L'assurda tragedia dello stadio di Bruxelles
Un gioco ucciso dalla violenza
di Carlo Cavicchioli - Gian Paolo
Ormezzano - Franca Zambonini
Cerchiamo di capire come una
gara sportiva possa alimentare istinti selvaggi e degenerare in
una "guerra". Frustrazioni sociali e malintesi campanilismi
all'origine della violenza dei tifosi aggressori. Ma non
degenera solo lo sport: una intera civiltà è in pericoloso
declino.
La memoria dell'eccidio di Bruxelles
resterà con noi a lungo, sconvolgente. Dio voglia che ci induca
a riflettere, nello spavento e nella vergogna, tutti noi che
abbiamo visto, presenti sul posto o inorriditi dinanzi ai
teleschermi in ogni città d'Europa; e che quei poveri trentotto
morti, vittime d'odio assurdo e inqualificabile violenza,
abbiano almeno questo riscatto: il proposito dei vivi
d'adoprarsi affinché nulla di simile abbia mai più a succedere.
Milioni di persone hanno visto, e non ci sono dubbi sulle
responsabilità, cause e dinamica dell'orrendo episodio. Un'orda
di sostenitori della squadra inglese del Liverpool, che già
prima si erano segnalati nella capitale belga tumultuando
ubriachi per le strade, ha cominciato a bersagliare, con lanci
di bottiglie e frammenti di cemento spezzati dalle gradinate, i
tifosi della Juventus sistemati nel settore adiacente, di là da
una poco robusta separazione fatta d'una rete metallica. Quindi
ha sfondato la fragile barriera, ed è passata all'assalto. Erano
armati di ogni sorta di arnesi e proiettili offensivi: dai
coltelli alle sbarre divelte, dalle bottiglie, spaccate per
renderle più efficaci, ai blocchi di cemento. Questa massa i
sostenitori della Juventus se la son vista precipitare addosso
ebbra d'alcol e di violenze; e stravolti dallo stupore, non
avendo di che opporsi, né l'animo di farlo poiché si credevano
meglio protetti dalla polizia, si sono tirati indietro, verso
l'estremo opposto del settore. La ritirata si è volta in panico.
Molti sono corsi verso l'uscita, che era stretta, e presto si è
intasata di gente terrorizzata, sulla quale il resto dei
presenti premeva; altri, a centinaia, si sono addossati al muro
di cinta, e qualcuno lo ha scavalcato saltando dall'altra parte,
nel vuoto, con un balzo di circa tre metri; né sono stati questi
i più sfortunati. A raccontare gli eventi si impiega più tempo
di quel che essi sono durati. La tragedia, infatti, è culminata
in pochi minuti. Contro il muro, il pubblico ha finito per
pigiarsi in una massa informe; i fuggiaschi erano montati gli
uni sugli altri, e quelli che erano sotto, che erano i più
deboli, stretti in una presa ferrea o caduti al suolo, hanno
cominciato a soffocare. Da ultimo, per il peso e la pressione,
una parte del muro ha ceduto, precipitando in blocchi sui tifosi
aggrediti. A chi tocchi la responsabilità della prepotenza, lo
si può desumere dal bilancio della strage: tra i morti, c'è un
solo inglese, però morto accoltellato in una rissa fuori dello
stadio.
1 giugno 1985
Fonte: La Domenica del Corriere
ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985
Non accettiamo questo declino
dell'umanità
di Adriano Sansa
Questa sera di mercoledì 29 maggio è
amara, difficile. Tutto è stato cosi diverso da quanto ci
aspettavamo. Erano venuti nella casa, per godersi la partita di
Coppa dei campioni, gli amici dei figli; si erano accampati
davanti al televisore e là si accingevano a cenare a modo loro.
Apprezzavano che anche noi adulti partecipassimo a quelle ore di
tregua, in una delle prime belle sere di primavera. Altri amici
erano a Bruxelles, più fortunati di noi, più avventurosi. Ma non
è questo, non è solo l'abisso tra l’aspettativa e la tragedia ad
averci sconvolti. Non ho guardato la partita perché non lo
desideravo più. I ragazzi hanno seguito il dramma e poi, come
una sua parte, il primo tempo dell'incontro; quindi la comitiva
si è sciolta senza lamenti, senza che occorressero spiegazioni.
La morte era entrata d'improvviso e con crudeltà nella festa:
questo suo ingresso, del quale un'altra volta non avevamo
previsto né l'ora né il modo, ci ha colpiti. Ma ben più di un
disappunto, c'erano dolore e smarrimento; se è possibile, un
ulteriore disagio, il dubbio di essere in qualche modo in colpa,
di non saper trovare le proporzioni tra gli eventi che avevamo
avuto dinanzi. Gli argomenti più concreti si alternavano a
considerazioni più generali. La presenza della polizia era
inadeguata; la separazione tra i tifosi insufficiente. La
passione sportiva è per troppi un pretesto alla violenza; molti
la coltivano senza misura e fuori di un ragionevole equilibrio.
Il gioco è un'occasione non solo per l'espressione di energie e
sentimenti, ma per lo scatenamento della parte oscura dell'uomo.
Nel gioco, che dovrebbe dare sfogo regolato ad istinti e
impulsi, confluiscono non raramente interessi, pressioni,
aspirazioni e frustrazioni che lo fanno dominare su eventi tanto
più grandi: è qui che esso cessa di essere gioco per coloro che
lo praticano e per coloro che vi assistono fuori delle regole
nel cui ambito soltanto ha un senso. Perché fosse rispettato il
giusto rapporto occorreva sospendere la partita. Nessuno avrebbe
dovuto chiedere che la morte di tanti cedesse al programma
previsto. Si è detto che l'estrema difficoltà della situazione
dell'ordine pubblico ha suggerito di non esasperare gli animi e
di non affrontare altri rischi. Non so se davvero non fosse
possibile un'altra strategia: rafforzata la polizia, intervenuti
altri corpi militari, si poteva dividere la folla e
accompagnarne l'uscita. Resterà il dubbio che il gioco, già
stravolto e fatto prevalere da alcuni scellerati sulla vita,
abbia contato più della morte. È probabile che gli stessi
facinorosi che hanno causato gli incidenti, e certi spettatori
lontani, interpretino così gli eventi e portino con sé questa
intima persuasione. Qualcuno dice che gli istinti di
aggressività e violenza presenti nell'uomo trovano nello sport,
e in alcuni sport specialmente, uno sfogo comunque meno
insidioso di altri, tra i quali si usa includere la guerra; che,
una volta avvenuta la disgrazia, si deve continuare a vivere
anche se costi. Ma non possiamo contentarci di questo, se non
avviandoci ad accettare ogni sconfitta e stortura. Lo sfogo di
emotività, energia e vitalità, il bisogno di divertimento,
movimento, spettacolo e vittoria hanno nello sport un luogo
opportuno e giusto se si mantengono nei limiti dell'umanità,
cioè dell'intelligenza e della misura. Concedere che impulsi e
frustrazioni, aspirazioni e nevrosi di qualunque genere trovino
qui un canale senza argini non ha alcun senso e non è diverso
dall'ammettere ogni altro sbocco disordinato e violento. É un
problema che riguarda molti Paesi; gli interessi che ruotano
intorno agli sport con masse di spettatori ostacolano una libera
riflessione sul tema. Gli incidenti, che accompagnano
l'esistenza dell'uomo come possibilità di male non eliminabili,
possono essere in parte prevenuti e ridotti entro più modesti
livelli; il fatto che anche in altri campi dell'esistenza
quotidiana, come la circolazione stradale, si accettino con
eccessiva facilità morti e sofferenze contribuisce probabilmente
a diffondere una sorta di rassegnazione o di cinismo. Gli stadi
sono da tempo, anche nel campionato italiano, luoghi di
eccessiva animosità e violenza. Non le si affronta adeguatamente
nei tempi, nei modi, nelle sanzioni contro singoli,
associazioni, squadre. Non c'è occasione nella quale si possa
abdicare alla prerogativa, elevata e faticosa, della
consapevolezza e della responsabilità. Non si risponda che
questi sono argomenti fastidiosi, quasi un segno dell'incapacità
di divertirsi, di accettare in certa misura la leggerezza che
può e deve di tanto in tanto appartenere all'esistenza: bisogna
talora lasciarsi andare, suggerisce in effetti l'intelligenza
stessa con una voce che deve anch'essa trovare ascolto in
qualche modo. Ma se quell'intelligenza che dà il suggerimento, e
che poi lo raccoglie, si fa soverchiare e rinuncia a sé, non ci
sono più il gioco e il divertimento perché declina l'umanità.
Questi fermi pensieri sostengano il senso delle proporzioni e la
severità verso i violenti; qualche club di tifosi organizzati ha
ormai i caratteri di associazione a delinquere. La
consapevolezza, senza mai essere arcigna, ci avverta degli
eccessi, dei sovvertimenti di valori, e ci impegni a rimediare.
Le voci, o il silenzio, dei calpestati e caduti; le corsie di
ospedale, l'accorrere di familiari e amici, gli occhi di chi
vedeva e aveva là i suoi, l'angoscia, le parole nella notte, lo
schianto; i viaggi di dolore, i ritorni con le vittime: perché
dovremmo respingere questi pensieri, queste immagini, di là dai
colori che continuavano a proporre gli schermi ? Perché tacere
che la festa notturna nelle strade di alcune città è stata
indecente ?
1 giugno 1985
Fonte: La Domenica del Corriere
ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985
Pertini con i familiari delle vittime del maledetto stadio di
Bruxelles
Tra le lacrime le prime salme a
Roma
di Wladimiro Settimelli
Alle ore 21 l’arrivo a Ciampino
del jet dell’Aereonautica militare con sette corpi e alcuni
feriti - Una lunga e dolorosa cerimonia - Presente anche il
ministro degli Esteri Andreotti - Altri aerei giunti a Torino, a
Milano e Pisa - Oggi altri voli.
ROMA - Piccola, vestita di scuro, con i
capelli bianchissimi, si fa largo tra i carabinieri ma non corre
verso il DC9 dell'Aeronautica militare che alle 21.07 precise è
sceso su Ciampino proveniente da Bruxelles. Rimane ferma sotto
gli spruzzi di pioggia, ma lo strano urlo che esce dalla bocca
di quella povera donna è ininterrotto e non la copre neanche il
rumore assordante del jet che ha accostato alla palazzina
dell’aeroporto. Dalla torre di controllo arrivano sciabolate di
luce: lei è sempre ferma in quel poco spazio che è riuscita a
guadagnarsi. Dietro, i furgoni mortuari sono già in fila, in
attesa. Arriva Sandro Pertini che l'abbraccia, ma quell'urlo non
cessa un attimo. Ci sono il ministro degli Esteri Giulio
Andreotti, autorità, il cappellano dell'aeroporto, alti
ufficiali, giovanissimi avieri in tuta da lavoro, gruppi di
giovani sbucati da chi sa dove. Il portellone del DC9 viene
aperto e ora si intravedono le bare. In quel momento, la donna
dai capelli bianchi balza in avanti e vuole toccarle, e
carezzarle tutte. Nessuno ha ancora capito chi è o da dove è
arrivata. Ma che importa: tra quelle bare c'è sicuramente quella
del figlio o del marito. Il suo urlo e il suo dolore sono uguali
a quello di altri che scendono dal jet e che si abbracciano, in
mucchi, con chi era in attesa, a terra, da ore. Lì hanno tutti
quanti aspettato a lungo, in silenzio, ma quando l’aereo che
veniva da Bruxelles ha toccato terra, la tensione, il dolore, la
stanchezza e anche la rabbia sono esplosi. Sì, anche la rabbia
per cerimoniali, lunghi, noiosi, complicati, inutili, senza
senso. Cerimoniali che finiscono sempre per tenere da parte la
povera gente qualunque: anche quella che avrebbe tutto il
diritto di piangere e di urlare in santa pace. Pertini. Si
asciuga le lacrime e continua ad abbracciare gente. Intanto i
furgoni si fanno sotto e un drappello di avieri, mentre altri
rimangono immobili sull'attenti, prende una cassa dopo l'altra e
l'appoggia nei carri. I gruppi di parenti si compongono e si
scompongono: vanno vicini alla cassa e poi tornano verso la
palazzina dove sono rimasti in attesa. La donna dai capelli
bianchi, ora, piange quasi in silenzio. L'urlo che la soffocava
si è come dissolto. Passa davanti alle telecamere e ai
giornalisti sorretta da due ragazzoni, ma non vede niente e
nessuno. Uno dei due la tiene per mano come una bambina e la
donna mormora sommessa: Basta, basta, sono stanca, sono stanca,
sono stanca... Un signore che è rimasto in disparte, in
silenzio, ora piange a dirotto e si piega sulle ginocchia. Due
poliziotti lo afferrano a volo prima che crolli sulla pista. Fra
le bare ha visto quella del figlio con il nome scritto a penna
sul coperchio. Lo devono alzare di peso e portarlo via così. In
quell'angolo, qualche anno fa, aveva visto Bruno Conti che
piangeva di gioia per la vittoria ai mondiali di calcio. Aveva
in mano un grande mazzo di fiori e non riusciva a trattenere le
lacrime. Ora, dal jet dell'Aeronautica, scende un ragazzo
coperto di bende e cerotti: è tutto gonfio e gli occhi sono
pieni di sangue. Non vuole parlare con nessuno e si infila nella
palazzina zoppicando, circondato da un gruppo di amici. Le salme
arrivate a Ciampino da Bruxelles, da quel maledetto stadio, sono
quelle di Rocco Acerra, Giancarlo Gonnelli, Nino Cerullo,
Roberto Lorentini, Franco Martelli, Loris Messore e Gianni
Mastroiaco. Il corpo di Giancarlo Gonnelli (aveva appena venti
anni) viene fatto proseguire direttamente per Pisa dove il
ragazzo abitava con la famiglia (NdR: non era un ragazzo, ma
il padre di Carla, ferita all’Heysel e ne aveva 46).
L'operazione è lunga e penosa. I carri funebri stanno sempre in
fila con i motori accesi. È venuta gente anche dai paesi vicini
e tutti se ne stanno in silenzio, lungo le reti di recinzione.
Ogni volta che una salma viene scaricata e sistemata sul carro,
un piccolo corteo aperto da una macchina della polizia stradale,
si avvia verso ii raccordo anulare. Il traffico, allora, viene
bloccato dalle macchine dei carabinieri e gli automobilisti si
fermano in silenzio: hanno capito, sanno. Le brutte notizie,
come le belle, corrono sempre ad una incredibile velocità. Un
gruppo di turisti stranieri in partenza per Boston, chiede
chiarimenti e guarda in silenzio. Suore e frati in partenza per
Lourdes, si bloccano un attimo e dopo aver chiesto a bassa voce
cosa sta accadendo, si fermano un attimo e pregano. Andreotti,
accanto Pertini, segue in silenzio quella lunga serie di
operazioni. Il presidente è sempre immobile, circondato dalla
scorta e continua a togliersi gli occhiali e ad asciugarsi le
lacrime. Che può dire ? È difficile pronunciare parole di
conforto e tentare di essere vicino, in qualche modo, a chi sta
soffrendo così. Vengono in mente altri funerali terribili,
stragi e tanto, tanto altro dolore. E’ duro anche per lui, ogni
volta. Essere presente e cercare di aiutare gli altri anche
soltanto con una presenza semplice e discreta; pare sempre un
lungo film senza fine. Fu così per il terremoto al Sud, per le
stragi fasciste, per i funerali delle vittime del terrorismo e
della violenza bieca e assurda. Sì era così anche ieri sera.
Alle 22, la mesta cerimonia è quasi finita. Non pioviggina più
ed è sbucata la luna. Questa specie di gigantesco ponte aereo
tra Bruxelles e l'Italia è appena agli inizi. Ieri, un "C130"
con feriti e vittime dell'inferno dello stadio di Heysel era
giunto anche a Torino e poi aveva fatto scalo a Milano e a Pisa.
Un altro aereo dell'Aeronautica militare era arrivato in serata
sempre a Torino con un gruppo di feriti. Altri voli sono
previsti per oggi. A Ciampino, è ormai finito tutto. Le luci per
le riprese Tv vengono spente e la gente si allontana via;
silenzio. Sul raccordo anulare, il carro funebre con il corpo di
Franco Martelli, sta andando verso Todi. Le altre auto che
passano corrono all’impazzata verso chissà dove.
1 giugno 1985
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985
Boniperti:
non restituiremo la Coppa vinta
TORINO - Il viso di Giampiero Boniperti
esprime stupore ed incredulità alla nostra domanda. "Restituire
la Coppa. E per quale motivo ? Lei lo farebbe ?". Gli ripetiamo
che non si tratta solo di una nostra opinione. C'è una proposta
dei senatori D`Onofrio (Dc) ed Ossicini (sinistra indipendente),
i quali si sono augurati, in una dichiarazione rilasciata
giovedì, che la Juventus restituisca la Coppa dei Campioni,
vinta in una partita assurda, giocata pochi minuti dopo che si
era consumata la tragedia. "l morti - replica Boniperti - sono
juventini, tutti tifosi della nostra squadra. Vi sono forse
degli inglesi ? No ! Allora significa che la società ha già
pagato un tributo alla vittoria". Cosa ne pensa allora della
proposta ? "Strumentale. Non ha alcun senso. È demagogica. Ne’
ci si può appellare a ragioni di ordine morale. Noi siamo scesi
in campo per imposizione. È noto: lo ha chiesto l'Uefa per
consentire alle autorità belghe di controllare l'esodo dallo
stadio. Evidentemente, a posteriori, ognuno gioca ad inventarsi
le iniziative più strampalate. In ogni caso non posso fare un
torto alla squadra, ai ragazzi che questa Coppa l'hanno
conquistata sul campo". Boniperti, ma lei odia gli inglesi ?
"No, assolutamente. I titoli apparsi su alcuni quotidiani hanno
deformato il mio pensiero. lo odio i teppisti, gli animali che
si camuffano da tifosi, di qualunque nazionalità essi siano". m.
l.
1 giugno 1985
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985
Un autista dell'ospedale di Moncalieri non è tornato da
Bruxelles
Il mistero del tifoso
"disperso"
La moglie lo sta cercando. Né tra i
morti, né tra i feriti.
C'è anche un giallo a margine della
tragedia di Bruxelles: un uomo di 40 anni, di Moncalieri, Marco
Manfredi, abitante in vicolo (omissis), è scomparso durante i
disordini e di lui fino a stamattina, non si è più saputo nulla.
Contrariamente ad alcuni altri, dati per persi, e per fortuna
tornati a casa sani e salvi. Manfredi, autista all'ospedale di
Moncalieri, sposato, con una figlia di 17 anni, è stato visto
l'ultima volta un quarto d'ora prima della partita, da alcuni
compagni coi quali aveva fatto il viaggio in Belgio, poi nessuno
sa più dire che fine abbia fatto. Non risulta tra le vittime, né
tra i ricoverati in ospedale. La moglie Rosita è partita per la
capitale belga già ieri, ma le sue ricerche finora non hanno
dato alcun risultato. Amici e conoscenti del disperso hanno
raccontato: "Manfredi è partito con un collega, Giovanni Deva, e
due conoscenti di Trofarello. Dopo che l'abbiamo accompagnato al
pullman di lui non sappiamo più niente". Giovanni Deva, tornato
indenne dall'inferno dello stadio di Heysel, dice: "Nella
confusione che c'era già uno della nostra compagnia si era perso
prima di entrare allo stadio. Siamo rimasti insieme solo io,
Manfredi e un altro. Quando poi c'è stato l'attacco degli
inglesi nella baraonda ci siamo persi tutti di vista. Al pullman
del ritorno non si è presentato. L'abbiamo aspettato per più di
un'ora poi l'autista ha dovuto partire perché eravamo già in
ritardo". Nell'estrema confusione è però anche possibile che
l'uomo, magari ferito e in stato di choc, sia ricoverato in
qualche ospedale, che non sia stato identificato, che la
registrazione del ricovero si sia persa o che il nome sia stato
storpiato; a causa della gran quantità di feriti, con problemi
anche linguistici (tra le centinaia di feriti ci sono italiani,
belgi, francesi, inglesi), non sarebbe una cosa inverosimile.
Per Domenico Russo invece, elettricista di 26 anni, sempre di
Moncalieri, ormai non ci sono più dubbi. La salma è stata
riconosciuta dai parenti all'obitorio dell'ospedale militare,
parenti giunti con un volo dell'Aeronautica militare italiana.
Fino all'ultimo momento sia la moglie Tiziana (incinta di sette
mesi), che i genitori, i fratelli, avevano sperato che la
notizia fosse sbagliata. La speranza era alimentata dalla foto
pubblicata in prima pagina dalla "Stampa" in cui avevano
riconosciuto il loro parente. Purtroppo l'immagine era sì di
Domenico Russo, ma scattata pochi istanti prima che il giovane
venisse travolto dal crollo del muro che ha causato decine di
morti. Infatti buona parte delle persone nella foto sono state
recuperate senza vita tra le macerie. Infine si sono appresi
altri particolari relativi ai motivi per cui l'altra vittima
torinese, Giovacchino Landini, titolare della Trattoria Toscana
di via Spotorno 33, si trovava nel settore "Z" invece che nella
zona "M-N-O", per cui aveva avuto il biglietto. Il presidente
dello Juventus Club di via Bogino, responsabile
dell'organizzazione del pullman e della distribuzione dei
biglietti, spiega: "Landini era partito con un biglietto verde
per il settore M-N-O, poi siccome a Bruxelles aveva degli amici
che invece erano nello Z, alle 17 mi ha chiesto di cambiargli il
settore per stare con la sua compagnia.
1 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985
In mezzo ai
tifosi davanti all'Heysel
di Roberto Eynard
Un razzo partito dal settore dei
"reds" nella curva nord solca il cielo e scoppia nella zona
riservata ai tifosi italiani, seguito subito dopo da tre assalti
di centinaia di teppisti inglesi. La tragedia si è compiuta in
un paio di minuti, ma solo molte ore dopo la maggior parte degli
spettatori scoprirà la tragica verità sulla curva Z dell'Heysel.
Pochi tra gli spettatori assiepati nelle due tribune e nella
curva juventina hanno compreso la portata della tragedia. E
nelle concitate ore che seguono la tragedia incontriamo davanti
allo stadio della morte e sulle piazze di Bruxelles molta gente
piemontese e tanti Valsesiani e Biellesi. Paolo Vercella è di
Borgosesia: "Ero dalla parte opposta dello stadio. Ho visto il
razzo partire, gli inglesi caricare i tifosi italiani, nascere
delle zuffe, la gente scappare verso il basso. Tutti, nel mio
settore, pensavamo alle solite risse, tutt'al più con qualche
ferito. I barellieri erano pochi. Se ci fossero dei morti, ci
siamo detti in quel momento, ci sarebbe un gran movimento di
medici e di infermieri". A rendere ancor più irreale la
tragedia, alcuni ragazzi qualche minuto dopo, mentre pochi
volontari organizzavano i soccorsi, davano vita ad una
partitella proprio nella porta vicina alla tragica curva.
Giuseppe Falco abita a Biella. E' ancora sconvolto: "Solo due
ore dopo, mentre Juve e Liverpool erano sul terreno, le prime
voci sulla tragedia hanno preso a circolare. Qualcuno parlava di
due morti, altri di nove, una donna di trentacinque e di un
centinaio di feriti. Ma la gente, ormai, era presa dalla partita
e non dava peso a queste notizie e tutti, pur riconoscendo un
fondo di verità, non volevano credere al turbinio di
supposizioni". Ma per qualcuno la sfida attesa da anni non aveva
più valore. Dice Francesco Rassa: "Quando ho saputo delle
persone morte assieme ad un mio amico ce ne siamo andati. Per
altoparlante un'ora prima era stato garantito un accurato
servizio d'ordine all'esterno dello stadio. Abbiamo aggirato
l'Heysel per tre quarti, ma di poliziotti ne abbiamo incontrati
solo due.
1 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985
La
drammatica testimonianza di Walter Perincioli
"Ero aggrappato al muro e un
agente mi ha salvato"
"Sentivo che le forze mi
stavano mancando. Un minuto, forse due e sarei finito di sotto,
sopra al mucchio delle vittime".
QUARONA - "Sono vivo per miracolo: uno,
due, forse tre minuti o magari pochi secondi, per un tempo che
mi è parso un'eternità, sono stato sospeso su quello che era
rimasto del muro "maledetto" dell'Heysel. Un poliziotto è
riuscito ad avvinghiarmi, portandomi in salvo, quando già
sentivo mancare le energie". Ancora sconvolto, occhi rossi dopo
una notte di incubi, Walter Perincioli, tifoso della Juve,
residente a Doccio di Quarona, racconta come "ha sentito vicino
a sé la fredda mano della morte". Ricorda il sostenitore
bianconero: "Sono entrato allo stadio di Bruxelles un paio d'ore
prima dell'inizio della partita. Assieme ad altri tre componenti
il club "Amici della Juve" di Borgosesia, sono finito nel
settore Z e anche se più della metà della curva era occupata da
inglesi, mi sentivo tranquillo. Volevamo trascorrere una serata
di festa: perché doveva succederci qualcosa ?". Ma un terribile
dramma stava per scoppiare. All'improvviso il cielo è stato
solcato da un razzo che, lanciato dal settore inglese, aveva
come obiettivo quello italiano. Aggiunge Walter Perincioli: "è
stato un attimo, una scena che non dimenticherò mai. Davanti a
me, a tre-quattro metri di distacco, ho sentito un gran botto.
Poi ho visto i capelli di una donna avvolti dalle fiamme, mentre
intuivo che i sostenitori dei reds urlando stavano dirigendosi
verso di noi". Prosegue il tifoso valsesiano: "Per qualche
frazione di secondo mi sono sentito in trappola. Bloccato da una
transenna, non ho potuto mettermi subito a correre. La folla era
impazzita: attorno a me urla, gemiti, gente che cadeva e che
rimaneva calpestata. Ero come un fuscello in mezzo ad un
uragano". Quel che sia successo veramente, cosa l'istinto gli ha
suggerito, Walter, come tanti altri, più che saperlo l'ha
intuito: "Ad un tratto, tra spinte, gomitate, paurosi
ondeggiamenti, mi sono trovato sospeso sul muretto crollato
dell'Heysel. Le gambe facevano leva a terra; ma il busto e le
braccia erano nel vuoto. Sulle spalle sentivo un gran peso. Più
tardi scoprirò che era il cadavere dì un uomo". Continua Walter
Perincioli: "Con tutto il fiato che avevo in gola, ho cominciato
ad invocare aiuto. Non potevo muovermi. Un poliziotto, forse
subito, forse chissà quando, è corso verso di me ed è riuscito a
liberarmi proprio quando le forze mi venivano meno. Solo allora
ho capito che ad impedirmi di muovermi era il corpo senza vita
di una persona". Il sostenitore valsesiano non scorderà mai un
altro terribile episodio: "Mentre cercavo di divincolarmi, ho
visto arrivare in direzione di un uomo una pietra scagliata da
un inglese. Gli ho gridato "attento !" ma è stato inutile. Il
sasso l'ha colpito ad una tempia, uccidendolo.
1 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985
"La gente cadeva e moriva siamo
vivi per miracolo"
di Maurizio Alfisi
Sono tornati a Torrazzo i sette
tifosi biellesi della "curva Z"- Si sono salvati rifugiandosi
nello sgabuzzino delle bibite - La loro testimonianza.
NOSTRO SERVIZIO. TORRAZZO - Stanchi,
ancora visibilmente scossi per la terribile avventura vissuta
allo stadio Heysel di Bruxelles, sono rientrati a casa i sette
tifosi di Torrazzo, per i quali si temeva il peggio. Stanno
tutti bene, a parte qualche leggera ferita che si sono procurati
nella disperata fuga dalla "curva della morte". Giovanni
Alesina, 36 anni, fratello di Serena, titolare della trattoria
Roma, Marco Finotto, 31, Bruno Giansetti, 37, Mauro e Carletto
Monaldo di 41 e 39 anni, Roberto Verdola, 34 e Marco Zanetto,
37, erano partiti in camper per il Belgio. A Parigi avevano
raccolto un giovane emigrato originario di Torrazzo, Franck
Chiarini, e avevano poi proseguito alla volta di Bruxelles.
Carletto Menaldo e il Chiarini hanno trovato posto nella tribuna
numerata, a pochi metri di distanza dalla ormai tristemente
famosa curva "Z", dove invece sono saliti i loro cinque amici.
Dice Verdola: "Siamo salvi per miracolo, o meglio per un paio di
occhiali". Spiega Marco Finotto: "Siamo arrivati allo stadio
verso le 17, e quando stavamo per salire in tribuna, mi sono
accorto di aver dimenticato gli occhiali nel camper. Ho fatto
perdere così un po' di tempo ai miei amici, e per trovare posto
abbiamo poi dovuto salire verso la zona più alta della curva. E'
il particolare che ci ha salvato la vita". Prosegue Roberto
Verdola: "Quando gli inglesi hanno caricato il nostro settore,
siamo fuggiti verso l'alto, e ci siamo barricati dentro uno
sgabuzzino per le bibite. Sfondato il tetto siamo riusciti o
scavalcare il muro di cinta, passando attraverso il filo
spinato, e a calarci all'esterno dello stadio, dove ci siamo
trovati in un caos pazzesco, tra morti, gente ferita e sotto
choc". Per i tifosi di Torrazzo non ci sono dubbi: il servizio
d'ordine belga non ha funzionato perché non c'era. Dice Marco
Zanetto: "Noi e gli inglesi eravamo separati da una semplice
rete metallica, con due gendarmi che presidiavano il settore.
Verso le 19 i tifosi del Liverpool hanno dato l'assalto alla
rete, abbattendola. I poliziotti non devono aver valutato la
situazione nella sua gravità, perché nella mezz'ora che è
seguita, nessuno è intervenuto. Poi c'è stata la seconda ondata,
bestiale con quegli animali dei reds che venivano avanti
preceduti da una fitta sassaiola, menando botte da orbi con
spranghe divelte dalle reti, mazze, mulinando coltelli e
bottiglie di birra rotte". "Gli inglesi avevano sbrecciato i
cordoli in cemento dei gradoni delle tribune in terra battuta, e
li usavano come artiglieria", dice Bruno Giansetti, che poi
aggiunge: "Tutto è durato pochi attimi, ma è stato un incubo.
C'era gente che travolta dalla massa in fuga, moriva calpestata.
Altri raggiunti dagli inglesi sono caduti sotto i loro colpi, e
poi ci sono stati quelli coinvolti nel crollo del muretto". E'
Carletto Menaldo, che dalla tribuna, a pochi metri di distanza,
ha visto tutto: "C'è stato uno schianto terribile, e poi ho
visto decine di persone cadere nel vuoto, mentre a centinaia
uomini, donne e bambini finivano uno sopra l'altro, in una calca
orrenda. Subito ho pensato ai miei amici, e con Chiarini siamo
andati a cercarli. Ma nel caos ci siamo persi. Grazie alla
situazione confusa che regnava nello stadio ho potuto
raggiungere però una postazione radio di servizio e chiamare i
miei compagni. Siamo cosi riusciti a riunirci". Le accuse del
tifosi di Torrazzo sono precise e circostanziate. Dice ancora
Mauro Menaldo: "Per salire in tribuna abbiamo dovuto fare una
coda asfissiante per passare le due porticine larghe poco più di
un metro. In caso di emergenza, come si è visto, non sono
servite. Una partita così importante si doveva giocare nello
stadio più idoneo. E poi non c'erano infermieri, né posti di
pronto soccorso. Tutto l'apparato che si è visto in televisione,
è stato montato in fretta e furia dopo, molto dopo".
1 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985
Il
racconto dei tifosi di Diano tornati dall'Heysel
"Siamo fuggiti a stento tra
sangue e terrore"
di Fulvio Damele
IMPERIA - "Una mano mi ha afferrato per
un braccio. Con la forza della disperazione mi sono divincolato
e sono riuscito a fare quei due metri che mi separavano dal
cancelletto d'accesso al campo e proprio in quell'istante,
finalmente, i poliziotti belgi hanno aperto". Inizia con questa
drammatica immagine il racconto di Carlo De Lucis, 26 anni, un
giovane di San Bartolomeo al Mare scampato alla strage. Il volto
ancora segnato dalla paura, la voce rotta dall'emozione
prosegue: "Ho preferito partire in auto piuttosto che in
pullman, ed è così che mi sono trovato con un biglietto della
zona dello stadio dove sono accaduti gli incidenti". Ricorda:
"Ero distante dal parapetto soltanto pochi metri e mi sono reso
conto che indietreggiando ancora sarei rimasto intrappolato in
una morsa senza scampo. Con tutta la forza, appena in tempo mi
sono fatto largo controcorrente. Per miracolo ho trovato uno
spiraglio e mi sono ritrovato in un vortice: contro di noi gli
inglesi lanciavano oggetti di ogni tipo, lattine, pietre. Ho
visto brandire spranghe e coltelli, distintamente ho sentito
anche dei colpi d'arma da fuoco. Poi nel tentativo di
avvicinarmi sempre di più al terreno di gioco, sono inciampato e
caduto sopra un corpo. Mi sono rialzato imbrattato di sangue".
Enzo Gironi, 24 anni. Pino Sabatucci, 28 anni, calciatore molto
conosciuto nel Ponente e Giuliano Piladi, tutti di Imperia erano
partiti per il Belgio con tanto entusiasmo. Sconvolti
raccontano: "Abbiamo vissuto l'ora e mezza più terribile della
nostra vita. Ci siamo persi, ognuno pensava che agli altri fosse
capitato il peggio". Gironi, meno fortunato dei compagni,
ricorda piangendo: "In un istante sono stato travolto, coperto
dai corpi di altre persone e ho perso i sensi. Quando mi sono
ripreso, non so dopo quanto, ho iniziato a urlare con tutta la
forza. Sentivo muovere qualcosa e poi ho visto che un uomo,
facendo leva con un bastone, mi stava liberando. Infine mi hanno
portato all'ospedale".
1 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985
Inzaghi: "Una scena terribile. E'
stato peggio del terremoto"
di Stefano Delfino
Il comandante dei Vigili del
fuoco di Imperia era a Bruxelles, e dalla curva opposta ha
seguito la strage nel settore Z - "Un impianto indegno e
un'impreparazione totale".
IMPERIA - "Una delle peggiori
esperienze della mia vita. Essere lì, intuire il dramma, e
assistervi senza poter fare nulla. E' stato terribile".
L'ingegner Natale Inzaghi, comandante provinciale dei Vigili del
Fuoco, parla con voce ancora incrinata dallo sdegno e dalla
commozione. E' appena tornato da Bruxelles. Era anche lui allo
Stade du Heysel. Agli orrori è abituato: prima in Friuli, poi in
Irpinia, a sgombrare macerie e soccorrere le vittime del sisma.
Ma, questa volta, "è stato diverso: è stato peggio". Inzaghi è
tifoso della Juventus. E' andato in Belgio con amici. La partita
tanto attesa non l'ha vista, perché, quando sono divampati gli
incidenti, se ne è tornato in albergo, per telefonare a casa. Ma
prima, dalla tribuna opposta, sia pure da distante, con un
potente binocolo, ha assistito alla tragedia, l'ha scrutata con
gli occhi dell'esperto di protezione civile. E il suo giudizio è
drastico e pesante, condanna severamente le carenze nell'ordine
pubblico. Racconta Inzaghi: "Già all'esterno dello stadio si
poteva capire che le autorità belghe erano assolutamente
impreparate alle insidie della situazione. I poliziotti
sembravano in assetto da parata. Avevano le uniformi nuove e i
cavalli erano lustri. Davanti a loro passavano indisturbati i
teppisti di Liverpool, ubriachi fradici, avvolti nelle bandiere
e stracarichi di casse di birra. Per entrare, migliaia di
persone si accalcavano presso un passaggio obbligato, una
porticina larga appena un metro e mezzo. L'"Heysel" è un
impianto "del tutto inadeguato e indecoroso: al suo confronto,
persino il "Ciccione" di Imperia farebbe un figurone". Ricorda
ancora Inzaghi: "Quando ho notato che nel settore Z la gente
cominciava a comprimersi sotto le furibonde cariche degli
inglesi, e gli spazi fra spettatore e spettatore erano sempre
più ridotti, ho immaginato che potesse succedere un disastro. Ho
temuto che qualcuno potesse subire lo schiacciamento del torace
e riportasse pericolosissime lesioni interne". E aggiunge, con
un lampo di sgomento negli occhi: "Allorché ho scorto quelli che
cominciavano ad arrampicarsi sul muretto mi sono reso conto con
raccapriccio che la sciagura era imminente. Ho pensato: adesso
crolla. E difatti, pochi istanti dopo, la parete ha ceduto,
sotto la sollecitazione dei tifosi che, terrorizzati, non
potevano cercare scampo sul prato, presidiato dalla polizia. Ho
udito anche due-tre esplosioni: non so se fossero spari o
mortaretti". Prosegue Inzaghi: "Come una diga che si rompe, è
crollata anche la rete metallica: simile ad un ponte levatoio
che si abbassa all'improvviso, ha imprigionato quanti si
trovavano al di sotto. Per effetto della spinta, i corpi si sono
aggrovigliati uno sull'altro. Una scena da mattatoio. E' stato
uno spettacolo raccapricciante. Come selvaggi scatenati, i
criminali sostenitori del Liverpool hanno infierito sugli inermi
a terra, non si sono fermati neppure alla vista del sangue". Una
disgrazia evitabilissima, che solleva interrogativi angosciosi:
"perché, si chiede Inzaghi, non si è fatto nulla per evitare che
"reds" e bianconeri fossero cosi rischiosamente vicini ? Perché
non sono stati usati subito i cani, che accompagnavano i
numerosi agenti di pattuglia fuori dallo stadio ? E perché non
c'erano idranti, sul campo ? Con i loro getti, si sarebbe potuto
tentare di separare i due gruppi, prima che accadesse
l'irreparabile", conclude Inzaghi.
1 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985
I morti e gli scampati tornano a casa con gli aerei militari
Bruxelles-Italia la rotta del
dolore
Platini, Tacconi e Marini visitano
i tifosi feriti
ROMA - Il loro ultimo viaggio si è
concluso: ieri sera alle 21.05 su una pista dell'aeroporto di
Ciampino. Ad attenderli, una piccola folla mesta e sei carri
funebri, allineati uno accanto all'altro come in una tristissima
parata. Sono arrivate così in Italia le salme di 7 dei 31 morti
nella strage di Bruxelles. Sul pavimento del DC-9 militare le
bare di Gianni Mastroiaco, 20 anni, di Rieti, Roberto Lorentini,
21 anni, di Arezzo, Nino Cerullo e Rocco Acerra, 24 e 29 anni,
entrambi di Francavilla a Mare, Franco Martelli, 23 anni di
Todi, Loris Messore, 23 anni di Pontecorvo e Giancarlo Gonnelli,
46 anni. Tra la gente ammutolita, che ha atteso il Jet c'era
anche il presidente della Repubblica Sandro Pertini, il ministro
degli Esteri Giulio Andreotti, il figlio dell'avvocato Agnelli,
Edoardo. Il silenzio della cerimonia è stato squarciato solo da
un urlo, il padre di Rocco Acerra non ha saputo stare zitto
quando il drappello di avieri in alta uniforme ha incominciato
le operazioni di sbarco delle salme. Tra quelle sette bare due
gli appartengono: quella del figlio e quella di Nino Cerullo, il
fidanzato di sua figlia Anna. I due giovani, amici prima che
futuri parenti, a vedere la Juventus c'erano andati insieme. "O
Gesù, così mi ritornate" ha urlato l'anziano Giovanni Acerra. E
al suo urlo non c'è stata risposta, mentre le lacrime dei
parenti delle vittime fino ad allora trattenute hanno
incominciato a scendere copiose. In un angolo Pertini si è mosso
per farsi incontro alle salme. Una sola bara è rimasta a bordo:
quella di Giancarlo Gonnelli, che sullo stesso aereo ha
proseguito per Pisa. Poi uno ad uno i furgoni mortuari hanno
lasciato l'aeroporto allontanandosi sull'asfalto diretti verso i
paesi delle vittime. Anche Pertini, gli occhi bagnati di
lacrime, sotto braccio ad Andreotti, si è allontanato senza
neppure fermarsi davanti ai fotografi e giornalisti. Ha lasciato
Ciampino come uno dei tanti parenti dei tifosi juventini morti a
Bruxelles. MILANO - Ieri, qualche minuto prima delle 22
all'aeroporto di Linate è atterrato un "C-113" dell'Aeronautica
militare con a bordo le salme di due delle vittime degli
incidenti allo stadio Heysel: Tarcisio Venturin, di 23 anni, di
Pero (Milano), e Giancarlo Bruschera di 34, di Taino (Varese).
Ad attenderle sulla pista dell'aeroporto c'erano i parenti, il
sindaco Carlo Tognoli e il prefetto Enzo Vicari. I genitori di
Giancarlo Bruschera alla vista delle due bare, si sono
abbracciati fra di loro piangendo in silenzio. Giancarlo era il
loro unico figlio. Non c'erano all'aeroporto i genitori di
Tarcisio Venturin, rimasti a casa. C'era solo la sorella,
Marisa, di 33 anni, che, con un cugino, era andata a Bruxelles a
prelevare la salma del fratello: hanno viaggiato sullo stesso
aereo che ha trasportato le due salme a Milano. C'erano anche
zii e altri parenti, arrivati all'aeroporto a bordo di auto
messe a disposizione dalla prefettura milanese. Fra loro, il
marito della Venturin, Luigi Bellia, di 33 anni, di Pero, il
quale ha detto di avere appreso la notizia della morte del
cognato dai giornali, il giorno dopo gli incidenti.
1 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985
Chi ha venduto i
biglietti "proibiti" ?
di Salvatore Tropea
TORINO – E’ stato il trionfo dei
bagarini, sinistro, disinvolto, brutale. Con la tecnica di
sempre, ma questa volta con un tremendo risultato di morte: 38
vittime per una manciata maledetta di soldi. La tragedia di
Bruxelles, oltre che nella violenza dei tifosi del Liverpool e
nell'inefficienza della polizia belga, trova la sua amara
spiegazione anche in questo fenomeno che va prendendo corpo man
mano che aumentano le testimonianze dei superstiti. Che ci
facevano gli italiani nel famigerato settore "Z" funesto campo
di battaglia dello stadio Heysel ? Chi ve li ha portati e chi ve
li aveva portati ? Non era quello lo spazio riservato agli
spettatori belgi ? Certo che lo era, soltanto che quei biglietti
erano stati dirottati su Torino e su altre città italiane
attraverso canali misteriosi. Si parla di alcune centinaia,
forse addirittura di qualche migliaio ma è difficile dirlo.
Anche perché a complicare ulteriormente la situazione non sono
mancati i tagliandi falsi. Racconta la titolare di un'agenzia di
viaggi di Rivoli: "Abbiamo acquistato una cinquantina di
biglietti da un signore che li aveva comprati a Bruxelles per
poi organizzare, senza riuscirvi, un pullman di tifosi. Il resto
ce lo ha venduto la Ventana Viaggi in modo del tutto regolare".
Ventana ha organizzato due voli vendendo il biglietto per la
partita compreso nel viaggio; quasi tutte le tribune ottenute
dalla Juventus. Altre società di viaggi come la Franco Rosso
hanno però dovuto comprare i biglietti a Bruxelles "perché in
Italia la Federazione non ne aveva più". Che fossero in
circolazione biglietti comprati fuori piazza lo si era capito
prima ancora dell'incontro. Lunedì scorso, quando mancavano meno
di 48 ore alla partita su alcuni giornali le compagnie di viaggi
pubblicizzavano i voli charter per la finalissima di Bruxelles.
E pensare che a quella data la disponibilità ufficiale di
biglietti per l'Italia doveva essere esaurita da un bel pezzo.
Proviamo a vedere come ha funzionato questo meccanismo. Ne
parliamo con Francesco Morini, già calciatore della Juve oggi
direttore sportivo dei bianconeri. "Come società" -spiega -
"abbiamo avuto in tutto 14 mila biglietti di cui 11 mila della
curva opposta a quella degli incidenti e 3 mila di tribuna.
Eravamo disperati per la limitatezza del numero, ma ci siamo
accontentati. Non c'era altro da fare. Abbiamo distribuito
meticolosamente quanto avevamo tra tutti i nostri clubs sparsi
per l'Italia e su precisa prenotazione". A conti fatti, secondo
Morini, la disponibilità in Italia è stata di un biglietto ogni
30 tifosi juventini. "Forse abbiamo scontentato molte persone ma
non avevamo altra scelta. Tant' è che non abbiamo venduto un
solo biglietto al nostro botteghino". Ben diversa era però la
situazione in Belgio. "Quando ci sono queste partite" - osserva
infatti il direttore sportivo della Juventus" - i bagarini si
scatenano ed è difficile controllarli. A Bruxelles, per esempio,
facendo un po' di coda una persona poteva comprare fino a tre
biglietti. Famiglie intere lo hanno fatto e poi hanno rivenduto
ai bagarini che hanno commerciato i biglietti in Italia". Anche
nella Galleria San Federico, davanti al portone della F.C.
Juventus ? "Può darsi" - ammette Morini - "ma non sarebbe stata
la prima volta. In passato abbiamo persino provato a chiamare la
polizia. Ma se non li si pesca con le mani nel sacco, e non è
sempre facile, è impossibile intervenire. Sono gruppi
organizzati di bagarini, italiani e stranieri, le facce di
sempre, gente senza scrupoli". E quello che non sono riusciti a
fare in Italia lo hanno fatto direttamente in Belgio. Ecco
quanto testimonia Giancarlo Perruquet, capo storico della
tifoseria bianconera torinese, da molti anni frequentatore
instancabile dello stadio e mai assente nelle trasferte della
Juventus: "Dalla Juventus abbiamo avuto 600 biglietti, non uno
in più non uno in meno di quelli che servivano per organizzare i
nostri pullman. Li abbiamo distribuiti attentamente attraverso i
nostri capi comitiva. Ma quando siamo arrivati a Bruxelles
abbiamo visto gente che vendeva biglietti in tutti gli angoli
delle strade. Evidentemente tutti coloro che, al di fuori delle
nostre organizzazioni, erano partiti senza biglietto l'hanno
potuto comprare sul posto". Anche nel super club juventino di
via Bogino, il più autorevole nel panorama della tifoseria
torinese, assicurano di non aver portato a Bruxelles persone
prive di regolare biglietto. Ma anche loro confermano che molta
gente è arrivata in Belgio non organizzata. "E’ probabile" –
dicono - "che abbiano comprato il biglietto sul posto finendo
nel settore Z riservato ai locali". Del resto anche i controlli
sugli ingressi devono essere stati alquanto carenti e
approssimativi. Come testimonia il racconto di un ragazzo di
Torino. Incontrato al suo rientro da Bruxelles: "Sono andato
fino a Livorno a comprare un biglietto che mi è costato 160 mila
lire e allo stadio nessuno me lo ha controllato". Come è entrato
? Semplice. "Come molti altri ai quali nessuno prestava
attenzione". E con questi criteri in tanti sono finiti nel
settore della morte.
1 giugno 1985
Fonte: La Repubblica
ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985
Quella inutile
riunione in tribuna
di Gianni Minà
Tre giorni dopo la tragedia, siamo in
grado di ricostruire la grottesca riunione svoltasi all'interno
dello stadio "Heysel", alle spalle della tribuna d'onore:
otterremo il quadro completo della superficialità, della
presunzione delle autorità belghe addette alla sicurezza dello
stadio. Erano circa le 20.30, più d'un'ora dopo l'inizio della
tragedia e solo allora questi soloni si riunivano per prendere
decisioni. Tutto questo cinico distacco contrastava invece con
l'efficienza del servizio di soccorso civile. In quel breve
lasso di tempo infatti erano già state organizzate tende da
campo, autoambulanze, elicotteri per il trasporto dei feriti.
Vigili del fuoco e Croce Rossa lavoravano con umanità ed
efficienza malgrado l'angoscia per la portata del dramma, mentre
il Borgomastro di Bruxelles, bicchiere di whisky in mano, era
preoccupato solo di far chiudere bene le tende della vetrata
della sala perché la gente che fuori si affannava fra
disperazione, rabbia, solidarietà e dolore non si accorgesse di
loro. Erano riuniti con il Borgomastro che in Belgio ha funzioni
anche di prefetto, il commissario coordinatore del servizio allo
stadio, Monsieur Poels, il presidente dell'Uefa Georges
(francese), il vicepresidente lo svizzero Braun Gartner, e,
oltre a Boniperti e al presidente del Liverpool, anche i
ministri De Michelis e Nicolazzi, il presidente della
Federcalcio Sordillo con il segretario Borgogno e i dirigenti
della Federazione belga maldestra, per non dire sciagurata
organizzatrice della finale di Coppa Campioni. Dentro, nella
sala della tribuna d'onore il commissario Poels aveva intanto
cercato di difendere il suo operato sostenendo che il piano per
il controllo allo stadio era stato preparato accuratamente e che
quindi tutto era successo per una tragica fatalità o una
insensata, imprevedibile iniziativa dei tifosi del Liverpool.
Poels mentiva sui controlli, perché gli stessi scampati dalla
carneficina del settore "Z", ci avevano mostrato un attimo prima
feriti, stracciati, o impauriti, le loro borse o i loro
tascapane che nessuno aveva mai controllato all'entrata, ma
almeno lui cercava di essere preciso, obiettivo. Il Borgomastro
di Bruxelles lo smentiva dicendo che tutto era dovuto
all'incontenibile aggressività di due fazioni esagitate e
violente come quelle dei tifosi del Liverpool e della Juve.
Sordillo e Boniperti si battevano subito, data la tragica
situazione venutasi a creare, per la non effettuazione della
partita. Ma non venivano assecondati. Il comportamento dell'Uefa
e della Federazione belga faceva sorgere il dubbio, atroce ma
legittimo, che più che l'ordine pubblico o la morale di quello
che stava succedendo, interessasse l'incasso da restituire al
pubblico oltre ai contributi da ridare agli sponsor presenti con
i cartelli allo stadio Heysel. E poi le "querelles"
dell'assegnazione della Coppa a tavolino, e i problemi di
stabilire la responsabilità oggettiva di quelli del Liverpool
piuttosto che di quelli della Juve. Marionette nelle mani di
questi cinici burattini diventavano i giocatori delle due
squadre. Alcuni di quelli della Juve erano andati poco prima, di
loro iniziativa, in mezzo ai loro tifosi, acquartierati nella
curva opposta a quella della tragedia, per coscientizzarli. Poi
si giocava la partita, tra finzione e realtà e al gol di Platini
si capiva che la gente nello stadio, anche la maggior parte
degli italiani non aveva capito o non era riuscita ad intendere
la portata del dramma. Dieci minuti prima che la
rappresentazione finisse tutti i burattinai, fino in fondo
inadeguati alle loro responsabilità, se la filavano dallo
stadio. Un anonimo dirigente belga consegnava a Scirea una Coppa
nello spogliatoio perché la facesse vedere ai tifosi juventini.
Sull'aereo che la mattina dopo da Bruxelles ci portava a Città
del Messico quattro giocatori della Juventus, Tardelli, Rossi,
Scirea e Cabrini ancora stravolti dalla terribile esperienza,
spiegavano imbarazzati la loro posizione. "La nostra società e
noi non volevamo giocare per rispetto dei nostri morti. Ce
l'hanno imposto i dirigenti dell'Uefa e della polizia belga per
motivi di sicurezza. Una volta in campo ci siamo resi conto che
il pubblico, anche quello italiano, era completamente all'oscuro
o poco informato delle reali dimensioni della tragedia. Questa
realtà è stata chiara al momento del gol di Platini. Abbiamo
comunque continuato a giocare schiacciati da una responsabilità
enorme per evitare altri possibili incidenti. La nostra
responsabilità era ancora più grande per la latitanza di coloro
che ci avevano imposto di giocare e che alla fine della partita
erano tutti spariti. Ci hanno consegnato una Coppa e ci hanno
detto di mostrarla ai nostri tifosi. Non ci rimaneva che
terminare la nostra recita. L'abbiamo fatto. Nessuno è venuto a
dirci niente. Ci hanno solo raccomandato di rimanere nella metà
campo dello stadio dove c' erano i tifosi della Juventus. Non
sapevamo assolutamente che fare, se dirigerci verso il luogo del
disastro e magari eccitare ulteriormente gli animi oppure
recitare soltanto fino in fondo il ruolo che ci avevano chiesto.
Lo abbiamo fatto con la morte nel cuore e speriamo soltanto che
nessuno ci chieda più una cosa simile, mai più".
1 giugno 1985
Fonte: La Repubblica
ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985
di Franco Recanatesi
ROMA - Prima al Quirinale, poi alla
Camera, infine a Palazzo Chigi. Per cinque ore, ieri, in sede
politica non s' è parlato d'altro. E a conclusione di incontri
riservati, dibattiti, riunioni, il governo ha pubblicamente
manifestato il proprio pensiero e le proprie risoluzioni circa
l'orribile sciagura dello stadio di Bruxelles e anche i suoi
immediati risvolti. Dal Consiglio dei ministri è emersa una
convinzione netta: le responsabilità vanno ricercate presso i
governi inglesi e belga, verso i quali verrà compiuto un passo
ufficiale "per avere spiegazioni e chiarimenti sulle misure
preventive e sui dispositivi di sicurezza" adottati. O non
adottati. Chiaramente, per ciò che riguarda l'Inghilterra, la
protesta va interpretata in toni pacati: le si rimprovera
soltanto di non avere saputo controllare o prevedere le
intemperanze dei suoi cittadini (recidivi) in trasferta. Tant' è
che proprio in apertura del suo comunicato, Craxi ha voluto
rendere omaggio alla Thatcher ricordando "la commossa
partecipazione del governo britannico". Le colpe maggiori, senza
ombra di dubbio, appartengono ai Belgi: impreparati,
inefficienti. E anche all'Uefa, alla quale il nostro governo
chiederà "le ragioni che hanno portato alla scelta di uno stadio
manifestamente inadeguato per lo svolgimento della partita". I
rapporti Italia-Belgio, più che quelli Italia-Inghilterra,
sembrano in sostanza avere subito una incrinatura dopo la
tragedia dello stadio "Heysel". Al ministro dell'Interno Charles
Ferdinand Nothomb, autore di una difesa per la verità irritante,
i ministri italiani non hanno risparmiato giudizi aspri. "Di
fronte alle sue parole non possiamo fare a meno di manifestare
la nostra delusione", ha detto Oscar Mammì alla Camera. Oscar
Scalfaro ha definito "un momento poco felice" quello del suo
omologo. Ma com' è andata esattamente allo stadio Heysel ? Craxi
- reduce da un colloquio con Pertini dedicato in gran parte ai
fatti di Bruxelles - lo ha chiesto in apertura di riunione ai
suoi ministri, in particolare a De Michelis e Nicolazzi,
testimoni oculari della tragedia. Soprattutto, il presidente del
Consiglio, che aveva condannato la decisione di giocare la
partita come "una prova di cinismo", voleva sapere se tale
decisione riposava su basi valide. Sì, gli hanno risposto i due
ministri, era necessario giocare. Perché ? Entrambi lo hanno
spiegato anche ai giornalisti: Nicolazzi: "Era l'unica maniera
per far defluire le tifoserie dallo stadio senza altri
incidenti. Occorreva prendere tempo per consentire l'afflusso
sia dei mezzi che avrebbero dovuto trasportare gli inglesi ai
loro treni, sia di ulteriori forze di polizia". De Michelis:
"Abbiamo chiesto alle autorità belghe: siete in grado di
organizzare un deflusso senza altri rischi ? Al momento no, ci
hanno risposto. Non c' era altra scelta che quella di far
disputare l'incontro. Occorre tener presente che tutto si
svolgeva in un clima allucinante, che molti avevano perso la
testa". Nicolazzi: "Ci siamo riuniti con il sindaco - il
borgomastro - il capo della polizia. Non sapevano neanche chi
fossimo e perché ci agitassimo tanto. Lo confesso, anche noi
eravamo terrorizzati. Io pensavo: come faremo ad uscire dallo
stadio ?". De Michelis: "Il borgomastro di Bruxelles è arrivato
persino a minacciarmi di arresto. Ma è stata una battuta nervosa
di un uomo nervoso. Il pericolo maggiore non era la rabbia, ma
il panico che aveva assalito le migliaia di tifosi italiani
stipati in quella tribuna. Ci venivano addosso, gridavano.
Imploravano aiuto, protezione. Noi potevamo fare ben poco.
Neanche i telefoni funzionavano più". Condanna
all'inefficientismo belga, dunque, un velato rimprovero alla
Thatcher (Scalfaro: "La violenza dei tifosi inglesi è nota da
anni, lo Stato che li ha come cittadini deve provvedere in
qualche modo"), ma anche - da parte di numerosi rappresentanti
politici - censure severe di alcuni atteggiamenti di casa
nostra. Craxi si è detto "indignato" per le manifestazioni di
giubilo degli Juventini che hanno avuto luogo la sera stessa
della tragedia. Gesti che "hanno superato ogni limite di
amoralità e incoscienza". Mammì ha stigmatizzato duramente le
scritte inneggianti agli assassini di Bruxelles comparse sui
muri di alcune città italiane. Scalfaro ha annunciato
l'accertamento di eventuali responsabilità da parte di "tifosi
italiani che in Tv sono stati visti a volto coperto". Diciamolo:
di teppismo e cinismo è ricco anche il nostro paese. Ed anche di
cattivo gusto. Di quel festoso giro di campo dei giocatori
juventini caprioleggianti si è discusso molto ed in termini
tutt'altro che lusinghieri. Forlani, ex calciatore, ne ha
riportato "un'impressione penosa", il radicale Rutelli è andato
giù di piatto: "Il comportamento dei protagonisti dell'impresa
calcistica è stato infame". D'Onofrio, senatore Dc, ha avanzato
una richiesta formale alla Juventus, affinché restituisca la
Coppa dei Campioni: "Sarebbe la sola soluzione capace di
restituire dignità al calcio". E la televisione ? Anche sulla
Rai sono state lanciate delle pietre. Secondo De Michelis, "in
via Teulada dovevano pensare che sarebbe stato meglio non
trasmettere la partita". Ma l'indignazione maggiore l'ha
suscitata la telecronaca di Bruno Pizzul, il quale ha superato
ogni limite definendo quella dello scorso mercoledì "una
giornata radiosa per lo sport italiano". Nel corso del dibattito
alla Camera, ciò è stato sottolineato sia dal comunista Serri
che dal democristiano La Russa. Quest' ultimo ha definito Pizzul
"un imbecille per il quale proviamo pietà". Restano comunque in
piedi due essenziali argomenti: cosa fare per le famiglie delle
vittime e come arginare la violenza negli stadi. Il ministero
degli Interni ha deciso un primo stanziamento di cinque milioni
per ogni famiglia colpita dalla tragedia, indipendentemente
dalle forme di risarcimento previste dall'ordinamento belga. Il
governo predisporrà inoltre una apposita iniziativa legislativa
che stabilisca i benefici da adottare nei confronti delle
vittime di disastri che abbiano caratteristiche eccezionali,
come quello di Bruxelles. Quanto alle future misure di
prevenzione, Scalfaro dovrà studiare la maniera di verificare la
sicurezza degli stadi ogni qualvolta una squadra italiana dovrà
recarsi a giocare all'estero. Lo stesso Scalfaro (che ieri sera
ha avuto un colloquio col presidente del Coni, Carraro)
approfitterà della riunione (20 e 21 giugno) di tutti i ministri
degli interni della Cee per avviare un piano comune per la
difesa delle manifestazioni sportive.
1 giugno 1985
Fonte: La Repubblica
ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985
Pertini ha accolto a Ciampino le prime salme tornate in Italia
di Giuseppe Zaccaria
Sul DC-9 dell'aeronautica
militare le bare di sei tifosi - Commovente abbraccio con la
madre di un giovane postino - Anche Andreotti ed Edoardo Agnelli
all'aeroporto.
ROMA - Erano partiti in pullman, in
macchina, in treno, ammassati, eccitati per la splendida serata
che avrebbero dovuto passare a Bruxelles. Sono tornati in
silenzio, ordinati, allineati nelle loro bare, stese sul
pavimento di un aereo militare. Ad attenderli Sandro Pertini e,
ferma ai bordi della pista, una lunga fila di furgoni funebri.
Il DC-9 del 31° Stormo, lo stesso che nella mattinata aveva
raccolto a Roma e a Pisa i parenti che se l'erano sentita di
volare fino in Belgio, di vedere i loro cari su un lettino della
morgue, è atterrato a Ciampino alle 21.05 in punto. Sulla pista
un altro aereo aspettava da qualche minuto di decollare: per
assurda coincidenza, era un charter diretto a Lourdes. Luci
delle fotoelettriche, un picchetto di avieri: a due passi dalla
piccola aerostazione militare, Pertini, Giulio Andreotti,
Edoardo Agnelli, pochi addetti al cerimoniale. Davanti a tutti
un sacerdote con la stola viola, don Alberto Bonini, cappellano
dell'aeroporto. Quasi negli stessi momenti, un C130 partito da
Bruxelles sta depositando il suo triste carico a Linate e a
Pisa. Altre tre bare: ciascuna vittima, il più vicino possibile
alla sua città d'origine, ai parenti in attesa. Anche a
Ciampino, ieri, c'era gente che aspettava piangendo: erano
venuti da Rieti, Frosinone, Arezzo, restavano quasi in disparte,
dietro una transenna, un po' storditi. Per qualche minuto, solo
il rumore assordante dei reattori, l'immobilità degli uomini in
attesa. Poi un grido, quello di una donna appena scesa
dall'aereo, sorretta da due giovani con la barba non fatta, gli
occhi cerchiati. Era la madre di Rocco Acerra, 29 anni, postino
di Francavilla a Mare. Suo figlio era lì, nella stiva
dell'aereo, rinchiuso in una bara di mogano. E accanto al suo
corpo c'era quello di Nino Cerullo, 24 anni, che era in coppia
con la fidanzata più la sorella. Erano partiti assieme, in auto,
assieme ritornano. Sandro Pertini è riuscito solo ad abbracciare
quella donna piangente, a mormorarle qualche parola di conforto.
Ma sulla scaletta del DC-9 già apparivano altri volti disfatti,
altri occhi piangenti. Una terza camminava a fatica, sorretto da
altri: sull'occhio, una benda enorme. Era Fabrizio Messore, 19
anni, origine torinese, casa in provincia di Frosinone. Anche
lui aveva voluto seguire la salma del fratello, Loris. I carri
funebri si avvicinano, la loro lucentezza appare quasi stonata.
Una dopo l'altra, gli avieri tirano fuori dal ventre dell'aereo
sei bare: Messore, Cerullo, Rocco Acerra, e poi quelle di
Roberto Lorentini, 31 anni, medico di Arezzo; Gianni Mastroiaco,
20 anni appena, geometra di Rieti. Era andato a Bruxelles su un
pullman del "Juventus Club". Il padre, Raniero, 50 anni, fa il
ruspista: quando gli dicono che la bara del figlio è quella lì
scoppia a piangere, grida. Devono sorreggerlo per portarlo via.
L'ultimo feretro è quello di Franco Martelli, 23 anni: era
partito da Todi. Altri corpi, dice un generale dell'Aeronautica,
arriveranno domani con due aerei, militari e un velivolo belga.
Adesso non resta che raggruppare i carri funebri lì, in fondo
alla pista. Auto della polizia li scorteranno fino ad Arezzo,
Frosinone, Todi. Nessuno piange più, becchini e gli altri si
allontanano, anche il DC-9 ha spento i motori. Le ultime scene
tornano a svolgersi in un silenzio irreale, assoluto. Ma poi,
cos'altro ci sarebbe da dire ?
1 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA ITALIA
1.06.1985
Annullate
manifestazioni Festa d'Europa
VICENZA - In segno di lutto per la
morte di Amedeo Spolaore e Mario Ronchi, i due cittadini
bassanesi morti durante gli incidenti di Bruxelles, sono state
sospese le principali iniziative della Festa dell'Europa, in
corso a Bassano del Grappa. Sarà invece mantenuto un convegno
sullo "Sport come veicolo di amicizia e di pace", in programma
oggi. Non sarà inoltre rinviata una festa sportiva, cui
interverranno oltre mille ragazzi delle scuole elementari
d'Italia e di altri Paesi.
1 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA ITALIA
1.06.1985
Il governo presenterà una legge per aiutare le famiglie delle
vittime
Scalfaro convoca un vertice per
la sicurezza negli stadi
di Alberto Rapisarda
Polemiche sul giro d'onore degli
Juventini - De Michelis: "Lo dovevano fare"
ROMA - "Sono indignato per le
manifestazioni che hanno avuto luogo in alcune città italiane la
sera stessa della tragedia. Hanno superato ogni limite di
amoralità e di incoscienza" ha detto ieri al Consiglio dei
ministri il presidente Bettino Craxi. Tra Palazzo Chigi e la
Camera dei deputati, dove c'è stato un dibattito sulla strage
allo stadio di Bruxelles, i politici hanno cominciato ieri a
riflettere sulle conclusioni da trarre dopo la tragedia. Non si
tratta più tanto di cercare ancora i responsabili del massacro
nello stadio. C'è qualcosa di meno definibile ma, forse, di
molto più grave. C'è il disorientamento per avere scoperto che
in tante città italiane, a cominciare da Torino, ci sono stati
tifosi che hanno avuto l'incoscienza e la disumanità di scendere
per strada a far festa dopo la partita. Ma sono sotto accusa
anche la Rai-Tv che ha voluto trasmettere la partita ugualmente,
con i morti distesi dietro le tribune, la stampa sportiva
("mass-media debbono essere messi sotto stretto controllo" ha
detto il repubblicano Cifarelli), le società di calcio che
finanziano i club di tifosi fanatici. Si prepara un giro di vite
per garantire prima di tutto più sicurezza negli stadi italiani,
ma anche per ridare allo sport la sua originaria funzione di
affratellamento e di confronto corretto. Lo ha annunciato il
Consiglio dei ministri, che non si è nascosto come il problema
del dilagare della violenza nello sport ci riguardi
direttamente. Ieri sera il ministro dell'Interno Scalfaro si è
incontrato col presidente del Coni, Carraro, per esaminare le
misure da adottare subito per la sicurezza negli stadi. Per il 3
giugno è già previsto un vertice, convocato da Scalfaro, con
Carraro, rappresentanti della Federcalcio e i massimi
responsabili dell'ordine e della sicurezza pubblica. I ministri
dell'Interno dei Paesi della Comunità europea si incontreranno
il 20 e il 21 giugno per esaminare lo stesso problema. Il
ministro Scalfaro ha detto che vanno accertate "le eventuali
responsabilità di tifosi italiani che in tv sono stati visti a
volto coperto". Il dibattito a Montecitorio sulle interrogazioni
e le interpellanze presentate da tutti i partiti è stato quanto
mai accalorato. Il ministro Mammì ha presentato una relazione
sui fatti di Bruxelles e non ci sono state discriminanti
politiche. Il Parlamento ha reagito con la solidarietà che si
ritrova di fronte alle catastrofi naturali. Quasi tutti sono
rimasti colpiti dai caroselli dei tifosi dopo la partita ("l'ora
più triste e penosa", per il radicale Rutelli; e "in quelle
poche ore si è consumata una tragedia della nostra vita
collettiva e civile" per il comunista Serri). Quasi tutti hanno
stigmatizzato le manifestazioni di gioia dei calciatori
juventini, che tenevano alta la Coppa vinta su un campo
insanguinato. Il ministro Mammì le ha definite "inopportune". E
ha detto di condividere l'opinione della presidente della Camera
circa "l'assurdità e la disumanità dello svolgimento della
partita dinanzi a decine di morti". E' quello che ha sostenuto
anche il presidente del Consiglio. Ma il suo compagno di
partito, il ministro De Michelis, ha spiegato che non si poteva
fare a meno di giocare la partita per problemi di ordine
pubblico. "Il giro del campo degli juventini al termine della
partita è servito per tenere ancora nello stadio i tifosi
italiani mentre gli inglesi lasciavano le tribune", ha detto De
Michelis, che era a Bruxelles. Anche lui sostiene però che la
partita non andava trasmessa dalla Rai-tv. "E’ inconcepibile
l'odio sportivo che spinge teppisti a inneggiare agli incidenti
con scritte comparse sui muri di alcune città; ha concluso il
ministro Mammì. Il ministro Scalfaro ha anche annunciato che il
governo presenterà in Parlamento un disegno di legge per i
soccorsi alle famiglie delle vittime. Il governo italiano
compirà passi ufficiali presso quelli di Inghilterra e Belgio.
1 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985
Un DC-9 militare ha portato a Bruxelles i familiari delle
vittime dello stadio
Arriva oggi l'aereo del dolore
di Marco Neirotti
E’ atteso verso mezzogiorno,
porterà le salme di Giovacchino Landini e di Domenico Russo -
Composta reazione dei parenti ieri mattina all'aeroporto:
"Sappiamo bene quello che ci attende"- I genitori di una
ragazza: "Siamo stati troppe ore senza notizie, è in coma"- Ieri
sera l'arrivo dei primi feriti: sulla pista ad aspettarli c'era
il sindaco.
"L'ufficio di polizia ? In fondo a
sinistra". I primi verso le 10, via via gli altri. Parenti di
vittime, feriti, dispersi nel massacro di Bruxelles - informati
che un aereo militare li avrebbe accompagnati in Belgio - si
radunavano ieri mattina a Caselle. Alcuni di loro sono rientrati
alle 21.10, stesso aeroporto. Viaggiavano con due feriti dimessi
dagli ospedali. E per questa mattina è atteso l'aereo del
dolore: quello con le salme delle vittime. Ieri sera, ore 21.10,
dopo voci contrastanti, dubbi, attese, un C130 scende sulla
pista. Ad aspettarlo anche il sindaco Cardetti, tre
crocerossine, parenti. Scendono alla spicciolata, salgono sulla
"navetta": due feriti (uno è Alberto Moschella, col braccio
rotto), gli altri sono parenti partiti in mattinata: il figlio
di Giovacchino Landini, i fratelli di Domenico Russo. All'uscita
dall'aeroporto sono infastiditi dall'eccesso di flash e
riflettori, ma subito si disperdono tra parenti e amici. E' la
fine d'una giornata di dolore cominciata dodici ore prima. Sono
le 10 di ieri. Arrivano lenti, occhi lucidi, qualche bagliore
d'ira. Punto di riferimento è il dottor Ninetti, commissario di
polizia all'aeroporto. Li accoglie senza false cerimonie. Tutti
si raggruppano sulle poltroncine dell'atrio. Parlano come si
conoscessero da prima della sciagura che li ha uniti in un
abbraccio di sangue. Ci sono Carola Bandiera, moglie di
Giovacchino Landini, il ristoratore torinese di via Spotorno
morto nello stadio, e i figli Monica e Andrea. Ci sono i due
fratelli di Domenico Russo, l'elettricista di Moncalieri anche
lui vittima della follia. Ci sono quattro familiari di Barbara
Lusci, 57 anni, di Domus Nova (Cagliari). Ci sono Carmine
Salamida e Giuseppina Locatelli, di Finale Ligure, genitori di
Laura Salamida, 27 anni, sposata con l'elettricista Giorgio
Bianchi: lei è in coma in un ospedale, l'hanno operata d'urgenza
allo stomaco, sta guardando in faccia la morte. Ci sono Rosita e
Daniela Binelli, moglie e cognata di Marco Manfredi, 40 anni,
dipendente dell'ospedale di Moncalieri, giunto a Bruxelles con
amici che l'hanno perso di vista all'ingresso: il suo nome non è
tra i morti, non è tra i feriti, è perso nel nulla. E c'è Vanda
De Biase, giovane, silenziosa, s'apparta quando vede l'assalto,
dei cronisti: il fratello, Loris Messore, 27 anni, apre l'elenco
delle vittime. Sono uomini e donne straziati da quello stadio.
Siedono sulle poltroncine d'atrio tra uffici di polizia e
telefoni, sanno che prima o poi il gruppetto di cronisti,
fotografi, operatori di Rai e Stampa verrà a spezzare la loro
comunione di parole, silenzi e pianti. Qualcuno rompe il
ghiaccio, s'avvicina alla vedova di Landini. Parlano. Poi lei si
perde nel pianto e dice che "sa cosa l'aspetta a Bruxelles: lui
calpestato e schiacciato e pestato". Un fratello di Russo
percorre avanti e indietro due metri di pavimento, muove il
giornale e dei giornali dice "che sono contenti quando succedono
queste cose perché vendono più copie", poi attenua lo sfogo,
racconta angosciato: "Avremmo voluto partire subito, ma ci è
stato consigliato di aspettare, di non prendere iniziative
personali. Adesso non sappiamo se potremo tornare con i loro
corpi". Carmine e Giuseppina Salamida parlano della figlia
Laura: "è in coma profondo. Quanto tempo per avere sue
notizie...". L'hanno trovata senza vestiti...". Ancora lacrime
disperate. E proteste contro la disorganizzazione italiana che
ha fatto il paio con quella belga. I numeri di telefono "sempre
occupati", ritardi "nel dirci i nomi", "palleggiamenti da un
ufficio all'altro quando chiedevi come andare lassù". E' quasi
ora, il gruppo si raccoglie alle "partenze internazionali".
Chiedono che finiscano le interviste: "Non c'è altro da
aggiungere". Il dottor Ninetti avverte: "Lasciateli tranquilli".
Le 11.40: atterra il DC9 3112 del 31° stormo dell'Aeronautica
Militare di Ciampino. A bordo due passeggeri saliti a Bari e
otto a Roma. "Il piano di volo prevede l'arrivo a Bruxelles alle
13.15 - spiega il comandante Vincenzo Masi. Appena possibile
rifaremo le stesse tappe in senso inverso, riportando eventuali
parenti e feriti trasportabili". E' mezzogiorno quando i sedici
passeggeri escono sulla pista, non sanno che alcuni rientreranno
già in serata. Pochi metri fra tettoia e DC9. S'avvicinano alla
scaletta. Alcuni si fermano, stringono la mano al dottor
Ninetti: "Grazie". Salgono la scaletta. Alle 12.08 il DC9 è
lanciato sulla pista.
1 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985
Boniperti: "Assurdo restituire la
Coppa"
di Bruno Bernardi
"I giocatori l'hanno vinta sul
campo"- Sulla sospensione dei club inglesi: "Devono giocare, ma
lasciare a casa la teppaglia"- Sui tifosi esultanti: "Non hanno
avuto piena coscienza della verità" - Sulle malignità di una
tivù belga: "Vogliono sviare le responsabilità di Bruxelles".
TORINO - "Restituire la Coppa ? No,
rimane alla Juventus perché l'hanno vinta i giocatori, sul
campo". Questa la secca replica di Giampiero Boniperti ai due
senatori italiani, "sorpresi e rammaricati" che il gesto non sia
stato compiuto a Bruxelles dopo la partita: "I politici parlano
da lontano ma i loro colleghi che hanno vissuto da vicino quella
orribile esperienza, si sono perfettamente resi conto di tutto".
La Coppa dei Campioni è nell'ufficio del presidente, sulla
moquette, davanti alla scrivania. L'ha sognata da sempre, come
una bella donna, ma non avrebbe mai immaginato di portarla a
Torino dopo un bagno di sangue e lacrime. "Non dormo da due
notti", dice al telefono ad un amico che gli manifesta
solidarietà per la luttuosa trasferta in Belgio. Gli sono
arrivati telegrammi di congratulazioni e cordoglio da tutte le
società di Serie A e B. L'attualità e le polemiche incombono. A
Bruxelles una televisione ha addirittura parlato di partita
"truccata", di risultato concordato in una riunione a cui
avrebbe partecipato anche l'arbitro. Durissima la risposta di
Boniperti che preannuncia querele: "Inaudito, pazzesco. A quella
riunione, per decidere se giocare o meno, c'erano una trentina
di persone. Adesso capisco anche la leggerezza dell'Uefa di
assegnare al Belgio l'organizzazione di una finale. Mettono in
giro simili assurdità per sviare le loro gravissime
responsabilità". Lo informiamo che la Federcalcio inglese ha
deciso di escludere le proprie squadre di club dalle Coppe
internazionali per un anno, come autopunizione, per quanto è
accaduto a Bruxelles. Boniperti prende atto: "Ho rispetto per
questa gente che ha insegnato il football ma che ha dei tifosi
indegni. Le squadre inglesi debbono giocare, lasciando a casa la
teppaglia". - Cosa si può fare per evitare l'incubo di una
seconda Bruxelles in futuro ? "Ho sempre battuto il tasto
dell'ordine pubblico. L'Inghilterra è civilissima ma deve
emarginare questi delinquenti degli stadi come un fatto
politico, perché rovinano la società e lo sport. I nostri tifosi
erano andati a Bruxelles per assistere ad una finale
importantissima, non per fare la guerra. Chiaro che le teste
calde sono dappertutto, anche in Italia, vanno isolate. Deve
intervenire il governo per evitare che minoranze affossino il
calcio. E ci vogliono stadi modernissimi, più funzionali e
robusti, con adeguato servizio di polizia per scongiurare altre
barbare tragedie". - C'è anche chi si è indignato per
l'esultanza dei suoi giocatori dopo la vittoria sul Liverpool,
ritenendolo un comportamento irriverente verso i "caduti"...
"I giocatori si erano
adoperati per calmare i nostri tifosi prima della gara. Poi
hanno voluto ringraziarli e salutarli, rientrando subito nella
psicologia del gravissimo momento. Nessuna festa: dopo cena sono
andati a dormire. Parecchi di loro non hanno quasi chiuso
occhio, girando come automi in albergo fino all'alba". - E che
ne pensa dei caroselli dei tifosi nel centro di Torino e in
altre città italiane, che hanno scandalizzato l'opinione
pubblica ? "Evidentemente molti non hanno avuto piena coscienza
della vastità della tragedia. Il giorno dopo non c'era nessuno a
ricevere la squadra a Caselle. Solo i tifosi che l'avevano
preceduta su un altro aereo e che aspettavano i bagagli.
Qualcuno ha accennato, istintivamente, ad un blando applauso.
Nient'altro, nessuna bandiera. Le scritte deliranti sui muri
dello stadio ? Non meritano commenti".
- Cosa sta facendo la
società, oltre alla sottoscrizione per i parenti delle vittime,
per le centinaia dì feriti rimasti a Bruxelles ? "Platini e
Tacconi, accompagnati da Morini, partono in mattinata per
Bruxelles. Assistiti dal nostro ambasciatore andranno a visitare
i feriti.
1 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA ITALIA
1.06.1985
Per Laura Bianchi ancora in
ospedale un filo di speranza
di Alberto Dressino
FINALE LIGURE - Seppur molto
lentamente, le condizioni di Laura Bianchi, 27 anni, finalese,
madre di due figli, rimasta gravemente ferita durante i
disordini che hanno preceduto la finale della Coppa dei
Campioni, stanno migliorando anche se i sanitari belgi non hanno
ancora sciolto la prognosi. Le ultime notizie giunte
dall'ospedale di Jette dov'è tuttora ricoverata in sala di
rianimazione, segnalano qualche piccolo segno di reazione da
parte della donna che continua ad essere tenuta nella tenda ad
ossigeno. Nella giornata di ieri ha più volte risposto, anche se
flebilmente, alla stretta della mano del marito, Giorgio
Bianchi, idraulico, 33 anni, che instancabilmente da due giorni
è seduto al suo fianco. Proprio all'intervento del marito, Laura
Bianchi deve probabilmente la vita. Dopo la furia selvaggia di
centinaia di persone in fuga che l'hanno ripetutamente
calpestata. Laura priva di conoscenza giaceva esanime sotto i
corpi di altri sei italiani ormai cadaveri e pare che i primi
soccorritori l'avessero considerata già morta. E' stato il
marito invece a ritrovarla poco dopo in una pausa tra le varie
cariche dei tifosi inglesi, ed a trascinarla via con l'aiuto di
uno spettatore belga. Immagini che difficilmente verranno
dimenticate dai protagonisti come anche racconta con la voce
rotta dall'emozione, nonostante siano passati già più di
quarantott'ore da quei tragici momenti, Bruno Folco, uno dei sei
finalesi del gruppo del quale faceva parte Laura Bianchi: "In
quel momento ho visto veramente la morte in faccia e ancora
adesso non so come ho fatto a salvarmi. Ho visto scene di
inaudita violenza e poi quella marea che mi trascinava
letteralmente via senza che potessi fare niente. Ad un certo
punto ho sentito qualcuno sotto di me che gridava aiuto, mi sono
chinato per aiutarlo ma sono stato trascinato via. Non è
possibile che possono capitare cose del genere per una partita
di calcio". La comitiva era riuscita all'ultimo momento a
trovare i biglietti per assistere alla partita e pare che al
momento dell'acquisto l'agenzia avesse assicurato che si
trattava di tagliandi validi per la tribuna. Da Finale Ligure
erano così partiti Giorgio e Laura Bianchi, Enrico e Tecla
Coppa, Bruno Folco ed un loro conoscente di Boissano. Con
l'aereo avevano raggiunto Bruxelles nelle prime ore del
pomeriggio ed erano riusciti a sedersi per tempo nel famigerato
settore "Z" della gradinata Nord. "Sono cominciate a volare
pietre di grosse dimensioni che si abbattevano sulle nostre
teste, ha detto un altro testimone oculare".
1 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA ITALIA
1.06.1985
I
genitori accorrono in Belgio
Ieri sono partiti da Torino, a
bordo di un aereo militare - Il pianto disperato della madre.
TORINO - Sono arrivati da Finale
all'aeroporto torinese di Caselle verso le 10. Devastati da due
giorni di dolore. Carmine Salamida e Giuseppina Locatelli, i
genitori di Laura Salamida in Bianchi - la donna di 27 anni,
madre di due bimbi, ricoverata in ospedale per le ferite
riportate nel massacro di Bruxelles - si sono uniti ad altri
parenti di vittime o feriti che aspettavano l'aereo militare che
li avrebbe portati in Belgio. "Nuda, a terra, spogliata e quasi
morta, l'hanno trovata così mia figlia. Dall'altra sera non ha
più ripreso conoscenza", ripeteva la madre e il suo pianto
zittiva flash e telecamere, gelava cronisti, fotografi, curiosi,
radunati davanti agli uffici del commissariato dell'aeroporto,
dove il funzionario, dottor Ninetti, offriva un punto di
riferimento a tutti. "Era con suo marito, li hanno travolti. Lui
se l'è cavata, è rientrato in Italia, ad avvertirci, poi è
tornato là. Lei è tra la vita e la morte". Altro pianto, altri
silenzi. Non sanno, non possono farsene ragione. "Basta, basta
così, è inutile dire altro, non c'è niente da dire", taglia
corto il padre. Laura Salamida era partita per Bruxelles col
marito. Giorgio Bianchi, idraulico, e alcuni amici. Sono loro a
raccontare che dopo "lanci di pietre e bottiglie, dopo il salto
della recinzione", sono cominciate "bastonate e coltellate
all'impazzata". E' stato Giorgio Bianchi a ritrovarla, ancora in
vita, ma quasi agonizzante, una larga ferita allo stomaco.
All'ospedale Laura è stata operata d'urgenza, ora sta
migliorando. "Ma è tutto assurdo, non è concepibile: troppo
tempo per sapere qualcosa, per sapere se potevamo partire, per
sapere qualcosa in più sulla prognosi. Possibile che ci voglia
tanto tempo ? Laura sembrava svanita nel nulla" m. nei.
1 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA ITALIA
1.06.1985
Un altro novarese ferito è tornato da Bruxelles, ecco la sua
drammatica vicenda
"Mi avevano messo assieme ai
morti poi si sono accorti che ero vivo"
di Marcello Sanzo
Enzo Savino, 41 anni, titolare
di una pizzeria in corso XXIII Marzo a Novara, è ricoverato
all'Ospedale Maggiore con una contusione toracica e alcune
costole incrinate - Era con il gruppo di cui faceva parte Mario
Spano, il cuoco dell'Autogrill Pavesi rimasto ucciso.
NOVARA - Enzo Savino, 41 anni, titolare
di una pizzeria in corso XXIII Marzo, è tornato da Bruxelles con
una contusione toracica e alcune costole incrinate. Era uno dei
quattro novaresi rimasti coinvolti nei gravissimi incidenti che
hanno preceduto la finale della Coppa dei campioni fra Juventus
e Liverpool. Un gruppo sfortunato il suo: erano partiti in
quattro pregustando lo spettacolo sportivo al quale andavano ad
assistere. Sono tornati solo in tre, due dei quali feriti. Il
quarto, Mario Spano, una delle vittime dell'assurda strage, è
rimasto nell'obitorio di Bruxelles. Savino, appena arrivato a
Novara, è stato ricoverato nella divisione di pneumologia
dell'ospedale Maggiore, le sue condizioni non sono preoccupanti
e dovrebbe rimettersi in pochi giorni. Ma occorrerà parecchio
tempo prima che possa riacquistare la serenità. "Quando sono
rinvenuto, dopo la terrificante ondata umana che ha travolto me
e i miei amici, ero dentro il campo di gioco. Non so come ci
sono arrivato. So solo che gli addetti ai soccorsi avevano
creduto che fossi uno dei tanti morti e mi stavano allineando
assieme ai cadaveri". Gli occhi ancora sconvolti rivedono le
immagini ormai impresse indelebilmente nel suo animo. A stento
riesce a parlare, sia per lo choc, sia per il dolore al torace:
"Ci eravamo sistemati tutti e quattro lontano dalla linea di
demarcazione tra tifosi italiani e sostenitori del Liverpool.
Temevamo il lancio di oggetti e ci siamo preoccupati di trovare
posto al limite della curva, fuori tiro. La sera prima avevamo
assistito alle intemperanze degli inglesi per le vie di
Bruxelles e volevamo evitare inconvenienti". Con voce rotta
dall'emozione Franco Savino ricorda l'improvviso attacco dei
forsennati tifosi inglesi: "C'è stata la fuga generale degli
juventini che si trovavano a contatto con gli assalitori e
questo ha provocato una indescrivibile pressione su quelli che,
come noi, erano a ridosso del muretto che delimita la curva, lo
stesso che poi è crollato", "La gente calpestava quelli che
cadevano, si sentivano urla di dolore, invocazioni di aiuto. Io
sono stato trascinato da una corrente che si dirigeva verso il
campo e ho perso i sensi. Credo di essere vivo per miracolo. La
partita ? No, non l'ho vista: quando mi sono ripreso me ne sono
tornato in albergo dove ho atteso gli altri tre. Due sono
arrivati subito e assieme abbiamo atteso per tutta la notte
Mario Spano. Solo la mattina dopo abbiamo appreso che era morto
e abbiamo pianto dalla disperazione. No, non credo che andrò più
a vedere una partita di calcio".
1 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985
I manifesti a lutto del comune: costernazione per la tragedia
di Bruxelles
Condanna per i teppisti di
Liverpool e rammarico per il giubilo in città
Vessilli bianconeri listati a lutto,
ieri sera a Maria Ausiliatrice, dove alle 21 i salesiani, nel
corso della messa conclusiva del mese mariano, hanno dedicato
ricordi e preghiere alle vittime. La bandiera della squadra era
scortata dal direttore tecnico della società, l'ex calciatore
Francesco Morini, e da tre giovani sportivi i quali hanno preso
posto davanti all'altare, assistendo alla cerimonia celebrata da
don Giovanni Sangelli. Nel corso della messa, il sacerdote ha
ricordato con poche parole commosse la tragedia di tanti
innocenti e sottolineato il particolare cordoglio del cardinale
Ballestrero. Esprimendo inoltre una severa condanna per gli
assurdi, oltraggiosi festeggiamenti che si sono svolti in centro
nella notte di mercoledì scorso. Per strade e piazze, intanto,
manifesti listati a lutto ed affissi su iniziativa del Comune
dimostrano oggi con la loro ufficiale testimonianza la
costernazione e la solidarietà della gran massa dei torinesi.
Nel testo, si esprime il dolore della città e si giudica
insufficiente e riduttiva qualsiasi generica condanna della
violenza sportiva. "L'amministrazione - scrive il sindaco
Giorgio Cardetti - ritiene che esistano gravi responsabilità per
quanto riguarda l'organizzazione e la predisposizione delle
misure di sicurezza e d'ordine pubblico". Il manifesto comunale
si chiude infine con severe parole di condanna per il
comportamento dei tifosi del Liverpool e ribadisce, condivisa da
tutti gli amministratori, l'inopportunità del giubilo seguito ad
una competizione che è stata in realtà una sconfitta per tutto
il mondo della sport, costituendo un'inammissibile offesa per
migliaia di famiglie in ansia per i propri congiunti in
trasferta a Bruxelles. Mentre la cronaca amara di queste ore non
risparmia purtroppo neppure il settore cittadino dei locali
pubblici e di spettacolo, che ha aderito soltanto in minima
parte alla chiusura in segno di lutto proposta ufficialmente dal
sindaco Cardetti. Neppure il Regio, l'Alfieri e l'Auditorium
della Rai, dove ci si è limitati ad un momento di silenzio prima
dell'inizio dello spettacolo, hanno sospeso il programma. Alle
critiche piovute su questo atteggiamento, le associazioni di
categoria avrebbero risposto presentando come giustificazione il
ritardo con cui è stato pubblicizzato il provvedimento,
precisando inoltre la difficoltà di adeguarvisi causa impegni
già presi, che vanno dalle prenotazioni dei clienti ai contratti
assunti in precedenza con gli orchestrali.
1 giugno 1985
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985
La Juventus è in vacanza per
dimenticare Bruxelles
di Piercarlo Alfonsetti
I giocatori della Juventus sono partiti
per una breve vacanza: si ritroveranno soltanto martedì
pomeriggio alle 15. Una pausa distensiva ma che sarà
inevitabilmente turbata dal ricordo delle tragiche vicende della
serata di Bruxelles dove hanno vissuto un giorno trionfale dal
punto di vista sportivo ma che verrà ricordato soprattutto con
mestizia per il sanguinario fanatismo dei fans inglesi. Nelle
dichiarazioni dei giocatori bianconeri, d'altra parte, il
pensiero degli sportivi che si sono recati a Bruxelles per
sostenerli nella loro fatica e che sono morti, prevale su ogni
considerazione di carattere sportivo. Uno dei più colpiti è
Tacconi, le sue frasi, pronunciate di getto sull'impeto
dell'emozione, sono taglienti. "Stavamo meglio prima - dice il
portiere juventino - nel senso che se il prezzo della Coppa dei
Campioni doveva essere così elevato e doloroso sarebbe stato
meglio restarne senza. Non è retorico affermare che la Coppa se
l'è guadagnata chi è caduto, ben più di noi". E così, dopo aver
sospirato per tanti anni questa affermazione, la vostra impresa
è giunta in coincidenza con un avvenimento tanto tragico da
impedirvi di gioire. "Abbiamo festeggiato per un attimo sul
campo, a caldo, sullo slancio dell'emozione per il successo che
avevamo conquistato ma poi non c'è stato altro perché nessuno si
sentiva di gioire". A distanza di tre giorni dalla partita
rimbalzano da varie parti del mondo critiche sulla decisione di
far scendere ugualmente in campo le due squadre. "Come
rispondere ? Considerando la situazione e i sentimenti di tutti
dinanzi alla strage che era appena stata consumata, non si
sarebbe dovuto giocare. Ma ora, con il senno di poi e valutando
i gravissimi problemi di ordine pubblico che una scelta diversa
avrebbe comportato, mi sembra di poter dire che i dirigenti
dell'Uefa hanno deciso per il meglio". Durante la partita,
quando si è trovato nella porta vicino alla curva maledetta, le
è successo di gettare lo sguardo verso le gradinate ricoperte di
sangue ? Replica Tacconi: "Sì, ogni tanto per istinto mi voltavo
a guardare. Uno spettacolo che non dimenticherò facilmente". Con
quale animo ha giocato ? "Lo confesso, ero arrabbiato, sconvolto
più che concentrato. Bisogna anche tener conto del fatto che
mercoledì sera siamo rimasti per oltre un'ora negli spogliatoi
senza sapere se avremmo giocato. La tensione era inevitabilmente
alta". Mercoledì sera che cosa è successo quando siete rientrati
in albergo ? "Niente di particolare. Io non ho neppure cenato. E
anche la notte non è stata tanto felice, sono riuscito a
riposare soltanto poche ore". Da ogni dove si moltiplicano le
proteste nei confronti dei folli tifosi inglesi e le proposte di
mettere al bando le società britanniche dal resto d'Europa.
Sarebbe una decisione giusta ? "Ritengo che un provvedimento di
tal tipo dovrebbe interessare esclusivamente i tifosi. Non vedo
perché i giocatori, del tutto innocenti, dovrebbero fare le
spese dell'assurdo comportamento dei loro sostenitori".
1 giugno 1985
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA ITALIA 1.06.1985
La curva della morte porta il marchio del racket dei biglietti
di Michele Ruggiero
Una durissima denuncia del
presidente dei club bianconeri di Torino, Perruquet:
"Bagarinaggio e tagliandi falsi".
DALLA NOSTRA REDAZIONE. TORINO -
"Qualcuno ha gestito i biglietti d'ingresso allo stadio Heysel a
proprio uso consumo perché in quel fatiscente impianto vi erano
10 mila presenti al di sopra della capienza ufficiale ? Quando
ed a chi sono stati venduti i 30 mila tagliandi assegnati alla
Federazione belga ? Per quale motivo la prevendita, che a
Bruxelles doveva cominciare il 2 maggio, è risultata un atto
formale, mentre già dal giorno successivo nelle strade della
capitale belga i bagarini si rigiravano tra le mani mazzette da
400-500 biglietti ? Quale destinazione hanno preso i 2 mila
ingressi consegnati alla Federazione Italiana Calcio ? Ed
ancora: quali provvedimenti sono stati adottati per impedire la
proliferazione dei biglietti falsi ?". Non sono solo
interrogativi, insinuazioni. Sono vere e proprie accuse, quelle
che raccogliamo da un testimone della allucinante notte appena
rimpatriato: Piercarlo Perruquet, popolare presidente dei clubs
bianconeri di Torino. A tratti può darsi che Io tradisca
l’emozione, ma i dati che riporta sono precisi, dettagliati.
Mette il dito sulla piaga; le responsabilità gravi di chi ha
organizzato questo finale di Coppa dei Campioni come se fosse
soltanto un "business", un affare da cui ricavare il massimo
profitto. Piercarlo Perruquet è arrivato a Torino giovedì alle
21.45, con altri 150 tifosi, su uno degli ultimi tre pullman
rientrati nel capoluogo piemontese, i cosiddetti "reduci", come
qualcuno li ha etichettati toccando impropriamente le corde
dell'epica. Sono scesi silenziosi e commossi incontro
all’abbraccio dei loro cari. Ma il giorno dopo, puntuale, è
giunta la denuncia di chi da un decennio organizza, sotto la
propria responsabilità, le trasferte della gente di fede
bianconera: duemila soci a Torino, oltre 400 mila in tutta
Italia. "D'ora innanzi chiederemo alla Juventus attacca deciso
Perruquet - di tener conto delle esigenze dei tifosi e
soprattutto della loro incolumità, non accettando a priori la
scelta di una sede dove disputare una finale, se questa
palesemente inadatta ad ospitare un avvenimento di tale
risonanza. La Juventus dovrà tener conto della nostra opinione,
anche se questo equivale a rimettere in discussione, il
meccanismo di designazione delle sedi in cui effettuare le
finali Uefa". La chiamata in causa del massimo organismo europeo
del calcio non è arbitraria. Lo scorso anno, ci riferisce il
presidente di un club juventino della Svizzera, l’Uefa avrebbe
fatto stampare 5 mila biglietti in più della capienza dello
stadio di Basilea in cui la Juventus affrontò il Porto per la
finale di Coppa delle Coppe. A Bruxelles, secondo i racconti di
molti testimoni, le prime avvisaglie di scontri si ebbero
proprio a causa dell'eccessivo affollamento nel settore
riservato agli inglesi. Ciò significa che non vennero fatti i
necessari controlli all'entrata, per assicurarsi che tutti
avessero il biglietto. "Nello stadio - conferma Perruquet -
si poteva circolare indisturbati da un settore all'altro.
lo ero in tribuna e mi sono subito accorto del pericolo, tanto è
vero che mi sono sistemato in un punto di facile evacuazione,
nel timore che gli inglesi giungessero fin lì. Altri insistono
sull'assurda composizione del pubblico nella grande curva dove i
tifosi bianconeri ed i "reds" erano separati da una fragile rete
metallica. Chi ha stabilito questa collocazione ? Ricordiamo che
lo scorso anno a Roma rinunciarono alla vendita di ben 8.000
biglietti per evitare che nella curva nord dell’0limpico i
tifosi del Liverpool entrassero a contatto con quelli della
Roma. Perché queste semplici precauzioni non sono state prese a
Bruxelles, anche se significava ridurre un poco l'incasso
previsto ? Perché si è permesso che gli Juventus Clubs
acquistassero i tagliandi di quella maledetta curva grazie
all'intervento dei bagarini ? Le autorità belghe sostengono che
quel settore era riservato agli sportivi locali, che dovevano
svolgere la funzione di "cuscinetto" tra le opposte fazioni...
Ma conoscendo la violenza dei "supporters" britannici che non
badano alla nazionalità delle vittime quando si scatenano in
preda ai fumi dell'alcol, la misura era assolutamente
insufficiente. Tanto più che il pubblico locale comprende in
queste occasioni qualche migliaio di emigranti italiani. Tiriamo
le somme: biglietti falsi, biglietti venduti in soprannumero,
"portoghesi". C'erano tutti gli ingredienti per rendere
esplosiva la miscela. Anche a prescindere dalla bestialità dei
teppisti mescolati ai tifosi del Liverpool. "Inoltre - aggiunge
Perruquet - la sorveglianza era stranamente rivolta ai soli
italiani. Sono accadute cose strane ed incomprensibili: nel
settore esclusivamente juventino (quello opposto alla tragica
curva) le bevande venivano rigorosamente distribuite in
bicchieri di plastica, mentre dall'altra parte si permetteva
agli inglesi di entrare trascinandosi dietro intere cassette di
birra in bottiglie di vetro e lattine. Ora qualcuno ha il
coraggio di far ricadere la colpa sui clubs. Bene, costoro
dimenticano che le nostre organizzazioni hanno ricevuto
attestati di stima da parte dei dirigenti preposti all'ordine
pubblico nelle finali di Belgrado e di Atene". In altre
occasioni avevate allacciato rapporti con i clubs delle squadre
avversarie, cosa che in questa occasione non è avvenuta. Perché
? "Per un semplice motivo: gli inglesi non sono organizzati in
clubs, ma in bande. E queste non sono interlocutori...". Le sue
reazioni a 48 ore di distanza dai tragici eventi ? "Continuo ad
essere disgustato ed amareggiato. Per noi inizia un periodo di
riflessione, che dovrà necessariamente coinvolgere tutti i clubs
di tifosi della penisola, indipendentemente dalla squadra del
cuore".
1 giugno 1985
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA ITALIA
1.06.1985
Sordillo all’Uefa: "Fuori i
responsabili"
di Giuliano Antognoli
L’improvvisa convocazione per
domani dell’organismo calcistico europeo - Una analoga richiesta
avanzata dal Coni - Lunedì un incontro al Viminale tra Scalfaro,
Carraro e le leghe calcio per la sicurezza negli stadi italiani
e rapporti club-società.
ROMA - La presidenza della Federcalcio
aspetterà quanto emergerà dall'Esecutivo straordinario
dell'Uefa, che si terrà domani a Basilea, in Svizzera, per poi
pronunciarsi in merito alle decisioni che verranno prese. Ma nel
corso della conferenza stampa dell'avv. Federico Sordillo,
presidente della Figc e membro dell'esecutivo della stessa Uefa,
è emerso che se la Federcalcio Italiana non si riterrà
soddisfatta, il presidente Sordillo non soltanto rassegnerà le
proprie dimissioni dall'Uefa, ma "pretenderà che nelle sedi
competenti siano perseguiti con ogni mezzo tutti i responsabili"
della tragedia di Bruxelles. Insomma, alla Federcalcio non basta
che le squadre inglesi si siano autoescluse per un anno dalle
competizioni internazionali, ma pretende che sia fatta
giustizia. Sordillo ha anche adombrato l'ipotesi che l’
"autoesclusione" sia un artificio avente lo scopo di "frenare"
pene ben più severe da parte dell'organismo internazionale: si
potrebbe, cioè, arrivare ad una esclusione per 3 anni o
addirittura alla radiazione del Liverpool da ogni competizione
internazionale. Sordillo, oltre ad esprimere una volta ancora il
suo cordoglio alle famiglie delle vittime, ha chiaramente messo
sotto accusa la carenza grave sul piano della prevenzione, da
parte delle autorità belghe, le quali dovevano essere messe
sull'avviso dal momento che nello stesso stadio, in occasione
dell’incontro tra i Belgi dell'Anderlecht e gli inglesi del
Tottenham, un tifoso aveva perso la vita. Il presidente non ha
comunque inteso mettere sul banco degli imputati la federazione
inglese: "Noi abbiamo sempre avuto rapporti cordialissimi con la
federazione, ecco perché abbiamo deciso che si giochi
Inghilterra-Italia in Messico. Noi - se necessario - siamo
comunque a disposizione della magistratura belga, anche
attraverso l'opera di nostri avvocati. Si deve andare fino in
fondo. Dovete comunque comprendere che il nostro comunicato non
dice tutto sulla discussione che c'è stata in presidenza: siamo
stati "frenati" dalla decisione dell'Esecutivo Uefa di riunirsi
domenica prossima, cioè domani, anziché il 2 luglio, come in un
primo momento era stato annunciato". Quindi Sordillo ha reso
noto che, per quanto riguarda la sicurezza negli stadi italiani,
problema vieppiù all’attenzione generale del Paese, dopo la
tragedia di Bruxelles, si svolgerà, lunedì prossimo, al
Viminale, una riunione, alla quale saranno presenti il ministro
Scalfaro, il capo della polizia, il presidente del Coni, Franco
Carraro e i due presidenti delle leghe, Matarrese e Cestani.
"Vogliamo - ha detto il presidente - non soltanto continuare in
quell'opera di collaborazione che ci ha permesso di organizzare,
l’anno scorso, la finale Roma-Liverpool dove non si verificarono
incidenti (e ne do atto anche alla Roma-società), ma anche
passare al setaccio i rapporti tra club e società". Quanto
all’Esecutivo Uefa, Sordillo ha dichiarato che, essendo parte in
causa, lui non vi prenderà parte "ma - ha soggiunto - aspetto
che vengano indicati i responsabili, dopo di che potrò
pronunciarmi: cioè se mi riterrò soddisfatto o no". Essendo il
primo caso verificatosi nella storia del calcio intendiamo
riferirci all’autoesclusione delle inglesi, che priverà di sei
compagini, tra Uefa, Coppa delle Coppe e Campioni, - sarà la
Fifa (il massimo organismo del calcio) a prendere le misure del
caso (potrebbe verificarsi anche il ripescaggio di qualche
squadra italiana In Uefa). In mattinata il Coni, per bocca del
suo presidente Franco Carraro, aveva espresso la sua condanna in
modo netto: "Solidarietà con i parenti, pieno appoggio alle
iniziative che prenderà la Federcalcio". Poi ha continuato:
"Erano incidenti evitabilissimi. Ci lascia perplessi il fatto
che le esperienze precedenti fanno pensare che con una
preparazione più attenta questa tragedia poteva essere evitata.
Le responsabilità vanno accertate a livello di Esecutivo Uefa
che ha scelto lo stadio, di Federazione belga che doveva curare
la parte organizzativa e di Commissione di controllo Uefa. Chi
ha sbagliato paghi" - ha concluso il presidente Carraro.
1 giugno 1985
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA ITALIA
1.06.1985
|