Il racconto degli Juventini novaresi "Impotenti
davanti alla tragedia"
Platini Morini e Tacconi
in visita ai feriti. Il Belgio saluta i morti
di Paolo Soldini
La cerimonia funebre a
Bruxelles - Paola di Liegi a lungo a colloquio con i familiari
delle vittime - Lo strazio, il dolore, alcuni colti da malore
- Tre C-130 per le bare - Cinque tifosi ancora in gravi
condizioni.
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE.
BRUXELLES - Venticinque bare allineate nel buio di un hangar,
all'aeroporto militare di Bruxelles. Una è avvolta nella
bandiera belga, in due sono composti i corpi delle vittime
francesi, le altre sono degli italiani. Ventuno salme che
tra poco verranno caricate su tre C-130 che aspettano fuori,
sulla pista illuminata dal sole di una insolita mattinata
calda, quasi da estate mediterranea. Nove bare erano partite
venerdì sera. I morti della follia di Heysel tornano in
Italia, ma questo non è l’atto finale della tragedia. Negli
ospedali restano i feriti, e per cinque si teme ancora il
peggio. Dei tre che erano in sala di rianimazione due sono
usciti dal coma, il terzo no. Mentre qui si aspetta la partenza
delle salme per l'Italia, poco lontano, all'aeroporto civile,
sbarcano Michel Platini, Stefano Tacconi e Francesco Morini.
I due giocatori e il dirigente della Juventus sono venuti
per visitare i feriti in ospedale. Altri loro compagni saranno
all’aeroporto di Milano ad accogliere i parenti delle vittime.
"E il minimo che potessimo fare per i tifosi che ci seguono
dappertutto e stavolta hanno pagato in modo così amaro la
loro passione. Ci sentiamo un po’ colpevoli anche noi",
dice Platini. Più tardi, negli ospedali di Vilvoordt e di
Jette, si intratterranno con alcuni dei feriti più leggeri.
Urbano Antico, il francese Edouard Redziock, Gabriele Brandimarte.
Ci sarà un po’ di animazione, qualche episodio dì nervosismo,
ma la visita degli Juventini porterà anche un po’ di conforto,
specie al piccolo Matteo Favaretto, 11 anni, immobilizzato
con un braccio rotto. E’ a Vilvoordt con il padre Egidio.
Un fratello e la madre, anche loro feriti, sono stati dimessi
solo poche ore prima. Qualcuno chiede a Platini se sia stato
giusto giocare la partita. "Quando al circo muore un trapezista,
scendono in pista i clowns". Beh, forse l’esempio non è
calzante, ma insomma, crediamo di aver fatto bene. Il match
è stato corretto, l’arbitro bravo". Il risultato era stato
già deciso prima ? "Stupidaggini", risponde Morini. Nessun
commento, invece, sulle responsabilità delle autorità belghe.
Ma proprio quest’ultimo è il capitolo che brucia di più.
L'inchiesta ufficiale è ai primi passi, ma ormai sui giornali,
alla televisione, tra la gente il coro è unanime: colpe
ce ne sono state, e gravissime; qualcuno deve pagare. Se
ne coglie il segno anche qui all’aeroporto militare. A proteggere
l’arrivo del primo ministro Martens e degli uomini del suo
governo c’è un fitto schieramento di polizia e gli agenti
si irrigidiscono quando alla soglia dell’hangar si affacciano
il ministro degli Interni e il borgomastro di Bruxelles.
A Charles-Ferdinand Nothomb e Hervé Brouhon si rimproverano
errori e imprevidenze, ma forse soprattutto il cinismo con
cui hanno cercato di difendersi nelle ore successive alla
tragedia. Ce ne è in abbondanza per giustificare le dimissioni,
ma loro resistono. Intanto si è appreso che l’11 giugno
si svolgerà ad Amsterdam una riunione dei ministri dello
sport dei paesi europei. Il Belgio è stato tra i primi paesi
a dare la propria adesione. Per tutta la cerimonia funebre
di ieri, a dominare è stato il silenzio, rotto alla fine
dal pianto disperato di un uomo e dai singhiozzi e le invocazioni
che si propagano per la sala quando giunge il momento di
lasciare il passaggio ai militari che porteranno le bare
agli aerei. Prima Martens ha pronunciato un breve discorso,
in fiammingo, in francese, in inglese e infine in un italiano
sgraziato. Le condoglianze, il rincrescimento, l’impegno
a cercare "misure supplementari" per evitare che simili
eventi si ripetano: poche frasi banali. Un gesuita. Luigi
Parisi, ha indicato le ragioni del conforto religioso. E
mentre un pianoforte e un organo diffondevano le note del
canto dell’addio, i principi Paola e Alberto di Liegi si
sono avvicinati alle file dei parenti. Lei è d’origine italiana:
ha parlato a lungo con alcuni, ne ha abbracciato altri in
silenzio. I rappresentanti del governo e della polizia erano
in un angolo, rigidi, accanto agli ambasciatori britannico,
francese e italiano. Susanna Agnelli, presente a nome del
governo italiano, si è fermata a parlare con un gruppetto
di giornalisti. Ricorda che Craxi è stato molto duro sulla
decisione di far giocare comunque la partita. La Juventus
dovrebbe rinunciare alla Coppa ? "Ma no, che senso avrebbe
? Che la dedichino invece alle vittime di Heysel". Il capannello
si scioglie da solo quando tra la gente si fanno largo due
infermieri che sorreggono un uomo che grida disperato. Poi
arrivano una donna e una bambina bionda: "Dov’è Rocco".
"Lo hanno portato fuori". La scena ha fatto precipitare
le emozioni. Due persone colte da malore vengono portate
via in barella. Il pianto si propaga mentre un piccolo corteo
esce nel sole per raggiungere la palazzina del centro di
assistenza dove i familiari aspetteranno il momento di imbarcarsi.
E’ qui, prima e dopo la cerimonia nell’hangar, che i cronisti
raccolgono mozziconi di storie tutte tristemente simili.
Si avvicina un giornalista britannico; "Cosa provate verso
gli inglesi ?". "Che domanda fa ? - risponde il genero -
lei che cosa proverebbe al posto nostro?". Il cognato, pacato,
aggiunge: "Ma sì, lo sappiamo, non tutti sono così…". I
familiari di Giovanni e Andrea Casùla, padre e figlio morti
insieme, stanno in un angolo e pochi hanno il coraggio di
avvicinarli. Rocco Ragnanese, fratello di Antonio, racconta
commosso della solidarietà che i parenti delle vittime hanno
trovato da parte di famiglie italiane residenti qui e belghe.
Vorrebbe parlare alla cerimonia, per ringraziare tutti,
ma gli dicono che non sarà possibile. Una nota stonata,
e non l’unica d'una mattinata in cui il personale della
Croce Rossa e gli assistenti sociali fanno di tutto rendere
l'ambiente il più possibile umano: quando è il momento di
scendere verso l’hangar, l'ascensore è riservato alle "autorità"
e i familiari vengono indirizzati alle scale. "C’è gente
che non capirà mai...", mormora un assistente sociale belga
e ha un gesto di stizza all'indirizzo dei notabili sull’ascensore.
2 giugno 1985
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA 2.06.1985
ROMA - Non potranno essere
immediatamente messe a disposizione dei familiari le salme
dei nostri connazionali che stanno rientrando da Bruxelles.
Con un fonogramma urgente inviato a tutte le procure delle
altre città italiane, la Procura della Repubblica di Roma,
infatti, ha chiesto che, prima di concedere il nulla osta
alla sepoltura, sia compiuta l’autopsia su ogni cadavere
al rientro nelle città d’origine. I relativi rapporti dovranno
poi essere trasmessi all'ufficio del pubblico ministero,
Alfredo Rossini, al quale è stata affidata l’inchiesta giudiziaria
sugli incidenti di Bruxelles. Il magistrato romano, attraverso
la Questura di Roma, ha ordinato, inoltre, a tutte le questure
d’Italia di raccogliere le testimonianze dei cittadini italiani
presenti allo stadio belga la sera di mercoledì. Il dott.
Rossini ha poi chiesto, tramite l'Interpool, al procuratore
di Bruxelles che gli siano trasmesse le copie di tutti gli
atti del procedimento in corso da parte della magistratura
belga.
2 giugno 1985
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA 2.06.1985
di Eugenio Manca
Ma che cosa è stato più
orribile, la strage o il dopo ? Che cosa è più agghiacciante,
la morte o il disprezzo della morte ? Tiriamola fuori apertamente,
interamente, la domanda che ciascuno di noi si porta dentro
fin dall’inizio, e che con troppe reticenze è stata affacciata:
è stata "soltanto" la fine - assurda, inconcepibile, ferocissima
- di quaranta innocenti sugli spalti di uno stadio nel cuore
della civilissima Europa ciò che ha fatto rabbrividire ?
O non anche l'attesa (che i cronisti hanno descritto civile,
paziente, tollerante, persino dolente) della grande folla
assiepata, della folla in attesa che lo spettacolo - nonostante
tutto - potesse cominciare, che il gioco - nonostante tutto
- celebrasse il suo trionfo ? Non parliamo qui dei teppisti,
degli esagitati, degli ubriachi, di quella fauna ebete e
rissosa che - l'abbiamo visto - roteava spranghe e bastoni,
lanciava mattoni e bottiglie. Innalzava i simboli della
morte, si copriva il volto con sciarpe e fazzoletti di vario
colore. No. Parliamo degli altri, della folla dei sobri,
degli "sportivi", della gente per bene, italiani e inglesi
e belgi e d'ogni altra possibile nazionalità. Quella folla
- che ancora i cronisti ci hanno descritto come composta
e amareggiata - sapeva ciò che era accaduto perché era appena
accaduto sotto i suoi occhi: aveva visto gli scontri, udiva
il sibilo incessante delle ambulanze, ascoltava gli appelli
diffusi dagli altoparlanti, respirava il fumo dei falò accesi
sulle gradinate, riusciva persino a sentire le grida dei
feriti; quella folla sapeva che una tragedia si stava consumando,
forse non ne poteva valutare l'entità, ma avvertiva - non
poteva non avvertire - che qualcosa di terribile in quello
stadio stava accadendo. I telecronisti, quasi per consolarci,
ci hanno comunicato questa loro impressione, hanno persino
notato che molti tifosi avevano riposto striscioni e bandiere
in segno di lutto. Ebbene se è così, che cosa ha impedito
che quella folla - né teppisti, né ubriachi, né esagitati,
ma gente per bene che nessuna responsabilità aveva per gli
incidenti - facesse l'unica cosa decente che si dovesse
fare in una circostanza simile, e cioè abbandonasse in silenzio
le gradinate di quello stadio improvvisamente trasformato
in mattatoio ? Perché la folla che pure aveva capito, che
pure aveva abbassato la voce, che pure aveva riavvolto striscioni
e bandiere, è rimasta al suo posto come a voler svolgere
fino in fondo il suo ruolo, a reclamare cinicamente un diritto
che nulla, neppure quella assurda carneficina, doveva mettere
in discussione ? Qualcuno, che era sugli spalti, mette in
campo ragioni che avranno avuto un peso: un diffuso senso
di smarrimento e di impotenza; la paura fisica di disperdersi,
di isolarsi fuori dello stadio; un bisogno - questo soprattutto
- di rimuovere immediatamente la tragedia restando là, ripristinando
attraverso la propria presenza la ragione originaria di
quell'incontro, che era una ragione di pace e non di guerra,
di vita e non di morte. Riflessioni forse sincere ma fragili
di fronte ad un dato di fatto che non dà scampo: proprio
l'abisso di violenza e di morte che si era aperto sotto
gli occhi di tutti non cambiava ogni cosa, non mutava la
scena, non aveva trasformato intimamente, radicalmente,
il senso di quel raduno ? Si è preferita invece l'inerzia,
l'assurda finzione di una inesistente normalità. Si è trovata
scandalosa, da parte di molti, l'inerzia delle autorità.
Giustissimo. Si è trovata inaccettabile anche la decisione
di far svolgere ugualmente l'incontro per tema di altri
e forse più gravi incidenti. Sarà giusto anche questo. Ma
davvero è così difficile intuire che non ci sarebbe stato
bisogno di una tale decisione se spontaneamente quella gente
per bene, composta, civile, se ne fosse andata, se avesse
trovato insopportabile l'idea di restare là un minuto di
più ? E invece i morti si allineavano uno dopo l'altro sotto
la tribuna d'onore, e sopra la gente per bene, vincendo
gli ultimi imbarazzi, riprendeva a sventolare gli striscioni,
esplodeva negli applausi. Incitava i suoi campioni in calzoncini
i quali, frastornati all'inizio, avevano pure essi ritrovato
la grinta, tanto che i vincitori alla fine potevano persino
concedersi e concedere un giro d'onore. E intanto, davanti
alle immagini di questo livido trionfo che dilagava anche
per le strade di alcune città Italiane, sui teleschermi
passavano in sovrapposizione i numeri telefonici degli ospedali
e degli obitori. Con l'agghiacciante elenco dei morti, un
avvertimento tremendo scavalca le cancellate di quello stadio
di Bruxelles, un segnale atroce ci giunge: di irrazionalità,
di dimissione dalle responsabilità individuali, di sfida
alla ragione, di smarrimento dei valori elementari su cui
poggia la costruzione civile. Non tutte le folle sono eguali,
e proprio le folle hanno saputo impartire lezioni indimenticabili
di umanità, di modernità, di solidarietà. Lo abbiamo visto
in Italia, e pure in tempi recentissimi. Ma quella di Heysel
è una folla che fa paura. Davvero ha trovato dentro di sé
ragioni che giustificassero l'inerzia ? E quali sono queste
ragioni ? Come ha potuto accettarle ? Sono davvero ineluttabili
? È un fastidioso accidente la morte di chi ti sta accanto
? E altrove che devi volgere lo sguardo ? E avevano ragione
di far finta di nulla quei tredici distinti signori della
metropolitana di Parigi, mentre quattro energumeni stupravano
una ragazza ? Un morto nell'ascensore di un ospedale, che
sale e scende per tre giorni abbandonato su una sedia a
rotelle senza che nessuno se ne accorga, deve divenire elemento
abituale della nostra quotidianità ? È importante che si
cerchi, tutti insieme, una risposta a queste domande. Importante
per l'oggi e il domani. Bisogna farsene una ragione, capire,
sapere. Certo, da che è accaduto in quello stadio è allucinante,
ma persino il momento della strage ha una sua logica per
quanto feroce, una sua dinamica per quanto raccapricciante:
una turba di ubriachi che assalta, una folla che preme,
le strutture materiali che cedono, le vittime. Non giustifica
né allevia alcuna responsabilità, ma ha un senso il fatto
che gli assalitori fossero in preda all'alcool, incapaci
di controllare le proprie azioni. In definitiva, quella
era una situazione che doveva e poteva essere prevenuta
e controllata dai gendarmi del servizi d'ordine (che non
sia avvenuto è atroce, dovrà essere spiegato, i responsabili
dovranno essere cercati e puniti). Ma - chiediamocelo crudamente
- quale servizio d'ordine (di confessori ? di moralisti
? di sociologi ? di filosofi ? di maestri del pensiero ?)
dovrà mai essere attivato verso quella folla di 50.000,
o di 45.000 o di 40.000 persone per bene che nello stadio
di una capitale, nel cuore della civilissima Europa, ha
imposto il suo cinico diritto allo spettacolo, infastidita
appena dalla moria di chi stava là accanto ?
2 giugno 1985
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA 2.06.1985
Mentre la magistratura cerca nei filmati televisivi
i volti degli assassini
Il governo belga insiste
"Noi non abbiamo colpe"
di Paolo Soldini
Lo strazio dei parenti
all’obitorio - Valanghe di telefonate in Tv chiedono le
dimissioni del ministro degli interni - Trovati dei bossoli
allo stadio - Una Tv belga denuncia: "La vittoria della
Juventus è stata decisa nell’intervallo a tavolino".
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE.
BRUXELLES - Il bilancio è definitivo: la follia di Heysel
è costata la vita a trentotto innocenti. Trentuno italiani,
quattro belgi, due francesi, un inglese. Gli ultimi due
corpi straziati sono stati identificati ieri mattina, quello
di un Francese e quello di un italiano, Claudio Zavaroni.
Poche ore prima i familiari giunti dall'Italia avevano riconosciuto
Barbara Lusci, Domenico Ragazzi e Giuseppina Conti, 17 anni,
arrivata da Arezzo con il padre Antonio, che è ancora ricoverato
all’ospedale "Saint Jean". Ieri sera un primo gruppo si
è imbarcato su due aerei dell’Aeronautica militare, che
hanno riportato in Italia nove salme. Nel dolore di queste
ore una debole nota di conforto è giunta dagli ospedali.
Dei sessanta feriti ancora ricoverati (quarantadue italiani),
una decina sono in condizioni gravi ma continuano a migliorare.
Le condizioni dei tre ricoverati in sala di rianimazione
sono restate stazionarie per tutto ieri. Altre salme partiranno
stamane, dopo una cerimonia religiosa nella chiesa di Melbroek.
Altri ancora domani e forse dopo. La magistratura belga,
infatti, ha disposto l'autopsia su tutti i corpi delle vittime.
Giudici e polizia ritengono che sarà molto arduo identificare
qualcuno che abbia materialmente partecipato alle fasi cruciali
degli incidenti, anche se dispongono del materiale copioso
delle registrazioni televisive. In particolare si cercherà
di verificare le denunce, venute da più parti e dallo stesso
presidente della squadra inglese, secondo cui mercoledì
a Heysel c’era un forte gruppo organizzato del "National
Front", un’organizzazione parafascista britannica, e che
proprio da questo sarebbero stati deliberatamente scatenati
gli incidenti. La gendarmeria belga avrebbe raccolto testimonianze
sulla presenza di estremisti di destra organizzati, sia
tra la tifoseria inglese che tra quella italiana. Dentro
lo stadio sono state trovate varie armi improprie ed anche
diversi bossoli, pare di una lanciarazzi. Ma le indagini
dovranno affrontare anche un altro capitolo: le responsabilità
degli organizzatori dell’incontro e delle autorità preposte
all’ordine pubblico. Man mano che passano le ore, il quadro
delle leggerezze e degli errori commessi dagli uni e dalle
altre si fa più preciso e impressionante. In una trasmissione
in diretta alla tv, l'altra sera, è arrivata una valanga
di telefonate in cui si chiedevano le dimissioni immediate
del ministro degli Interni Charles Ferdinand Nothomb, del
borgomastro di Bruxelles Hervé Brouhon, da cui dipende la
polizia, e del capo della polizia stessa, che non si era
neppure presentato alla tv e che ieri è arrivato a dichiarare
che "una partita di calcio è una questione del tutto privata,
in cui dal punto di vista giuridico la polizia non deve
intervenire". I giornali, ieri mattina, rincaravano la dose,
ribattendo punto per punto la debole autodifesa di Nothomb
e Brouhon. Sempre ieri, comunque, in una riunione straordinaria
del consiglio dei ministri che ha formalizzato la decisione,
presa già giovedì, di non autorizzare più in Belgio partite
con la partecipazione di clubs inglesi, il primo ministro
Wilfried Martens ha difeso l’operato di Nothomb. Le accuse
che vengono rivolte alla polizia e alla gendarmeria sono
pesantissime. Il servizio d’ordine era stato predisposto
soltanto per prima e dopo la partita, come se gli incidenti
potessero verificarsi solo fuori dello stadio. Nessuno ha
fatto rispettare l'ordinanza secondo cui non si potevano
vendere bevande alcoliche nelle vicinanze dell’impianto
sportivo. C’è stato un incredibile lassismo, dopo qualche
ora di rigore, nell’accuratezza dei controlli. Poco prima
delle 19 la barriera che doveva servire da filtro davanti
ai veri e propri varchi dello stadio è stata travolta e
nessuno ha pensato di ricostituirla. Soprattutto, ci si
è resi conto molto tardi della gravità di quanto stava accadendo
e i rinforzi di 220 uomini che (secondo la versione ufficiale)
erano nello stadio sono arrivati dopo troppo tempo. Perché
arrivassero altri duemila uomini della gendarmeria si è
dovuto attendere ben oltre le 21. Molti sono stati richiamati
da casa tramite appelli radio, il che fa pensare che non
fosse neppure stato dato l’ordine della mobilitazione generale.
Ma altrettanto pesanti appaiono le responsabilità dell’Unione
calcistica belga e della stessa Uefa. Un gruppo di esperti
britannici, francesi e olandesi ha fatto ieri un elenco
impressionante delle carenze dello stadio. Le gradinate
in cemento offrivano, una volta sgretolate, una quantità
illimitata di proiettili da lanciare; i pali di ferro costituivano
altrettanti armi improprie. Gli accessi aperti erano stretti,
dei lucchetti che chiudevano le più larghe porte a rete
non si sa ancora oggi chi avesse le chiavi. E soprattutto:
i settori della curva maledetta erano separati da una rete
ridicolmente fragile, ed erano assolutamente sguarniti.
Nessuno sa ancora dire quanti agenti fossero sul posto.
Il loro numero è variato diverse volte, ma pare che in nessun
momento siano stati più di dieci, dodici. Qui si giunge
nel capitolo più incredibile della vicenda: perché i tifosi
del Liverpool e della Juve si trovavano, in quel punto dello
stadio, così a contatto ? I dirigenti della Ubc (e anche
il borgomastro e il ministro degli Interni, che avrebbero
dovuto vigilare sulla sicurezza dell’organizzazione del
match) hanno cercato di giustificarsi sostenendo che nel
settore "Z", secondo le loro previsioni, avrebbero dovuto
trovar posto spettatori belgi, il che avrebbe creato una
sorta di cuscinetto tra le tifoserie rivali. I biglietti
di quella zona, continuano a ripetere, erano stati tutti
venduti in Belgio e - ma la circostanza è smentita da molti
testimoni - dietro presentazione di un documento. Una tragica
leggerezza: la comunità italiana, qui, è talmente grossa
che chiunque doveva essere in grado di prevedere che quei
biglietti sarebbero finiti in gran parte in mano a italiani,
residenti in Belgio o parenti o amici di residenti. Di belgi
ce n’erano, in effetti, nel settore "Z" (4 infatti figurano
tra le vittime), ma erano una nettissima minoranza, il quadro
delle responsabilità, insomma, è impressionante. E le polemiche
stanno montando di tono. I due partiti socialisti e i comunisti
hanno chiesto un immediato dibattito parlamentare e la nomina
di una commissione d’inchiesta, ma anche da settori della
maggioranza, oltre che praticamente da tutta la stampa,
vengono critiche molto pesanti. Oggetto della polemica non
sono solo la polizia e le autorità di governo, ma anche
i dirigenti del calcio, ai quali si rimprovera la decisione
di aver fatto svolgere ugualmente la partita. Una decisione
"indecente", l'ha definita il presidente dei socialisti
valloni Spitaels, sostenendo che si doveva trovare il modo
- e il coraggio - di non farla giocare. La televisione francofona
belga "Rtbf", ha affermato ieri citando "fonti sicurissime",
ma non dicendo quali siano, che "il risultato della finale
della Coppa tra la Juve e il Liverpool è stata decisa a
tavolino". L’esito della partita - secondo la tv belga -
sarebbe stato deciso in una riunione cui avrebbe partecipato
anche l’arbitro svizzero.
2 giugno 1985
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA 2.06.1985
E al
rientro lacrime e tricolori
MILANO - (C.B.). "Mario,
Mario", grida aggrappandosi al feretro uno dei quattro fratelli
di Mario Spanu, 41 anni, caduto allo stadio Heysel di Bruxelles.
"Non è vero", sussurra tra i singhiozzi un altro parente;
poi si accascia sul cemento della pista. I barellieri lo
caricano su una ambulanza. "Mario, Mario" urla ancora il
fratello di Spanu agitando un fazzoletto bianco mentre la
bara avvolta in un drappo tricolore si allontana sul carro
funebre messo a disposizione dal Ministero degli Interni.
Alle 13.45, novanta minuti di ritardo sul previsto, atterra
sulla pista militare di Linate il primo dei due Hercules
C 130 della 46^ Aerobrigata Pisa che trasportano le vittime
di Bruxelles. Una lunga rullata, poi il quadrimotore si
ferma sul piazzale: dal portellone posteriore già aperto
si intravede la prima delle otto bare sistemate a bordo.
E' quella di Domenico Ragazzi, 43 anni, muratore. A Ludriano,
800 abitanti nella provincia Bresciana, allenava la squadra
di calcio dell'oratorio. Celibe, lascia sette sorelle e
due fratelli. Dal paese son venuti in sessanta ad attenderlo:
hanno portato la bandiera con lo stemma, nessuno avrà il
coraggio di aprirla. Un ufficiale dell'Aeronautica chiama
i parenti del secondo feretro mentre lo trasportano fuori
dalla carlinga. Una dopo l'altra, Don Mario, cappellano
della 1^ Regione Aerea, benedice le bare di Gianfranco Sarto
(27 anni, di Rovigo), Mario Spanu (di Novara), Amedeo Spolaore
(55 anni, Bassano del Grappa), Mario Ronchi (43 anni, Bassano),
Antonio Ragnanese (29 anni, Brugherio) e Sergio Mazzino
(38 anni, Cogorno). Nella carlinga rimane il corpo di Dionisio
Fabbro (51 anni, Udine) che riparte per Ronchi dei Legionari.
Accanto all'aereo il Prefetto di Milano, Enzo Vicari. Antonio
Ragnanese, dentista, lascia la moglie Carla ed un figlio
di 6 anni, Pierluca. Uno dei tre fratelli, Ciro, era al
suo fianco quando è iniziata la tragedia. Il dolore è troppo
forte per la moglie, una sorella ed un altro fratello: si
lasciano cadere, con l'ultimo grido strozzato in gola. E'
un accorrere di ambulanze: la gente grida, i militari fanno
barriera al di là delle transenne. Alle 14.04 atterra il
secondo Hercules con a bordo altre otto bare. Inizia l'appello
che strazia l'aria di gemiti: Tarcisio Salvi (45 anni, Brescia),
Francesco Galli (25 anni, Calcio), Claudio Zavaroni (29
anni, Reggio Emilia), Barbara Lusci (58 anni, Genova), Domenico
Russo (26 anni, Moncalieri) e Giovacchino Landini (50 anni,
Torino). Nella carlinga, destinazione Pisa, i feretri di
Bruno Balli (50 anni, Prato) e Giuseppina Conti (16 anni,
Arezzo). Francesco Galli (ultimo di 11 fratelli) giocava
come mediano nell'Amatori Kais di Calcio, nel bergamasco:
era sulla curva Z con altri tre amici, poi è sceso più in
basso perché, piccolo di statura, vedeva a fatica il campo.
Gli altri si sono salvati. Sono tornati in Italia con la
sua Mercedes di seconda mano. Domenico Russo, elettricista,
lascia la moglie Tiziana incinta di 7 mesi: la madre lo
ha riconosciuto cadere e scomparire sotto gli altri durante
la ripresa televisiva, o almeno ne è convinta. Il lento
succedersi dei carri funebri si confonde nel carosello delle
ambulanze. Per i funerali bisognerà prima attendere l'autopsia
disposta dalla Procura romana. L'Hercules C 130 diretto
a Roma atterra a Ciampino attorno alle 15. A bordo, con
i parenti di una delle vittime e il sottosegretario agli
Esteri Susanna Agnelli, sei bare. Subito dopo l'atterraggio
il velivolo viene parcheggiato ai bordi della pista accanto
a due G 222 dell'Aeronautica militare. Qui ricevono la benedizione
del cappellano di Ciampino e l'omaggio di un picchetto di
avieri in alta uniforme. Due salme, quelle di Andrea e Giovanni
Casula, 44 e 11 anni, padre e figlio, morti abbracciati
l'uno all'altro, rimangono nella stiva dell'aereo da trasporto
e ripartono poco dopo per Cagliari. Le altre quattro, avvolte
nel Tricolore sono scaricate e subito ricaricate sui G 222
in attesa. Due bare, quelle di Roberto Guarini, un ragazzo
di 21 anni il cui padre è rimasto ferito, e quella di Benito
Pistolato, 50 anni, titolare di un negozio di bigiotteria
a Bari decollano pochi minuti dopo per il capoluogo pugliese;
quella di Luciano Papaluca, residente a Milano ma originario
della provincia di Reggio Calabria, e di Eugenio Gagliano,
35 anni, partono sull'altro G 222 dirette a Lamezia Terme
e Catania.
2 giugno 1985
Fonte: La Repubblica
ARTICOLI STAMPA 2.06.1985
Platini
e Tacconi visitano i feriti
BRUXELLES - I giocatori
della Juventus Michel Platini e Stefano Tacconi, accompagnati
dal direttore sportivo Francesco Morini, ieri hanno visitato
ventidue degli italiani ancora ricoverati negli ospedali
di Bruxelles. Per i dodici più gravi i medici non hanno
concesso l'autorizzazione. Delle persone rimaste ferite
mercoledì nello stadio Heysel cinque sono in coma negli
ospedali Saint Pierre, Uvb, Saint Jean, Saint Luc e Franois.
La prognosi è riservata anche per quattro che si trovano
all'ospedale Erasme. Intorno alla tragedia un altro mistero:
Marco Manfredi, 41 anni, di Moncalieri risulta ancora disperso.
Era allo stadio con un amico che, al momento dell'attacco
dei tifosi del Liverpool, l'ha perso di vista. I familiari
di Manfredi, arrivati a Bruxelles, hanno invano girato per
tutti gli ospedali.
2 giugno 1985
Fonte: La Repubblica
ARTICOLI STAMPA 2.06.1985
Solo Soldati
grida: "Brava Juve"
di Franco Recanatesi
ROMA - C' era una volta,
par di capire da certe cronache e da certi commenti sulla
tragica partita di Bruxelles, il sussiegoso, signorile,
impenetrabile stile Juventus. Una società e una squadra
che si erano distinte da sempre per alcune diversità rispetto
agli altri club di calcio: lontana dalle bufere e dalle
polemiche di cui il mondo del pallone si nutre, mai dichiarazioni
men che corrette, sportività come parola d' ordine. Che
cosa è successo a Bruxelles ? E’ successo, a detta di taluni
osservatori, che anche lo stile - Juventus è stato travolto
dalla tragedia. In molti hanno provato imbarazzo o insofferenza
nell'assistere al festoso giro di campo degli atleti torinesi.
E all'immagine di Brio che sorridente brandiva la Coppa
in cima alla scaletta dell'aereo che aveva riportato la
squadra a Torino. E alle parole di Gianni Agnelli prima
e di Giampiero Boniperti poi: "La Coppa è vinta", "un successo
che aspettavamo da anni". Si può gioire per una vittoria
conquistata in così tragica occasione ? Ed è stata una vera
vittoria ? Ecco la prima risposta. Appartiene a Mario Soldati,
scrittore ma prima di tutto, come egli stesso ha più volte
sottolineato, tifoso juventino. Scalfito lo stile Juventus
? Neanche per sogno, afferma Soldati. "La Juve si è comportata
in maniera perfetta. Chi condanna il tripudio dei giocatori
sul campo dell'Heysel, dimentica forse che loro non potevano
conoscere l'esatta dimensione del dramma. E non sa che,
una volta in campo, una squadra che abbia orgoglio e carattere
gioca con animo, dimentica ogni condizionamento esterno,
pensa a battere l'avversario e basta". Soldati, non le sembra
di esagerare ? No, a lui non sembra. Anzi, aggiunge: "Io
sono un crociano, mi piace distinguere. Da una parte c'è
l'orrore per quei morti, dall'altra c'è l'evento sportivo.
Non mi vergogno a dirle di aver gioito per quella vittoria.
Erano anni che noi Juventini l'aspettavamo". Anche se ottenuta
malgrado o in coincidenza di quelle atrocità ? "Caro mio,
la vita è un'atrocità". Non deflette il super-Juventino
Soldati, dalle sue convinzioni. Le pressioni esercitate
da più parti, affinché la società torinese restituisca il
trofeo in segno di lutto, addirittura lo irritano: "Sarebbe
come punire la Juventus. E' assurdo. Bisognerebbe piuttosto
ricompensarla per le condizioni in cui ha saputo ottenerla".
Italo Calvino non professa fede juventina, ma per il calcio
nutre una discreta passione. Ha assistito all'intera telecronaca
da Bruxelles, ricavandone impressioni diametralmente opposte
a quelle di Soldati. Ammette: "Da principio anch'io ho provato
una naturale soddisfazione per lo smacco sportivo - almeno
quello - subito dai tifosi del Liverpool. La gioiosa scorribanda
dei giocatori per il campo, però, mi è sembrata inopportuna.
Di fronte ad una tragedia di quella portata, ciò è risultato
disumano". Calvino avrebbe preferito che la partita non
si giocasse affatto. "Capisco che l'evacuazione dello stadio
costituiva un grosso problema, eppure le squadre avrebbero
dovuto rifiutarsi di giocare. Con quale animo, con quali
forze hanno potuto farlo ?". E adesso, Calvino, come si
può rimediare ? "Ormai è andata com'è andata. Rifare la
partita ? Restituire la Coppa ? No, non sono molto sensibile
a questi simbolismi". Un altro letterato, Luigi Malerba,
non ce l'ha fatta a seguire fino in fondo quello "spettacolo
agghiacciante". Dopo le notizie della carneficina, dice,
ha visto soltanto qualche spezzone di partita. "Ancora oggi
non mi piace parlarne. L'insieme, dalla furia omicida dei
tifosi del Liverpool al giro di campo dei giocatori juventini,
mi fa orrore". Dalla letteratura alla politica, l'analisi
sullo stile-Juve cambia poco: a Bruxelles s'è intaccato,
della patina di "diversità" son rimaste deboli tracce. A
manifestare la propria delusione son tutti juventini di
antica fede. Come il vice presidente del Consiglio ed ex
calciatore Arnaldo Forlani ("Ho riportato un'impressione
pietosa"). Come il dirigente del Pci Walter Veltroni: "In
me è rimasta molta amarezza, ho sperato fino in fondo che
la partita non fosse valida. Ma la cosa che più mi ha addolorato
è stato il festoso carosello di automobili per le strade
di Torino. Clacson, grida e inni di gioia sotto le finestre
di decine di persone attanagliate dall'angoscia". Il rimprovero
di Sergio Segre, piemontese, parlamentare europeo, è secco
e tagliente: "Al posto dei giocatori bianconeri, sarei stato
più torinese e asciutto di fronte al dramma. Quella specie
di balletto finale dovevano proprio risparmiarcelo".
2 giugno 1985
Fonte: La Repubblica
ARTICOLI STAMPA 2.06.1985
di Franco Scottoni
ROMA - Tornano i morti
della strage allo stadio di Bruxelles ma la Procura di Roma
ordina che le salme siano sepolte soltanto dopo nuove autopsie.
Allo strazio dei familiari per la tragica scomparsa dei
loro cari si aggiunge così un'altra appendice dolorosa.
Il provvedimento della magistratura romana ha determinato
spiacevoli episodi in particolare per le salme giunte venerdì
sera. In alcuni casi sono stati rinviati i funerali e inoltre
sono state addirittura prelevate le salme in mentre ancora
giacevano nella camera ardente. Ancora scene drammatiche
ma la macchina della giustizia ha le sue esigenze che spesso
passano sopra i sentimenti degli uomini. Il pm Alfredo Rossini,
il magistrato cui è stata affidata l'inchiesta giudiziaria
italiana sui tragici fatti accaduti allo stadio Heysel di
Bruxelles, con un fonogramma urgente inviato a tutte le
Procure delle città italiane interessate ha ordinato che
vengano eseguite le nuove autopsie. Il provvedimento è stato
preso per accertare le cause della morte dei 31 cittadini
italiani periti nella tribuna "Z", prima dell'inizio della
partita. Il giudice ha preso anche altri provvedimenti:
ha ordinato a tutte le questure di raccogliere le testimonianze
dei cittadini italiani presenti allo stadio mercoledì sera
allo scopo di chiarire le varie fasi degli incidenti. Tramite
l'Interpol, il pm Rossini ha chiesto ai magistrati di Bruxelles
che gli siano trasmesse le copie di tutti gli atti del procedimento
in corso da parte delle autorità belghe. Il magistrato ha
infine sollecitato il ministro di Grazia e giustizia ad
inoltrare alla procura romana la richiesta del dicastero,
indispensabile perché possa essere formalizzata l'indagine
giudiziaria in quanto i fatti si sono verificati all'estero.
Sempre al fine di fare la maggior luce possibile sui tragici
avvenimenti sono stati chiesti ai responsabili della Rai-Tv,
i filmati e le registrazioni degli incidenti avvenuti prima
e dopo la partita. L'inchiesta giudiziaria romana che si
svolge parallelamente a quella belga assume una grande importanza
in quanto potrebbe accertare non solo le responsabilità
penali dei tifosi del Liverpool ma anche quelle degli organizzatori
della partita di calcio e delle forze di polizia preposte
all'ordine pubblico nello stadio "Heysel". In questo quadro
sono necessarie le autopsie che serviranno ad accertare
se le cause della morte siano dovute a colpi di arma da
fuoco, a ferite da coltelli, a soffocamento nella fuga precipitosa,
al crollo del muro di cinta o ad altre cause ancora. Numerose
testimonianze di cittadini italiani presenti nel settore
"Z" dello stadio belga sono state già pubblicate sui giornali;
ora dovranno essere ripetute in un atto giudiziario da parte
delle autorità di polizia. Anche le testimonianze dei feriti
e dei contusi dovranno essere raccolte per stabilire la
verità dei fatti e l'entità dei danni subiti. E' auspicabile
che l'inchiesta giudiziaria belga e quella che si accinge
a sviluppare il pm Alfredo Rossini vengano poi riunite per
procedere contro i diversi responsabili della strage. Ieri
si sono svolti nelle varie città di residenza i funerali
per tre delle quattro vittime toscane, mentre a Pontecorvo
una grande folla ha assistito alla cerimonia per il giovane
Loris Messore e a Francavilla al Mare sono state celebrate
le esequie di Rocco Acerra, 24 anni portalettere, e del
cognato Nino Cerullo, 25 anni, seguite da un migliaio di
persone. Ma in obbedienza all'ordinanza del magistrato le
salme non sono state sepolte. Resteranno nelle camere mortuarie
a disposizione dei medici legali che dovranno effettuare
le opportune analisi. Almeno un centinaio di tifosi abruzzesi
che hanno assistito all'assalto dei supporters di Liverpool,
al crollo del muro e alla morte dei due corregionali saranno
ascoltati dalle autorità di polizia nelle prossime ore.
A Cagliari, le autopsie dei corpi di Giovanni Casula, direttore
generale della Cosmin Spa, e del figlio Andrea di 11 anni,
morti abbracciati nell'inferno dello stadio "Heysel", saranno
effettuate domani. Il procuratore capo di Roma, Marco Boschi,
è intervenuto a proposito della necessità di compiere le
autopsie. Il dirigente della Procura ha dichiarato che "gli
accertamenti medico-legali possono risolversi in rapide
ispezioni purché sia possibile chiarire le cause della morte".
"Nessuno vuole aggiungere altri problemi" ha detto il dottor
Boschi, "ai tanti che già angustiano i familiari delle vittime,
ma è nostro dovere evitare che in futuro si debba ricorrere,
cosa ancora più dolorosa, alla riesumazione delle salme".
Domani il ministro degli Interni, Oscar Luigi Scalfaro e
il presidente del Coni, Franco Carraro, si incontreranno
al Viminale per discutere i problemi della violenza negli
stadi e della sicurezza degli impianti sportivi in occasione
di manifestazioni agonistiche di grande rilievo con massiccia
affluenza di pubblico.
2 giugno 1985
Fonte: La Repubblica
ARTICOLI STAMPA 2.06.1985
Ieri sono rientrati in città anche gli ultimi gruppi
di tifosi
Tutti sani e salvi i biellesi
"Il Belgio non ci vedrà più"
di Roberto Eynard
Due feriti leggeri, qualche
contuso - Altre drammatiche testimonianze su Bruxelles.
BIELLA - Si calcola che
fossero oltre trecento i tifosi biellesi e valsesiani all'"Heysel"
, lo "stadio maledetto". Da Biella, Cossato, Coggiola, Borgosesia,
Bornate di Serravalle, in Jumbo, auto, pullman, treno, tra
lunedì e mercoledì mattina sono partite decine di comitive
di sostenitori bianconeri, con meta Bruxelles, per quella
che doveva essere una giornata di grande festa. Ma se il
viaggio di andata è stato gioioso, con le bandiere e gli
stendardi al vento, il ritorno è stato quanto di più mesto
si possa immaginare: due feriti leggeri, Gianni Barberis
e Angelo Stoppa, medicati in ospedale e subito dimessi,
qualche contuso (fra gli altri Giuseppe Platini e Walter
Perincioli del club "Amici della Juve" di Borgosesia, Giovanni
Alesinba, Marco Pinotto, Bruno Giansetti, Mauro e Cadetto
Menaldo, Roberto Verdola e Marco Zanetto di Torrazzo, Mario
Botto e Ugo Ravella di Biella) sono miracolosamente scampati
alla "curva della morte" , ma tanti altri portano, anche
se non visivamente, il segno del dramma dell'Heysel. Dice
Roberto Grisolito, presidente dello Juve Club di Borgosesia:
"Ero nella curva dei tifosi bianconeri, e anche se ho visto
le cariche dei teppisti inglesi, la gente che fuggiva, non
ho minimamente pensato ad una tragedia di queste proporzioni.
Poi all'una di notte, alla stazione, dove il nostro gruppo
doveva riunirsi in attesa di prendere il treno per rientrare
in Italia, ho scoperto che cos'era successo. Alcuni nostri
soci avevano acquistato i biglietti del settore Z: in quel
momento all'appello mancavano dodici persone. Ho passato
un'ora terribile, poi ad uno ad uno sono arrivati tutti.
Il servizio d'ordine è stato inesistente: mai più organizzeremo
una trasferta in Belgio". Enrico Ramella, ventenne biellese,
ha tentato per due ore di telefonare a casa. Racconta: "Ero
disperato: sapevo che i miei genitori erano davanti alla
tv. Volevo avvisarli che non mi era successo nulla. Ma i
bar erano chiusi per paura di atti di vandalismo, le cabine
pubbliche devastate dagli inglesi. Sono finito alla Gran
Place: sembrava un campo di battaglia. Un passante mi ha
detto di rivolgermi a Catherine, un'anziana donna che abita
a poca distanza. Ho suonato il campanello di casa sua: Catherine
mi ha accolto con gli occhi assonnati: ha capito la mia
angoscia e grazie a lei, nel cuore della notte, ho potuto
rassicurare i miei familiari. Per molti appassionati l'"Heysel"
ha rappresentato l'ultimo viaggio all'estero per seguire
un incontro di calcio. Dice Carlo Bianco: "Mai più tornerò
in Belgio. Dentro di me sta sempre più aumentando la rabbia
per quanto successo. Questa tragedia poteva essere evitata.
Ma la polizia ha considerato la calata di 14 mila teppisti
inglesi allo stesso modo di una gita scolastica".
2 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA 2.06.1985
E' fuori pericolo la donna
di Finale
In ospedale una delegazione
juventina con Platini e Tacconi - Il racconto del marito
Scalise: "Non si riusciva assolutamente a capire cosa stava
succedendo" - Un incubo.
FINALE LIGURE - Laura Bianchi
è stata dichiarata ufficialmente fuori pericolo e i sanitari
dell'ospedale Jette di Bruxelles scioglieranno quanto prima
la prognosi. La bella notizia si è propagata rapidamente
a Finale Ligure dove ovunque si è tirato un sospiro di sollievo.
Già nella giornata di venerdì Laura Bianchi aveva reagito
positivamente ad alcuni stimoli e aveva aperto anche gli
occhi. Ieri mattina, invece, ha riconosciuto il marito,
Giorgio Bianchi, 33 anni, idraulico di Finale Ligure, e
pronunciata qualche parola. "Non ha più bisogno della tenda
d'ossigeno - ci ha detto al telefono il marito, che ha potuto
parlarle, - intorno a mezzogiorno ha persino ricevuto una
delegazione juventina che era venuta a trovarla e la cosa
le ha fatto grande piacere". La delegazione era formata
da Michel Platini, Stefano Tacconi e dal d.s. della società
bianconera Francesco Morini che hanno poi visitato anche
gli altri feriti. Il marito di Laura Bianchi, 27 anni, madre
di due bambini Alessandro di 9 e Matteo di 2 anni e mezzo,
ci ha confermato che nelle ore immediatamente successive
al suo ricovero, i sanitari le hanno praticato un intervento
chirurgico allo stomaco per assicurarsi che non ci fossero
lesioni interne. L'uomo ha raccontato quei terribili momenti:
"Quando è iniziato il fuggi fuggi generale me l'hanno letteralmente
strappata di mano. Per un po' ero riuscito a stringerla
a me proteggendole la testa, mentre ci pioveva addosso di
tutto. Poi mi sono ritrovato una ventina di metri più in
là. Sono riuscito a resistere in quella posizione nonostante
la calca per non allontanarmi troppo dal punto dov'era caduta
Laura". Ha proseguito: "Alla prima pausa sono ritornato
e l'ho trovata semisepolta. Le ho praticato subito una sommaria
respirazione artificiale perché era semi-soffocata, sino
a quando non ha cominciato a dare qualche segno di vita,
poi, aiutato da uno spettatore, sono riuscito a portarla
sul campo e a trovare un'ambulanza. E' stata una cosa allucinante
e spaventosa e sono contento che Laura di quei momenti non
ricordi più nulla. Ora attendo solo che i medici sciolgano
la prognosi e ritornare a casa". Giorgio Bianchi rimarrà
accanto alla moglie sino a quando non sarà possibile il
trasporto in Italia. a. d.
SAVONA - Aldo Scalise,
il savonese scampato per miracolo alla strage di Bruxelles
(era nel settore Z, insieme ai tifosi del Juventus Club)
è rientrato ieri notte a casa. Ancora sotto choc, ancora
negli occhi le immagini agghiaccianti dello stadio Heysel.
E il suo non è un racconto di uno dei tanti scampati: il
suo è rimasto immortalato dai fotografi della Reuter, fra
gli juventini schiacciati dalla folla terrorizzata dai supporters
del Liverpool. Ora, a freddo, rievoca quei momenti. "Non
si riusciva assolutamente a capire cosa stava succedendo:
la gente spingeva, urlava, molti erano esanimi al suolo.
Non ho capito la gravità della situazione. Da lontano, anche
se erano pochi metri, vedevo persone a terra, che venivano
caricate su barelle e portate via. Ero gomito a gomito con
gli inglesi quando la pressione improvvisamente si è allentata
e mi ha permesso di mettermi in salvo. La paura è venuta
dopo, ripensando ai pericoli corsi. Mi sono venuti in mente
i bambini, mia moglie. Un racconto preciso, quasi uguale
a quello di tanti feriti e scampati alla furia devastatrice
dei teppisti. Aldo Scalise conferma della confusione irresponsabile
che ha regnato a lungo nello stadio, dopo gli incidenti.
"Nessuno sapeva esattamente cosa era accaduto in realtà.
Sugli spalti si cantava, si facevano cori, si aspettava
con ansia l'inizio della partita. Solo all'uscita, ci siamo
resi conto della tragedia. Quelle persone a terra, intraviste
nella calca, insanguinate, erano le vittime !". Anche il
dopo partita è stato allucinante. Ogni cabina telefonica
veniva presa d'assalto dagli italiani e dagli inglesi. Molti
erano sconvolti, le risse sono proseguite fuori dal campo
di calcio, nonostante il fittissimo cordone di poliziotti
e soldati finalmente accorsi in numero rilevante. In casa
Scalise, la moglie e i bambini erano atterriti. Finalmente
la telefonata del capofamiglia che ha posto fine all'inquietudine.
Ora Bruxelles è solo un incubo da dimenticare in fretta.
m. nu.
2 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA 2.06.1985
Oggi il comitato esecutivo si riunisce a Basilea:
pene severe ?
L'Uefa querelerà la tv
belga
In seguito alle accuse
di "combine" - Secca smentita anche dal Liverpool.
Oggi a Basilea il Comitato
esecutivo dell'Uefa si riunirà per esaminare i fatti di
Bruxelles. La riunione, straordinaria, anticipa esattamente
di un mese quella prevista per il 2 luglio. Evidentemente
i responsabili del calcio europeo (sarà assente, come noto,
il presidente della Federcalcio Sordillo) intendono intervenire
a caldo nella delicata e grave questione impartendo punizioni
esemplari che servano ad impedire il ripetersi di serate
come quella dello stadio Heysel. Frattanto l'Uefa ha annunciato
l'intenzione di querelare la televisione belga di lingua
francese per le affermazioni di un commentatore su un'ipotetica
combine, concordata prima dell'incontro, per far vincere
alla Juventus la finale di Coppa Campioni. L'Uefa "smentisce
formalmente" l'informazione della tv belga e "intenterà
una procedura giudiziaria, contro gli istigatori di dichiarazioni
così scandalose". Il segretario generale dell'Uefa, Hans
Bargenter, ha detto: "è una storia incredibile, assolutamente
ridicola. Dovremmo fare immediatamente un'inchiesta per
scoprire chi si è potuto permettere di fare queste dichiarazioni".
Dall'Inghilterra si apprende che il Liverpool ha respinto
con sdegno le affermazioni della tv belga. "Respingiamo
categoricamente questa assurda accusa - ha dichiarato Peter
Robinson, general manager del Liverpool, - si tratta di
un'affermazione assolutamente ridicola. E' impensabile che
una cosa del genere possa essere stata concordata". Si è
registrata intanto ieri la prima rinuncia di una compagine
inglese ad una manifestazione europea. Gli allievi dell'Everton,
iscritti al torneo Internazionale "Grossi-Morera" di Viterbo
che avrà inizio mercoledì, avevano chiesto agli organizzatori
il 1° benestare per la loro partecipazione pur dopo i fatti
di Bruxelles. Avuta risposta affermativa da Viterbo, il
club di Liverpool ha dovuto annunciare il forfait in seguito
alla decisione adottata dal governo e dalla federazione
calcio britannici.
2 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA 2.06.1985
Attese dai parenti, le bare subito trasportate ai
luoghi di origine
A Roma e a Milano con tre
aerei le ultime spoglie degli juventini
ROMA - Ancora scene di
dolore all'aeroporto di Ciampino dove poco dopo le 15 sono
giunte le ultime sei salme dei tifosi juventini vittime
della violenza nello stadio Heysel. Dopo i voli speciali
dell'Aeronautica militare di giovedì sera e i due giunti
nel primo pomeriggio a Milano, si è completato cosi il trasferimento
dalla capitale belga di tutti e 31 gli Italiani che hanno
trovato la morte nel tragico mercoledì di Bruxelles. Per
questi ultimi sei morti Ciampino è stata solo una tappa
intermedia: il tempo di far trasferire quattro bare e alcuni
parenti che le hanno accompagnate dall'Hercules G-130 su
due G-222 sempre della 46^ aerobrigata di Pisa, che hanno
poi proseguito il triste viaggio uno per Bari, l'altro per
Lamezia Terme e poi Catania. Sono invece rimaste a bordo
del C-130 la salma di Andrea Casula, il ragazzo di undici
anni "pulcino" del Cagliari e quella del padre Giovanni,
che lo stesso aereo ha poi riportato a Cagliari. Una cerimonia
breve ma carica di dolore. Dal C-130, fermatosi davanti
alla palazzina del 31° stormo sono scesi dapprima i quattro
familiari delle vittime. Quindi è stata la volta delle bare,
tutte avvolte in una bandiera tricolore. Davanti a un picchetto
rimasto sull'attenti per la durata della cerimonia, sei
avieri hanno traslato le salme, ad una ad una dal C-130
sui due velivoli in attesa. Su uno del G-222 sono state
deposte le salme di Benito Pistolato, 50 anni di Bari, e
di Alberto Guarini 21 anni di Mesagne (Brindisi); sull'altro
quelle di Luciano Rocco Papaluca, 38 anni, di Grotteria
(Reggio Calabria) e di Eugenio Gagliano 35 anni.
MILANO - Due Hercules C130
della 46' aerobrigata hanno riportato in Italia 16 salme
di vittime della tragedia allo stadio Heysel di Bruxelles.
Negli aerei da trasporto le bare allineate erano coperte
dalla bandiera italiana. La prima salma consegnata alla
famiglia è stata quella di Domenico Ragazzi, muratore di
43 anni, di Roccafranca, una frazione di Landriano, in provincia
di Brescia. Sono venute circa 60 persone dal suo paese per
riportarlo a casa. Ragazzi non era sposato. E' stata poi
la volta di Antonio Ragnanese, di 29 anni, dentista. Originario
di San Severo (Foggia) abitava a Brugherio (Milano). Era
sposato e lascia il figlio Pierluca di sei anni. Sul primo
dei due aerei giunti a Milano c'erano anche i corpi di Gianfranco
Sarto, 27 anni, di Rovigo; Mario Spanu, 41 anni, di Novara;
Amedeo Spolaore di 55 anni e Mario Antonio Ronchi di 43,
entrambi di Bassano del Grappa (Vicenza); Sergio Mazzino,
38 anni di Cogorno (Genova). Un'ottava bara, quella con
le spoglie di Dionisio Fabbro, 51 anni, è rimasta sul velivolo
che l'ha portata a Ronchi dei Legionari (Udine). Altre otto
bare sono arrivate con il secondo "Hercules". Di queste,
quelle con Bruno Balli, 50 anni di Prato (Firenze) e con
Giuseppina Conti, 16 anni, di Arezzo, sono state portate
a Pisa. Sono stati invece caricati sui carri funebri Francesco
Galli, 25 anni, di Calcio (Bergamo); Gioacchino Landini,
50 anni, di Torino; Domenico Russo, Barbara Lusci 58 anni
di Genova; Claudio Zavaroni, 29 anni di Reggio Emilia, e
Tarcisio Salvi di 45 anni di Borgosatelli (Brescia).
2 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA 2.06.1985
Sconcertante decisione del pm per le vittime di
Bruxelles
"Non seppellite quei
morti"
Roma ordina nuove autopsie
di Giuseppe Zaccaria
ROMA - Dopo la ferocia
degli "hooligans" inglesi e l'inettitudine della polizia
belga, le vittime di Bruxelles dovranno subire anche il
formalismo della magistratura italiana. I morti non possono
essere sepolti: un fonogramma diffuso ieri in tutta Italia
dalla procura di Roma ordina che siano sottoposti a nuovi
"accertamenti autoptici". I funerali, le cerimonie si possono
svolgere, ma le famiglie riavranno definitivamente i loro
cari solo dopo che le bare saranno state riaperte, i corpi
nuovamente esaminati. Le autopsie già compiute all'estero,
evidentemente, per i giudici romani non sono sufficienti.
L'iniziativa si deve al sostituto procuratore Alfredo Rossini,
titolare dell'inchiesta sulla tragedia dello stadio di Heysel
e che, da Roma, dovrebbe riuscire in un compito che la stessa
magistratura belga considera arduo: identificare i responsabili
del massacro; farli raggiungere a Liverpool o dove altro
si trovino; chiederne l'estradizione; provare le singole
responsabilità e processarli. Ieri mattina, il dottor Rossini
ha inviato fonogrammi alle "questure di mezza Italia: prima,
l'ordine di rintracciare ed ascoltare tutti i testimoni
di quei tragici avvenimenti. Poi, quello di impedire la
tumulazione delle vittime prima del nuovo "esame". In qualche
caso, l'ordine è giunto quando i funerali già si stavano
svolgendo. E' accaduto a Pontecorvo, in provincia di Frosinone,
dove 10 mila persone circondavano la bara di Loris Messore;
a Casette, un piccolo centro in provincia di Rieti, dove
il feretro di Gianni Mastroiaco era stato portato fino al
campo sportivo; a Ponsacco, in provincia di Pisa, per le
esequie di Roberto Lorentini. (NdR: Giancarlo Gonnelli,
Roberto Lorentini era di Arezzo). A Francavilla a Mare,
nel pressi di Chieti, Rocco Acerra e Nino Cerullo, partiti
assieme per Bruxelles, riportati assieme su un "DC-9" dell'Aeronautica
militare, assieme sono stati deposti dopo i funerali in
una stanza del cimitero. Nel loro caso, se non altro, il
medico legale è stato comprensivo: il nuovo "esame" a tarda
sera era già compiuto. Situazioni analoghe si sono ripetute
in ogni parte d'Italia: alla partecipazione della gente,
al dolore del parenti si è intrecciata l'incredulità, a
tratti lo sdegno. Le autorità di Bruxelles avevano creduto,
e questa volta senza colpa, che con le autopsie svolte alla
"morgue" dell'ospedale militare i corpi potessero essere
avviati alla sepoltura, le casse di zinco sigillate. Non
è stato così: a Cagliari il sostituto procuratore Walter
Bastione, ricevuto il fonogramma del suo collega romano,
ha disposto che i corpi di Giovanni Casula, 44 anni, e del
figlio Andrea, di undici, morti abbracciati su una gradinata
dello stadio, vengano "esaminati" lunedì prossimo. Altre
vittime di quel pomeriggio di follia attendono ancora di
sapere quando, e dove, potranno essere sepolte. Ma tutto
questo era davvero necessario, opportuno ? Sul piano formale,
la decisione del giudice romano è certamente inattaccabile:
è stata aperta un'inchiesta, si indaga sull'ipotesi di strage,
conoscere le ragioni della morte di ognuno appare indispensabile.
Ma per questo, non erano già a disposizione i referti dei
medici di Bruxelles, che peraltro il giudice romano ha richiesto,
insieme con le registrazioni televisive degli scontri ?
Quasi tutte le vittime hanno cessato di vivere per soffocamento
o per schiacciamento della cassa toracica: quale utilità
può avere, allora, un rapido, frettoloso "esame esterno",
compiuto da medici legali italiani ? La convenzione europea
in materia di assistenza giudiziaria offriva già alla procura
di Roma tutti i mezzi per proseguire la sua inchiesta.
2 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA 2.06.1985
I giocatori bianconeri in ospedale dai tifosi ancora
ricoverati
Platini e Tacconi
tornano in Belgio
"Vogliamo star soli con i feriti"
DAL NOSTRO INVIATO. BRUXELLES
- "Siamo venuti per salutare gente che ha fatto sacrifici
per vederci l'altra sera, e ha rischiato la vita", ha detto
ieri Francesco Morini, direttore sportivo della Juventus.
Era con Michel Platini e Stefano Tacconi a Zaventem, l'aeroporto
di Bruxelles. Erano partiti da Milano alle 10,30 ed era
quasi mezzogiorno. Si sono tentate domande a Platini, ma
è stato secco: "Non contate su di me. Non intendo parlare".
Uomo di solito molto disponibile, era nero, irritato, sembrava
avercela con il mondo. Colleghi della televisione che avevano
volato assieme hanno detto che nel viaggio era sempre stato
cupo e taciturno. In auto all'ambasciata dove il medico,
Vincenzo Costigliela, ha combinato il programma della visita.
Ha scartato l'ospedale Saint-Pierre e il Saint-Lue perché
"abbiamo ancora casi gravi". Qualche caso grave, e non sono
quindi ammesse visite, anche all'Erasme, restavano tre o
quattro ospedali e cliniche. "Cominciamo da Vilvoorde, dove
ne abbiamo quattro in buone condizioni", ha detto il medico.
Verso Vilvoorde, dunque, paesone sulla strada di Anversa.
Morini è amareggiato perché non erano stati informati della
cerimonia funebre delle 10. "L'avessimo saputo, saremmo
arrivati prima. Anche a piedi saremmo venuti". Dice che
questa visita è stata decisa la sera di venerdì. "7 giocatori
in rappresentanza della squadra, io della società. Il dottor
La Neve e altri giocatori andranno a Milano per l'arrivo
delle salme". Che clima c'è nella società, nella squadra
? "Dolore, orrore e rabbia. Rabbia per l'imprevidenza e
l'inefficienza della polizia. Eppure qui a Bruxelles, in
tutto il Belgio, il teppismo inglese lo conoscono bene.
E' recente il ricordo di Anderlecht-Tottenham, quando gli
inglesi ubriachi hanno messo a ferro e fuoco la città, e
c'è stato un morto". Si domanda a Tacconi perché la società
ha scelto lui e Platini per questa visita. "Forse perché
Platini ha segnato il gol e io ne ho evitato qualcuno".
C'era sua moglie allo stadio mercoledì sera. Tacconi conosceva
uno dei morti, Franco Martelli, un giovane di 22 anni che
era socio del "Tacconi Club Ponte Felicino Perugia". E'
l'una passata quando comincia la visita all'ospedale di
Vilvoorde. Si va da Urbano Antico, padovano di 29 anni,
che ha due costole rotte. Da Gabriele Brandimarte, 48 anni,
di Pescara, anch'egli con fratture. Da un francese con il
petto fasciato e la faccia pestata. Tutti sorpresi, emozionati,
felici della visita. La visita più lunga nella camera dove
sono Matteo Favaretto di 11 anni e il padre Egidio, venuti
da Venezia Lido. Un bel ragazzino dall'aria sveglia, con
un braccio ingessato e al volto una ferita da poco. Suo
padre è stato operato per la rottura del tendine d'Achille.
Matteo vede entrare Platini, Tacconi, Morini ed è elettrizzato.
"Quando lo racconterò, non mi crederanno". Chiede l'autografo
sull'ingessatura. Finita la visita a Vilvoorde. "Torniamo
?", domanda il dott. Costigliela. "No, ancora. Andiamo in
altri ospedali. Abbiamo tempo tutto il giorno, l'aereo parte
stasera dopo le nove", dice Platini. Però chiede che da
adesso non ci siano più giornalisti, fotografi, televisioni.
Nessuno obietta, è giusto così. Ma prima, due domande: che
cosa dicono delle critiche perché si è giocato dopo la tragedia,
e della notizia della televisione belga secondo la quale
la partita era truccata ? Risposte irritate, durissime,
di Morini, di Platini, di Tacconi. Riassumiamo. Molti di
quelli che parlano e scrivono all'Heysel non c'erano, non
hanno visto, non sanno. Juventus e Liverpool sono stati
costretti a giocare per evitare il peggio, perché polizia
ed esercito avessero tempo di prendere posizione. "Ci vuole
un po' di rispetto per ventidue professionisti e un arbitro
costretti a portare avanti una partita in una serata così
tragica; Le voci sulla partita truccata ? "Fesserie. Peggio,
infamie", dice Platini, adesso tornato nervoso, nerissimo.
Tacconi: "Milioni di persone hanno visto la partita. Loro
possono dire se era un incontro truccato".
2 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA 2.06.1985
Si ammettono
i primi errori
L'inchiesta sulla strage:
le uscite di sicurezza dello stadio erano bloccate.
DAL NOSTRO INVIATO. BRUXELLES
- Collegamenti che non hanno funzionato, valutazioni approssimative,
informazioni arrivate in ritardo. La polemica sulle misure
di sicurezza nello stadio di Heysel continua a crescere
e qualcuno, anche a livello ufficiale, comincia ad ammettere
i suoi errori. Il comandante della gendarmeria belga, generale
Bernaert, ha detto che nei settori della curva riservata
ai tifosi del Liverpool si trovavano trenta agenti in borghese,
con radio ricetrasmittenti. Il loro compito era quello di
segnalare i possibili incidenti, di chiamare rinforzi in
caso di necessità. Da quei walkie-talkie l'allarme è partito
alle 19,10: dodici minuti prima che la banda di hooligans
sfondasse la rete che li separava dalla gradinata "Z", dagli
italiani. Troppo tardi perché dall'esterno, dove erano schierati
quattrocento uomini della gendarmeria, fosse coordinato
un intervento utile. Eppure il lancio di bottiglie, mattoni,
razzi era cominciato almeno un'ora prima. Ma il generale
Bernaert è stato categorico: "L'ultimo rapporto, alle 19,
descriveva una situazione ancora sotto controllo, non faceva
prevedere quello che è poi successo". Altre accuse di disorganizzazione
sono venute da parte dei vigili del fuoco, il corpo che
si è dimostrato più pronto e preparato anche se è arrivato
soltanto dopo il massacro, nella fase del soccorsi. Il colonnello
Van Gompel, che comanda i reparti di Bruxelles, ha rivelato
che né lui né suoi ufficiali erano stati invitati alle riunioni
che borgomastro, gendarmeria e polizia aveva tenuto prima
della partita per decidere il piano di sicurezza. "Non é
stato fatto alcun sopralluogo nello stadio", ha detto Van
Gompel. Il risultato: almeno dieci uscite di sicurezza erano
bloccate con catene chiuse da lucchetti di cui nessuno ha
più trovato le chiavi. Anche nel settore "Z" tre cancellate
metalliche erano praticamente inservibili e si sono trasformate
in una trappola mortale. I vigili del fuoco hanno dovuto
spezzare le catene con le cesoie per far passare i soccorsi.
E, prima della fine della partita (quando finalmente tutte
le uscite sono state controllate) la stessa operazione è
stata compiuta alle porte 8, 9, 10 e 11 della tribuna "N"
, a quelle 3 e 4 del settore "M" ed anche alle uscite "U"
e "V" della seconda tribuna coperta. Rivelazioni e accuse
che l'inchiesta giudiziaria del tribunale di Bruxelles dovrà
controllare e valutare. Ieri, prima giornata di un weekend
che ha svuotato anche il Palazzo di Giustizia, una sola
novità dalle indagini. I bossoli trovati dalla polizia scientifica
nello stadio di Heysel sono 31: tutti di cartucce a salve.
Sono state trovate anche sei munizioni inesplose, sempre
dello stesso tipo, marca "Fiocchi", calibro 8. e. s.
2 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA 2.06.1985
Martedì processo ai tifosi
arrestati
BRUXELLES - Sono 16 i fermati
dalla polizia e dalla gendarmeria di Bruxelles nella drammatica
giornata di mercoledì. Il processo, per tutti, si terrà
martedì prossimo. La signora Coppieters Wallant, giudice
istruttore, ha reso noti i nomi degli arrestati e le motivazioni.
Undici inglesi (nove di Liverpool), un arabo residente a
Bruxelles e quattro italiani: i torinesi Umberto Salussoglia
(22 anni, è il giovane con la pistola lanciarazzi ripreso
in televisione: è accusato di minaccia a mano armata), Carlo
B. (17 anni, essendo un minore non ne è stato reso noto
il cognome), Claudio Ardito (25 anni) di Fiano e Franco
Spedicato (25) di Lecce. Per gli italiani l'imputazione
è di resistenza alla forza pubblica. Saranno probabilmente
rilasciati. Altri due italiani sono stati inoltre arrestati
per reati che non avrebbero attinenza con la tragedia dello
stadio: sono Savino Muggio, 24 anni, di Torino, accusato
di furto, e Franco Calabrese, 21 anni, nato a Urgnano (Bergamo).
Più gravi le accuse agli inglesi, tutti fermati dalla gendarmeria.
Di uno non si conosce il nome, è ricoverato in stato confusionale.
Tutti gli altri inglesi sono stati fermati in città, oppure
attorno o dentro all'Heysel ma prima dei tragici incidenti.
George Davis (33 anni) e John Awork (30), nati a Liverpool
ma residenti a Wilburg e Londra, per aver preso a pugni
e calci un belga davanti un bar. John Michael (19) di Liverpool
per aver colpito un agente dopo aver derubato un venditore
ambulante, David Benton (18) di Liverpool per aver cercato
di strappare la pistola ad un poliziotto e Steve Connolly
(25) di Liverpool.
2 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA 2.06.1985
Nuovi, drammatici particolari sul tragico mercoledì
allo stadio di Bruxelles
Caccia all'uomo dopo la partita
Morente un tifoso della Juventus
di Giuliana Mongelli
E' un parrucchiere di Pinerolo,
colpito da un teppista inglese con un pugno di ferro - L'aggressione
a oltre due chilometri dallo stadio, mentre con un amico
(pure ferito) stava salendo in auto - La moglie al suo capezzale.
"Avesse visto che faccia
! Quell'energumeno aveva il viso stravolto di chi ha fatto
il pieno d'alcol. Quando i poliziotti lo hanno preso e me
lo hanno portato davanti perché lo riconoscessi, rideva,
ci sbeffeggiava...". Ivo Taverna, 45 anni, rappresentante,
ha ancora negli occhi quella caccia all'uomo che si è scatenata
dopo il tragico mercoledì di Bruxelles: lui e l'amico sono
stati aggrediti dagli inglesi a sangue freddo, a partita
finita, quando, oramai lontani dallo stadio, si accingevano
a rincasare. L'amico, Carlo Duchene, 34 anni, è in fin di
vita in un ospedale di Bruxelles. Ivo Taverna e Carlo Duchene
erano partiti insieme martedì mattina, con l'Audi di Taverna,
da Pinerolo, dove abitano. Si conoscono da anni. Un'amicizia
che si rinfocola ai grossi appuntamenti calcistici: entrambi
sono tifosi bianconeri (Taverna ha anche giocato con i "ragazzi"
della Juve) e, insieme, hanno spesso seguito la squadra
del cuore (e la Nazionale) nelle trasferte. Taverna: "Abbiamo
dormito in albergo. Il giorno dopo siamo andati ad attendere
conoscenti ai pullman in arrivo da Pinerolo. Non avevamo
biglietti, ne abbiamo acquistati due della tribuna davanti
allo stadio, a prezzo di bagarinaggio". I due amici hanno
visto la partita tranquillamente: "Non sapevamo dei morti.
Abbiamo visto delle scaramucce, si è sentito parlare vagamente
di feriti. Parevano cose da poco, non avevamo le dimensioni
della tragedia". Sono usciti in fretta "per evitare la confusione
della folla". Hanno raggiunto l'auto, parcheggiata a un
paio di chilometri dallo stadio: "Avevamo gente davanti
e dietro. C'erano molti poliziotti, a differenza di quando
siamo entrati". Taverna era preoccupato per la macchina:
"Mi sono avvicinato alla parte anteriore per controllare
che non ci fossero bolli. Carlo, dall'altra parte dell'auto,
aspettava che io gli aprissi". Un urlo. Taverna si volta
e vede un tifoso inglese per un attimo addosso all'amico:
"Aveva qualcosa in mano, forse un pugno di ferro, e con
quello l'ha colpito alla testa. Carlo ha tentato di ripararsi
con una mano, ma l'energumeno ha sferrato un altro colpo
che gli ha spappolato le dita. Carlo è crollato a terra
privo di sensi. Intanto, dalla penombra sono arrivati altri
due inglesi che mi hanno preso a pugni. Ho reagito, gridato.
Sono accorsi altri tifosi italiani e i poliziotti. I tre
sono scappati. Gli agenti sono riusciti a prendere quello
che aveva massacrato Carlo". Una testimonianza importante
quella di Taverna, che dimostra un particolare inedito e
agghiacciante del dopo partita: la caccia all'uomo nelle
vie di Bruxelles. Ivo Taverna ha accompagnato l'amico in
ospedale: "Ho aspettato nei corridoi. Mi hanno fatto attendere
tutta la notte. Solo al mattino mi hanno detto che era stato
trasferito in un altro nosocomio. Ho capito a quel punto
che era grave". La madre: "Avevo lasciato a mio figlio e
mia nuora il mio negozio di parrucchiera in via Saluzzo
a Pinerolo. Loro abitano poco lontano, in via (Omissis).
Ora la casa è vuota: la moglie Ivette è a Bruxelles. La
loro bambina Claudia di 11 anni la tengo io. Prima di partire
Carlo aveva promesso che non avrebbe più seguito le trasferte.
Diceva che ora, con il negozio, sentiva il peso di nuove
responsabilità".
2 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA 2.06.1985
NAZIONALE
In panchina i quattro giocatori della
Juventus e il pensiero di tutti alla tragedia di Bruxelles
Italia-Messico con il groppo
in gola
di Bruno Perucca
La trappola dell'Heysel.
Colpevoli gli hooligans, ma l'Uefa non può nascondersi.
DAL NOSTRO INVIATO. BRUXELLES
- Lo sport, preso atto del ritiro delle squadre inglesi
dalle Coppe del prossimo anno e respinta (anche dal Liverpool,
e sdegnosamente) l'assurda voce di un accordo fra le squadre
sul risultato di mercoledì scorso, non può rifiutare le
proprie responsabilità, che non sono poche. L'Uefa si è
associata sin troppo volentieri alla tesi belga secondo
la quale tutte le colpe, proprio tutte, sono dei teppisti
di Liverpool (da non far diventare, comunque, specchio di
una città economicamente dissestata ma sicuramente civile).
Le colpe degli hooligans sono documentate, ma la loro furia
era nota (l'aveva già provata sulla propria pelle Bruxelles,
nelle ore di vigilia). Esistono, altrettanto documentabili,
le responsabilità di chi li ha posti nelle condizioni di
rendere mortale la loro furia. Abbiamo assistito (unico
giornalista non belga) ad una conferenza presso la Federazione
calcistica in rue Gulmard 14, nella quale il presidente
Louis Wouters ha tentato di spiegare le difficoltà di dislocamento
della forza pubblica sulle gradinate dell'Heysel. Per decenza,
o per paura, non è stato ricordato che l'anno prima precauzioni
di emergenza erano state comunque prese per Anderlecht-Tottenham.
Ma alla fine di tutto è emerso chiaramente che lo stadio
non offre le indispensabili minime norme di sicurezza. Inaugurato
nel 1930 con i mondiali di ciclismo, allargato nel '79 con
l'aggiunta di 9 mila posti, aperto all'atletica con la pista
in tartan al posto di quella in cemento, il vecchio Heysel
ha due "curve" che sono altrettante trappole. Gli accessi,
e quindi le uscite, delle due zone sono esclusivamente sul
bordo superiore. Chi entra lì dentro e scende sino alla
recinzione del campo di gioco, se lo stadio è affollato
non ha più vie d'uscita. Le grate divisorie dei settori
sono più o meno paraventi di carta (si è visto come hanno
ceduto alla prima spinta degli hooligans). Se almeno fossero
state così inconsistenti le reti che proteggono pista e
terreno: i poveretti in fuga affannosa non sarebbero stati
schiacciati nel tentativo affannoso di trovare un varco.
I settori di curva non prevedono i "corridoi" che dovrebbero
essere tenuti liberi dall'alto in basso in direzione delle
entrate-uscite (anche per consentire il movimento della
forza pubblica). Altri particolari rendono pericoloso l'Heysel,
ma bastano le curve-trappola, dove hanno trovato la morte
le vittime della furia dei teppisti, per dire con chiarezza
che quello stadio doveva essere considerato assolutamente
inadatto per una partita che si sapeva rischiosa (per le
caratteristiche già dimostrate di una parte dei tifosi).
Le colpe della Federazione belga, che ha proposto la sede
della finale di Coppa Campioni, sono pari a quelle dell'Uefa,
per inefficienza o condiscendenza della commissione di controllo
e vigilanza. Mettere al bando le squadre inglesi e soprattutto
il Liverpool è provvedimento logico (non basterà il ritiro
volontario), ma non può servire da scarico di responsabilità
precise. La Federazione europea ha una chiara parte di colpa
nel massacro dell'Heysel. Le finali di Coppa, almeno queste,
richiedono stadi capaci di offrire la massima sicurezza,
adeguati servizi d'ordine, un minimo di assistenza medica.
Oggi a Basilea i "santoni" dell'Uefa si riuniscono per discutere,
presumibilmente, la loro situazione nei confronti dei calcio
inglese alla luce della sua auto-esclusione dai tornei continentali
della prossima stagione. Invece vorremmo sapere perché l'Heysel
con tanta leggerezza è stato ritenuto "abile" per Juventus-Liverpool.
2 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA 2.06.1985
Giovedì all'Azteca il cerimoniale troverà le due
nazionali unite nel lutto
Mano tesa verso gli inglesi
Visita della delegazione
britannica agli azzurri - Tardelli per Bruxelles nega i
sospetti: "Abbiamo giocato per vincere".
DAL NOSTRO INVIATO. CITTA'
DEL MESSICO - Italiani e inglesi, ieri sera, si sono incontrati
e insieme hanno condannato, anzi manifestato tutto il loro
disprezzo per la cieca violenza di Bruxelles. La delegazione
britannica al completo, guidata dal capo comitiva Wragg
e comprendente anche il tecnico Bobby Robson, è arrivata
nel ritiro azzurro alle 18.10. Ad accogliere gli inglesi
c'erano Borgogno e De Gaudio. Bearzot, ancora a letto con
la febbre, si è intrattenuto con Robson una decina di minuti,
mentre le due delegazioni hanno discusso per oltre un'ora.
Al termine è stato rilasciato un comunicato nel quale, fra
l'altro, si legge che gli inglesi "hanno espresso il loro
profondo rammarico per i tragici e vergognosi incidenti
di Bruxelles". I dirigenti di entrambe le federazioni "hanno
confermato che le relazioni di amicizia sempre esistite
non possono e non saranno alterate dagli eventi che sono
stati stigmatizzati dall'intero mondo sportivo... E hanno
espresso la speranza che la prossima partita fra Italia
e Inghilterra serva a significare la continuazione di questo
spirito di colleganza sportiva". Nel corso della riunione
sono stati anche decisi alcuni particolari. Le squadre giocheranno
con il lutto al braccio ed osserveranno un minuto di raccoglimento.
Le bandiere saranno a mezz'asta, i giocatori entreranno
in campo a uomini alternati, un inglese, un italiano, ed
i capitani porteranno la bandiera del Paese avversario.
Il minuto di raccoglimento verrà osservato anche oggi. Mentre
la delegazione inglese porgeva ufficialmente le sue scuse,
Tardelli, Rossi, Scirea e Cabrini rispondevano alle domande
dei giornalisti che chiedevano spiegazioni e giudizi su
tre punti: 1) l'auto esclusione degli inglesi dalle Coppe;
2) la notizia data alla tv belga secondo la quale il risultato
della partita sarebbe stato concordato; 3) la dichiarazione
dell'arbitro Daina, il quale avrebbe ammesso che non considerava
l'incontro valido per la Coppa. "Tardelli sull'autopunizione
inglese: "Decisione sbagliata, non è giusto che vengano
puniti senza colpa i giocatori e le società. Si devono punire
i teppisti". Rossi: "I giocatori non sono responsabili,
ma le società in qualche modo dovevano pagare". Scirea:
"Se si sono esclusi da soli, si vede che si sentivano in
colpa". Cabrini: "Mi spiace per i giocatori, ma esiste una
regola che va rispettata: quella della responsabilità oggettiva".
Ancora Tardelli sulla partita che sarebbe stata concordata:
"Non ci hanno detto nulla, non ho visto negli spogliatoi
dirigenti Uefa, io ho giocato per vincere, ma pensando ai
morti con la morte nel cuore". Rossi: "è una insinuazione
che non merita alcun commento". Scirea: "Stupidaggini".
Cabrini: "Lo nego nella maniera più assoluta. Ci hanno ordinato
di giocare, certo, ma non per dare tempo alle forse dell'ordine
di applicare i loro tardivi piani di sicurezza. Noi abbiamo
giocato per vincere". Sulle dichiarazioni dell'arbitro.
Tardelli: "Se per lui non contava il risultato, e dunque
ci ha dato il rigore, allora doveva punire allo stesso modo
il fallo di Bonini. Rossi: "Quello che dice l'arbitro non
mi interessa. Io so che per noi era una partita vera". Scirea:
"La Juventus non voleva giocare, ma una volta in campo ha
giocato per la Coppa". ce.
2 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA 2.06.1985
Diano: sostava in viale Torino, nella zona degli
hotel
Danneggiato nella notte
pullman di turisti inglesi
DIANO MARINA - Un pullman
inglese danneggiato a Diano Marina: è accaduto nella notte
fra giovedì e venerdì. A dare particolare risalto alla notizia,
qualche ora più tardi, è stato uno dei più noti quotidiani
nazionali britannici. Dell'episodio si sono interessati
pure i notiziari radiofonici italiani. I danni ammontano
a diversi milioni di lire: un pneumatico è stato tagliato,
un vetro laterale infranto e, all'interno, una decina di
sedili sono stati danneggiati. Sino a giovedì sera il mezzo
era in perfette condizioni, ed è stato usato per una gita
nell'entroterra dianese. Per buona parte della permanenza
a Diano e la stessa notte dell'incursione vandalica, il
bus è rimasto parcheggiato in viale Torino, zona Sant'Anna,
nei pressi di una lunga catena di hotel. La località, sufficientemente
illuminata, si trova a pochi passi dall'Aurelia e dal litorale.
L'episodio è stato coperto dal massimo riserbo. Sono trapelati
soltanto pochi particolari. E' certo comunque che è stata
presentata una denuncia contro ignoti ai carabinieri di
Diano Marina che hanno aperto un'inchiesta. La corriera
ha trasportato in Riviera una comitiva inglese, che si è
suddivisa poi in diversi hotel di Diano e San Bartolomeo
al Mare. Fra questi l'Albergo Lido di S. Anna. Spiegano
alla direzione: "Avevamo pensato che potesse accadere qualcosa
del genere e la mattina successiva alla tragedia di Bruxelles
siamo andati a controllare il pullman. Tutto sembrava in
ordine. I vandali hanno preso di mira la corriera la notte
seguente, poche ore prima della partenza del gruppo di turisti".
f. d.
2 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA 2.06.1985
Il racconto degli Juventini novaresi
"Impotenti davanti alla
tragedia"
Trasportata a Novara la
salma del novarese morto a Bruxelles. E' stato riaperto
il bar di via Omar sede della tifoseria bianconera.
NOVARA - Il "baretto" di
via Omar, in pieno centro cittadino, è uno dei più frequentati
punti d'incontro dei tifosi juventini. Non c'è un angolo
del locale nel quale non ci sia una foto di questo o quel
giocatore bianconero o un gagliardetto con i colori della
"vecchia signora". Il titolare, Alberto Visconti, è uno
dei "capi" novaresi della tifoseria e riveste la carica
di segretario del Club Juventus. E' stato lui uno degli
organizzatori più attivi della "spedizione" novarese a Bruxelles
patrocinata dal sodalizio dei tifosi. E' partito con moglie,
figlio e cognata chiudendo il bar per alcuni giorni, tanto
la maggior parte della sua clientela era partita con lui
per assistere alla finale della Coppa dei Campioni, la gara
che purtroppo doveva trasformarsi in tragedia. Ieri alla
riapertura del "baretto" c'era una gran folla di amici e
conoscenti. Tutti volevano sapere da Alberto Visconti i
particolari dell'accaduto. Il segretario del club Juventus
non ha risparmiato critiche all'operato della gendarmeria
belga che alla vigilia della gara e anche nelle ore precedenti
il match, ha lasciato fare agli inglesi quello che volevano.
"Entravano nei bar, dove era vietato vendere bevande alcooliche,
con delle cassette di birra. Si sedevano ai tavoli e si
ubriacavano senza ritegno. Se qualche proprietario dei locali
si azzardava ad invitarli ad andarsene quelli non solo rimanevano
dov'erano ma con le bottiglie vuote usate come proiettili
spaccavano vetrine, specchi, mandavano in frantumi ogni
cosa. Quando sono scoppiati i tumulti Visconti si trovava,
assieme alla maggior parte del novaresi, nella curva opposta.
"Abbiamo subito capito che c'era una tragedia in atto. Assistevamo
impotenti e ci faceva rabbia vedere la maggior parte della
gendarmeria presente rimanere dalla nostra parte, a controllare
un gruppetto di tifosi bianconeri scalmanati, mentre dall'altro
lato del campo la gente moriva". Alberto Visconti dice che
si recherà a Torino nei prossimi giorni per chiedere ai
responsabili della Juventus un intervento a carico di quel
club del quale facevano parte le decine di facinorosi, visti
anche in TV, autori di atti vandalici. "Noi Juventini ci
vergogniamo di questa gente che, se pure non ha fatto le
cose atroci dei tifosi inglesi, si è messa in mostra nel
peggiore dei modi". M.S.
2 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA 2.06.1985
|