Privacy Policy Cookie Policy
STADIO BALLARIN 1981
www.saladellamemoriaheysel.it   Sala della Memoria Heysel   Museo Virtuale Multimediale
Rogo Stadio "Fratelli Ballarin" 7.6.1981 Audiovisivi
   BALLARIN 1981   Pagine della Memoria   Morire di Calcio   Superga 1949   Tragedie Calcio Italiano  

Rogo Ballarin

Cagni: "Non ci accorgemmo di nulla, sennò non avremmo mai giocato". Sonetti: "Giornata incredibile".

di Massimo Falcioni

SAN BENEDETTO DEL TRONTO - Ricordi impossibili da cancellare, anche dopo trentasette anni. Il rogo del Ballarin viene raccontato da "Maracanà", programma radiofonico in onda su Rmc Sport che ha interpellato Nedo Sonetti e Gigi Cagni, rispettivamente allenatore e capitano della Samb dell’epoca, il sindaco Piunti e il giornalista Remo Croci. "Lì per lì non ci rendemmo conto di quello che stava succedendo", ha dichiarato Sonetti, che quel giorno, grazie al 2 a 2 (NDR: 0-0) col Matera, condusse i rossoblù in B. "Si vide il fuoco, un grande macello, ma non sapevamo cosa stesse accadendo. Un episodio che rimarrà nelle nostre menti e coscienze, fu una giornata incredibile. Si vide che c’era una situazione particolare, ma non sapevamo nulla". Stessa opinione di Cagni, che ha puntualizzato: "Se avessimo saputo non avremmo mai giocato nemmeno a breve tempo, questo è sicuro. Non so se avendolo saputo sarebbe stata la stessa cosa. Le persone che entrarono in campo non furono tantissime, non ci fu la percezione. L’arbitro disse che avremmo iniziato. Non festeggiammo, la sera vidi le immagini alla tv di gente che si buttava dalla gradinata. Come fai ad essere felice". Croci ha sottolineato la presenza del vento caldo che, probabilmente alimentò il fuoco: "Ero il radiocronista ufficiale di Radio Ponte Marconi. Ero nella tribuna stampa e vidi la squadra che prima aveva lanciato garofani colorati al pubblico. La formazione era schierata, nella foto di gruppo si nota Zenga che guarda verso la Sud. Nessuno ebbe l’esatta sensazione. Vedevo le fiamme, il calore, ma non si distingueva bene". Allo stadio c’era pure Piunti, all’epoca ventinovenne: "Ricordo molto bene quella giornata, ero in tribuna coperta, direzione sud. Non ci rendemmo conto subito della gravità". Il sindaco ha quindi ribadito che, una volta riqualificato il Ballarin, non mancherà assolutamente un ricordo per Carla Bisirri e Maria Teresa Napoleoni.

7 giugno 2018

Fonte: Lanuovavariviera.it
Alle ore 14.05 del 7.06.2018 Gigi Cagni, Remo Croci, Nedo Sonetti e il sindaco di San Benedetto Del Tronto Pasqualino Piunti (dalla sinistra in ordine nelle foto) sono intervenuti per ricordare la tragedia del Ballarin, intervistati da Marco Piccari e Vincenzo Marangio durante la trasmissione Maracanã in onda su Rmc Sport Network.
"Lassù qualcuno ci ama" (A cura di "Fondazione Libero Bizzarri" 14.07.2017)
Filmato realizzato a cura della "Fondazione Libero Bizzarri" assemblando il materiale multimediale e i testi sulla tragedia di Luigi Tommolini assieme alle foto esposte nella Mostra condivisa con il Museo del Grande Torino e della Leggenda Granata. E’ stato diffuso in anteprima venerdì 14.07.2017 presso la "Palazzina Azzurra" di San Benedetto del Tronto in occasione di una serata in ricordo del "Rogo Ballarin" e delle sue giovani vittime all’interno della manifestazione culturale cittadina "Il cinema, il calcio e i sogni di libertà".
"Il fuoco dimenticato" di Emidio Lattanzi (La Nuova Riviera - Giugno 2016)

VIDEO - 35 anni fa il rogo del Ballarin (Lo speciale sull’anniversario)

SAN BENEDETTO DEL TRONTO - Si chiama "Il Fuoco Dimenticato" lo speciale de La Nuova Riviera sul rogo dello stadio fratelli Ballarin, avvenuto il 7 giugno 1981, esattamente 35 anni fa. Nello speciale, del giornalista Emidio Lattanzi, vengono ricordati quei tragici momenti con la voce dei protagonisti attraverso una ricostruzione di quanto accaduto pochi minuti prima dell’incontro tra Sambenedettese e Matera, il match che avrebbe sancito il ritorno in serie B della Samb. Nel rogo persero la vita Maria Teresa Napoleoni e Carla Bisirri, due giovani rispettivamente di 23 e 21 anni. Gli ustionati furono 64, undici dei quali sarebbero rimasti segnati per la vita. In tutto rimasero ferite circa cento persone. In questi 35 anni la città di San Benedetto non ha mai fatto nulla per ricordare le vittime, i feriti e quella tragedia.

6 giugno 2016

Fonte: Lanuovariviera.it

Rogo del Ballarin, una ferita aperta

I testimoni raccontano quel 7 giugno di 35 anni fa quando la festa si trasformò in tragedia.

di Emidio Lattanzi

Trentacinque anni fa, il 7 giugno 1981, due ragazze morirono nel rogo dello stadio Ballarin. Un episodio avvenuto nella giornata che sarebbe dovuta essere di festa e che, invece, si è trasformata nella peggiore tragedia avvenuta in Italia legata al mondo del calcio. Sessantaquattro persone riportarono ustioni durante l'incidente, di queste 11 in maniera permanente. Altre 40 persone furono costrette a ricorrere alle cure dei medici per le ferite riportate durante i concitati momenti della fuga tra le fiamme quando, a causa di un cancello chiuso del quale non si trovavano le chiavi, centinaia di persone si accalcarono verso la rete di recinzione. Il racconto. Fu un'autentica tragedia. Due giovani donne, la ventitreenne Maria Teresa Napoleoni e la ventunenne Carla Bisirri sarebbero morte pochi giorni dopo, a Roma, nel centro Grandi Ustioni dell'ospedale Sant'Eugenio. La Sambenedettese, quel giorno, andò in serie B ma fu il sangue a macchiare la festa per l'importante promozione. Durante l'ingresso in campo delle squadre, prima del fischio di inizio, un fumogeno acceso è caduto in terra dove c'erano quintali di carta portata lì per la coreografia dei tifosi. Si scatenò l'inferno. Sono in tanti, ancora oggi, a portare sia nella mente che fuori, i segni di quello che accadde in quei pochi minuti di paura. Tra loro c'è il vocalist Gianni Schiuma che oggi ripercorre quei drammatici momenti: "Per molto tempo ho cercato di rimuovere questa vicenda. Ricordo che nessuno si rendeva conto di quello che in realtà stava accadendo. C'era vento, era molto caldo e tutta quella carta. Ho provato a scendere la gradinata, invece di salire, convinto che sarei riuscito a raggiungere un'uscita. Ma sotto mi trovai in mezzo ad una folla di gente nel panico più totale e mi sono ritrovato schiacciato contro la rete allora mi sono buttato verso la barriera di fuoco che ostruiva l'unica via d'uscita". Quel giorno a raccontare quella partita c'era anche il giornalista Remo Croci, testimone oculare dell’accaduto: "Mi sono accorto che qualcosa non andava quando durante la foto di rito vidi i giocatori che guardavano verso la curva, mi girai e mi trovai ad osservare il fuoco. Fu terribile". In curva, quel giorno, c'erano quasi 4mila persone. Ben oltre la capienza massima di quel settore. "Quello che notai subito - ricorda oggi l'arbitro di quella partita, Paolo Tubertini di Bologna - è che c'erano davvero troppe persone. Non ho mai visto, in tutta la mia vita, un affollamento simile in un campo da calcio. Dopo l'incendio la decisione di far giocare la gara la presi perché il dirigente di pubblica sicurezza mi spiegò che se avessi annullato il match migliaia di persone si sarebbero riversate in strada intralciando i soccorsi". Il capitano della Samb, all'epoca, era Gigi Cagni, roccioso ed esperto difensore che sarebbe poi diventato uno dei più affermati allenatori di serie A: "Non mi resi subito conto dell'accaduto - ricorda - soltanto la sera, quando vidi le immagini in televisione, capii l'atrocità che si era consumata quel pomeriggio. Fu terribile e subito mi scordai della promozione. Fu una vera tragedia". Due ragazze morirono e sono ancora tanti coloro che portano sul proprio corpo i segni delle fiamme.

7 Giugno 2016

Fonte: Corriere Adriatico
IL VIDEO di Luigi Tommolini  (Youtube - 13 Maggio 2010)
"CIAO CAPITAN GIGI, questo è il video realizzato da me tre settimane fa e che penso abbia svegliato chi dopo 29 anni aveva l’obbligo di svegliarsi…  Sì, oggi e per sempre Città, Samb Calcio e tifosi ricorderanno per sempre il sacrificio umano di persone innocenti nella TRAGEDIA PIU’ GRANDE E PIU’ GRAVE ACCADUTA IN UNO STADIO ITALIANO: 2 morte (23 e 21 anni) decine di ustionati gravi e decine di decine di feriti; io quel giorno c’ero e ho rischiato di precipitare nel vuoto da 10 metri: ci salvò la rete di recinzione, quello che all’Heysel non accadde al fragile muretto che crollando aumentò le vittime innocenti della barbara e delinquente orda inglese… Capitano, portasti sulle spalle il peso delle membra innocenti morte delle ragazze, ma da allora l’ingiusto silenzio… Ora ricomincia il doveroso e imperituro omaggio a chi deve essere ricordato, a chi ricorda e ricorderà per sempre quella maledetta domenica di morte !  Ciao Capitano". Luigi Tommolini (10.06.2010 - Fonte: Gigicagni.it)

NDR: Il video è stato realizzato da Luigi Tommolini che ha tratto le immagini dalle opere "La videostoria della Sambenedettese calcio" di Remo Croci e da "L'infame e suo fratello" di Luigi Maria Perotti (con sottotitoli in lingua inglese), dall’archivio Stampa dei giornali "Il Messaggero" e "Il Resto del Carlino" mentre la colonna sonora è tratta dall’album "7 note in nero" (Bixio, Frizzi, Tempera 1977)

Un Heysel minore

di Francesco Vannutelli

Il 7 giugno del 1981 faceva caldo, a San Benedetto del Tronto. Il sole picchiava forte in un anticipo d'estate che sapeva già di mare e vacanze, di tempo perso in spiaggia a fare il filo alle turiste tedesche, di piste di biglie infinite, di gelati sul lungomare. Quel giorno, però, le spiagge di San Benedetto del Tronto erano deserte. La città aspettava palpitante l'evento, la grande festa che dalle cinque del pomeriggio avrebbe scosso ogni palazzo, riempito ogni strada di gioia e confusione. La Sambenedettese, la squadra della città, tornava in serie B dopo un anno di purgatorio in C1. La promozione era una semplice formalità: si trattava di pareggiare in casa contro il Matera già matematicamente retrocesso, e poi via verso la festa con la squadra. I preparativi erano enormi, tutta la città era pronta a partecipare. I gruppi di tifosi si radunavano bardati di rosso e di blu davanti al bar "Chicco d'oro" e si muovevano in corteo verso lo stadio Fratelli Ballarin. Gli striscioni dicevano "Avanti a ritmo di SamBa!", con la scritta tutta blu tranne la grande B rossa. Lo stadio era già pieno ore prima dell'inizio della partita. Undicimila persone. Tremilacinquecento solo in Curva Sud, cuore pulsante del tifo sambenedettese. C'erano famiglie intere allo stadio. Sarà stato per la festa, sarà stato per rendere omaggio alla squadra o per vedere da vicino quel giovane portiere in prestito dall'Inter, quel Walter Zenga di cui tutti dicevano un gran bene, o più semplicemente perché era una bella giornata ed era bella l'idea di stare tutti insieme. Marco aveva dieci anni nell'81. Era la prima volta che andava allo stadio. Suo papà ci andava tutte le domeniche con suo fratello Nicola che aveva tre anni più di lui e che tutti allo stadio chiamavano Nicolino e trattavano come una mascotte. Marco avrebbe voluto tanto andare allo stadio con suo padre e il fratello, tutte le domeniche, ma la mamma non voleva. Diceva che era troppo piccolo, che il padre se lo sarebbe perso per seguire la partita, o chissà che altra tragedia. Per quella partita, però, il papà di Marco aveva detto: "Questa domenica andiamo tutti insieme, dobbiamo festeggiare !", e la mamma aveva ceduto, dopo aver ripetuto più volte che non le sembrava il caso, che faceva caldo e poi i bambini prendevano un'insolazione. Quando, infine, aveva detto "sì" Nicola e Marco si erano messi a gridare contenti. La tifoseria aveva organizzato una gran coreografia finale per salutare la squadra. Nei giorni precedenti erano stati preparati coriandoli e striscioline di carta da lanciare in campo alla fine dell'incontro. Centinaia di fogli e giornali erano stati sminuzzati e strappati. Alla fine erano stati preparati circa settecento chili di carta che erano stati sistemati tra le gradinate della curva Sud, in attesa di essere lanciati dalla tribuna. I giocatori della Samb entrarono in campo prima dell'inizio della partita. Fecero un giro sotto gli spalti a prendersi gli applausi e i saluti, a porgere un fiore, a stringere una mano. Il Matera entrò più tardi. Era poco più di una comparsa nella grande festa rossoblu. Nonostante fossero le cinque del pomeriggio il caldo non era diminuito. Sugli spalti gremiti si respirava a fatica. Ogni tanto si sentiva arrivare la brezza dal mare ed era come una benedizione. Il piccolo Marco si era arrampicato sulle spalle del padre per vedere il campo, incurante delle raccomandazioni della madre. Da lì in alto vedeva solo mani che applaudivano e un mare rosso e blu di gioia. All'avvio dell'incontro mancava pochissimo. Lo speaker aveva già fatto partire il solito annuncio pubblicitario: "Bulova Acutron, l’orologio dell’era spaziale ! La Gioielleria Fenocchi vi offre le formazioni che tra poco scenderanno in campo". Dalla Sud venne liberato un grappolo di palloncini gonfiati ad elio che portò con sé in cielo un enorme "B" di cartapesta. Non si sa bene cosa fu a scatenare tutto. Forse uno dei molti bengala che i tifosi lanciavano in campo, forse un fumogeno o lo scoppio di un petardo. Forse fu solo una banalissima sigaretta, o un fiammifero lasciato cadere troppo frettolosamente. All'inizio nessuno se ne rese conto, in Curva sud. Sembrava solo che il caldo stesse aumentando. Poi i piedi iniziarono a bruciare e la gente capì: i sette quintali di striscioline di carta, di fogli di giornale, di coriandoli, stavano lentamente prendendo fuoco. In un istante la festa divenne panico. La Curva sud si trasformò in un inferno di fiamme. Una folla di mani iniziò a spingere via i vicini, cercando una fuga lontano dal fuoco. Le gradinate erano braci ardenti, l'aria bruciava. "I cancelli ! Aprite i cancelli !" gridava qualcuno davanti, vicino alle recinzioni che separavano gli spalti dal campo. Solo che i cancelli non potevano essere aperti, perché non si sapeva dove fossero le chiavi e il custode dello stadio non sapeva dove cercare. Come mossi da un unico comando, i tifosi si divisero in due blocchi, muovendosi verso la cima delle gradinate, dove le fiamme faticavano ad arrivare, pressandosi e schiacciandosi l'un l'altro contro l'esile recinzione che separava la tribuna da un vuoto di dieci metri, dalla fine dello stadio. Alcuni, terrorizzati, preferirono il baratro alle fiamme e si lanciarono di sotto, verso gli ingressi delle tribune. Il rumore delle ossa rotte sul cemento sovrastò le grida di terrore. L'altro gruppo si muoveva verso il rettangolo di gioco, vicino al cancello bloccato, cercando di rompere il lucchetto, di aprirsi un varco tra le maglie di ferro. Poi la gente iniziò a scavalcare la rete di guardia, strappandosi i vestiti sul ferro arrugginito, ferendosi la carne, cercando la salvezza sull'erba del campo. Il piccolo Marco era caduto dalle spalle del padre quando la folla terrorizzata aveva iniziato a muoversi. Gridava: "Mamma ! Mamma !", ma non vedeva nulla davanti a sé e il fumo e la paura lo facevano piangere, mentre un cerchio di fuoco lo circondava. Sentiva chiamare il suo nome da qualche parte, sentiva sua madre gridare disperata, ma non si poteva muovere. Strizzava gli occhi cercando di vedere qualcosa oltre il nero del fumo denso e tossiva, si copriva il volto con le braccia e continuava a chiamare, sua madre, suo padre, suo fratello. D'improvviso si sentì sollevare da terra e lanciare lontano, oltre il fuoco e il fumo, verso le voci che lo chiamavano. Le mani di suo padre lo raccolsero e lo strinsero a sé.

Vide le lacrime di sua madre e il sorriso felice di Nicola. Poi si voltò. Al centro del cerchio di fuoco che lo aveva tenuto prigioniero c'era adesso un uomo chino sulle ginocchia. I suoi vestiti andavano a fuoco e lui si batteva il corpo con le mani aperte cercando di spegnerli. Altre persone si avvicinarono per trarlo in salvo, lo portarono lontano dal cerchio, lo aiutarono a spegnere il suo piccolo incendio. Si chiamava Luciano Bovara e fu un eroe per caso (Ndr Medaglia d'argento al valor civile consegnatagli dal Presidente della Repubblica Italiana Francesco Cossiga a Gaeta il 21 giugno 1988). I giocatori dal campo guardavano gli spalti con orrore, le mani nei capelli, impotenti e disperati. Insieme agli addetti dello stadio aiutavano gli uomini e le donne che si erano lanciati sul terreno di gioco, portavano bottiglie d'acqua, chiamavano aiuto. Maria Teresa aveva 23 anni e un lavoro come segretaria. Il fuoco le mangiò i vestiti, ma lei riuscì a strapparli via, lottando contro il dolore, fuggendo precipitosamente verso le gradinate basse. L'incendio la prese una seconda volta, divorandole la pelle e lasciandola a terra. Carla aveva 21 anni e faceva la parrucchiera. Aveva aperto da poco il suo salone. Venne investita da un'onda di calore che la tenne prigioniera. Sono morte entrambe, all'ospedale Sant'Eugenio di Roma, dove erano state trasportate con ustioni di primo, secondo e terzo grado sul 70% del corpo. Roberto Peci aveva venticinque anni e un fratello, Patrizio, che aveva fatto parte delle Brigate Rosse finché non venne arrestato nel 1980. Divenne il primo terrorista a collaborare con le forze dell'ordine indicando la posizione del covo brigatista di via Fracchia, a Genova. Roberto quel giorno era allo stadio, in Curva sud. Si salvò dalle fiamme fortunosamente come tante altre persone. Tre giorni più tardi, il 10 giugno del 1981, venne sequestrato da un commando delle Brigate Rosse, per una vendetta trasversale ai danni del fratello. Verrà ucciso cinquantacinque giorni più tardi, a Roma, con undici colpi di pistola. Il rogo del Ballarin durò in tutto quindici minuti. L'acqua tardò ad arrivare. Il bocchettone sotto la Curva sud era difettoso, si dovette usare l'innesto di centrocampo cercando di creare una prolunga con i tubi. Il cancello venne finalmente aperto e la gente intrappolata riuscì ad evacuare mentre il fuoco veniva domato. Alla fine si conteranno circa cento feriti, sessanta ustionati di cui tredici gravi, trasportati in prognosi riservata negli ospedali di tutta Italia. Tra questi c'erano anche Maria Teresa e Carla. Forse fu perché non venne compresa sin da subito la gravità della situazione. Forse fu per non aumentare la tensione già elevatissima, ma l'arbitro Tubertini decise di fischiare l'inizio della partita. Si giocò in un clima surreale, attendendo solo la fine. I calciatori giocavano mentre l'annunciatore chiamava senza sosta i nomi delle persone smarrite, incalzato dai parenti che continuavano a dirgli nomi, a descrivere chi cercavano. La partita si spense sullo 0-0. La Samb tornava in serie B, ma nessuno aveva voglia di festeggiare. La gioia era volata via con la cenere, sospinta dalla brezza di mare.

7 giugno 1981, San Benedetto del Tronto, Stadio Fratelli Ballarin. Sambenedettese - Matera 0-0. Sambenedettese: Zenga; Rossinelli, Cavazzini, Schiavi, Bogoni, Cagni, Caccia, Speggiorin, Perrotta, Ranieri, Colasanto. A disposizione: Pigino, Tedoldi, Sanzone, Ceccarelli, Romiti. Allenatore: Nedo Sonetti. Matera: Casiraghi; Generoso, Genovese, Angelino, Imborgia, Raise, Pavese, Gambini, Merlin, Peragine, Raffaele. A diposizione: Centioni, Giannattasio, Cicchetti, Pierobon, Cifarelli. Allenatore: Antezza. Arbitro: Tubertini di Bologna.

1 ottobre 2011

Fonte: Flaneri.com

www.saladellamemoriaheysel.it  Domenico Laudadio  ©  Copyrights  22.02.2009  (All rights reserved)