La decisione dei dirigenti dopo l’incontro con la Thatcher
Ritirate le squadre inglesi
dalle Coppe per un anno
di Paolo Patruno
"Rimettiamo ordine nel nostro
calcio" - Ma la Lega inglese: "Il danno economico è grave".
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE. LONDRA - Per
almeno un anno le bande di "hooligans", i tifosi-teppisti del
calcio inglese, non dilagheranno più in Europa come i "nuovi
barbari del 2000". La strage di Bruxelles è servita almeno a
questo. L'associazione del football inglese ha annunciato ieri
pomeriggio, dopo un incontro a Downing Street con il primo
ministro signora Thatcher, un'autosospensione valida per i sei
club che nella prossima stagione avrebbero dovuto partecipare
alle Coppe europee. "Per il nostro calcio è arrivato il momento
di rimettere ordine in casa propria", ha spiegato il presidente
della Football Association Bert Millichip, rientrato d'urgenza
dal Messico per rispondere alla brusca convocazione del premier.
In precedenza, il Liverpool aveva già annunciato il suo
volontario ritiro, per la stessa durata, dalle competizioni sul
continente. Margaret Thatcher, che fin dalla sera della strage
aveva caldeggiato le misure più severe, ha commentato
positivamente l'annuncio: "è una decisione giusta. Ci sono stati
così tanti morti, cosi numerosi feriti causati dall'azione di
nostri connazionali che erano indispensabili decisioni e misure
della massima severità. L'Inghilterra intera è sgomenta per
quanto è accaduto e ha chiesto provvedimenti severi, dopo questa
settimana nera per il nostro Paese. Quello che è accaduto mi ha
profondamente preoccupata per la reputazione dell'Inghilterra
nel mondo". L'autosospensione annunciata dall'associazione
calcistica in realtà ha soltanto anticipato un'analoga decisione
attesa dall' Uefa. L'annuncio della Football Association ha
comunque innescato reazioni contrastanti. Un deputato
conservatore, Richard Alexander, ha preannunciato un disegno di
legge per un bando decennale delle squadre inglesi. Ma
l'autosospensione è stata invece aspramente criticata dalla Lega
calcistica, la quale ha messo in rilievo le gravi difficoltà
finanziarie in cui si troveranno club come l'Everton, Manchester
United e lo stesso Liverpool a causa dei mancati introiti delle
partite internazionali. Le polemiche che scuotono l'Inghilterra
a 48 ore dal massacro nello stadio di Heysel non sono comunque
limitate soltanto all'aspetto sportivo. Le accuse del presidente
del Liverpool John Smith contro gli attivisti del gruppo
estremistico parafascista "National Front" hanno avuto larga
risonanza e hanno trovato anche qualche riscontro obiettivo.
L'infiltrazione di questo gruppo estremistico nelle frange più
violente della tifoseria a quanto pare era un "fenomeno
conosciuto sia dalla polizia che dalla stampa". Ieri i giornali
parlavano di precedenti "imprese squadristiche" compiute da
bande di tifosi-teppisti militanti nel "National Front" ad
Helsinki durante la partita Finlandia-Inghilterra (cento arresti
negli scontri) e in occasione degli incontri di due club,
l'Aston Villa e il Chelsea. Il National Front ha respinto
seccamente queste accuse anche con una telefonata al nostro
giornale di condanna delle violenze. E per chi ha seguito alla
tv le sequenze degli attacchi dei fans del Liverpool nello
stadio di Bruxelles, pare un'ipotesi azzardata attribuire
soltanto ad un ristretto numero di attivisti neofascisti la
responsabilità di scontri alimentati in realtà da centinaia di
tifosi ebbri di alcol e di violenza. A questo tentativo di
autodifesa o almeno di limitazione delle responsabilità, si è
abbinata nelle ultime ore anche un'insidiosa campagna sviluppata
dalla tv commerciale "ITV" che ha tratto dal filmato della
partita i fotogrammi in cui si scorge confusamente un tifoso con
un'arma in mano. Subito è scattata l'accusa che i sostenitori
juventini a Bruxelles hanno sparato, rilanciata dalla
pubblicazione in prima pagina sull'ultraconservatore "Daily
Telegraph" di una foto tratta dallo stesso filmato. Ma la tv si
è dimenticata finora di aggiungere che la polizia belga ha già
chiarito che l'arma in questione era una scacciacani. Il tono
generale dei commenti resta comunque improntato a un senso di
riprovazione per le violenze innescate dai fans inglesi per le
quali "non ci possono essere scuse" come scrivono i giornali. I
giornali prevedono l'estensione dell'uso dell'apparecchio che
misura il grado di alcol nel sangue degli automobilisti anche
agli spettatori degli stadi.
1 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA ESTERO
1.06.1985
Secche smentite del Liverpool:
"partita truccata" afferma la tv belga".
di Guido Passalacqua
"Il risultato della finale della Coppa
dei campioni tra la Juventus e il Liverpool è stato deciso a
tavolino": l'ha affermato ieri sera con grande risalto, la
radiotelevisione belga francofona "Rtbf", nel principale
telegiornale, citando "fonti sicurissime". L'esito della partita
sarebbe stato deciso in una riunione fra responsabili
dell'organizzazione della finale, cui avrebbe partecipato anche
l'arbitro svizzero. Si ignora quali siano le fonti cui la "Rtbf"
fa riferimento. La pesante insinuazione è stata categoricamente
smentita sia dai dirigenti del Liverpool sia dalla Federcalcio
belga. "Possiamo categoricamente smentire. E' assolutamente
fuori questione che possa essere stata concordata una cosa del
genere. E' solo una storia sensazionalistica", ha replicato
Peter Robinson, dirigente del club inglese. Il presidente
dell'Unione calcistica europea ha intanto annunciato che la
riunione del comitato esecutivo dell'Uefa, che si doveva tenere
il prossimo 2 luglio, è stata anticipata a domani. All'ordine
del giorno dell'incontro c'è l'esame delle responsabilità nella
strage dello stadio di Heysel, stadio che non ospiterà più -
come ha deciso la Federcalcio belga - la finale del campionato
nazionale. L'Associazione svizzera di calcio vorrebbe
organizzare, in collaborazione con l'Uefa, un incontro di
calcio, il cui incasso andrebbe ai familiari delle vittime di
Bruxelles. Il match dovrebbe opporre una squadra mista formata
da giocatori del Liverpool e della Juventus a una selezione
europea. L'associazione ha precisato di essere disposta a
organizzare l'incontro "sul territorio neutro della Svizzera".
Ieri Roma si è intanto riunita la Giunta esecutiva del Coni che
ha assicurato "il pieno appoggio alla Federcalcio per tutte le
iniziative conseguenti dai dolorosi avvenimenti di
Juventus-Liverpool". "Il calcio - ha detto il presidente del
Coni Carraro - deve proseguire serenamente la sua attività". E'
stato inoltre creato un gruppo di lavoro misto protezione
civile-Coni per lo studio degli interventi urgenti utili a
prevenire ogni rischio in occasioni delle manifestazioni
sportive. Carraro ha poi sottolineato la superficialità
dell'organizzazione belga: "La tragedia è resa ancora più amara
dalla sensazione che gli incidenti, con una attenta
preparazione, sarebbero stati evitati. Da essa la Juventus, che
tra l'altro non voleva giocare la partita, è totalmente
estranea. Della vittoria non può gioire, ma neanche rinunziare
alle conseguenze pratiche di questa vittoria". Cioè alla Coppa.
1 giugno 1985
Fonte: La Repubblica
ARTICOLI STAMPA ESTERO
1.06.1985
L'etologo
Morris: "Da emarginati a teppisti"
ROMA - Sulla strage di Bruxelles,
Desmond Morris, il massimo specialista britannico di etologia,
la scienza che studia il comportamento degli animali, è stato
intervistato dall' "Espresso". Morris, autore anche di uno
studio sulle "Tribù del calcio", sostiene che in Gran Bretagna i
tifosi "sono nella massima parte giovani dei ceti a reddito più
basso, domiciliati nei quartieri più squallidi delle città e
quindi con una forte carica di risentimento".
1 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA ESTERO
1.06.1985
II rischio del tifoso
di Giuseppe Alberti
Chi si occupa di statistica in materia
di infortunio, non ha ancora considerato ufficialmente il
rischio di chi assiste a manifestazioni sportive. Eppure la
tragedia di Bruxelles non è un caso isolato ed ha avuto non
pochi precedenti anche nel nostro Paese. Fino ad oggi le
compagnie di assicurazioni si sono preoccupate dei rischi per
chi fa sport attivo e, quindi, garantiscono solo su richiesta
parecchie attività (come alpinismo, pesca subacquea non in apnea
e altri sport pericolosi), anche se non praticate in sede
agonistica. Per gli spettatori in possesso di una polizza
infortuni, invece, non vi sono limitazioni. Pertanto in caso di
crollo di tribune, di incendio, di lesioni subite per essere
calpestati dalla folla, la normale polizza infortuni è operante.
Il problema diventa assai più complicato in caso di aggressione
e relative conseguenze; In genere vi è un'esclusione che
riguarda le risse, salvo che risulti chiaramente l'estraneità
della vittima o l'avere agito per legittima difesa. E, in questo
caso, possono quindi sorgere complesse controversie fra
compagnia e assicurato. Per ciò che riguarda invece eventuali
responsabilità degli organizzatori di manifestazioni sportive e
dei proprietari di stadi, almeno nel diritto italiano, non si
tratta di attività definite "pericolose", in cui si presume
sempre una responsabilità di chi organizza, occorre che si
accerti una precisa colpa come, ad esempio, quando una struttura
crolla perché mal progettata o priva di manutenzione, quando si
sono ammessi spettatori al di là dei limiti di agibilità, quando
non si sono rispettate le misure di sicurezza obbligatorie. In
simili casi un'eventuale polizza per la responsabilità civile
dell'organizzatore o del proprietario, deve scattare. Con quale
velocità ciò possa avvenire è facile immaginare: si pensi che
per il rogo dello Statuto non si è ancora giunti ad un dibattito
di primo grado, a cui, probabilmente, seguiranno, ad anni di
distanza, cause in appello e Cassazione. Qualcuno si chiederà se
il club del Liverpool o qualche associazione di tifosi potranno
essere condannati a risarcire i danni. L'ipotesi appare del
tutto da scartare per quanto concerne la squadra e quasi
altrettanto per i club dei sostenitori, a meno che qualche
indagine dimostri una vera e propria organizzazione delle
aggressioni. Nel campo sportivo esistono casi di cosiddetta
"responsabilità oggettiva", cioè di punizioni come multe e
squalifiche di campo per il comportamento del pubblico, ma è
chiaro che queste norme non possono assolutamente essere
trasferite fuori dall'ambito del regolamenti delle associazioni
o leghe.
1 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA ESTERO
1.06.1985
di Carlo Coscia
NAZIONALE. Occhi puntati più
sull'arrivo di Scirea, Rossi, Cabrini e Tardelli che non al
match di domani col Messico.
DAL NOSTRO INVIATO. CITTA' DEL MESSICO
- Stanchi, tesi, niente affatto ben disposti ad accoglienze
festose, i quattro bianconeri sono sbarcati la scorsa notte a
Città del Messico per unirsi alla squadra azzurra. Venivano
dall'incubo di Bruxelles, apparivano sfatti per mille dolori.
Rossi, Tardelli, Cabrini e Scirea: assalto di telecamere e
taccuini, fotografi scatenati, ressa e confusione. Tutti
volevano sapere, conoscere emozioni e impressioni, capire
perché. Ma nessuno ha fatto domande. I quattro, seguiti da una
folla sempre più numerosa hanno chiesto di avere una sala a
disposizione. Dovevano leggere una dichiarazione. Tardelli era
in divisa e sembrava il più commosso. Cabrini e Scirea tacevano,
Rossi, il più famoso qui in terra messicana, si sforzava di
tenere a bada il folto gruppo dei cronisti. Poi, sotto la luce
calda delle telecamere. Paolo Rossi ha letto la dichiarazione. E
subito c'è stato il silenzio. Parole forti, parole belle.
Eccole: "Preferiamo non fare commenti tecnici di una partita
giocata soprattutto per gravi motivi di sicurezza. E poi questi
commenti tecnici sarebbero assurdi data l'ampiezza della
tragedia. Noi non volevamo giocare per rispetto dei nostri
compatrioti morti. Ce l'hanno imposto, a noi e al Liverpool, i
dirigenti Uefa e le autorità di polizia belga. Una volta in
campo, e soprattutto in occasione del gol, abbiamo intuito che
il pubblico, anche quello italiano, era completamente all'oscuro
delle dimensioni della tragedia. Abbiamo quindi dovuto giocare
per gli spettatori dello stadio con una responsabilità
gigantesca, quella di evitare altri più gravi incidenti. E la
nostra responsabilità è stata aggravata da una inspiegabile
latitanza, soprattutto a fine partita, delle autorità sportive
internazionali che pure ci avevano ordinato di giocare. Basti
pensare che la Coppa Campioni ci è stata consegnata dai
funzionari Uefa nello spogliatoio. Non sapevamo cosa fare.
Onorare le vittime ? Dirigersi sul luogo del disastro e magari
eccitare maggiormente gli animi ? Oppure recitare fino in fondo
la nostra parte ? Perché questo dopo tutto chiedeva il pubblico,
ignaro della portata della tragedia. Ma l'abbiamo fatto con la
morte nel cuore. Speriamo che nessuno ci chieda più una cosa del
genere. Mai più. Adesso l'unica cosa da fare, il nostro pensiero
è per i nostri morti, i nostri feriti, le famiglie delle
vittime, la loro angoscia, il loro dolore e i loro problemi.
Lanciamo un appello alle autorità sportive italiane e
internazionali perché si organizzi subito una grande partita di
calcio fra la Juventus ed il meglio del calcio mondiale il cui
incasso sia devoluto alle famiglie delle vittime". I quattro
bianconeri avevano deciso in aereo, fra Bruxelles e lo scalo di
Atlanta, di fissare sulla carta il loro pensiero. Avevano
telefonato in Italia, prima della partenza, si erano resi conto
che milioni di persone avevano vissuto in diretta l'immane
tragedia e meritavano almeno una spiegazione. E loro hanno
spiegato perché hanno dovuto giocare e come, chiedendo di essere
capiti e augurandosi che nessuno, in futuro, abbia più a
chiedere loro di vivere una simile esperienza. "Spero che il
mondo si ricordi sempre di Bruxelles", ha detto Tardelli
guardando fisso le telecamere. E Cabrini e Scirea, insieme,
hanno aggiunto: "Non abbiamo fatto il giro del campo con la
Coppa, non abbiamo festeggiato. Siamo andati semplicemente sotto
la curva dei tifosi perché ci eravamo resi conto che il pubblico
non conosceva le dimensioni reali della tragedia". "Anche noi,
all'inizio, non avevamo capito - ha concluso Rossi - eravamo
negli spogliatoi, c'è stato il ritardo, sono cominciate ad
arrivare notizie, prima confuse e via via sempre più terribili.
Non sapevamo cosa fare: una serata che non riuscirò mai a
dimenticare".
1 giugno 1985
Fonte: La Stampa
ARTICOLI STAMPA ESTERO
1.06.1985
Cabrini: "Nessuna combine
abbiamo giocato per forza"
di Carlo Coscia
DAL NOSTRO INVIATO. CITTA' DEL MESSICO
- Domani c'è il Messico, ma nessuno ne parla. Altri sono i
discorsi e il calcio giocato non c'entra: l'auto esclusione
delle squadre inglesi dalle Coppe europee, l'attesa per le
decisioni dell'Uefa sul Liverpool, le illazioni della tv belga
sulla partita di Bruxelles concordata, le dichiarazioni
dell'arbitro Daina sulla propria convinzione di aver diretto un
incontro non valido ai fini del risultato. I morti di Bruxelles
non sono stati scordati, adesso tutti si aspettano che sia fatta
giustizia. Antonio Cabrini, giunto l'altra notte a Città del
Messico con Rossi, Tardelli e Scirea, ha esposto il suo punto di
vista su tutti i temi in discussione. E l'ha fatto in maniera
vibrante, dilatando e specificando i contenuti del comunicato,
bello e duro, che lui e i compagni della Juventus si erano
sentiti in dovere di scrivere in aereo per spiegare al mondo la
tragedia di Bruxelles vista e vissuta dai giocatori in campo.
"Mi dispiace molto per i colleghi inglesi, sì, devo chiamarli
così - ha esordito Cabrini a proposito dell'auto esclusione
dalle Coppe - perché non hanno assolutamente colpa di quanto è
accaduto. Il calcio inglese, sul terreno di gioco, è fra i più
corretti d'Europa. Ma esiste una regola, applicata anche in
Italia, che riconosce la responsabilità oggettiva delle società
per gli atti di teppismo dei loro tifosi. E qui ci sono stati 40
morti, una tragedia. Dunque credo che il provvedimento sia
corretto anche se i provvedimenti veri andavano presi prima. Le
autorità belghe non hanno saputo valutare la situazione, non
hanno adottato misure adeguate, hanno peccato insomma di
colpevole inefficienza. Eppure tutti conoscevano i tifosi
inglesi, recidivi alla violenza, e tutti sapevano che una finale
di Coppa, contro gli italiani, sarebbe stata carica di
pericolosissime tensioni. Ma queste sono solo parole, restano i
morti e le famiglie dei morti, alle quali purtroppo è difficile
dare aiuto e conforto". "Per quanto riguarda le voci su una
partita concordata - ha continuato Cabrini - lo nego
assolutamente. Negli spogliatoi, prima dell'incontro, non ho
visto alcun dirigente Uefa. E noi della Juventus, giocatori e
dirigenti, non volevamo giocare. Siamo stati costretti a farlo,
e in fondo penso sia stata la soluzione migliore. I tifosi ci
hanno chiesto di giocare anche per i morti. In caso contrario
forse ci sarebbe stata una caccia all'uomo, forse la tragedia
sarebbe stata ancora più terribile". "A me non importa sapere
cosa pensava l'arbitro - ha continuato Cabrini - so cosa
pensavamo noi giocatori. Quando siamo scesi in campo, non
l'abbiamo fatto convinti che la partita servisse solo a dar
tempo alle forze dell'ordine per attuare i loro tardivi piani di
sicurezza. Siamo scesi in campo per vincere la Coppa Campioni
con quaranta morti nel cuore. Sarei disonesto se non
riconoscessi di aver lottato per vincere una coppa che la
Juventus aveva inseguito vanamente per tutta la sua storia. Si
possono dire tante cose ora, però bisognava essere in campo a
vivere momenti che non saprò mai dimenticare. Ma qualcuno ha
scambiato la nostra voglia di vincere, e sì, anche la nostra
soddisfazione per la vittoria, per una mancanza di sensibilità e
di cuore: e questo è falso e offensivo e umiliante. E se anche
la Juve restituisse la Coppa, non cambierebbe niente perché il
gesto non restituirebbe i morti alle loro famiglie". Cabrini ha
detto tutto questo ieri nel ritiro azzurro, mentre i compagni
tornavano dall'allenamento e Bearzot, ancora febbricitante,
accoglieva Bobby Robson e la delegazione inglese venuti per
esprimere il loro profondo rammarico per l'accaduto e il loro
totale disprezzo per i teppisti che ne sono stati la causa.
1 giugno 1985
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA ESTERO
1.06.1985
L'U.E.F.A. denuncia tv
belga
BERNA - L'Uefa ha annunciato
l'intenzione di compiere passi legali contro la televisione
belga per le sue affermazioni secondo cui il risultato della
finale di Coppa del Campioni tra Juventus e Liverpool sarebbe
stato truccato per evitare ulteriori incidenti. In una
dichiarazione diffusa oggi a Berna l'Uefa ha detto di essere
gravemente "offesa" per quanto ha sostenuto "senza alcuna base
di fatto" la televisione belga. Il giornalista della televisione
belga di lingua francese Jean-Jacques Jaspers ha detto ieri sera
che dopo gli incidenti nei quali hanno perso la vita trentotto
spettatori, alcuni dirigenti del calcio europeo e l'arbitro
svizzero Daina si erano riuniti per decidere di facilitare la
vittoria della Juventus. Tutti gli interessati hanno respinto
decisamente le accuse.
1 giugno 1985
Fonte: Stampa Sera
ARTICOLI STAMPA ESTERO
1.06.1985
I retroscena della vergogna
di Michele Serra
Scirea, Rossi e compagni "Usati come
burattini". La clamorosa denuncia dei nazionali della Juventus
giunti a Città del Messico. "Ci hanno imposto di giocare ma alla
fine i dirigenti dell’Uefa non c'erano più". Perché scesero in
campo.
CITTA’ DEL MESSICO - "Mentre lo stadio
era in piena tragedia, l’unica vera preoccupazione delle massime
autorità della Uefa era di fare svolgere a qualunque costo la
partita, per salvare l'incasso di un miliardo e mezzo e per non
avere grane con gli sponsor dell’eurovisione. Alle 0.15, quando
mezzo mondo aveva visto tutto e sapeva tutto, quando in tribuna
stampa e nei corridoi già si sapeva degli oltre quaranta morti,
i dirigenti della Uefa, riuniti con tutte le autorità, parlavano
della "possibilità di qualche vittima". È stata un'esperienza
penosissima, umiliante. Non ho mai visto tanto cinismo, tanta
ipocrisia tartufesca. Una grande tragedia è stata gestita da
piccoli uomini. Piccoli soprattutto moralmente". Il mio
interlocutore è una figura di primissimo piano del potere
sportivo italiano. Un testimone autorevole e attendibile. Dal
suo racconto, e da un'infinità di altri particolari, l'orrenda
notte di Bruxelles si copre di una ulteriore patina di vergogna,
e forse la peggiore di tutte: quella di una classe dirigente non
solo inetta, impreparata, incapace di gestire la polveriera
miliardaria chiamata calcio. Ma soprattutto vile e cinica.
Aggettivi che usiamo con responsabile tranquillità, perché sono
gli unici adatti. All'improvvisato summit "tra l'altro iniziato
con inaudito ritardo rispetto al necessario (la carneficina è
avvenuta alle 19.20; la discussione "ufficiale sul da farsi è
iniziata dopo le 20.30) partecipavano tra gli altri il
presidente dell'Uefa, il francese Georges, e il vicepresidente,
Io svizzero Baungerter; il borgomastro di Bruxelles e il capo
della polizia; i ministri italiani De Michelis e Nicolazzi; il
presidente della Federcalcio Sordillo; il presidente della Juve
Boniperti e quello del Liverpool. Nessuna traccia, per tutta la
serata, del ministro degli Interni belga, che si è limitato a
far sapere attraverso un suo sottoposto che era necessario far
disputare la partita per prendere tempo e consentire
all’esercito di organizzare vigilanza e soccorsi. II gruppo
degli italiani insisteva per non far disputare la partita. De
Michelis, Sordillo e Boniperti in testa. Da notare, tra l'altro,
che De Michelis era arrivato a Bruxelles con l'aereo personale
di Agnelli, assieme a Luca di Montezemolo, al presidente del
Coni Franco Carraro e allo stesso Avvocato. E che il ministro è
l'unico che si sia sentito in dovere di entrare ugualmente allo
stadio per capire di persona che cosa stesse succedendo, mentre
gli altri tre (che, fino a prova contraria, sono rispettivamente
il responsabile dell'organizzazione dei Mondiali di calcio del
1990, la massima autorità sportiva italiana e il padrone della
Juventus, nonché "uomo-simbolo" della classe dirigente
italiana), gli altri tre, dicevamo, non si sono fatti vedere.
Paura o distrazione, giudichino i lettori. Ma torniamo al
summit. Gli italiani insistono: non si può giocare con quaranta
morti ammucchiati a pochi metri dal campo. Ma devono arrendersi
alle pressioni concentriche dell'Uefa e delle autorità belghe.
De Michelis ha un durissimo battibecco con il borgomastro di
Bruxelles, il cui atteggiamento arrogante e indisponente si
spinge al punto di volere ridurre gli incidenti a "scontri tra
opposti teppismi". Da ricordare che il borgomastro aveva
minacciato l'arresto (improbabile) di De Michelis. Più corretto
il capo della polizia, che attribuisce - come è evidente anche
ai ciechi - agli hooligans inglesi ubriachi la responsabilità
degli eventi. Boniperti, nell'eventualità che la partita non
venga disputata, chiede che le dichiarazioni del capo della
polizia siano rese ufficiali in vista di eventuali decisioni
della giustizia sportiva. Ma il borgomastro non ne vuole sapere.
L'insistenza dei belgi e dell'Uefa ha la meglio, anche perché
gli italiani, e soprattutto De Michelis, si convincono che è
meglio non contrastare i già confusi piani delle autorità locali
per non peggiorare la situazione. Si gioca, e questo lo avete
potuto vedere tutti in televisione. Quello che non avete potuto
vedere è la fuga indecorosa dei capoccioni della Uefa dieci
minuti prima della fine della partita. Neanche quel minimo di
coraggio civile necessario per consegnare di persona, come
richiederebbe il protocollo, quella coppa insanguinata che essi
stessi avevano voluto mettere in palio a tutti i costi. "Prendi
i soldi e scappa": questa, nient'altro che questa, è stata la
parte recitata il 29 maggio 1985 dai principali responsabili
della tragedia, che hanno organizzato una finale incandescente
in uno stadio piccolo e strutturalmente decrepito, fregandosene
delle migliaia di biglietti falsi stampati, fregandosene
dell'incolumità del pubblico, fregandosene delle vittime e dei
tremendo lutto, fregandosene di sollecitare le forze dell'ordine
affinché facessero il loro dovere. Quanto ai belgi, l'iracondo
borgomastro di Bruxelles e il capo della polizia dovrebbero
spiegare all'opinione pubblica di tutto il mondo, e soprattutto
a quella italiana, così duramente colpita, le seguenti cose: 1)
perché i tifosi inglesi (e anche molti ultras italiani) hanno
potuto entrare allo stadio con tascapani pieni di sassi,
bottiglie e coltelli, quando è risaputo che la prima misura di
sicurezza, in questi casi, consiste nel perquisire gli
spettatori; 2) perché a dividere gli inglesi dagli italiani,
nella curva della morte, c'erano solo i quattro o cinque
poliziotti; 3) perché la polizia è intervenuta in forze solo
mezz'ora dopo la strage; 4) che cosa aspettano a dimettersi.
L'altro capitolo delicato è quello che riguarda i calciatori.
Abbiamo fatto il viaggio da Bruxelles a Città del Messico, un
viaggio interminabile e denso di riflessioni, assieme a Rossi, a
Tardelli, a Scirea e Cabrini. Giovedì mattina, all’aeroporto di
Bruxelles, frastornati dai cacciatori di autografi ancora
straniti dall'incredibile notte nello stadio Heysel, i quattro
campioni del mondo ci sono sembrati molto sulla difensiva.
"Craxi voleva che non si giocasse ? Ma Craxi allo stadio non
c'era. Che cosa ne può sapere Craxi ?". E Tardelli, il più "duro
nel difendere la necessità di disputare comunque la partita,
aggiungeva: "Non dovevamo esultare con la coppa in mano ? Anche
queste sono cose che dice solo chi non ha mai provato a vincere
una Coppa del Campioni". Frasi, tutto sommato, inopportune. Ma
bastava poco per accorgersi che l'atteggiamento quasi
intransigente dei quattro (tra i quali il più scosso, comunque,
ci è sembrato Scirea) era dettato soprattutto dall'incertezza,
dal nervosismo, dal disagio di un ruolo diventato così
sgradevole e difficile, quello dei campioni miliardari che fanno
festa a ridosso del cadaveri. Poi arrivavano i primi giornali
italiani, i titoli indignati, drammatici, le foto spaventose dei
morti, della curva ricoperta di stracci, bandiere, vestiti,
sangue. Una curva che i calciatori della Juve non avevano ancora
potuto vedere, perché, quando erano entrati in campo alle 20.30
di propria spontanea iniziativa, erano andati a calmare gli
ultras juventini assiepati sulla curva opposta. E con il decollo
dell'aereo è arrivato il momento di pensarci sopra con calma. Il
viaggio è stato molto lungo, diciotto ore. Tempo per riflettere
ce n'era. Per discutere tra loro, e con noi giornalisti e con
qualche amico, come Gianni Minà che non nascondeva la sua
indignazione per quella assurda sceneggiata nello stadio della
morte. Ne è uscito un documento, firmato dai quattro nazionali
juventini, che nel suo piccolo è una pietra miliare nella storia
del costume italiano. Forse timido e impacciato nella forma, ma
molto esplicito nella sostanza che è questa: "Noi non volevamo
giocare. Ci hanno costretti i dirigenti dell'Uefa, che poi sono
scappati. Non siamo burattini, smettetela di usarci". Nessuno,
tranne i passeggeri del volo, sapevano della presa di posizione
dei quattro reduci della guerra di Bruxelles. Appena sbarcati
all’aeroporto di Città del Messico, i quattro, stretti d'assedio
da torme di giornalisti e fotografi italiani e messicani, hanno
letto il comunicato sotto lo sguardo sorpreso e preoccupato di
De Gaudio, capo delegazione degli azzurri in questa spedizione
pre-mundial. Ecco i passi salienti del documento. "Non volevamo
giocare per rispetto del nostri compatrioti morti. Ce lo hanno
imposto, a noi e al Liverpool, i dirigenti Uefa e le autorità di
polizia belga. Una volta in campo, e soprattutto in occasione
del gol, abbiamo intuito che il pubblico, anche quello italiano,
era completamente all'oscuro delle dimensioni della tragedia.
Abbiamo quindi dovuto giocare per gli spettatori dello stadio,
con una responsabilità gigantesca: quella di evitare più gravi
incidenti. E la nostra responsabilità era ulteriormente
aggravata da una inspiegabile latitanza - verificatasi
soprattutto al termine della partita - delle autorità sportive
internazionali che pure ci avevano ordinato di giocare. Basti
pensare che la Coppa del Campioni ci è stata consegnata da un
anonimo funzionario all'interno degli spogliatoi. Speriamo che
nessuno ci chieda più una cosa del genere. Mai più. Adesso
l'unica cosa da fare - prosegue il documento - l'unico nostro
pensiero è per i nostri morti, i nostri feriti, le famiglie
delle vittime, la loro angoscia, il loro dolore, i loro
problemi. Lanciamo un appello alle autorità sportive italiane e
internazionali perché si organizzi subito una grande partita di
fratellanza tra la Juve e il meglio del calcio internazionale,
il cui incasso sia devoluto alle famiglie delle vittime". "I
calciatori - dice Gianni Minà, molto vicino e non da ora a
Rossi, Cabrini e Tardelli - sanno benissimo, meglio di quanto
creda la gente, che il loro ruolo è spesso quello di burattini
miliardari. Ma hanno paura di dirlo, e soprattutto non hanno gli
strumenti culturali per difendersi. Cultura borghese e cultura
proletaria gli sono ugualmente estranee. Difendono il proprio
ruolo sociale come possono, magari a costo di sembrare
indifferenti: credo che siano ormai gli unici, in Italia, ad
aver paura di dire per chi votano. Ma prima di giudicarli
bisogna capirli, comprenderne il ruolo sociale, le ragioni, e i
grandissimi problemi umani". In questo caso, comunque ci sembra
che di tutti i protagonisti della terribile finale di Bruxelles,
i calciatori siano i meno colpevoli. Molti non potranno mai
perdonare loro, e si capisce, le scene di esultanza, il
comportamento stridente con la serata di lutto, la parte
fastidiosa recitata sino in fondo con apparente convinzione. Ma
ai quattro nazionali juventini va riconosciuto, almeno, il
coraggio di avere riflettuto e di avere finalmente espresso
un'opinione. Per un calciatore non è poco, ed è comunque tanto
nei confronti del niente, e del peggio di niente, che hanno
fatto gli altri, i veri padroni del calcio.
1 giugno 1985
Fonte: L’Unità
ARTICOLI STAMPA ESTERO
1.06.1985
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