originale. E si arriva
fino al titolo de La Nouvelle Casette "Mai più gli inglesi negli
stadi del football". Questa ondata di emotività che sfocia
nell'anglofobia ha le sue motivazioni nei trentotto corpi che
giacciono ancora nelle camere mortuarie dell'ospedale militare
cosi come vi sono stati accatastati ieri. Ma anche questo
aspetto finisce col ricadere sui responsabili belgi: "Sono sceso
a cercare fra i corpi nelle camere mortuarie quelli di alcuni
miei amici che non riuscivo a trovare - dice Giuseppe Gualino di
Avellino - e mi sono trovato di fronte allo spettacolo di corpi
ammonticchiati ancora sulle barelle, ancora sporchi di sangue
come ieri, ancora con gli stessi vestiti strappati. Non è questo
un episodio che, anche sembra voler rincarare la dose sulle
mancanze delle forze dell'ordine allo stadio, faccia onore alla
civiltà del popolo belga". Queste parole Gualino le ha mormorate
quasi senza voce nei microfoni della televisione di Bruxelles
durante un'intervista appena uscito dalle camere mortuarie.
Intanto, nell'ospedale sono cominciati a giungere i primi
parenti di vittime o di possibili vittime provenienti
dall'Italia. Dei trentotto cadaveri, infatti, ventotto sono
certamente identificati come di italiani, cinque si presume lo
siano e questa presunzione è dovuta alla corporatura e al tipo
fisico. Due sono belgi, due francesi ed uno inglese.
Quest'ultimo non proveniva da Liverpool ma è un dipendente della
Comunità Europea che abita a Bruxelles ed era andato allo stadio
per vedere la partita mescolato fra i tifosi cosiddetti
neutrali, quelli che avrebbero dovuto separare le falangi
britanniche dalla tifoseria bianconera. Il meccanismo
dell'aggressione dei fans del Liverpool è stato ricostruito con
precisione: dapprima hanno cominciato a lanciare sui tifosi
juventini dai quali erano separati da un muretto di cemento e da
qualche spettatore neutrale, le lattine della birra dapprima
vuote, poi semipiene, poi piene del tutto. Anche su questo punto
è stata rivolta, da parte della stampa belga, una dura critica a
chi ha permesso la vendita di bevande alcoliche e soprattutto in
lattine nei dintorni dello stadio. Dopo i proiettili gli inglesi
sono passati alla vera e propria aggressione. Si sono lanciati
in massa contro la recinzione abbattendola e schiacciando i
tifosi bianconeri in un angolo dello stadio, il cosiddetto
settore "Z" dove il parapetto in cemento ha ceduto sotto la
pressione della folla facendo rotolare a terra tutti coloro che
vi si trovavano schiacciati contro. Sono state proprio queste
persone, sepolte dalle altre, calpestate e lacerate, a essere
annoverate nel conto delle vittime. I feriti si contano a
centinaia. Ancora adesso non è possibile stabilire esattamente
quanti siano: si dice 200, 250, 300, ma nessuno conosce le cifre
esatte. Di essi, alcuni sono effettivamente molto gravi e non si
sa se riusciranno a superare la giornata. Il primo ministro
belga, Maertens, all'uscita dall'ospedale, non ha ritenuto di
rivolgere alla miriade di giornalisti presenti frasi
intelligibili almeno in francese. Ha concesso un'intervista in
lingua fiamminga ad una televisione locale, dopodiché si è
allontanato. Ma non sembra, almeno a giudicare dalle
dichiarazioni ufficiali, che le autorità belghe si sentano
particolarmente responsabili: c'è chi sostiene che tutti quei
poliziotti per una partita di calcio a Bruxelles non si erano
mai visti, forse dimenticando che a Bruxelles non si erano mai
visti tutti quei tifosi e soprattutto che tipo di tifosi da
parte britannica per la medesima partita. C'è anche chi afferma
che "non si poteva mandare tutta la polizia belga allo stadio".
Sono frasi che chiaramente fanno intendere come da parte delle
autorità non ci sia assolutamente la sensazione di essere in
qualche cosa colpevoli ed è ben singolare che lo stesso ministro
degli Interni, Charles Ferdinand Nothomb dichiari che tutto
quello che era stato stabilito per mettere la partita in
condizione di svolgersi correttamente è stato fatto e che lui
pensa che un migliaio di persone fossero più che sufficienti per
l'ordine pubblico. Mentre c'è anche chi sostiene che i
poliziotti non fossero più di settecento. Il presidente federale
dell'Unione belga del football, Louis Wuters, ha dichiarato che
non poteva mobilitare tutta la gendarmeria del reame per
assicurare l'ordine in un incontro di calcio. E' in queste
condizioni che i parenti delle vittime italiane stanno giungendo
in queste ore a Bruxelles. Si trovano di fronte un ferreo
servizio d'ordine, questa volta efficientissimo, che sbarra
inesorabilmente le porte dell'ospedale e soltanto dopo la
presentazione dei documenti e la citazione del nome del parente
o dell'amico che si presume essere ferito o deceduto possono
varcare questa specie di sbarramento.
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 31.05.1985
di Mario Sconcerti
BRUXELLES - La polizia di Bruxelles ha
capito che sarebbe stato un giorno lunghissimo quando alle
quattro del pomeriggio ha avuto l'ordine di far evacuare la
Grande Place. Centinaia di tifosi inglesi hanno cominciato così
il loro cammino verso lo stadio inondando rumorosamente i vicoli
della città vecchia e lasciando sulla piazza un'autentica
moquette di lattine di birra. Lungo la strada tre furti e i
primi segni di violenza. Gli inglesi si muovono a ondate, gli
italiani a piccoli gruppi. Un'ora dopo il primo scontro, un
duello all'arma bianca tra due ragazzi, per fortuna appena
accennato. Alle 18,15 però accade qualcosa di molto più serio.
Un hooligan e un tifoso juventino si affrontano a coltellate:
l'inglese stramazza al suolo gravemente ferito. Sarà il primo
dei 375 ricoverati. L'episodio accade in Place Roger e non ha
molti testimoni. Lo stadio è lontano e già quasi tutto pieno.
Difficile pensare che possa aver funzionato da scintilla. Al
Park Heysel i germi della violenza stanno nascendo a frotte e
brillano di luce propria. Lo stadio è davanti all'Atomium. Le
sue nove sfere cadono proprio in faccia alla curva occidentale,
divisa in due settori. Gli organizzatori hanno lasciato tutto il
settore "X" agli inglesi. Gli ultrà juventini sono sistemati
dall'altra parte dello stadio. Le gradinate del settore "Z",
quello di fianco agli inglesi, sono previste per gli spettatori
belgi, tifosi neutrali condannati a funzionare in teoria da
cordone sanitario spontaneo. I biglietti però sono finiti in
gran parte in mano ai bagarini che hanno fatto affari d'oro
riciclandoli in Italia. In pochi minuti scompare così quello che
era stato giudicato dalla polizia l'unico angolo di respiro e
come tale praticamente non presidiato. Dal canto loro i reds
stanno letteralmente invadendo il loro settore. I controlli sono
scarsi, quasi assenti. Polizia e gendarmi sono molti, ma
sembrano tutti occupati a controllare le zone intorno allo
stadio. Decine e decine di inglesi entrano direttamente sulle
gradinate camminando su grandi assi di legno arrivate lì chissà
come. Alle 18,30 il loro settore già scoppia di gente. Cantano,
bevono e guardano con sempre più avidità lo spazio semivuoto che
si allarga sul loro fianco. Pochi minuti ancora e scoppia il
primo grave incidente. Un tifoso italiano con la bandiera
neonazista si scaglia contro un gendarme colpendolo ferocemente:
due fratture, spalla e polso. Ci sono sempre più grida, più
tensione e sempre più lattine di birra che vanno ad
ammucchiarsi. Alle 19 un'altra grave scintilla. Un signore belga
si accascia improvvisamente. Accade in un attimo, forse nessuno
vede niente. Si scopre solo dopo qualche minuto che ha una
ferita da coltello sul ventre. Gli inglesi cominciano ad
infiltrarsi sempre più nel settore "Z". Saltano a piccoli
gruppi, sono quasi tutti giovanissimi e vanno a provocare. La
rete di recinzione è sempre più presa d'assalto. Bande armate di
mazze di ferro cominciano a cercare di abbatterla. E' il segnale
della rabbia. In pochi attimi quell'unica fragilissima barriera
viene letteralmente travolta. Decine e decine di hooligan si
gettano urlando nell'altro settore. Non c'è battaglia, solo
violenza sempre più cieca e sempre più bestiale. Gli italiani
assaliti non reagiscono, nessuno di loro è un guerriero da
stadio. Quei biglietti sono stati venduti fuori dalla tifoseria
ultras. Sono tutte famiglie, ognuno pensa solo a riparare
l'altro. I reds si scatenano, vengono avanti ad ondate, lanciano
sassi, hanno mazze di ferro, pezzi di bottiglia, soprattutto
sono esaltati dalla fuga del nemico. Alle 19.24 cinquemila
tifosi italiani si spingono furiosamente a vicenda cercando una
via di uscita. Le porte d'ingresso sono due, ma sembra siano
chiuse dall'esterno per motivi di sicurezza. Davanti hanno le
reti di recinzione del campo, alle spalle un muro alto due metri
che scende dalla cima della gradinata fino a terra.
Travolgendosi l'uno con l'altro, come una marea auto
devastatrice, si spingono tutti nell'ultimo angolo di stadio
possibile. In cinquemila si ritrovano tra muro e filo spinato,
in cinquemila travolgono tutto. Il muro crolla di schianto, la
gente cade con violenza una sull'altra. Una pila tragica e
grottesca di corpi che non possono respirare mentre gli altri
vanno ad uccidersi sul filo spinato. Alle 19.32 cala su tutto un
silenzio lunare, assoluto, tremendo. Sulle gradinate ci sono
centodue persone che non danno cenni di vita, trentanove
moriranno. Succede di tutto. Panico, orrore, tragedia, perfino
farsa. Mentre si organizzano i soccorsi la polizia arresta uno
sciacallo. Stava rubando la macchina fotografica ad un cadavere.
Giovani inglesi intanto pisciano e fanno smorfie sui corpi senza
vita di altri tifosi. La città finalmente si mobilita. Vengono
requisiti tutti i taxi, si fanno appelli a tutti i medici di
Bruxelles disponibili. Il traffico è bloccato, in una città
grande quasi quanto Milano possono circolare solo le ambulanze e
chiunque trasporti feriti. Alle 21.03 sono ricoverate
trecentosettanta persone. Si decide che la partita deve essere
giocata per motivi di ordine pubblico. In realtà si aspettano i
reparti di pronto intervento che sono stati chiamati da tutto il
Belgio. Alle 23.30 quando la partita finisce, duemilatrecento
agenti incanalano la gente lungo tetri corridoi di camion e li
accompagnano guardati a vista fino ai pullman. Si teme che molto
possa ancora succedere. La città è in stato d'assedio. Per le
strade non un'anima viva. Tutta Bruxelles ha visto il massacro
in diretta alla televisione. Tutti hanno paura che si scateni
adesso la caccia all'uomo. La tragedia sembra però finalmente
aver placato tutti. Masse di tifoserie si ritrovano alla
stazione centrale e all'aeroporto. Qualcuno grida, qualcuno ha
ancora la forza della rabbia, ma quasi dovunque c'è un silenzio
sgomento. La notte si chiude con otto arresti, tutti inglesi.
Sono accusati di brutalità ed atti osceni. Uno è stato chiuso in
una camicia di forza e portato direttamente in manicomio.
All'alba i battelli da Ostenda cominciano a riportare gli
inglesi nella loro terra. Pochi minuti dopo all'ospedale
militare sei medici legali iniziano le autopsie sui cadaveri.
Alle 7 il sole è ormai alto. La polizia allenta la morsa. "La
notte è passata senza che sia successo nulla" segnala. E sembra
quasi vero.
31 maggio 1985
Fonte: La Repubblica
ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 31.05.1985
Altri due identificati
di Mauro Benedetti
Una ragazza di 17 anni e un emiliano. Il
totale dei morti italiani è di 31.
BRUXELLES - Alle 12.35, con cinque minuti
di ritardo sull'orario previsto, l'aereo militare proveniente da
Bari e Roma, dopo aver fatto scalo a Torino per raccogliere i
parenti delle vittime dell'Heysel, è sceso sulla pista
dell'aeroporto di Bruxelles con il suo carico di pianto. Dalla
scaletta sono scese persone col viso stravolto dal dolore che
sono state accolte dagli incaricati del consolato italiano, che
le accompagneranno immediatamente all'ospedale militare dove
sono raccolte le salme dei morti e dove si trovano ancora alcuni
feriti. Nel pomeriggio, non si sa ancora a quale ora, questo
aereo dovrebbe ripartire con le bare e i parenti che le
accompagneranno in Italia. Intanto, il lungo elenco delle
vittime è stato completato. Sono trentuno i morti italiani,
tutti quelli già noti, più le ultime due salme identificate
soltanto oggi: una è di Giuseppina Conti, 17 anni, l'altra di
Claudio Zavaroni, 29 anni, proveniente da Reggio Emilia. Con il
riconoscimento definitivo delle vittime si chiude qui a
Bruxelles la parte più dolorosa di questa tragedia. Ma la città
e il Belgio intero non hanno dimenticato. Si chiedono a gran
voce le dimissioni del ministro degli interni Nothomb e del
borgomastro di Bruxelles Brouhon, che sono indicati come i
principali responsabili della strage. Le difese dei due politici
appaiono insufficienti sia all'opinione pubblica belga sia alla
stessa autorità giudiziaria che sta indagando sui fatti. Dalle
ultime ricostruzioni, infatti, appare ormai inequivocabile che
fra i due gruppi di tifosi, sulle gradinate dell'Heysel, ci
fossero non più di dieci poliziotti. Per inciso, è da ricordare
che durante il match Anderlecht-Tottenham del 1984 lo stesso
punto dello stadio era presidiato da duecento gendarmi per ogni
lato della rete.
31 maggio 1985
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 31.05.1985
C'è aria di tempesta sul Liverpool per
cinque anni niente coppe ?
di Angelo Caroli
DAL NOSTRO INVIATO. BRUXELLES - Tira aria
di bufera per gli inglesi quassù in Belgio. L'opinione pubblica
è tutta contro i teppisti di Liverpool. "La Lanterna",
quotidiano politico della capitale, ha inviato ieri mattina
questo messaggio molto eloquente ai suoi 400 mila lettori:
"Speriamo che gli inglesi vengano cacciati via per sempre dai
nostri stadi". Questa è solo la nuvola che preannuncia il
temporale. Ieri mattina si è riunito infatti presso la sede
dell'Uefa di Rue Gumard una commissione consultiva cui hanno
partecipato il presidente della Federazione portoghese Risida,
il delegato ufficiale della D.D.R. Schneider e il delegato
danese Hyldstrup, cui si sono aggiunti nel pomeriggio il
presidente dell'Uefa Georges, il segretario Bauhgartner,
l'addetto stampa Rottembuhler. Ospite speciale il presidente
della Federazione Calcio belga, Louis Wouters, il quale, al
termine della seduta, ha dichiarato molto esplicitamente:
"Credo, e questo è il mio pensiero personale, che a tutte le
squadre inglesi verrà vietato di partecipare a manifestazioni
internazionali per la durata di tre anni, e al Liverpool per
cinque. Abbiamo rivisto attentamente il filmato della tragedia
di mercoledì sera ed è emerso chiaramente che ogni
responsabilità ricade soltanto sui tifosi inglesi". La sentenza
verrà emessa il 2 luglio, cioè due giorni prima che vengano
sorteggiati gli accoppiamenti delle tre Coppe europee. I "reds",
in base alla responsabilità oggettiva, dovranno certamente
rinunciare già quest'anno alla Coppa Uefa. Tale punizione (i
cinque anni previsti da Wouters) sarebbe il minimo per castigare
gli atti barbarici commessi all'Heysel. Per completare il quadro
poco confortante per i britannici, c'è una dichiarazione da
parte del ministro degli Interni belga Nothomb, il quale, al
termine di un summit tenutosi ieri pomeriggio ha promesso che
"si adopererà, al limite delle sue competenze e delle sue forze,
per convincere gli organi calcistici nazionali ad interdire
tutti i club inglesi in modo che non possano più disputare
partite sul suolo belga". Tutto bene. Ma una domanda si fa largo
rabbiosa: perché non si è arrivati prima a queste conclusioni,
sapendo quali sono da anni i costumi dei supporters della Gran
Bretagna ? Se si fosse anticipata una conclusione esemplare del
genere, a quest'ora non saremmo qui a piangere tanti morti. La
città si è intanto svegliata con un volto diverso. Le strade
sono quiete, com'erano prima della "calata" degli inglesi. I
negozi, i bar, le banche, i mercati, le piazze, i cinema e i
supermercati hanno ripreso la consueta animazione. Non aleggia
più il timore di essere turbati da quelle terribili presenze. Le
ragazze ora camminano lungo i viali della capitale senza
apprensione e non temono più di essere aggredite secondo riti da
"arancia meccanica". Messaggi, frattanto, arrivano anche da
portavoce inglesi, come quello del segretario del Liverpool
Robinson, il quale, dopo un sopralluogo alla famosa curva "Z"
della stadio Heysel e poco prima di partire per l'Inghilterra,
ha dichiarato con ipocrisia frammista a cautela: "Non me la
sento di prendermela con i miei tifosi". Vorremmo chiedere a
Robinson con chi dovrebbero prendersela i parenti delle vittime.
Il dirigente dei "reds" ha proseguito: "Mi domandate se saremo
radiati ? Non so, la violenza attecchisce dovunque e tutto il
mondo è paese". Un bell'esempio di chiarezza e di senso della
verità... Più critico è invece l'ambasciatore inglese a
Bruxelles Jackson, il quale ammette di essere affranto dal
dolore: "Sono solidale con le famiglie delle vittime, con la
città di Bruxelles e con gli italiani. Si prevedevano incidenti,
ma non cosi violenti e tanto in anticipo rispetto all'inizio
della partita. Siamo costernati, interverremo, faremo il
possibile". In questi giorni l'onorevole Matarrese, presidente
della Lega nazionale calcio, è rimasto nella capitale belga per
portare conforto ai parenti delle vittime. Non ha dormito per
due notti. E' stato a lungo sotto choc. E' ripartito solo ieri
sera per l'Italia. Quel muro che si abbatte sotto la pressione
dei teppisti inglesi e quella rete che avvolge le vittime in un
abbraccio mortale ricorrono nella sua rievocazione con
ripetitività ossessiva. E sono flash back. "E’ stata
un'esperienza terribile, penso che tutta l'Europa debba prendere
le distanze da questa parte sportiva dell'Inghilterra - dice con
un filo di voce il presidente della Lega - se non corriamo ai
ripari comincerà la fine del calcio nel vecchio Continente, e
ogni squadra preferirà rimanere chiusa nel proprio orticello.
Bisogna dunque cercare le cause di queste brutture commesse dai
tifosi del Liverpool. Il comportamento di un individuo
all'estero di solito è il riflesso di situazioni in cui vivono i
soggetti stessi nel loro paese. E quel comportamento avrebbe
dovuto essere analizzato bene dalle autorità competenti. Però
anche noi siamo consapevoli che queste brutture esistono e non
abbiamo mosso un dito per evitarle, per prevenirle. Siamo perciò
tutti colpevoli. Quei morti li abbiamo tutti sulla coscienza".
Dal comportamento dei "reds" a quello degli italiani, che sono
apparsi sempre tranquilli, ben disposti, poi vittime, infine
disperati ma con dignità, adirati ma capaci di incredibile self
control durante quei terribili momenti di mercoledì sera. "E’
vero - continua Matarrese - ai tifosi italiani ho detto che
avevano dato un esempio di civiltà, in quei momenti di terrore.
Con la morte nel cuore, quella povera gente ferita nel fisico e
nell'amor proprio ha salvato quel mercoledì da una tragedia. E'
incredibile come gli italiani si ritrovino negli attimi di
necessità. Prima della partita erano venuti davanti alla
tribuna, a contestarci. Chiedevano di salvare il calcio. Li ho
abbracciati, sono stati secondi di silenziosa e significativa
intesa". "Poi la visita in ospedale - conclude il presidente
della Lega - fotogrammi impressionanti di visi cianotici e
sfigurati, di braccia sollevate come in un disperato atto di
fuga verso una salvezza improbabile. Un ragazzo aveva fra le
mani un passaporto nuovo, forse era il suo primo viaggio
all'estero. Il padre si avvicina e dice singhiozzando: la mia
vita è finita lassù in quella curva. Un altro signore sembra
impazzito, continua a ridere, mentre fissa fuori dalla finestra
ricordando a se stesso che suo figlio non c'è più. Terribile !".
Passano le ore, i giorni. Quella notte di scelleratezza inglese
ci accompagna ancora, come un assurdo sogno che purtroppo ha
mietuto tante vittime.
31 maggio 1985
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 31.05.1985
Nella tragica serata la Juve s'è fatta
ammirare dall'Europa
di Bruno Perucca
DAL NOSTRO INVIATO. BRUXELLES - Sia pure
nelle ore difficili, amare e dolorose di questi giorni il Belgio
applaude la Juventus per la serietà e la compostezza dimostrate
mercoledì sera allo stadio Heysel. Si sottolinea quanto l'avvio
della gara sia stato psicologicamente difficile per i bianconeri
ed il modo con il quale la squadra ha saputo reggere la partenza
disinvolta dei "rossi" sino a imporre la propria personalità ed
il proprio gioco a un avversario che, attaccando con decisione,
avrebbe potuto aver ragione dei torinesi già nei primi minuti.
La storia della Juventus in Coppa Campioni si è così conclusa in
una serata tragica, con una partita che peraltro, considerata
soltanto per il gioco, è stata confortante ed interessante. Nel
torneo più importante, i bianconeri avevano esordito nel '58 con
il 3 a 1 al Comunale contro il Wiener Sport Klub, siglato da tre
gol del Platini di allora, ovvero Enrique Omar Sivori. Da allora
a mercoledì sera erano 99 le reti messe a segno dai bianconeri
nella Coppa dei Campioni. All'Heysel la centesima, la più
attesa, ha portato la firma di Michel, il quale non ha avuto
incertezze nel battere dal dischetto il pallone decisivo alle
spalle di Grobbelaar. Non è stata una partita facile, per
questioni di ambiente, di una serata molto particolare in tutti
i sensi. Ci pareva francamente difficile per non dire
impossibile che i bianconeri riuscissero a reggere a tanta
tensione, a tanto dolore. Merito della squadra di Trapattoni
l'essere riuscita ad essere se stessa nel momento più delicato
della sua ormai lunga carriera europea. A tenere su il morale di
tutti, subito, sono stati i vecchi cardini. Scirea, "capitano"
tranquillo, quindi Bonini il quale è riuscito a prendere le
misure del più temibile e concentrato degli avversari, quel
Dalglish che aveva assunto i compiti di regista e di
organizzatore del gioco, l'uomo dal quale si iniziavano quasi
tutte le manovre di attacco. Poi è emersa la personalità di
Platini, salito via via di tono sino a diventare il perno del
gioco, sia in attacco che in fase di copertura, mentre in avanti
Boniek con il suo movimento teneva sulla corda la difesa
avversaria che capiva subito di non potersi concedere la minima
distrazione. E con il francese era entrato in partita in modo
determinante Tacconi: per il portiere, l'epilogo della stagione
è stato favorevole. Vederlo muoversi con tanta serenità, vederlo
dare sicurezza a tutta la squadra è stato confortante per
Boniperti e per Trapattoni, e convincente per quella frangia di
pubblico non torinese che non lo conosceva. Questo è più o meno
il riassunto dei commenti che adesso la stampa belga trova
spazio di fare, dopo aver ovviamente lasciato, e purtroppo
giustamente, la partita in un angolo con tutto quello di tragico
che è accaduto nello stadio mercoledì sera. Per la Juventus,
questa vittoria rappresenta la consacrazione definitiva ai
vertici dei valori europei. Tre grosse vittorie internazionali
in un anno - Coppa Coppe, Supercoppa, Coppa Campioni - hanno
compensato il campionato deludente e sono un dato
incontrovertibile. Ed aver ottenuto negli anni la vittoria nelle
tre manifestazioni continentali è un risultato di notevole
prestigio visto che sinora altre squadre italiane pur con un
gran numero di successi europei, non sono riuscite a fare
altrettanto. Mancava questa vittoria, ai bianconeri, per
chiudere al meglio un ciclo e ripartire verso un altro che
chiede un rinnovamento magari anche profondo (dipenderà dalla
campagna acquisti-cessioni) non soltanto in fatto di uomini,
comunque, ma soprattutto per impostazione tattica. Trapattoni
con ogni probabilità inizierà la prossima stagione - per la
quale è stato da tempo riconfermato - con problemi tattici
nuovi. Con schemi da rivedere. Una nuova avventura che al
tecnico piace, appassionato com'è nell'affrontare e risolvere
problemi di inquadratura della squadra, di stagione in stagione.
Il ciclo bianconero si riapre, mentre si chiude - per motivi
legati al comportamento dei suoi tifosi senza freni e senza
coscienza - quello del Liverpool. Era stato comunque facile
restando sul piano del gioco prevedere alla vigilia che una Juve
decisa - pur se non al meglio sul piano della condizione fisica
di alcuni suoi elementi - avrebbe potuto vincere partita e Coppa
giocando con coraggio e con decisione. Adesso da Bruxelles
l'Europa, sia pure in un momento così triste, applaude la
Juventus che dovrà mediare ancora di più in futuro questi
consensi.
31 maggio 1985
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 31.05.1985
Il francese spiega la sua reazione
Platini: "dopo il gol ero contento"
Continua il giocatore: "I primi minuti sono
stati difficili, ma poi siamo entrati nel clima della partita. I
nostri salti di gioia dopo il rigore erano sinceri. L'amore per
il calcio ci ha fatto dimenticare tutto".
"Ieri mattina ho visto alla televisione
tutto quello che è successo: sono inorridito. Mercoledì sera,
mentre attendevamo negli spogliatoi se giocare o no, eravamo
informati di quello che stava accadendo al di fuori ma con le
idee inevitabilmente confuse perché non c'era la possibilità di
constatare quanto stava succedendo". Ciò nonostante, Michel
Platini è stato fra i più tenaci assertori dell'opportunità di
non giocare la partita con il Liverpool. Che cosa l'ha convinta
del contrario ? "Inizialmente, mi sembravano giuste le pressioni
e le proteste dei nostri tifosi, i quali non volevano
assolutamente che scendessimo in campo. Più tardi, però, ho
dovuto convincermi che la decisione adottata dall'Uefa era
giusta perché se gli spettatori fossero usciti tutti insieme
dallo stadio si sarebbe scatenata un'ulteriore caccia all'uomo.
Adottando tale provvedimento, credo invece che l'Uefa abbia
salvato il calcio". - Qualcuno ha provato stupore per i vostri
salti di gioia dopo il gol. "In quel momento in noi la felicità
è stata effettivamente più forte di ogni altra sensazione". -
Con quale stato d'animo vi siete portati sul terreno di gioco ?"
I primi minuti sono stati difficili ma poi siamo entrati nel
clima della partita. Forse sarà stato diverso per il portiere,
un tipo di giocatore che viene chiamato in causa soltanto
sporadicamente. Probabilmente lui ha avuto modo di riflettere
maggiormente su quello che era accaduto". - Da più parti si
rinnova la proposta di bandire gli inglesi dagli stadi d'Europa.
"Ma i giocatori non ne possono niente: ad essi dev'essere data
la possibilità di giocare. Piuttosto si dovrebbero bloccare i
loro tifosi". - Dopo aver realizzato il rigore della vittoria,
ha pianto ? "No, ero semplicemente contento per quelli che erano
rimasti nello stadio. In questi casi, si deve avere la forza di
tirare avanti, è la legge dello spettacolo". - Che cosa vuol
dire per la Juventus aver conquistato questa coppa ? "Provare
una grande gioia per il successo. Sul piano sportivo è come se
non fosse successo nulla. L'unica differenza è che non possiamo
certamente concederci all'esultanza. Non c'è festa, insomma, a
causa della tragedia accaduta. Per quanto riguarda il calcio,
però, c'è la consapevolezza che questo successo prestigioso è
andato finalmente alla Juve". - Che cosa accadrebbe se vi
toccasse di giocare con l'Everton la prossima finale ? "Non
sarebbe possibile perché dal prossimo anno tale partita verrà
disputata a Montecarlo e nel Principato non vogliono gli
inglesi". - Con la tragedia che si stava consumando ai bordi del
campo, le due squadre non potevano trovarsi in condizioni
normali. Quale processo psicologico ha fatto sì che il
rendimento dei giocatori si avvicinasse a quello tipo ? "Il
nostro stato d'animo era difficile, angoscioso, ma anche quello
degli inglesi non era diverso. Con il trascorrere dei minuti è
stato l'amore per il calcio a farci dimenticare tutto". - Che
cosa si prova a giocare in uno scenario simile ? "Tremendo. Gli
spettatori divisi, le due squadre che entrano in campo da punti
diversi, tutti quegli sbarramenti: sono state sensazioni
pesanti, dolorose, sembrava di essere in guerra". - Nel vostro
cuore che cosa resterà di questa giornata ? II ricordo della
Coppa o il dolore per le vite umane che sono state sacrificate ?
"Nella vita si scorda tutto in fretta, anche d'aver vinto una
Coppa dei Campioni. Soltanto chi ha perso amici o persone care
non potrà mai dimenticare quella terribile data". p. c. a.
31 maggio 1985
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 31.05.1985
di Angelo Caroli
Bruxelles non si è ancora riavuta dal
trauma. Il presidente dell'Uefa: "Le misure contro il Liverpool
saranno severissime perché mercoledì sono morti anche il
football e lo sport".
DAL NOSTRO INVIATO. BRUXELLES - La capitale
belga non si è riavuta dal trauma di mercoledì notte. E come
potrebbe ? La gente pensa alle vittime dello stadio Heysel e si
commuove. C'è chi piange in continuazione. Quello di mercoledì
sera, infatti, è un lutto che coinvolge tutti. Nei bar, nei
ristoranti, nei circoli, sul taxi non si parla d'altro. Domande
e risposte si intrecciano con cadenze sempre molto tristi. Gli
ospedali dove sono stati ricoverati i feriti e trasportati i
morti sono il punto d'arrivo di lunghe e silenziose processioni
di dolore. La tragedia è assurda. Ci si chiede perché si debba
morire per il calcio. E se sia giusto tollerare ancora, senza
intervenire con atti tempestivi, quella violenza che, come un
demone che non perdona, sembra impossessarsi sempre più degli
stadi. Gli interrogativi, tuttavia, non riguardano soltanto la
causa remota della tragedia, ma motivi più immediati, come
l'insufficienza assoluta delle forze di polizia che hanno avuto
anche il torto grave (forse sotto la spinta di una incompleta
programmazione) di sottovalutare l'avvenimento. E la Uefa,
l'organo a cui è rimesso ogni atto organizzativo della Coppa dei
Campioni, perché ha agito con tanta leggerezza, dando
disposizioni che all'atto pratico si sono rivelate patetiche,
del tutto inconsistenti e inadeguate ? Questo atteggiamento si
aggrava anche alla luce dei precedenti di cui si sono macchiati
negli ultimi anni i teppisti di Liverpool. La realtà, infatti,
si conosce da tempo. Domande inquietanti, sospetti legittimi,
sfiducia, desiderio di giustizia, si mescolano al senso di
impotenza da cui si è paralizzati. L'Uefa rifiuta i processi,
anzi, essa stessa parte all'attacco e pone l'accento sui
progetti disattesi dalle forze dell'ordine. Il borgomastro della
città, Hervé Brouhon si asciuga il sudore sotto il calore delle
telecamere e improvvisa una conferenza stampa per manifestare il
proprio dolore per "una tragedia cosi grande". "Ho fatto il
possibile - dice - tutti noi lo abbiamo fatto. Avevamo previsto
movimenti di turbolenza durante e dopo la gara. Nessuno però
immaginava quell'esplosione di atti sconsiderati prima del match
di cui si sono resi protagonisti gli inglesi. In questo senso ci
eravamo orientati, anche per seguire la linea di comportamento
suggerita dall'Uefa, che ci ha presentato un piano preciso,
puntualmente rispettato. Nessuno aveva messo in preventivo che
tre quarti d'ora circa prima della finale succedesse
quell'inferno. Situazioni particolarmente violente, che sono
andate ben oltre le aspettative. Pura fatalità. Dopo il crollo
del muretto con la rete di recinzione, abbiamo cercato in ogni
modo di aiutare i feriti. E ora sono qui che piango con voi, e
partecipo al lutto terribile che ha sconvolto tante famiglie".
Qui non si tratta di usare metodi manichei, per cui le colpe o
le ragioni provengono da un'unica direzione. Anche
l'organizzazione Uefa, perciò, è sotto accusa. Se, infatti, la
polizia ha mostrato limiti esecutivi, dall'Uefa sono partite le
disposizioni. Jacques Georges, presidente del massimo organo
calcistico europeo, è visibilmente contrariato e replica alle
insinuazioni con fermezza, precisando che "attraverso frequenti
riunioni abbiamo fatto conoscere i nostri piani operativi alla
polizia. Bisognava, in parole povere, dividere i tifosi italiani
da quelli inglesi (divisi ma non nello stesso settore, bensì una
parte in una curva e l'altra in quella opposta, ndr). Purtroppo,
le forze dell'ordine invece di essere in quel punto tragico
stazionavano altrove, e in quel settore i fans inglesi hanno
attaccato e schiacciato gli italiani contro il muro e la rete. I
rinforzi sono arrivati, ma era troppo tardi. Si tratta di una
tragedia immane, che ci riporta ai tempi di Marcinelle con tutte
quelle vittime in miniera. Una tragedia che ci fa meditare e di
fronte alla quale prenderemo misure severissime. Simili follie
non sono tollerabili. Ripeto, l'organizzazione Uefa non ha
responsabilità. Una commissione apposita sta lavorando per
accertare eventuali colpe. Dopo di che ci sarà una decisione
immediatamente esecutiva. E chi ha sbagliato pagherà".
Bruxelles, insomma, è investita da un'ondata di commozione e di
sdegno. C'è gente adirata, che non è più disposta a tollerare
pazzie di massa nel calcio e vuole salvaguardare uno degli sport
più popolari d'Europa, tutelando la vita di chi, con la gioia
sul volto, si reca allo stadio per soddisfare un hobby
innocente. Se da un lato c'è da sottolineare l'inettitudine di
una macchina operativa che non ha potuto funzionare o che non ha
funzionato bene, dall'altra c'è la barbarie di un gruppo ben
identificato di folli da estirpare dai campi di calcio. In che
misura pagherà il Liverpool ? Verrà estromesso (responsabilità
oggettiva) dalle manifestazioni continentali per l'85-86 (Coppa
Uefa nella fattispecie) e interdizione per i bravacci di
Liverpool a frequentare per molti anni gli stadi ? "Non so dirvi
quale sarà l'esito del processo disciplinare a carico del club
inglese - conclude il presidente dell'Uefa - posso anticiparvi
però che le misure saranno severissime, in proporzione a un
dramma che ha sconvolto la notte del 29 maggio. Mercoledì sera,
infatti, sono morti, insieme a quelle povere vittime, il
football, lo sport e l'umanità". C'è da augurarsi che dietro
alla retorica, puntualmente e comprensibilmente legata ad eventi
tanto gravi, ci sia la ferma volontà di reagire e di evitare che
il seme maligno della violenza germogli di più. In nome di
questa speranza si riesce a placare un po' il dolore per una
tragedia tanto grande.
31 maggio 1985
Fonte: Stampa Sera
Il giorno dopo nello stadio degli orrori
di Bruno Perucca
Sugli spalti drappi bianconeri
insanguinati, trombette, resti di bottiglie - Mazzi di fiori sui
gradini della curva dove è avvenuto il massacro.
DAL NOSTRO INVIATO. BRUXELLES -
Il teatro degli orrori, e
dei tragici errori, è stato riaperto ieri pomeriggio dopo le
14.30. Siamo tornati allo stadio Heysel col groppo in gola, per
cercare di capire qualcosa di più degli irragionevoli
avvenimenti della sera prima. Due giornalisti italiani, molti
colleghi inglesi (anche la BBC e operatori fotografici), qualche
curioso, immancabile in momenti come questi. Siamo stati ammessi
a vedere da vicino il settore "Z", quello della terribile
carneficina, ma con una raccomandazione: "Per favore, visite
brevi, restare sulla pista, non raccogliere oggetti, fotografie
con misura". Abbiamo fatto parte del secondo gruppo di
autorizzati. Otto persone accompagnate da un capitano della
gendarmeria, walkie-talkie appiccicato all'orecchio, tutto
pulito e lustrato attorno e dentro allo stadio, sparite le
macchie di sangue davanti all'Heysel: hanno fatto molto prima a
cancellare queste tracce che a ricomporre i morti all'obitorio
militare. Unica fetta di gradinata lasciata così, con drappi
bianconeri insanguinati a terra, bottiglie rotte, trombette,
berrettini, scarpe, panini sbocconcellati o ancora avvolti nel
cellophane, rotoli di carta igienica da gettare sul campo come
grosse stelle filanti a buon mercato, quella della drammatica
fuga e di tanti morti. Tutto testimonia ancora l'accaduto, ne
conferma l'agghiacciante meccanica. L'abbiamo ricostruita a
fianco del commissario Meura, il responsabile della sicurezza
allo stadio: un uomo cortese, chiaramente imbarazzato,
sinceramente commosso e distrutto dagli avvenimenti. "Ecco, sono
partiti di lì, ed indica la leggera rete metallica che divideva
a metà i due blocchi della stessa curva, e che ora è a terra,
prima piegata quindi divelta e calpestata. Al di là di quella
che è ormai una traccia, nella zona del Liverpool, migliaia di
lattine e bottiglie di birra e Coca Cola, molte spezzate,
pietre, aste di bandiera. Altri oggetti e spezzoni sono sulla
pista, gettati per vandalismo puro. I proiettili che hanno
originato la paura di chi poi è fuggito uccidendosi ed uccidendo
sono di qua, verso la zona poi invasa. Solo il fatto che in uno
stadio siano state lasciate entrare migliaia di bottiglie di
vetro è già una prova della colpevolezza precisa di chi non ha
preso le necessarie precauzioni. In fondo allo spicchio di
"curva", dove i gradoni si congiungono con la pista di atletica,
la trappola. Un muro, quello ora sgretolato che ha ceduto prima
trascinando e poi schiacciando molti giovani, e sei putrelle che
reggevano la recinzione e che la forza del viluppo di persone
urlanti ha piegato. Sono lì, curvate, a spiegare cosa è successo
se ce ne fosse ancora bisogno. Perché i tifosi del Liverpool
hanno potuto sfogare con tanta facilità la loro irragionevole
furia, perché non c'era sufficiente servizio d'ordine ? Il
commissario Meura si difende: "C'erano 400 gendarmi ed
altrettanti poliziotti nello stadio, ho visto e controllato 22
partite internazionali e mai avevamo preso tante precauzioni".
Perché a presidiare la debole rete di divisione fra i settori
non c'era una catena di agenti ? Questo ce lo ha spiegato più
tardi Luis Wouters, presidente della Federazione belga di
calcio: "Anche noi abbiamo posto questa domanda: la gendarmeria
ritiene che gli uomini isolati non servono, che sia meglio
tenere uniti i gruppi per muoverli dove sia necessario".
Mercoledì evidentemente nessuno si è accorto di cosa si stava
preparando nella zona maledetta. Ogni domanda è inutile,
pensando ai corpi nell'obitorio militare che re Baldovino ha
visitato ieri mattina dicendo in italiano una sola parola:
"Terribile". Allo stadio, già quattro mazzi di fiori sulle
macerie della curva "Z". Quelli di garofani rossi, gladioli
rosa, di ireos bianchi e rosa, li abbiamo visti arrivando, erano
stati posti al mattino. Il quarto, di margherite, l'ha deposto
con delicatezza attorno alle 15 un ragazzo romano dal nome
francese, Emilio Targia. Alto, magrissimo, gli occhi segnati e
le mani tremanti, ha raccontato: "Dovevo essere anch'io là in
mezzo a loro, ma non ho trovato un posto sul pullman del Juve
Club Roma e sono venuto in treno, finendo dalla parte opposta.
Avevamo appuntamento in pizzeria dopo la partita, alcuni non li
ho più visti. Mi ero accorto, sia pur di lontano che qualcosa
stava accadendo. Parlo inglese e francese, ho cercato di
spiegare alla polizia qualcosa: guardate, guardate davanti a
voi. Nulla da fare". Gli mette il microfono davanti un
telecronista della BBC: "Vi prego, lasciatemi stare, però i
vostri tifosi non dovrebbero più entrare in nessuno stadio".
Così il teatro degli orrori, ieri, a controllare, a verificare,
a fianco del commissario Meura il paffutello "osservatore" del
corpo dei pompieri di Londra, George Clashon, divisa nera con
alamari rossi. Era arrivato al mattino, spedito d'urgenza. Già
si stava occupando dell'inchiesta sulla tragedia dello stadio di
Bradford (l'incendio dell'11 maggio, 53 morti). Clashon ascolta,
guarda, chiede spiegazioni, è attonito: "Stavo iniziando
un'indagine con dei collaboratori sul ripetersi di incidenti
anche gravi negli stadi di calcio, ma questa è una cosa assurda,
pazzesca". Soltanto quest'anno, il calcio britannico ha alle
spalle una serie di incidenti che accusano chiaramente i fans
d'oltremanica, 40 feriti, alcuni gravi, il 13 marzo a Luton
(partita Luton-Milwall), 5 poliziotti e molti civili
all'ospedale, 50 fermi, il 25 marzo per Sheffield-Leeds, lo
stesso giorno un ferito grave in occasione di Hibernian-Aberdeen
ad Edimburgo. E nel pomeriggio dell'incendio di Bradford, due in
fin di vita attorno a Birmingham-Leeds. In passate partite delle
Coppe europee, il teppismo inglese era già stato più volte in
prima pagina. Incidenti gravi nelle città e negli stadi a
Barcellona per Dinamo Mosca-Rangers Glasgow, a Parigi per Bayern
Monaco-Leeds, l'anno scorso già a Bruxelles per la finale
Tottenham-Anderlecht (un morto fra i supporters inglesi, colpo
di pistola di un negoziante in reazione), ancora a Parigi per
Francia-Inghilterra ed a Saint-Etienne nel '77 per una visita
del Manchester United. La misura è stata purtroppo colmata
mercoledì sera. Sono previste ora sospensioni anche lunghe delle
squadre britanniche dalle competizioni europee, ma nulla potrà
far scordare la notte dell'Heysel.
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 31.05.1985
I
biglietti rivenduti ad agenzie e clubs bianconeri
Perché c'erano gli italiani in quella curva
"inglese"
DAL NOSTRO INVIATO. BRUXELLES -
Rilevata, e non poteva
essere altrimenti, la completa responsabilità del Liverpool per
la tragedia dello stadio Heysel, personaggi e istituzioni di
Bruxelles cercano di reagire alle accuse di inefficienza
lanciate loro da varie parti e segnatamente dalla stampa belga
che sottolinea il "giallo" dei biglietti del settore "Z", quello
dove si è verificata la strage. Ieri sia il presidente della
federazione calcistica belga Luis Wouters, nella conferenza
stampa nella sede di via Gulmard 14, che il commissario Meura
allo stadio, a due ore di distanza, si sono chiesti con sorpresa
- che suona come una flebile linea difensiva - perché in quel
settore al quale si accedeva con i biglietti grigi, c'erano
degli italiani, mentre sarebbe dovuto esserci del pubblico belga
a fare da cuscinetto. Wouter in particolare ha detto: "Abbiamo
venduto i biglietti a belgi dietro presentazione di documenti".
Evidentemente cittadini di Bruxelles hanno ceduto i biglietti
grigi a italiani del Belgio, questi magari ad amici in arrivo
dall'Italia. Qualche club tifoso e qualche agenzia di viaggio
quasi certamente hanno fatto delle vere e proprie raccolte
attraverso questa strada. Nulla di illegale, semmai una
speculazione sul tifo che peraltro non sminuisce le vere colpe e
le grandi responsabilità del Liverpool e del servizio d'ordine
allo stadio, che con troppa ingenuità non aveva previsto
eventualità del genere.
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 31.05.1985
Così hanno scatenato l'inferno sugli spalti
di Luciano Curino
DAL NOSTRO INVIATO. BRUXELLES -
Trentanove è il numero
dei morti della tragedia dell'Heysel. Quelli italiani sono 30
(due sono ancora da identificare), i belgi 5, un francese e un
inglese (accoltellato fuori dello stadio da un italiano prima
dell'incontro). Sono alla morgue dell'ospedale militare.
Autopsia per tutti, che è incominciata ieri pomeriggio e
continua oggi. L'autopsia anche per accertare le responsabilità:
si dice che ci sono vittime di coltello, altre strangolate.
Bisogna accertare. Meno di un centinaio di feriti ancora
ricoverati nei diversi ospedali, alcuni assai gravi (molti sono
già stati dimessi e altri trasportati in Italia ieri con un
aereo militare). Quelli in grado di parlare e che hanno superato
il trauma raccontano, e si ha anche la testimonianza di chi è
uscito illeso dalla mezz'ora infernale. Si può così ricostruire
il disastro nei particolari, alcuni atroci e che superano
l'immaginazione. Tutte le testimonianze concordano su questi
punti. Il massacro è stato provocato, se non addirittura voluto,
dagli "hooligans", che sono i teppisti inglesi e che hanno bieca
fama; ci sono stati errori, colpe della polizia: anche la stampa
belga lo rileva ed è durissima; lodevole l'organizzazione di
soccorso. Mercoledì c'era all'Heysel un settore particolarmente
critico. Era il "bloc Z", che confinava con la zona dove erano
ammassati i "reds", i tifosi del Liverpool. Allo "Z" c'erano in
massima parte italiani, dei Belgi, qualche spettatore di altri
Paesi. Per la maggior parte gente quieta, molti con moglie e
ragazzini e anche bimbi, venuta senza slogan né le grandi
bandiere e gli striscioni della tifoseria più calda. Li separava
dai "reds", in gran parte assai giovani e molti pieni di alcol,
una rete di protezione nemmeno troppo robusta. Era una
situazione esplosiva. Qui ci sarebbe voluto uno sbarramento, un
muro di poliziotti ben decisi. Invece la polizia era
praticamente assente. Ce n'era molta nella tribuna d'onore, in
quel momento ancora vuota. Alle 19.15 gli inglesi hanno
cominciato a lanciare razzi contro gli spettatori del "bloc Z" e
a lapidarli. Con sassi, bottiglie, lattine ancora piene. Panico,
urla di dolore e di terrore. La massa spinge per allontanarsi,
per fuggire. Ma gli "hooligans" premono, abbattono la debole
recinzione e sono nel settore "Z". E' un'orda selvaggia che
irrompe. Dall'altra parte c'è il terrore. Si scappa, si cade, ci
si calpesta. I "reds" incalzano, piombano su quelli più lenti,
su chi è caduto. Testimonianza di un belga: "Non c'era stata
alcuna provocazione e gli inglesi hanno cominciato a lanciare di
tutto, poi hanno sfondato la rete. Gli italiani si sono limitati
a scappare. Forse hanno ceduto al panico, ma la fuga
rappresentava veramente l'unica via di scampo". Gli inglesi
hanno bastoni, sbarre. Torcendo lattine vuote si sono fatti dei
"pugni di ferro" e ora colpiscono con furia, con demenza che
supera l'immaginazione. Colpiscono anche la testa, la faccia di
chi giace sulla scalinata con lattine piene e con bastoni, li
calpestano e con calci li fanno rotolare giù per i gradini.
Questa è una testimonianza dell'avvocato Carlo Capecci di
Perugia. Morti e feriti sugli spalti, tra sciarpe bianconere,
cocci di bottiglia, borsette, scarpe, razzi bruciacchiati,
lattine e sassi. Altri morti e feriti calpestati, schiacciati
contro la cinta di recinzione del campo nella fuga verso il
basso, giacciono sulla pista di tartan e sul prato di gioco.
Morti e feriti in maggior numero tra quelli che hanno cercato
scampo verso l'alto: il parapetto è crollato sotto la spinta,
gli italiani in fuga si sono trovati davanti quindici metri di
vuoto e vi sono precipitati. Alcuni gruppi di "ultras"
bianconeri cominciano a rispondere intanto alla violenza con
altra violenza. Tifosi in "divisa da guerriglia", coperti da
sciarpe e caschi da motociclista ingaggiano nuove risse, lanci
di oggetti, scambi di pugni e bastonate sulle gradinate e sul
campo. Dieci minuti, un quarto d'ora, e ancora non si è vista
arrivare la polizia. Finalmente i primi gendarmi e pure contro
di loro si accaniscono gli hooligans, gettano pietre, lattine,
bastoni, mentre continuano a urlare i loro slogan. Un operatore
della Bbc: "La polizia non è potuta entrare perché le porte
erano strette, e chiuse. Il caos più totale. Poi arrivano venti
gendarmi a cavallo che fanno il giro della pista a ranghi
serrati come in parata, e non cambia nulla. Quando in forze
entrano gendarmi e polizia in assetto di guerra, il disastro è
già avvenuto, nel "bloc Z" vi sono adesso solo corpi inanimati e
rovine. I reds sono rientrati nella loro zona. Il belga Alain
Pierrard: "La polizia, colpevole anch'essa, si è sforzata di
calmare gli spiriti. Gli "animals" di Liverpool si sono placati.
Come improvvisamente costernati dalla loro bestialità. Dalla
loro follia. Ma ormai era troppo tardi". Polizia e gendarmi
arrivano continuamente. Affluiscono colonne blindate e un
commando di paracadutisti. Ora il clima è da stato d'assedio.
L'opera di soccorso. Incominciano i pompieri. Subito dopo la
Croce Rossa. Rapidamente si monta un ospedale da campo sul
piazzale davanti alle tribune. E viene alzata una tenda, poi
due, tre per ripararvi i cadaveri. Si portano via morti e feriti
dal settore, ma qualcuno anche dai vicini "blocs" X e Y. Presto
non vi sono più coperte per avvolgere i troppi morti, che
restano lì ammucchiati, Una quarantina le ambulanze che arrivano
e subito ripartono, per due ore non si fermano. Anche un
elicottero per i casi più urgenti. Altri feriti trasportati in
taxi, che sono stati requisiti. Centocinquanta feriti al vicino
ospedale di Jette, dodici alla clinica Saint-Jean, cinque
all'ospedale francese, venticinque al Saint-Pierre. Alle 21
tutti gli ospedali della città sono completi e i feriti vengono
trasportati in località vicine. Appelli ai donatori di sangue.
Si chiede il plasma. All'ospedale da campo davanti allo stadio,
in un via-vai di gendarmi col casco e di poliziotti in uniforme,
continua l'opera degli uomini in grigio della Croce Rossa, degli
infermieri e dei medici in bianco, si sente la morte salire. Poi
all'ospedaletto da campo è cominciata: ad arrivare gente che
chiedeva notizie della moglie, del figlio o che supplicava di
poter telefonare a casa, in Italia, per dire che era viva. E'
arrivata anche gente pazza di dolore. Dice il belga Christian
Hubert: "Non dimenticherò mai quell'italiano che ci urlava in
faccia che sua moglie era morta schiacciata. Dice Alain
Pierrard: "Eravamo andati per una festa sportiva e siamo
piombati nell'inferno".
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 31.05.1985
Nello stadio solo 120 agenti
di Enrico Singer
DAL NOSTRO INVIATO. BRUXELLES - Le bandiere
dell'Europa di fronte al Palais Berlaymont sventolano a
mezz'asta, la città si sente colpita, umiliata, per quei
trentanove morti. Ne ha anche vergogna: l'ora dell'orrore non è
ancora finita. Ma alla rabbia comincia a intrecciarsi la ricerca
delle responsabilità, il bisogno di capire perché, come, nel
settore "Z" dell'Heysel Stadium di Bruxelles, una festa si è
trasformata in massacro. Il tribunale di Bruxelles ha aperto un
procedimento per omicidio colposo plurimo "contro ignoti". Quei
due, trecento "hooligans" che hanno dato l'assalto alla curva,
hanno lanciato mattoni, inseguito e picchiato chi cadeva, sono
partiti assieme agli altri inglesi. Le autorità belghe hanno
addirittura modificato gli orari dei traghetti del porto di
Ostenda, mercoledì notte, per evitare che prolungassero la loro
permanenza al di qua della Manica. Li hanno scortati dallo
stadio alla stazione di Jeffe con autobus requisiti. Ci sono
stati degli arresti: la polizia ne ha comunicati sedici, il
ministero degli Interni ne ha confermati soltanto dieci; Ma sono
persone bloccate all'uscita dello stadio. Tra loro quattro
italiani (già rilasciati) che erano stati fermati per oltraggio;
un inglese, Steven Jackson (l'unico di cui finora si conosce il
nome), portato via in camicia di forza ed ora in ospedale
psichiatrico, e un belga: uno sciacallo. E' accusato di avere
rubato orologio e portafogli a uno dei morti. E' stato arrestato
anche un altro italiano: avrebbe accoltellato, prima della
partita, un tifoso del Liverpool. L'unico inglese tra le
trentanove vittime. (NdR: nessun tifoso del Liverpool restò
vittima di accoltellamento, la vittima era Patrick Radcliffe, un
nordirlandese che lavorava a Bruxelles alla Commissione Europea,
perito sugli spalti dell’Heysel) Il ministro dell'Interno,
Charles Ferdinand Nothomb, ha annunciato altre tre inchieste
amministrative: una nel suo dicastero, sull'operato delle forze
di polizia, una sui soccorsi medici, una sull'intervento
dell'esercito che ha mandato duemila paracadutisti quando la
strage era già avvenuta, per controllare il pubblico che
lasciava lo stadio. E' toccato a lui fare il punto sulle
indagini, ieri pomeriggio, in una conferenza stampa: "Ho chiesto
rapporti approfonditi, minuto per minuto, quando li avrò ne
trarrò le conseguenze". Il dispositivo di sicurezza predisposto
all'Heysel Stadium è crollato come un castello di sabbia. Ha
sbandato, è rimasto passivo. Ha tardato a capire che cosa stava
accadendo: i primi italiani che hanno cercato di superare la
rete metallica verso il campo, dove poi si sono ammassati i
morti, travolti e schiacciati, sono stati manganellati. I pochi
agenti schierati hanno pensato ad un'invasione del terreno di
gioco. Soprattutto, nessuno era lungo il muretto che gli
"hooligans" hanno prima assaltato, poi abbattuto: nessuno è
intervenuto finché si era in tempo. Ma il ministro Nothomb ha
respinto le accuse. Con tono contabile ha elencato le forze che
erano state impiegate: 120 agenti all'interno dello stadio e 400
fuori, a fare da filtro. Per Nothomb "un dispositivo adeguato".
Il servizio d'ordine, ha detto, era stato organizzato con cura:
ufficiali della gendarmeria (la polizia di Stato) erano andati a
Rotterdam per la finale della Coppa delle Coppe, a vedere che
cosa aveva predisposto la polizia olandese. Erano stati anche a
Liverpool. Il risultato di questa indagine: la probabilità di
incidenti era considerata forte, fuori dello stadio, prima della
partita e, sulle gradinate, soltanto durante l'incontro o subito
dopo. "Il dramma - ha detto Nothomb - è avvenuto a un'ora
dall'inizio, quando il grosso della polizia era all'esterno. Il
primo assalto degli inglesi al settore "Zeta" c'è stato alle
19.22, il secondo alle 19.24, il muretto è stato sfondato alle
19.27: alle 19.32 sono arrivati i rinforzi della polizia ma a
terra restavano soltanto i morti e i feriti: Non si poteva
prevedere, secondo il ministro, una simile esplosione di follia
collettiva. Ma, anche senza rifare la storia della violenza
negli stadi, quella stessa mattina una banda di "hooligans"
aveva svaligiato una gioielleria nella Grande Place. Così la
polizia belga che, per la visita del Papa, aveva presidiato
Bruxelles con i blindati ("Ma c'erano state precise minacce di
attentato"), ha avuto l'ordine di seguire una linea morbida.
Perché, è stato chiesto al ministro, gli agenti non hanno
cercato di arrestare gli aggressori ? "Prima di tutto doveva
essere salvaguardata la sicurezza di 50 mila persone: non
potevamo scatenare una nuova guerra sugli spalti". La situazione
era esplosiva, certo, ma il rischio è stato sottovalutato in
partenza. Il ministro dell'Interno ha confermato che era stata
prevista una "divisione geografica" del pubblico. I biglietti
del settore "Zeta" erano stati venduti tutti in Belgio per
creare un cuscinetto di spettatori neutrali. Ma ha ammesso che
anche questa previsione è saltata: centinaia di biglietti sono
stati comprati da emigrati per i parenti, gli amici.
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 31.05.1985
Trenta famiglie vivono la tragedia
Aerei da Roma. Il torinese Moschella:
"Arrivavano lattine di birra e pietre da ogni parte".
DAL NOSTRO INVIATO. BRUXELLES - Ieri sera
verso le 18.30 un "G222" dell'Aeronautica italiana è atterrato
all'aeroporto militare di Melsbroek. E' l'aereo sul quale
ritorneranno a casa i corpi dei 28 italiani morti nella tragedia
dell'Heysel. Un altro aereo del nostro Esercito giungerà oggi a
mezzogiorno per raccogliere i feriti più gravi. Fra coloro che
invece si sono già ristabiliti, alcuni sono ritornati in Italia
con i propri mezzi ed altri sono nei vari ospedali ad attendere
che le famiglie li vengano a prendere. Sempre nella mattinata di
oggi dovrebbero essere concluse le dolorose formalità
burocratiche che comporta il riconoscimento dei cadaveri. C'è
ancora un corpo nei sotterranei dell'ospedale militare di
Bruxelles che attende di essere riconosciuto con certezza.
Dovrebbe essere un cittadino di Reggio Emilia, del quale si
conosce il cognome, Zavaroni, e la cui famiglia, avvertita ieri
nella tarda serata sta viaggiando alla volta di Bruxelles.
Qualora anche questa salma venisse identificata con certezza,
nella mattinata di oggi il "222" dell'Aeronautica ripartirebbe
alla volta dell'Italia con il suo carico di morte. Intanto in
Belgio continuano a giungere parenti e amici dei feriti e dei
morti. Ancora ieri verso le diciannove una donna è entrata nelle
camere mortuarie sostenuta dal cognato per identificare il corpo
del marito, Bruno Balli, di 50 anni. L'uomo si trovava
nell'angolo più basso della gradinata "Z", ed è stato fra i
primi ad essere travolto dalla folla. All'uscita dell'ospedale,
Angelo Camini, cognato del Balli, nel sostenere la sorella
incapace di parlare, ha detto soltanto poche parole: "Bruno era
quasi irriconoscibile, devono averlo calpestato tutti. Noi
crediamo addirittura di averlo visto alla televisione mentre
cadeva, ma non ne siamo certi. Appena ci siamo resi conto delle
dimensioni della tragedia e soprattutto quando sono passate le
ore e lui non ci ha telefonato per rassicurarci, abbiamo deciso
di partire, prima ancora di sapere che era fra le vittime". Così
come hanno deciso di partire anche i parenti di Andrea e
Giovanni Casula, padre e figlio. Andrea aveva soltanto 10 anni,
era la prima volta che seguiva la Juventus in trasferta
all'estero e il padre lo aveva portato con sé per l'importanza
dell'avvenimento e per premiarlo della sua buona condotta a
scuola. E' l'unico bambino fra le vittime, e il suo corpo è
stato trovato abbracciato a quello del padre che, fino
all'ultimo ha cercato di difenderlo dalla calca e dal terrore
che dilagava sulla gradinata. All'ospedale Sant'Erasmus Alberto
Moschella, 25 anni, torinese, è fra i feriti meno gravi: "Me la
sono cavata perché mi trovavo verso il centro della gradinata e
allora sono stato spinto sopra la gente e non contro i muri o
giù dal gradino che si è formato quando la parete è crollata. Mi
sono sentito schiacciare da tutte le parti e credevo di non
riuscire più a respirare. Poi d'improvviso la spinta si è
fermata e sono riuscito a tirarmi fuori dalla calca e scappare
verso il prato. Sono caduto sulla pista, mi hanno tirato su e
portato via. Non ricordo bene come sia cominciato tutto quanto,
però arrivavano lattine di birra e pietre da tutte le parti.
Abbiamo ricevuto sassate addosso per una buona mezz'ora prima
che scoppiasse il finimondo. Quando qualcuno, ai bordi della
tribuna, chiedeva ai poliziotti di intervenire, non ci stavano
nemmeno a sentire". Moschella ha ricevuto in ospedale la visita
di un gruppo di studenti della Scuola Europea che hanno cercato
di cancellare dalla sua memoria i momenti terribili vissuti. Non
è stata la loro sola visita: infatti sono andati a trovare anche
altri feriti. Ma l'angoscia di queste ore è qualcosa molto
difficile da cancellare. Fra i vari feriti ad esempio, Pierino
Morzo, ricoverato in un ospedale del centro di Bruxelles, ha
raccontato: "Nel momento in cui mi hanno spinto io, che ero
proprio sull'orlo della tribuna, sono stato gettato giù. La mia
fortuna è stata di cadere praticamente in piedi, così sono
potuto schizzar via subito prima che tutti gli altri mi
piombassero addosso e mi schiacciassero. Sono andato a sbattere
contro il cancello della tribuna d'onore gridando e lì qualcuno
mi ha tirato via prima che mi raggiungessero i gruppi di quelli
che scappavano. Ho visto la gente che urlava e che fuggiva verso
il campo da gioco. Sono venuti a trovarmi gli amici e mi hanno
detto che nelle cronache si è parlato di invasione di campo. Non
abbiamo invaso nessun campo, scappavamo soltanto più lontano
possibile da quel gruppo di matti che era nella tribuna del
Liverpool. A un certo momento ci è sembrato anche che ci
sparassero addosso e abbiamo sentito alcuni colpi. Ma poi mi
hanno detto che si trattava di lanciarazzi". Sono testimonianze
frammentarie, angosciate, di gente che ha visto la morte da
vicino e che, probabilmente, nel rivedere - se mai le rivedrà -
le immagini della tragedia alla televisione potrà riconoscersi
nel momento in cui uno sbandamento della folla, un attimo di
fortuna, ha permesso loro di uscire indenni dall'inferno. Un
inferno che, sulle gradinate ora deserte dell'Heysel è
testimoniato dalle sbarre di acciaio contorte, dalle colonne di
cemento spezzate, e da una maglia bianconera che adesso è lì
gettata in mezzo a un mucchio di rifiuti, come un oggetto che
non serve più. mab
31 maggio 1985
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 31.05.1985
Il drammatico racconto dei superstiti
"Ci hanno massacrati nessuno ci ha difeso"
di Sergio Cuti
Scuse di Baldovino e della Thatcher
all’Italia. 39 i morti, l’Europa e il calcio sotto shock.
Sono trentanove finora le vittime
dell'orrenda tragedia di Bruxelles. Trenta sono italiani, cinque
belgi, uno francese, uno inglese. Per due poveri corpi straziati
manca ancora l’identificazione.
L’Europa è sotto shock, così come il mondo del calcio. La
Thatcher ha offerto 600 milioni di lire come "primo contributo"
alle famiglie delle vittime. Re Baldovino e la regina Elisabetta
d'Inghilterra hanno inviato espressioni di cordoglio a Pertini.
La Jotti, Cossiga e Craxi: "non si doveva giocare". Durissime
accuse all’Uefa dei quattro Juventini della Nazionale, Rossi,
Tardelli, Cabrini e Scirea. DAL NOSTRO INVIATO. BRUXELLES - Li
hanno messi uno accanto all'altro, padre e figlio. Distesi per
terra, coperti di indumenti e bandiere buttati addosso alla
rinfusa. Se ne stanno isolati nel gelido stanzone dell'obitorio
dell'ospedale militare. Il giorno prima erano arrivati felici a
Bruxelles. Venivano da Cagliari. "Ti porto a vedere la Juve, sei
contento ?" Aveva detto papà Giovanni al figlio Andrea, dieci
anni. Si erano sistemati accanto al maledetto muro dello stadio.
Poi il lancio infernale di razzi, sassi e bottiglie. La gente
scappa di fronte al rincalzare dei teppisti inglesi. Preme
contro il muro. Sempre più forte. Un lungo salto nel vuoto.
Giovanni e Andrea Casula muoiono tenendosi per mano. "Gli
inglesi sembravano dei barbari", inveisce Benedetto Alberti di
Taggia. Ha due costole rotte. E’ ricoverato all'ospedale
militare. Racconta la sua storia: venivano avanti, erano
mostruosi. Cercavo di scappare e non ci riuscivo. Sono caduto
per terra, tra i morti. Nel letto accanto c'è Alberto Buttazzo
di Lecce. Anche lui con le costole fratturate. Quando è partito
per Bruxelles si era messo in tasca un biglietto, ora sdrucito,
scritto dalle sue due bambine: "Papà divertiti e buona
vittoria". Ce lo mostra. Gli occhi si riempiono di lacrime. Poi
racconta: "Mi sono salvato pensando alle mie figlie. Ho
resistito puntando i gomiti a terra mentre la gente mi cadeva
addosso. Respiravo a fatica, ma resistevo. Ho visto uno stivale
in pelle che dava calci a un uomo accanto a me. L’uomo era
morto. Quando la pressione si è allentata, sono uscito da sotto
spostando con forza chi mi stava sopra. Gli italiani feriti sono
duecento, ci dicono all’ambasciata. Sono ricoverati in quasi
tutti gli ospedali di Bruxelles: il Saint-Jean, il Saint-Luc, il
Saint-Pierre, il Vilvorde, l'Erasme, il Francese, il Brugmann,
il Jette e l'ospedale militare. Cinque i feriti gravi: Sergio
Biagini, Laura Bianchi, Tiziana Bruni, Mario Gasparella e Carla
Gonnelli. "Sono stati momenti di panico", dice il dottor De
Brujne. "Entravano a frotte. Disperati. Chi si reggeva sulle
gambe, cercava l'amico o il parente perso durante gli incidenti.
Qualcuno ha tentato di sfondare la porta della sala operatoria
per vedere se sotto i ferri c'era un conoscente". Lo ammettono
tutti: i medici e gli infermieri belgi si sono comportati
egregiamente. Dagli ospedali la gente ha potuto, gratuitamente,
telefonare a casa per tranquillizzare i parenti. "Un grazie di
cuore" sottolinea Gaetano Conte di Taranto. Una folta barba, un
corpo massiccio. La televisione lo ha ripreso più volte mentre
chiedeva aiuto, steso per terra con una gamba imprigionata nella
rete. "Io stavo bene", racconta. "Gridavo perché mi aiutassero a
gettare in salvo un bambino handicappato che avevo portato con
me. Non potevo tirarlo fuori dai guai in quella posizione. Mi
hanno aiutato. Sono contento". Federico Scarzilli di Cosenza era
qualche metro più avanti. Quando la folla ha cominciato a
scappare, lui è salito sul muro per trovare un punto sicuro.
"C'era davanti a me un signore con in braccio un ragazzo di
14-15 anni", ricorda. "Grida verso di me: prendilo, portalo in
salvo. Io allungo la mano, ma sento il muro che frana. Ho visto
gli occhi terrorizzati del ragazzo, poi il vuoto". Raffaele Gata
lavora in Belgio. Si passa la mano sulla fronte. Vuole cacciare
il ricordo, ma poi si fa forza. La moglie gli tiene la mano. La
gente mi calpestava, sentivo un dolore acuto allo stomaco. Avevo
la faccia incollata alla faccia di una donna. Era fredda. Poi
una mano mi ha preso e tolto dal mucchio. L’ho guardato: era un
ragazzo biondo. Volevo ringraziarlo, ma era già sparito".
Attilio Rebuzzi di Parma: anche lui con le costole rotte. Viene
schiacciato contro il muro. Perde conoscenza. "Poi sento
gridare: Attilio ! Ho pensato: se mi chiamano vuol dire che sono
ancora vivo". Rosario Marangio di Torino era stato erroneamente
caricato con alcuni cadaveri su una ambulanza. "Ho gridato: sono
vivo. Appena mi hanno liberato, via di corsa". Sebastiano
Bisignano di Siracusa pensava di essere già morto. "E’ proprio
finita, porco cane. Non è giusto crepare così", aveva pensato.
La gente continuava a cadergli addosso. "Sentivo un gran
freddo", racconta. "Poi ho mosso la gamba e la gamba si è mossa.
Ho capito che non era ancora finita". Sono ancora tutti sotto
choc, dicono all'ambasciata. C'è una signora sui 35 anni della
quale non si conosce ancora il nome, ha perso i documenti e non
si ricorda chi è, né da dove viene. "Mi ricordo una signora sui
35 anni - spiega Amelio Costantin di Treviso - che era accanto a
me. Gli dicevo: resista, resista. Poi sono svenuto". Il resto
del racconto lo completa un suo compaesano, Luigi Cescon: "Ero a
un passo dal massacro. Gridavamo: spingete in su che non c'è
nessuno. Invece la gente continuava a scendere, a cadere. Mi
sono girato e ho visto Amelio sparire. L’ho caricato sulle
spalle e l'ho portato su una ambulanza. Poi sono andato alla
ricerca degli amici. Ci siamo contati, ne mancava uno e non
sappiamo ancora cosa gli è successo". Su un fatto nessuno ha
dubbi: la polizia belga ha permesso il massacro. La gente
gridava di fermare gli inglesi. Ma i poliziotti non si
muovevano. "Avevano paura" - racconta
Giuseppe Rossi di Mosciano, in provincia di Teramo. Suo cognato
è steso sul letto del Jette con la tibia e il malleolo
fratturato. "Ho visto tutto - continua - perché ero a pochi
passi dagli inglesi. Verso un quarto alle otto arrivano gli
ultimi tifosi dei Liverpool. Invece che mandarli subito fra i
loro connazionali, il fanno passare dove siamo noi. Erano
ubriachi fradici. Cominciano a sfottere. Improvvisamente si
attaccano alla rete. Dall'altra parte li imitano. La rete cade.
Si armano di sassi e bastoni. Vicino a noi ci sono mamme con i
bambini e alcuni vecchi. Si spaventano. Scappano verso il muro.
Li seguiamo. Mio cognato sale sul muro. Vicino a lui c'è un
ragazzino, il muro cade. Cerco di afferrare il ragazzo, ma non
ci riesco. Chiedo aiuto al poliziotto. Mi risponde che ha paura
e scappa. Cerco mio cognato. Lo trovo. Un giovane mi aiuta a
sollevarlo. Aiutiamo anche una signora francese. Ma lasciamo
perdere: è già morta. Porto mio cognato all'ambulanza. Ritorno a
cercare gli amici. E siccome non il trovano tra i morti, ho
vergogna a dirlo, ma mi sentivo felice". I morti sono allineati
nel grande e gelido stanzone dell'obitorio. Sepolti da vestiti
multicolori. Li contiamo: sono ventisette. Andrea Casùla, dieci
anni, è il secondo da destra. E’ lì, appartato, vicino al suo
papà.
31 maggio 1985
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 31.05.1985
"Non volevamo giocare siamo stati usati"
di Michele Serra
In volo verso il Messico Rossi, Tardelli,
Cabrini e Scirea esprimono cordoglio per le vittime e accuse
all'Uefa e al governo belga.
DAL NOSTRO INVIATO. ATLANTA - Sull'aereo
che da Bruxelles, via Atlanta, li porta a Città del Messico, i
quattro nazionali della Juventus, Cabrini, Rossi, Tardelli e
Scirea, hanno preparato un comunicato stampa estremamente duro
nei confronti dell'Uefa. Si capisce che, nelle riflessioni del
giorno dopo i giocatori si sentono strumentalizzati. Una
sensazione destinata a durare. Tant’è vero che dal Messico è
giunta la notizia che probabilmente l’amichevole tra Italia e
Gran Bretagna non si farà. Tra le proposte che subito i quattro
giocatori juventini hanno voluto avanzare c'è quella di una
grande partita a beneficio delle vittime. La stessa proposta
l'ha fatta a Ginevra il comitato centrale dell'Associazione
svizzera del calcio. "Preferiremmo non fare commenti tecnici -
dice il comunicato di Cabrini, Rossi, Tardelli e Scirea - su una
partita giocata soprattutto per gravi motivi di sicurezza; e poi
questi commenti tecnici suonerebbero assurdi data l’ampiezza
della tragedia. Non volevamo giocare per rispetto dei nostri
compatrioti morti. Ce lo hanno imposto, a noi e al Liverpool, i
dirigenti Uefa e le autorità di polizia belga. Una volta in
campo, e soprattutto in occasione del gol, abbiamo intuito che
il pubblico, anche quello italiano, era completamente all'oscuro
delle dimensioni della tragedia. Abbiam quindi dovuto giocare
per gli spettatori dello stadio, con una responsabilità
gigantesca: quella di evitare più gravi incidenti. E la nostra
responsabilità era ulteriormente aggravata dall'inspiegabile
latitanza verificatasi soprattutto al termine della partita
delle autorità sportive internazionali che pure ci avevano
ordinato di giocare. Basti pensare che la Coppa dei Campioni ci
è stata consegnata da un anonimo funzionario all'interno degli
spogliatoi. Non sapevamo come onorare le vittime, dirigerci
verso il luogo del disastro e magari eccitarne ulteriormente gli
animi, oppure recitare fino in fondo la nostra parte, perché
questo dopo tutto chiedeva il pubblico ignaro della portata
della tragedia. Ma l'abbiamo fatto con la morte nel cuore.
Adesso l'unica cosa da fare - conclude il comunicato - l'unico
nostro pensiero è per i nostri morti, i nostri feriti, le
famiglie delle vittime, la loro angoscia, il loro dolore, i loro
problemi. Lanciamo questo appello alle autorità sportive
italiane ed internazionali perché si organizzi subito una grande
partita di fratellanza tra la Juve e il meglio del calcio
internazionale il cui incasso sia devoluto alle famiglie delle
vittime".
31 maggio 1985
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 31.05.1985
Strage nello stadio Europa sgomenta
Quella coppa divide la Juve "I tifosi
gridavano: non giocate"
di Gianni Piva
Rossi: "Non mi importa nulla di questa
vittoria". Ma Platini: "La partita è stata valida, il trofeo è
nostro". Trapattoni: "I giocatori erano discordi, poi l’Uefa ci
ha imposto di scendere in campo".
DAL NOSTRO INVIATO. TORINO - II grande
Jumbo finalmente si è fermato sul piazzale dell'aeroporto di
Caselle, c'è il sole. Quando Brio si affaccia alla scaletta la
grande coppa che tiene in mano brilla come uno specchio ma negli
occhi di tutti non c'è alcun segno di gioia. Avrebbe dovuto
essere un momento di trionfo, atteso e inseguito da anni, invece
la gente era lì da ore ed aspettava solo di vedere il volto
dell'amico, del marito e del fratello. E’ agghiacciante il
silenzio nell’aerostazione mentre i giocatori, accompagnatori e
tifosi sbrigano le formalità d'arrivo. Esce Boniperti, pochi
applausi si spengono privi di senso; Il presidente della
Juventus è sconvolto, viso terreo. Prima di lasciare Bruxelles è
andato all'obitorio dell'ospedale militare della capitale belga
ed ha ancora lo sguardo raggelato alla visione dei cadaveri dei
tifosi italiani avvolti da drappi e bandiere bianconere. Prima
di montare sull'aereo dell’Alitalia ha detto con tono disperato:
"tutti quei morti, ho odiato quei teppisti inglesi; quella gente
andrebbe confinata ma la parola non rende bene l'idea". Gli fa
eco, una dichiarazione di Gianni Agnelli: "L'unica cosa, dice, è
proibire agli inglesi di assistere a partite fuori del loro
paese, almeno, fino a quando questa violenza non sarà
estirpata". Per tutto il viaggio non ha detto più nulla. Su una
poltrona è rimasta a lungo abbandonata la grande coppa, trofeo
imbarazzante per tutti, a testimonianza di una notte di paura,
di follie e di sangue. Di quella coppa sembra che nessuno sappia
cosa farsene. All'aeroporto, mentre la gente si abbraccia
contenta solo di aver messo fine ad una notte di angosce i
giocatori filano via alla svelta. Poche battute per ripetere lo
sgomento per tutti quei morti. "Non mi importa nulla di questa
vittoria, di questa coppa; aver segnato non ci ha liberato da
questo incubo. Ci hanno obbligato ad andare in campo, lo abbiamo
fatto ma tutto finisce lì" - ha detto Paolo Rossi rientrando
all'albergo la scorsa notte. Ieri mattina lui e gli altri suoi
compagni convocati da Bearzot (Tardelli, Scirea, Cabrini) hanno
preso l'aereo verso il Messico mentre Boniek stava già volando
verso l'Albania per raggiungere la sua nazionale. Ma come hanno
fatto giocatori ad andare in campo sapendo cosa era successo ?
Boniperti, prima di andarsene, ha ricordato che la volontà della
Juventus era di non giocare e che poi è arrivata la decisione
dell'Uefa su richiesta del ministro degli Interni belga. Ma era
giusto giocare ? "Non voglio rispondere - taglia corto Boniperti
- comunque sarebbe stato peggio non farlo. Basta così, sono
sconvolto. Stasera non andrò alla televisione (era stato
invitato da Biagi a Linea diretta) non me la sento. Michel
Platini non voleva giocare, poi in campo è stato uno di quelli
che si sono impegnati di più, ha segnato ed ha esultato.
Insensibilità, una capacità da automa di staccarsi da quello che
è accaduto ? "Quando non volevo giocare pensavo ai tifosi, alla
loro volontà (la gente ha gridato a lungo allo stadio Heysel
"non giocate, non giocate") ma il mio era un pensiero sbagliato.
Annullare tutto sarebbe stato grave. La decisione dell'Uefa è
stata giusta, ha salvato il calcio. E stato molto duro entrare
in campo e per venti minuti non c'è stata partita, poi sono
riuscito a staccare e pensare solo alla gara". Ma quale è il
senso di questo incontro, che valore può avere ? "Non facciamo
strane congetture, è stata una partita vera. Alcune persone sono
scomparse tanti altri sono rimasti. È come sul palcoscenico, lo
spettacolo continua sempre. La coppa è nostra, manca la festa e
l'allegria ma la vittoria c'è e resta. Piuttosto non si deve
punire Il Liverpool, i giocatori non hanno colpe, è quel
pubblico che deve restarsene in Inghilterra. I giocatori inglesi
erano addolorati come noi. Non è giusto caricarci di troppe
responsabilità, se ci sono cinquanta che sparano cosa possiamo
fare noi ?" E’ la retorica dello sport "sano e puro"
contrapposto a una violenza che gli sarebbe estranea ? Ma come
avete fatto ad entrare in campo e giocare ? "Mi pareva di essere
in guerra, poi prevale l'amore e la passione per Il calcio".
Cosa può restare di questa coppa e di questo terribile viaggio ?
"Non lo so, tutto si dimentica in fretta, anche di aver vinto la
Coppa del Campioni. Di essere capocannoniere non mi importa
proprio nulla. Comunque questa notte non ho dormito. Anche io ho
un po' di sensibilità". Trapattoni parla di tragedia, di
angoscia e di successo calcisticamente valido. "Ci sono stati
dei contrasti tra giocatori prima di andare in campo, poi tutti
sono stati forti e lucidi. Aver giocato è servito a
sdrammatizzare la situazione, ma non chiedetemi se è stato
giusto; questa per me resta una domanda terribile. È una
vittoria pagata con un prezzo altissimo: non ho visto i morti ma
ricorderò per sempre gli occhi pieni di paura di quei ragazzi
feriti che hanno cercato aiuto nel nostro spogliatoio, fuori
doveva essere un inferno". E infatti non è una "vittoria".
Nessuno può chiamarla tale neanche trincerandosi dietro la
"regolarità" della gara. La Juventus, intanto, con una prima
quota di 100 milioni di lire ha aperto una sottoscrizione a
favore dei familiari delle vittime.
31 maggio 1985
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 31.05.1985
di Paolo Soldini
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE. BRUXELLES -
Il quartiere di Lette è lontano dal centro. Ma è qui,
all’ospedale militare che ha accolto i corpi straziati dei
morti, che corrono le emozioni e l’angoscia. Qui e negli
ospedali che in tutti i quartieri e nella provincia ospitano i
feriti. Bruxelles vive una giornata tremenda. C'è il bilancio
definitivo dei morti, 39, di cui 32 italiani, dei feriti, 267 di
cui alcuni in condizioni molto serie; c'è l'apertura
dell'inchiesta giudiziaria; ci sono le voci sull'uso da parte
dei teppisti inglesi di armi da fuoco e da taglio, ma ha detto
il procuratore che conduce l'inchiesta: "L’esame esterno dei
corpi non ha consentito di concludere nulla a questo riguardo";
c'è il bilancio degli arresti, 16 tifosi del Liverpool e quattro
italiani (accusati di oltraggio a pubblico ufficiale); c'è
l'omaggio di re Baldovino e della regina Fabiola alle vittime;
c'è la riunione del governo (che insiste: "può sorprendere gli
italiani, ha detto il primo ministro Martens, ma la decisione di
far svolgere la partita è stata presa per motivi di sicurezza").
Un giudizio: per quello che è successo a Heysel ci sono
responsabilità gravissime. La ricostruzione della tragedia fatta
ieri sulla base delle testimonianze delle persone che erano allo
stadio e delle stesse dichiarazioni delle autorità hanno messo a
nudo errori inconcepibili e leggerezze allucinanti. Ieri dopo
che re Baldovino aveva ammesso l’inadeguatezza del servizio di
polizia in una telefonata al presidente Pertini, ma anche le
dichiarazioni del primo ministro Martens e del ministro degli
Interni Nothomb lasciano intendere che, passato il primo momento
in cui si è tentato un deplorevole scaricabarile tra le autorità
preposte all'ordine, dal ministro dell'Interno al sindaco di
Bruxelles cui spetta il coordinamento della polizia
nell’agglomerato bruxellese, e quindi anche allo stadio, al capo
della stessa polizia, è arrivato il momento delle affermazioni
più decise. Nothomb ha annunciato di chiedere il divieto alle
squadre britanniche di giocare in Belgio "perché ogni limite è
stato superato". Ma insieme è arrivato anche il momento delle
autocritiche. L’impressione è che tutto il servizio d'ordine,
che in realtà era stato predisposto ed era imponente, fosse
stato finalizzato al controllo della situazione solo fino al
momento dell’ingresso dei tifosi nello stadio. Da giorni si
erano predisposti controlli sui supporters inglesi, dal loro
arrivo ad Ostenda, o all'aeroporto di Bruxelles, fino a Heysel.
C'erano, è stato rivelato ieri, perfino telecamere nascoste per
identificare gli eventuali facinorosi. Ma tutto si fermava alle
soglie dello stadio. Perché ? La "spiegazione" offerta dal
sindaco Hervé Brouhon è che la responsabilità di come erano
disposte le cose dentro il catino di Heysel dipendeva dagli
organizzatori dell'incontro e dai titolari dello stadio stesso:
quindi la Uefa, i due club e l'Unione calcistica belga. Colpe, e
gravi, vanno cercate anche qui. Intanto la scelta di Heysel per
un incontro di tale importanza. Si tratta di un impianto
vecchio, relativamente piccolo, insicuro. Poi la scelta di
stampare i biglietti su carta normale, anziché su filigrana. Il
che ha fatto sì che da giorni e giorni circolassero biglietti
falsi, pare a migliaia, e che nessuno, quindi, fosse in grado di
sapere quanta gente effettivamente si sarebbe presentata ai
varchi (e sembra che al varco "Z", quello che porta alla curva
della tragedia i cui biglietti erano stati venduti in Belgio,
sia stata registrata una affluenza molto più forte delle
aspettative). Infine la disposizione dei posti: nel settore
maledetto. I tifosi delle due squadre erano praticamente a
contatto. Un complesso di circostanze esplosive, a cui le
autorità preposte alla tutela dell'ordine non solo non hanno
posto rimedio prima, ma non hanno neppure risposto con alcuna
misura correttiva. Per la polizia e la gendarmeria (che
corrisponde ai nostri carabinieri) il loro compito finiva sotto
i muri esterni di Heysel. Qui, secondo quanto hanno dichiarato
Brouhon e Nothomb, erano schierati mille agenti, pronti a
reprimere incidenti all'uscita dei tifosi dopo la partita.
Dentro lo stadio, secondo il sindaco, erano presenti 242
poliziotti. In un primo momento si era detto cento, e le
testimonianze sono concordi nell'affermare che in realtà se ne
vedevano molti meno. Nel punto della curva dove i fans del
Liverpool e quelli della Juventus quasi si toccavano, a separare
i due settori c'erano non più di dieci agenti. Quando sono
iniziate le furiose cariche dei teppisti, britannici, uno è
rimasto ferito e gli altri non hanno potuto fare altro che
mettersi in salvo. Non solo, ma deve essere mancato del tutto un
qualsiasi coordinamento. Secondo i testimoni, sono passati
almeno venti minuti dal momento delle prime cariche, e dei primi
morti, al momento in cui sono entrati nell'arena reparti di
polizia che erano stazionati fuori. E questi, per altri
lunghissimi minuti, non debbono essersi resi conto di quanto
stava accadendo, perché l'unica loro preoccupazione è stata di
tenere sgombro il campo, ricacciando verso la calca mortale la
gente che cercava scampo sul terreno di gioco. I rinforzi della
gendarmeria, duemila uomini attrezzati alla lotta
anti-manifestazioni, sono arrivati quasi due ore dopo l'inizio
degli incidenti. Unica cosa che ha funzionato un po' meglio,
nell'inferno di quelle ore, è stata la Croce Rossa. I suoi
volontari, quasi tutti giovani e molti addirittura ragazzi, sono
accorsi subito e si deve probabilmente a loro se il bilancio
della tragedia non è stato ancora più pesante. A loro e al
personale degli ospedali, in cui è scattato un efficiente "piano
d'emergenza catastrofi". Che "dopo" qualcosa sia andata
finalmente per il verso giusto è certo una consolazione, ma
toglie poco all'amarezza e alla rabbia di queste ore. Ieri, per
tutto il pomeriggio, le radio di Bruxelles hanno continuato a
lanciare appelli per i donatori di sangue. Cercavano "Rh
negativo" per una bambina italiana ricoverata in condizioni
disperate. Forse è quella che la televisione ha mostrato
parecchie volte inanimata tra i cadaveri, con i calzoni verdi e
gli orecchini. Sembrava non dare cenni di vita mentre un
infermiere le praticava la respirazione artificiale. Ma
nell'elenco del morti non c'è nessuna bambina. Forse è solo
ferita. Forse si salverà.
31 maggio 1985
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 31.05.1985
DAL NOSTRO INVIATO. BRUXELLES - Isolato
a lungo, agli inizi del secolo, dal rifiuto ad incontrare
allievi che considerava indegni di affrontare il maestro, il
calcio inglese è ora rifiutato dall'Europa perché è tragicamente
diventato "maestro" in teppismo. Le voci di condanna sono
unanimi, più che giustificate: da troppi anni le uscite dei fans
di Leeds o Manchester, dei club periferici di Londra ed ora di
Liverpool, sono gravi pericoli per persone e città. "Sono
bestie" ci dicono i colleghi inglesi affranti, ma non sanno
spiegare i perché né trovare difese. E allora basta, per un po'.
L'Uefa è decisa a mettere nelle condizioni "di riflettere"
questo calcio che avanza circondato da orde barbariche, da gente
che si ubriaca prima di andare allo stadio, che sfascia vetrine,
che ruba, che importuna i passanti nelle strade e che, alla
partita, si scatena. Se è giusto dire che a Bruxelles le
precauzioni sono state insufficienti, non è nemmeno detto che
certe partite di calcio vadano affrontate come momenti di
guerriglia urbana. Ci sarà stata pure un po' di difesa
dell'immagine del Paese e del calcio belga nella conferenza
stampa che il sessantenne presidente della Federazione Luis
Wouters ha tenuto ieri sera, ma con voce velata dall'emozione
l'anziano dirigente ha detto cose giustamente dure per gli
hooligans: "Ho voluto vedere con il borgomastro della città, col
presidente dell'Uefa, la commissione d'inchiesta della stessa
Federazione europea ed i rappresentanti di gendarmeria e
polizia, il film al rallentatore della fase cruciale della
tragedia dell'Heysel. Non fatemi entrare in particolari, ma
lasciatemi solo dire che la colpa dell'accaduto è esclusivamente
e totalmente dei fans del Liverpool. Abbiamo già tenuto una
riunione con il direttivo dell'Uefa, almeno con i membri qui in
Belgio. E' mia impressione che tutte le squadre inglesi verranno
sospese a tempo indeterminato ed il Liverpool per un periodo
importante". "Tre anni di sospensione ai club in generale e
cinque ai reds ?" gli ha chiesto un giornalista di Bruxelles.
"Può anche essere, ma ripeto, parlo per opinione personale" - è
stata la risposta. Tre e cinque anni ci sembrano tanti, non se
rapportati alla tragedia di mercoledì che non ha "prezzo", ma
perché la federazione inglese saprà muovere i suoi passi. Un
anno alle società e tre al Liverpool è però la pena minima. Tra
le due ipotesi, l'Uefa prenderà una decisione a Ginevra il 2
luglio, prima del sorteggio del primo turno delle Coppe 1985-86,
Jacques Georges, il francese presidente dell'Uefa, è stato
altrettanto duro con il Liverpool ma non ha scordato le colpe
della forza pubblica di Bruxelles: "Attraverso i suoi canali,
sia la Federazione europea che quella belga avevano presentato
richieste, esposto problemi e possibilità di rischi. Purtroppo
le forze di polizia che dovevano fare da intercapedine tra i
tifosi del Liverpool e quelli della Juventus non erano dove
avrebbero dovuto essere. Quando sono arrivate, era troppo tardi.
Questa è una tragedia che fa seguito ad una serie di incresciosi
avvenimenti del passato. La commissione disciplinare dell'Uefa
vaglierà le responsabilità al termine dell'inchiesta in corso e
prenderà una decisione che mi auguro dura, nonché immediatamente
esecutiva". Quindi, calcio inglese fuori dalle Coppe la prossima
stagione. Ci sarà un esodo dei giocatori migliori ? Ci saranno
addirittura problemi se molti tifosi inglesi andranno l'anno
prossimo in Messico per il Campionato del mondo ? L'Uefa a
questo punto allarga le braccia: ai trasferimenti non deve certo
pensarci, alle nazionali deve badare la Fifa. Con il presidente
Georges, erano ieri il delegato ufficiale dell'Uefa per
Juve-Liverpool, il tedesco orientale Gunther Schneider, i
componenti della commissione d'inchiesta prontamente nominata
Risinda (presidente della Federazione portoghese) ed Hyldstrup
(Danimarca), il segretario generale Baumgartner e l'addetto
stampa Rothenbuhler. Volti tirati, parole commosse. E grandi la
commozione e lo sdegno del dirigenti italiani, da Matarrese a
Sordillo, già apparsi storditi l'altra sera allo stadio.
Matarrese ha detto: "Si sono auto radiati, se non si corre ai
ripari è la fine del calcio europeo. Ad ogni modo la polizia non
era adeguata, ci sono state leggerezze". Intanto Robinson, il
segretario del Liverpool, prima di salutare tutti all'aeroporto
ha commentato: "Non mi sento di accusare solo i nostri tifosi.
Radiati ? Ma se la violenza è di tutti, ormai". b.p.
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 31.05.1985
di Renato Proni
Nothomb, ministro degli
Interni: "In base alle prove in nostro possesso non abbiamo
nulla da rimproverarci" - Fino a nuovo ordine, vietato alle
squadre britanniche giocare nel Paese.
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE. BRUXELLES -
La tragedia di Heysel ha preso, ieri, anche una dimensione
politica, oltre a quella umana, per i presunti retroscena della
"carica" omicida da parte dei tifosi del Liverpool contro il
settore "zeta" occupato dagli italiani. In un'affollatissima e a
volte tempestosa conferenza stampa, il ministro degli Interni
Charles Ferdinand Nothomb ha annunciato che il governo di
Bruxelles proibirà alle squadre di calcio inglesi, scozzesi e
gallesi di giocare in Belgio fino a che la federazione del
calcio europeo (Uefa) e i clubs inglesi non garantiranno la
sicurezza degli spettatori. "Mi dispiace" ha aggiunto il
ministro Nothomb "ma sciagure come quella di mercoledì sera non
si debbono ripetere. No, non credo che le reazioni politiche fra
il Belgio e il Regno Unito soffriranno a causa della nostra
intenzione di chiudere gli stadi alle squadre calcistiche
britanniche". Tuttavia, i rapporti tra i due Paesi, sotto lo
choc della morte di 38 persone, sono peggiorati. Infatti, mentre
il premier della coalizione liberal-democristiana Wllfried
Martens ha inviato un accorato messaggio di cordoglio alle
famiglie delle vittime italiane e al presidente del Consiglio
Craxi, egli ha detto di non aver parlato con la signora Margaret
Thatcher, primo ministro inglese. Martens ha detto ai
giornalisti nella mattinata di ieri: "La signora Thatcher ha
accettato la responsabilità della tragedia. Noi prenderemo
quindi misure drastiche contro le squadre di football inglesi e
i loro sostenitori. Il popolo belga è terrificato da questa
tragica situazione. Noi non abbiamo proprio nulla, in base alle
prove in nostro possesso, da rimproverarci sulle misure di
sicurezza allo stadio". La polemica, però, imperversa su
giornali e tv sull'eventuale responsabilità dei servizi d'ordine
belgi. Il ministro degli Interni Nothomb ha detto: "Non possiamo
trasformare il Belgio in uno Stato di polizia. In questa
sciagurata occasione, ogni limite è stato superato, assieme a
ogni previsione ragionevole di disordini. Noi dobbiamo però
differenziare tra poche centinaia di violenti malfattori e la
maggioranza dei tifosi". Ma non c'è dubbio che governo, autorità
sportive e mezzi di comunicazione addossano la colpa principale
dell'eccidio alla tifoseria britannica. Il premier Martens si è
recato ieri mattina all'ospedale militare per visitare i feriti.
Assieme a Nothomb, si è incontrato con i rappresentanti del
governo italiano e inglese convenendo sull'orrore dell'accaduto.
Anche re Baldovino e la regina Fabiola hanno visitato i feriti.
Nella notte, Baldovino aveva anche espresso per telefono le sue
condoglianze al presidente Sandro Pertini.
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA BRUXELLES 31.05.1985
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