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la prima notizia dell'Ansa alle 17,55
(ANSA) - BRUXELLES, 29
MAGGIO 1985. CALCIO - FINALE COPPA CAMPIONI: INCIDENTI TRA
TIFOSI. UN TIFOSO DEL LIVERPOOL, GIUNTO A BRUXELLES PER
ASSISTERE ALLA FINALE DELLA COPPA DEI CAMPIONI TRA LA JUVENTUS
E I 'ROSSI' BRITANNICI, VERSA IN GRAVI CONDIZIONI ALL'OSPEDALE
'SAINT-JEAN' DELLA CAPITALE BELGA. IL TIFOSO, UN GIOVANE
DI CUI LE FONTI DELLA POLIZIA NON RIVELANO NE' IL NOME,
NE' L'ETA', E' STATO ACCOLTELLATO, IN PLACE ROGIER, NEL
CENTRO DI BRUXELLES, VICINO AL QUARTIERE DELLE 'LUCI ROSSE'
DELLA 'GARE DU NORD'. L'EPISODIO, IL PIU' GRAVE DEGLI INCIDENTI
CHE VANNO SEGNANDO LE ULTIME ORE DI ATTESA DI JUVENTUS -
LIVERPOOL, E' ACCADUTO ALLE 15.40. L'ACCOLTELLATORE, CHE,
SECONDO LE FONTI DELLA POLIZIA, E' UN TIFOSO ITALIANO, E'
RIUSCITO A SFUGGIRE ALL' ARRESTO, INSIEME AD UN GRUPPO DI
COMPAGNI VENUTO A DIVERBIO CON SOSTENITORI BRITANNICI. NELL'IMMINENZA
DELL'APERTURA DEI CANCELLI DELLO STADIO DI HEYSEL, INTANTO,
SCONTRI TRA TIFOSI, IN PARTICOLARE BRITANNICI, E POLIZIA
SI VERIFICANO NEL QUARTIERE DELLO STADIO: LE FORZE DELL'ORDINE
HANNO FATTO 'CAROSELLI' CON MEZZI BLINDATI, UN AGENTE E'
RIMASTO FERITO, IN MODO - PARE - LEGGERO, DA UN GETTO DI
PIETRE. (SEGUE).
29 maggio 1985
Fonte: ANSA
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
BELGIO: MORTI IN CROLLO
STADIO BRUXELLES
(ANSA-REUTER) - BRUXELLES,
29 MAGGIO 1985 - ALMENO 28 TIFOSI SONO MORTI STASERA NEL
CROLLO DI SPALTI DURANTE LA COPPA DEI CAMPIONI A BRUXELLES.
29 maggio 1985
Fonte: ANSA
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
FINALE COPPA CAMPIONI:
DECINE DI MORTI A BRUXELLES
(ANSA) - BRUXELLES, 29
MAGGIO 1985 - VENTIQUATTRO MORTI SECONDO LA GENDARMERIA,
TRENTACINQUE SECONDO IL PORTAVOCE DEI POMPIERI, QUARANTADUE
SECONDO LA CROCE ROSSA, SONO, INSIEME CON ALMENO CENTO FERITI,
IL PRIMO BILANCIO DEGLI INCIDENTI DI QUESTA SERA ALLO STADIO
HEYSEL, A BRUXELLES, IN CUI SONO STATI COINVOLTI I TIFOSI
IN ATTESA DELL'INIZIO DELLA FINALE DELLA COPPA DEI CAMPIONI
TRA JUVENTUS E LIVERPOOL. IL MINISTRO DELL'INTERNO BELGA,
CHARLES-FERDINAND NOTHOMB, INTANTO, DAVA ORDINE PER RADIO
ALLE FORZE DI PRONTO INTERVENTO DELLA GENDARMERIA DI TUTTO
IL BELGIO DI RITENERSI MOBILITATE. LO SCOPO DELLA CONFLUENZA
DI IMPONENTI FORZE DI POLIZIA ALLO STADIO, OLTRE CHE DI
RISTABILIRE L'ORDINE, E' DI GARANTIRE, AL TERMINE DELLA
PARTITA, CHE LO STADIO SI SVUOTI SENZA ALTRI INCIDENTI.
GLI INCIDENTI ERANO INIZIATI POCO DOPO LE 19 LOCALI, QUANDO
-SECONDO LA RICOSTRUZIONE DELLA POLIZIA I TIFOSI DEL LIVERPOOL
HANNO COMINCIATO A INVADERE UN SETTORE DELLE GRADINATE OCCUPATO
IN GRANDE MAGGIORANZA DA SOSTENITORI DELLA JUVENTUS, ATTRAVERSO
UN BUCO PRATICATO NELLE RETI DI SEPARAZIONE. NON VI ERANO
POLIZIOTTI TRA I DUE SETTORI. PER SFUGGIRE ALL'AGGRESSIONE,
GLI SPETTATORI DEL SETTORE INVASO SI SONO AFFOLLATI CAOTICAMENTE
VERSO LE USCITE, MENTRE UNA TRANSENNA CEDEVA ALLA PRESSIONE
DELLA FOLLA E SPETTATORI CADEVANO DA UN'ALTEZZA DI UNA QUINDICINA
DI METRI. ALTRI SONO MORTI CALPESTATI. IL NUMERO DEI FERITI,
INIZIALMENTE STIMATO ATTORNO AL CENTINAIO, RIMANE IMPRECISATO.
MENTRE L'ARBITRO DAVA IL SEGNALE D'INIZIO DELLA PARTITA,
DOPO CHE I CAPITANI DELLE DUE SQUADRE SI ERANO RIVOLTI ALLA
FOLLA PER INVITARLA ALLA CALMA, LE AMBULANZE FACEVANO LA
SPOLA TRA IL CENTRO DI SOCCORSO MONTATO DALLA CROCE ROSSA
E GLI OSPEDALI DELLA CITTA'. SECONDO UN FUNZIONARIO DELLA
CROCE ROSSA, NEGLI INCIDENTI CHE HANNO COINVOLTO SOSTENITORI
DEL LIVERPOOL E DELLA JUVENTUS NELLO STADIO HEYSEL DI BRUXELLES,
SI SONO AVUTI OLTRE 250 FERITI, DI CUI CIRCA 50 IN MODO
GRAVE.
29 maggio 1985
Fonte: ANSA
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
CALCIO -
LA ''STRAGE'' DELLO STADIO DI BRUXELLES (PRIMO RIEPILOGO)
(ANSA) - BRUXELLES, 29
MAGGIO 1985 - ALMENO 36 MORTI E OLTRE 100 FERITI DELLA FINALE
DELLA COPPA DEI CAMPIONI '85 NELLO STADIO HEYSEL DI BRUXELLES
SONO LA PAGINA PIU' NERA DELLO SPORT IN EUROPA. UN' ATMOSFERA
DA INCUBO E' STATA IMMORTALATA DALLE TELECAMERE DURANTE
L' ORA PRECEDENTE L' INIZIO DELLA PARTITA TRA IL LIVERPOOL
E LA JUVENTUS. LA TRAGEDIA SI E' ESAURITA IN POCHI MINUTI.
INTORNO ALLE 20.00 ORA LOCALE I TIFOSI DEL LIVERPOOL HANNO
ROTTO A FORZA LE DEBOLI RECINZIONI CHE LI DIVIDEVANO DAI
RIVALI DELLA JUVENTUS. UNA MASSA COMPATTA SI E' MOSSA DALLA
CURVA OVEST VERSO IL SETTORE NORD PIENO DI BANDIERE JUVENTINE.
TESTIMONI OCULARI PARLANO DI TECNICHE DA GUERRIGLIA. NEL
FUGGI-FUGGI GENERALE MOLTE PERSONE SAREBBERO STATE SCHIACCIATE
E CALPESTATE SULLA GRADINATA. MA L' INCIDENTE PIU' GRAVE,
QUELLO CHE HA PROVOCATO MAGGIORI VITTIME, E' AVVENUTO QUANDO
IL PARAPETTO SUPERIORE DELLA GRADINATA E' CROLLATO LASCIANDO
DAVANTI AI TIFOSI ITALIANI IN FUGA 15 METRI DI VUOTO. INTANTO
ALTRI TIFOSI IN FUGA VERSO IL BASSO ROMPEVANO LE CANCELLATE
CHE DIVIDONO LE GRADINATE DAL CAMPO DI GIOCO. AL MOMENTO
STABILITO PER L' INIZIO DELLA PARTITA CENTINAIA DI PERSONE
ERANO SUL CAMPO CONTROLLATI A FATICA DALLA POLIZIA A PIEDI
E A CAVALLO. MA LA GRAVITA' DELLA TRAGEDIA A QUESTO PUNTO
HA FATTO PAURA AGLI STESSI ARTEFICI. LO STADIO RITORNAVA
IN RELATIVO ORDINE. LE FORZE DI POLIZIA BELGHE NE APPROFITTAVANO
PER RIMEDIARE ALLA SITUAZIONE DISPERATA CON L' ARRIVO DI
NUMEROSI RINFORZI. DOPO UN' ORA E MEZZA I RESPONSABILI DELLA
UEFA INSIEME A QUELLI BELGI RITENEVANO CHE ERA MEGLIO GIOCARE
LA PARTITA PER EVITARE LA RABBIA E NUOVI BATTAGLIE FUORI
DELLO STADIO. I CALCIATORI NON VOLEVANO GIOCARE MA VENIVANO
CONVINTI. DOPO UN APPELLO DEI CAPITANI DELLE DUE SQUADRE
LA PARTITA HA AVUTO INIZIO CON UN' ORA E MEZZA DI RITARDO.
MOLTI RITENGONO COMUNQUE CHE IL RISULTATO FINALE NON SARA'
VALIDO PER LA COPPA DEI CAMPIONI E CHE LA FINALE VERRA'
RIGIOCATA. GIOCARE LO STESSO, NONOSTANTE L' ACCADUTO, E'
STATA RITENUTA EVIDENTEMENTE LA SOLUZIONE MENO RISCHIOSA.
DAREBBE INFATTI IL TEMPO ALLA POLIZIA E L' ESERCITO BELGA
DI ORGANIZZARE L' USCITA DEI TIFOSI DALLO STADIO AL TERMINE
DELLA PARTITA. ANCORA AL MOMENTO DELLE PRIME FASI DELLA
GARA GLI ELICOTTERI GIUNGEVANO SUL PIAZZALE ANTISTANTE LO
STADIO PER RACCOGLIERE I FERITI DA UN IMPROVVISATO OSPEDALE
DA CAMPO. I PRIMI COMMENTI SUGLI AVVENIMENTI DI QUESTA SERA
SONO GIUNTI DAL PREMIER inglesE MARGARET THATCHER CHE HA
DEFINITO ''UNO SPETTACOLO DI ORRORE'' E UNA VERGOGNA PER
IL SUO PAESE QUANTO ACCADUTO A BRUXELLES.
29 maggio 1985
Fonte: ANSA
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
INCIDENTI A BRUXELLES:
33 ITALIANI MORTI, DICE MINISTERO INTERNI
(ANSA) - BRUXELLES, 29
MAGGIO 1985 - FRA I 36 MORTI ACCERTATI DELLO STADIO DI HEYSEL,
VI SONO 33 ITALIANI, UN BELGA, DUE FRANCESI. I FERITI SONO
108. LE INDICAZIONI VENGONO DAL MINISTERO DEGLI INTERNI
DI BRUXELLES. IL NUMERO DEI MORTI E DEI FERITI NON E' PERO'
CONSIDERATO DEFINITIVO E POTREBBE AUMENTARE NELLE PROSSIME
ORE.
29 maggio 1985
Fonte: ANSA
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
INCIDENTI A BRUXELLES:
POLIZIA ANNUNCIA 257 FERITI
(ANSA) - BRUXELLES, 29
MAGGIO 1985 - LA POLIZIA DI BRUXELLES HA STASERA ANNUNCIATO
LA CIFRA DI 257 FERITI, E NON 108 COME INDICATO DAL MINISTERO
DEGLI INTERNI, OLTRE CHE 36 MORTI, COME BILANCIO DEGLI INCIDENTI
DELLO STADIO DI HEYSEL. LA POLIZIA AGGIUNGE CHE LA MAGGIORE
PARTE DEI FERITI, FRA I QUALI VE NE SONO MOLTI SOLO CONTUSI,
SONO ITALIANI.
29 maggio 1985
Fonte: ANSA
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 30.05.1985
INCIDENTI BRUXELLES: NUOVA
LISTA VITTIME
(ANSA) - BRUXELLES, 30
MAGGIO 1985 - IL MINISTERO DEGLI INTERNI BELGA HA PUBBLICATO
UNA NUOVA LISTA DELLE VITTIME DEGLI INCIDENTI DI STANOTTE
ALLO STADIO DI BRUXELLES, CHE COMPLETA E PRECISA LA PRECEDENTE.
LA LISTA COMPRENDE I NOMI DI CINQUE BELGI, UN FRANCESE,
UN BRITANNICO E 25 ITALIANI, MENTRE SETTE CADAVERI SAREBBERO
ANCORA DA IDENTIFICARE CON PRECISIONE. QUESTO L'ELENCO DEGLI
ITALIANI NON COMPRESI NELLA LISTA GIA' DIFFUSA (DATA DI
NASCITA DOPO IL NOME): - MESSORE LORIS, 2 MAGGIO 1957 -
SALVI TARCISIO, 31 MARZO 1936 - PISTOLATO BENITO, 10 DICEMBRE
1935 - CERRULLO NINO, 2 GIUGNO 1961 - LORENTINI ROBERTO,
4 APRILE 1954 - CASULA ANDREA, 15 AGOSTO 1974 - GUARINI
ALBERTO, 21 GIUGNO 1964 - GONNELLI GIANCARLO, 6 SETTEMBRE
1939 - MARTELLI FRANCO, 5 NOVEMBRE 1962 - RUSSO DOMENICO,
25 APRILE 1959 - GAGLIANO EUGENIO, 35 ANNI DA MIRABELLA
(CATANIA).
QUESTO, INVECE, L'ELENCO,
CORRETTO, DEGLI ITALIANI COMPRESI NELLA LISTA GIA' DIFFUSA:
MASTROIACO (E NON MASTROI) GIANNI, 5 FEBBRAIO 1965 - RAGNANESE
(O RAGMANESE) ANTONIO, 10 MAGGIO 1956 - SARTO (E NON SARTA)
GIANFRANCO, 11 OTTOBRE 1938 - SPOLARE (E NON SPOLACRE) AMEDEO,
21 OTTOBRE 1930 - BALLI BRUNO, 6 FEBBRAIO 1935 - SPANO MARIO,
7 APRILE 1944 - GALLI FRANCESCO, 6 GENNAIO 1960 - CASULA
GIOVANNI, 20 DICEMBRE 1941 - MAZZINO SERGIO, 14 SETTEMBRE
1947 - ACERRA ROCCO, 25 DICEMBRE 1956 - PAPALUCA LUCIANO,
12 (E NON PRIMO) DICEMBRE 1947 - LANDINI GIOVACCHINO, 29
NOVEMBRE 1935 - RONCHI MARIO, 19 SETTEMBRE 1942 - VENTURIN
RINO, 19 FEBBRAIO 1962.
RESTA INCERTA LA SITUAZIONE
DI FABBRO NISIO, NATO IL PRIMO APRILE 1934, IL CUI NOME
FIGURAVA NELLA PRIMA LISTA, MA NON NELLA SECONDA. SUCCESSIVAMENTE,
SI E' APPRESO CHE LA LISTA DELLE VITTIME DEGLI INCIDENTI
DI STANOTTE COMPRENDE ANCHE: - FABBRO NISIO, PRIMO APRILE
1934 - BRUSCHERA GIANCARLO - SI IGNORA LA DATA DI NASCITA.
SI PRECISANO ANCHE ALCUNI
DEI NOMI GIA' DIRAMATI: MASSORE LORIS (INVECE DI MESSORE)
- RAGNANESE GIANFRANCO (E NON RAGMANESE) - VENTURIN TARCISIO
(E NON RINO).
I MORTI ITALIANI IDENTIFICATI
SONO, A QUESTO PUNTO, 27, OLTRE A CINQUE BELGI, UN FRANCESE,
UN BRITANNICO. RESTANO DA IDENTIFICARE CINQUE VITTIME, PROBABILMENTE
ITALIANI. IL FRANCESE MORTO NEGLI INCIDENTI DI IERI SERA
NELLO STADIO DI BRUXELLES E' UN IMPIEGATO DELLE POSTE DI
45 ANNI, JACQUES FRANCOIS, SPOSATO E PADRE DI UN FIGLIO.
LA MOGLIE HA DETTO CHE ERA STATA INFORMATA IERI SERA DA
UN GIORNALISTA BELGA, UN' ORA DOPO GLI INCIDENTI, E CHE
OGGI HA AVUTO CONFERMA DELLA MORTE DEL MARITO DAL SINDACO
DEL SUO PAESE, LA CHAPELLE D' ARMENTIERES, PRESSO LILLA.
E' STATA ANCHE INFORMATA CHE IL CORPO DEL MARITO SARA' SOTTOPOSTO
AD AUTOPSIA NELLA GIORNATA DI OGGI, A BRUXELLES. LA SECONDA
DELLE DUE VITTIME FRANCESI DEGLI INCIDENTI DI IERI SERA
ALLO STADIO ''HEYSEL'' DI BRUXELLES E' UN FERROVIERE DI
27 ANNI, CLAUDE ROBERT, ABITANTE A SEGRE, NEL DIPARTIMENTO
DI MAINE E LOIRA, DOVE VIVEVA ASSIEME CON LA MADRE, VEDOVA.
ALTRE TRE VITTIME DEGLI
INCIDENTI DI BRUXELLES SONO STATE IDENTIFICATE. QUESTI I
NOMI: BARBARA LUSCI IN MARGIOTTA, NATA A DOMOS NOVAS (CAGLIARI)
IL 4 DICEMBRE 1927, IL CUI MARITO, PIETRO SALVATORE MARGIOTTA,
NATO A VITTORIA (RAGUSA) IL 24 NOVEMBRE 1931, RESIDENTE
A GENOVA, E' SERIAMENTE FERITO - DOMENICO RAGAZZI, 44 ANNI,
DI LAUDRIANO DI ROCCAFORTE (BRESCIA), MURATORE - CONTI GIUSEPPINA,
17 ANNI, DI AREZZO. LE VITTIME IDENTIFICATE SALGONO COSI'
A 37, 30 ITALIANI, CINQUE BELGI, UN FRANCESE, UN BRITANNICO.
LE VITTIME DA IDENTIFICARE RESTANO, DUNQUE, DUE.
29 maggio 1985
Fonte: ANSA
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
INCIDENTI A BRUXELLES:
PERTINI
(ANSA) - BRUXELLES, 30
MAGGIO 1985 - PER GRAN PARTE DELLA NOTTE IL PRESIDENTE DELLA
REPUBBLICA PERTINI E' RIMASTO IN CONTATTO CON LA FARNESINA
E L'AMBASCIATA ITALIA DI BRUXELLES PER ESSERE INFORMATO
SULLE DIMENSIONI DELLA TRAGEDIA DELLO STADIO HEYSEL NELLA
CAPITALE BELGA. COME MILIONI DI ITALIANI PERTINI SI ERA
SEDUTO IERI SERA DAVANTI AL TELEVISORE NELLA SUA ABITAZIONE
A FONTANA DI TREVI, PER SEGUIRE QUELLA CHE AVREBBE DOVUTO
ESSERE UNA FESTA DELLO SPORT, UNA FINALE DI COPPA DI CALCIO.
SCONVOLTO PER LE IMMAGINI DELLA VIOLENZA E DELLA FOLLIA,
NELLA CRUDA IMMEDIATEZZA DI UNA DIRETTA TELEVISIVA, COME
TUTTI COLORO CHE IERI SERA SI PREPARAVANO A DUE ORE DI DISTENSIONE
E DI DIVERTIMENTO, HA TELEFONATO IMMEDIATAMENTE ALLA FARNESINA
PER ESSERE INFORMATO PIU' DETTAGLIATAMENTE. ADDOLORATO E
SCONCERTATO PERTINI IN UN PRIMO TEMPO NON HA VOLUTO FARE
COMMENTI. POI, QUANDO IL PRIMO MINISTRO BRITANNICO MARGARET
THATCHER HA CONDANNATO DURAMENTE IL COMPORTAMENTO DEI TIFOSI
BRITANNICI, HA ESPRESSO IL SUO PROFONDO DOLORE PER LE VITTIME,
LA SUA COSTERNAZIONE E DEPLORAZIONE ''PERCHÉ' UNA FESTA
DI SPORT E' STATA TRASFORMATA IN UN GRAVE EVENTO LUTTUOSO''.
STAMANI PERTINI E' STATO RAGGIUNTO DA UNA TELEFONATA DEL
RE BALDOVINO DEL BELGIO CHE GLI HA ESPRESSO COSTERNAZIONE
E SOLIDARIETA' E PIU' TARDI HA RICEVUTO AL QUIRINALE IL
MINISTRO DEI TRASPORTI BELGA HERMAN DE CROO CHE, INSIEME
ALL' AMBASCIATORE JOSEPH TROUVEROY, GLI HA PORTO LE CONDOGLIANZE
DEL SUO GOVERNO. PARTICOLARMENTE COLPITO E' STATO IL PRESIDENTE
ANCHE PERCHÉ' QUANTO E' ACCADUTO A BRUXELLES E' LA PIU'
GRAVE DEGENERAZIONE DI UN FATTO PROFONDAMENTE UMANO QUALE
E' QUELLO SPORTIVO. PIU' VOLTE PERTINI HA SOTTOLINEATO IL
VALORE RICREATIVO E SPONTANEO DELLO SPORT INSIEME ALLA SUA
FUNZIONE EQUILIBRATRICE DELLE TENSIONI E DELLE ESUBERANZE,
ANCHE COME CORRETTIVO DI IMPULSI ALLA VIOLENZA.
29 maggio 1985
Fonte: ANSA
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
Heysel, la tragedia
dagli archivi dell'ANSA |
Un delitto dei barbari e degli incapaci
di Candido Cannavò Il calcio ha conosciuto
ieri sera la più grande tragedia della follia. Una
montagna di morti, una strage, una carneficina.
Tremano le mani a scrivere queste parole che sono il
macabro mosaico di quella che avrebbe dovuto essere
la finalissima della coppa dei Campioni. Bruxelles,
dinanzi agli occhi di tutta Europa, è diventata una
specie di Beirut, assurda, fanatica, barbara.
Indignazione e sgomento si mescolano alla pietà per
chi ci ha lasciato la vita. Ma neanche la tragedia
ormai palpabile ha placato quelle orde della
peggiore teppaglia inglese, che hanno continuato a
far la guerra inquadrate dalle telecamere, lugubri
campioni di una giornata che non sarà mai possibile
dimenticare. Una macchia incancellabile. Vien da
maledire la coppa. È questo lo stato d'animo di
tutti, mentre la Tv proietta i residui ancora
velenosi della guerriglia di Bruxelles. Ma le
parole, i sentimenti, le reazioni emotive hanno il
loro confine. Ci sono, sullo sfondo di questa
tragedia, immense responsabilità da parte dì chi non
ha saputo minimamente gestire, neanche con le misure
più normali, un avvenimento che andava rigorosamente
disciplinato nel suo contorno, perché aveva tutte le
caratteristiche per risultare esplosivo. Bruxelles e
gli organizzatori dell'UEFA non hanno nessuna
giustificazione, né meritano alcuna solidarietà. La
gente ha visto con i propri occhi quei pochi e
poveri poliziotti, travolti sin dall'inizio dalla
guerra scatenata dalla teppaglia britannica.
Facevano pena. Non c'era nulla da scoprire, non
esiste l'attenuante del "fattore-sorpresa". Da
almeno un decennio, i commandos delinquenziali del
Liverpool o del Manchester terrorizzano l'Europa.
Abbiamo anche noi le nostre frange di
tifosi-delinquenti (e molti magari erano a
Bruxelles), ma non c'è nessuna violenza organizzata
nel mondo che possa reggere il confronto con quella
inglese. Ad Atene, due anni fa, c'erano quarantamila
italiani. Non è successo quasi nulla. Il teppismo,
fuori dall'Inghilterra, si manifesta per piccole
pattuglie, non per eserciti. Bisogna, però,
ricordare che dentro i recinti dello stadio i
barbari arrivati dall'Inghilterra erano stati sempre
bloccati dovunque: disarmati, annullati. Gli
incidenti erano sempre avvenuti sulle strade, in
zone difficilmente controllabili. E l'Inghilterra,
anche ufficialmente, se n'era vergognata,
promuovendo anche misure di polizia che, purtroppo,
si sono rivelate sterili. A Bruxelles si è recitata,
invece, una tragedia in uno stadio. E questo, al di
là di ogni considerazione morale, sa di resa, di
fallimento, di incapacità. In questi casi - come
l'anno scorso è avvenuto all'Olimpico - si ricorre a
rigorose misure preventive: tremila biglietti
venduti In meno e tremila poliziotti in più. A
Bruxelles pare che nello stadio ne fossero impegnati
appena qualche centinaio. I barbari hanno trovato
subito via libera. Senza voler fare del becero
nazionalismo su una tragedia, c'è un'altra cosa da
dire. La guerra di Bruxelles è sostanzialmente di
marca inglese. Gli stessi osservatori britannici lo
hanno ammesso. E l'Inghilterra maestra di civiltà è
chiamata ormai a ricorrere a provvedimenti estremi.
Queste spedizioni delinquenziali all'estero vanno
proibite. È difficile stabilire il come. Ma si
potrebbe cominciare col vietare la vendita di
biglietti in tutto il territorio inglese. A questo
punto, dovremmo dirvi qualcosa su quel grottesco
svolgimento della partita, un autentico insulto,
appena giustificato da patetiche misure dì
sicurezza. Ma l'ultima cosa che interessi, a
tragedia ancora calda, è chi abbia o non abbia vinto
questa coppa maledetta. 30 maggio 1985 Fonte: La Gazzetta dello
sport
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
Sport e follia
di Oreste del Buono
Questo mercoledì sera
tanto atteso dagli sportivi italiani, di tifo juventino
e non juventino, è stato un mercoledì sera d'orrore. Chi
è andato a Bruxelles per la finale Juventus-Liverpool ha
vissuto la tragedia dal vivo. Ma chi in Italia ha assistito
davanti al televisore, guardando la bolgia infernale e ascoltando
le fiacche lamentazioni del telecronista, è stato stravolto
dallo sbigottimento, dall'indignazione, dal risentimento
e anche dal rancore. I tifosi sono quelli che sono, e si
conoscono nel male come nel bene. Ma non è ammissibile che
una società democratica non sappia gestire le masse, anzi
le provochi e le ecciti con la propria disorganizzazione,
la propria incoscienza. E così ci è toccato rivedere uno
stadio riempirsi di poliziotti e di greggi impazzite e ribelli
come nelle immagini provenienti dagli Stati totalitari latino-americani
in tempo di golpe. Le cifre dei morti sono state dette e
contraddette. Le supreme autorità calcistiche internazionali
sono state a discutere per almeno un'ora con la polizia
belga la necessità di far entrare comunque le squadre in
campo, nell'impotenza di imporre un rinvio della partita
senza provocare ulteriori disordini. Italia e Inghilterra
hanno confermalo di essere i due Paesi più scalcinati d'Europa,
quelli che riversano ogni speranza, ogni ideologia, ogni
fede, ogni rivalsa non nel gioco del calcio, ma nella rissa
ai margini del campo di calcio, ma nella rissa sugli spalti,
ma nella rissa sugli accessi agli stadi. Ma il Belgio ha
voluto porre il suggello della sua vergognosa inefficienza.
Questa di Bruxelles è stata una vera manifestazione europea.
I morti sono caduti in nome di quest'Europa, medioevale
di ritorno. Ed ecco le squadre in campo per invocazione
e imposizione delle superiori autorità. Una finale non per
la definizione della migliore squadra europea, ma per ragioni
di ordine pubblico. La Juventus non avrebbe voluto giocare
ma è una squadra disciplinata, s'è piegata. Ha cominciato
a tirare i primi calci al pallone come se fosse una partita
qualsiasi. Intanto fuori si contavano i morti calpestati
tra una bastonatura e l'altra, uno sconfinamento e l'altro.
Famiglie in attesa in Italia, in ansia, in angoscia davanti
a una partita di calcio qualsiasi in televisione tra maglie
bianconere e maglie rosse mentre i loro cari magari giacevano
nel mucchio inaccettabile sotto le bandiere bianconere o
tricolori. Nella tragedia europea, una tragedia italiana.
I nemici del calcio, i profeti di sciagure hanno avuto purtroppo
ragione. Il calcio non è riuscito a salvarsi dal mondo in
cui vive. Ne ha contratto la follia. Insomma, per paura,
i veri responsabili di questo mercoledì sera nero hanno
ribadito che lo spettacolo doveva continuare. I giocatori
juventini hanno fatto il loro dovere, mentre le cifre dei
morti aumentavano. Anche l'arbitro Deyna ha fatto il proprio
dovere dando la punizione che occorreva dare. E Platini
ha segnato. Le cifre dei morti continuavano ad aumentare
e c'erano duecento feriti tra cui molti gravi. Anche questi
facevano parte dello spettacolo ?
30 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
E' stata questa la prima
volta, nella mia ottusa ignoranza di analfabeta sportivo,
che ho seguito una partita di caldo dall'inizio alla fine.
Mi è bastato par avere una conferma a quanto ho sempre pensato:
che lo sport, soprattutto il calcio, è, per parafrasare
amaramente Pasolini, "la religione del nostro tempo", l'ultima
che vive le sue "liturgie" sempre più spesso con sacrifici
umani, con riti di violenza belluina, programmata o improvvisata,
nel suo tempio, cioè, com'è giusto, sulle gradinate degli
stadi. Ieri sera bastava chiudere gli occhi un istante per
misurare la forza di questa brutale droga, di questa abnorme
religione, bastava seguire il discorso, prima concitato,
tragico e patetico dei commentatori, ma subito, sempre più
disintossicato da ogni dolore e da ogni componente d'angoscia,
senza che si insistesse sulla spontanea e nobile proposta
di cancellare la partita, proposta improvvisata comprensibilmente
e lodevolmente dai nostri commentatori sportivi. Alla fine
veniva da domandarsi se davvero fosse successo quel che
era successo, e se giacessero sulle gradinate dello stadio
34 morti, metà ammazzati dalla furia dei tifosi inglesi
all'inseguimento feroce dei tifosi italiani, metà dalla
sciagura del crollo delle ringhiere. Incauti, addirittura
abusivi, i nostri commentatori, e forse anche quelli inglesi,
avevano, a caldo, pieni di indignazione umana e di sincero
dolore, proposto che di tutto non se ne facesse nulla dopo
tutto quel sangue. Appena il ministero belga ha reclamato
che "la festa cominciasse", nonostante quel sangue, e allo
scopo di evitarne altro ancora, anche la voce, il rigore,
la precisione e l'entusiasmo si sono riaccesi. Come i grandi
attori famosi, quasi fosse un merito antico come il teatro
più romantico e il mestiere più eroico, tutti hanno accettato
di buon grado d'andare in scena" lo stesso, anche se con
"il cuore a pezzi". Ingenuo, ho creduto fino al momento
del via, che fossero gli stessi tifosi a invadere pacificamente
il campo per cancellare partita e campionato in nome e per
rispetto a 34 morti e a 200 feriti. O che fossero le due
squadre, davvero capaci di antica e autentica cavalleria
sportiva ed umana, a rifiutarsi di giocare. Invece non è
successo assolutamente nulla di tutto questo. Tutto è rimasto
"a posto", anche se niente di niente era "in ordine". La
"religione del nostro tempo" - lo sport degradato a mattanza
ormai programmata in anticipo - ha avuto un nuovo olocausto.
N.F.
30 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
Una diretta televisiva
"che doveva diventare tra le più feroci e angosciose" -
Vita realtà che scorre implacabile: sofferenze, terrori.
Poteva essere una sfida,
una prova di forza, il compimento di un lungo desiderio:
qualcosa in cui entravano anche la volontà e la sorte, come
in tutti i giochi più appassionanti, più vicini al cuore
degli uomini. Juventus-Liverpool: la città dell'automobile
contro la città del rock e dei docks, la compostezza e lo
stile contro l'agonismo e la furia, la scuola italiana contro
quella inglese, una squadra che da sempre insegue questa
vittoria contro una squadra che vi si è abituata da sempre.
C'erano tutti gli ingredienti per un grande spettacolo mondiale.
Invece, e lo si è capito subito, sin dai primi minuti di
una diretta televisiva che doveva diventare tra le più feroci
e angosciose, siamo stati di fronte a una tragedia senza
la nobiltà dello spirito tragico, a uno di quegli eventi
dove violenza cieca e insensatezza, bruttura e caos si incontrano,
ormai tipici della nostra società. La partita non può cominciare,
forse non comincerà. Sul teleschermo, le immagini non sono
quelle festose della policromia degli striscioni e delle
bandiere: vediamo una scalinata dello stadio devastata,
reti divelte, a terra fogli di giornale appallottolati o
spiegati, magliette, stracci che dovevano essere camicie
o calzoni, scarpe, borse schiacciate, scarpe fatte a pezzi:
la telecamera indugia su questo spettacolo di devastazione,
di degradazione, come prodotto del picnic impazzito di una
folla di barboni. Gli scontri tra i tifosi sono cominciati
un po' prima della diretta, e ora la televisione belga ce
li mostra registrati: sono i sostenitori del Liverpool che
invadono con tecniche da guerriglia il settore juventino:
vediamo i confusi movimenti di una massa umana che si ritrae
e si ingorga, come una grossa onda dopo che si è rotta sulla
battigia: si stenta, si ha quasi difficoltà a pensare che
quei lillipuziani che scorgiamo fuggire e pigiarsi tutti
insieme sono degli uomini come noi, che in questo stesso
momento stiamo versandoci un whisky, seduti su di una poltrona:
eppure lo sono, quelle immagini non appartengono a un film
ben fatto, quella che vediamo è la realtà che scorre, implacabile
e dolorosa: ci sono sofferenze, terrori, angosce là, carni
strappate, ferite sanguinanti, vite troncate. In diretta
continuiamo a seguire la coda dei disordini: la polizia
belga cerca di liberare il terreno di gioco: ma diversi
giovani facinorosi continuano a impegnarla con lanci di
sassi, agitando bastoni o travi divelte, correndo all'improvviso
e all'impazzata. Qualcuno ha il volto coperto da fazzoletti
o sciarpe: altri impugnano i bastoni e li roteano con una
specie di compiaciuta perizia militare. A un tratto fronteggiano
il cordone dei poliziotti con lo scudo di plexiglass, arrivano
a ridosso degli scudi come per parlamentare, sembra che
vogliano dire di non avercela con le forze dell'ordine,
che vogliano chiedere di passare per andare a regolare i
conti con l'altra fazione da soli. Vediamo arrivare in campo
dei giocatori bianconeri: riconosciamo il bel volto franco
di Cabrini, la statura di Brio, lo sguardo maturo di Tardelli.
Li ammiriamo in quel momento per il coraggio, anche fisico,
che mostrano nel farsi sotto quella marea vociante, eccitatissima,
per ricondurla all'ordine. Intanto il tempo passa, non si
sa se la partita inizierà, e le prime notizie, i primi bilanci
arrivano alle postazioni dei telecronisti, portando il lutto
con sé: c'è stato un vero e proprio massacro. Il senso di
incubo che provavamo da lontano era giustificato: ci sono
41 morti, e non si contano i feriti: ne vediamo qualcuno
uscire dal campo avvolto in una coperta o adagiato su una
barella o anche camminando tra i poliziotti, con il capo
bendato e una metà del volto mascherata dal sangue. Chiunque
abbia un figlio, un padre, un amico allo stadio di Bruxelles,
con che animo potrà continuare a guardare ? E i tifosi del
Liverpool, quelli che hanno attaccato per primi cotti dal
caldo e dalla birra, quelli che seguono la squadra in trasferta
con lo stesso piglio ebbro, straccione e rissoso con cui
ricordo i ragazzi confluire in certi raduni di rock nel
Nord dell'Inghilterra, con che animo possono continuare
a fare il tifo ? E’ un'ora e mezzo di interrogativi angoscianti,
di ansie, di violenze ricorrenti. Infine la partita viene
giocata, per "motivi di ordine pubblico", per dar modo alle
forze dell'ordine belghe, prese in contropiede, di riorganizzarsi.
E nel momento stesso in cui i calciatori appaiono in campo,
l'incubo si attenua, la stretta alla gola si allenta: ora
la parola è alla lealtà agonistica, alle regole del gioco,
al talento individuale. Poteva essere una festa: il clima
di attesa era quello. Verso sera, Sanremo era invasa da
una strana nebbia sottile, come di una fumata gigante: davanti
ad un cinema del centro, tanti manifesti annunciavano che
la partita sarebbe stata trasmessa su uno schermo di sei
metri per quattro. Passa un gruppo di bambini, alzando le
braccia e scandendo: "Juve !": uno di loro poi muove le
palme delle mani aperte sul manifesto, all'altezza dei caratteri
della parola "Liverpool", come per un sortilegio imparato
dai cartoni animati. Nel caffè vicino, degli sfaccendati
dai vestiti sgargianti picchiano sui tavolini bianchi ritmando
il nome di Platini e di Boniek. Chiunque entri al caffè,
aggiunge il suo pronostico, le sue considerazioni, talvolta
dure e decise come un bollettino di guerra. Guerra, una
guerra insensata, cruenta, funesta c'è stata, fuori del
campo di gioco, fuori dello sport, fuori delle regole della
convivenza umana. La partita corretta, veloce, a tratti
bella non può farlo dimenticare, il rigore di Platini, la
vittoria finalmente raggiunta neppure: si gioca per "ragioni
di ordine pubblico", fuori dello stadio funziona un ospedale
da campo; madri, mogli, fidanzate sperano di sentire suonare
il telefono, parlare la voce che le rassicuri: di loro,
certe aspetteranno invano. Il pubblico raccolto al cinema
davanti allo schermo gigante sembra avvertire il peso di
un dramma non voluto, che sconcerta e rende silenziosi.
Ma poi alla fine il gol di Platini, il giro d'onore degli
Juventini, il volto raggiante e teso di Rossi e di Tardelli:
l'esultanza della vittoria è intrattenibile. Nello stesso
momento in cui apprendo che dei morti ben 30 sono italiani,
una sventagliata di clacson mi fa capire che anche sulle
strade della Riviera si festeggia la vittoria della squadra
amata. Confesso di essere sgomento: di non volerci credere:
è davvero diventato così breve nella nostra società il passo
dall'angoscia e dall'incubo alla liberazione e alla festa
?
30 maggio 1985
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
di Roberto Roversi
Stamattina tutti parlavano
di Bruxelles, adesso alle ore 14 i discorsi coinvolgono
già altri problemi e nuovi interessi o nuove sorprese cominciano
a modificare quelle impressioni e quei riferimenti. I morti,
dopotutto, sono morti. Io invece mi sento ancora frastornato,
ma quello che mi fa pensare e pensare amaramente - oltre
i poveri morti - è qualcosa di più implicito e più esplicito
all’evento luttuoso (come lo sento già definire); vale a
dire, le rapide modificazioni dentro il dramma che si compiva
e gli atti conclusivi o subito conseguenti. Prendo l’incolpevole
telecronista. Al primo collegamento il peggio è già compiuto
e lui è stravolto. Fa critiche particolari, ma traccia anche
conclusioni generali, però le sue parole vengono sovrapposte
dalle immagini e siamo noi a essere, con lui, coinvolti
e travolti. In queste occasioni la Tv è micidiale. Poi
Pizzul comunica che alcuni spettatori sono morti, non si
sa quanti, né di quale nazionalità; poco dopo aggiunge che
i morti sono 33, no sono 24, purtroppo, è ufficiale, sono
36. Poi aggiunge che la partita non si gioca più, ma non
si sa come far sgombrare lo stadio; quindi corregge che
si giocherà, ma solo per ragioni di ordine pubblico. Nello
stadio, vediamo, c'è ancora fermento; qua e là durano piccoli
episodi di guerriglia. Visi feroci, giovanotti esagitati,
fuochi accesi, gruppetti che corrono inseguiti da agenti.
Escono le squadre per una partita che non si sarebbe dovuto
giocare a nessun costo - e per nessuna ragione - e subito
cominciano a fare sul serio. Giocano per vincere. E’ anche
evidente la trasformazione del telecronista: progressiva,
viscerale, incontrollata. Era partito dicendo che
avrebbe fatto un commento asettico, puramente tecnico;
invece la sua voce comincia a caricarsi di umori partecipativi
e verso la fine è ormai coinvolta e gridata; una voce con
fronde di alloro. I tifosi, anche loro fanno festa, i giocatori
si baciano, abbracciano, corrono per il campo. Si sventolano
le bandiere. E’ il quadro perfetto di un trionfo calcistico.
Si interrompe il collegamento. Da Roma Arbore avverte che
la sua trasmissione è rimandata. Quasi in contemporanea,
per la strada, per via Marconi, cominciano a suonare i clacson,
urla, le sgommate delle auto, i tifosi locali fan festa.
Una tragedia calcistica finisce, secondo il rito, in una
farsaccia smodata e becera, senza pudore. Cosa vuol dire
! Che i morti si devono contare a parte, e che chi vive
ha sentimenti (aridamente) da vivo. Domenica prossima non
c'è Verona-Inter per la Coppa Italia ? Cosa importa se inzeppiamo
ottantamila persone in uno stadio che ne contiene cinquanta
? Se abbondano i falsari è forse colpa del calcio ? Se compro
Macina dal Parma e lo pago miliardi non ho diritto a recuperare
i soldi stringendo lo spazio come un uovo ? E i giornalisti
sportivi non è forse giusto che frughino anche fra gli slip
dei giocatori e delle loro donne per cercare notizie, per
caricare agli animi ? Esagitati, esaltati, nevrotici; sempre
a rincorrere la notizia bagnata di zolfo per poterla annusare;
abbiamo ridotto il gioco del calcio (né il più bello del
mondo, né il peggiore del mondo) e una prevaricazione continua,
a uno spettacolo sempre più faticoso e assurdo. Dentro a
cui giocatori sembrano personaggi da guerre stellari. La
loro impassibilità - che sembra una frigidità piena di cautela
- da grandi saggi o da grandi mercenari o da grandi avventurieri,
li rende esemplari del nostro tempo. Paolo Rossi, qua e
là per il campo, non sembra arrivare ancora pallido, ancora
affannato, dal passato, dalla storia per partecipare a un
evento del mito - e poi scomparire ! Intanto i giocatori
della Juve avranno dall'Avvocato il premio per la coppa.
E quelli del Liverpool ? Oh, alcuni fra loro la prossima
stagione giocheranno in Italia. Non siamo forse fra i paesi
di maggior benessere al mondo ? Perché perdere tempo sui
referendum, scala mobile, decimale ecc. , o a piangere i
morti ? E Juventus - Liverpool poi, è solo una partita segnata,
una giornata maledetta. Per fortuna abbiamo vinto.
30 maggio 1985
Fonte: L'Unità
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
di Giovanni Giudici
Vedo che qualcosa non va,
telefono al giornale: sono qui, dico. Fin troppo evidente:
non so ancora se è la tragedia, ma certamente l'imprevisto
è nell'aria. Ho già osservato, poco prima, le facce preoccupate,
udito le voci altrettanto perplesse dei telecronisti in
attesa del collegamento in diretta con Bruxelles e quasi
mi sono sentito avvolto da una sinistra certezza. "Qui ci
siamo" mi sono detto e, infatti, tra una ridda di immagini
in diretta e di immagini registrate, allucinante carosello,
di accadente e già accaduto, alle 20,57 (ho controllato
sull’orologio) la voce di Bruno Pizzul: "Una notizia che
proprio devo dare: ci sono 36 morti". Una strage, una specie
di mostruoso attentato a livello europeo, ma una strage,
da nessuno, direi, tramata o perpetrata; una strage costruita
dall'assurdità degli eventi, quasi per una sorta di fosca
partenogenesi; edificata, morto per morto, ferito per ferito,
disperso per disperso, invasato per invasato, sulla spirale
ascendente e perversa dell’informazione-disinformazione.
Chi è l'assassino, chi è stato l'assassino di questi 36
(o magari anche più) nel momento in cui, lasciato nell'altra
stanza il televisore con le sue assurde e insieme impotenti
immagini e parole, sto cercando, ancora una volta in omaggio
alla Dea Accelerazione, di servire il giornale con una cronaca
in diretta ? Ma lo sto scrivendo e loro che cosa, in questo
momento, dicono, che cosa comunicano, quali immagini fanno
vedere ? Non servirebbe a nulla andare di là, ragguagliarsi,
documentarsi, aggiornarsi. E’ la tragedia dell’informazione,
mi dico: la tragedia del troppo rapido, del troppo e sempre
vicino, dell'arrivare primi ad ogni costo, del rifiuto ad
ogni riflessione… Passione sportiva ? No, non passione sportiva;
e nemmeno, di essa, una degenerazione, come sarebbe facilmente
portato a dedurre un facile moralista. Nessuno dei morti
di Bruxelles ha voluto morire, nessuno delle decine di migliaia
di tristi superstiti ha mai pensato o supposto di dover
immolare per la sua propria sopravvivenza quelle vittime.
Eppure. Eppure. La violenza che le ha uccise è stata e rimane
una violenza innegabile, dissimulata finché si vuole nella
normalità quotidiana; ma, vedete, basta una accelerazione
di tempi, un ravvicinarsi di contatti e il corto circuito
si scatena con una rabbia beffarda e incontrollabile. Non
ho tempo di andare di là a ragguagliarmi sugli ulteriori
sviluppi: ci saranno altri morti ? Chissà ? Forse sì. O
certamente. Ma, come ben abbiamo e con tristezza imparato
a sapere, un morto, dopo che sia morto, non è più un uomo,
bensì un numero. Ogni commento è superfluo ? I superbi e
innocenti dei dello stadio, i calciatori, della Juventus
o del Liverpool non importa, saranno già negli spogliatoi,
intenti a riporre mestamente i paramenti del loro rito di
gala ? Le maglie, le bandiere, e insegne. No, si gioca.
La vita (anche davanti alla morte) continua. Il cronista
resta qui ammutolito: non certo davanti al mancato spettacolo
sportivo (anche un temporale, del resto avrebbe potuto cancellarlo),
ma davanti alla non mai immaginabile, né immaginata tragedia;
davanti al pensiero dei parenti lontani che si domandano
con angoscia se uno dei loro cari non sia tra quei 36 morti.
O 360. O 36 mila. O 360 milioni. Così, da una specie di
sinistro scherzo, mi dico, così potrebbe nascere qualunque
cosa: la ecatombe atomica, per esempio. Perché no ?
30 maggio 1985
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
CUNEO - Deplorevoli incidenti
sono accaduti ieri sera è durante la notte a Cuneo. Almeno
quattrocento persone motorizzate hanno dapprima inscenato
una incredibile gazzarra in corso Nizza davanti alla sede
del Club granata; quindi si sono spostati sul piazzale della
stazione ferroviaria dove nell'attiguo bar-ristorante è
ospitata la sede del club interista. Sono stati lanciati
petardi e razzi fumogeni; è intervenuta la polizia e i carabinieri.
Secondo le prime informazioni due agenti di PS sono rimasti
leggermente feriti nei tafferugli, alcune persone sono state
fermate e portate in questura e nella caserma dei carabinieri.
g. d. m.
30 maggio 1985
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 30.05.1985
Dall'ultimo aereo a Caselle scendono i feriti e
raccontano
"Sembravano belve impazzite"
I treni e i pullman col
grosso dei tifosi oggi pomeriggio.
L'ultimo aereo atterra
nel sole di mezzogiorno a Caselle. E' il volo Alitalia 8275
da Bruxelles. Straripa di tifosi. Facce sconvolte, sguardi
mesti, sdegno, sgomento e molte fasciature. Marisol Brambilla,
20 anni, di Bergamo s'è fratturata la caviglia nel disperato
tentativo di sfuggire alla stretta mortale dei tifosi inglesi.
Le sono accanto gli amici che nello stadio Heysel, mentre
scoppiava l'inferno l'hanno strappata alla confusione, fatta
medicare, portata sull'aereo. Come lei molti altri sono
riusciti a farsi medicare negli ospedali di Bruxelles; altri
ancora hanno sulle braccia o sul volto i segni evidenti
di colluttazioni che certo avrebbero voluto evitare. Nel
grande atrio dello scalo di Torino, mentre anche il velivolo
dei giocatori juventini sta per atterrare, continuano a
riversarsi le immagini del dopo-Bruxelles, gli sfoghi, i
commenti, le accuse, chi è riuscito a tornare nonostante
quell'inferno. Enzo Greco e la moglie Marilù, sono di Torino
e abitano in piazza Castello: "Gli inglesi erano ubriachi
fradici sin dal mattino. Si spogliavano nudi, sputavano
nelle fontane, assalivano i passanti con le bottiglie di
birra rotte. Sono cannibali. Dovrebbero essere radiati da
tutti gli stadi". La maggior parte di chi torna punta il
dito contro l'assoluta impreparazione del servizio d'ordine
incaricato di controllare sia l'accesso che la sosta dei
tifosi nello stadio. Pochi poliziotti dovevano affrontare
migliaia di tifosi: un rapporto assurdo. Non solo. Ma anche
un controllo preventivo sarebbe stato assolutamente insufficiente.
A Caselle ogni tifoso aggiunge particolari ad un racconto
terribile e raccapricciante cominciato nel cuor della notte.
Il primo velivolo - dopo l'arrivo di un volo privato - è
atterrato poco dopo le 2,30; a bordo 65 passeggeri, non
di Torino. L'angoscia e la tensione hanno dominato la notte
nell'attesa di conoscere il numero delle vittime, i nomi,
quelli dei feriti. Ad ogni annuncio di voli una piccola
folla si accalcava vicino alle uscite. Così per tutta la
notte mentre altri voli erano attesi da un'ora all'altra.
Tra gli abbracci dei parenti e le domande di chi invece
sperava di avere notizie affioravano le prime impressioni.
"La partita ? Era meglio perderla che vincerla in quel modo".
Poi altri racconti con le immagini terribili della rissa,
della violenza, della morte. Alle prime luci dell'alba tutti
e cinque i voli charter erano rientrati. "Era meglio perdere,
piuttosto di vincere in quel modo - ha affermato l'avv.
Andrea Galasso, consigliere comunale di Torino, rientrato
con i tifosi - a Bruxelles gli inglesi si sono comportati
in modo incredibile: giravano seminudi per la città, ubriachi
fradici, ho visto interi gruppi orinare sui sagrati delle
chiese". Per tre giorni si sono dati ad un vero e proprio
saccheggio della città - ha sostenuto Alfio Roma - hanno
compiuto atti vandalici contro i negozi, aggredito i passanti
e la polizia li ha lasciati fare. Solo dopo la tragedia
le forze dell'ordine sono intervenute in massa ed hanno
posto in stato d'assedio Bruxelles". La critica alle forze
dell'ordine è riecheggiata in molti commenti: "La colpa
di quanto accaduto è della polizia, che si è dimostrata
impotente ha commentato Giorgio Stefanelli, torinese, tifoso
del Milan, recatosi a Bruxelles per "vedere un bell'incontro
di calcio - ma anche l'organizzazione dell'Uefa è stata
gravemente carente. Per entrare nello stadio ci hanno fatto
fare una coda di tre ore. Ma controllavano solo i biglietti
per timore dei falsi; cosi è entrato di tutto: gli inglesi
hanno portato coltelli, spranghe, bottiglie ed intere casse
di birra". Numerosi tifosi ora a casa non hanno visto l'incontro.
La gente che esce dall'aeroporto non ha voglia di parlare.
Prima di andarsene, Ferruccio Cavvera, commesso in un grande
magazzino torinese, evoca scene disumane: "Erano ubriachi.
Urlavano e lanciavano bottiglie. Dopo, qualcuno di loro
ha estratto il coltello, hanno sparato ad altezza d'uomo
con le pistole lanciarazzo". Adesso il grande salone dell'aeroporto
è quasi vuoto. Le punte più alte della tensione sono durate
sino alle 4,15 di stanotte quando arriverà il volo kl3267.
Nel frattempo, era atterrato un piccolo Cessna 550 con 9
persone, è un volo privato. Fra gli altri, c'era anche Domenico
Russo, ex-assessore comunale del PCI. E' uno degli "scissionisti"
che, con la loro uscita dal partito, hanno fatto cadere
nel gennaio scorso l'ultima giunta Novelli. La sciarpa bianconera
gli pendeva da una tasca della giacca, gli occhi sbarrati
facevano trasparire ansia e sgomento. "Ecco, qui c'è la
curva divisa nei settori. Il settore era occupato da noi
italiani, separato con una rete metallica dagli altri due,
dove stavano gli inglesi - ha spiegato Russo - poi, veniva
il primo settore di tribuna, quello indicato con la lettera
A, ma tra Z e A c'era il vuoto, in corrispondenza di un
ingresso allo stadio. La cosa terribile è avvenuta lì. Secondo
la ricostruzione, gli inglesi hanno invaso il settore Z.
Dopo, i poliziotti hanno tentato di fermarli - ha concluso
Russo - ma erano solo 7 o 8 e hanno finito per peggiorare
le cose". Ancora voci, ancora dichiarazioni gridate prima
di correre verso l'auto o il taxi. "L'abbiamo saputo quasi
subito che c'erano tutti quei morti - ha detto un ragazzo
- ce l'hanno detto i poliziotti della guardia regia. Intanto
continuavano gli scontri tra gli inglesi e il servizio d'ordine.
Avevano i coltelli e delle mazze di ferro. Già al nostro
arrivo ci eravamo accorti del pericolo. Avevano trasformato
la città in un disastro. Bruxelles sembrava sconvolta da
un terremoto".
30 maggio 1985
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
Torino,
la notte dell'angoscia
di Marco Vaglietti
Mario Soldati, il sindaco
Cardetti, Gipo Farassino: tanta amarezza - Diego Novelli;
"è stato allucinante; il risultato sportivo non interessa"
- Viglione: "Avevo mio figlio a Bruxelles".
La "finalissima del lutto"
è stata definita la partita di Bruxelles dalla maggior parte
dei telecronisti impegnati ieri sera a commentare per conto
di decine di "networks" di tutto il mondo un incontro di
calcio divenuto dramma ancor prima del fischio d'inizio.
Ma molti tifosi torinesi della Juventus - valutati in almeno
50 mila persone - sono voluti egualmente scendere in piazza,
a mezzanotte, per festeggiare la vittoria della loro squadra.
Nei loro slogan nessuna traccia dei morti e dei feriti di
Bruxelles. Solo urla di gioia e caroselli di gran festa
per tutta piazza San Carlo e le vie del centro. Come è stato
possibile un simile comportamento, quando il centralino
de "La Stampa" è stato sommerso dalle chiamate di tanta
altra gente in ansia per gli amici ed i parenti che si erano
recati in Belgio al seguito della Juventus ? Il neuropsichiatra
Anselmo Zanalda analizza il comportamento della folla: "Nella
nostra società c'è ormai da tempo l'indifferenza per il
dolore altrui. Gli psicologi hanno registrato, nella cosiddetta
società dei consumi, che la gente non è più capace di partecipazione.
Quando in una collettività viene meno la partecipazione
per i sentimenti ed i problemi degli altri si crea uno stato
d'animo grazie al quale si "scompongono" gli avvenimenti.
Di un episodio non si tiene in alcun conto l'aspetto che
non interessa, cioè, in questo caso, il dolore e l'angoscia
di tanta gente. Ieri sera è avvenuto, in piazza San Carlo
e in via Roma invasa dai festeggiamenti, quel che tante
volte accade quando c'è un incidente stradale: le auto passano
e nessuno si ferma a soccorrere i feriti. Tutti fingono
di non vedere chi sta gemendo tra le lamiere o sull'asfalto,
interessa solo non sporcare di sangue i propri sedili o
giungere in fretta a casa senza perder tempo e crearsi dei
problemi". Prosegue il professor Zanalda: "Purtroppo al
giorno d'oggi prevale in gran parte della società l'aridità
affettiva. C'è tanto egoismo. Tutto viene delegato ad altri,
non esiste partecipazione per cui, tornando all'esempio
dell'incidente stradale, si dice: "Arriverà un'ambulanza,
c'è chi ha l'incarico ed il dovere di pensarci. A noi non
interessa, mica si può far tutto". In questa logica l'avvenimento
importante è la squadra che ha vinto e di nessun rilievo
diventa la circostanza che decine di persone hanno perso
la vita e centinaia sono in ospedale. I tifosi si sono dimostrati
incapaci di vedere il problema nel suo insieme per insensibilità
e, anche, per mancanza di intelligenza". E' stato opportuno,
valeva la pena insomma, di disputare egualmente la partita
dopo tanta tragedia ? Per il professor Anselmo Zanalda,
sì: "Nessuno può escludere - spiega - che non si sarebbe
verificato di peggio se non si fosse giocato". Non solo
per il neuropsichiatra la decisione di far scendere egualmente
le squadre in campo è stata giusta. Dice l'ex sindaco Diego
Novelli: "è allucinante, ma mi rendo conto che le autorità
per evitare il peggio si siano trovate nella necessità di
far giocare. Se no, nessuno sa che cosa sarebbe potuto accadere.
E' stata una misura d'ordine pubblico, non una partita di
calcio. Sto partendo per Bruxelles perché sono eurodeputato
e proprio oggi ho una commissione fissata già tempo addietro.
Andrò anche al parlamento europeo, ma soprattutto andrò
a vedere cosa è successo. Vorrei capire come può esser avvenuta
una simile tragedia. E' evidente che il risultato sportivo
a questo punto non interessa più". Il neo sindaco di Torino,
Giorgio Cardetti, ieri sera ha seguito l'incontro nel "déhors"
di un caffè di piazza San Carlo (dove era stato allestito
uno schermo televisivo gigante). Cardetti ha stigmatizzato
le scene di giubilo: "Simili festeggiamenti sono assurdi
- ha detto - molte famiglie di Torino in queste ore sono
in preda al panico per la sorte dei loro congiunti. Capisco
la voglia di esternare la propria gioia dopo tanta attesa,
ma tutti abbiamo visto le scene della tragedia in televisione;
si doveva rinunciare a tutto. Personalmente sono sconcertato,
è sconvolgente che chi è andato ad una partita di calcio
si sia trovato in quella tragedia ed abbia rischiato la
vita. Va anche detto, da quel che si è potuto capire per
televisione, che lo stadio era inadeguato e senza misure
di sicurezza. Posso esprimere solo la mia solidarietà ai
dirigenti ed ai giocatori della Juventus che hanno accettato
di giocare per evitare ulteriori incidenti, anche se la
partita non ha nessun significato". Aldo Viglione, presidente
del consiglio regionale, ieri sera ha seguito il dramma
di Bruxelles con particolare ansia: "Ho mio figlio allo
stadio, si può immaginare il mio stato d'animo. Non è solo
il numero delle vittime, è chiaro che la violenza sui campi
di gioco non ha più limiti. Alla tv vedo elicotteri ed addirittura
aerei che sfrecciano, tanto valeva rinunciare, è chiara
l'impreparazione delle forze dell'ordine. Auspico che abbiano
giocato per salvare delle altre vite umane e solo per questo.
Credo che la situazione di oggi debba servire da monito
ed esempio per sempre. Non è possibile e nemmeno concepibile
che lo sport diventi sangue". Il questore di Torino, dottor
Antonio Fariello, non vuole rilasciare dichiarazioni: "Personalmente
posso solo esprimere il mio raccapriccio ed il mio dolore".
Ma le manifestazioni della notte nel centro della città,
come si possono spiegare ? "Gli stessi agenti che si trovavano
in servizio per ragioni d'ordine pubblico non riuscivano
a comprendere le urla di gioia ed i festeggiamenti dei tifosi".
Lo scrittore Mario Soldati è "furibondo", come lui stesso
tiene a precisare: "Io sono dell'opinione di dimenticare
quella tragedia. Voglio dire ci pensino, e ne rispondano,
quelli che hanno causato quel dramma. Noi tifosi juventini
non siamo colpevoli, ma gli organizzatori e le autorità
del Belgio lo sono, eccome. Oltre a causare i morti hanno
rovinato la vittoria della Juve. E' una cosa tremenda che
della gente pacifica andata a divertirsi sia stata calpestata
e precipitata giù da uno stadio". Prosegue Mario Soldati:
"Non sopporto, anche se tra questi ci sono dei miei cari
amici, coloro che sostengono che non si doveva giocare.
Se le squadre non si affrontavano i morti sarebbero stati
senza dubbio altre decine o centinaia. Ammiro quell'arbitro
svizzero che doveva avere paura più degli altri a scendere
in campo. L'arbitro tremava, ma ha fischiato ugualmente
il segnale dell'inizio. Si sa come reagisce la folla, se
in campo, con la tensione che c'era, accadeva qualche cosa
il direttore di gara sarebbe stata la prima vittima. Sono
rimasto disgustato dalla visione di quei tifosi invasati,
con il volto coperto dalle sciarpe e le spranghe in mano.
Gente ubriaca e fanatica che ha rovinato la vittoria della
Juventus. Ripeto che vorrei poter dimenticare una simile
tragedia. La Juve, squadra per cui tifo da sempre, ha giocato
meglio. Ha meritato la vittoria e non è giusto che delle
autorità irresponsabili abbiano provocato tante vittime
per loro incoscienza". Gipo Farassino, tifoso juventino
e noto attore dialettale, commenta così la partita: "C'è
solo tanta amarezza. Io pensavo che la classe e lo stile
della Juventus avrebbe fatto decidere alla società di rinunciare
a giocare chiedendo di rinviare la partita. Ma come dirlo
ai tifosi in quella situazione ? Sono convinto che i giocatori
sono stati forzati ad uscire dagli spogliatoi.
30 maggio 1985
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
Un'ondata di orrore è arrivata attraverso gli schermi
della tv
Inutili tentativi di telefonare
a Bruxelles per avere notizie dei parenti
di Gianni Fintus
TORINO - Sono le 21,30
quando la notizia della tragedia, che ha già fatto il giro
del mondo varca la soglia di un famoso ristorante dì corso
Casale. Arriva quasi per caso quando i cuochi stanno per
spegnere i fornelli e si trova il tempo di accendere la
televisione. Allora ci si rende conto di quanto è successo
allo stadio maledetto di Bruxelles e l'orrore s'impadronisce
della decina di clienti presenti nel grande salone del ristorante.
Tra questi c'è anche un signore di mezz'età dall'aria distinta,
che ha cenato da solo. Sente i commenti degli altri commensali
e si guarda intorno con l'aria di chi non ha capito cosa
è successo. Quando, finalmente, qualcuno ha il tempo di
spiegargli la tragedia Bruxelles nella sua lingua, l'inglese,
John Dorans, un londinese di passaggio nella nostra città
ha il gesto di stupore misurato dei suoi connazionali e
dice: "Me lo aspettavo, sapevo che poteva finire così".
Poi si alza, paga il conto e se ne va senza aggiungere altro.
Gli inglesi sono abituati alla violenza negli stadi, hanno
imparato a convivere con le notizie drammatiche che ogni
domenica vengono regalate dalle partite del campionato.
Per Torino è diverso. Da noi una tragedia come quella consumata
sugli spalti della capitale belga trasforma in pochi istanti
il volto di una città di più di un milione di abitanti.
Centinaia e centinaia di famiglie precipitano all'istante
nell'angoscia e si aggrappano al telefono. Nei ristoranti,
nei bar, nei locali della città i rari clienti (pochi hanno
saputo rinunciare alle immagini televisive della Juventus
impegnata nella finale per la conquista della Coppa) si
è fatto improvvisamente deserto. Silvia Lavorata del "Bue
Rosso" spiega: "Ieri sera nel ristorante c'era pochissima
gente, erano occupati non più di tre, tavoli. Quando la
radio ha incominciato a fornire le cifre impressionanti
della sciagura allo stadio di Bruxelles allora un paio di
persone ha chiesto con urgenza di poter telefonare e si
sono aggrappati alla cornetta. Abbiamo capito subito il
motivo delle telefonate: cercavano notizie di parenti, amici
che in quell'istante stavano vivendo in prima persona l'orrore
dello stadio Heysel. La loro però è stata una ricerca inutile
anche se hanno consumato decine di gettoni". Una scena analoga
si è verificata in un altro ristorante "Al Ciacolon". Anche
fra i tavoli di questo locale specializzato in cucina veneta
la strage dei tifosi juventini ha imposto il silenzio. Anche
"Al Ciacolon", molti clienti hanno tempestato di telefonate
le case di parenti e amici alla ricerca di notizie da Bruxelles.
Anche "Al Ciacolon" molti clienti hanno terminato la loro
cena prima del previsto. Qualcuno per tornare a casa in
attesa di sapere la sorte di qualche conoscente, che aveva
deciso di seguire fin nella capitale belga la squadra del
cuore. Altri spaventati dall'incredibile bagarre, che si
è scatenata, incurante del lutto, dopo la vittoria. Roberto
Boano, uno dei camerieri in servizio ieri sera fra i tavoli
del ristorante "Cucco" spiega: "Avevamo già previsto una
serata di poco lavoro. Quando la Juve gioca una partita
importante come quella contro il Liverpool la gente preferisce
la tv al ristorante e anche ieri sera questa regola è stata
rispettata. Da noi non ci saranno stati più di una ventina
di clienti: una cifra veramente modesta, che si è ulteriormente
ridotta quando sono arrivate le prime immagini dei gravi
incidenti accaduti a Bruxelles. Quando si è riusciti a capire
cosa era esattamente capitato nello stadio della capitale
belga in molti hanno chiesto il conto con un po' di anticipo
lasciando a metà la cena". E l'elenco dei ristoranti, dei
locali potrebbe continuare all'Infinito. Potrebbe continuare
ancora per un pezzo la descrizione di come, improvvisamente,
l'angoscia si è impadronita di una città percorrendola in
lungo e in largo, non risparmiando nessun luogo di ritrovo
e conquistando la casa di molti torinesi. Le redazioni dei
giornali sono state tempestate da migliaia di telefonate.
Gente angosciata che chiedeva di amici, di parenti, di conoscenti
e non si rassegnava davanti alla mancanza di risposte. A
tarda notte non si sa bene perché e attraverso quali, misteriose,
vie, centinaia di persone sono venute a conoscenza del numero
di telefono della redazione dell'agenzia giornalistica Ansa
di Bruxelles. Il prefisso per chiamare la capitale belga
è lo 00322, ma la teleselezione internazionale è capace
di giocare brutti scherzi quando le linee sono cariche e
non si ha l'accortezza di comporre il numero lentamente.
Così ieri notte ai molti che hanno cercato di mettersi in
contatto con l'Ansa di Bruxelles per avere notizie sull'identità
delle vittime e dei feriti ha risposto spesso un'anonima
signora di un paesino del novarese, che è stata, probabilmente,
gettata giù dal letto decine e decine di volte". Ma lei
non ha mai avuto il coraggio di protestare o di rispondere
con la voce scocciata. A tutti ha risposto con gentilezza
specificando "No, non è l'Ansa, non è Bruxelles, siamo in
Piemonte, ma comunque tanti auguri so cosa è successo laggiù".
Intanto, intorno a tanti sentimenti contrastanti: angoscia,
sgomento, incredulità, si è scatenata la tifoseria più insensibile.
Le strade sono state invase da centinaia e centinaia di
persone che non hanno saputo mettere da parte la gioia di
una vittoria avvenuta con uno spaventoso contorno di lutti.
E allora le vie di Torino hanno assunto lo strano sapore
di luogo di confronto di due sentimenti tanto contrastanti,
ma comunque costretti a convivere gomito a gomito. Nelle
vie e nelle piazze lo sdegno e il dolore per quanto era
successo allo stadio di Heysel si è mescolato alla gioia
insensibile di chi ha voluto ad ogni costo festeggiare una
vittoria avvenuta tra tanto dolore nella maniera rumorosa
e francamente ieri sera insopportabile delle tifoserie.
Così nei bar aperti fino a tarda notte del centro o nei
ritrovi dove si radunano gli amanti delle ore piccole si
sono incrociati gli sguardi allegri e soddisfatti di chi
era felice per la conquista della Coppa dei Campioni e le
occhiate piene di commozione di quelli che non hanno potuto
pensare ad altro che alla fine di tante persone partite
da casa la mattina prima per passare a molte centinaia di
chilometri di distanza una serata di allegria e di tifo.
Nei bar e nelle pizzerie si sono così confrontate due immagini
e due volti di Torino. La città civile e sdegnata, che si
interrogava su quale follia collettiva si era impadronita
poche ore prima dello stadio belga e la metropoli alienante,
che è capace anche di far festa in un giorno di grande lutto.
Il confronto è durato fino alle prime luci dell'alba chinandosi
sui titoloni a tutta pagina dei giornali e sulle corrispondenze
pubblicate in prima pagina.
30 maggio 1985
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
Sono rientrati i tifosi e parlano della tragedia
allo stadio Heysel
L'amaro ritorno a casa
di Franco Marchiaro
Ore di angoscia per la
presunta scomparsa di un giovane di Vignale che, ferito,
è poi arrivato in aereo a Bologna - I commenti angosciati
dei testimoni; "è come se la Juve non avesse vinto la Coppa".
ALESSANDRIA - Ore di angoscia
per un giovane di Vignale Monferrato, Walter Giannini, 27
anni, che partito per Bruxelles con il pullman del Juventus
Club alessandrino non era stato più visto dai compagni di
viaggio dopo i tragici incidenti che hanno preceduto la
finale della Coppa del Campioni. Walter Giannini, che era
nella curva "Z", quella della strage, non si era presentato
all'appuntamento, a fine gara, e inutilmente i compagni
l'avevano cercato, telefonando poi ad Alessandria per dare
l'allarme, durante il viaggio di ritorno. In serata, finalmente,
si è appreso che il giovane, ferito durante l'aggressione
dei tifosi inglesi, era stato ricoverato in un ospedale
di Bruxelles. Dimesso dopo alcune ore ha fatto ritorno in
Italia, in aereo, ed è sbarcato a Bologna, dove in serata
è stato prelevato dai genitori. Racconta Mario Nano, 25
anni, via (omissis), arrivato col pullman del Juventus Club:
"Walter era con me, quando c'è stato il violento attacco
dei tifosi inglesi sono riuscito a saltare dal muretto ed
a rifugiarmi prima in campo, poi su una tribuna, da dove
ho seguito la partita. Walter non l'ho più visto, abbiamo
temuto il peggio". Mario Nano ricorda con angoscia quei
momenti, terribili, dell'aggressione inglese, attimi dove
la violenza bestiale di migliaia di giovani e meno giovani,
ubriachi, si è scatenata. "Prima hanno bruciato una bandiera
italiana, poi l'assalto", ricorda Ardito Rossin, un altro
dei tifosi italiani. Lui era sulla gradinata "M", più lontana
dal punto della strage. Aggiunge: "Caricavano i nostri,
armati di spranghe e bastoni, e la polizia stava a guardare.
Assurdo e terribile. Dopo diversi assalti il muro della
gradinata è crollato, abbiamo cercato di andare in aiuto
del nostri connazionali e la polizia ci ha bloccato. La
polizia che aveva perquisito noi e lasciato che gli inglesi
portassero di tutto in campo". Critiche sul comportamento
della polizia, le stesse che sono state mosse da Marco Cavanna,
25 anni, di Acqui, e da Tiziano Rigari e Milena Barbierato,
58 e 22 anni, di S. Salvatore Monferrato. "Eravamo lontani
dal punto della strage, abbiamo saputo dopo quanto era veramente
accaduto, ma ci siamo resi conto dell'inefficienza della
polizia", raccontano. Sono sconvolti, un'esperienza terribile,
difficile da scordare. Dice Rigari: "Basta, non seguirò
più le partite di calcio". "è come se la Juventus non avesse
vinto la Coppa", incalza Marco Cavanna. Il giovane acquese,
titolare del bar "La piazzetta", ricorda anche il comportamento
bestiale, nel pomeriggio, per le strade di Bruxelles, del
tifosi inglesi.
30 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
ALESSANDRIA - Alle 23,30
di ieri sera, terminata finalmente l'assurda partita Liverpool-Juventus,
gruppi di tifosi juventini, in città cosi come in altri
centri della provincia, hanno dato vita a caroselli automobilistici
per le vie cittadine, suonando i clacson a distesa, agitando
bandiere e striscioni, invocando i campioni bianconeri.
"Una manifestazione vergognosa. Se i tifosi non sanno contenere
il loro entusiasmo per una vittoria calcistica seguita ad
una immane tragedia come quella che ha fatto strage di italiani
nello stadio Heysel di Bruxelles, appare difficile dare
giudizi sereni: "certo che tutto pensavamo, non certo di
assistere a spettacoli di gioia per una Coppa grondante
di sangue", questo il primo commento della gente. E tra
i molti a dissentire erano proprio i tifosi della Juventus
che, dopo avere per anni atteso il gran momento della Coppa
dei Campioni, hanno saputo affermare "che non aveva più,
nelle condizioni in cui era stata raggiunta, alcun significato".
Così, all'indirizzo di coloro che evidentemente i sentimenti
avevano scordato, anche se sino a pochi attimi prima le
immagini della televisione davano l'idea di quanto fosse
accaduto a Bruxelles, non sono mancati i fischi, le urla
di rabbia, le imprecazioni. Non solo. Per i supertifosi
ad ogni costo, sono scattate anche le sanzioni pecuniarie.
Mentre il carosello per le vie alessandrine era in pieno
svolgimento, al comando carabinieri si è pensato che questa
volta la cosa non poteva avere giustificazioni, quindi se
infrazioni c'erano dovevano essere punite. Tutti gli equipaggi
del Radiomobile sono stati pertanto fatti uscire, decine
e decine di contravvenzioni sono state verbalizzate nei
confronti dei manifestanti: disturbo alla quiete pubblica
(era ormai mezzanotte passata), eccesso di velocità, violazione
ai limiti sulle persone che possono essere caricate su auto
e furgoni. Un'operazione drastica, che ha trovato consenziente
la maggioranza degli alessandrini e che ha posto fine, finalmente,
all'assurdo carosello. F.M.
30 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
Tutto il centro invaso da tifosi forsennati che
hanno dimenticato troppo presto i morti
Una festa assurda, non
si doveva fare
Coro di clacson e sventolio
di bandiere da Porta Nuova a piazza Castello - Via Roma
e il centro bloccati dalle forze dell'ordine - Mobilitati
quattro mezzi blindati dei carabinieri per fare fronte a
eventuali disordini.
Nella Torino del dolore,
nella Torino percossa dal lutto s'è inserita, ieri sera,
la Torino della festa: gioia gridata da migliaia di bocche,
sparata in migliaia di mortaretti e razzi e petardi. Dopo
la partita, dopo le scene di panico e di morte che la televisione
ha gettato in ogni casa, un corteo di almeno 10 mila persone
è sciamato da ogni punto della città verso il centro. Corso
Vittorio, piazza Carlo Felice, via Roma, piazza San Carlo,
piazza Castello sono diventate pista d'un carosello forsennato
di auto, camion stracarichi di gente, uomini e donne e ragazzi
felici nonostante tutto. Il centro s'era preparato allo
sfruttamento commerciale d'una possibile vittoria bianconera:
sin dalle 19 bancarelle di bandiere, chioschi di bibite
e di panini, televisori accesi agli angoli. Un crescendo
di folla senza pause con via Roma rosso fuoco sotto i bengala.
Tutti storditi da una vittoria attesa da anni, tutti accesi
da una gioia che, incredibilmente, ha cancellato anche quel
doveroso senso di rispetto e di pudore che occorrerebbe
avere di fronte alla morte. E mentre una parte della città
ribolliva in urla e slogan anti-Liverpool, in strombazzare
di clacson e trombette (in piazza S. Carlo ne sono state
vendute centinaia) il giornale sentiva il polso di quell'altra
parte di Torino: quella che consumava la sua angoscia davanti
ai televisori frugando tra le facce e i corpi travolti dal
crollo nello stadio maledetto sperando di non riconoscere
nessuno; quella che, con disperazione, tentava di telefonare
in Belgio o al ministero degli Esteri; quella che riversava
ai nostri telefoni la propria ansia chiedendo se un nome
caro fosse negli elenchi delle vittime o dei feriti. Abbiamo
pensato soprattutto a questa parte di città quando, dall'altra
parte del filo, ci giungeva, oltre alle lacrime di chi implorava
notizie, il frastuono di una festa profana e profanante.
In piazza Castello, intanto, arrivavano polizia e carabinieri,
mezzi blindati pronti a fronteggiare eventuali disordini.
Si bloccavano le vie d'accesso al centro, ma il mare di
auto e di persone era incontenibile e sembrava d'essere
a Rio durante il Carnevale. Abbiamo domandato a qualcuno
dei festeggianti perché questa felicità in un momento così
buio per Torino. Ecco qualche risposta: "Mica siamo stati
noi a fare quel disastro; "Sì, va bene, ci sono stati dei
morti. Ma adesso c'è la Coppa, mi lasci essere contento".
E via con un tripudio da arena. Di questa sera, fra le tante,
ricorderemo una fotografia. Quella della sala-tv del Juventus
club di via Bogino piena di gente che è scattata in piedi
gridando al gol di Platini. In un angolo, lontani mille
chilometri con il pensiero, quattro persone pallide come
cera accanto a un telefono: a Bruxelles avevano marito e
figli partiti con in tasca i biglietti per il settore Zeta
dello stadio Heysel.
30 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
Pertini addolorato: "Una
festa di sport si è trasformata in un lutto per l'Italia"
ROMA - Milioni di italiani
hanno assistito ieri sera in televisione alle drammatiche
sequenze degli incidenti di Bruxelles. Mano a mano che l'entità
della tragedia cresceva, aumentava la preoccupazione nelle
famiglie che avevano congiunti tra i tifosi della Juventus
che si erano recati a Bruxelles. I centralini dei giornali
e dei ministeri sono stati tempestati da telefonate. Al
ministero degli Esteri è stato immediatamente allestito
un ufficio sociale per fornire tutte le informazioni che
pervenivano dalla capitale belga. Veniva confermata la triste
cifra di 36 morti e 257 feriti, anche se il bilancio non
appariva definitivo. Purtroppo, però, considerata la mole
di richieste, i quattro numeri telefonici apparsi in sovrimpressione
sui televisori, sono risultati costantemente occupati. Il
presidente della Repubblica Pertini, ha assistito alla gara
dalla sua casa a Fontana di Trevi. Il Presidente appariva
costernato. Informato delle parole del premier britannico
Margaret Thatcher, ne ha preso atto e ha espresso il suo
profondo dolore per le vittime dell'incidente, la sua costernazione
e deplorazione "perché una festa di sport è stata trasformata
in un grave evento luttuoso". Il ministro dello Sport e
Turismo, Lagorio, non era davanti al video. "Ho saputo più
tardi cosa stava accadendo a Bruxelles, - ha dichiarato
- è una cosa tremenda. Non mi sento di aggiungere altro.
Ne parleremo quando ne sapremo di più". Dopo quanto accaduto,
lei pensa che si rendano necessarie speciali misure di sicurezza
negli stadi italiani ? "E’ un problema che va affrontato,
ma non in questo momento di profonda emozione che suscita
il terribile avvenimento". Il presidente del Consiglio Craxi
è stato raggiunto a Mosca, attraverso una telefonata del
sottosegretario Amato, dalla notizia della tragedia. Craxi
ha cercato di mettersi in contatto con i dirigenti della
federazione calcistica italiana e con il primo ministro
belga anche per esprimere la sua ferma contrarietà di principio
alla decisione di consentire il normale svolgimento della
partita. Il presidente del Consiglio ha espresso orrore
e angoscia per una tragedia irresponsabile e assurda e i
sentimenti del suo dolore per le vittime di tanta irrazionale
violenza". Il ministro della Difesa Spadolini ha detto di
avere "seguito con immensa trepidazione e con crescente
ansia dagli schermi della televisione le scene di selvaggia
violenza avvenute nello stadio di Bruxelles. Quando la passione
sportiva diventa violenza e odio, al punto sanguinoso che
ha raggiunto a Bruxelles, essa appartiene alle forme mostruose
di un agonismo che ha negato in radice tutte le regole di
cavalleria ed emulazione dello sport". m. b.
30 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
Col cuore in gola migliaia di famiglie torinesi
hanno vissuto la tragedia di Bruxelles davanti al televisore
Ore d'ansia, tra sgomento
e sdegno
Un rincorrersi di telefonate
al nostro giornale, di voci piangenti: "Diteci i nomi dei
morti e dei feriti: mio figlio è partito ieri mattina" -
Altalena di notizie dei nostri inviati - Nella città, a
lungo semi-deserta, si udivano le telecronache a tutto volume
da bar e case - La giornata, cominciata con una festa di
bandiere in piazza Castello e in piazza San Carlo, è finita
nell'angoscia - Un torinese tra le vittime.
Tutto era incominciato
come una festa da preparare con allegria: negozi di bandiere
e drappi rimasti con gli scaffali vuoti, un lungo serpente
di pullman e di treni e di auto che, dall'altro ieri hanno
preso, carichi di gente e di voglia di partecipare all'avvenimento
calcistico dell'anno, la via di Bruxelles. Un'attesa spasmodica
per questa partita. Un'attesa che ha contagiato la città
ed ha messo centinaia di migliaia di persone davanti ai
televisori. Ma le prime immagini che giungevano dallo stadio
belga hanno gelato l'attesa: dagli spalti urla e botte e
scene di gente ferita. E transenne divelte e ragazzi mascherati
che s'aggiravano brandendo sbarre fra poliziotti a piedi
e a cavallo. A poco a poco l'angoscia è entrata nelle case
allontanando il fatto sportivo. Nelle migliaia di famiglie
(oltre 7000) che, in quelle ore, avevano congiunti a Bruxelles
è incominciata a serpeggiare la paura e la gente s'avvicinava
allo schermo per rubare alle immagini un volto caro, la
sicurezza che non fosse successo nulla al marito, al figlio,
andati in Belgio per assistere ad una partita e rimasti
coinvolti in una guerra senza senso. Il terrore corre come
un lungo brivido nella città semi-deserta, sull'eco delle
radio e della tv che, dalle finestre aperte, rovesciano
in strada le prime, caute notizie di feriti e di lutti.
Al Juventus Club di via Bogino, dove un centinaio di persone
sono riunite attorno ai teleschermi incominciano a piovere
le telefonate. E altre telefonate bloccano il centralino
del nostro giornale. Tutte uguali: "Si parla di morti, ho
un figlio lassù. Avete notizie ?". "E’ vero che ci sono
delle vittime ? Avete i nomi ? Solo all'1.30 il ministero
degli Interni belga comunicherà la notizia che dei 30 morti
italiani uno solo è torinese: Giovacchino Landini, 5O anni,
via (omissis). Al primo piano di via Bogino si respira un'aria
di terrore. La gente osserva le immagini che scivolano sul
teleschermo: "è un macello, ma cosa aspettano a fare sgombrare
lo stadio ?". "Inutile andare a cercare colpe. Quando succedono
queste cose non si può mai sapere con precisione chi ha
incominciato". E Gribaudo, segretario del club: "A noi sono
arrivati 250 biglietti falsi. Forse una delle ragioni che
ha esasperato gli animi a Bruxelles sta proprio qui: troppa
gente ha affrontato un viaggio disagiato e poi non è riuscita
neppure ad entrare in campo". Intanto i nostri inviati a
Bruxelles e le agenzie di stampa fanno giungere al giornale
i loro primi servizi. (Un flash dell'Ansa delle 20.23 parla
di 28 morti, altri di 29). E' un rincorrersi di dati, di
cifre agghiaccianti. Ecco alle 20,55 la tv: "L'Uefa comunica
ufficialmente che le vittime sono 36. La frase è una mazzata,
il colpo del ko: il teleschermo ci porta in casa le scene
d'una follia che non smette. Ancora volano pietre, ancora
scontri, ancora gente che cade. S'accavallano le notizie.
Si dice che, probabilmente, è crollata una balconata. Chi
da casa prova a chiamare Bruxelles trova le linee isolate.
Ci si sintonizza sulle radio belghe: una voce quasi tremante
comunica che, a quanto risulta loro, i morti sarebbero almeno
20; subito dopo le trasmissioni s'interrompono per far posto
a brani di musica classica. Ancora chiamate al giornale:
da Torino, da altre città d'Italia. Parenti pieni di paura,
voglia disperata di sapere. Ma i nomi delle vittime non
ci sono: alle 21.25 i nostri inviati ci comunicano, fra
immaginabili difficoltà di trasmissione, che "i morti sarebbero
in gran parte di nazionalità italiana". Alle 21.26 l'Ansa
annuncia che, secondo un portavoce dei pompieri di Bruxelles,
le vittime sarebbero 35, oltre cento i feriti. Le urla e
i fischi e il boato della folla che giungono da radio e
televisione sono la colonna sonora d'una disperazione che
aumenta di minuto in minuto.
30 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
Dolore e rabbia: "Perché
tanto tempo per sapere i nomi delle vittime ?" Quella che
doveva essere una festa dello sport, s'è trasformata in
una tragedia. Il termometro dello stato d'animo di una città
che ieri sera ha seguito dai televisori le allucinanti vicende
allo stadio di Bruxelles, l'hanno dato soprattutto i telefoni.
Centinaia, migliaia di chiamate alla Stampa, alla Questura,
alla sede della Juventus, alla Sip: centinaia di famiglie
in angoscia per la sorte di congiunti recatisi in Belgio
al seguito dei bianconeri. Le notizie date dalla televisione
hanno creato un comprensibile panico. Tutti a chiedere notizie:
"Mio figlio si chiama... Sapete qualcosa ?". Una madre in
lacrime: "Ho procurato io i biglietti ai due miei figli.
Sono disperata, ditemi qualcosa". Un padre: "Sto vedendo
le immagini in diretta. Mi sembra un incubo. Non è possibile,
dovrebbero annullare la partita. Se questo è sport, meglio
abolirlo". Un'altra donna: "Bisogna far qualcosa, la colpa
è anche dei giornalisti sportivi che amplificano tutto,
una partita di calcio è diventata una questione di vita
o di morte. E' spaventoso". Un altro: "Se la Juve vince,
brindiamo con le ceneri dei morti. E' mostruoso, dovevano
rinviare la partita". Critiche anche alle forze di polizia
in campo e agli organizzatori. "Non è possibile che si permettano
queste cose. Purtroppo i motivi economici hanno il sopravvento
sul resto. Speriamo che le autorità sportive si rendano
conto e prendano provvedimenti". Ancora: "è uno scandalo
che si trasmetta la partita. Sono juventino, ma mi sono
vergognato nel vedere certi scalmanati bianconeri lanciare
pietre, brandire bastoni e mazze. Abbiamo fatto una figuraccia,
sia come italiani sia come juventini, come del resto l'hanno
fatta gli inglesi... Impossibile telefonare a Bruxelles.
Invano ci hanno provato i familiari di juventini partiti
con ogni mezzo per il Belgio. Alle 22, le notizie erano
confuse. Nessun nome di vittime o di feriti. L'incertezza
ha reso ancor più tragica l'attesa di quello che qualcuno
ha definito "un bollettino di guerra". In piazza San Carlo
si sono ritrovati centinaia di appassionati. Alle prime
notizie provenienti da Bruxelles, il chiassoso tifo s'è
trasformato in un cupo silenzio. Alcuni hanno preferito
tornare a casa. La festa era già morta. Altri si sono precipitati
a telefonare per avere notizie di parenti e amici. Dolore,
rabbia, angoscia, incertezza. Stati d'animo che si sono
sovrapposti a mano a mano che arrivavano notizie dal Belgio.
Una notte interminabile. Dolore e rabbia: "Come mai tanto
ritardo delle autorità nel dare notizie ?".
30 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
Genova, cavalcata d'ansia e d'allarme
di Guido Coppini
Centinaia di persone accorrono
al telefono: cercano affannosamente notizie. Quanti hanno
dormito ?
GENOVA – E’ stata la lunga
notte della paura, delle emozioni, dell'angoscia, per molti
delle ore trascorse in attesa di una telefonata rassicurante
che non arrivava. Erano centinaia i liguri andati a Bruxelles
per la finale di Coppa, e non appena sono apparse in tv
scene da terrore allo stadio, parenti e amici dei tifosi
juventini in trasferta si sono precipitati ai telefoni.
Ma poiché era impossibile chiamare da casa, a decine e decine
sono corsi alla centrale Sip in piazza De Ferrari, hanno
bombardato i centralini dei quotidiani, della prefettura
e della questura, altri si sono recati ai posti telefonici
delle stazioni ferroviarie di Bugnole e Principe dove il
personale in servizio notturno, ridotto ("chi poteva immaginare
che si creasse una simile situazione di emergenza ?" dicono
alla centrale) ha cercato di fronteggiare la valanga delle
richieste. Ma telefonare a chi ? Il primo impulso è stato
quello di chiamare lo stadio e con questa intenzione sono
arrivate signore, uscite con la vestaglia gettata sulle
spalle, uomini scamiciati che si tiravano dietro ragazzi
spaventati. Erano parenti dei tifosi andati in Belgio. Già
prima delle 22 la folla si è infittita: sono arrivati infatti
molti altri, usciti dal cinema del centro nei quali si proiettava
la partita, su schermo gigante. Per ore, i telefonisti si
sono impegnati al massimo, ma parlare con lo stadio belga
era impossibile. Un'attesa da incubo, che andava assumendo
i toni della tragedia man mano che il telecronista Bruno
Pizzul forniva un primo elenco del furore scatenato dagli
inglesi: 36 morti, 15 feriti gravissimi, altri 200 ricoverati.
Ma le cifre venivano peggiorate dal TG2 delle 22,45 quando
la speaker informava che "i morti potevano essere settanta".
Piombavano a Genova con auto lanciate a tutta velocità,
anche persone dalla Riviera Ligure (in 50 erano partiti
da Santa Margherita, e un centinaio da altre località da
La Spezia a Nervi) che dai loro centri non avevano altre
informazioni che quelle tv. "Voglio notizie di mio marito
e di mio figlio" urlava una signora arrivata alla centrale
Sip, in taxi, da via Giovanni Torti nel quartiere di San
Fruttuoso. La signora ha pronunciato a stento il suo nome:
si chiama Luciana Rotella, Il marito è macellaio, il figlio
ha 18 anni e il padre - Juventino di ferro - l'aveva portato
con sé, per premio, in una gita collettiva in pullman. Che
ne è di marito e figlio della signora Rotella ? Nemmeno
stamane si è riusciti a sapere qualcosa. Chiedevano notizie
gli zii di Romano e Oscar Sforacchi padre e figlio, rispettivamente
di 44 e 15 anni, partiti con un pullman da Santa Margherita
due giorni fa, insieme ad una comitiva di amici. Chiamava
la madre di Roberto Zolezzi, 22 anni, aggregato a un gruppo
partito con un viaggio organizzato dall'agenzia "Tempo libero".
Altre telefonate, ai quotidiani, giungevano dal cognato
di Mario Romano, 50 anni, residente in via Volturno, cameriere
in una pizzeria di corso Torino a Genova, anch'egli partito
per Bruxelles due giorni fa su un pullman di cinquanta persone
iscritte al club juventino di Sampierdarena. A tutte queste
persone, nemmeno stamane è ancora possibile dare una risposta.
Torniamo alla notte del terrore. Poco prima delle 23, un
minimo di speranza per ottenere qualche informazione: il
ministero degli Esteri forniva un primo numero (36911) e
poi altri tre, invitando a chiamare chi voleva notizie di
italiani presenti a questa infausta partita di Coppa. I
centralinisti subivano nuove richieste, nuovi assalti, e
si battevano contro l'ignoto, cioè contro numeri esasperatamente
occupati. O contro risposte vaghe: "Il nome che lei ci fornisce
non risulta nei nostri elenchi delle vittime, richiami più
tardi". Altri ancora cercavano di mettersi in comunicazione
con l'ambasciata e il consolato italiano di Bruxelles: e
il fatto che nessuno fosse in grado di fornire notizie precise,
veniva considerato come un'ulteriore prova che c'era stato
un massacro. Tra la gente in attesa, i commenti, le maledizioni,
gli attacchi ai tifosi inglesi che da tutti gli ambienti
(anche da Londra) venivano considerati i responsabili degli
incidenti che avevano innescato la ferocia. Disperatamente
chiusa, la sede del club juventino di piazza Santa Sabina
a Genova, lo stesso club che aveva salutato i suoi soci
in partenza per Bruxelles con un messaggio che, a rileggerlo
ora, sembra grottesco: "La stessa fede che animò i Crociati
oggi anima i tifosi juventini alla conquista dell'agognata
coppa". E poi una poesia, l'esaltazione dell'enfasi e del
cattivo gusto, nella quale l'incitamento in rima sbilenca
suona, a risentirlo dopo quanto è accaduto, come una manifestazione
di squilibrio mentale. Genova è stata coinvolta nella tragedia,
l'ha sentita sulla sua pelle: in questa città, infatti,
quando non è in gioco la diaspora fra Sampdoria e Genoa,
è la Juventus ad entrare nel cuore degli appassionati di
calcio. Juventus, amore mio: è lo slogan di gran parte della
città calcistica. Da un lato i genoani che ricordano antiche
rivalità con i bianconeri, dall'altra i sampdoriani i quali,
entrati quest'anno nella "Uefa" si accostano alle grandi
coppe e ne subiscono il fascino prima ancora di giocarle.
Si calcola che siano almeno 200 mila i genovesi che si occupano
di calcio. Di loro, quanti hanno dormito ? Pochissimi, certamente:
ad entrare nei bar, stamane presto, si sono visti volti
dall'espressione stravolta. Anche chi non aveva nessuno
dei suoi a Bruxelles non ha potuto sottrarsi al turbamento
generale. E stamane, nelle strade e negli uffici, non si
parla d'altro. Gruppi di persone sostano ancora in piazza
De Ferrari - dove la città vive le sue grandi gioie e i
suoi grandi dolori - commentando i morti da calcio. Dal
groviglio delle paure e delle emozioni violente, infine
- mentre la partita stava terminando - si è fatto largo
un piccolissimo spiraglio di entusiasmo, ed è stato quando
Michel Platini ha infilato in rete il rigore. Ma è stata
la gioia istintiva di pochi attimi. Genova ha chinato il
capo, ferita: e nella calda notte di maggio, spenti i televisori,
l'amarezza ha prevalso sulla felicità per la vittoria. "Certo
la volevamo la vittoria, inseguita per anni, ma non a questo
prezzo", ha commentato uno dei capi bianconeri. La Juventus
aveva vinto, ma c'era davanti agli occhi di tutti la sconfitta
della civiltà. Intanto, col passar delle ore, arrivava la
notizia della prima vittima genovese: è Sergio Mazzino,
38 anni, abitante a Cogorno, un paesino nell'entroterra
di Chiavari: era partito l'altro ieri con il viaggio organizzato
di un'agenzia. Pare sia stato tra le prime vittime. "Il
calcio è disonorato da teppisti organizzati che occorre
isolare", ha detto il sindaco, Fulvio Cerofolini, uscito
in strada anche lui. Ed è stato, parola più parola meno,
il giudizio amaro di altre autorità genovesi. "Ma la Juventus
e i suoi sostenitori escono indenni da ogni accusa, la responsabilità
non li sfiora, altri sono stati i violenti", ha commentato
a caldo il vicepresidente della Regione Giacomo Gualco che
ha sempre esibito la sua fede di tifoso bianconero. Gualco
non può essere accusato di faziosità: abbiamo visto tutti,
in tv, da che parte stavano i barbari.
30 maggio 1985
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
Napoli
aspetta notizie di 150
di Mario Cicelyn
"L'abbonamento di mio figlio
alle partite, lo butteremo". Senza bandiere e senza striscioni
il ritorno a casa.
NAPOLI - Quando il cronista
del Tg2 alle ore 21,20 ha dato l'agghiacciante notizia del
massacro di 36 persone anche nelle case di Napoli è subentrato
immediato lo sgomento. Era una tragedia nazionale. Il sospetto
che le vittime potessero essere in gran parte di nazionalità
italiana diveniva tragica certezza col lento trascorrere
dei minuti. La gradinata dove si era verificato il crollo,
a causa del brutale assalto delle schiere dei teppisti britannici,
risultava occupata da un gran numero di nostri connazionali
molti emigrati in Belgio, e dai tifosi della Juventus, provenienti
da quasi tutte le province della Campania. Ansia, paura,
terrore. Il centro di Napoli, che era pressoché deserto
intorno alle 20 per via del richiamo del grande avvenimento
sportivo, si è popolato man mano a cominciare dalle 23.
Capannelli di cittadini in Galleria, dove solitamente si
riuniscono i super-tifosi della squadra del Napoli; altri
capannelli nella centralissima piazza Trento e Trieste e
davanti alla sede del giornale napoletano "Il Mattino".
Da Napoli, con un volo charter, erano partiti alla volta
della capitale belga 150 tifosi. Si temeva che potessero
essere rimasti coinvolti nella sciagura, anche se non è
stato possibile apprendere nessuna notizia certa, nella
ridda di informazioni imprecise e difficili da controllare.
Tuttavia, attraverso contatti telefonici col nostro ministero
degli Esteri, non sarebbero stati segnalati nomi di napoletani
tra la lista delle vittime. Contraddittorie le impressioni
ricavate dai discorsi della gente disseminata in vari punti
della città. Naturalmente, era scattata la molla dell'irrazionale.
"Bisogna farla finita per sempre con le partite internazionali
tra i club": era l'opinione dominante degli improvvisati
e malinconici tribuni, assiepati in Galleria, nell'attesa
di notizie e dell'uscita della prima edizione del "Mattino".
"Questi incontri internazionali, oltre tutto, falsano dal
punto di vista tecnico il campionato di calcio del nostro
Paese": assicura il signor Romildo Falcone, impiegato bancario,
uno dei 70 mila patiti del Napoli che di solito va allo
stadio col figlio. E soggiunge: "Mia moglie ha detto che
l'abbonamento del mio ragazzo deve essere buttato via. Ha
paura. Ed ha ragione. Anch'io ho paura". E proprio in base
alla considerazione, che i più esposti al pericolo nelle
curve o nei distinti o addirittura nelle tribune, sono i
ragazzini, c'è stato chi ha addirittura avanzato l'idea
di vietarne l'ingresso agli stadi. Sono soltanto reazioni
incontrollabili. Perché la gente è amareggiata per quanto
è successo. Visi tesi, imprecazioni, maledizioni da parte
di alcuni perfino contro quella "Coppa piena del sangue
di tanti innocenti". "Non avrebbero dovuto portarsela a
casa quella coppa", dice candidamente un signore. Ma viene
zittito dai presenti: "Che c'entra la coppa ?". Un po' di
chiasso in via Foria, dove 50-60 tifosi stavano per venire
alle mani. E' accorsa una camionetta della polizia e ha
riportato la calma. Nell'insieme non sono da segnalare incidenti
degni di rilievo. La polemica insorta tra costoro riguardava
i pareri tecnici in relazione all'incontro. Meglio la Juve
? Meglio il Liverpool ? "Meglio chi ? - era intervenuto
un altro - Ma vi rendete conto che ci sono stati tanti morti
? Vergognatevi". Senza bandiere né striscioni, in silenzio,
facce da funerale tra i gruppetti di persone davanti a un
noto ristorante di piazza Dante. Qualcuno, come Armando
Aiello, avvocato, ha ricordato la sciagura di Superga: allora,
nel rogo di un aereo, trovò la morte la squadra dei grandi
campioni del Torino. Fu lutto nazionale, come ora. "E’ sempre
come 38 anni fa - ricorda l'anziano professionista - Ancora
una volta è una squadra di Torino ad essere coinvolta in
un dramma di così allarmanti proporzioni". Un sospiro di
mezzo sollievo da parte di alcune persone allorché sono
state distribuite le prime copie del "Mattino". Napoli era
rimasta fuori della sciagura. Nessun napoletano tra i morti,
almeno stando alle ultime notizie pubblicate dal quotidiano.
Ma era pur sempre una tragedia abbattutasi su tutti. Le
strade periferiche e del centro si erano popolate dopo la
conclusione dell'incontro. Nessuna manifestazione di gioia
per la vittoria della Juventus, la squadra per la quale
tifa l'Italia dalle Alpi alla Sicilia. Troppo sangue era
scorso. Le raccapriccianti immagini proiettate nelle abitazioni
di tutta Italia dalla telecronaca di Bruno Pizzul avevano
ferito i sentimenti di tutti. I teppisti al seguito del
Liverpool avevano condotto autentiche azioni di guerriglia.
Non è che i tifosi napoletani o romani o milanesi siano
immuni da episodi vandalici, ma quello che ci ha mostrato
la televisione in diretta non si è mai visto né a Napoli,
né in altre parti d'Italia", è il commento di Gennaro Varriale,
cameriere. "Il calcio degenera, ci sono troppi interessi
in gioco, e troppi delinquenti travestiti da sportivi".
"E’ ora di finirla, prima che sia troppo tardi. Potrebbe
capitare una domenica, prima o poi, di veder sfilare sull'erbetta
dei nostri stadi l'esercito in tenuta da guerra, com'è successo
a Bruxelles", dicono in coro altre persone. I tifosi del
"Club Napoli", molti dei quali sono notoriamente teste calde,
hanno dichiarato che cominceranno a disertare lo stadio
partenopeo del San Paolo se non sarà presente sul campo
un adeguato spiegamento di polizia. Purtroppo si tratta
di reazioni emotive, che certamente lasciano il tempo che
trovano; a promesse del genere non crede nessuno, però stanno
a significare che la gente di ogni strato sociale la domenica
non vuole morire sui campi di calcio. Vuole solo divertirsi,
e civilmente.
30 maggio 1985
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
Ore della paura
in città
di Maurizio Spatola
Almeno
in diecimila alla sarabanda, che in altre occasioni si era
dovuto rimandare - Sconsideratezza di pochi supertifosi
esaltati ? - Trionfo della vita, della vitalità meglio,
sul silenzio, sulla negatività della morte ?
TORINO - Stanotte Torino
ha offerto una prova di alta civiltà, composta nel dolore
e nello sgomento di fronte all'assurda tragedia di Bruxelles:
così avremmo voluto iniziare, così avrebbe dovuto cominciare
questo resoconto sull'impatto delle notizie di minuto in
minuto più gravi diffuse da radio e televisione, mentre
ancora si pensava che la partita non si sarebbe giocata,
poi durante quella che a nessuno sarebbe più dovuta apparire
una sfida sportiva, e soprattutto ancora dopo, con in mano
una vittoria cui ormai era stata sottratto qualunque significato.
Invece restano negli "occhi immagini impossibili di festa,
di tripudio, di migliaia di tifosi d'ogni età esultanti,
di cortei d'auto strombazzanti fra lo sventolio di centinaia
di bandiere bianconere (ma anche tricolori); invece rimangono
scolpite nella memoria le grida e le manifestazioni di giubilo,
gli occhi sorridenti, i visi accesi da un'irrefrenabile
gioia, fra canti e balli ed esplosioni di bengala e mortaretti
e persino un cupo, irresponsabile proposito di vendetta:
"Gli inglesi verranno anche da noi e allora saranno loro
a contare i morti". Insensibili all'orrore trasmesso senza
mediazioni dagli schermi tv, alla patina di morte stesa
repentinamente sulla tanto sognata occasione di gloria sportiva,
al dolore dei parenti delle vittime, all'ansia dei tantissimi
in attesa di notizie rassicuranti dal Belgio (che nella
confusione tardavano ad arrivare), almeno in diecimila,
ma a noi sono parsi molti di più, hanno scatenato lungo
via Roma, corso Vittorio Emanuele, via Po, piazza Carlo
Felice, piazza San Carlo, piazza Castello la sarabanda che
in altre occasioni, eppure più felici nonostante la sconfitta
della squadra del cuore, si era dovuto rimandare. Sconsideratezza
di pochi super-tifosi esaltati ? Trionfo della vita, della
vitalità meglio, sul silenzio, sulla negatività della morte
? Certo non mancano spiegazioni logiche, persino banali
come molte delle risposte alle domande poste direttamente
agli esultanti a ogni costo, anche con amici e parenti là
in quello stadio insanguinato, dove la prova più civile
la fornivano i giocatori scesi in campo in pieno dramma
ad evitare conseguenze ancora più tragiche: ma sono spiegazioni,
risposte che lasciano comunque l'amaro in bocca, che non
consentono di ricostruire il tessuto sfilacciato di una
realtà esplosa nelle sue contraddizioni in misura molto
maggiore di quanto l'abitudine alle notizie tragiche, la
normalità dell'assurdo quotidiano vissuto in ogni angolo
del mondo, consentano di sopportare senza scosse. Piazza
San Carlo, alle 22.50: Platini segna su rigore, tirano un
sospiro di sollievo i bancarellai venuti a costellare la
piazza con il loro campionario di bandiere, sciarpe, trombette,
magliette, cappelli, distintivi, autoadesivi, bibite, panini
(venghino, venghino signori, "è qui la vera porchetta").
Vince la Juve, la festa si farà lo stesso nonostante il
disgraziato intoppo... "Andiamo, via, non penserà mica che
bastino un po' di morti a far dimenticare tutti gli anni
che si è aspettato per questa vittoria. E' terribile quello
che è successo, ma la gente festeggerà lo stesso e noi che
dovremmo fare, chiudere la baracca e rimetterci ? A che
servirebbe ?". Meandro Ferrini conosce a fondo la psicologia
del tifoso, ci campa sopra da anni, col suo banchetto allo
stadio, non sembra affatto cinico nel dirci: "Certe cose
molti se le cercano, quante volte ho avuto paura alla fine
della partita, ma la vita continua". E aggiunge, non senza
qualche ragione: "Siamo sinceri, la colpa è un po' di tutti,
anche di voi giornalisti che fate dei giocatori degli idoli,
dei simboli sacri. C'è da meravigliarsi se poi tanti giovani
si esaltano, se si formano fagiani che si fronteggiano,
come se ci andasse di mezzo l'onore della patria ?". Alza
le spalle e si prepara al suo piccolo commercio. Un suo
collega poco lontano, Raffaele Stanzo: "Era prevedibile
che sarebbe accaduto qualcosa di brutto. I tifosi inglesi
giravano per la città ubriachi fin dal mattino, la polizia
belga ha sbagliato tutto. E' da un pezzo che il clima attorno
al calcio è avvelenato, ogni domenica ci si aspetta qualche
disgrazia, tutti quei morti non credo che segnino la fine
per il calcio così com'è ora, certo aiuteranno a riflettere,
a dire basta alla violenza". "In Italia però non sarebbe
successo, ormai polizia e carabinieri hanno esperienza da
vendere in queste circostanze e i teppisti non entrano neppure
allo stadio, li isolano prima", aggiunge il socio Leonardo
Pugliese, mentre da una radiolina posata sul banchetto giunge
la cronaca entusiasta degli ultimi minuti di gioco (dal
radiocronista di un'emittente privata, sembra, ma fa poca
differenza). "Eh, ne abbiamo viste di brutte anche noi,
però, una volta a momenti finivo anch'io giù da una tribuna",
rievoca quasi compiaciuto dello scampato pericolo. Due studenti
di Architettura, Paolo Franchino e Giuseppe Paolino: "è
la guerra ormai. Il calcio non è più sport, troppi interessi
dietro e troppa gente che cerca eccitazioni che di sportivo
non hanno più niente. Eravamo usciti per goderci una serata
di festa, adesso ce ne torniamo a studiare. Non si capisce
che senso abbia aver giocato lo stesso, possibile che ci
fosse ancora pericolo ? Sì, sembra incredibile che tanti
festeggino ugualmente, ma forse non hanno ancora realizzato,
domani, a freddo, si vergogneranno, vedrà". Davanti al Caffè
San Carlo, dov'è installato uno schermo gigante, tumultua
una tifoseria scatenata: "Ce l'abbiamo fatta, l'abbiamo
conquistata "sta coppa che ci ha fatto dannare una vita.
E lasciatecela godere adesso, che morti e morti, sono cose
che succedono", grida un nerboruto e panciuto fan impaludato
a strisce bianconere, brandendo una lattina di birra. Lo
circondano una cinquantina di ragazzi e ragazze festanti,
issati su sedie e tavolini, su cofani e tetti delle auto,
qualcuno in precario equilibrio addirittura sul sellino
della moto. Un gruppetto quasi-punk, età media apparente
sedici-diciassette anni ironizza sul nostro taccuino: "Scrivi,
scrivi, io sono Alessandro, lei è Norma, e loro sono Patrick,
Pino e Monica. Ce l'hai una sigaretta ? Ehi, per tutti,
mica solo per me. Certo che siamo contenti, gliel'abbiamo
fatta vedere ai Reds, finalmente. Stavolta hanno proprio
esagerato, ma se vengono qui loro gliela facciamo pagare
noi, i morti se li dovranno contare loro. Sì, sì, vendetta
sarà". La minaccia è volutamente velleitaria, finta magari,
ma la soddisfazione, la becera (in questo momento) allegria
no. La sua ragazza, poco più d'una bambina dal viso super
truccato e i biondi capelli irti sulla testa appunto alla
punk, non sembra convinta: "Ma dai, - lo corregge con una
smorfia imbronciato - pensa a tutti quei poveracci, vanno
fin là per divertirsi e ci rimettono la pelle. A me fan
pena". "Se fossimo andati su anche noi non finiva così,
gliela facevamo pagare a quei bastardi. Forza che arrivano,
andiamo anche noi", sghignazza un altro, indicando il corteo
in arrivo fra slogan, strombettamenti, clacsonate assordanti...
Appena se ne vanno, s'avvicina una ragazza che si era tenuta
in disparte. Si chiama Carla De Paoli, è venuta da Saluggia
con amici pensando a una grande festa cittadina. E' esterrefatta
quanto noi: "Come si può festeggiare dopo quello che è successo
? Mi sembra impensabile, con tutti quei poveretti morti
in quello stadio maledetto. E chissà quanti ce ne sono di
Torino. Io sono tifosa, ma a questo punto si doveva al massimo
fare una sfilata silenziosa: la vittoria sarebbe stata onorata
ugualmente, rispettando chi è morto in quel modo assurdo".
Il proprietario del San Carlo, Massimo Segre, sgombrata
la tifoseria che gli ha praticamente distrutto le siepi
del déhors, contempla malinconico il mare di cartacce, bicchieri
di carta, lattine e altre monnezze che costellano lo spazio
davanti allo schermo 80x90 ("Che abbiamo saldato a stento,
a momenti lo facevano a pezzi"): "Non c'è molto da dire,
certe cose si commentano da sole - dice con amarezza - E
pensare... Ma no, evidentemente non tutti i tifosi juventini
possono avere lo stile Juve classico, s'è visto altre volte,
stasera è ancora più evidente, tutto qui". Osserva senza
illusioni le auto che sfilano rumoreggiando, dal finestrino
d'una "Peugeot" sporge con tutto il busto una bella ragazza
bionda in maglietta bianconera. Agita un gagliardetto, è
tutto un sorriso, ci fissa e invita: "Allegria, allegria,
abbiamo vinto, no ?". La calca, corpi e gusci metallici
fusi in un tutt'uno schiamazzante, inghiotte lei e la sua
felicità. Segre azzarda una proposta che condividiamo: "è
andata cosi, ma la partita, quella vera, dovrebbe essere
rigiocata e l'incasso devoluto alle famiglie delle vittime.
Sarebbe un giusto omaggio alla loro memoria e un modo per
riflettere e far riflettere sull'accaduto: una cosa del
genere non deve ripetersi. Mai più". Fioccano ovviamente,
fra il clamore assordante, anche i pareri "tecnici". Sulle
cause della tragedia ("Queste finali vanno giocate in stadi
più grandi, la rabbia è nata perché moltissima gente è rimasta
fuori, magari col biglietto in tasca per via dei falsi";
"Troppo disorganizzata e impreparata la polizia belga, eppure
le tendenze criminali di certi tifosi inglesi sono ben note";
"Come hanno fatto a non pensare di tenere accuratamente
divise le due tifoserie ? Con birra e whisky scorsi a fiumi,
per forza si dovevano sorvegliare accuratamente quegli esagitati"),
ma anche, paradossalmente, sulla partita: "c'era eccome
quel rigore, non era al limite il fallo su Boniek"; "Visto
che gioco d'insieme ? Il Liverpool ha cercato di addormentare
la partita ma noi non ci siamo cascati"; "Boniek, che giocatore
! Formidabile, speriamo che non se ne vada sul serio", e
via arzigogolando come se niente fosse, come se nessuno
avesse visto le espressioni d'angoscia sul viso di Scirea
e del capitano del Liverpool, Neal, mentre invitavano alla
calma gli spettatori, informandoli che avrebbero giocato
solo per garantire l'incolumità della gente all'uscita.
Sulla piazza un cordone di carabinieri protegge il monumento
dalle consuete intemperanze dei più scalmanati, militari,
agenti di polizia, vigili urbani sorvegliano con occhi preoccupati
la baraonda (più tardi l'accesso al centro delle automobili
verrà bloccato, ma ormai la confusione è al massimo: la
festa era prevista, s'intende, ma lo sconcerto di fronte
al fatto che si svolga ugualmente è palpabile). Accanto
a un'autoradio c'è il comandante del Gruppo carabinieri
di Torino, tenente colonnello Luigi Magliuolo: "è stato
disposto un servizio di sorveglianza e prevenzione accurato,
per evitare troppi problemi ai cittadini che non partecipano
a queste manifestazioni sempre un po' esagerate, danneggiamenti
o risse. Certo non si può intervenire a punire le infrazioni
al Codice della strada, che sono ovviamente innumerevoli,
come al solito in queste occasioni. Ma siamo pronti a impedire
che la festa degeneri". Sulla tragedia di Bruxelles non
si pronuncia: "Avrei dovuto essere là per dare un giudizio
sulle responsabilità. Comunque mi sembra chiaro che, al
di là dell'impossibilità di prevedere una cosa del genere,
c'è stata certo sottovalutazione dei rischi". Ma questa
allegria, questa festa nonostante l'accaduto, le sembra
giustificabile ? La risposta viene dopo qualche attimo di
riflessione, esprime l'amara "filosofia" di chi ne vede
continuamente di tutti i colori: "Siamo fatti così. Gioia
e dolore, riso e pianto sono due facce della stessa medaglia".
30 maggio 1985
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
Nelle case,
minuto per minuto
Telecronaca di un massacro
di Maurizio Spatola
La tragedia di Bruxelles,
praticamente tutta italiana, è stata vissuta in ben altro
modo fuori dei cortei impazzanti per il centro fino a tarda
notte. La televisione ha portato in tutte le case, dalle
20 in poi, il dramma di chi era nella capitale belga ma
soprattutto in moltissime famiglie torinesi l'angoscia per
i propri cari partiti con grande entusiasmo chi il giorno
avanti, chi poche ore prima. La voce a tratti spezzata dalla
commozione di Bruno Pizzul, pur cercando di evitare la tentazione
del panico per chi, rimasto a casa, non poteva assolutamente
avere notizie immediate sulla sorte di familiari e amici,
non era certo adatta (né poteva obiettivamente esserlo)
a tranquillizzare gli animi. Ma soprattutto le immagini,
quando hanno indugiato sulla gradinata dove si era consumato
il dramma, visibilmente occupato in precedenza da tifosi
juventini (a terra giacevano inequivocabili striscioni e
bandiere con i colori bianconeri), accentuavano con tutta
la loro forza angosciosa il timore che fra le vittime potesse
esserci il marito, il fratello, la sorella, il padre...
A lungo il telecronista ha parlato genericamente di alcune
vittime: quando è arrivata la prima comunicazione ufficiale
("Ci sono trentasei morti, purtroppo", ha scandito Pizzul
in un soffio incredulo, anche se il timore che la tragedia
fosse enorme doveva essere ben concreto in lui, ormai),
è stato come se una ventata gelida avesse sfiorato gli spettatori,
anche quelli non personalmente coinvolti. Ci trovavamo in
quell'attimo in un bar di corso Orbassano dove un fitto
pubblico di avventori si era sistemato davanti al televisore
a colori per godersi la tanto attesa finalissima: "Trentasei
? Ho capito bene ? - ci ha chiesto inorridito più che stupefatto
un ragazzo appollaiato su uno sgabello - "Pazzi, sono pazzi",
ha mormorato mentre tutti i presenti si guardavano in faccia
sconvolti, scuotendo il capo. Non è sfuggito il commento
di un invisibile collega di Pizzul, che spiegava come non
fosse ancora nota la nazionalità delle vittime, forse nel
tentativo un po' patetico di rinviare il peggio di qualche
minuto: la frase "Sono tutti italiani i morti" si è udita
distintamente. Subito il pensiero è corso ai sei-settemila
torinesi partiti per Bruxelles, in treno, pullman, aereo,
auto: "E se fossero tutti di Torino i morti ?", si è chiesto
qualcuno guardandosi attorno come per trovare negli occhi
degli altri una risposta negativa, un soccorso per non ricordare
altre assurde tragedie recenti, ferite ancora sanguinanti
a Torino, come l'incendio del cinema Statuto. Passano i
minuti, nessuno riesce a togliere gli occhi dal video, chi
entra ignaro buttando là un allegro "allora, vinciamo ?",
viene subito zittito", sottovoce qualcuno lo mette al corrente.
Quando viene annunciato che la partita si giocherà ugualmente,
nessuno sembra crederci: "Ma come faranno i giocatori, con
che animo scendono in campo ? E la gente, possibile che
se ne rimanga lì seduta a guardare, perché non se ne vanno,
per protesta ?". Poi sullo schermo cominciano a scorrere
le immagini del gioco, il pallone viaggia da una parte all'altra
del campo, l'attenzione ritorna all'evento sportivo, come
uno strano, invincibile torpore. Mauro Francesco, un tifoso
caracollante in via Roma con indosso la maglia numero 9
di Paolo Rossi, incontrato più tardi, a partita finita,
quasi ci abbraccia: "Vittoria meritata, l'aspettavamo da
anni. Peccato che sia successo quel che è successo, ma sono
cose che capitano, la Juve ha vinto finalmente la Coppa
Campioni, è questo che conta". E se ne va sull'onda dell'entusiasmo,
seguito da vicino da un signore piccolotto in calzoncini,
maglietta e scarpe bullonate abbracciato a una simil-coppa
grande quasi quanto lui. Non è l'unica scena grottesca in
cui ci si poteva imbattere stanotte, nella baraonda che
trascinava via riflessioni e sensazioni, da una piazza all'altra,
da un bar, da un pub all'altro. Il centralino del giornale
era tempestato di telefonate, di richieste di notizie cui
non era possibile dare risposta; altrettanto accadeva in
via Bogino nella sede del Juventus Club, da dove non si
poteva far altro che invitare ad aspettare: la confusione
delle notizie non spingeva certo a spargere sicurezza, mentre
da radio e tv affluivano quelli che apparivano più bollettini
di guerra che resoconti di un'affollatissima partita. Arrivava,
fra una ridda di altre informazioni frammentarie, un nome
e una città: una vittima torinese, la prima in quel momento,
l'unica si saprà poi. Alcuni giornalisti raggiungevano l'abitazione
in via (omissis) e, come a volte accade, erano i primi a
portare la terribile notizia in casa di Gioacchino Landini.
La moglie Carola e i figli Andrea e Monica, di 15 e 22 anni,
erano in affanno davanti alla televisione. La conferma dei
timori inespressi è giunta come una mazzata. Fra le lacrime
la figlia si è chiesta: "Perché proprio lui ? Era la prima
volta che seguiva la Juventus così lontano". in. sp.
30 maggio 1985
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
Scritte ignobili
di morte
"36 morti sono pochi, dovevate
ucciderli tutti". La scritta in spray rosso apparsa stamane
sui muri del Comunale ha provocato violente reazioni da
parte non solo dei tifosi bianconeri. Per loro non ci sono
dubbi: sono stati i "nemici" granata. E questo atteggiamento
di feroce sarcasmo pare ancora più grave perché offende
la memoria di persone morte in tragiche circostanze. Dal
Comune è arrivato immediatamente l'ordine di cancellare
le scritte oltraggiose. Il tifo, la passione sportiva, sconfinano
spesso in atteggiamenti teppistici. Non ci sono i buoni
e i cattivi: in questo, veramente, tutto il mondo è paese.
La Juventus, ad Atene, perde la finalissima della Coppa
? E la città si riempie di scritte: "Grazie Amburgo". La
Roma viene sconfitta dal Liverpool ? Sui muri appaiono slogan
che recitano la gioia dei supporters di altre squadre contenti
che i rivali abbiano perso. In piazza Castello e in via
Roma, appena scoloriti, ci sono ancora i segni delle gazzarre
della "gioventù bianconera" che si firma con un cerchio
diviso da una croce. La rivalità sportiva diventa pericolo
quotidiano: a Bruxelles come in altre città. Per questo
la scritta "36 sono pochi" è ancor più irresponsabile.
30 maggio 1985
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
Stamattina, in via Po, parenti in ansia davanti
al club Juventus di via Bogino
Disperazione, rabbia, paura
"I numeri di telefono di
Roma sono sempre occupati". "Qui è tutto chiuso. E' una
vergogna e nessuno fa niente, nemmeno in Prefettura". Sono
le nove. Una ventina di persone è radunata sul marciapiede
di via Bogino, proprio davanti al "Juventus Club": sono
padri, madri, fidanzate, giovani mogli, sorelle e fratelli
di "quei pazzi" che per una partita di caldo "sarebbero
capaci di andare in capo al mondo". "Io non volevo che partisse.
Gli avevo detto: ti ci lascio andare solo se rimedi matematica.
E lui ha rimediato, con un otto. Magari non ci foste riuscito".
Rino Prasso, 45 anni, è venuto in via Bogino sperando di
avere notizie di suo figlio Alberto, 18 anni. Alberto era
sull'autobus "D", viaggio organizzato dal club "Primo amore".
Non si sa ancora nulla di preciso, né di questo né degli
altri ventotto pullman partiti da Torino: sono attesi per
il tardo pomeriggio. Ma dalle agenzie di stampa e dalle
fonti ufficiali continuano ad arrivare notizie in qualche
modo rassicuranti: l'unica vittima torinese sarebbe Giovacchino
Landini, gestore della Trattoria Toscana di via Spotorno.
L'ansia e l'angoscia sono comunque palpabili fra la gente
che, sempre più numerosa adesso, si ammassa sul marciapiede
all'angolo con via Po. Ansia e angoscia che si sfogano in
una rabbia irragionevole: "Che schifo di Paese e che schifo
di città" si infervora Silvio Zanchi, 47 anni, via (omissis).
Lui la telefonata di suo figlio Franco l'ha ricevuta, questa
mattina alle 7 dalla Francia, quindi è tranquillo, ma solo
relativamente. Fino alle 7 io e mia moglie abbiamo dato
i numeri. Ed è vergognoso che la televisione di Stato interrompa
le trasmissioni a mezzanotte. "Ci sentiamo domani" ti dice
lo speaker, come se niente fosse successo. Ti tengono attaccato
al video per la morte in diretta di un bambino, spettacolo
di dubbio gusto, e poi quando ci sono 41 morti non ti danno
informazioni". "No, ti danno solo numeri di telefono di
Roma che sono sempre occupati - incalza Francesco Falcherò
- e stamattina alle 8 e 30 in Prefettura non c'era ancora
nessuno. C'è da vergognarsi per una tale disorganizzazione".
Sua figlia Maura, ventenne, è sull'autobus n° 6, "ma non
è il numero dell'autobus che interessa, che tanto di quelli
non si sa niente. E' importante il colore del biglietto".
"Chi aveva il biglietto verde è sicuramente salvo - assicura
ancora il signor Zanchi - perché era quello per il settore
"ON", dalla parte opposta dello stadio a quella degli incidenti".
Anna Magavero si sente male: "Mio fratello Giovanni aveva
il biglietto grigio, non verde", dice fra le lacrime e poi
si allontana.
30 maggio 1985
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
Ore di angoscia, poi alle sei del mattino arriva
una telefonata da Bruxelles
"Vostro figlio è salvo,
non sappiamo quando torna, ma state tranquilli"
"Sono tutti salvi, sono
vivi. Mi hanno telefonato appena usciti da Bruxelles. Non
sanno quando arriveranno a Torino ma a questo punto non
importa. A mio figlio non è successo niente, sta tornando".
Alle sei del mattino, la voce al telefono suona rapida e
spezzata. "Va tutto bene", e per la prima volta s'incrina.
Ci si commuove, ci si può finalmente rilassare dopo tante
ore d'angoscia e sembra un sogno che arriva, prezioso e
quasi incredibile, dopo la tremenda notte d'incubo che ha
immobilizzato tante, troppe case di Torino. Dice l'amica,
rapida: "Non so fino a che ora dovremo aspettarlo, non lo
sapevano. Ma a mio figlio non è successo niente, dì al tuo
che si tranquillizzi e che avvisi a scuola". Poche parole
come quelle che hanno spezzato il lungo buio appena passato,
sgranate al ricevitore in una stringata serie di interrogativi
espressi con la concisa pacatezza di chi si sente chiuso
nella sua ansia, senza potersi concedere il lusso di perdere
la concentrazione. Una specie di scaramanzia, un tentativo
disperatamente tenero di bilanciare la paura con la speranza.
Prima: "è vero che sulla Stampa, dopo mezzanotte, ci saranno
già notizie precise ?". Più tardi: "Qual è il numero della
Farnesina con cui metterti in contatto per sapere qualcosa
di più ?". E infine, di prima mattina, la chiamata risolutiva
in cui il sollievo si mescola ad una disarmata, improvvisamente
fragile timidezza: "Nostro figlio è salvo, scusate l'ora
ma abbiamo pensato che aveste piacere di saperlo anche voi".
Così, in queste ore, Torino aspetta. Chi non è ancora tornato
con i charter della notte presto arriverà: in aereo, in
treno, con la carovana degli autobus noleggiati. Spiegano
al servizio-informazioni della stazione di Porta Nuova:
"Torino non ha collegamenti diretti con Bruxelles e prevediamo
che la maggior parte dei tifosi giunga a Milano verso le
19,40, con la linea che tocca Lussemburgo e Basilea ed è
partita da Bruxelles alle 7,16 di questa mattina. Qualcuno,
anche se si tratta di un'ipotesi poco probabile, potrebbe
inoltre essersi recato con mezzi di fortuna a Colonia per
poi salire in treno in questa città. In tal caso, l'arrivo
a Milano potrebbe risultare anticipato alle 17,35". E si
aspetta anche nei centri di autonoleggio. "Tutto bene -
concordano da Giachino, alla Sadem, da Longo - anche se
ci vuole un po' di pazienza. I telefoni sono intasati, nessun
autista ha potuto comunicarci l'ora del rientro".
30 maggio 1985
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
Juve a casa
Scampati alla strage
di Giorgio Destefanis
TORINO - Il primo a comparire
in cima alla scaletta è Sergio Brio: alza la Coppa, sorride.
Dietro di lui il presidente Boniperti, il dottor La Neve,
Trapattoni, Morini, gli altri vip dell'ambiente. Infine
i giocatori: barbe lunghe, facce tirate, sorrisi di circostanza
in risposta ai complimenti di rito. "Terribile", è la parola
che ricorre con maggior frequenza. "Una cosa che non si
potrà dimenticare tanto facilmente - commenta Boniperti
che ha seguito la squadra con moglie e figli - Abbiamo finalmente
portato la Coppa dei Campioni a Torino, ma non volevamo
che accadesse in simili condizioni. Sono andato a visitare
la camera mortuaria: una cosa orribile. Il discorso sulle
responsabilità sarebbe lungo e complesso, non da affrontare
in queste condizioni". Della partita si parla molto
poco. I tragici avvenimenti che l'hanno preceduta occupano
completamente i pensieri di tutti. "Noi eravamo negli spogliatoi
e non vedevamo niente di quello che stava succedendo fuori
- spiega Bonini - lo sentivamo dire. Dopo un po' abbiamo
saputo che era un disastro. Quando siamo scesi in campo
abbiamo cercato di stare più calmi possibile: sapevamo che
sarebbe stato molto difficile. Se ci fossimo comportati
male la bolgia avrebbe potuto scoppiare di nuovo. Abbiamo
cercato di evitare gesti o atteggiamenti che potessero provocare
ancora la gente. Siamo fortunatamente riusciti a trovare
la concentrazione giusta senza esagerare". Un'impresa non
facile, visto che c'era di che avere fondati timori anche
per la propria incolumità personale. "Noi non abbiamo mai
avuto vera e propria paura per noi stessi - spiega Brio
- Siamo andati in campo sperando di riuscire a tranquillizzare
un po' gli animi. Speravamo che facendo il tifo, concentrandosi
sulla partita, la gente si scaricasse un po' - racconta
Tacconi - L'unico problema era che la rete di protezione
era stata completamente divelta e, fra ubriachi e drogati,
poteva succedere di tutto da un momento all'altro". Trapattoni
(che aveva la moglie in tribuna e l'ha fatta andare via
non appena si è ristabilita un po' di calma) appare ancora
più turbato dei suoi giocatori: "Io non sono riuscito a
staccare come i ragazzi - spiega - Mentre ero in panchina
continuavo a pensare a quanto era successo. Ho solo detto
ai giocatori di stare molto attenti. E' stata una coppa
sofferta fino all'ultimo. Addirittura pagata col sangue".
30 maggio 1985
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
di Luisella Re
Il segretario non ha chiuso
occhio: tutta la notte attaccato al telefono. E' stata una
vittoria amara al Club Juventus di via Bogino, mentre i
passanti fissano ipnotizzati dalla strada la bandiera bianconera
che dondola sul balcone come uno straccio sgualcito, il
segretario Augusto Gribaldo ha faccia grigia e occhi stanchi.
Sta attaccato al telefono da ieri sera, continua a smistare
le chiamate di chi vuol sapere, fermo alla scrivania nel
cui portacenere cresce una montagna di mozziconi. Nel salone
vicino un silenzio drammatico pesa sulle lunghe file di
sedie vuote che sembrano anche loro in attesa. Ma Agnese
Lardo non sembra accorgersi di nulla. Adesso come per tutta
la notte e l'intera mattina, da quando è qui, con il viso
sempre più contratto e lo sguardo sempre più febbrile: in
attesa del figlio Alfredo. Spiega: "Sono separata da mio
marito, lavoro a ore, Alfredo, quasi 18 anni, è il più grande
dei miei tre figli. La trasferta a Bruxelles è stato il
suo primo viaggio, e adesso mi sembra di vivere in un altro
mondo. Andarmene a casa ad aspettare ? Non ci riesco, per
favore lasciatemi qui". Qui, dove una fila continua di visitatori
cerca conferme e rassicurazioni, i pullman arriveranno in
piazzetta Reale non prima delle 17 ? Va bene, aspetteremo".
Tenta di scherzare Giuseppe Sarnataro: "Non ho potuto andare
a Bruxelles a causa di problemi di famiglia dato che sono
sposato e, una volta, lo dico senza rimpianti. A Bruxelles
sono andati miei amici. Una quindicina. E tra loro c'è quel
Pietro Cimino, 18 anni, che risulterebbe ferito con suo
padre (all'ultima ora l'episodio sembra fortunatamente ridimensionato,
n.d.r.) e che risulta fermo a Bruxelles, senza che riusciamo
a saperne qualcosa di più". Poi, un cedimento improvviso:
"Gli voglio bene, giochiamo al calcio insieme. Ho già perso
un amico nella tragedia dello Statuto, questo è davvero
troppo". Crudele da sopportare come gli interrogativi di
questa mattinata che scorre assurdamente, angosciosamente
lenta. "Mi chiamo Franco Reddavide. Possibile che non ci
sia notizie di mio padre Giovanni e di mio fratello ?".
Silvio Zanchi, 47 anni, via (omissis). Lui la telefonata
di suo figlio Franco l'ha ricevuta, questa mattina alle
7 dalla Francia, quindi è "tranquillo, ma solo relativamente.
Fino alle 7 io e mia moglie abbiamo dato i numeri. Ed è
vergognoso che la televisione di Stato interrompa le trasmissioni
a mezzanotte. "Ci sentiamo domani" ti dice lo speaker, come
se niente fosse successo. Ti tengono attaccato al video
per la morte in diretta di un bambino, spettacolo di dubbio
gusto, e poi quando ci sono 41 morti non ti danno informazioni".
L'ansia e l'angoscia sono comunque palpabili fra la gente
che, sempre più numerosa adesso, si ammassa sul marciapiede
all'angolo con via Po. Ed ecco nuove chiamate e altre comunicazioni
che continuano a scandire le ore. "Sarebbe stato assalito
il pullman numero 16 anche se non si sa quando. Sembra che
ci siano dei feriti: "Il pullman numero 6 a Lione. Tutti
salvi". Verso le 13 quasi tutti gli autobus hanno confermato
il loro okay. Fa l'eccezione il 15, quello della vittima
torinese Giovacchino Landini, ed il 16. Racconta Federica
Angiuli: "Mio figlio Antonio, 18 anni, ha chiesto per premio
di assistere alla finale di Bruxelles e mio marito senza
alcuna voglia l'ha accompagnato. Ho saputo che stavano bene
stamattina dopo una notte di inferno. Li viziamo troppo
i nostri figli, il guaio è questo. Ma adesso basta. Con
lo stadio ha chiuso". Poi arriva finalmente un elenco aggiornato:
25 morti e una nota in cui si sottolinea che altri 7 italiani
restano ancora da identificare. Commentano i responsabili
del club: "è solo un elenco incompleto. I nomi sono già
noti". Sul tavolo, la patetica dichiarazione di un autista
che sottoscrive la propria responsabilità per la trasferta
a Bruxelles "qualora dovesse verificarsi qualsiasi inconveniente".
Nella sala del bar la gente cerca di non guardare i gagliardetti
che inneggiano alla Coppa dei Campioni.
30 maggio 1985
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
Giocano al lotto i numeri
della tragedia di Bruxelles. Le ricevitorie, in numero sempre
più limitato, non ce la fanno a resistere all'assalto dei
giocatori. A quelli abituali, a chi segue i numeri in ritardo,
come il 34 per Napoli, si aggiungono coloro che vogliono
giocare i numeri suggeriti dalla partita di Coppa in Belgio
tra Juve e Liverpool. I titolari dei botteghini resistono:
"Non diamo nessun numero. Ognuno giochi come vuole". E'
la risposta che venne data anche dopo la tragedia del cinema
Statuto, quando molti volevano ricavarne i numeri. Chi è
in coda, allunga lo sguardo per copiare i numeri che sta
giocando chi è davanti a lui. La maggior parte punta sul
29 (giorno del fatto), 40, partita di calcio, 65 incidente
tra la folla o massacro. 86 stadio. Qualcuno aggiunge il
41, numero delle vittime.
30 maggio 1985
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA ITALIA 30.05.1985
Cardetti: "Si doveva rinunciare
alla festa". "Trovo assurda e da biasimare questa festa,
nelle ore in cui molte famiglie torinesi sono in preda al
panico, alla paura per la sorte dei loro congiunti". Il
sindaco Giorgio Cardetti, dopo aver avuto la notizia della
tragedia di Bruxelles, prima è corso a Palazzo Civico, poi
ha fatto un breve giro in città, da piazza S. Carlo a piazza
Castello. E di fronte ai caroselli di auto e alle scene
di tripudio non ha potuto fare a meno di rilasciare questa
dichiarazione. "Capisco la voglia di gridare la propria
gioia da parte di gente che aveva preparato a lungo questo
momento, ma tutti hanno potuto assistere a quella tragedia
terribile in tv. Si doveva rinunciare a tutto, stare vicini
al dolore di chi è stato così duramente colpito. Mi pare
impossibile che si possa morire in quel modo, quando si
era partiti per divertirsi". Cardetti ha poi espresso la
propria solidarietà ai giocatori della Juventus che hanno
giocato per evitare ulteriori incidenti, ma soprattutto
ai familiari delle vittime. "Condivido - ha detto - l'apprensione
e i timori di migliaia di cittadini che hanno propri familiari
a Bruxelles. Alla Juventus e ai suoi giocatori voglio rendere
atto dell'intelligenza e della serietà con cui hanno preso
la decisione di scendere in campo, evitando fatti forse
ancora più gravi. Ci sarebbe poi da complimentarsi per il
grande risultato, ma penso che sia meglio rimandare a momenti
meno angosciosi".
30 maggio 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA
ITALIA 30.05.1985
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